Rassegna stampa dal 11 aprile 2005 al 17 aprile 2005
Gruppo Finanza Locale
Da “Italia Oggi” del 11 aprile 2005
Cassazione sulla non imponibilità dell'imposta per ruralità dell'immobile.
Coop agricole, Ici esclusa dai fabbricati strumentali
Cooperative vittoriose in Cassazione sul fronte Ici. La Corte suprema, con la sentenza n.
6884 del 4/3/2005 (depositata l'1/4/2005), ha infatti sancito l'esclusione dall'imposta dei
fabbricati delle coop che siano strumentali alle attività agricole, a prescindere sia
dall'asservimento degli stessi a un fondo, sia dalla riconducibilità di fabbricato e terreno a
uno stesso soggetto. La pronuncia, che risulta essere la prima della Cassazione
sull'argomento, mette dunque la parola fine all'ormai annosa questione della debenza
dell'Ici sugli immobili delle cooperative agricole. Questione che i comuni hanno finora
coltivato fino all'ultimo grado di giudizio, vista la rilevanza che la stessa ha per le casse
degli enti locali.
L'esclusione da Ici dei fabbricati rurali
La prima questione rilevante, pacifica per gran parte della dottrina e della giurisprudenza
(ma non per tutta: si vedano comm. trib. prov. Modena, sent. n. 192 del 27/11/2002,
comm. trib. reg. Veneto, sent. n. 39 del 19/4/2002, comm. trib. prov. Forlì, sent. n. 56
dell'8/8/2001), ma alla quale ancora qualche ente si attacca per pretendere il pagamento
dell'imposta, è quella dell'esclusione o meno degli immobili rurali dal novero di quelli
assoggettabili a imposta. Alcuni comuni (pochi, in effetti), invocando l'assenza di
un'esenzione espressa per detti fabbricati, ne affermano infatti l'imponibilità. La verità è
che non c'è bisogno di una norma espressa che esenti i fabbricati rurali dall'Ici, perché gli
stessi ne sono esclusi ab origine, non rientrando nemmeno in quello che è l'oggetto
dell'imposta come definito dal decreto istitutivo della stessa. L'art. 1 del dlgs n. 504/1992
dispone infatti che ´presupposto dell'imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili
e di terreni agricoli', mentre l'art. 2 definisce il fabbricato come quella ´unità immobiliare
iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano'. Di conseguenza, i fabbricati
rurali, che all'epoca dell'istituzione dell'Ici non dovevano essere iscritti nel predetto catasto
ma in quello dei terreni, rimanevano per ciò stesso automaticamente esclusi dall'ambito
applicativo dell'imposta.
Vero è che con l'art. 9 del dl n. 557/1993 è stato istituito il catasto dei fabbricati, che è
andato a sostituire il catasto edilizio urbano, nel quale devono essere iscritti anche i
fabbricati rurali. Ma tale iscrizione, come precisato dalla norma stessa, non ne muta la
natura, essendo lo scopo dell'iscrizione semplicemente quello di ´realizzare un inventario
completo ed uniforme del patrimonio edilizio´. Anche per monitorare, se del caso,
l'eventuale perdita dei requisiti di ruralità dei fabbricati ivi iscritti. Tale interpretazione è
stata avvalorata nel tempo anche dalla stessa amministrazione finanziaria (circolari
ministeriali n. 96/T del 9/4/1998 e n. 50/E del 20/3/2000 e interrogazioni parlamentari n.
5-06221 dell'8/9/1999 e n. 5-06405 del 9/12/1999), ed è confermata indirettamente dal
comma 9 dell'art. 9 citato, laddove per i soli fabbricati ´già rurali, che non presentano più i
requisiti di ruralità', è previsto il recupero dell'Ici per gli anni successivi al 1993.
Infine, anche la Corte di cassazione, con la sentenza n. 6884/2005, ha mostrato di
condividere tutte le argomentazioni sopra esposte.
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I requisiti per la ruralità
Fino al 26/5/1998, le condizioni per il riconoscimento della ruralità ai fini fiscali erano
fissate unicamente dal comma 3 dell'art. 9 dlgs n. 557/1993, che richiedeva: il possesso o la
detenzione del fabbricato da parte dello stesso soggetto che conduceva il terreno;
l'utilizzazione dell'immobile da parte dello stesso soggetto (o dai dipendenti dell'azienda
agricola) per finalità abitative o per funzioni strumentali all'attività agricola; una superficie
minima del terreno cui il fabbricato risultava asservito di 10 mila mq; un volume d'affari
derivante da attività agricole del soggetto che conduceva il fondo superiore alla metà del
suo reddito complessivo.
Dal 27/5/1998 peraltro è entrata in vigore la modifica apportata dall'art. 2 del dpr n.
139/1998, che se da un lato ha mantenuto i predetti requisiti per i fabbricati ´destinati a
edilizia abitativa', dall'altro ha introdotto il comma 3-bis, il quale dispone che ai fini fiscali
debba riconoscersi carattere rurale ´alle costruzioni strumentali alle attività agricole di cui
all'articolo 29 del testo unico delle imposte sui redditiÉ Deve altresì riconoscersi carattere
rurale alle costruzioni strumentali all'attività agricola destinate alla protezione delle
piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, alla custodia delle macchine, degli attrezzi
e delle scorte occorrenti per la coltivazione, nonché ai fabbricati destinati all'agriturismo'.
È evidente che la lettera della norma esclude la necessità dello specifico asservimento del
fabbricato a un fondo o della sua riconducibilità allo stesso soggetto che conduce il fondo,
richiedendone soltanto la strumentalità alle attività agricole. D'altra parte è altresì
condivisibile l'interpretazione secondo cui lo stesso concetto di strumentalità ad attività
agricole presuppone un qualche collegamento tra il fabbricato in cui vengono trasformati o
conservati i prodotti o custoditi gli strumenti per la coltivazione degli stessi, e il terreno su
cui la coltivazione avviene. Si pensi a quanto previsto dall'art. 29 Tuir (nel testo ante
riforma: oggi art. 32), cui fa riferimento il predetto art. 9 al comma 3-bis: sono attività
agricole, tra le altre, quelle di manipolazione, trasformazione e commercializzazione dei
prodotti, purché però questi ultimi siano ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del
fondo. E ´il' fondo in questione deve risultare in qualche modo collegato con chi esercita le
predette attività, perché altrimenti il requisito della prevalenza non avrebbe senso, dato
che alla fine tutti i prodotti agricoli derivano da ´un' fondo. E in questa direzione è andata
finora la prevalente giurisprudenza di merito, che ha ritenuto pur sempre necessario un
collegamento tra fabbricato e terreno, il che si è tradotto comunque in pronunce non
uniformi: alcuni giudici hanno infatti utilizzato un concetto allargato di collegamento,
arrivando per questa via a riconoscere comunque l'esclusione da Ici per i fabbricati delle
cooperative agricole; altri invece, ritenendo necessario che terreno e fabbricato
appartenessero anche formalmente allo stesso soggetto, e addirittura che il fabbricato
insistesse sul terreno cui era asservito, hanno negato il riconoscimento della ruralità agli
immobili di proprietà delle cooperative.
L'orientamento dei giudici di merito
A ben vedere, i due orientamenti da ultimo citati si riscontrano anche nelle pronunce
relative ad annualità precedenti la modifica intervenuta con l'introduzione del comma 3bis del dl n. 557/1993. Nel senso che, anche quando la norma richiedeva uno specifico
asservimento del fabbricato a un terreno e l'appartenenza di entrambi allo stesso soggetto,
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molti giudici hanno interpretato estensivamente la norma, ritenendo sussistere le predette
condizioni anche nel caso delle cooperative, benché formalmente in detta fattispecie il
fabbricato sia di proprietà della cooperativa e i terreni di proprietà dei soci cooperatori. Il
tutto in ossequio anche al favor costituzionale di cui gode il fenomeno cooperativo. In
particolare è stato sostenuto che l'autonomia patrimoniale e la personalità giuridica della
cooperativa non sono altro che ´strumenti formali, utilizzati quali mezzi idonei al
perseguimento del fine comune e mutualistico, per realizzare nel modo più conveniente
imposto dagli attuali metodi e sistemi di lavorazione dei prodotti e di organizzazione del
loro sfruttamento sul mercato, quella maggiore redditività della produzione dei fondi che
è necessaria per consentire ed incrementare l'attività colturale di base cui ciascun associato
singolarmente provvede'. In altre parole ´la soggettività giuridica della cooperativa non è
nel caso di ostacolo al riconoscimento di una sostanziale identità di soggetti perché
un'interpretazione diversa sarebbe illogica, irrazionale, e dunque la relativa norma sarebbe
passibile di dubbio di incostituzionalità' (comm. trib. prov. Treviso, sent. n. 151 del
20/1/2003). L'asservimento del fabbricato al terreno è poi evidente quando l'immobile
della cooperativa viene utilizzato (per esempio) per la trasformazione o la conservazione
dei prodotti ottenuti sui terreni dei soci o per la custodia delle attrezzature utilizzate dagli
stessi sui propri terreni. Principi che a maggior ragione valgono dopo l'introduzione del
comma 3-bis predetto, anche qualora si ritenga comunque necessaria la sussistenza tra
fabbricato e terreno di un collegamento, che non può certo essere negato nel caso di una
cooperativa e i propri soci.
La Cassazione
Dopo aver confermato l'esclusione da Ici dei fabbricati rurali, ancorché oggi iscritti nel
catasto dei fabbricati, la suprema corte ripercorre l'evoluzione normativa in materia di
ruralità dei fabbricati, fino ad arrivare all'ultima versione dell'art. 9 del dl n. 557/1993.
L'ultima modifica si è resa necessaria, osserva la Corte, in quanto anche la precedente
versione ´è risultata troppo limitativa, per cui se ne è ben presto invocata la riforma
principalmente per ciò che riguarda i fabbricati non impiegati come abitazioni'. E la
riforma è giunta con la modifica apportata all'art. 9 dal dpr n. 139/1998, che ha distinto ´a
seconda che i fabbricati venissero utilizzati o meno come abitazioni', stabilendo ´che la
previgente normativa continuava ad essere applicabile solo per i primi, dato che per i
secondi doveva riconoscersi carattere rurale a tutte le costruzioni strumentali alle attività
agricole di cui all'art. 29 del dpr n. 917/1986 ovvero destinate all'agriturismo o alla
protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli oppure alla custodia delle
macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione'. Così, conclude il
supremo collegio, ´contrapponendo le due ipotesi e confermando soltanto per la prima la
necessità dell'asservimento dell'immobile a un fondo e della riconducibilità di entrambi a
un unico soggetto (avente un certo tipo di reddito), il dpr n. 139/1998 ha implicitamente
ma inequivocabilmente chiarito che per gli altri fabbricati rileva soltanto la loro
destinazione a una delle finalità sopra indicate'.
Certo la questione dell'asservimento del fabbricato a un terreno e la riconducibilità degli
stessi a un medesimo soggetto non è del tutto assorbita. Per gli anni antecedenti la
modifica dell'art. 9 dl n. 557/1993 rimane in piedi nei termini sopra descritti. Dal 1999 in
poi però la questione dovrebbe ormai ritenersi definitivamente superata, con il
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riconoscimento della non assoggettabilità a Ici dei fabbricati strumentali alle attività
agricole ancorché posseduti da cooperative non proprietarie di terreni. A ben vedere,
l'applicabilità del comma 3-bis dl n. 557/1993 potrebbe sostenersi anche per il 1998, dal
momento che la norma è entrata in vigore un mese prima della scadenza del pagamento
dell'acconto dell'Ici relativo a quell'anno, per cui al momento del versamento dell'acconto
d'imposta per il 1998 la modifica era già in vigore.
I rimborsi
Molte cooperative hanno scelto la strada di non versare l'Ici sugli immobili di proprietà
adibiti a funzioni strumentali alle attività agricole dalle stesse svolte, ingaggiando una
battaglia con i comuni che in molti casi è ancora in corso, ma che dovrebbe subire una
svolta alla luce della netta presa di posizione della Corte di cassazione. Altre invece,
nell'incertezza, hanno sempre pagato l'imposta, ma a questo punto hanno senz'altro
fondati motivi per chiederne la restituzione. A questo proposito si ricorda che, ai sensi
dell'art. 13 del dlgs n. 504/1992, il rimborso può essere chiesto entro tre anni dal giorno del
pagamento.
L'istanza va presentata in carta libera all'ufficio tributi del comune, eccependo l'indebito
versamento dell'Ici sui fabbricati di proprietà in quanto rurali ai sensi dell'art. 9, comma 3bis, del dl n. 557/1993, e quindi esclusi dal campo applicativo dell'imposta. In caso di
diniego espresso alla restituzione, è necessario fare ricorso alla commissione tributaria
provinciale entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento di rifiuto, o lo stesso di rende
definitivo. In caso invece di mancata risposta da parte del Comune, occorre attendere 90
giorni dalla presentazione dell'istanza per proporre ricorso (che può essere proposto fino a
quando il relativo diritto non sia prescritto). Per concludere si ricorda che, nel caso di
fabbricati adibiti alle attività di manipolazione, trasformazione e commercializzazione di
prodotti (si pensi all'attività delle cantine) di cui all'art. 29 del Tuir (oggi art. 32), ai fini del
riconoscimento della ruralità del fabbricato occorrerà dimostrare la sussistenza del
requisito di prevalenza, e cioè che la maggior parte dei prodotti manipolati, trasformati e
commercializzati proviene dai terreni dei soci cooperatori
Da “Italia Oggi” del 12 aprile 2005
Cassazione: l'avviso è notificabile sia al pubblicizzato sia al pubblicizzante.
Imposta sulla pubblicità, la responsabilità si sdoppia
Ai fini fiscali il pubblicizzato e il pubblicizzante sono sullo stesso piano. Infatti, l'avviso di
accertamento dell'imposta sulle pubblicità potrà essere notificato tanto all'uno quanto
all'altro, perché responsabili solidali del pagamento del tributo.
È questo il principio affermato dalla Corte di cassazione, sentenza 7314 del 7/4/2005, con
la quale, se da un lato si è allineata a una pronuncia di legittimità del '93 resa, però, in
relazione alle vecchie norme, dall'altro ha disatteso completamente una circolare
ministeriale con cui era stata affermata la responsabilità sussidiaria del soggetto
pubblicizzato.
Non è dunque necessaria, in fase di accertamento, la preventiva escussione del titolare del
mezzo pubblicitario. Al più sarà necessaria nella fase di esecuzione e non nella fase di
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accertamento dell'obbligazione. Tutta la decisione si fonda su un principio ormai
consolidato in giurisprudenza secondo cui le obbligazioni tributarie, quale sottospecie
delle obbligazioni pubbliche, non si distinguono da quelle di diritto privato. In altre
parole, la solidarietà dev'essere ricondotta integralmente alle regole di diritto comune. E
per questo anche per le obbligazioni tributarie, hanno precisato i giudici della quinta
sezione, i debitori sono su un piano di parità ´e la solidarietà non è esclusa dal fatto che i
singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse'. Il vincolo di solidarietà, oggi
affermato dall'art. 6 del dlgs 507/93, era già contenuto nel vecchio dpr n. 63/72 che, all'art.
7 recitava: ´L'imposta è dovuta in solido da chiunque effettua la pubblicità e da chi
produce o vende la merce o fornisce i servizi in oggetto della pubblicità stessa'. Proprio in
relazione a tale norma la Cassazione, con la sentenza 8220 del 1993, aveva ritenuto
soggetto passivo dell'imposta comunale ´tanto chi effettua la pubblicità quanto chi
produce la merce'. A ben vedere, dunque, l'interpretazione della Suprema corte, resa in
virtù di norme diverse, è sempre la stessa. Con una precisazione: l'irrilevanza, in fase di
accertamento, della preventiva escussione dell'obbligato principale.
I giudici di Palazzaccio hanno respinto il ricorso di una società produttrice di alcuni
articoli pubblicizzati su cartelloni. Il gravame riproduceva integralmente il contenuto di
una circolare del ministero delle finanze, la 10/E-7-810 del 1994, secondo cui è tenuto al
pagamento del tributo solo il titolare del mezzo pubblicitario e solo a questi andrà
notificato l'avviso. Nell'ipotesi in cui non paghi, spiegava la circolare, o sia impossibile
individuarlo per pubblicità abusiva, si richiederà il pagamento al soggetto pubblicizzato.
Questo provvedimento di attuazione non ha convinto il collegio, dal momento che, ha
concluso, non produce ´effetti normativi esterni'.
Da "Italia Oggi" del 15 aprile 2005
Cassazione: nullo l'atto solo se manca il riferimento all'ente che lo ha emesso.
Accertamento valido senza l'indicazione dell'esattore
Valido a tutti gli effetti l'avviso di accertamento contenente nell'intestazione non
l'indicazione del concessionario della riscossione, che lo ha emesso, ma quella del comune,
se si tratta di tributi locali, o di qualunque altro titolare della potestà impositiva.
Questo uno dei principi affermati dalla Corte di cassazione con la sentenza 7498 del 12
aprile 2005. ´L'indicazione nell'intestazione dell'avviso di accertamento tributario', ha
messo nero su bianco il collegio, ´dell'ente', in questo caso il comune, ´nel cui interesse il
concessionario forma l'atto, ossia del soggetto titolare della potestà impositiva, non
costituisce né nullità né mera irregolarità'.
Ciò perché a determinare l'invalidità dell'atto o addirittura la sua inesistenza, è
esclusivamente la mancanza di qualsiasi indicazione relativa a chi lo ha emesso.
A essere chiamato in causa dai giudici della quinta sezione è ancora una volta lo statuto
del contribuente: in sostanza l'atto è invalido solo se, in violazione delle disposizioni di
legge, manca delle necessarie indicazioni tanto da non consentire l'individuazione del
concessionario emittente.
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C'è di più. Un altro aspetto delle motivazioni di particolare rilevo è quello concernente la
sanabilità dell'avviso. In generale è ormai pacifico che, anche con riguardo agli atti di
imposizione fiscale, le nullità sono sanate qualora l'atto abbia raggiunto il suo scopo. Nel
caso in esame qualora l'avviso abbia, in qualunque modo, informato il contribuente
sull'identità di chi lo ha formato.
Nell'enunciare questo principio i giudici di Palazzaccio ne hanno affermato un altro in
relazione alla determinazione della Tosap. La misura del tributo può essere stabilita
avendo riguardo al provvedimento di autorizzazione all'occupazione, rilasciato dal
comune. In altri termini, ´in tema di applicazione della tassa per l'occupazione di spazi ed
aree pubbliche, e con specifico riferimento alle occupazioni di soprassuolo per opere di
scavo (temporanee) e di sottosuolo stradale per impianti destinati alla manutenzione di
reti di erogazione di pubblici servizi, legittimamente la tassa è determinata sulla base delle
indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'occupazione, anziché
tenendo conto delle parti di soprassuolo e sottosuolo effettivamente occupate'.
Questo caso ha visto coinvolta l'Enel che, autrice di lavori di scavo e posa di cavi elettrici,
si è vista notificare dal concessionario per la riscossione un avviso di accertamento della
tassa. La società ha impugnato tale atto invocandone la nullità ´in quanto recante
nell'intestazione l'indicazione del comune, ossia di un soggetto diverso da quello che lo
aveva effettivamente formato e sottoscritto (il concessionario) e l'illegittimità della misura
della tassa'. Ricorsa in cassazione dopo il diniego dei giudici di merito la spa è stata
soccombente anche in sede di legittimità.
Da "Italia Oggi" del 15 aprile 2005
Tosap ridotta, sui termini di riscossione decide il comune
Sui termini di riscossione della Tosap a tariffa ridotta decide il comune. L'ente locale potrà
infatti stabilire, nella convenzione stipulata con il contribuente, un termine inferiore senza
dover seguire quello previsto per l'ordinaria riscossione.
Così ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza 7508 del 12 aprile 2005, accogliendo
in pieno il ricorso di un comune che, nell'applicare a un'occupazione la tariffa ridotta,
aveva stabilito un termine più breve rispetto a quello previsto nell'articolo 50 del dlgs
507/1993.
Nelle motivazioni, molto concise, il Collegio ha precisato che ´il termine di adempimento,
stabilito nella convenzione stipulata fra il comune e il concessionario ai sensi dell'art. 45,
comma 8, del dlgs 507 del 1993, che per l'appunto riconosce all'ente locale il potere di
regolare privatisticamente la riscossione della Tosap a tariffa ridotta, rimesso com'è alla
negoziale volontà delle parti, è ovviamente, del tutto sganciato da quello prescritto
dall'art. 50 per l'ordinaria riscossione'.
In queste circostanze, hanno precisato i giudici di legittimità, il termine breve non è
vessatorio, ma risponde all'autonomia negoziale delle parti.
La lite nasce da alcuni avvisi di accertamento che il comune di Serrara Fontana aveva
notificato a un contribuente per la riscossione della Tosap agevolata e sanzioni
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corrispondenti. Il concessionario, a parere dell'ente locale, aveva pagato con ritardo non
rispettando il termine previsto nella convenzione con lui stipulata. La commissione
tributaria di primo grado aveva ritenuto gli avvisi validi, poi annullati da quella di
secondo grado. Per questo il comune aveva proposto ricorso in Cassazione accolto dai
giudici di legittimità.
Da "Italia Oggi" del 15 aprile 2005
Gli emendamenti della maggioranza al dl n. 44/2005. Accorpamento in vista per i tributi
locali.
Il patto di stabilità risparmia i piccoli
Niente limiti per gli enti sotto i 5 mila e le unioni fino a 10 mila
Piccoli comuni e unioni con meno di 10 mila abitanti fuori dal patto di stabilità.
Semplificazione e accorpamento dei tributi locali. Trasferimenti erariali in un'unica
soluzione per gli enti in condizioni di dissesto. Gli emendamenti di maggioranza
presentati in commissione affari costituzionali del senato al decreto legge 31 marzo 2005,
n. 44, lasciano ben sperare gli enti locali, quantomai vicini all'aggiustamento della
Finanziaria tanto atteso dalle associazioni delle autonomie il voto della commissione è
atteso per la prossima settimana, forse già martedì.
Gli emendamenti finora presentati sul provvedimento (oltre 200) la dicono lunga
sull'importanza che viene attribuita a questo decreto, che tende ad assumere un profilo
ben distante da quello di mero aggiustamento normativo dei bilanci degli enti locali. Il
decreto potrebbe insomma, con il prosieguo della discussione nelle aule parlamentari,
diventare una sorta di mini-legge finanziaria per gli enti locali, dando alla finanza locale
quel rilievo che le compete.
Il relatore, il senatore veneziano di Forza Italia Luciano Falcier, si dice ottimista sull'iter
del provvedimento, che deve essere convertito in legge entro il prossimo 31 maggio. Delle
numerose novità che si prospettano vale la pena di segnalare quelle relative ai piccoli
comuni. Per essi si prospetta una più ampia area di esclusione dall'applicazione dei rigidi
vincoli del patto di stabilità interna come modificati dall'ultima legge finanziaria. In questa
legge si escludevano i comuni con popolazione inferiore a 3 mila abitanti dal limitare per
l'anno 2005 il complesso delle spese correnti e delle spese in conto capitale al livello di
spesa annua mediamente sostenuta nel triennio 2001-2003. Per gli anni 2006 e 2007 si
applica la percentuale di incremento del 2% alle corrispondenti spese correnti e in conto
capitale determinate per l'anno precedente.
Ora vengono esclusi anche i comuni fra 3 mila e 5 mila abitanti e le unioni di comuni fino a
10 mila abitanti (tale limite rimane però inalterato rispetto alla Finanziaria).
L'altra importante novità, che sarà probabilmente approvata in commissione la prossima
settimana (sono favorevoli sia il relatore sia il governo), riguarda l'esclusione dal patto di
stabilità interna delle spese derivanti dall'esercizio di funzioni trasferite o delegate da
parte delle regioni ed esercitate dagli enti locali a partire dal 1° gennaio 2004, nei limiti dei
corrispondenti trasferimenti finanziari attribuiti dall'amministrazione regionale.
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Per quanto riguarda inoltre gli enti locali in condizioni di dissesto, saranno erogati a loro
favore in un'unica soluzione i trasferimenti erariali correnti e la quota di
compartecipazione al gettito dell'Irpef spettanti per l'anno 2005.
Un'ultima novità è in arrivo per i tributi locali. Con un decreto delegato il governo
provvederà alla revisione, armonizzazione e semplificazione di alcuni importanti tributi
locali. Le nuove norme dovranno entrare in vigore dal 1° gennaio 2006 e riguarderanno
l'imposta comunale sulla pubblicità, i diritti sulle pubbliche affissioni e la tassa per
l'occupazione di spazi e aree pubbliche, oltre ai relativi canoni sostitutivi.
Da "Italia Oggi" del 15 aprile 2005
Passaggio di adempimenti tra enti locali per la sanatoria contenuta nella Finanziaria
2005.
Ping pong tra i comuni e le province per il condono delle affissioni abusive
Ping pong tra comuni e province sul condono delle sanzioni in materia di affissioni
abusive. La sanatoria istituita dalla Finanziaria 2005 prevede tutta una serie di passaggi tra
comuni (dichiarazioni), provincia (incassi e rendicontazioni), di nuovo comuni (rimborsi
pro quota), la provincia (imputazione in bilancio delle somme non riversate ai comuni).
Vediamo di esaminare i termini della questione.
Con la Finanziaria 2005 (legge 30/12/2004, n. 311) è stato modificato il dlgs 15/11/1993, n.
507 in materia di ´Imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni' sia
in modo strutturale, modificando gli articoli 6, 20, 23 e 24 e aggiungendo l'articolo 20-bis,
sia in modo temporaneo, introducendo una disciplina abrogativa delle sanzioni già
comminate, in tema di propaganda elettorale abusiva. È stato previsto che per i soggetti di
cui all'articolo 20 non trova applicazione l'imposta sulla pubblicità. I soggetti e le attività
ivi elencate sono: a) lo stato e gli enti pubblici territoriali; b) i comitati, le associazioni, le
fondazioni e ogni altro ente che non abbia scopo di lucro; c) le attività politiche, sindacali e
di categoria, culturali, sportive, filantropiche e religiose da chiunque realizzate, con il
patrocinio o la partecipazione degli enti pubblici territoriali. Le violazioni delle norme in
materia d'affissione e pubblicità commesse fino all'entrata in vigore della presente
disposizione (1/1/2005), mediante affissioni di manifesti politici, possono essere definite
con il versamento, a carico del committente responsabile, di un'imposta pari a 100 euro per
anno e per provincia, replicando così la precedente disposizione di cui all'articolo 17,
comma 2, della legge 289/02 (definizione sulle II.DD e Indirette) dove si prevedeva la
possibilità di sanare entro il 31 marzo 2003 le violazioni commesse mediante affissioni di
manifesti politici con il versamento a carico del committente responsabile di un importo
pari a 750 euro, sempre per ogni anno. In pratica, con il comma 480, è stato ulteriormente
ridotto l'importo da 750 a 100 euro, riaprendo i termini della originaria definizione dal 31
marzo 2003 al 31 maggio 2005. La condizione per accedere al beneficio concesso dalla
Finanziaria è il versamento dell'importo di 100 euro. Destinatario del versamento può
essere, in alternativa, la tesoreria del comune nel quale è stata commessa la violazione e
comminata la sanzione o la tesoreria della provincia, qualora le violazioni siano state
compiute in più di un comune della stessa provincia. Coloro che intendono avvalersi della
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´definizione' (condono) prevista al richiamato comma 480 dovranno eseguire un
versamento per ogni anno di violazione. Sarebbe opportuno inviare una comunicazione a
tutti gli enti interessati, nella quale siano descritti eventuali atti pendenti che con il
versamento si è inteso definire, precisando l'importo della sanzione precedentemente
comminata.
La legge finanziaria, tramite l'articolo 20-bis, comma 1, ha imposto un ulteriore sacrificio ai
comuni, ossia l'obbligo di riservare il 10% degli spazi totali per l'affissione dei manifesti ai
soggetti di cui all'articolo 20. Il comune non fornisce personale per l'affissione. L'affissione
negli spazi riservati è esente dal diritto sulle pubbliche affissioni. In materia di sanzioni
amministrative, sono stati aggiunti i comma 4-bis all'articolo 23 e il comma 5-ter
all'articolo 24, i quali dispongono che se il manifesto riguarda l'attività di soggetti elencati
nell'articolo 20, il responsabile è esclusivamente colui che materialmente è colto in
flagranza nell'atto d'affissione. Non sussiste responsabilità solidale. In tema di affissioni, è
disposta la totale esenzione dai diritti comunali per l'affissione di manifesti a contenuto
politico. In verità la legge dispone l'esenzione direttamente in capo ai soggetti sopra
indicati; ma crediamo che sia opportuno un necessario coordinamento con la disposizione
dell'art. 5 del dlgs 507/93, in base alla quale non sono soggetti all'imposta sulla pubblicità i
messaggi privi di rilevanza economica. L'esenzione però è subordinata al fatto che
all'affissione provvedano gli stessi interessati, con propri mezzi, visto che il comune per
legge non fornisce in questi casi personale per l'affissione. Oltre alle modalità di
versamento, distinguiamo gli adempimenti da porre in essere a carico dei comuni e a
carico della provincia: i primi, che avevano provveduto a elevare le contestazioni, per
effetto del condono, dovranno cancellare i residui attivi accertati in bilancio.
Entro il 30/9/2005 dovranno provvedere a richiedere il rimborso alle province di
competenza, citando l'elenco dei sanzionati al fine dell'opportuno ristoro, proporzionato
nei casi di violazioni compiute in più comuni della stessa provincia. Queste dovranno
prevedere di ricevere le comunicazioni dai comuni del territorio provinciale.