Corrado Roversi SULLA DUPLICITÀ DEL COSTITUTIVO 1. Introduzione Il concetto di regola, o norma, “costitutiva” ha avuto un ruolo importante nella letteratura giusfilosofica italiana degli ultimi trent’anni: la teoria delle norme costitutive di G. Carcaterra, da un lato, e la teoria della costitutività come condizione formulata da A. G. Conte, dall’altro, nonché l’ampio dibattito che è seguito ad entrambe ed è stato in più occasioni ripreso, rappresentano nel complesso un corpus di lavoro sul tema della costitutività di regole che non teme paragoni nel dibattito filosofico-giuridico internazionale.1 Insieme, le teorie di Carcaterra e Conte coprono i più diversi profili di questo tema, dalla performatività degli atti giuridici alla questione dell’ontologia sociale, passando per i problemi della inviolabilità, analiticità e non prescrittività delle regole costitutive. Per certi versi, inoltre, queste due teorie hanno mostrato una fruttuosa complementarietà metodologica: mentre Conte, nel corso degli anni, ha affrontato il tema in un’ottica per lo più di filosofia generale, formulando un vero e proprio sistema e generalizzandone i risultati, Carcaterra lo ha sviscerato nelle sue implicazioni filosofico-giuridiche, collocandolo fruttuosamente nel dibattito sul prescrittivismo e, più in generale, nel confronto tra normativismo e istituzionalismo. Il presente lavoro vuole essere un contributo a questo ampio e variegato dibattito. La sua tesi centrale è che il fenomeno della costitutività di regole, così come esso è stato trattato nel dibattito italiano, mostra alla propria radice una fondamentale duplicità, e che i tentativi effettuati sia da Carcaterra sia da Conte per comporre questa duplicità presentano aspetti problematici, tanto da far credere che una tale composizione sia, in ultima analisi, impossibile. La struttura del lavoro è la seguente. Nella Sezione 2, si presentano due sensi di ‘norma costitutiva’ rintracciabili nel Carcaterra di Le norme costitutive, del 1974, si discutono le differenze e le possibili relazioni tra questi due sensi, e si tenta di mostrare che essi non sono equivalenti. Ciò determina la duplicità del costitutivo che dà il titolo a questo lavoro. Nella Sezione 3, vengono discussi i due principali tentativi di comporre tale duplicità nel contesto della filosofia del diritto italiana: il primo, operato da Carcaterra, sembra configurare una forma di riduzionismo; il secondo, operato da Conte, è vòlto invece a ricondurre entrambi i sensi di ‘norma I lavori di Carcaterra sulle norme costitutive (che nel seguito discuteremo nel dettaglio) sono almeno Le norme costitutive, La forza costitutiva delle norme, e Le regole del Circolo Pickwick (rispettivamente Carcaterra 1974, 1979, 1985). Sulla teoria sistematica delle regole costitutive di Conte, invece, il lettore può partire dai tre volumi di saggi intitolati Filosofia del linguaggio normativo (rispettivamente Conte 1995a, 1995b, 2001). Per avere un’idea del dibattito sulle regole costitutive sviluppatosi nel contesto della filosofia del diritto italiana, si vedano, tra gli altri, Azzoni 1986, 1988; Ferrari 1980; Filipponio 1980, Guastini 1983a, 1983b, 1986a, 1986b; Jori 1986; Mazzarese 1985, Pollastro 1983; e, più recentemente, Lorini 2000 e Di Lucia 2003. Com’è ben noto, l’autore di riferimento internazionale per il dibattito sulle regole costitutive è J. R. Searle, il quale a partire dal 1964 ha sviluppato il concetto di constitutive rule in opere come How to Derive “Ought” from “Is”, Speech Acts, e The Construction of Social Reality (rispettivamente Searle 1964, 1969, 1995). 1 1 costitutiva’ ad un concetto più ampio, quello di condizione. In questa sezione, si tenta di evidenziare quali siano i profili problematici di entrambi i tentativi. Nella Sezione 4, infine, si traggono alcune conclusioni alla luce della discussione svolta. 2. La duplicità originaria del concetto di norma costitutiva 2.1. Duplicità del concetto di norma costitutiva in Gaetano Carcaterra Nel contesto della filosofia del diritto italiana, la discussione specifica sul tema delle norme costitutive è stata avviata dalle due monografie di Carcaterra Le norme costitutive, del 1974, e La forza costitutiva delle norme, del 1979. In questi due lavori, com’è ben noto, Carcaterra svolge una raffinata critica del modello prescrittivista. La constatazione di fondo da cui egli prende le mosse è che la tradizionale divisione, di natura pragmatica, tra uso espressivo, dichiarativo e prescrittivo del linguaggio (una tricotomia che faceva buon gioco ai prescrittivisti, poiché, di questi tre, l’uso prescrittivo è certamente il più adatto a rendere conto degli aspetti linguistici delle norme giuridiche) deve essere emendata alla luce delle considerazioni svolte da J. L. Austin e J. R. Searle sul fenomeno della performatività degli atti linguistici.2 Per Carcaterra, questa discussione trova nel fenomeno giuridico un terreno di applicazione particolarmente fertile: Le norme costitutive, sostanzialmente, è un lavoro vòlto a mostrare come una grande acquisizione teorica propria della filosofia analitica novecentesca—l’idea che il linguaggio possa essere performativo, vale a dire che con le parole, a condizioni date, si possano “fare cose”—non soltanto sia perfettamente applicabile al fenomeno giuridico, ma sia anche stata confusamente intuita da più parti (sia stata, per così dire, sempre presente) nella coscienza filosofico-giuridica continentale, in particolare italiana e tedesca. La performatività è appunto, secondo il Carcaterra di Le norme costitutive, una proprietà essenziale non soltanto, nello specifico, di alcune norme giuridiche che sono difficilmente riconducibili al modello prescrittivo (ad esempio, le norme abrogative, o le norme attributive di poteri), ma anche, a ben vedere, di tutte le norme giuridiche in generale, in quanto ogni norma può essere concepita come un atto linguistico produttivo di effetti giuridici. Questa produttività di effetti all’interno di un ordinamento giuridico, concepita in generale, è ciò che Carcaterra intende per costitutività delle norme, ed è il motivo di fondo per cui egli giunge a proporre la sua analisi come una teoria delle norme giuridiche che possa ambire, per portata e completezza, ad essere alternativa al prescrittivismo. L’ambizione di esaustività sembra dunque guidare fin dall’inizio il lavoro di Carcaterra sulle norme costitutive: se il prescrittivismo avanzava la tesi che tutte le norme giuridiche, in quanto tali, sono prescrizioni o sono riducibili a prescrizioni, il modello di Carcaterra era fin dalla sua origine vòlto a mostrare come tutte le norme giuridiche, in quanto tali, possono essere considerate costitutive di effetti giuridici. La prospettiva complessiva è efficacemente presentata nel seguente passo: Com’è ben noto, il lavoro classico di J. L. Austin sui performativi è How to Do Things with Words, del 1962 (Austin 1976). Searle, per parte sua, ha sviluppato le tesi del maestro in una compiuta teoria degli atti linguistici presentata in Speech Acts, del 1969 (Searle 1969), ulteriormente sviluppata e problematizzata in articoli come A Taxonomy of Illocutionary Acts, del 1975, e How Performatives Work, del 1989 (rispettivamente Searle 1979, 1989) e formalizzata con l’aiuto di D. Vanderveken in Foundations of Illocutionary Logic, del 1985 (Searle e Vanderveken 1985). 2 2 Non può sfuggire che nel verificare la presenza del fenomeno costitutivo e della sua intuizione dalla base fino al vertice dell’ordinamento, un concetto ci ha costantemente accompagnati: quello dell’efficacia giuridica della norma. […] Dovunque, insomma, abbiamo incontrato norme costitutive, lì abbiamo registrato anche la loro efficacia giuridica; anzi abbiamo notato che questa è la loro caratteristica specifica […]. Per cui viene spontaneo rovesciare il rapporto euristico: dovunque registriamo il fenomeno dell’efficacia giuridica, lì dobbiamo presupporre una norma costitutiva. Se si riflette, ciò finisce per suggerire un ulteriore allargamento della portata della costitutività nell’esperienza giuridica. Dopotutto, una norma giuridica non può mancare di avere, oltre ad una eventuale e più o meno diretta efficacia pratica, proprio un’efficacia giuridica. Norme che non producano alcun effetto giuridico, che non incidano su quella realtà che è la realtà specificamente giuridica, non possono che essere norme estranee al mondo del diritto. Ma allora, se le norme giuridiche, in quanto tali, hanno efficacia giuridica e se l’avere efficacia giuridica è caratteristico delle norme costitutive, segue che tutte le norme giuridiche, in quanto tali, sono costitutive: la costitutività viene ad estendersi nel diritto tanto quanto la stessa normazione. (Carcaterra 1974, 117–8)3 La tesi è tanto originale quanto difficilmente dubitabile. Tuttavia, lo sforzo di unitarietà e comprensività del modello, e dunque il tentativo di ricondurre la costitutività alla semplice produzione di effetti giuridici intesi in senso lato, portano Carcaterra a ricondurre ed includere nell’ambito della costitutività fenomeni per molti versi differenti. Ciò può essere mostrato facendo ricorso ad alcune citazioni tratte da Le norme costitutive. In primo luogo, si consideri il passo, ormai classico, in cui Carcaterra fornisce una definizione esplicita di ciò che rende costitutiva una norma: Mentre le proposizioni prescrittive tendono a produrre un evento esercitando una pressione sul comportamento di qualcuno, le norme di cui ci occupiamo producono l’effetto, che è il loro scopo e il loro contenuto, realizzandolo da sé: lo costituiscono—ecco la loro caratteristica—nel momento stesso del loro entrare in vigore. Le chiameremo perciò norme costitutive. […] Le situazione e i fatti costituiti si producono in maniera immediata, sono destinati ad acquistare realtà mercé un unico atto, quello (eventualmente complesso) col quale si emana la norma, senza che occorra fare appello all’obbedienza, o alla collaborazione esecutiva di alcuno. (Carcaterra 1974, 61) Come si vede da questo passo, secondo Carcaterra è costitutiva una norma che produce, nel momento stesso del suo entrare in vigore, l’effetto che ne è “lo scopo e il contenuto”. L’esempio tipico di questo tipo di costitutività è quello delle norme abrogative, che l’autore utilizza quali esempi tipici di norme non riconducibili al modello prescrittivista: laddove, infatti, una prescrizione è volta a realizzare uno stato di cose per il tramite di una precisa mediazione, vale a dire il comportamento conforme di colui cui la prescrizione è rivolta, la norma abrogativa costituisce immediatamente, ovvero crea senza ulteriori interventi, il proprio contenuto, vale a Nel successivo La forza costitutiva delle norme, Carcaterra distinguerà (ed è questa una distinzione palesemente in nuce anche nel precedente Le norme costitutive) tra una “teoria mista”, nella quale la fenomenologia delle norme costitutive viene utilizzata per integrare il modello prescrittivista laddove esso si rivela insufficiente, ed una “teoria unitaria”, volta a ricondurre tutto il fenomeno giuridico alla costitutività di norme (cfr. Carcaterra 1979, rispettivamente 39ss. e 71ss.). La prospettiva complessiva della “teoria unitaria” di Carcaterra è stata ripresa da L. Ferrajoli nella sua concezione della “costitutività in senso lato o debole”, per la quale, ad esempio, “un precetto […] è sempre costitutivo delle prescrizioni o delle regole che ne formano il significato. La ‘precettività’ o ‘costitutività’ […] consiste precisamente nella capacità, propria di ogni precetto, di costituire ciò che ne forma il contenuto prescrittivo: modalità o aspettative deontiche, oppure status ontici. In questo senso lato tutti i precetti sono costitutivi, essendo tutti condizioni sufficienti per il prodursi di una o più prescrizioni o regole. La costitutività, in questa prima accezione, è sinonimo di precettività. Essa rappresenta […] la specifica ‘efficacia’ degli atti giuridici precettivi” (Ferrajoli 2007, 224). 3 3 dire la scomparsa della norma abrogata dall’ordinamento giuridico. Scrive Carcaterra a questo proposito: Dichiarandosi l’abrogazione dell’art. 100 Cod. pen. è certo che non si è voluta prescrivere un’abrogazione di là da venire […]: dicendo “è abrogato” ciò che il legislatore ha inteso ed ottenuto è stata proprio quella scomparsa immediata di norme dell’ordinamento che sarebbe estranea alla struttura logica di una prescrizione: l’ordinamento è divenuto subito diverso in forza della stessa disposizione abrogativa, senza bisogno di ulteriori iniziative di chicchessia. (Carcaterra 1974, 52) Sono dunque almeno due le proprietà di questo tipo di costitutività: (a) da un lato, il processo di costituzione messo in atto da una norma costitutiva in questo senso è immediato, (b) dall’altro, l’oggetto, la situazione, lo stato di cose cui la norma si riferisce viene concretamente a sussistere nel momento in cui la norma entra in vigore. La norma, dunque, è costitutiva nel senso che crea immediatamente uno stato di cose nella realtà giuridica: L’esistenza di una norma costitutiva comporta necessariamente il verificarsi della situazione in essa prevista. (Carcaterra 1974, 103) In un altro passo dello stesso lavoro, Carcaterra individua una terza caratteristica rilevante di questo tipo di costitutività: (c) il soggetto della relazione di costituzione, la norma costitutiva, costituisce in quanto è esso stesso, prima di ogni altra cosa, un atto. Questo terzo elemento viene esplicitamente tematizzato nel contesto della discussione dottrinale a proposito delle cosiddette “sentenze costitutive”: Consideriamo […] l’idea, che or ora si è profilata, della sentenza costitutiva come contestuale attività esecutiva: tale sentenza non richiede “alcun atto ulteriore d’esecuzione”, perché, nel suo genere, è già essa un atto di esecuzione. Mentre in una sentenza di condanna il risultato voluto, in quanto solo prescritto, attende poi di essere eseguito, in una sentenza costitutiva il risultato voluto—la creazione, modificazione o estinzione del rapporto giuridico dedotto in giudizio—lo produce la sentenza stessa. (Carcaterra 1974, 76; corsivo mio) Quella appena delineata—ovvero, quella di atti immediatamente costitutivi di stati di cose concreti—non è tuttavia l’unica fenomenologia che Carcaterra riconduce alla categoria della costitutività. In un altro passo de Le norme costitutive in cui l’autore illustra come il fenomeno della costitutività fosse già stato intuito nel contesto della filosofia del diritto italiana (in particolare da Sergio Cotta e Vittorio Frosini), la costitutività non é trattata nel senso di proprietà di un atto immediatamente esecutivo, bensì nel senso di creazione di “forme dell’azione”. Il passo merita di essere riportato nella sua interezza: Concentrando l’attenzione sull’aspetto imperativo della norma, si potrebbe essere indotti a concepire unilateralmente il diritto come mero limite all’azione umana, oscurando ciò che lo stesso senso comune avverte, ossia il fatto che dell’azione umana il diritto rappresenta altresì un potenziamento: se da un lato esso riduce, attraverso comandi e divieti, le nostre scelte, dall’altro produce nuove dimensioni di vita e moltiplica perciò le nostre possibilità operative. Tutto ciò—dice Cotta—può riassumersi nella semplice affermazione che il diritto ha anche carattere formativo; è, secondo l’espressione di Frosini, “forma dell’azione”: come la scienza naturale, descrivendo la “forma” degli esseri viventi […] ci dà la misura dei loro limiti e delle loro capacità, “così pure il diritto, con le sue norme, rapporti e istituzioni, stabilisce—in modo questa volta non più descrittivo ma prescrittivo, costitutivo,—la “forma” giuridica dell’uomo e delle sue azioni”. Qui la costitutività è presentata insieme alla forza prescrittiva del diritto, ma è anche spiegata nel suo senso; la forma che il diritto imprime costitutivamente all’esperienza è 4 quella, secondo Cotta, di cui parlava anche S. Tommaso sulla scorta di Aristotele: “forma dat esse rei”, “la forma è ciò che fa essere un essere quello che è”, egli afferma, “è ciò che individua i singoli enti e con ciò ne determina le modalità e le capacità”. Il senso di tutto il suo discorso è perciò proprio questo: il diritto non soltanto prescrive comportamenti, ma forma anche, è appunto “costitutivo” di, modi di essere, proprietà, relazioni degli enti giuridici. (Carcaterra 1974, 68) Il diritto è, in questo caso, costitutivo di “modi di essere, proprietà, relazioni degli enti giuridici” attraverso la costruzione della loro forma giuridica o, potremmo dire, fattispecie astratta: accade qui, cioè, che determinati comportamenti diventino forieri di effetti in quanto dotati di una forma giuridica costituita da un sistema di norme. Questo tipo di costitutività è vòlta ad aprire un intero spazio di nuove possibilità prima inesistenti, una “nuova dimensione di vita” che moltiplica “le nostre possibilità operative”: un qualsiasi gioco definito da un sistema di regole ne è un esempio paradigmatico. A questo proposito, Carcaterra scrive: Il paragone tra gioco e diritto è stimolante, tanto è vero che ha fatto presa su più di uno. […] Proprio come le mosse di due giocatori non sono meri processi fisici ma azioni che realizzano un’unità significante nel contesto delle regole del gioco, così la vita sociale acquista un carattere di comunità […] per il fatto che le azioni degli individui sono dotate di un “significato”, che ad esse è parimenti conferito da un sistema di regole. Noi potremmo perciò pensare il diritto come una sorta di “gioco sociale”. In se stessa l’idea del carattere ludico del diritto, come di altri fatti sociali, non è del tutto nuova […]. Ciò che è interessante è che essa si combina con l’altra idea, oggi affermatasi chiaramente, della natura costitutiva delle regole di [un] gioco […]. Perciò, che il diritto contenga norme di natura simile alle regole fondamentali di un gioco, e che queste siano essenzialmente costitutive, conduce, se ne sia più o meno consapevoli, ad attribuire alla costitutività un ruolo parimenti fondamentale nella struttura dell’ordinamento giuridico. (Carcaterra 1974, 95–6) In questo passo, Carcaterra insiste in modo particolare sul fatto che le norme costitutive attribuiscono significato alle azioni, e che questo è il presupposto della loro capacità di aprire nuovi spazi di azione e possibilità. Le norme, infatti, non sono qui costitutive nel senso che stabiliscono immediatamente gli stati di cose, le azioni e i comportamenti su cui esse vertono (le regole del gioco degli scacchi non stabiliscono, evidentemente, l’esistenza di una partita a scacchi), né nel senso che rendono possibile un insieme di comportamenti concreti (chiunque potrebbe muovere pedine su una scacchiera anche senza sapere nulla degli scacchi) ma nel senso che, attribuendo un determinato significato ad un tipo di comportamento, esse rendono possibile l’azione in tal modo significante (solo a seguito delle regole degli scacchi è infatti possibile, propriamente, fare uno scacco matto). Le proprietà di questo tipo di costitutività sono dunque due: (a) il processo di costituzione messo in atto da una norma costitutiva è mediato: il rapporto tra le regole del gioco degli scacchi e ciò su cui esse vertono, vale a dire una partita a scacchi, richiede la presenza e l’esecuzione da parte di due giocatori; (b) l’oggetto, la situazione, lo stato di cose cui la norma si riferisce è reso possibile dalle norme, ma non viene immediatamente a sussistere: date le norme degli scacchi, è possibile fare uno scacco matto, ma non si dà concretamente la situazione corrispondente allo scacco matto in una partita a scacchi. Significativamente, in un altro passo di Le norme costitutive, Carcaterra attribuisce questo tipo di costitutività alle cosiddette “norme di struttura”, qualificandole come “condizioni di possibilità e pensabilità” dell’ordinamento giuridico: 5 Questa accentuazione dell’importanza delle norme costitutive e di struttura si è già profilata attraverso l’analogia con le regole dei giochi, per cui quelle si sono rivelate basilari per i singoli sistemi giuridici. Tali norme non costituiscono soltanto particolari entità e determinazioni all’interno di un ordinamento già formato, ma giungono a costituire—esse nella loro totalità o comunque alcune di esse—l’ordinamento medesimo come insieme, diventando le condizioni della sua possibilità e pensabilità, allo stesso modo che un gioco non sarebbe possibile né pensabile se non fosse definito e stabilito dalle sue regole costitutive. (Carcaterra 1974, 97; corsivo mio) Questa nuova forma di costitutività, vòlta ad allargare il nostro comune spazio di azione, intrattiene relazioni strette con il concetto di “potere giuridico”, che Carcaterra arriva a trattare per il tramite della discussione dottrinale sui cosiddetti “diritti potestativi”. Anche nel corso di questa discussione emerge l’aspetto di mediazione sopra rilevato come tipico di questa forma di costitutività. Il rapporto tra la norma costitutiva e l’effetto giuridico che essa prevede come correlativo del potere, infatti, è qui mediato dall’esercizio effettivo di quel potere, e l’effetto giuridico non viene immediatamente costituito dalla norma, essendone piuttosto la produzione una possibilità che la norma mette a disposizione dei soggetti giuridici. Tali aspetti di questo tipo di costitutività sono chiaramente intuiti da Carcaterra. Egli scrive infatti: Il potere, nella sua accezione più lata ma anche più essenziale, è proprio la possibilità di produrre immediatamente modificazioni, di creare realtà giuridiche, quale ne sia la specie, in virtù di una norma che tali modificazioni e realtà costituisca in dipendenza dal potere stesso. (Carcaterra 1974, 82; corsivo mio nella seconda occorrenza) Risulta chiaro da questo passo come l’aspetto costitutivo della norma sia qui mediato dall’esercizio del potere: e risulta chiaro, parimenti, che l’atto propriamente costitutivo dell’effetto (vale a dire il “produrre modificazioni”, o il “creare realtà giuridiche”) non risiede nella norma ma nell’esercizio del potere. La norma costitutiva, dunque, in questo caso non è un atto che costituisce direttamente l’effetto giuridico, bensì è ciò che rende possibile l’atto il cui esercizio avrà tale effetto. È questa una terza caratteristica di questo tipo di costitutività: (c) la norma costitutiva non è qui tale in quanto è un atto, ma in quanto rende possibile un atto. Dovrebbe risultare sufficientemente chiara, a questo punto, la duplicità originaria del concetto di costitutivo nella teorizzazione di Carcaterra. In un primo senso, la costitutività delle norme costitutive è il processo immediatamente creativo di un effetto o, più in generale, di uno stato di cose concreto, che tali norme compiono in quanto atti. Ad esempio, è costitutiva una norma abrogativa perché essa, per il fatto stesso di entrare in vigore, appunto abroga. In questo senso, la costitutività delle norme costitutive sembra effettivamente essere, come Carcaterra riconosce a più riprese, un equivalente della performatività degli atti linguistici, ed in particolare di ciò che Searle ha chiamato atti linguistici “dichiarativi” (declarative speech acts).4 Come un atto linguistico dichiarativo, secondo Searle, se viene compiuto correttamente e a condizioni date, determina il venire ad esistenza dello stato di cose Sui declarative speech acts, cfr. Searle 1979, 16–20; Searle e Vanderveken 1985, 56–8. In questi lavori, Searle classifica le declarations come casi particolari di atti linguistici. Nel successivo How Performatives Work, del 1989, Searle ha sostenuto invece la tesi che qualsiasi tipo di espressione performativa sia un caso di declaration, e che tali espressioni si dividono tra linguistic declarations e extra-linguistic declarations (Searle 1989, 549). Secondo P. Di Lucia, questa nuova tesi configura un “radicale, quanto inconsapevole, ripensamento del concetto di performatività” (Di Lucia 1997, 38). 4 6 istituzionale che esso descrive (ad esempio, con il dire “questa nave si chiama Giuseppina” un pubblico ufficiale attribuisce questo nome alla nave), così una norma costitutiva, per il fatto stesso di essere stata validamente emanata ed essere entrata in vigore, determina l’effetto giuridico che descrive come suo contenuto.5 In un secondo senso, la costitutività delle norme costitutive è il processo di creazione di tipi (concetti o, se si vuole, fattispecie astratte) di atti e fatti aventi un determinato significato nel contesto di una specifica pratica. Ad esempio, è costitutiva la regola degli scacchi sul “mangiare un pezzo” perché essa crea la possibilità di un atto che, nel corso di una partita a scacchi, ha una determinato significato e una specifica valenza: di questo atto, essa crea il concetto. In questo senso, tuttavia, la costitutività delle norme costitutive non è più equivalente alla performatività degli atti linguistici dichiarativi, bensì è simile alla capacità creativa di ciò che Searle chiama regole costitutive (constitutive rules) di quegli atti linguistici.6 Come una regola costitutiva di un atto linguistico, per Searle, determina le condizioni di esecuzione e il fine illocutivo (illocutionary point) tipico di quell’atto, così una norma costitutiva in questo secondo senso, per il fatto stesso di essere stata validamente emanata ed essere entrata in vigore, determina le condizioni di esecuzione e gli effetti tipici di atti (o le condizioni di sussistenza e la valenza tipici di fatti) che sono resi significanti dalla norma stessa. Seguendo Conte, il quale (come vedremo) ha notato prima di ogni altro questa differenza, chiameremo il primo tipo di costitutività “thetico-costitutività”, poiché essa consiste nel porre attualmente il proprio oggetto (da cui l’espressione “thetico”), mentre chiameremo il secondo tipo di costitutività “eideticocostitutività”, poiché essa consiste nel costituire in primo luogo un concetto (un tipo, una fattispecie astratta) di atti o fatti, e nel rendere in tal modo possibili questi atti o fatti in quanto significanti (proprio da questo aspetto di costitutività concettuale discende l’espressione “eidetico”).7 Si è detto qui “descrive” ma evidentemente ciò che una dichiarazione fa, in questo senso, non è propriamente descrivere. Nella sua forma apparentemente descrittiva, infatti, una dichiarazione determina ipso facto la sussistenza dello stato di cose descritto. Scrive Carcaterra a questo proposito: “Descrivere è riconoscere un oggetto o un evento come esistente indipendentemente dall’atto descrittivo stesso […]. Ora, quando il legislatore ha detto ‘l’art. 100 del codice penale è abrogato’, non stava constatando una già avvenuta abrogazione; quando ha stabilito che l’ordinamento italiano ‘si conforma alle norme dell’ordinamento internazionale generalmente riconosciute’, non prendeva atto di una conformità realizzatasi di per sé; quando ha dichiarato che la moglie ‘ha’ il domicilio del marito, non stava raccontando un fenomeno esistente per suo conto. Tutte queste situazioni sono venute in essere non già indipendentemente dall’atto, bensì proprio in seguito al suo porsi e alla sua forza” (Carcaterra 1974, 58; cfr. anche ibid., 122). Searle ha discusso questa peculiare dialettica tra descrizione e creazione, che è tipica delle declarations, utilizzando il concetto di “doppia direzione di adattamento” (double direction of fit) (cfr. ad esempio Searle 1979, 3–4, 19. 5 L’equivalenza tra eidetico-costitutività e il concetto di constitutive rules in Searle deve essere qui intesa come una equivalenza di massima: in realtà, come è stato in più occasioni mostrato, ad esempio da Conte, alcuni tipi di constitutive rules di Searle nella forma tipica “X counts as Y in context C” non sono propriamente eideticocostitutive del termine Y: è questo, tra gli altri, il caso di ciò che Searle chiama “regole essenziali” (essential rules) degli atti linguistici. Sulle essential rules degli atti linguistici, cfr. Searle 1969, 63. Sulla critica formale effettuata da Conte, cfr. ad esempio Conte 1995f, 536. Anche Dolores Miller, nel suo saggio Constitutive Rules and Essential Rules, del 1980, aveva notato questa difformità strutturale delle essential rules: cfr. Miller 1981, 187. 6 7 Come il lettore delle opere di Conte noterà, della thetico-costitutività e della eidetico-costitutività utilizziamo qui l’espressione e il concetto, ma non la definizione, in quanto quest’ultima è legata alla teoria della costitutività come condizione formulata da Conte, una teoria che nella Sezione 3.2 discuteremo criticamente. 7 2.2. Differenze e relazioni tra i due sensi di ‘norma costitutiva’ Che il concetto di costitutivo in Le norme costitutive di Carcaterra sia effettivamente duplice, tuttavia, non è da darsi per scontato: se infatti, da un lato, i due sensi di ‘norma costitutiva’ sono intesi a spiegare fenomenologie distinte, dall’altro, tuttavia, queste fenomenologie presentano innegabilmente tra loro delle relazioni e mostrano, per certi versi, alcuni tratti che parrebbero ricondurle ad unità. Come abbiamo visto, i due sensi di ‘norma costitutiva’ individuati si differenziano sotto tre aspetti: (a) sotto l’aspetto del soggetto costituente (ovvero, della natura di ciò che costituisce), (b) sotto l’aspetto dell’oggetto costituito (ovvero, della natura di ciò che viene costituito), (c) sotto l’aspetto del processo di costituzione (ovvero, della natura del modo in cui si costituisce). Nel seguito, mostreremo come una discussione critica possa problematizzare la duplicità e ricomporre le differenze tra i due sensi sotto ognuno di questi tre aspetti presi singolarmente; ma cercheremo anche di dimostrare che le suddette differenze non possono essere ricomposte sotto tutti e tre gli aspetti contemporaneamente. (a) Sotto l’aspetto del soggetto costituente, si è detto poco sopra che una norma costitutiva nel primo senso (una norma thetico-costitutiva), ovvero intesa come atto linguistico dichiarativo (declaration, nel senso di Searle), è un atto produttivo di effetti, laddove invece una norma costitutiva nel secondo senso (una norma eideticocostitutiva), ovvero come constitutive rule nel senso di Searle, è piuttosto una regola che rende possibile tali atti produttivi di effetti, costruendone il concetto. Sotto questo specifico profilo, tuttavia, la differenza è facilmente componibile, poiché è perfettamente possibile (ed anzi, particolarmente nel contesto giuridico, avviene comunemente) che la regola costitutiva di fattispecie di atti o fatti giuridicamente rilevanti (una regola che è eidetico-costitutiva) sia a sua volta una norma, ovvero, se concepita à la Carcaterra, un atto che produce effetti nel sistema giuridico (e dunque sia thetico-costitutiva). Ciò può essere mostrato con riferimento all’esempio delle norme abrogative. É certamente possibile sostenere che atti immediatamente produttivi di effetti quali sono le norme abrogative (che sarebbero norme thetico-costitutive, ovvero atti linguistici dichiarativi) presuppongono regole costitutive che rendano possibile il processo di abrogazione delle norme (che sarebbero norme eidetico-costitutive, ovvero constitutive rules nel senso di Searle). In altri termini, una norma abrogativa A (nella forma ‘la legge x è abrogata’) non conferisce senso al termine ‘abrogare’ o ‘abrogazione.’ L’abrogare ha già specifiche condizioni, ed un suo senso, posto da un’altra norma B (nella forma ‘le leggi si abrogano nei seguenti modi e circostanze: T, U, V, Z’) che la norma A presuppone al fine di abrogare. Come scrive Mario Jori, solo quando uno degli specifici modi di abrogazione posti da [B] sia la venuta in esistenza (?) di una regola, cioè l’esistenza della norma abrogativa individuale e concreta [A], questa si rivela regola e regola costitutiva, condizione non necessaria ma sufficiente [...] all’immediato venire in essere di ciò su cui presumibilmente verte, l’abrogazione. (Jori 1986, 458) Nulla impedisce, tuttavia, di concepire anche queste norme costitutive (eideticocostitutive) dell’atto di abrogazione come atti linguistici immediatamente produttivi di effetti nel sistema giuridico (e dunque thetico-costitutive): se viste in questa prospettiva, le norme thetico-costitutive e le norme eidetico-costitutive non si 8 differenzierebbero sotto il profilo del soggetto costituente, in quanto sarebbero entrambe atti. Ovviamente, si porrebbe a questo punto il problema se sia necessaria una norma, di grado superiore, a sua volta eidetico-costitutiva dell’atto di legiferazione che permette di costituire, tra le altre cose, l’atto di abrogazione; questo riproduce in altri termini il noto problema del regresso della validità all’interno del sistema giuridico, un regresso che porta infine alla domanda: esiste un atto di legiferazione originario non costituito da alcuna norma, o piuttosto esiste una norma costitutiva dell’atto di legiferazione costituente la quale non è a sua volta un atto costituito, ma, ad esempio, una regola inscritta in una pratica pre-giuridica? Che cosa sta all’origine del sistema giuridico, una norma thetico-costitutiva che lo pone senza che la possibilità di questo atto di posizione sia costituita da un’altra norma del sistema, o piuttosto una norma eidetico-costitutiva che non è un atto, ma che deriva da una pratica pre-esistente? Certo è che, se si concepisce una regola eideticocostitutiva come un atto, si apre il problema della regola che costituisce la possibilità di questo atto eidetico-costitutivo, una sorta di meta-regola eidetico-costitutiva, e ciò apre al suddetto regresso. Ovviamente, non è possibile affrontare una questione di tale portata teorica in questa sede, ma è evidente che la sua problematicità è il derivato teorico del tentativo di comporre la duplicità del concetto di costitutività sotto il profilo del soggetto costituente: se, infatti, il concetto di un atto è costituito da una regola, e se una regola costitutiva è sempre a sua volta un atto, come è possibile evitare un “regresso della costitutività”? (b) Quand’anche si volessero concepire sia le norme thetico-costitutive sia le norme eidetico-costitutive come atti immediatamente produttivi di effetti, superando così la duplicità del concetto di norma costitutiva sotto il profilo del soggetto costituente, si aprirebbe tuttavia una divaricazione netta sotto il profilo dell’oggetto costituito. Laddove, infatti, le norme thetico-costitutive stabiliscono immediatamente il sussistere di uno stato di cose concreto (poiché questo è il loro fine illocutivo in quanto declarations), le norme eidetico-costitutive creano piuttosto il concetto (il tipo, la fattispecie astratta) di atti o fatti dotati di significato. La differenza salta agli occhi sviluppando ulteriormente l’esempio delle norme abrogative: mentre una norma abrogativa crea il proprio contenuto (l’abrogazione di una norma) come uno stato di cose concreto (una fattispecie concreta) immediatamente sussistente, una eventuale norma costitutiva dell’atto di abrogazione non determinerebbe l’immediata sussistenza del proprio contenuto (un concreto atto di abrogazione), ma, per così dire, ne costituirebbe il concetto (la fattispecie astratta): in altri termini, non la sussistenza immediata e concreta dell’atto, ma la sua possibilità in quanto atto dotato di significato. Si potrebbe obiettare a questo argomento che una tale distinzione tende a nascondere l’unitarietà al fondo di fenomeni soltanto apparentemente dissimili: dopotutto, sia nel caso di una norma abrogativa (thetico-costitutiva) sia nel caso di una norma (eidetico-costitutiva) che renda possibile l’atto di abrogazione si producono “oggetti” riconducibili ad una radice comune, in quanto tutti in ogni caso concepibili come modificazioni del sistema giuridico, ovvero come effetti giuridici in senso lato. A ciò si riconduce, ad esempio, la “prospettiva monista” della teoria di Carcaterra, quando egli, come abbiamo visto, vuole riconoscere nella costitutività il tratto essenziale della giuridicità di una norma in quanto costitutiva di effetti giuridici. L’ispirazione unitaria di questa teoria è chiara: sia le norme thetico9 costitutive, che stabiliscono attualmente uno stato di cose concreto nella realtà giuridica, sia le norme eidetico-costitutive, che costruiscono il concetto (la fattispecie astratta) di atti o fatti giuridicamente significanti, sono in questa prospettiva costitutive nello stesso senso, in quanto sono tutte costitutive di effetti nell’ambito del sistema giuridico. A ciò, tuttavia, si può obiettare che l’espressione ‘modificazione del sistema giuridico’ o ‘effetto giuridico’, così utilizzata, non fa altro che ricondurre ad unità fenomeni differenti da un punto di vista categoriale. Vale la pena notare che questa differenza categoriale è in un certo senso complementare: laddove, infatti, si tenta si sottrarsi ad essa per un verso, non si riesce ad evitarla per l’altro. Si è detto, infatti, che le norme thetico-costitutive costituiscono attualmente uno stato di cose concreto, mentre le norme eidetico-costitutive creano concetti, vale a dire tipi astratti (o fattispecie astratte) di atti o fatti dotati di significato giuridico: e questo è un primo tipo di differenza categoriale. Se anche, tuttavia, si volesse riconoscere l’oggetto sia delle norme thetico-costitutive sia delle norme eidetico-costitutive in uno stato di cose concreto, ignorando questo primo tipo di differenza categoriale (se si dicesse, per esempio, che sia una norma abrogativa sia una norma eideticocostitutiva dell’atto di abrogazione costituiscono entrambe, in un certo senso, la stessa cosa, vale a dire l’abrogazione di una norma), allora una norma theticocostitutiva (nel nostro esempio, la norma propriamente abrogativa) stabilirebbe l’attuale sussistenza di questo stato di cose concreto, mentre una norma eideticocostitutiva (nel nostro esempio, la norma costitutiva dell’atto di abrogazione) ne stabilirebbe la possibilità di sussistenza, ovvero la sussistenza a seguito di un atto eseguito a determinate condizioni: ci troveremmo costretti a riconoscere, dunque, che siamo in ogni caso di fronte ad una differenza categoriale, soltanto di un tipo diverso rispetto alla precedente. (c) Se anche, infine, volessimo ignorare entrambi i tipi di differenza categoriale tra i due sensi di ‘norma costitutiva’ sotto il profilo dell’oggetto costituito, e insistere sulla loro unitarietà, non potremmo non incorrere in una divaricazione netta sotto il profilo del processo di costituzione. Come abbiamo visto, lo stesso Carcaterra riconosce, nel contesto della teoria unitaria della costitutività da lui proposta in Le norme costitutive, che sussiste a volte una differenza nel processo di costituzione da parte di norme: in alcuni casi, infatti, la norma costitutiva ottiene il suo effetto immediatamente, mentre in altri lo ottiene soltanto a condizione dell’esecuzione di determinati atti, e dunque in modo mediato. Questa distinzione, significativamente, si può evincere anche dalla sua definizione complessiva del fenomeno della costitutività di norme: La costitutività […] è venuta a raccogliere sotto di sé tutte le norme con le quali si tende a produrre in forza e in dipendenza della posizione delle norme stesse, pur se talora in modo condizionato, una trasformazione di parti ed aspetti più o meno larghi, più o meno rilevanti, della realtà del mondo giuridico […]. (Carcaterra 1974, 96–7; corsivo mio)8 Vale la pena notare che questa concezione unitaria della costitutività, per la quale il criterio di distinzione risiede nella immediatezza della produzione dell’oggetto costituito, è stata ripresa da Ferrajoli con la sua teoria delle regole (o norme) tetico-costitutive vs. regole (o norme) ipotetico-costitutive. Secondo Ferrajoli, infatti, “le regole tetico-costitutive sono quelle che consistono immediatamente in status”, mentre “le regole ipoteticocostitutive sono le regole che pre-costituiscono status destinati ad essere costituiti dagli atti da esse ipotizzati” (Ferrajoli 2007, 238; cfr. anche 426). La distinzione tra regole tetico-costitutive e regole ipotetico-costitutive non è equivalente alla distinzione tra regole thetico-costitutive e regole eidetico-costitutive: per Ferrajoli, infatti, le regole eidetico-costitutive del gioco degli scacchi che attribuiscono ai vari pezzi lo status di re, 8 10 Si noti, qui, l’espressione ‘pur se talvolta in modo condizionato’, e si riconsideri l’esempio della norma abrogativa e della norma eidetico-costitutiva dell’atto di abrogazione. Se vogliamo concepire sia la specifica norma abrogativa (che è norma thetico-costitutiva) sia la norma che crea la possibilità stessa dell’atto di abrogazione (che è norma eidetico-costitutiva) come entrambe costitutive della stessa cosa, vale a dire, nel nostro esempio, dell’abrogazione di una norma, allora dovremo riconoscere che la prima ottiene l’effetto in modo immediato, poiché lo crea nel momento stesso della propria entrata in vigore, mentre la seconda lo ottiene in modo mediato, poiché ottiene tale effetto soltanto per il tramite dell’esercizio effettivo dell’atto da essa costituito. Una tale differenza riguarda appunto il processo di costituzione, ed è inevitabile se insistiamo nel voler unificare i due sensi di ‘norma costitutiva’ sotto il profilo dell’oggetto costituito. Laddove, invece, la nostra intenzione sia quella di ricondurre ad unità questi due sensi sotto il profilo del processo di costituzione, notando ad esempio che sia le norme thetico-costitutive sia le norme eideticocostitutive possono essere entrambe interpretate come immediatamente costitutive di qualcosa (l’abrogazione di una norma nel primo caso, il concetto dell’atto di abrogazione come atto giuridicamente significante nel secondo), la divaricazione si riapre sotto il profilo dell’oggetto di costituzione, data la già notata, e duplice, differenza categoriale tra gli effetti immediati dei due tipi di norme costitutive così concepiti. Il risultato di questa analisi sembra essere, dunque, che il concetto di norma costitutiva originariamente utilizzato da Carcaterra in Le norme costitutive sia, nella sostanza, un concetto dialettico: laddove si tenta di ricondurlo ad unità, infatti, esso mostra le proprie interne divaricazioni, gli aspetti di irriducibilità della fenomenologia che intende spiegare; laddove invece, per altro verso, se ne mette in luce la duplicità, esso svela insospettate relazioni e profili di omogeneità. La duplicità tuttavia sussiste, e, come si è cercato di dimostrare, non è facile ricomporla in sede teorica. Nella prossima sezione, esamineremo i due principali tentativi di ricomposizione della duplicità del costitutivo effettuati nel contesto della filosofia del diritto italiana, il primo da parte dello stesso Carcaterra, il secondo da parte di Conte. Per entrambi questi tentativi, cercheremo di mostrare come la duplicità originaria nel concetto di norma costitutiva resista alla composizione proposta, tanto da sollevare il legittimo sospetto che essa sia, in ultima analisi, irriducibile. 3. Due tentativi di comporre la duplicità 3.1. Norme costitutive e definizioni stipulative in Carcaterra Negli scritti successivi a Le norme costitutive, e in particolare in La forza costitutiva delle norme, del 1979, Carcaterra chiarì estesamente come il senso di ‘norma costitutiva’ da lui privilegiato fosse in realtà quello di atto immediatamente produttivo di effetti concreti, vale a dire di norma thetico-costitutiva come atto performativo. A ciò si regina, etc. sono tetico-costitutive, mentre le regole eidetico-costitutive del gioco degli scacchi che costituiscono il concetto di determinati stati di cose come condizionati da altri (ad esempio, la regola eideticocostitutiva dello scacco matto, che costituisce lo scacco matto come stato di cose condizionato dallo scacco) sono ipotetico-costitutive (cfr. Ferrajoli 2007, 234, 239). 11 devono alcuni contenuti specifici di questo lavoro del 1979, come l’elaborata analisi della teoria dei performativi in J. L. Austin e della teoria degli imperativi performativi (performatory imperatives) di K. Olivecrona, l’accostamento tra il concetto austiniano di “infelicità” (infelicity) degli atti linguistici e l’invalidità degli atti giuridici, l’analisi del discorso giuridico “dispositivo” come caso particolare di discorso performativo (fino a coniare l’espressione ‘performativi dispositivi, statutori o costitutivi’), lo stesso utilizzo dell’espressione ‘struttura performativo-costitutiva delle norme’, nonché la riconduzione, effettuata in polemica con il prescrittivismo, dell’attività di normazione in forma apparentemente imperativa alla costitutività nel senso di immediata produzione di effetti nel sistema giuridico.9 A ciò si deve, infine, l’identificazione della forma standard di una norma costitutiva con la forma standard di un performativo à la Austin. A proposito di questa identificazione, Carcaterra scrive: I performativi costitutivi, intesi nel senso che si è suggerito, possono venir resi in formule esplicite […]: “(con il presente atto, con la presente norma) io dispongo (stabilisco)—noi disponiamo (stabiliamo)—l’autorità A dispone (stabilisce)—che…”, e, soprattutto, […] “(con il presente atto, con la presente norma) si dispone (si stabilisce) che…”, formula che, per la sua impersonalità, evidentemente si presta a rappresentarle tutte. La sceglieremo, quindi, come forma standard (anche, talvolta, semplificandone il tenore). […] Si può dire che [la forma standard] è la struttura che è sempre (almeno) implicita in ogni norma giuridica operativa. La teoria della norma deve portare allo scoperto questa struttura, scrostare le apparenze verbali e il significato superficiale, per ritrovare l’autenticità dell’atto, quello che si dice significato profondo; e con ciò la teoria della norma assolve (continua ad assolvere) un compito che è eminentemente ermeneutico e non già astrattamente logico formale. (Carcaterra 1979, 63–4) Senza dubbio, dunque, il senso di ‘norma costitutiva’ privilegiato da Carcaterra in La forza costitutiva delle norme è quello di thetico-costitutività, vale a dire costitutività immediata di effetti da parte di atti, piuttosto che quello di eidetico-costitutività intesa come creazione di nuovi campi di attività significante attraverso la costituzione di concetti. Tuttavia, sebbene Le norme costitutive sia un lavoro meno focalizzato sulla thetico-costitutività rispetto a La forza costitutiva delle norme, la duplicità che abbiamo là riscontrato riemerge in qualche luogo anche in questo secondo lavoro. Ciò che sembra significativo, però, è che in questo caso l’eideticocostitutività viene presentata sotto una nuova veste, funzionale ad una nuova prospettiva teorica che pare vòlta a comporre la duplicità in senso riduzionista. Si consideri il seguente passo di La forza costitutiva delle norme: È noto che una mera classe, o aggregato sociale, è semplicemente un insieme di individui che hanno qualche proprietà comune […]. Un gruppo è qualcosa di più: è un insieme di individui che hanno qualche proprietà comune, e oltre a ciò sanno di averla in comune e la giudicano, sotto un aspetto o l’altro, importante, e perciò sono predisposti ad interagire tra di loro. L’elemento comune, sussistendo queste condizioni, diventa il principio costitutivo, definitorio, del gruppo. Esso può anche essere una certa concezione della vita e delle relazioni del gruppo stesso. Il sistema giuridico è un tale elemento: è il principio che definisce una comunità giuridica, e induce predisposizioni psicologiche all’interazione. (Carcaterra 1979, 85; corsivo mio nella prima e seconda occorrenza) Su Austin e Olivecrona, cfr. rispettivamente Carcaterra 1979, 19 ss. e 34 ss. (l’accostamento tra infelicity dei performativi e validità giuridica di atti è a p. 25); sull’analisi del discorso giuridico dispositivo, cfr. Carcaterra 1979, 59–69 (l’espressione ‘performativi dispositivi, statutori o costitutivi’ è a p. 61; l’espressione ‘struttura performativo-costitutiva’ delle norme è a p. 64); sulla riconduzione dell’imperatività della norma alla costitutività così intesa, cfr. in particolare Carcaterra 1979, 92. 9 12 Evidentemente, il senso in cui si parla qui di costitutività non è quello di immediata performatività, esecutività, o operatività di un atto. L’idea di costitutività che sembra riemergere in questo passo, infatti, è quella della attribuzione di un nuovo senso— un senso giuridico di comunità—a qualcosa che in precedenza non era tale (un “gruppo” che, per quanto precedentemente esistente, non aveva il significato di “comunità giuridica”). Se tuttavia si riflette sul giro di parole utilizzato in questo passo—e in particolare sull’espressione ‘il principio costitutivo, definitorio, del gruppo’—emerge un elemento nuovo che sembra suggerire una strategia riduzionista. L’idea di fondo parrebbe essere, in questa prospettiva, che ‘costitutivo’ nel senso di eideticocostitutivo sia sinonimo di ‘definitorio’, e dunque che gli aspetti di attribuzione di significato di una norma o regola eidetico-costitutiva non siano propriamente dissimili da quelli tipici di una definizione stipulativa. Né Carcaterra sarebbe il solo a sostenere una tale prospettiva: la tesi per cui le norme o regole eidetico-costitutive (e in particolare le constitutive rules di Searle) non siano altro che definizioni stipulative è stata, infatti, più volte sostenuta.10 L’esempio delle regole del gioco degli scacchi, e particolarmente della regola sullo scacco matto che è esempio paradigmatico di regola eidetico-costitutiva, aiuta a chiarire la tesi. Questa regola, ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli scacchi’, viene in questa prospettiva interpretata come nient’altro che una definizione stipulativa di ‘scacco matto’, ovvero come sostanzialmente equivalente ad una stipulazione nella forma ‘l’espressione ‘scacco matto’ significa ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa’’. Nel contesto del lavoro di Carcaterra, questa tesi riduzionista è sviluppata nell’articolo Le regole del circolo Pickwick, del 1985. In questo lavoro, Carcaterra sistematizza la sua concezione del costitutivo interpretando le norme giuridiche come atti dotati di forza costitutiva (dunque norme thetico-costitutive), ovvero atti performativi di tipo dispositivo che hanno l’effetto immediato di stabilire ciò su cui esse vertono. Nel contesto di questa concezione complessiva della costitutività, tuttavia, Carcaterra parla anche di una “definizione costitutiva originaria” la quale costituisce il concetto di un ordinamento giuridico: questa regola non farebbe altro che definire l’ordinamento non diversamente da come si definisce un insieme tramite definizioni stipulative. Dunque, la strategia complessiva per ridurre ad unum la duplicità del costitutivo è in due fasi: da un lato, considerare la thetico-costitutività come fenomeno originario, l’unico aspetto genuino del costitutivo, dall’altro, ricondurre alle proprietà di una semplice definizione stipulativa quanto, dell’eideticocostitutività, non sia riconducibile all’unico senso genuino.11 In Le regole del Circolo 10 Per esempio da R. Guastini: cfr. Guastini 1983a, 167–8. Guastini ha però notato che solo determinati tipi di regole eidetico-costitutive possono essere ridotte a definizioni stipulative: su questo cfr. ibid., 168; Guastini 1986b, 263. Non entreremo qui nei dettagli di questo argomento, estremamente rilevante per la teoria delle regole costitutive, perché esso ci porterebbe troppo lontano. L’idea, tuttavia, che non tutto il fenomeno della costitutività delle regole del gioco sia riducibile a definizioni stipulative avrà un ruolo fondamentale nel nostro argomento per confutare il riduzionismo di Carcaterra. Ciò avviene—è doveroso notarlo—a dispetto delle stesse intenzioni di Carcaterra, il quale, nel definire la concezione di costitutività presupposta nell’articolo, dice esplicitamente “non mi occupo invece delle norme eidetico-costitutive e di altre di cui A. G. Conte ha mostrato i caratteri differenziali” (Carcaterra 1985, 18). E 11 13 Pickwick, il processo espositivo per ottenere questo risultato è piuttosto complesso: nel seguito, lo analizzeremo in quattro punti. (a) Si asserisce la thetico-costitutività come unico aspetto della costitutività. In Le regole del circolo Pickwick, la definizione di ‘norma costitutiva’ come atto performativo che statuisce immediatamente uno stato di cose concreto, dunque soltanto nel senso di norma thetico-costitutiva, è assolutamente esplicita: Poniamo che Pickwick abbia istituito il CP [il Circolo Pickwick, l’esempio fittizio addotto dall’autore] il 1° gennaio 1820. Può darsi che il giorno prima Smiggers avesse suggerito: “Tupman dovrebbe essere membro del CP”. Questo era un enunciato prescrittivo de jure condendo. Il 2 gennaio Smiggers apprese quella che era stata la decisione di Pickwick e potrebbe aver constatato: “Tupman è membro del CP”. Questo era un enunciato descrittivo de jure condito. Ma il legislatore non può parlare né prescrittivamente de jure condendo né descrittivamente de jure condito: quando Pickwick il 1° gennaio disse “Tupman è membro del CP” deve aver usato l’enunciato in un terzo senso, in un senso costitutivo, appunto, di ciò che il giorno prima si poteva solo prescrivere e il giorno dopo solo descrivere—lo ha usato jus condens. (Carcaterra 1985, 18) Questa thetico-costitutività (il fatto di porre performativamente il proprio oggetto) è, secondo Carcaterra, una caratteristica generalizzabile a tutte le norme giuridiche. Dal suo punto di vista (ed è questo un argomento che egli riprende da La forza costitutiva delle norme), anche in una ricostruzione prescrittivista dell’ordinamento giuridico il ruolo delle regole costitutive (thetico-costitutive, aggiungiamo noi) è in ogni caso fondamentale, perché l’esistenza di prescrizioni nell’ordinamento presuppone necessariamente atti normativi di natura (thetico-)costitutiva che sono l’espressione di una “volontà negoziale, ossia la volontà che quel comportamento risulti prescritto nell’ordinamento”: L’elemento caratterizzante dell’atto normativo privato o pubblico […] è questo volere che una prescrizione diventi valida o parte dell’ordinamento normativo. E non un volere de jure condendo, come potrebbe essere quello di chi sollecitasse il legislatore a introdurre nel codice una certa prescrizione, bensì la volontà del legislatore stesso, che non è de jure condendo o de jure condito ma è jus condens […] e perciò nel suo intento immediatamente costitutiva dell’appartenenza all’ordinamento della prescrizione di cui si tratta. L’atto normativo che imponga un obbligo giuridico non ha né il senso di una mera e diretta prescrizione […] né il senso di una valutazione etico-giuridica […] ma il senso specifico di un atto dispositivo dell’effetto dichiarato. […] Non si tratta di una semplice prescrizione ma della disposizione di validità di una prescrizione. (Carcaterra 1985, 19) La thetico-costitutività dell’atto di normazione, dunque, per Carcaterra è comunque e in ogni caso il fenomeno giuridico fondamentale, anche laddove il teorico tenti una ricostruzione normativistico-prescrittivistica dell’ordinamento: In una completa e adeguata ricostruzione normativistica sia il contenuto sia il sostegno […] dell’ordinamento è fatto di prescrizioni, ma i singoli atti di produzione normativa (le deliberazioni dell’Assemblea) e la stessa definizione fondamentale e originaria devono essere pensati di natura costitutiva. (Carcaterra 1985, 20) (b) Si riscontra nuovamente il fenomeno dell’eidetico-costitutività. Si faccia tuttavia attenzione al passo ora citato. Cosa intende qui Carcaterra per “definizione fondamentale e originaria” dell’ordinamento? Il lettore ricorderà il passo di La forza costitutiva delle norme, citato poco sopra, in cui Carcaterra parla di “principio costitutivo e tuttavia, come vedremo, sembra evidente che in questo lavoro è proprio l’aspetto della eidetico-costitutività quello che egli riconduce a mere definizioni stipulative. 14 definitorio” di una comunità giuridica, e, ancora prima, il passo di Le norme costitutive in cui si parla di norme di struttura come “condizioni di pensabilità” dell’ordinamento. Come si vede, lo stesso concetto è introdotto in Le regole del Circolo Pickwick a monte dell’ordinamento giuridico, nella forma di una “definizione fondamentale” che Carcaterra qualifica come “principio di individuazione e di strutturazione” dell’ordinamento stesso. Di questa “definizione fondamentale” dell’ordinamento, Carcaterra fornisce due varianti, una come “definizione normativistica” (DN) ed una come “definizione istituzionalistica” (DI): (DN) a) l’ordinamento normativo del CP è in ciascun momento l’insieme delle prescrizioni (esplicite e implicite) che l’Assemblea abbia disposto appartengano all’ (siano valide nell’) ordinamento stesso e non abbia abrogate; b) queste prescrizioni devono essere osservate dai membri del CP […]. (Carcaterra 1985, 20) (DI) l’ordinamento sociale del CP è, in ciascun momento, l’insieme composto da P, S, T e da coloro che siano stati dichiarati membri dell’Assemblea, sempre che non ne siano stati espulsi per aver ripetutamente rifiutato di tenere un comportamento dichiarato obbligatorio dall’Assemblea stessa e la cui obbligatorietà non sia stata da questa abrogata. (Carcaterra 1985, 21) Quale che sia la definizione dell’ordinamento che intendiamo adottare, secondo Carcaterra essa fornisce il concetto dell’ordinamento, vale a dire il principio costitutivo che lo muove e che ne fornisce il senso. Di più: dal suo punto di vista, questo concetto dell’ordinamento costituito dalla definizione fondamentale fornisce anche il concetto del diritto vigente in una determinata comunità. Egli scrive ad esempio: L’Assemblea non semplicemente prescrive ma intende far sì che la prescrizione entri nell’ordinamento normativo, non semplicemente nomina qualcuno ma intende far sì che questo entri nell’ordinamento sociale del Circolo: perciò non solo la definizione dell’ordinamento normativo e dell’ordinamento sociale contempla l’Assemblea, ma anche viceversa l’Assemblea agisce tenendo presente questa definizione e usando come criterio le condizioni in cui essa si articola e secondo le quali una prescrizione o una persona appartiene all’uno o all’altro ordinamento se così dispone l’Assemblea stessa. L’azione di questa non è solo conforme all’idea dell’ordinamento ma ne è guidata. La intenzionalità delle pronunce costitutive dell’Assemblea implica la comune presenza nei suoi atti del concetto del diritto: il concetto del diritto, del particolare diritto entro il quale si opera, è parte integrante della realizzazione del diritto stesso, e questa sua consaputa presenza nell’insieme dei soggetti che lo attuano rende l’insieme un gruppo sociale, una comunità. (Carcaterra 1985, 24–5; corsivo mio) E ancora: In tutti i casi la definizione costitutiva dell’ordinamento rappresenta una costante. Comprendere un diritto significa sapere che cosa esso è, sapere che cosa è significa possederne la definizione. (Carcaterra 1985, 25) Anche prescindendo dall’utilizzo del termine ‘concetto’, e prescindendo altresì dall’evidente parallelismo con il citato passo di La forza costitutiva delle norme in cui egli parla di definizione di una comunità giuridica, il fatto che Carcaterra stia qui parlando del concetto di eidetico-costitutività risulta immediatamente evidente. Questa “definizione originaria” dell’ordinamento, infatti, presenta tutti i tratti della regola eidetico-costitutiva dello scacco matto che dispone quale situazione di gioco rientri nell’ambito dello scacco matto e quale no; anche questa regola “guida l’azione”, ovvero l’azione dei giocatori di scacchi che tentano di fare scacco matto all’avversario; anch’essa costituisce un concetto, vale a dire il concetto scacchistico di scacco matto, ed anzi si potrebbe dire (lo abbiamo visto) che è proprio questa la 15 sua peculiarità. La “definizione originaria” di Carcaterra vuole, dunque, essere creativa di un concetto, attribuire significato ad atti nei quali tale concetto è “comunemente presente”, e con ciò realizzare un “gruppo sociale”, una “comunità” (potremmo dire anche: una pratica, come è una pratica il giocare a scacchi) in tal modo significante. Ciò è quanto fanno precisamente le regole eidetico-costitutive, sia sotto il profilo dell’oggetto (esse creano concetti e in ciò attribuiscono significati) sia sotto il profilo del processo (esse rendono possibili attività significanti). (c) Si riconducono alcuni aspetti della costitutività della definizione originaria alla theticocostitutività. Effettivamente, Carcaterra chiama la sua “definizione originaria” dell’ordinamento “definizione costitutiva”: ciò, tuttavia, non deve indurre in errore, poiché la costitutività che egli attribuisce a tale definizione non è l’eideticocostitutività del concetto dell’ordinamento, bensì la thetico-costitutività del fatto giuridico ad esso corrispondente, ovvero l’atto creativo e performativo che statuisce un nuovo “prodotto culturale” dal nulla. In questo senso, la costitutività propria della “definizione costitutiva originaria”, secondo Carcaterra, non è altro che una forma di statuizione, espressa peraltro esplicitamente mediante l’uso del verbo all’indicativo seguito da asterisco: Mediante DN e DI il diritto oggettivo viene ricostruito come ordinamento normativo e come ordinamento sociale, e in entrambi i casi la ricostruzione prende la forma generale: il tale diritto è* (sia*) l’insieme così e così. Definizione costitutiva, dunque, e più specificamente definizione costitutiva di un insieme. […] DN e DI corrispondono a quel principio di individuazione e di strutturazione che, anche se tacito, è immanente in ogni prodotto culturale ed esprime il suo concepimento creativo. Se il diritto è opera umana, DN e DI ricapitolano e rappresentano in una enunciazione questa attività creativa di un ordinamento, imputabile a uno o a molti fondatori, balenante nell’escogitazione di un attimo o maturata attraverso un lento ed oscuro lavoro di formazione. (Carcaterra 1985, 22) La definizione è dunque, in primo luogo, un atto performativo che stabilisce un nuovo “prodotto culturale”, è sempre “attività creativa” e dunque norma theticocostitutiva. A questo proposito, osserveremo quanto segue. Che una norma, o regola, eidetico-costitutiva sia concepibile anche come performativo, vale a dire come immediatamente creativa di qualcosa, è certamente ammissibile (lo abbiamo visto), poiché il suo fine illocutivo è effettivamente la creazione immediata di un concetto (una fattispecie astratta, un tipo di atto o fatto significante). Che, però, da ciò si possa dedurre la ricomposizione della duplicità tra thetico-costitutività ed eidetico-costitutività, o la riduzione della seconda alla prima, ci sembra falso (anche questo lo abbiamo visto), poiché l’oggetto della costituzione è nei due casi categorialmente differente (uno stato di cose concreto e attuale nel primo caso, il concetto astratto di atti o fatti significanti, o anche la possibilità di tali atti o fatti, nel secondo). Vi sono aspetti rilevanti del concetto di eidetico-costitutività che non sono riconducibili esclusivamente alla thetico-costitutività: di questo Carcaterra sembra avvedersi, e proprio per rendere conto di questi aspetti egli utilizza il concetto di definizione. (d) Si riconducono gli aspetti “eidetici” della definizione originaria al concetto di definizione stipulativa di un insieme. Carcaterra caratterizza la sua “definizione costitutiva originaria” come definizione di un insieme. Ciò, dal suo punto di vista, ha il vantaggio di ricondurre a nozioni note gli aspetti ontologicamente ed epistemologicamente più misteriosi della nozione di costitutività: 16 “Il tale diritto è* (sia*) un insieme così e così” è inoltre una definizione costitutiva di un insieme: un ordinamento è un contesto—normativo, sociale—e un contesto ha l’intima struttura di un insieme. Questo fatto spiega anche come siano possibili e come funzionino le definizioni e le norme costitutive in genere. Le norme costitutive operano come una sorta di fiat […] e questa sembra una virtù misteriosa e inquietante. Alcuni critici scettici che vogliono tenersi alla larga dalla magia e dalla metafisica, sospettano l’una cosa, nell’atto, o l’altra, nel prodotto di siffatte norme. Ma il caso Pickwick sembra tranquillizzante. Dopotutto questo brav’uomo altro non ha fatto, come mostrano appunto DN e DI, che dar vita mediante definizioni a qualcuna di quelle innocue creature che sono gli ordinari insiemi, con i quali da tempo permettiamo che sin dalla scuola elementare si divertano senza pericolo e istruttivamente i nostri figli. (Carcaterra 1985, 22) Secondo Carcaterra, questa riconduzione della “definizione costitutiva originaria” a semplice definizione stipulativa di un insieme è sufficiente per fornire quel concetto dell’ordinamento che, dal suo punto di vista, dovrebbe guidare l’azione sociale dei membri di una comunità giuridica. Riportiamo nuovamente la sua icastica formulazione: Comprendere un diritto significa sapere che cosa esso è, sapere che cosa è significa possederne la definizione. (Carcaterra 1985, 25) In questo modo, la riduzione dell’eidetico-costitutività a “thetico-costitutività + definizioni stipulative” pare compiuta. Nel seguito, solleveremo alcune osservazioni critiche a questo approccio riduzionista, cercando di mostrare come alcuni aspetti peculiari dell’eideticocostitutività non siano riconducibili a semplici definizioni stipulative di insiemi. Preliminarmente, però, è necessario sgombrare il campo da un’obiezione che viene subito spontanea, vale a dire la seguente: mentre la definizione stipulativa di un insieme può avere carattere semplicemente estensionale, ovvero identificare l’insieme stipulando quali sono i membri che ne fanno parte (per esempio nella forma “Sia* X l’insieme composto da N, M, K, etc.”), questo non è palesemente il carattere delle regole eidetico-costitutive. La regola eidetico-costitutiva dello scacco matto, ad esempio, non stipula convenzionalmente l’estensione del termine tipico ‘scacco matto’, identificandone i membri singolarmente, ma definisce le proprietà che i membri di tale estensione devono avere per poter essere tali: in questo senso, tale regola costituisce un’intensione e non semplicemente un’estensione.12 Ciò vale, però, anche per le “definizioni costitutive originarie” di Carcaterra: esse, infatti, identificano i membri dell’insieme-ordinamento sulla base di proprietà comuni ai suoi elementi (l’essere norme disposte dall’Assemblea, il non essere state abrogate, etc.): sono cioè definizioni nella forma “Sia* X l’insieme degli Y che possiedono la proprietà P” e di conseguenza, sotto questo aspetto, sono definizioni intensionali. Non è dunque facendo leva sulla distinzione tra estensione ed intensione di un termine che si potrà obiettare alla riduzione operata da Carcaterra. Piuttosto, si cercherà di argomentare la seguente tesi: non si costituisce un concetto semplicemente definendo le condizioni di applicazione di quel concetto. Dunque, una definizione stipulativa di un insieme non è tutto ciò che è necessario per rendere conto dell’eideticocostitutività di regole. 12 Il carattere intensionale delle regole eidetico-costitutive è stato esplicitamente tematizzato da Conte: cfr. ad esempio Conte 1985, 362–8; 1995e, 338; 1995f, 540. Searle ha notato che il contesto di una constitutive rule è referenzialmente opaco in Searle 1995, 28–9. 17 Ciò si può mostrare ancora una volta con riferimento all’esempio dello scacco matto nel gioco degli scacchi. Certamente, la regola ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli scacchi’ stipula le condizioni di applicazione del concetto dello scacco matto: in questo senso, essa può essere ricondotta, secondo le linee tracciate da Carcaterra, ad una semplice definizione stipulativa di un insieme, ad esempio nella forma ‘Sia* lo scacco matto l’insieme delle situazioni di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa’. Ma è falso che questa regola, così concepita, sia pienamente costitutiva del concetto di scacco matto nel gioco degli scacchi (e dunque sia tutto ciò che è necessario per rendere conto dell’eidetico-costitutività di “scacco matto”). Supponiamo, infatti, che questa regola/definizione sia l’unica regola sullo scacco matto presente nel gioco degli scacchi: che cosa sarebbe, allora, lo scacco matto? Come giocatori di scacchi, non potremmo farcene alcunché, perché tale regola/definizione, pur specificando le condizioni di attuazione dello scacco matto, non ce ne dice affatto il significato: non ci dice quale sia la sua valenza nel contesto del gioco, la sua rilevanza per una partita. Forse, un commentatore di partite di scacchi potrebbe utilizzare ‘scacco matto’ come espressione descrittiva di una determinata configurazione di pezzi su una scacchiera (molti neologismi vengono utilizzati dai commentatori per descrivere le situazioni di gioco) ma, in ogni caso, un giocatore di scacchi potrebbe certamente giocare senza conoscere il significato di questa espressione descrittiva. Così formulata, la regola/definizione è dunque, se si vuole, una semplice stipulazione per un termine descrittivo, ma non una regola eidetico-costitutiva di un concetto ludico, un concetto cioè che connoti un elemento del gioco. Ciò perché la regola ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli scacchi’ non è eidetico-costitutiva da sola. Affinché il concetto di scacco matto sia pienamente costituito nel contesto del gioco, infatti, ad essa deve accostarsi una seconda regola che ne stabilisca la valenza (la rilevanza, le conseguenze intraistituzionali), ovvero la regola ‘lo scacco matto ha valore di vittoria nel gioco degli scacchi’. Soltanto prese assieme, queste due regole sono propriamente costitutive di un concetto ludico, soltanto prese assieme esse sono eidetico-costitutive; la prima definisce le condizioni di applicazione del concetto, la seconda ne costituisce il significato, la valenza, ovvero le conseguenze della sua applicazione. Soltanto in questa definizione complementare di condizioni e conseguenze dell’applicazione il concetto è pienamente costituito.13 Questa concezione “complementare” della costitutività di regole è stata in primo luogo sostenuta da J. Ransdell, nel suo saggio Constitutive Rules and Speech-Act Analysis, del 1971. Scrive Ransdell: “It would be obviously misleading to say that the Queen of Hearts is constituted as such by these and those markings and to leave it at that, and it would be similarly inadequate to say that the Queen of Hearts is something that has this and that role in the game, failing to mention how the object can be definitively identified. Both are essentially involved in what it is to be the Queen of Hearts, as is the conditional relation between them” (Ransdell 1971, 391). E ancora: “Now let us note the […] distinction between the characteristics a thing, person or action has that justify the application of a given game-term to it and the logical effect of that application. I shall refer to the former as the connotation of the term and the latter as the import of the term. [...] In short, the meaning of game-terms (with a few exceptions) is dual, comprising both connotation and import ” (Ransdell 1971, 388). La stessa concezione è stata recentemente sviluppata da F. A. Hindriks sotto la rubrica “concezione XYZ delle regole costitutive” (XYZ conception of constitutive rules). Secondo Hindriks (che utilizza il lessico di Searle), per la costituzione del termine Y di una constitutive rule è necessaria non soltanto la specificazione dell’elemento X, vale a dire il “substrato” extra-istituzionale cui l’entità istituzionale corrisponde, ma anche la specificazione di un elemento Z il quale rappresenti il significato pratico (practical 13 18 L’argomento è applicabile all’approccio di Carcaterra. La “definizione costitutiva originaria”, nella variante normativistica, viene infatti formulata come definizione di un insieme nella forma seguente: Sia* l’ordinamento normativo del CP in ciascun momento l’insieme delle prescrizioni che in quel momento o in precedenza l’Assemblea abbia disposto appartengano all’ (siano valide nell’) ordinamento stesso e che fino ad allora non abbia abrogate. (Carcaterra 1985) Che una tale definizione fornisca le condizioni di validità delle norme, intese come condizioni di appartenenza ad un insieme determinato, ciò è fuori di dubbio. Nel fornire tali condizioni, la “definizione costitutiva originaria” nella variante normativistica fornisce le condizioni di applicazione del concetto di diritto nel contesto di un determinato ordinamento: essa, cioè, ci permette di dire “X è diritto, Y non è diritto”. Che però questa definizione normativistica, vista come stipulativa di un insieme, fornisca l’eidos, il concetto, del diritto è falso, poiché essa non ci dice affatto che cosa significhi, per una norma o prescrizione, essere giuridicamente valida, non ci dice quali siano le conseguenze della applicazione di tale concetto. Che, dunque, una definizione stipulativa di un insieme raccolga un aspetto del fenomeno dell’eidetico-costitutività, si può concedere; ma non è vero che ad essa si possa ricondurre tutto il fenomeno della eidetico-costitutività di regole. Ancora una volta, dunque, l’eidetico-costitutività si mostra riottosa a riduzioni ed equivalenze. Se, come si è mostrato nella Sezione 2.2, essa non può essere resa equivalente alla thetico-costitutività (poiché presenta differenze rispetto ad essa o sotto il profilo del soggetto costituente, o sotto il profilo dell’oggetto costituito, o sotto il profilo del processo di costituzione), essa non sembra nemmeno in toto riconducibile all’attività stipulativa delle definizioni insiemistiche (poiché la costituzione di un concetto nel contesto di specifiche pratiche richiede, oltre alla costruzione delle sue condizioni di applicazione, anche la costruzione delle conseguenze di tale applicazione). Ma, se né l’equivalenza né la riduzione sembrano strade praticabili per rendere conto della duplicità del costitutivo, anche la riconduzione di entrambi i tipi di costitutività ad una categoria più ampia che sia in grado di includerli presenta, come vedremo nella prossima sezione analizzando l’approccio di Conte, aspetti problematici. 3.2. Costitutività e condizione in Conte import) dell’entità istituzionale (ciò che Hindriks chiama anche “significato comportamentale”, behavioural significance) (cfr. Hindriks 2005, 123ss.). Una nota scettica sul “significato” di questo significato “pratico”, o “comportamentale”, è rintracciabile in Guastini, il quale nel suo saggio Cognitivismo ludico e regole costitutive distingue chiaramente, nel contesto delle regole eidetico-costitutive, tra “definizioni stipulative appartenenti ad un sistema normativo” e “regole che conferiscono senso, o valore”, ma con riferimento a questo concetto di “senso” o “valore” (equivalente proprio all’import di Ransdell e di Hindriks) scrive: “Confesso di non sapere esattamente che cosa significhino queste espressioni. Tuttavia, non mi pare che il conferire senso possa essere ridotto a discorso descrittivo (come forse ritiene Searle). Qualunque accettabile esplicazione di ‘conferire senso’ dovrebbe includere un riferimento a concetti quali: suscitare emozioni, convogliare atteggiamenti” (Guastini 1983a, 167–8). Per una possibile risposta a questo dubbio di Guastini, ci permettiamo di rimandare a Roversi 2007, 272–305, dove si riconduce l’import di un elemento costituito da regole alla valenza nel contesto di una pratica più ampia. Altri riconducono questo concetto di import alla tradizionale distinzione tra “struttura” e “funzione” (cfr., ad esempio, Incampo 2003). Infine, la distinzione effettuata nel testo tra condizioni di applicazione e conseguenze dell’applicazione di un concetto istituzionale presenta relazioni interessanti con la distinzione, effettuata recentemente da E. Fittipaldi, tra “semantica fattispeciale” e “semantica disciplinale” dei termini giuridici (cfr. Fittipaldi 2007, 118–21). 19 Nel saggio Konstitutive Regeln und Deontik, del 1981, Conte ha identificato la duplicità del concetto di norma costitutiva e l’ha tematizzato esplicitamente, facendone il punto di partenza di una teoria onnicomprensiva della costitutività. In questo saggio, Conte distingue infatti tra la costitutività delle regole del gioco, da un lato, e la costitutività delle norme performative di Carcaterra, dall’altro, chiamando le prime “regole costitutive deontiche” (deontisch-konstitutive Regeln), le seconde “regole costitutive thetiche” (thetisch-konstitutive Regeln).14 Nel seguito del suo lavoro, egli ha mutato la dicitura ‘regole costitutive deontiche’ con ‘regole costitutive eidetiche’ o anche (ed è questa l’espressione che nel corso di tutto questo lavoro abbiamo mutuato da lui) ‘regole eidetico-costitutive’. Conte descrive in questo modo la duplicità: Ho constatato che nella letteratura filosofica sono documentati due concetti di constitutività di (attraverso) regole, i quali non soltanto sono differenti, ma sembrano anche eterogenei (se non addirittura incommensurabili). Ho chiamato le due specie di regole costitutive regole deontico-costitutive [...] e regole thetico-costitutive. [...] Il caso paradigmatico di regole deontico-costitutive sono le regole del gioco degli scacchi che regolano l’uso dei pezzi. (Ad esempio: ‘L’alfiere deve muovere in diagonale.’) [...] È alla costitutività deontica che si riferisce la tesi secondo la quale un pezzo del gioco degli scacchi è l’insieme delle regole che valgono per esso. [...] Io stesso ho formulato questa tesi nel modo seguente: Il concetto [Begriff] di un pezzo è solo la totalità [Inbegriff] delle regole che valgono per esso. [...] Le regole thetico-costitutive sono state l’oggetto di ricerca di Gaetano Carcaterra sotto il nome di ‘norme costitutive’. [...] Le norme costitutive di Carcaterra [...] sono norme che creano (effettuano, pongono in atto [erwirken, effizieren]) ciò che esse regolano. (Ad esempio: “I diciottenni hanno valore di maggiorenni.”) [...] Le norme costitutive di Carcaterra non sono costitutive nel senso che sono condizione di pensabilità e possibilità di ciò che esse regolano. Le norme costitutive di Carcaterra sono costitutive piuttosto nel senso che esse letteralmente costituiscono (creano, effettuano, pongono in atto [erschaffen, erwirken, effizieren]) ciò che è regolato attraverso di esse. [...] Le regole thetico-costitutive sono rilevanti non soltanto per la deontica (laddove le si consideri come regole), ma anche per la teoria della performatività (laddove le si consideri come atti thetici). (Conte 1981, 82–3; mia traduzione)15 14 Per l’esattezza, in questo saggio Conte non formula una dicotomia, bensì una tricotomia. Nel contesto delle regole del gioco, infatti, egli distingue tra regole costitutive deontiche (ad esempio ‘l’alfiere deve muovere in diagonale’) e regole costitutive ontiche (ontisch-konstitutive Regeln, ad esempio, la regola ‘lo scacco matto è la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco in nessuna mossa’), ricollegando soltanto queste ultime alle constitutive rules di Searle (Conte 1981, 83–4). La differenza è molto rilevante per la teoria delle regole costitutive (e verrà incorporata da Conte nella successiva teoria delle regole eidetico-costitutive) ma non nel contesto della duplicità qui discussa. Sia la costitutività delle regole costitutive deontiche, infatti, sia quella delle regole costitutive ontiche è riconducibile al secondo senso di costitutività sopra identificato. 15 Il tedesco originale: “Auf dieser zweiten Stufe habe ich festgestellt, daß im philosophischen Schrifttum zwei Begriffe der Konstitutivität von (bzw. durch) Regeln belegt sind, die nicht nur verschieden sind, sondern auch heterogen (wenn nicht sogar inkommensurabel) aussehen. Die beiden Arten von konstitutiven Regeln habe ich deontisch-konstitutive Regeln [...] und thetisch-konstitutive Regeln [...] genannt. [...] Der paradigmatische Fall der deontisch-konstitutiven Regeln sind die Spielregeln des Schachspiels, welche die Handhabung der Figuren regeln. (Beispiel: ‚Der Läufer soll diagonal ziehen.’) [...] Es ist die deontische Konstitutivität, auf die sich die These bezieht, eine Figur im Schachspiel sei die Menge der Regeln, die für sie gelten. [...] Ich selbst habe diese These folgenderweise formuliert: Der Begriff einer Figur ist lediglich der Inbegriff der deontisch-konstitutiven Regeln, die für sie gelten. [...] Die thetisch-konstitutiven Regeln sind unter dem Namen ‚norme costitutive’ von Gaetano Carcaterra untersucht worden. [...] Carcaterras konstitutive Normen [...] sind Normen, die selbst (unmittlebar) das erschaffen (erwirken, effizieren), was sie regeln. (Beispiel: ‚Die Achtzehnjärigen gelten als Volljährige.’) [...] Während Carcaterras präskriptive Normen den regulativen Regeln entsprechen, sind Carcaterras konstitutive Normen konstitutiv nicht in dem Sinne, daß sie Denkbarkeits- und Möglichkeitsbedingungen dessen sind, was sie regeln. Carcaterras konstitutive Normen sind konstitutiv vielmehr in dem Sinne, daß sie buchstäblich das durch sie Geregelte konstituieren (erschaffen, erwirken, 20 La domanda fondamentale della teoria di Conte è la stessa che muove il presente lavoro: c’è un motivo per il quale due fenomeni all’apparenza così diversi sono ricondotti alla stessa categoria, vale a dire la costitutività di regole (o norme)? È possibile comporre questa duplicità del costitutivo? Come abbiamo visto, Carcaterra sembra rispondere a questa domanda seguendo la strada del riduzionismo. Conte, al contrario, tenta di comporre la duplicità riconducendo entrambi i tipi di costitutività ad un concetto logicamente più ampio che sia in grado di ricomprenderli, ovvero il concetto di condizione: dal suo punto di vista, i due sensi di ‘regola costitutiva’ possono essere ricondotti ad uno notando che sia le regole thetico-costitutive sia le regole eidetico-costitutive sono condizione del proprio oggetto. Scrive Conte: In A. G. Conte, Konstitutive Regeln und Deontik, 1981, io constatavo che di costitutività di regole e norme s’era parlato in due sensi che sembravano irrelati [...]. Perciò mi domandavo: v’è un comun denominatore che giustifichi la comune denominazione? [...] Alla domanda io ho risposto come segue. Un comun denominatore v’è. Ambedue le costitutività [...] possono caratterizzarsi in termini di condizione [...]. (Conte 1995d, 296) In questa prospettiva, la radice della distinzione tra i due sensi di ‘regola costitutiva’ risiede nel tipo di rapporto di condizione che sussiste tra la regola ed il regolato: una regola eidetico-costitutiva è infatti condizione necessaria del proprio regolato; mentre una regola thetico-costitutiva ne è condizione sufficiente.16 Di seguito l’argomento di Conte nella sua forma originaria: Tutte le regole costitutive sono condizione di ciò su cui esse vertono: ecco la prima tesi. In rapporto di condizione con ciò su cui vertono sono [...] non solo quelle regole la cui costitutività consiste nell’essere condizione necessaria di pensabilità, e perciò di possibilità, di ciò su cui esse vertono, e che, appunto perché condizione di pensabilità, io propongo di chiamare qui regole costitutive eidetiche [...], ma anche quelle regole che io [...] ho chiamato regole costitutive thetiche. [...] In particolare, le regole costitutive thetiche sono condizione sufficiente di attualità di ciò su cui esse vertono. [...] Solo le regole costitutive sono condizione di ciò su cui esse vertono: ecco la seconda tesi. Le regole regolative non sono condizione (non condizione necessaria, non condizione sufficiente) di ciò su cui esse vertono. Una regola regolativa può certamente condizionare l’azione, ma nessuna regola regolativa è necessaria condizione di pensabilità, e di possibilità, d’un praxema d’una praxis. (Conte 1995c, 245–6)17 effizieren).[...] Die thetisch-konstitutiven Regeln sind relevant nicht nur für die Deontik (wenn man sie als regeln betrachtet), sondern auch (wenn man sie als thetische Akte betrachtet) für die Theorie der Performativität.” Sulla possibilità di regole che siano condizione sufficiente del proprio oggetto si vedano i rilievi critici in Guastini 1986a. 16 17 I termini ‘praxis’ e ‘praxemi,’ che appaiono al termine di questo passo, sono due termini tecnici del lessico di Conte. ‘Praxis’ designa l’attività resa possibile da regole eidetico-costitutive; nell’esempio degli scacchi, la praxis è precisamente l’attività del giocare a scacchi. ‘Praxema’ designa ciò che Conte chiama “una unità della praxis”; nell’esempio degli scacchi, sono praxemi l’alfiere, il re, lo scacco, ecc. Nell’ambito delle regole eideticocostitutive, inoltre, Conte effettua due ulteriori distinzioni, che rielaborano le distinzioni proposte nel suo saggio originario Konstitutive Regeln und Deontik. In primo luogo, egli distingue tra regole eidetico-costitutive ontiche e regole eidetico-costitutive deontiche: “Sono regole eidetico-costitutive deontiche regole come ‘L’alfiere deve muovere in diagonale’; ‘Non è permesso l’arroccamento se il re è sotto scacco’; ‘Il re, se sotto scacco, deve essere sottratto allo scacco’. [...] Sono regole eidetico-costitutive ontiche regole come le due regole che John R. Searle cita come casi esemplari delle sue “constitutive rules”, la regola dello scacco matto e la regola del touchdown nell’American football: ‘Scacco matto v’è se, e solo se, il re è sotto scacco e non può essere sottratto allo scacco attraverso alcuna mossa [...]; ‘Touchdown v’è se, e solo se, durante una partita, un giocatore in possesso della palla è nell’area terminale del campo avversario’ (Conte 1995d, 279–80). In secondo luogo, Conte distingue, nell’ambito delle regole eidetico-costitutive deontiche, tra regole eidetico-costitutive deontiche paradigmatiche e regole eidetico-costitutive deontiche sintagmatiche: “Sono regole eidetico-costitutive deontiche 21 Conte non si limita a ricondurre ad un’unica radice soltanto due tipi di regole costitutive. Ad essi, egli ne aggiunge un altro, quello di “regola anankasticocostitutiva”. Io ho proposto il neologismo ‘regole anankastico-costitutive’ [...] per designare le regole (deontiche) le quali pongono una condizione necessaria [...], una condicio sine qua non, di ciò su cui esse vertono. [...] Ecco due regole anankastico-costitutive. La prima è una regola sul testamento olografo: [...] ‘Il testamento olografo deve essere [...] sottoscritto di mano del testatore.’ [...] La seconda [...] è una regola la quale pone una condizione necessaria affinché un atto abbia valore di donazione: [...] ‘La donazione deve essere fatta per atto pubblico [...]’. (Conte 1985, 360; parentesi quadre in originale nella quinta e nona occorrenza) Secondo Conte, una regola anankastico-costitutiva si differenzia sia dalle regole eidetico-costitutive sia dalle regole thetico-costitutive in quanto essa non è in rapporto di condizione con il proprio regolato, bensì pone una condizione al proprio regolato: nello specifico, una condizione necessaria. Scrive Conte: Le regole eidetico-costitutive sono condizione necessaria di ciò su cui esse vertono. Ad esempio, le regole degli scacchi sono condizione necessaria sia della praxis: gioco degli scacchi, sia dei suoi praxemi (pezzi, pragmemi, status ludici). [...] Le regole anankasticocostitutive, invece, pongono condizioni necessarie di ciò su cui esse vertono. Ad esempio, la regola: [...] ‘Il testamento olografo deve essere [...] sottoscritto di mano del testatore’ pone una condizione necessaria affinché un atto abbia valore di testamento olografo. (Conte 1985, 362; parentesi quadre in originale nella terza occorrenza) In conclusione, dunque, i criteri rilevanti per l’identificazione del tipo di costitutività di una regola sono due, e corrispondono a due domande distinte: (a) la prima domanda è se la regola sia o piuttosto ponga una condizione al proprio regolato; (b) la seconda è quale tipo di condizione la regola sia, o ponga: se necessaria, sufficiente, o necessaria e insieme sufficiente. Una tassonomia delle regole costitutive sulla base dei due detti criteri è stata proposta da G. Azzoni, allievo di Conte, nel suo Condizioni costitutive, del 1986 (e ripresa più estesamente in Il concetto di condizione nella tipologia delle regole, del 1988).18 Nella tassonomia di Azzoni vengono isolati sei distinti concetti di regola costitutiva, ognuno con una propria specifica denominazione. (i) Sono regole eidetico-costitutive quelle regole che sono condizione necessaria di ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘la situazione di gioco in cui il re non può essere sottratto allo scacco con nessuna mossa è uno scacco matto nel gioco degli scacchi’. (ii) Sono regole thetico-costitutive quelle regole che sono condizione sufficiente di ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘la norma X è abrogata’. (iii) Sono regole noetico-costitutive quelle regole che sono condizione necessaria e sufficiente di ciò che esse regolano; ad esempio, “la norma fondamentale di un ordinamento, se concepita (à la Felix Kaufmann) come condizione necessaria e sufficiente della paradigmatiche regole come: ‘L’alfiere deve muovere in diagonale’; ‘Il re, se sotto scacco, non può arroccare’. [...] Sono regole eidetico-costitutive deontiche sintagmatiche regole come: ‘Il re, se sotto scacco, deve essere sottratto allo scacco’. [...] Regole come: ‘L’alfiere deve muoversi in diagonale’ e ‘Il re, se sotto scacco, non può arroccare’ ordinano l’asse paradigmatico del gioco (determinano paradigmi di possibilità, fissando quali mosse possano, alternativamente, compiersi ad ogni punto del gioco). [...] Esse prescrivono forme d’azione. [...] Invece, regole come: ‘Il re, se sotto scacco, deve essere sottratto allo scacco’ non prescrivono un paradigma di possibili forme di prosecuzione del gioco, ma prescrivono una determinata prosecuzione del gioco (nel nostro esempio: che il re venga sottratto allo scacco). [...] Esse prescrivono (non forme, ma) norme d’azione” (Conte 1995d, 286–7). 18 Rispettivamente, Azzoni 1986 e 1988. 22 possibilità di validità delle norme dell’ordinamento da essa individuato” (Azzoni 1986, 161). A questi primi tre tipi di regole costitutive si aggiungono le regole ipotetico-costitutive, ovvero regole che costituiscono ponendo una condizione al proprio regolato. Le regole ipotetico-costitutive si suddividono nei seguenti tre sotto-tipi. (iv) Sono regole anankastico-costitutive quelle regole che pongono una condizione necessaria a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘il testamento olografo deve essere sottoscritto di mano del testatore’. (v) Sono regole metathetico-costitutive quelle regole che pongono una condizione sufficiente a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘è senatore di diritto a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica’. (vi) Sono regole nomico-costitutive quelle regole che pongono una condizione necessaria e sufficiente a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell’atto della nascita, oppure con un’apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o davanti al giudice tutelare o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo’. Riconducendo il fenomeno della costitutività alla categoria di condizione, come si vede, Conte e la sua scuola hanno isolato non due bensì sei tipi diversi di costitutività, fornendo un criterio di differenziazione semplice ed elegante. Questo, senza dubbio, è un risultato teorico imponente, e certamente, quanto a comprensività della teoria e omogeneità della spiegazione, la teoria della costitutività di Conte e della sua scuola ha pochi rivali. Nel seguito, tuttavia, solleveremo alcuni rilievi critici a questa prospettiva, per mostrare che anch’essa non riesce a comporre la duplicità essenziale tra i due sensi di ‘norma costitutiva’, in quanto presuppone esplicitamente due sensi diversi di ‘condizione’: il senso di ‘condizione’ nel caso delle regole eidetico-costitutive è infatti diverso dal senso di ‘condizione’ nel caso delle regole thetico-costitutive; in altre parole, la sotterranea duplicità tra la fenomenologia del thetico-costitutivo e quella dell’eidetico-costitutivo permane. Inoltre, e inversamente, con riferimento alle regole cosiddette “ipotetico-costitutive” la tassonomia distingue invece concetti di regola costitutiva che sembrano sovrapponibili, sacrificando all’esigenza di analiticità il riconoscimento di una fenomenologia in ultima analisi comune. In un primo senso, dunque, il criterio di differenziazione del fenomeno della costitutività di regole per mezzo del concetto di condizione è troppo ampio (esso accomuna ciò che è sostanzialmente diverso); in un secondo senso, esso è troppo stretto (esso differenzia tra ciò che è sostanzialmente simile). Che il criterio di differenziazione sia troppo stretto, è cosa che può essere argomentata con riferimento al rapporto tra regole eidetico-costitutive, regole anankasticocostitutive, regole metathetico-costitutive e regole nomico-costitutive. Si è detto sopra che la differenziazione tra questi tipi di regole risiede nel fatto che, mentre le prime sono condizione necessaria del proprio oggetto, le altre pongono una condizione (rispettivamente necessaria, sufficiente, necessaria e sufficiente) al proprio oggetto. La nostra tesi è che o le regole anankastico-costitutive, metathetico-costitutive, e nomico-costitutive, che pongono una condizione al proprio regolato, ne sono anche 23 una condizione necessaria—proprio perché lo costituiscono in senso eidetico, ovvero ne creano il concetto—, oppure non sono costitutive affatto. Per un verso, una regola eidetico-costitutiva come ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli scacchi’ è certamente una condizione necessaria dello scacco matto (essa ne costituisce il concetto, e dunque, appunto, ne è una condizione di pensabilità e di possibilità in quanto stato di cose significante); ma è chiaro che essa pone, anche, allo scacco matto almeno una condizione necessaria e, in questo esempio, persino sufficiente. Sembra chiaro, dunque, che una regola eidetico-costitutiva debba essere anche, necessariamente, una regola anankastico-costitutiva, poiché nel costituire essa pone condizioni almeno necessarie al proprio regolato, e che possa essere anche metatetico-costitutiva o nomico-costitutiva, se essa pone condizioni, oltre che necessarie, anche sufficienti. Per altro verso, una regola anankastico-costitutiva come ‘il testamento olografo deve essere sottoscritto di mano dal testatore’, o nel porre questa condizione necessaria costituisce il concetto di testamento olografo, e allora è assolutamente equivalente ad una regola eidetico-costitutiva, oppure pone una condizione del tutto estrinseca a qualcosa il cui concetto le pre-esiste, e allora è una semplice regola tecnica che non ha nulla di costitutivo. Ciò sembra valere anche per le regole metathetico-costitutive e per le regole nomico-costitutive. In altri termini, il criterio del porre condizioni, se non è “supportato” dalla costitutività eidetica (l’essere condizione necessaria), non è un fenomeno proprio della costitutività, perché il porre condizioni a ciò il cui concetto sia già determinato non è altro che disciplinarne le condizioni di attuazione in senso tecnico. Ma, se questo è vero, la categoria della ipotetico-costitutività (regole che sono costitutive in quanto pongono condizioni) si dissolve in quella dell’eidetico-costitutività. I due tipi basilari di costitutività, dunque, rimangono la thetico-costitutività e l’eidetico-costitutività (della “noetico-costitutività” diremo infatti tra poco). Con riferimento a questi due tipi, il criterio di differenziazione del fenomeno della costitutività di regole per mezzo del concetto di condizione è però troppo ampio, perché nei due casi viene esplicitamente presupposto un senso di ‘condizione’ differente, e questo non ci permette di ottenere un concetto a sua volta univoco della costitutività. Come abbiamo notato nella Sezione 2 (con riferimento alla differenza categoriale tra thetico-costitutività ed eidetico-costitutività sotto l’aspetto dell’oggetto costituito), e come peraltro Conte ha colto e formulato con precisione (lo abbiamo visto sopra), le regole eidetico-costitutive, creando un concetto, sono condizione necessaria di possibilità di ciò che esse regolano, mentre le regole theticocostitutive, istituendo immediatamente uno stato di cose, ne sono condizione sufficiente di attualità. A dispetto dell’utilizzo comune del concetto di condizione, la differenza è essenziale, e può essere colta anche tramite un semplice formalismo. Se indichiamo con ‘R(x)’ la regola, e con ‘x’ il suo regolato, il rapporto di condizione tra regola e regolato che Conte ravvisa nel caso di una regola eidetico-costitutiva può essere schematicamente espresso come: R(x) x (equivalente a x R(x)), mentre il rapporto di condizione che Conte ravvisa nel caso di una regola theticocostitutiva nel secondo senso può essere espresso come: 24 R(x) x.19 La differenza di posizione relativa tra regola e regolato rispetto all’operatore ‘’, nonché la presenza di un operatore modale nel primo caso, è indicativa della differenza di concetto che stiamo qui trattando. Come ha notato Gianfranco Ferrari, La specificazione del tipo di condizioni (solo sufficienti, solo necessarie) e del piano su cui le regole fungono da condizioni (rispettivamente, il piano della realtà e il piano della possibilità) rivela la notevole disparità (e logica e ontologica) che sussiste tra queste regole. [...] Mi riferisco al fatto che, indipendentemente dal tipo di condizione espressa dalle regole thetico-costitutive, il piano su cui esse si pongono come condizioni di qualcosa è il piano della realtà, a differenza delle regole eidetico-costitutive (deontiche o ontiche), le quali tutte sono condizioni di possibilità del regolato. (Ferrari 1981, 519) La permanenza della differenza concettuale tra thetico-costitutività ed eideticocostitutività nella tassonomia di Conte-Azzoni è inoltre mostrata dal fatto che si rivela difficoltosa l’interpretazione del terzo tipo di regola costitutiva, ovvero la “regola noetico-costitutiva” intesa come regola che è condizione necessaria e sufficiente del proprio regolato. In quanto condizione sia necessaria sia sufficiente, questa regola dovrebbe sintetizzare i primi due tipi di costitutività, ma le tre interpretazioni possibili di essa o riducono un tipo di costitutività all’altro oppure non configurano alcuna sintesi, sdoppiando in realtà la regola noetico-costitutiva in due regole, di cui una eidetico-costitutiva ed una thetico-costitutiva. Secondo una prima interpretazione, infatti, una regola noetico-costitutiva è condizione necessaria e sufficiente di possibilità del proprio regolato. Ma questa interpretazione, palesemente, annulla la differenza tra eidetico-costitutività e thetico-costitutività privilegiando la prima sulla seconda: il senso in cui si parla di “condizione” nel caso di una regola noetico-costitutiva così interpretata non è lo stesso in cui si parla di “condizione” nel caso di una regola thetico-costitutiva. Qui la regola è condizione necessaria e sufficiente di possibilità del regolato in quanto ne costituisce completamente il concetto.20 Come abbiamo mostrato nella Sezione 2.2, tuttavia, ogni tentativo di ricomporre il dualismo sotto il profilo del soggetto costituente lo riapre sotto il profilo dell’oggetto costituito: se anche, infatti, la regola viene concepita come atto thetico-costitutivo di un concetto, essa tuttavia non stabilisce Si noti che queste formule hanno un semplice valore esplicativo. Ovviamente, la costruzione di un sistema di logica modale predicativa per formalizzare il rapporto di condizione tra regola e regolato va oltre i limiti del presente lavoro. 19 20 È certamente questa l’interpretazione del concetto privilegiata da Conte ed Azzoni. Con riguardo alle regole noetico-costitutive, Azzoni rimanda al seguente passo di Conte: “Vi sono regole, che sono condizione necessaria e sufficiente di possibilità del regolato” (Conte 1981, 85; mia traduzione. L’originale tedesco è: “Es gibt Regeln, die notwendige und hinreichende Möglichkeitsbedingung des Geregelten sind.” Il passo è citato in Azzoni 1988, 70). Che, nella interpretazione di Conte, una regola noetico-costitutiva sia condizione necessaria e sufficiente di possibilità di ciò che essa regola, è mostrato dalla sua ipotesi che la Grundnorm kelseniana sia una regola noetico-costitutiva. Secondo Conte, la Grundnorm non sarebbe infatti condizione sufficiente di attualità della validità delle norme dell’ordinamento, mancando essa dell’aspetto volontaristico-soggettivo alla base dell’emanazione valida di una norma (in altri termini, secondo questa interpretazione la Grundnorm non avrebbe un aspetto performativo). La Grundnorm sarebbe invece semplicemente “condizione necessaria e sufficiente di possibilità della validità come norma attraverso la quale si individua il sistema normativo” (Conte 1981, 20–1; mia traduzione e corsivo mio. L’originale tedesco, completo, è: “eine Grundnorm ist notwendige und hinreichende Möglichkeitsbedingung der Geltung als Norm in dem durch sie individuierten Normensystem”). 25 immediatamente l’attualità di uno stato di cose concreto, e dunque non è theticocostitutiva nello stesso senso in cui lo è una norma abrogativa. Stando ad una seconda interpretazione, una regola noetico-costitutiva è condizione necessaria e sufficiente di attualità del proprio regolato. Ma questa interpretazione, inversamente rispetto alla precedente, annulla la differenza tra eidetico-costitutività e thetico-costitutività privilegiando la seconda sulla prima: il senso in cui si parla di “condizione” nel caso di una regola noetico-costitutiva così interpretata non è lo stesso in cui si parla di “condizione” nel caso di una regola eidetico-costitutiva. Qui, infatti, la regola è condizione necessaria e sufficiente del regolato in quanto, come atto performativo, lo istituisce immediatamente, ed è inoltre l’unico modo per istituirlo (essa, potremmo dire, è l’unico atto possibile in grado di istituire uno stato di cose concreto). Questa regola, tuttavia, non costituisce alcun concetto, né crea la possibilità di uno atto o fatto significante: essa non è eidetico-costitutiva nello stesso senso in cui lo è una regola del gioco.21 Secondo una terza interpretazione, una regola noetico-costitutiva è condizione necessaria di possibilità e condizione sufficiente di attualità del proprio regolato. Questa interpretazione è l’unica che non annulla la differenza tra eideticocostitutività e thetico-costitutività, in quanto ne mantiene le peculiarità concettuali e non ne privilegia una sull’altra. Una regola noetico-costitutiva in questo senso potrebbe sia essere un atto istitutivo di uno stato di cose (una regola o norma thetico-costitutiva) che contestualmente ne determini il significato (essendo così anche eidetico-costitutiva), sia una regola eidetico-costitutiva del concetto di un determinato atto o fatto significante la quale, per il fatto stesso di esistere, sia in grado di determinare concretamente la sussistenza dello stato di cose su cui essa verte. Quest’ultimo esempio ci sembra paradossale, perché, evidentemente, la regola sullo scacco matto non può istituire, anche, la sussistenza di uno scacco matto: nel caso dell’eidetico-costitutività, infatti, (lo abbiamo visto nella Sezione 2) la relazione di costituzione tra la regola e lo stato di cose su cui essa verte non è immediata, bensì mediata dal comportamento concreto dei giocatori. Diverso è il caso del primo esempio, poiché un atto istitutivo (che sia dunque regola thetico-costitutiva) di uno stato di cose concreto che contestualmente determini anche il significato di questo stato di cose (essendone dunque, anche, regola eidetico-costitutiva) sembra perfettamente possibile: si pensi al caso di una regola che dicesse “è con ciò istituito Y, il cui significato è xz”. Di una tale regola, tuttavia, diremmo che essa fa due cose differenti, secondo due distinti processi di costituzione: in primo luogo, essa crea il concetto di un determinato fatto significante Y (e dunque lo costituisce mediatamente, come tipo di fatto la cui sussistenza è condizionata ad un determinato atto istitutivo: la regola, cioè, crea il significato xz di Y); in secondo luogo, in qualità di atto, essa istituisce tale fatto Y come effettivamente sussistente (e dunque lo costituisce immediatamente). Una tale regola sarebbe effettivamente sia Che questa interpretazione del concetto di “regola noetico-costitutiva” possa sovrapporsi alla precedente è una possibilità prefigurata da Mario Jori nel seguente passo: “Il problema emerge se ci chiediamo se sia ammissibile una regola thetico-costitutiva che sia condizione non solo sufficiente ma anche necessaria, che sia cioè l’unico mezzo per ottenere il proprio oggetto. Non mi risulta che questa possibilità sia stata investigata finora in teoria della costitutività, nonostante essa rappresenti un aspetto importante di una delle sue distinzioni fondamentali, dal momento che una risposta positiva (le regole thetico-costitutive possono essere anche una condizione necessaria oltre che sufficiente) farebbe coincidere alcune istanze di una regola theticocostitutiva con alcune istanze di una congiunzione completa di regole eidetico-costitutive” (Jori 1986, 455). 21 26 thetico-costitutiva sia eidetico-costitutiva, ma lo sarebbe distintamente: essa non comporrebbe i due tipi di costitutività fornendone un unico concetto, bensì, semplicemente, li sommerebbe. In quanto tale, una tale regola potrebbe essere vista, senza alcuna difficoltà, come nient’altro che la crasi, o la somma, di un insieme di regole differenti. Ciò è quanto abbiamo visto anche nella Sezione 2.2: se si pone una equivalenza tra thetico-costitutività ed eidetico-costitutività sotto il profilo dell’oggetto costituente, rimane tuttavia tra esse una differenza sostanziale sotto il profilo del processo di costituzione. 4. Conclusioni In conclusione della nostra analisi, possiamo riassumerne i risultati teorici nelle seguenti tre tesi: (1) Ogni tentativo di porre una equivalenza tra thetico-costitutività ed eideticocostitutività fallisce o sotto il profilo del soggetto costituente, o sotto il profilo dell’oggetto costituito, o sotto il profilo del processo di costituzione. In altri termini, non è possibile una tale equivalenza sotto tutti e tre i profili contemporaneamente (Sezioni 2.1 e 2.2). (2) Il tentativo di ridurre l’eidetico-costitutività a “thetico-costitutività + definizioni stipulative di insiemi” fallisce in quanto non rende conto di alcuni aspetti essenziali del fenomeno della costitutività di concetti da parte di regole (Sezione 3.1). (3) Il tentativo di ricondurre sia la thetico-costitutività sia l’eidetico-costitutività sotto il più ampio concetto di condizione non è esplicativo, in quanto la duplicità del concetto di costitutività si ripercuote in una duplicità del concetto di condizione che dovrebbe spiegarlo (Sezione 3.2). Siamo così giunti alla nostra conclusione ipotetica, ovvero che la duplicità del costitutivo, così formulata, sia irriducibile, e che si stia qui parlando di “cose” differenti. Certamente, questa conclusione non può considerarsi dimostrata dagli argomenti sopra esposti, i quali sono vòlti semplicemente a mostrare come alcuni tentativi di ricomporre la duplicità siano in realtà problematici. Se non dimostrano detta conclusione, tali argomenti tuttavia la corroborano, ed essa rimane come ipotesi metodologica. È certo infatti che, se tale ipotesi fosse vera, continuare a parlare di cose differenti facendo ricorso ad un’unica espressione non potrebbe che produrre una continua, e ricorrente, confusione teorica. Bibliografia Austin, J. L. (1976). How to do Things with Words. 2nd Edition. Oxford: Oxford University Press. (1° ed. 1962.) Azzoni, G. (1986). Condizioni costitutive. Rivista internazionale di filosofia del diritto 63: 160–91. Azzoni, G. (1988). Il concetto di condizione nella tipologia delle regole. Padova: Cedam. Carcaterra, G. (1979). La forza costitutiva delle norme. Roma: Bulzoni. Carcaterra, G. (1974). Le norme costitutive. Milano: Giuffrè. 27 Carcaterra, G. (1985). Le regole del Circolo Pickwick. Nuova civiltà delle macchine 3: 1623. Conte, A. G. (1981). Konstitutive Regeln und Deontik. In E. S. Morscher (a cura di), Ethik. 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