Corrado Roversi - Sulla duplicità del costitutivo

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Corrado Roversi
SULLA DUPLICITÀ DEL COSTITUTIVO
1. Introduzione
Il concetto di regola, o norma, “costitutiva” ha avuto un ruolo importante nella
letteratura giusfilosofica italiana degli ultimi trent’anni: la teoria delle norme
costitutive di G. Carcaterra, da un lato, e la teoria della costitutività come condizione
formulata da A. G. Conte, dall’altro, nonché l’ampio dibattito che è seguito ad
entrambe ed è stato in più occasioni ripreso, rappresentano nel complesso un
corpus di lavoro sul tema della costitutività di regole che non teme paragoni nel
dibattito filosofico-giuridico internazionale.1 Insieme, le teorie di Carcaterra e Conte
coprono i più diversi profili di questo tema, dalla performatività degli atti giuridici
alla questione dell’ontologia sociale, passando per i problemi della inviolabilità,
analiticità e non prescrittività delle regole costitutive. Per certi versi, inoltre, queste
due teorie hanno mostrato una fruttuosa complementarietà metodologica: mentre
Conte, nel corso degli anni, ha affrontato il tema in un’ottica per lo più di filosofia
generale, formulando un vero e proprio sistema e generalizzandone i risultati,
Carcaterra lo ha sviscerato nelle sue implicazioni filosofico-giuridiche, collocandolo
fruttuosamente nel dibattito sul prescrittivismo e, più in generale, nel confronto tra
normativismo e istituzionalismo.
Il presente lavoro vuole essere un contributo a questo ampio e variegato dibattito.
La sua tesi centrale è che il fenomeno della costitutività di regole, così come esso è
stato trattato nel dibattito italiano, mostra alla propria radice una fondamentale
duplicità, e che i tentativi effettuati sia da Carcaterra sia da Conte per comporre
questa duplicità presentano aspetti problematici, tanto da far credere che una tale
composizione sia, in ultima analisi, impossibile.
La struttura del lavoro è la seguente. Nella Sezione 2, si presentano due sensi di
‘norma costitutiva’ rintracciabili nel Carcaterra di Le norme costitutive, del 1974, si
discutono le differenze e le possibili relazioni tra questi due sensi, e si tenta di
mostrare che essi non sono equivalenti. Ciò determina la duplicità del costitutivo
che dà il titolo a questo lavoro. Nella Sezione 3, vengono discussi i due principali
tentativi di comporre tale duplicità nel contesto della filosofia del diritto italiana: il
primo, operato da Carcaterra, sembra configurare una forma di riduzionismo; il
secondo, operato da Conte, è vòlto invece a ricondurre entrambi i sensi di ‘norma
I lavori di Carcaterra sulle norme costitutive (che nel seguito discuteremo nel dettaglio) sono almeno Le
norme costitutive, La forza costitutiva delle norme, e Le regole del Circolo Pickwick (rispettivamente Carcaterra 1974,
1979, 1985). Sulla teoria sistematica delle regole costitutive di Conte, invece, il lettore può partire dai tre
volumi di saggi intitolati Filosofia del linguaggio normativo (rispettivamente Conte 1995a, 1995b, 2001). Per avere
un’idea del dibattito sulle regole costitutive sviluppatosi nel contesto della filosofia del diritto italiana, si
vedano, tra gli altri, Azzoni 1986, 1988; Ferrari 1980; Filipponio 1980, Guastini 1983a, 1983b, 1986a, 1986b;
Jori 1986; Mazzarese 1985, Pollastro 1983; e, più recentemente, Lorini 2000 e Di Lucia 2003. Com’è ben
noto, l’autore di riferimento internazionale per il dibattito sulle regole costitutive è J. R. Searle, il quale a
partire dal 1964 ha sviluppato il concetto di constitutive rule in opere come How to Derive “Ought” from “Is”, Speech
Acts, e The Construction of Social Reality (rispettivamente Searle 1964, 1969, 1995).
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costitutiva’ ad un concetto più ampio, quello di condizione. In questa sezione, si
tenta di evidenziare quali siano i profili problematici di entrambi i tentativi. Nella
Sezione 4, infine, si traggono alcune conclusioni alla luce della discussione svolta.
2. La duplicità originaria del concetto di norma costitutiva
2.1.
Duplicità del concetto di norma costitutiva in Gaetano Carcaterra
Nel contesto della filosofia del diritto italiana, la discussione specifica sul tema delle
norme costitutive è stata avviata dalle due monografie di Carcaterra Le norme
costitutive, del 1974, e La forza costitutiva delle norme, del 1979. In questi due lavori,
com’è ben noto, Carcaterra svolge una raffinata critica del modello prescrittivista. La
constatazione di fondo da cui egli prende le mosse è che la tradizionale divisione, di
natura pragmatica, tra uso espressivo, dichiarativo e prescrittivo del linguaggio (una
tricotomia che faceva buon gioco ai prescrittivisti, poiché, di questi tre, l’uso
prescrittivo è certamente il più adatto a rendere conto degli aspetti linguistici delle
norme giuridiche) deve essere emendata alla luce delle considerazioni svolte da J. L.
Austin e J. R. Searle sul fenomeno della performatività degli atti linguistici.2 Per
Carcaterra, questa discussione trova nel fenomeno giuridico un terreno di
applicazione particolarmente fertile: Le norme costitutive, sostanzialmente, è un lavoro
vòlto a mostrare come una grande acquisizione teorica propria della filosofia
analitica novecentesca—l’idea che il linguaggio possa essere performativo, vale a
dire che con le parole, a condizioni date, si possano “fare cose”—non soltanto sia
perfettamente applicabile al fenomeno giuridico, ma sia anche stata confusamente
intuita da più parti (sia stata, per così dire, sempre presente) nella coscienza
filosofico-giuridica continentale, in particolare italiana e tedesca.
La performatività è appunto, secondo il Carcaterra di Le norme costitutive, una
proprietà essenziale non soltanto, nello specifico, di alcune norme giuridiche che
sono difficilmente riconducibili al modello prescrittivo (ad esempio, le norme
abrogative, o le norme attributive di poteri), ma anche, a ben vedere, di tutte le
norme giuridiche in generale, in quanto ogni norma può essere concepita come un
atto linguistico produttivo di effetti giuridici. Questa produttività di effetti all’interno
di un ordinamento giuridico, concepita in generale, è ciò che Carcaterra intende per
costitutività delle norme, ed è il motivo di fondo per cui egli giunge a proporre la
sua analisi come una teoria delle norme giuridiche che possa ambire, per portata e
completezza, ad essere alternativa al prescrittivismo. L’ambizione di esaustività
sembra dunque guidare fin dall’inizio il lavoro di Carcaterra sulle norme costitutive:
se il prescrittivismo avanzava la tesi che tutte le norme giuridiche, in quanto tali,
sono prescrizioni o sono riducibili a prescrizioni, il modello di Carcaterra era fin
dalla sua origine vòlto a mostrare come tutte le norme giuridiche, in quanto tali,
possono essere considerate costitutive di effetti giuridici. La prospettiva complessiva
è efficacemente presentata nel seguente passo:
Com’è ben noto, il lavoro classico di J. L. Austin sui performativi è How to Do Things with Words, del 1962
(Austin 1976). Searle, per parte sua, ha sviluppato le tesi del maestro in una compiuta teoria degli atti
linguistici presentata in Speech Acts, del 1969 (Searle 1969), ulteriormente sviluppata e problematizzata in
articoli come A Taxonomy of Illocutionary Acts, del 1975, e How Performatives Work, del 1989 (rispettivamente
Searle 1979, 1989) e formalizzata con l’aiuto di D. Vanderveken in Foundations of Illocutionary Logic, del 1985
(Searle e Vanderveken 1985).
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Non può sfuggire che nel verificare la presenza del fenomeno costitutivo e della sua
intuizione dalla base fino al vertice dell’ordinamento, un concetto ci ha costantemente
accompagnati: quello dell’efficacia giuridica della norma. […] Dovunque, insomma,
abbiamo incontrato norme costitutive, lì abbiamo registrato anche la loro efficacia
giuridica; anzi abbiamo notato che questa è la loro caratteristica specifica […]. Per cui
viene spontaneo rovesciare il rapporto euristico: dovunque registriamo il fenomeno
dell’efficacia giuridica, lì dobbiamo presupporre una norma costitutiva. Se si riflette, ciò
finisce per suggerire un ulteriore allargamento della portata della costitutività
nell’esperienza giuridica. Dopotutto, una norma giuridica non può mancare di avere, oltre
ad una eventuale e più o meno diretta efficacia pratica, proprio un’efficacia giuridica.
Norme che non producano alcun effetto giuridico, che non incidano su quella realtà che è
la realtà specificamente giuridica, non possono che essere norme estranee al mondo del
diritto. Ma allora, se le norme giuridiche, in quanto tali, hanno efficacia giuridica e se
l’avere efficacia giuridica è caratteristico delle norme costitutive, segue che tutte le norme
giuridiche, in quanto tali, sono costitutive: la costitutività viene ad estendersi nel diritto
tanto quanto la stessa normazione. (Carcaterra 1974, 117–8)3
La tesi è tanto originale quanto difficilmente dubitabile. Tuttavia, lo sforzo di
unitarietà e comprensività del modello, e dunque il tentativo di ricondurre la
costitutività alla semplice produzione di effetti giuridici intesi in senso lato, portano
Carcaterra a ricondurre ed includere nell’ambito della costitutività fenomeni per
molti versi differenti. Ciò può essere mostrato facendo ricorso ad alcune citazioni
tratte da Le norme costitutive. In primo luogo, si consideri il passo, ormai classico, in
cui Carcaterra fornisce una definizione esplicita di ciò che rende costitutiva una
norma:
Mentre le proposizioni prescrittive tendono a produrre un evento esercitando una
pressione sul comportamento di qualcuno, le norme di cui ci occupiamo producono
l’effetto, che è il loro scopo e il loro contenuto, realizzandolo da sé: lo costituiscono—ecco la
loro caratteristica—nel momento stesso del loro entrare in vigore. Le chiameremo perciò norme
costitutive. […] Le situazione e i fatti costituiti si producono in maniera immediata, sono
destinati ad acquistare realtà mercé un unico atto, quello (eventualmente complesso) col
quale si emana la norma, senza che occorra fare appello all’obbedienza, o alla
collaborazione esecutiva di alcuno. (Carcaterra 1974, 61)
Come si vede da questo passo, secondo Carcaterra è costitutiva una norma che
produce, nel momento stesso del suo entrare in vigore, l’effetto che ne è “lo scopo e
il contenuto”. L’esempio tipico di questo tipo di costitutività è quello delle norme
abrogative, che l’autore utilizza quali esempi tipici di norme non riconducibili al
modello prescrittivista: laddove, infatti, una prescrizione è volta a realizzare uno
stato di cose per il tramite di una precisa mediazione, vale a dire il comportamento
conforme di colui cui la prescrizione è rivolta, la norma abrogativa costituisce
immediatamente, ovvero crea senza ulteriori interventi, il proprio contenuto, vale a
Nel successivo La forza costitutiva delle norme, Carcaterra distinguerà (ed è questa una distinzione palesemente
in nuce anche nel precedente Le norme costitutive) tra una “teoria mista”, nella quale la fenomenologia delle
norme costitutive viene utilizzata per integrare il modello prescrittivista laddove esso si rivela insufficiente, ed
una “teoria unitaria”, volta a ricondurre tutto il fenomeno giuridico alla costitutività di norme (cfr. Carcaterra
1979, rispettivamente 39ss. e 71ss.). La prospettiva complessiva della “teoria unitaria” di Carcaterra è stata
ripresa da L. Ferrajoli nella sua concezione della “costitutività in senso lato o debole”, per la quale, ad
esempio, “un precetto […] è sempre costitutivo delle prescrizioni o delle regole che ne formano il significato.
La ‘precettività’ o ‘costitutività’ […] consiste precisamente nella capacità, propria di ogni precetto, di costituire
ciò che ne forma il contenuto prescrittivo: modalità o aspettative deontiche, oppure status ontici. In questo
senso lato tutti i precetti sono costitutivi, essendo tutti condizioni sufficienti per il prodursi di una o più
prescrizioni o regole. La costitutività, in questa prima accezione, è sinonimo di precettività. Essa rappresenta
[…] la specifica ‘efficacia’ degli atti giuridici precettivi” (Ferrajoli 2007, 224).
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dire la scomparsa della norma abrogata dall’ordinamento giuridico. Scrive Carcaterra
a questo proposito:
Dichiarandosi l’abrogazione dell’art. 100 Cod. pen. è certo che non si è voluta prescrivere
un’abrogazione di là da venire […]: dicendo “è abrogato” ciò che il legislatore ha inteso
ed ottenuto è stata proprio quella scomparsa immediata di norme dell’ordinamento che
sarebbe estranea alla struttura logica di una prescrizione: l’ordinamento è divenuto subito
diverso in forza della stessa disposizione abrogativa, senza bisogno di ulteriori iniziative di
chicchessia. (Carcaterra 1974, 52)
Sono dunque almeno due le proprietà di questo tipo di costitutività: (a) da un lato, il
processo di costituzione messo in atto da una norma costitutiva in questo senso è
immediato, (b) dall’altro, l’oggetto, la situazione, lo stato di cose cui la norma si
riferisce viene concretamente a sussistere nel momento in cui la norma entra in vigore.
La norma, dunque, è costitutiva nel senso che crea immediatamente uno stato di
cose nella realtà giuridica:
L’esistenza di una norma costitutiva comporta necessariamente il verificarsi della
situazione in essa prevista. (Carcaterra 1974, 103)
In un altro passo dello stesso lavoro, Carcaterra individua una terza caratteristica
rilevante di questo tipo di costitutività: (c) il soggetto della relazione di costituzione,
la norma costitutiva, costituisce in quanto è esso stesso, prima di ogni altra cosa, un
atto. Questo terzo elemento viene esplicitamente tematizzato nel contesto della
discussione dottrinale a proposito delle cosiddette “sentenze costitutive”:
Consideriamo […] l’idea, che or ora si è profilata, della sentenza costitutiva come
contestuale attività esecutiva: tale sentenza non richiede “alcun atto ulteriore
d’esecuzione”, perché, nel suo genere, è già essa un atto di esecuzione. Mentre in una sentenza
di condanna il risultato voluto, in quanto solo prescritto, attende poi di essere eseguito, in
una sentenza costitutiva il risultato voluto—la creazione, modificazione o estinzione del
rapporto giuridico dedotto in giudizio—lo produce la sentenza stessa. (Carcaterra 1974,
76; corsivo mio)
Quella appena delineata—ovvero, quella di atti immediatamente costitutivi di stati di
cose concreti—non è tuttavia l’unica fenomenologia che Carcaterra riconduce alla
categoria della costitutività. In un altro passo de Le norme costitutive in cui l’autore
illustra come il fenomeno della costitutività fosse già stato intuito nel contesto della
filosofia del diritto italiana (in particolare da Sergio Cotta e Vittorio Frosini), la
costitutività non é trattata nel senso di proprietà di un atto immediatamente
esecutivo, bensì nel senso di creazione di “forme dell’azione”. Il passo merita di
essere riportato nella sua interezza:
Concentrando l’attenzione sull’aspetto imperativo della norma, si potrebbe essere indotti
a concepire unilateralmente il diritto come mero limite all’azione umana, oscurando ciò
che lo stesso senso comune avverte, ossia il fatto che dell’azione umana il diritto
rappresenta altresì un potenziamento: se da un lato esso riduce, attraverso comandi e
divieti, le nostre scelte, dall’altro produce nuove dimensioni di vita e moltiplica perciò le
nostre possibilità operative. Tutto ciò—dice Cotta—può riassumersi nella semplice
affermazione che il diritto ha anche carattere formativo; è, secondo l’espressione di
Frosini, “forma dell’azione”: come la scienza naturale, descrivendo la “forma” degli esseri
viventi […] ci dà la misura dei loro limiti e delle loro capacità, “così pure il diritto, con le
sue norme, rapporti e istituzioni, stabilisce—in modo questa volta non più descrittivo ma
prescrittivo, costitutivo,—la “forma” giuridica dell’uomo e delle sue azioni”.
Qui la costitutività è presentata insieme alla forza prescrittiva del diritto, ma è anche
spiegata nel suo senso; la forma che il diritto imprime costitutivamente all’esperienza è
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quella, secondo Cotta, di cui parlava anche S. Tommaso sulla scorta di Aristotele: “forma
dat esse rei”, “la forma è ciò che fa essere un essere quello che è”, egli afferma, “è ciò che
individua i singoli enti e con ciò ne determina le modalità e le capacità”. Il senso di tutto il
suo discorso è perciò proprio questo: il diritto non soltanto prescrive comportamenti, ma
forma anche, è appunto “costitutivo” di, modi di essere, proprietà, relazioni degli enti
giuridici. (Carcaterra 1974, 68)
Il diritto è, in questo caso, costitutivo di “modi di essere, proprietà, relazioni degli
enti giuridici” attraverso la costruzione della loro forma giuridica o, potremmo dire,
fattispecie astratta: accade qui, cioè, che determinati comportamenti diventino forieri
di effetti in quanto dotati di una forma giuridica costituita da un sistema di norme.
Questo tipo di costitutività è vòlta ad aprire un intero spazio di nuove possibilità
prima inesistenti, una “nuova dimensione di vita” che moltiplica “le nostre
possibilità operative”: un qualsiasi gioco definito da un sistema di regole ne è un
esempio paradigmatico. A questo proposito, Carcaterra scrive:
Il paragone tra gioco e diritto è stimolante, tanto è vero che ha fatto presa su più di uno.
[…] Proprio come le mosse di due giocatori non sono meri processi fisici ma azioni che
realizzano un’unità significante nel contesto delle regole del gioco, così la vita sociale
acquista un carattere di comunità […] per il fatto che le azioni degli individui sono dotate
di un “significato”, che ad esse è parimenti conferito da un sistema di regole. Noi
potremmo perciò pensare il diritto come una sorta di “gioco sociale”. In se stessa l’idea
del carattere ludico del diritto, come di altri fatti sociali, non è del tutto nuova […]. Ciò
che è interessante è che essa si combina con l’altra idea, oggi affermatasi chiaramente,
della natura costitutiva delle regole di [un] gioco […]. Perciò, che il diritto contenga
norme di natura simile alle regole fondamentali di un gioco, e che queste siano
essenzialmente costitutive, conduce, se ne sia più o meno consapevoli, ad attribuire alla
costitutività un ruolo parimenti fondamentale nella struttura dell’ordinamento giuridico.
(Carcaterra 1974, 95–6)
In questo passo, Carcaterra insiste in modo particolare sul fatto che le norme
costitutive attribuiscono significato alle azioni, e che questo è il presupposto della
loro capacità di aprire nuovi spazi di azione e possibilità. Le norme, infatti, non sono
qui costitutive nel senso che stabiliscono immediatamente gli stati di cose, le azioni e
i comportamenti su cui esse vertono (le regole del gioco degli scacchi non
stabiliscono, evidentemente, l’esistenza di una partita a scacchi), né nel senso che
rendono possibile un insieme di comportamenti concreti (chiunque potrebbe
muovere pedine su una scacchiera anche senza sapere nulla degli scacchi) ma nel
senso che, attribuendo un determinato significato ad un tipo di comportamento,
esse rendono possibile l’azione in tal modo significante (solo a seguito delle regole
degli scacchi è infatti possibile, propriamente, fare uno scacco matto). Le proprietà
di questo tipo di costitutività sono dunque due: (a) il processo di costituzione messo
in atto da una norma costitutiva è mediato: il rapporto tra le regole del gioco degli
scacchi e ciò su cui esse vertono, vale a dire una partita a scacchi, richiede la
presenza e l’esecuzione da parte di due giocatori; (b) l’oggetto, la situazione, lo stato
di cose cui la norma si riferisce è reso possibile dalle norme, ma non viene
immediatamente a sussistere: date le norme degli scacchi, è possibile fare uno scacco
matto, ma non si dà concretamente la situazione corrispondente allo scacco matto in
una partita a scacchi. Significativamente, in un altro passo di Le norme costitutive,
Carcaterra attribuisce questo tipo di costitutività alle cosiddette “norme di struttura”,
qualificandole come “condizioni di possibilità e pensabilità” dell’ordinamento
giuridico:
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Questa accentuazione dell’importanza delle norme costitutive e di struttura si è già
profilata attraverso l’analogia con le regole dei giochi, per cui quelle si sono rivelate
basilari per i singoli sistemi giuridici. Tali norme non costituiscono soltanto particolari
entità e determinazioni all’interno di un ordinamento già formato, ma giungono a
costituire—esse nella loro totalità o comunque alcune di esse—l’ordinamento medesimo
come insieme, diventando le condizioni della sua possibilità e pensabilità, allo stesso modo che un
gioco non sarebbe possibile né pensabile se non fosse definito e stabilito dalle sue regole
costitutive. (Carcaterra 1974, 97; corsivo mio)
Questa nuova forma di costitutività, vòlta ad allargare il nostro comune spazio di
azione, intrattiene relazioni strette con il concetto di “potere giuridico”, che
Carcaterra arriva a trattare per il tramite della discussione dottrinale sui cosiddetti
“diritti potestativi”. Anche nel corso di questa discussione emerge l’aspetto di
mediazione sopra rilevato come tipico di questa forma di costitutività. Il rapporto
tra la norma costitutiva e l’effetto giuridico che essa prevede come correlativo del
potere, infatti, è qui mediato dall’esercizio effettivo di quel potere, e l’effetto
giuridico non viene immediatamente costituito dalla norma, essendone piuttosto la
produzione una possibilità che la norma mette a disposizione dei soggetti giuridici.
Tali aspetti di questo tipo di costitutività sono chiaramente intuiti da Carcaterra. Egli
scrive infatti:
Il potere, nella sua accezione più lata ma anche più essenziale, è proprio la possibilità di
produrre immediatamente modificazioni, di creare realtà giuridiche, quale ne sia la specie, in
virtù di una norma che tali modificazioni e realtà costituisca in dipendenza dal potere stesso.
(Carcaterra 1974, 82; corsivo mio nella seconda occorrenza)
Risulta chiaro da questo passo come l’aspetto costitutivo della norma sia qui
mediato dall’esercizio del potere: e risulta chiaro, parimenti, che l’atto propriamente
costitutivo dell’effetto (vale a dire il “produrre modificazioni”, o il “creare realtà
giuridiche”) non risiede nella norma ma nell’esercizio del potere. La norma
costitutiva, dunque, in questo caso non è un atto che costituisce direttamente
l’effetto giuridico, bensì è ciò che rende possibile l’atto il cui esercizio avrà tale
effetto. È questa una terza caratteristica di questo tipo di costitutività: (c) la norma
costitutiva non è qui tale in quanto è un atto, ma in quanto rende possibile un atto.
Dovrebbe risultare sufficientemente chiara, a questo punto, la duplicità originaria del
concetto di costitutivo nella teorizzazione di Carcaterra.
In un primo senso, la costitutività delle norme costitutive è il processo immediatamente
creativo di un effetto o, più in generale, di uno stato di cose concreto, che tali norme
compiono in quanto atti. Ad esempio, è costitutiva una norma abrogativa perché
essa, per il fatto stesso di entrare in vigore, appunto abroga. In questo senso, la
costitutività delle norme costitutive sembra effettivamente essere, come Carcaterra
riconosce a più riprese, un equivalente della performatività degli atti linguistici, ed in
particolare di ciò che Searle ha chiamato atti linguistici “dichiarativi” (declarative speech
acts).4 Come un atto linguistico dichiarativo, secondo Searle, se viene compiuto
correttamente e a condizioni date, determina il venire ad esistenza dello stato di cose
Sui declarative speech acts, cfr. Searle 1979, 16–20; Searle e Vanderveken 1985, 56–8. In questi lavori, Searle
classifica le declarations come casi particolari di atti linguistici. Nel successivo How Performatives Work, del 1989,
Searle ha sostenuto invece la tesi che qualsiasi tipo di espressione performativa sia un caso di declaration, e che
tali espressioni si dividono tra linguistic declarations e extra-linguistic declarations (Searle 1989, 549). Secondo P. Di
Lucia, questa nuova tesi configura un “radicale, quanto inconsapevole, ripensamento del concetto di
performatività” (Di Lucia 1997, 38).
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istituzionale che esso descrive (ad esempio, con il dire “questa nave si chiama
Giuseppina” un pubblico ufficiale attribuisce questo nome alla nave), così una norma
costitutiva, per il fatto stesso di essere stata validamente emanata ed essere entrata in
vigore, determina l’effetto giuridico che descrive come suo contenuto.5
In un secondo senso, la costitutività delle norme costitutive è il processo di creazione di
tipi (concetti o, se si vuole, fattispecie astratte) di atti e fatti aventi un determinato
significato nel contesto di una specifica pratica. Ad esempio, è costitutiva la regola
degli scacchi sul “mangiare un pezzo” perché essa crea la possibilità di un atto che,
nel corso di una partita a scacchi, ha una determinato significato e una specifica
valenza: di questo atto, essa crea il concetto. In questo senso, tuttavia, la costitutività
delle norme costitutive non è più equivalente alla performatività degli atti linguistici
dichiarativi, bensì è simile alla capacità creativa di ciò che Searle chiama regole
costitutive (constitutive rules) di quegli atti linguistici.6 Come una regola costitutiva di
un atto linguistico, per Searle, determina le condizioni di esecuzione e il fine
illocutivo (illocutionary point) tipico di quell’atto, così una norma costitutiva in questo
secondo senso, per il fatto stesso di essere stata validamente emanata ed essere
entrata in vigore, determina le condizioni di esecuzione e gli effetti tipici di atti (o le
condizioni di sussistenza e la valenza tipici di fatti) che sono resi significanti dalla
norma stessa.
Seguendo Conte, il quale (come vedremo) ha notato prima di ogni altro questa
differenza, chiameremo il primo tipo di costitutività “thetico-costitutività”, poiché
essa consiste nel porre attualmente il proprio oggetto (da cui l’espressione
“thetico”), mentre chiameremo il secondo tipo di costitutività “eideticocostitutività”, poiché essa consiste nel costituire in primo luogo un concetto (un
tipo, una fattispecie astratta) di atti o fatti, e nel rendere in tal modo possibili questi
atti o fatti in quanto significanti (proprio da questo aspetto di costitutività
concettuale discende l’espressione “eidetico”).7
Si è detto qui “descrive” ma evidentemente ciò che una dichiarazione fa, in questo senso, non è
propriamente descrivere. Nella sua forma apparentemente descrittiva, infatti, una dichiarazione determina ipso
facto la sussistenza dello stato di cose descritto. Scrive Carcaterra a questo proposito: “Descrivere è
riconoscere un oggetto o un evento come esistente indipendentemente dall’atto descrittivo stesso […]. Ora,
quando il legislatore ha detto ‘l’art. 100 del codice penale è abrogato’, non stava constatando una già avvenuta
abrogazione; quando ha stabilito che l’ordinamento italiano ‘si conforma alle norme dell’ordinamento
internazionale generalmente riconosciute’, non prendeva atto di una conformità realizzatasi di per sé; quando
ha dichiarato che la moglie ‘ha’ il domicilio del marito, non stava raccontando un fenomeno esistente per suo
conto. Tutte queste situazioni sono venute in essere non già indipendentemente dall’atto, bensì proprio in
seguito al suo porsi e alla sua forza” (Carcaterra 1974, 58; cfr. anche ibid., 122). Searle ha discusso questa
peculiare dialettica tra descrizione e creazione, che è tipica delle declarations, utilizzando il concetto di “doppia
direzione di adattamento” (double direction of fit) (cfr. ad esempio Searle 1979, 3–4, 19.
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L’equivalenza tra eidetico-costitutività e il concetto di constitutive rules in Searle deve essere qui intesa come
una equivalenza di massima: in realtà, come è stato in più occasioni mostrato, ad esempio da Conte, alcuni tipi
di constitutive rules di Searle nella forma tipica “X counts as Y in context C” non sono propriamente eideticocostitutive del termine Y: è questo, tra gli altri, il caso di ciò che Searle chiama “regole essenziali” (essential
rules) degli atti linguistici. Sulle essential rules degli atti linguistici, cfr. Searle 1969, 63. Sulla critica formale
effettuata da Conte, cfr. ad esempio Conte 1995f, 536. Anche Dolores Miller, nel suo saggio Constitutive Rules
and Essential Rules, del 1980, aveva notato questa difformità strutturale delle essential rules: cfr. Miller 1981, 187.
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7 Come il lettore delle opere di Conte noterà, della thetico-costitutività e della eidetico-costitutività utilizziamo
qui l’espressione e il concetto, ma non la definizione, in quanto quest’ultima è legata alla teoria della
costitutività come condizione formulata da Conte, una teoria che nella Sezione 3.2 discuteremo criticamente.
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2.2.
Differenze e relazioni tra i due sensi di ‘norma costitutiva’
Che il concetto di costitutivo in Le norme costitutive di Carcaterra sia effettivamente
duplice, tuttavia, non è da darsi per scontato: se infatti, da un lato, i due sensi di
‘norma costitutiva’ sono intesi a spiegare fenomenologie distinte, dall’altro, tuttavia,
queste fenomenologie presentano innegabilmente tra loro delle relazioni e
mostrano, per certi versi, alcuni tratti che parrebbero ricondurle ad unità.
Come abbiamo visto, i due sensi di ‘norma costitutiva’ individuati si differenziano
sotto tre aspetti: (a) sotto l’aspetto del soggetto costituente (ovvero, della natura di ciò
che costituisce), (b) sotto l’aspetto dell’oggetto costituito (ovvero, della natura di ciò
che viene costituito), (c) sotto l’aspetto del processo di costituzione (ovvero, della
natura del modo in cui si costituisce). Nel seguito, mostreremo come una
discussione critica possa problematizzare la duplicità e ricomporre le differenze tra i
due sensi sotto ognuno di questi tre aspetti presi singolarmente; ma cercheremo
anche di dimostrare che le suddette differenze non possono essere ricomposte sotto
tutti e tre gli aspetti contemporaneamente.
(a) Sotto l’aspetto del soggetto costituente, si è detto poco sopra che una norma
costitutiva nel primo senso (una norma thetico-costitutiva), ovvero intesa come atto
linguistico dichiarativo (declaration, nel senso di Searle), è un atto produttivo di effetti,
laddove invece una norma costitutiva nel secondo senso (una norma eideticocostitutiva), ovvero come constitutive rule nel senso di Searle, è piuttosto una regola
che rende possibile tali atti produttivi di effetti, costruendone il concetto. Sotto
questo specifico profilo, tuttavia, la differenza è facilmente componibile, poiché è
perfettamente possibile (ed anzi, particolarmente nel contesto giuridico, avviene
comunemente) che la regola costitutiva di fattispecie di atti o fatti giuridicamente
rilevanti (una regola che è eidetico-costitutiva) sia a sua volta una norma, ovvero, se
concepita à la Carcaterra, un atto che produce effetti nel sistema giuridico (e dunque
sia thetico-costitutiva).
Ciò può essere mostrato con riferimento all’esempio delle norme abrogative. É
certamente possibile sostenere che atti immediatamente produttivi di effetti quali
sono le norme abrogative (che sarebbero norme thetico-costitutive, ovvero atti
linguistici dichiarativi) presuppongono regole costitutive che rendano possibile il
processo di abrogazione delle norme (che sarebbero norme eidetico-costitutive,
ovvero constitutive rules nel senso di Searle). In altri termini, una norma abrogativa A
(nella forma ‘la legge x è abrogata’) non conferisce senso al termine ‘abrogare’ o
‘abrogazione.’ L’abrogare ha già specifiche condizioni, ed un suo senso, posto da
un’altra norma B (nella forma ‘le leggi si abrogano nei seguenti modi e circostanze:
T, U, V, Z’) che la norma A presuppone al fine di abrogare. Come scrive Mario Jori,
solo quando uno degli specifici modi di abrogazione posti da [B] sia la venuta in esistenza
(?) di una regola, cioè l’esistenza della norma abrogativa individuale e concreta [A], questa
si rivela regola e regola costitutiva, condizione non necessaria ma sufficiente [...]
all’immediato venire in essere di ciò su cui presumibilmente verte, l’abrogazione. (Jori
1986, 458)
Nulla impedisce, tuttavia, di concepire anche queste norme costitutive (eideticocostitutive) dell’atto di abrogazione come atti linguistici immediatamente produttivi
di effetti nel sistema giuridico (e dunque thetico-costitutive): se viste in questa
prospettiva, le norme thetico-costitutive e le norme eidetico-costitutive non si
8
differenzierebbero sotto il profilo del soggetto costituente, in quanto sarebbero
entrambe atti. Ovviamente, si porrebbe a questo punto il problema se sia necessaria
una norma, di grado superiore, a sua volta eidetico-costitutiva dell’atto di
legiferazione che permette di costituire, tra le altre cose, l’atto di abrogazione; questo
riproduce in altri termini il noto problema del regresso della validità all’interno del
sistema giuridico, un regresso che porta infine alla domanda: esiste un atto di
legiferazione originario non costituito da alcuna norma, o piuttosto esiste una norma
costitutiva dell’atto di legiferazione costituente la quale non è a sua volta un atto
costituito, ma, ad esempio, una regola inscritta in una pratica pre-giuridica? Che cosa
sta all’origine del sistema giuridico, una norma thetico-costitutiva che lo pone senza
che la possibilità di questo atto di posizione sia costituita da un’altra norma del
sistema, o piuttosto una norma eidetico-costitutiva che non è un atto, ma che deriva
da una pratica pre-esistente? Certo è che, se si concepisce una regola eideticocostitutiva come un atto, si apre il problema della regola che costituisce la possibilità
di questo atto eidetico-costitutivo, una sorta di meta-regola eidetico-costitutiva, e ciò
apre al suddetto regresso. Ovviamente, non è possibile affrontare una questione di
tale portata teorica in questa sede, ma è evidente che la sua problematicità è il
derivato teorico del tentativo di comporre la duplicità del concetto di costitutività
sotto il profilo del soggetto costituente: se, infatti, il concetto di un atto è costituito
da una regola, e se una regola costitutiva è sempre a sua volta un atto, come è
possibile evitare un “regresso della costitutività”?
(b) Quand’anche si volessero concepire sia le norme thetico-costitutive sia le norme
eidetico-costitutive come atti immediatamente produttivi di effetti, superando così la
duplicità del concetto di norma costitutiva sotto il profilo del soggetto costituente, si
aprirebbe tuttavia una divaricazione netta sotto il profilo dell’oggetto costituito.
Laddove, infatti, le norme thetico-costitutive stabiliscono immediatamente il
sussistere di uno stato di cose concreto (poiché questo è il loro fine illocutivo in
quanto declarations), le norme eidetico-costitutive creano piuttosto il concetto (il tipo,
la fattispecie astratta) di atti o fatti dotati di significato. La differenza salta agli occhi
sviluppando ulteriormente l’esempio delle norme abrogative: mentre una norma
abrogativa crea il proprio contenuto (l’abrogazione di una norma) come uno stato di
cose concreto (una fattispecie concreta) immediatamente sussistente, una eventuale
norma costitutiva dell’atto di abrogazione non determinerebbe l’immediata
sussistenza del proprio contenuto (un concreto atto di abrogazione), ma, per così
dire, ne costituirebbe il concetto (la fattispecie astratta): in altri termini, non la
sussistenza immediata e concreta dell’atto, ma la sua possibilità in quanto atto dotato
di significato.
Si potrebbe obiettare a questo argomento che una tale distinzione tende a
nascondere l’unitarietà al fondo di fenomeni soltanto apparentemente dissimili:
dopotutto, sia nel caso di una norma abrogativa (thetico-costitutiva) sia nel caso di
una norma (eidetico-costitutiva) che renda possibile l’atto di abrogazione si
producono “oggetti” riconducibili ad una radice comune, in quanto tutti in ogni
caso concepibili come modificazioni del sistema giuridico, ovvero come effetti
giuridici in senso lato. A ciò si riconduce, ad esempio, la “prospettiva monista” della
teoria di Carcaterra, quando egli, come abbiamo visto, vuole riconoscere nella
costitutività il tratto essenziale della giuridicità di una norma in quanto costitutiva di
effetti giuridici. L’ispirazione unitaria di questa teoria è chiara: sia le norme thetico9
costitutive, che stabiliscono attualmente uno stato di cose concreto nella realtà
giuridica, sia le norme eidetico-costitutive, che costruiscono il concetto (la fattispecie
astratta) di atti o fatti giuridicamente significanti, sono in questa prospettiva
costitutive nello stesso senso, in quanto sono tutte costitutive di effetti nell’ambito del
sistema giuridico. A ciò, tuttavia, si può obiettare che l’espressione ‘modificazione del
sistema giuridico’ o ‘effetto giuridico’, così utilizzata, non fa altro che ricondurre ad
unità fenomeni differenti da un punto di vista categoriale. Vale la pena notare che
questa differenza categoriale è in un certo senso complementare: laddove, infatti, si
tenta si sottrarsi ad essa per un verso, non si riesce ad evitarla per l’altro. Si è detto,
infatti, che le norme thetico-costitutive costituiscono attualmente uno stato di cose
concreto, mentre le norme eidetico-costitutive creano concetti, vale a dire tipi astratti
(o fattispecie astratte) di atti o fatti dotati di significato giuridico: e questo è un
primo tipo di differenza categoriale. Se anche, tuttavia, si volesse riconoscere
l’oggetto sia delle norme thetico-costitutive sia delle norme eidetico-costitutive in
uno stato di cose concreto, ignorando questo primo tipo di differenza categoriale (se
si dicesse, per esempio, che sia una norma abrogativa sia una norma eideticocostitutiva dell’atto di abrogazione costituiscono entrambe, in un certo senso, la
stessa cosa, vale a dire l’abrogazione di una norma), allora una norma theticocostitutiva (nel nostro esempio, la norma propriamente abrogativa) stabilirebbe
l’attuale sussistenza di questo stato di cose concreto, mentre una norma eideticocostitutiva (nel nostro esempio, la norma costitutiva dell’atto di abrogazione) ne
stabilirebbe la possibilità di sussistenza, ovvero la sussistenza a seguito di un atto
eseguito a determinate condizioni: ci troveremmo costretti a riconoscere, dunque,
che siamo in ogni caso di fronte ad una differenza categoriale, soltanto di un tipo
diverso rispetto alla precedente.
(c) Se anche, infine, volessimo ignorare entrambi i tipi di differenza categoriale tra i
due sensi di ‘norma costitutiva’ sotto il profilo dell’oggetto costituito, e insistere sulla
loro unitarietà, non potremmo non incorrere in una divaricazione netta sotto il
profilo del processo di costituzione. Come abbiamo visto, lo stesso Carcaterra
riconosce, nel contesto della teoria unitaria della costitutività da lui proposta in Le
norme costitutive, che sussiste a volte una differenza nel processo di costituzione da
parte di norme: in alcuni casi, infatti, la norma costitutiva ottiene il suo effetto
immediatamente, mentre in altri lo ottiene soltanto a condizione dell’esecuzione di
determinati atti, e dunque in modo mediato. Questa distinzione, significativamente,
si può evincere anche dalla sua definizione complessiva del fenomeno della
costitutività di norme:
La costitutività […] è venuta a raccogliere sotto di sé tutte le norme con le quali si tende a
produrre in forza e in dipendenza della posizione delle norme stesse, pur se talora in modo
condizionato, una trasformazione di parti ed aspetti più o meno larghi, più o meno rilevanti,
della realtà del mondo giuridico […]. (Carcaterra 1974, 96–7; corsivo mio)8
Vale la pena notare che questa concezione unitaria della costitutività, per la quale il criterio di distinzione
risiede nella immediatezza della produzione dell’oggetto costituito, è stata ripresa da Ferrajoli con la sua teoria
delle regole (o norme) tetico-costitutive vs. regole (o norme) ipotetico-costitutive. Secondo Ferrajoli, infatti, “le
regole tetico-costitutive sono quelle che consistono immediatamente in status”, mentre “le regole ipoteticocostitutive sono le regole che pre-costituiscono status destinati ad essere costituiti dagli atti da esse ipotizzati”
(Ferrajoli 2007, 238; cfr. anche 426). La distinzione tra regole tetico-costitutive e regole ipotetico-costitutive
non è equivalente alla distinzione tra regole thetico-costitutive e regole eidetico-costitutive: per Ferrajoli,
infatti, le regole eidetico-costitutive del gioco degli scacchi che attribuiscono ai vari pezzi lo status di re,
8
10
Si noti, qui, l’espressione ‘pur se talvolta in modo condizionato’, e si riconsideri
l’esempio della norma abrogativa e della norma eidetico-costitutiva dell’atto di
abrogazione. Se vogliamo concepire sia la specifica norma abrogativa (che è norma
thetico-costitutiva) sia la norma che crea la possibilità stessa dell’atto di abrogazione
(che è norma eidetico-costitutiva) come entrambe costitutive della stessa cosa, vale a
dire, nel nostro esempio, dell’abrogazione di una norma, allora dovremo riconoscere
che la prima ottiene l’effetto in modo immediato, poiché lo crea nel momento stesso
della propria entrata in vigore, mentre la seconda lo ottiene in modo mediato, poiché
ottiene tale effetto soltanto per il tramite dell’esercizio effettivo dell’atto da essa
costituito. Una tale differenza riguarda appunto il processo di costituzione, ed è
inevitabile se insistiamo nel voler unificare i due sensi di ‘norma costitutiva’ sotto il
profilo dell’oggetto costituito. Laddove, invece, la nostra intenzione sia quella di
ricondurre ad unità questi due sensi sotto il profilo del processo di costituzione,
notando ad esempio che sia le norme thetico-costitutive sia le norme eideticocostitutive possono essere entrambe interpretate come immediatamente costitutive di
qualcosa (l’abrogazione di una norma nel primo caso, il concetto dell’atto di
abrogazione come atto giuridicamente significante nel secondo), la divaricazione si
riapre sotto il profilo dell’oggetto di costituzione, data la già notata, e duplice,
differenza categoriale tra gli effetti immediati dei due tipi di norme costitutive così
concepiti.
Il risultato di questa analisi sembra essere, dunque, che il concetto di norma
costitutiva originariamente utilizzato da Carcaterra in Le norme costitutive sia, nella
sostanza, un concetto dialettico: laddove si tenta di ricondurlo ad unità, infatti, esso
mostra le proprie interne divaricazioni, gli aspetti di irriducibilità della
fenomenologia che intende spiegare; laddove invece, per altro verso, se ne mette in
luce la duplicità, esso svela insospettate relazioni e profili di omogeneità. La duplicità
tuttavia sussiste, e, come si è cercato di dimostrare, non è facile ricomporla in sede
teorica.
Nella prossima sezione, esamineremo i due principali tentativi di ricomposizione
della duplicità del costitutivo effettuati nel contesto della filosofia del diritto italiana,
il primo da parte dello stesso Carcaterra, il secondo da parte di Conte. Per entrambi
questi tentativi, cercheremo di mostrare come la duplicità originaria nel concetto di
norma costitutiva resista alla composizione proposta, tanto da sollevare il legittimo
sospetto che essa sia, in ultima analisi, irriducibile.
3. Due tentativi di comporre la duplicità
3.1.
Norme costitutive e definizioni stipulative in Carcaterra
Negli scritti successivi a Le norme costitutive, e in particolare in La forza costitutiva delle
norme, del 1979, Carcaterra chiarì estesamente come il senso di ‘norma costitutiva’ da
lui privilegiato fosse in realtà quello di atto immediatamente produttivo di effetti
concreti, vale a dire di norma thetico-costitutiva come atto performativo. A ciò si
regina, etc. sono tetico-costitutive, mentre le regole eidetico-costitutive del gioco degli scacchi che
costituiscono il concetto di determinati stati di cose come condizionati da altri (ad esempio, la regola eideticocostitutiva dello scacco matto, che costituisce lo scacco matto come stato di cose condizionato dallo scacco)
sono ipotetico-costitutive (cfr. Ferrajoli 2007, 234, 239).
11
devono alcuni contenuti specifici di questo lavoro del 1979, come l’elaborata analisi
della teoria dei performativi in J. L. Austin e della teoria degli imperativi
performativi (performatory imperatives) di K. Olivecrona, l’accostamento tra il concetto
austiniano di “infelicità” (infelicity) degli atti linguistici e l’invalidità degli atti giuridici,
l’analisi del discorso giuridico “dispositivo” come caso particolare di discorso
performativo (fino a coniare l’espressione ‘performativi dispositivi, statutori o
costitutivi’), lo stesso utilizzo dell’espressione ‘struttura performativo-costitutiva
delle norme’, nonché la riconduzione, effettuata in polemica con il prescrittivismo,
dell’attività di normazione in forma apparentemente imperativa alla costitutività nel
senso di immediata produzione di effetti nel sistema giuridico.9 A ciò si deve, infine,
l’identificazione della forma standard di una norma costitutiva con la forma standard
di un performativo à la Austin. A proposito di questa identificazione, Carcaterra
scrive:
I performativi costitutivi, intesi nel senso che si è suggerito, possono venir resi in formule
esplicite […]: “(con il presente atto, con la presente norma) io dispongo (stabilisco)—noi
disponiamo (stabiliamo)—l’autorità A dispone (stabilisce)—che…”, e, soprattutto, […]
“(con il presente atto, con la presente norma) si dispone (si stabilisce) che…”, formula
che, per la sua impersonalità, evidentemente si presta a rappresentarle tutte. La
sceglieremo, quindi, come forma standard (anche, talvolta, semplificandone il tenore). […]
Si può dire che [la forma standard] è la struttura che è sempre (almeno) implicita in ogni
norma giuridica operativa. La teoria della norma deve portare allo scoperto questa
struttura, scrostare le apparenze verbali e il significato superficiale, per ritrovare
l’autenticità dell’atto, quello che si dice significato profondo; e con ciò la teoria della
norma assolve (continua ad assolvere) un compito che è eminentemente ermeneutico e
non già astrattamente logico formale. (Carcaterra 1979, 63–4)
Senza dubbio, dunque, il senso di ‘norma costitutiva’ privilegiato da Carcaterra in La
forza costitutiva delle norme è quello di thetico-costitutività, vale a dire costitutività
immediata di effetti da parte di atti, piuttosto che quello di eidetico-costitutività
intesa come creazione di nuovi campi di attività significante attraverso la
costituzione di concetti. Tuttavia, sebbene Le norme costitutive sia un lavoro meno
focalizzato sulla thetico-costitutività rispetto a La forza costitutiva delle norme, la
duplicità che abbiamo là riscontrato riemerge in qualche luogo anche in questo
secondo lavoro. Ciò che sembra significativo, però, è che in questo caso l’eideticocostitutività viene presentata sotto una nuova veste, funzionale ad una nuova
prospettiva teorica che pare vòlta a comporre la duplicità in senso riduzionista. Si
consideri il seguente passo di La forza costitutiva delle norme:
È noto che una mera classe, o aggregato sociale, è semplicemente un insieme di individui
che hanno qualche proprietà comune […]. Un gruppo è qualcosa di più: è un insieme di
individui che hanno qualche proprietà comune, e oltre a ciò sanno di averla in comune e
la giudicano, sotto un aspetto o l’altro, importante, e perciò sono predisposti ad interagire
tra di loro. L’elemento comune, sussistendo queste condizioni, diventa il principio
costitutivo, definitorio, del gruppo. Esso può anche essere una certa concezione della vita e
delle relazioni del gruppo stesso. Il sistema giuridico è un tale elemento: è il principio che
definisce una comunità giuridica, e induce predisposizioni psicologiche all’interazione.
(Carcaterra 1979, 85; corsivo mio nella prima e seconda occorrenza)
Su Austin e Olivecrona, cfr. rispettivamente Carcaterra 1979, 19 ss. e 34 ss. (l’accostamento tra infelicity dei
performativi e validità giuridica di atti è a p. 25); sull’analisi del discorso giuridico dispositivo, cfr. Carcaterra
1979, 59–69 (l’espressione ‘performativi dispositivi, statutori o costitutivi’ è a p. 61; l’espressione ‘struttura
performativo-costitutiva’ delle norme è a p. 64); sulla riconduzione dell’imperatività della norma alla
costitutività così intesa, cfr. in particolare Carcaterra 1979, 92.
9
12
Evidentemente, il senso in cui si parla qui di costitutività non è quello di immediata
performatività, esecutività, o operatività di un atto. L’idea di costitutività che sembra
riemergere in questo passo, infatti, è quella della attribuzione di un nuovo senso—
un senso giuridico di comunità—a qualcosa che in precedenza non era tale (un
“gruppo” che, per quanto precedentemente esistente, non aveva il significato di
“comunità giuridica”).
Se tuttavia si riflette sul giro di parole utilizzato in questo passo—e in particolare
sull’espressione ‘il principio costitutivo, definitorio, del gruppo’—emerge un
elemento nuovo che sembra suggerire una strategia riduzionista. L’idea di fondo
parrebbe essere, in questa prospettiva, che ‘costitutivo’ nel senso di eideticocostitutivo sia sinonimo di ‘definitorio’, e dunque che gli aspetti di attribuzione di
significato di una norma o regola eidetico-costitutiva non siano propriamente
dissimili da quelli tipici di una definizione stipulativa. Né Carcaterra sarebbe il solo a
sostenere una tale prospettiva: la tesi per cui le norme o regole eidetico-costitutive (e
in particolare le constitutive rules di Searle) non siano altro che definizioni stipulative è
stata, infatti, più volte sostenuta.10 L’esempio delle regole del gioco degli scacchi, e
particolarmente della regola sullo scacco matto che è esempio paradigmatico di
regola eidetico-costitutiva, aiuta a chiarire la tesi. Questa regola, ‘la situazione di
gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di
scacco matto nel gioco degli scacchi’, viene in questa prospettiva interpretata come
nient’altro che una definizione stipulativa di ‘scacco matto’, ovvero come
sostanzialmente equivalente ad una stipulazione nella forma ‘l’espressione ‘scacco
matto’ significa ‘la situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco con
nessuna mossa’’.
Nel contesto del lavoro di Carcaterra, questa tesi riduzionista è sviluppata
nell’articolo Le regole del circolo Pickwick, del 1985. In questo lavoro, Carcaterra
sistematizza la sua concezione del costitutivo interpretando le norme giuridiche
come atti dotati di forza costitutiva (dunque norme thetico-costitutive), ovvero atti
performativi di tipo dispositivo che hanno l’effetto immediato di stabilire ciò su cui
esse vertono. Nel contesto di questa concezione complessiva della costitutività,
tuttavia, Carcaterra parla anche di una “definizione costitutiva originaria” la quale
costituisce il concetto di un ordinamento giuridico: questa regola non farebbe altro che
definire l’ordinamento non diversamente da come si definisce un insieme tramite
definizioni stipulative. Dunque, la strategia complessiva per ridurre ad unum la
duplicità del costitutivo è in due fasi: da un lato, considerare la thetico-costitutività
come fenomeno originario, l’unico aspetto genuino del costitutivo, dall’altro,
ricondurre alle proprietà di una semplice definizione stipulativa quanto, dell’eideticocostitutività, non sia riconducibile all’unico senso genuino.11 In Le regole del Circolo
10 Per esempio da R. Guastini: cfr. Guastini 1983a, 167–8. Guastini ha però notato che solo determinati tipi di
regole eidetico-costitutive possono essere ridotte a definizioni stipulative: su questo cfr. ibid., 168; Guastini
1986b, 263. Non entreremo qui nei dettagli di questo argomento, estremamente rilevante per la teoria delle
regole costitutive, perché esso ci porterebbe troppo lontano. L’idea, tuttavia, che non tutto il fenomeno della
costitutività delle regole del gioco sia riducibile a definizioni stipulative avrà un ruolo fondamentale nel nostro
argomento per confutare il riduzionismo di Carcaterra.
Ciò avviene—è doveroso notarlo—a dispetto delle stesse intenzioni di Carcaterra, il quale, nel definire la
concezione di costitutività presupposta nell’articolo, dice esplicitamente “non mi occupo invece delle norme
eidetico-costitutive e di altre di cui A. G. Conte ha mostrato i caratteri differenziali” (Carcaterra 1985, 18). E
11
13
Pickwick, il processo espositivo per ottenere questo risultato è piuttosto complesso:
nel seguito, lo analizzeremo in quattro punti.
(a) Si asserisce la thetico-costitutività come unico aspetto della costitutività. In Le regole del circolo
Pickwick, la definizione di ‘norma costitutiva’ come atto performativo che statuisce
immediatamente uno stato di cose concreto, dunque soltanto nel senso di norma
thetico-costitutiva, è assolutamente esplicita:
Poniamo che Pickwick abbia istituito il CP [il Circolo Pickwick, l’esempio fittizio addotto
dall’autore] il 1° gennaio 1820. Può darsi che il giorno prima Smiggers avesse suggerito:
“Tupman dovrebbe essere membro del CP”. Questo era un enunciato prescrittivo de jure
condendo. Il 2 gennaio Smiggers apprese quella che era stata la decisione di Pickwick e
potrebbe aver constatato: “Tupman è membro del CP”. Questo era un enunciato
descrittivo de jure condito. Ma il legislatore non può parlare né prescrittivamente de jure
condendo né descrittivamente de jure condito: quando Pickwick il 1° gennaio disse “Tupman è
membro del CP” deve aver usato l’enunciato in un terzo senso, in un senso costitutivo,
appunto, di ciò che il giorno prima si poteva solo prescrivere e il giorno dopo solo
descrivere—lo ha usato jus condens. (Carcaterra 1985, 18)
Questa thetico-costitutività (il fatto di porre performativamente il proprio oggetto)
è, secondo Carcaterra, una caratteristica generalizzabile a tutte le norme giuridiche.
Dal suo punto di vista (ed è questo un argomento che egli riprende da La forza
costitutiva delle norme), anche in una ricostruzione prescrittivista dell’ordinamento
giuridico il ruolo delle regole costitutive (thetico-costitutive, aggiungiamo noi) è in
ogni caso fondamentale, perché l’esistenza di prescrizioni nell’ordinamento
presuppone necessariamente atti normativi di natura (thetico-)costitutiva che sono
l’espressione di una “volontà negoziale, ossia la volontà che quel comportamento
risulti prescritto nell’ordinamento”:
L’elemento caratterizzante dell’atto normativo privato o pubblico […] è questo volere che
una prescrizione diventi valida o parte dell’ordinamento normativo. E non un volere de
jure condendo, come potrebbe essere quello di chi sollecitasse il legislatore a introdurre nel
codice una certa prescrizione, bensì la volontà del legislatore stesso, che non è de jure
condendo o de jure condito ma è jus condens […] e perciò nel suo intento immediatamente
costitutiva dell’appartenenza all’ordinamento della prescrizione di cui si tratta. L’atto
normativo che imponga un obbligo giuridico non ha né il senso di una mera e diretta
prescrizione […] né il senso di una valutazione etico-giuridica […] ma il senso specifico di
un atto dispositivo dell’effetto dichiarato. […] Non si tratta di una semplice prescrizione
ma della disposizione di validità di una prescrizione. (Carcaterra 1985, 19)
La thetico-costitutività dell’atto di normazione, dunque, per Carcaterra è comunque
e in ogni caso il fenomeno giuridico fondamentale, anche laddove il teorico tenti
una ricostruzione normativistico-prescrittivistica dell’ordinamento:
In una completa e adeguata ricostruzione normativistica sia il contenuto sia il sostegno
[…] dell’ordinamento è fatto di prescrizioni, ma i singoli atti di produzione normativa (le
deliberazioni dell’Assemblea) e la stessa definizione fondamentale e originaria devono
essere pensati di natura costitutiva. (Carcaterra 1985, 20)
(b) Si riscontra nuovamente il fenomeno dell’eidetico-costitutività. Si faccia tuttavia attenzione
al passo ora citato. Cosa intende qui Carcaterra per “definizione fondamentale e
originaria” dell’ordinamento? Il lettore ricorderà il passo di La forza costitutiva delle
norme, citato poco sopra, in cui Carcaterra parla di “principio costitutivo e
tuttavia, come vedremo, sembra evidente che in questo lavoro è proprio l’aspetto della eidetico-costitutività
quello che egli riconduce a mere definizioni stipulative.
14
definitorio” di una comunità giuridica, e, ancora prima, il passo di Le norme costitutive
in cui si parla di norme di struttura come “condizioni di pensabilità”
dell’ordinamento. Come si vede, lo stesso concetto è introdotto in Le regole del Circolo
Pickwick a monte dell’ordinamento giuridico, nella forma di una “definizione
fondamentale” che Carcaterra qualifica come “principio di individuazione e di
strutturazione” dell’ordinamento stesso. Di questa “definizione fondamentale”
dell’ordinamento, Carcaterra fornisce due varianti, una come “definizione
normativistica” (DN) ed una come “definizione istituzionalistica” (DI):
(DN) a) l’ordinamento normativo del CP è in ciascun momento l’insieme delle
prescrizioni (esplicite e implicite) che l’Assemblea abbia disposto appartengano all’ (siano
valide nell’) ordinamento stesso e non abbia abrogate; b) queste prescrizioni devono essere
osservate dai membri del CP […]. (Carcaterra 1985, 20)
(DI) l’ordinamento sociale del CP è, in ciascun momento, l’insieme composto da P, S, T e
da coloro che siano stati dichiarati membri dell’Assemblea, sempre che non ne siano stati
espulsi per aver ripetutamente rifiutato di tenere un comportamento dichiarato
obbligatorio dall’Assemblea stessa e la cui obbligatorietà non sia stata da questa abrogata.
(Carcaterra 1985, 21)
Quale che sia la definizione dell’ordinamento che intendiamo adottare, secondo
Carcaterra essa fornisce il concetto dell’ordinamento, vale a dire il principio costitutivo
che lo muove e che ne fornisce il senso. Di più: dal suo punto di vista, questo
concetto dell’ordinamento costituito dalla definizione fondamentale fornisce anche
il concetto del diritto vigente in una determinata comunità. Egli scrive ad esempio:
L’Assemblea non semplicemente prescrive ma intende far sì che la prescrizione entri
nell’ordinamento normativo, non semplicemente nomina qualcuno ma intende far sì che
questo entri nell’ordinamento sociale del Circolo: perciò non solo la definizione
dell’ordinamento normativo e dell’ordinamento sociale contempla l’Assemblea, ma anche
viceversa l’Assemblea agisce tenendo presente questa definizione e usando come criterio
le condizioni in cui essa si articola e secondo le quali una prescrizione o una persona
appartiene all’uno o all’altro ordinamento se così dispone l’Assemblea stessa. L’azione di
questa non è solo conforme all’idea dell’ordinamento ma ne è guidata. La intenzionalità
delle pronunce costitutive dell’Assemblea implica la comune presenza nei suoi atti del
concetto del diritto: il concetto del diritto, del particolare diritto entro il quale si opera, è parte
integrante della realizzazione del diritto stesso, e questa sua consaputa presenza
nell’insieme dei soggetti che lo attuano rende l’insieme un gruppo sociale, una comunità.
(Carcaterra 1985, 24–5; corsivo mio)
E ancora:
In tutti i casi la definizione costitutiva dell’ordinamento rappresenta una costante.
Comprendere un diritto significa sapere che cosa esso è, sapere che cosa è significa
possederne la definizione. (Carcaterra 1985, 25)
Anche prescindendo dall’utilizzo del termine ‘concetto’, e prescindendo altresì
dall’evidente parallelismo con il citato passo di La forza costitutiva delle norme in cui egli
parla di definizione di una comunità giuridica, il fatto che Carcaterra stia qui
parlando del concetto di eidetico-costitutività risulta immediatamente evidente.
Questa “definizione originaria” dell’ordinamento, infatti, presenta tutti i tratti della
regola eidetico-costitutiva dello scacco matto che dispone quale situazione di gioco
rientri nell’ambito dello scacco matto e quale no; anche questa regola “guida
l’azione”, ovvero l’azione dei giocatori di scacchi che tentano di fare scacco matto
all’avversario; anch’essa costituisce un concetto, vale a dire il concetto scacchistico
di scacco matto, ed anzi si potrebbe dire (lo abbiamo visto) che è proprio questa la
15
sua peculiarità. La “definizione originaria” di Carcaterra vuole, dunque, essere
creativa di un concetto, attribuire significato ad atti nei quali tale concetto è
“comunemente presente”, e con ciò realizzare un “gruppo sociale”, una “comunità”
(potremmo dire anche: una pratica, come è una pratica il giocare a scacchi) in tal
modo significante. Ciò è quanto fanno precisamente le regole eidetico-costitutive,
sia sotto il profilo dell’oggetto (esse creano concetti e in ciò attribuiscono significati)
sia sotto il profilo del processo (esse rendono possibili attività significanti).
(c) Si riconducono alcuni aspetti della costitutività della definizione originaria alla theticocostitutività. Effettivamente, Carcaterra chiama la sua “definizione originaria”
dell’ordinamento “definizione costitutiva”: ciò, tuttavia, non deve indurre in errore,
poiché la costitutività che egli attribuisce a tale definizione non è l’eideticocostitutività del concetto dell’ordinamento, bensì la thetico-costitutività del fatto
giuridico ad esso corrispondente, ovvero l’atto creativo e performativo che statuisce
un nuovo “prodotto culturale” dal nulla. In questo senso, la costitutività propria
della “definizione costitutiva originaria”, secondo Carcaterra, non è altro che una
forma di statuizione, espressa peraltro esplicitamente mediante l’uso del verbo
all’indicativo seguito da asterisco:
Mediante DN e DI il diritto oggettivo viene ricostruito come ordinamento normativo e
come ordinamento sociale, e in entrambi i casi la ricostruzione prende la forma generale:
il tale diritto è* (sia*) l’insieme così e così. Definizione costitutiva, dunque, e più
specificamente definizione costitutiva di un insieme. […] DN e DI corrispondono a quel
principio di individuazione e di strutturazione che, anche se tacito, è immanente in ogni
prodotto culturale ed esprime il suo concepimento creativo. Se il diritto è opera umana,
DN e DI ricapitolano e rappresentano in una enunciazione questa attività creativa di un
ordinamento, imputabile a uno o a molti fondatori, balenante nell’escogitazione di un
attimo o maturata attraverso un lento ed oscuro lavoro di formazione. (Carcaterra 1985,
22)
La definizione è dunque, in primo luogo, un atto performativo che stabilisce un
nuovo “prodotto culturale”, è sempre “attività creativa” e dunque norma theticocostitutiva. A questo proposito, osserveremo quanto segue. Che una norma, o
regola, eidetico-costitutiva sia concepibile anche come performativo, vale a dire
come immediatamente creativa di qualcosa, è certamente ammissibile (lo abbiamo
visto), poiché il suo fine illocutivo è effettivamente la creazione immediata di un
concetto (una fattispecie astratta, un tipo di atto o fatto significante). Che, però, da
ciò si possa dedurre la ricomposizione della duplicità tra thetico-costitutività ed
eidetico-costitutività, o la riduzione della seconda alla prima, ci sembra falso (anche
questo lo abbiamo visto), poiché l’oggetto della costituzione è nei due casi
categorialmente differente (uno stato di cose concreto e attuale nel primo caso, il
concetto astratto di atti o fatti significanti, o anche la possibilità di tali atti o fatti, nel
secondo). Vi sono aspetti rilevanti del concetto di eidetico-costitutività che non
sono riconducibili esclusivamente alla thetico-costitutività: di questo Carcaterra
sembra avvedersi, e proprio per rendere conto di questi aspetti egli utilizza il
concetto di definizione.
(d) Si riconducono gli aspetti “eidetici” della definizione originaria al concetto di definizione
stipulativa di un insieme. Carcaterra caratterizza la sua “definizione costitutiva
originaria” come definizione di un insieme. Ciò, dal suo punto di vista, ha il
vantaggio di ricondurre a nozioni note gli aspetti ontologicamente ed
epistemologicamente più misteriosi della nozione di costitutività:
16
“Il tale diritto è* (sia*) un insieme così e così” è inoltre una definizione costitutiva di un
insieme: un ordinamento è un contesto—normativo, sociale—e un contesto ha l’intima
struttura di un insieme. Questo fatto spiega anche come siano possibili e come
funzionino le definizioni e le norme costitutive in genere. Le norme costitutive operano
come una sorta di fiat […] e questa sembra una virtù misteriosa e inquietante. Alcuni
critici scettici che vogliono tenersi alla larga dalla magia e dalla metafisica, sospettano l’una
cosa, nell’atto, o l’altra, nel prodotto di siffatte norme. Ma il caso Pickwick sembra
tranquillizzante. Dopotutto questo brav’uomo altro non ha fatto, come mostrano
appunto DN e DI, che dar vita mediante definizioni a qualcuna di quelle innocue creature
che sono gli ordinari insiemi, con i quali da tempo permettiamo che sin dalla scuola
elementare si divertano senza pericolo e istruttivamente i nostri figli. (Carcaterra 1985, 22)
Secondo Carcaterra, questa riconduzione della “definizione costitutiva originaria” a
semplice definizione stipulativa di un insieme è sufficiente per fornire quel concetto
dell’ordinamento che, dal suo punto di vista, dovrebbe guidare l’azione sociale dei
membri di una comunità giuridica. Riportiamo nuovamente la sua icastica
formulazione:
Comprendere un diritto significa sapere che cosa esso è, sapere che cosa è significa
possederne la definizione. (Carcaterra 1985, 25)
In questo modo, la riduzione dell’eidetico-costitutività a “thetico-costitutività +
definizioni stipulative” pare compiuta.
Nel seguito, solleveremo alcune osservazioni critiche a questo approccio
riduzionista, cercando di mostrare come alcuni aspetti peculiari dell’eideticocostitutività non siano riconducibili a semplici definizioni stipulative di insiemi.
Preliminarmente, però, è necessario sgombrare il campo da un’obiezione che viene
subito spontanea, vale a dire la seguente: mentre la definizione stipulativa di un
insieme può avere carattere semplicemente estensionale, ovvero identificare
l’insieme stipulando quali sono i membri che ne fanno parte (per esempio nella
forma “Sia* X l’insieme composto da N, M, K, etc.”), questo non è palesemente il
carattere delle regole eidetico-costitutive. La regola eidetico-costitutiva dello scacco
matto, ad esempio, non stipula convenzionalmente l’estensione del termine tipico
‘scacco matto’, identificandone i membri singolarmente, ma definisce le proprietà
che i membri di tale estensione devono avere per poter essere tali: in questo senso,
tale regola costituisce un’intensione e non semplicemente un’estensione.12 Ciò vale,
però, anche per le “definizioni costitutive originarie” di Carcaterra: esse, infatti,
identificano i membri dell’insieme-ordinamento sulla base di proprietà comuni ai
suoi elementi (l’essere norme disposte dall’Assemblea, il non essere state abrogate,
etc.): sono cioè definizioni nella forma “Sia* X l’insieme degli Y che possiedono la
proprietà P” e di conseguenza, sotto questo aspetto, sono definizioni intensionali.
Non è dunque facendo leva sulla distinzione tra estensione ed intensione di un
termine che si potrà obiettare alla riduzione operata da Carcaterra. Piuttosto, si
cercherà di argomentare la seguente tesi: non si costituisce un concetto semplicemente
definendo le condizioni di applicazione di quel concetto. Dunque, una definizione stipulativa
di un insieme non è tutto ciò che è necessario per rendere conto dell’eideticocostitutività di regole.
12 Il carattere intensionale delle regole eidetico-costitutive è stato esplicitamente tematizzato da Conte: cfr. ad
esempio Conte 1985, 362–8; 1995e, 338; 1995f, 540. Searle ha notato che il contesto di una constitutive rule è
referenzialmente opaco in Searle 1995, 28–9.
17
Ciò si può mostrare ancora una volta con riferimento all’esempio dello scacco matto
nel gioco degli scacchi. Certamente, la regola ‘la situazione di gioco in cui il re non
può sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco
degli scacchi’ stipula le condizioni di applicazione del concetto dello scacco matto:
in questo senso, essa può essere ricondotta, secondo le linee tracciate da Carcaterra,
ad una semplice definizione stipulativa di un insieme, ad esempio nella forma ‘Sia*
lo scacco matto l’insieme delle situazioni di gioco in cui il re non può sottrarsi allo
scacco con nessuna mossa’. Ma è falso che questa regola, così concepita, sia
pienamente costitutiva del concetto di scacco matto nel gioco degli scacchi (e
dunque sia tutto ciò che è necessario per rendere conto dell’eidetico-costitutività di
“scacco matto”). Supponiamo, infatti, che questa regola/definizione sia l’unica
regola sullo scacco matto presente nel gioco degli scacchi: che cosa sarebbe, allora,
lo scacco matto? Come giocatori di scacchi, non potremmo farcene alcunché,
perché tale regola/definizione, pur specificando le condizioni di attuazione dello
scacco matto, non ce ne dice affatto il significato: non ci dice quale sia la sua valenza
nel contesto del gioco, la sua rilevanza per una partita. Forse, un commentatore di
partite di scacchi potrebbe utilizzare ‘scacco matto’ come espressione descrittiva di
una determinata configurazione di pezzi su una scacchiera (molti neologismi
vengono utilizzati dai commentatori per descrivere le situazioni di gioco) ma, in ogni
caso, un giocatore di scacchi potrebbe certamente giocare senza conoscere il
significato di questa espressione descrittiva. Così formulata, la regola/definizione è
dunque, se si vuole, una semplice stipulazione per un termine descrittivo, ma non una
regola eidetico-costitutiva di un concetto ludico, un concetto cioè che connoti un
elemento del gioco. Ciò perché la regola ‘la situazione di gioco in cui il re non può
sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli
scacchi’ non è eidetico-costitutiva da sola. Affinché il concetto di scacco matto sia
pienamente costituito nel contesto del gioco, infatti, ad essa deve accostarsi una
seconda regola che ne stabilisca la valenza (la rilevanza, le conseguenze intraistituzionali), ovvero la regola ‘lo scacco matto ha valore di vittoria nel gioco degli
scacchi’. Soltanto prese assieme, queste due regole sono propriamente costitutive di
un concetto ludico, soltanto prese assieme esse sono eidetico-costitutive; la prima
definisce le condizioni di applicazione del concetto, la seconda ne costituisce il
significato, la valenza, ovvero le conseguenze della sua applicazione. Soltanto in questa
definizione complementare di condizioni e conseguenze dell’applicazione il concetto
è pienamente costituito.13
Questa concezione “complementare” della costitutività di regole è stata in primo luogo sostenuta da J.
Ransdell, nel suo saggio Constitutive Rules and Speech-Act Analysis, del 1971. Scrive Ransdell: “It would be
obviously misleading to say that the Queen of Hearts is constituted as such by these and those markings and
to leave it at that, and it would be similarly inadequate to say that the Queen of Hearts is something that has
this and that role in the game, failing to mention how the object can be definitively identified. Both are
essentially involved in what it is to be the Queen of Hearts, as is the conditional relation between them”
(Ransdell 1971, 391). E ancora: “Now let us note the […] distinction between the characteristics a thing,
person or action has that justify the application of a given game-term to it and the logical effect of that
application. I shall refer to the former as the connotation of the term and the latter as the import of the term. [...]
In short, the meaning of game-terms (with a few exceptions) is dual, comprising both connotation and
import ” (Ransdell 1971, 388). La stessa concezione è stata recentemente sviluppata da F. A. Hindriks sotto la
rubrica “concezione XYZ delle regole costitutive” (XYZ conception of constitutive rules). Secondo Hindriks (che
utilizza il lessico di Searle), per la costituzione del termine Y di una constitutive rule è necessaria non soltanto la
specificazione dell’elemento X, vale a dire il “substrato” extra-istituzionale cui l’entità istituzionale
corrisponde, ma anche la specificazione di un elemento Z il quale rappresenti il significato pratico (practical
13
18
L’argomento è applicabile all’approccio di Carcaterra. La “definizione costitutiva
originaria”, nella variante normativistica, viene infatti formulata come definizione di
un insieme nella forma seguente:
Sia* l’ordinamento normativo del CP in ciascun momento l’insieme delle prescrizioni che
in quel momento o in precedenza l’Assemblea abbia disposto appartengano all’ (siano
valide nell’) ordinamento stesso e che fino ad allora non abbia abrogate. (Carcaterra 1985)
Che una tale definizione fornisca le condizioni di validità delle norme, intese come
condizioni di appartenenza ad un insieme determinato, ciò è fuori di dubbio. Nel
fornire tali condizioni, la “definizione costitutiva originaria” nella variante
normativistica fornisce le condizioni di applicazione del concetto di diritto nel
contesto di un determinato ordinamento: essa, cioè, ci permette di dire “X è diritto,
Y non è diritto”. Che però questa definizione normativistica, vista come stipulativa
di un insieme, fornisca l’eidos, il concetto, del diritto è falso, poiché essa non ci dice
affatto che cosa significhi, per una norma o prescrizione, essere giuridicamente
valida, non ci dice quali siano le conseguenze della applicazione di tale concetto. Che,
dunque, una definizione stipulativa di un insieme raccolga un aspetto del fenomeno
dell’eidetico-costitutività, si può concedere; ma non è vero che ad essa si possa
ricondurre tutto il fenomeno della eidetico-costitutività di regole.
Ancora una volta, dunque, l’eidetico-costitutività si mostra riottosa a riduzioni ed
equivalenze. Se, come si è mostrato nella Sezione 2.2, essa non può essere resa
equivalente alla thetico-costitutività (poiché presenta differenze rispetto ad essa o
sotto il profilo del soggetto costituente, o sotto il profilo dell’oggetto costituito, o
sotto il profilo del processo di costituzione), essa non sembra nemmeno in toto
riconducibile all’attività stipulativa delle definizioni insiemistiche (poiché la
costituzione di un concetto nel contesto di specifiche pratiche richiede, oltre alla
costruzione delle sue condizioni di applicazione, anche la costruzione delle
conseguenze di tale applicazione). Ma, se né l’equivalenza né la riduzione sembrano
strade praticabili per rendere conto della duplicità del costitutivo, anche la
riconduzione di entrambi i tipi di costitutività ad una categoria più ampia che sia in
grado di includerli presenta, come vedremo nella prossima sezione analizzando
l’approccio di Conte, aspetti problematici.
3.2.
Costitutività e condizione in Conte
import) dell’entità istituzionale (ciò che Hindriks chiama anche “significato comportamentale”, behavioural
significance) (cfr. Hindriks 2005, 123ss.). Una nota scettica sul “significato” di questo significato “pratico”, o
“comportamentale”, è rintracciabile in Guastini, il quale nel suo saggio Cognitivismo ludico e regole costitutive
distingue chiaramente, nel contesto delle regole eidetico-costitutive, tra “definizioni stipulative appartenenti
ad un sistema normativo” e “regole che conferiscono senso, o valore”, ma con riferimento a questo concetto
di “senso” o “valore” (equivalente proprio all’import di Ransdell e di Hindriks) scrive: “Confesso di non sapere
esattamente che cosa significhino queste espressioni. Tuttavia, non mi pare che il conferire senso possa essere
ridotto a discorso descrittivo (come forse ritiene Searle). Qualunque accettabile esplicazione di ‘conferire
senso’ dovrebbe includere un riferimento a concetti quali: suscitare emozioni, convogliare atteggiamenti”
(Guastini 1983a, 167–8). Per una possibile risposta a questo dubbio di Guastini, ci permettiamo di rimandare
a Roversi 2007, 272–305, dove si riconduce l’import di un elemento costituito da regole alla valenza nel
contesto di una pratica più ampia. Altri riconducono questo concetto di import alla tradizionale distinzione tra
“struttura” e “funzione” (cfr., ad esempio, Incampo 2003). Infine, la distinzione effettuata nel testo tra
condizioni di applicazione e conseguenze dell’applicazione di un concetto istituzionale presenta relazioni
interessanti con la distinzione, effettuata recentemente da E. Fittipaldi, tra “semantica fattispeciale” e
“semantica disciplinale” dei termini giuridici (cfr. Fittipaldi 2007, 118–21).
19
Nel saggio Konstitutive Regeln und Deontik, del 1981, Conte ha identificato la duplicità
del concetto di norma costitutiva e l’ha tematizzato esplicitamente, facendone il
punto di partenza di una teoria onnicomprensiva della costitutività. In questo saggio,
Conte distingue infatti tra la costitutività delle regole del gioco, da un lato, e la
costitutività delle norme performative di Carcaterra, dall’altro, chiamando le prime
“regole costitutive deontiche” (deontisch-konstitutive Regeln), le seconde “regole
costitutive thetiche” (thetisch-konstitutive Regeln).14 Nel seguito del suo lavoro, egli ha
mutato la dicitura ‘regole costitutive deontiche’ con ‘regole costitutive eidetiche’ o
anche (ed è questa l’espressione che nel corso di tutto questo lavoro abbiamo
mutuato da lui) ‘regole eidetico-costitutive’. Conte descrive in questo modo la
duplicità:
Ho constatato che nella letteratura filosofica sono documentati due concetti di
constitutività di (attraverso) regole, i quali non soltanto sono differenti, ma sembrano
anche eterogenei (se non addirittura incommensurabili). Ho chiamato le due specie di
regole costitutive regole deontico-costitutive [...] e regole thetico-costitutive. [...] Il caso
paradigmatico di regole deontico-costitutive sono le regole del gioco degli scacchi che
regolano l’uso dei pezzi. (Ad esempio: ‘L’alfiere deve muovere in diagonale.’) [...] È alla
costitutività deontica che si riferisce la tesi secondo la quale un pezzo del gioco degli
scacchi è l’insieme delle regole che valgono per esso. [...] Io stesso ho formulato questa
tesi nel modo seguente: Il concetto [Begriff] di un pezzo è solo la totalità [Inbegriff] delle regole
che valgono per esso. [...] Le regole thetico-costitutive sono state l’oggetto di ricerca di
Gaetano Carcaterra sotto il nome di ‘norme costitutive’. [...] Le norme costitutive di
Carcaterra [...] sono norme che creano (effettuano, pongono in atto [erwirken, effizieren])
ciò che esse regolano. (Ad esempio: “I diciottenni hanno valore di maggiorenni.”) [...] Le
norme costitutive di Carcaterra non sono costitutive nel senso che sono condizione di
pensabilità e possibilità di ciò che esse regolano. Le norme costitutive di Carcaterra sono
costitutive piuttosto nel senso che esse letteralmente costituiscono (creano, effettuano,
pongono in atto [erschaffen, erwirken, effizieren]) ciò che è regolato attraverso di esse. [...] Le
regole thetico-costitutive sono rilevanti non soltanto per la deontica (laddove le si
consideri come regole), ma anche per la teoria della performatività (laddove le si consideri
come atti thetici). (Conte 1981, 82–3; mia traduzione)15
14 Per l’esattezza, in questo saggio Conte non formula una dicotomia, bensì una tricotomia. Nel contesto delle
regole del gioco, infatti, egli distingue tra regole costitutive deontiche (ad esempio ‘l’alfiere deve muovere in
diagonale’) e regole costitutive ontiche (ontisch-konstitutive Regeln, ad esempio, la regola ‘lo scacco matto è la
situazione di gioco in cui il re non può sottrarsi allo scacco in nessuna mossa’), ricollegando soltanto queste
ultime alle constitutive rules di Searle (Conte 1981, 83–4). La differenza è molto rilevante per la teoria delle
regole costitutive (e verrà incorporata da Conte nella successiva teoria delle regole eidetico-costitutive) ma
non nel contesto della duplicità qui discussa. Sia la costitutività delle regole costitutive deontiche, infatti, sia
quella delle regole costitutive ontiche è riconducibile al secondo senso di costitutività sopra identificato.
15 Il tedesco originale: “Auf dieser zweiten Stufe habe ich festgestellt, daß im philosophischen Schrifttum zwei
Begriffe der Konstitutivität von (bzw. durch) Regeln belegt sind, die nicht nur verschieden sind, sondern auch
heterogen (wenn nicht sogar inkommensurabel) aussehen. Die beiden Arten von konstitutiven Regeln habe
ich deontisch-konstitutive Regeln [...] und thetisch-konstitutive Regeln [...] genannt. [...] Der paradigmatische Fall
der deontisch-konstitutiven Regeln sind die Spielregeln des Schachspiels, welche die Handhabung der Figuren
regeln. (Beispiel: ‚Der Läufer soll diagonal ziehen.’) [...] Es ist die deontische Konstitutivität, auf die sich die
These bezieht, eine Figur im Schachspiel sei die Menge der Regeln, die für sie gelten. [...] Ich selbst habe diese
These folgenderweise formuliert: Der Begriff einer Figur ist lediglich der Inbegriff der deontisch-konstitutiven
Regeln, die für sie gelten. [...] Die thetisch-konstitutiven Regeln sind unter dem Namen ‚norme costitutive’ von
Gaetano Carcaterra untersucht worden. [...] Carcaterras konstitutive Normen [...] sind Normen, die selbst
(unmittlebar) das erschaffen (erwirken, effizieren), was sie regeln. (Beispiel: ‚Die Achtzehnjärigen gelten als
Volljährige.’) [...] Während Carcaterras präskriptive Normen den regulativen Regeln entsprechen, sind
Carcaterras konstitutive Normen konstitutiv nicht in dem Sinne, daß sie Denkbarkeits- und
Möglichkeitsbedingungen dessen sind, was sie regeln. Carcaterras konstitutive Normen sind konstitutiv
vielmehr in dem Sinne, daß sie buchstäblich das durch sie Geregelte konstituieren (erschaffen, erwirken,
20
La domanda fondamentale della teoria di Conte è la stessa che muove il presente
lavoro: c’è un motivo per il quale due fenomeni all’apparenza così diversi sono
ricondotti alla stessa categoria, vale a dire la costitutività di regole (o norme)? È
possibile comporre questa duplicità del costitutivo? Come abbiamo visto, Carcaterra
sembra rispondere a questa domanda seguendo la strada del riduzionismo. Conte, al
contrario, tenta di comporre la duplicità riconducendo entrambi i tipi di costitutività
ad un concetto logicamente più ampio che sia in grado di ricomprenderli, ovvero il
concetto di condizione: dal suo punto di vista, i due sensi di ‘regola costitutiva’
possono essere ricondotti ad uno notando che sia le regole thetico-costitutive sia le
regole eidetico-costitutive sono condizione del proprio oggetto. Scrive Conte:
In A. G. Conte, Konstitutive Regeln und Deontik, 1981, io constatavo che di costitutività di
regole e norme s’era parlato in due sensi che sembravano irrelati [...]. Perciò mi
domandavo: v’è un comun denominatore che giustifichi la comune denominazione? [...]
Alla domanda io ho risposto come segue. Un comun denominatore v’è. Ambedue le
costitutività [...] possono caratterizzarsi in termini di condizione [...]. (Conte 1995d, 296)
In questa prospettiva, la radice della distinzione tra i due sensi di ‘regola costitutiva’
risiede nel tipo di rapporto di condizione che sussiste tra la regola ed il regolato: una
regola eidetico-costitutiva è infatti condizione necessaria del proprio regolato; mentre
una regola thetico-costitutiva ne è condizione sufficiente.16 Di seguito l’argomento di
Conte nella sua forma originaria:
Tutte le regole costitutive sono condizione di ciò su cui esse vertono: ecco la prima tesi. In
rapporto di condizione con ciò su cui vertono sono [...] non solo quelle regole la cui
costitutività consiste nell’essere condizione necessaria di pensabilità, e perciò di possibilità, di
ciò su cui esse vertono, e che, appunto perché condizione di pensabilità, io propongo di
chiamare qui regole costitutive eidetiche [...], ma anche quelle regole che io [...] ho chiamato
regole costitutive thetiche. [...] In particolare, le regole costitutive thetiche sono condizione
sufficiente di attualità di ciò su cui esse vertono. [...] Solo le regole costitutive sono
condizione di ciò su cui esse vertono: ecco la seconda tesi. Le regole regolative non sono
condizione (non condizione necessaria, non condizione sufficiente) di ciò su cui esse
vertono. Una regola regolativa può certamente condizionare l’azione, ma nessuna regola
regolativa è necessaria condizione di pensabilità, e di possibilità, d’un praxema d’una
praxis. (Conte 1995c, 245–6)17
effizieren).[...] Die thetisch-konstitutiven Regeln sind relevant nicht nur für die Deontik (wenn man sie als
regeln betrachtet), sondern auch (wenn man sie als thetische Akte betrachtet) für die Theorie der
Performativität.”
Sulla possibilità di regole che siano condizione sufficiente del proprio oggetto si vedano i rilievi critici in
Guastini 1986a.
16
17 I termini ‘praxis’ e ‘praxemi,’ che appaiono al termine di questo passo, sono due termini tecnici del lessico di
Conte. ‘Praxis’ designa l’attività resa possibile da regole eidetico-costitutive; nell’esempio degli scacchi, la
praxis è precisamente l’attività del giocare a scacchi. ‘Praxema’ designa ciò che Conte chiama “una unità della
praxis”; nell’esempio degli scacchi, sono praxemi l’alfiere, il re, lo scacco, ecc. Nell’ambito delle regole eideticocostitutive, inoltre, Conte effettua due ulteriori distinzioni, che rielaborano le distinzioni proposte nel suo
saggio originario Konstitutive Regeln und Deontik. In primo luogo, egli distingue tra regole eidetico-costitutive
ontiche e regole eidetico-costitutive deontiche: “Sono regole eidetico-costitutive deontiche regole come ‘L’alfiere
deve muovere in diagonale’; ‘Non è permesso l’arroccamento se il re è sotto scacco’; ‘Il re, se sotto scacco,
deve essere sottratto allo scacco’. [...] Sono regole eidetico-costitutive ontiche regole come le due regole che
John R. Searle cita come casi esemplari delle sue “constitutive rules”, la regola dello scacco matto e la regola del
touchdown nell’American football: ‘Scacco matto v’è se, e solo se, il re è sotto scacco e non può essere sottratto
allo scacco attraverso alcuna mossa [...]; ‘Touchdown v’è se, e solo se, durante una partita, un giocatore in
possesso della palla è nell’area terminale del campo avversario’ (Conte 1995d, 279–80). In secondo luogo,
Conte distingue, nell’ambito delle regole eidetico-costitutive deontiche, tra regole eidetico-costitutive deontiche
paradigmatiche e regole eidetico-costitutive deontiche sintagmatiche: “Sono regole eidetico-costitutive deontiche
21
Conte non si limita a ricondurre ad un’unica radice soltanto due tipi di regole
costitutive. Ad essi, egli ne aggiunge un altro, quello di “regola anankasticocostitutiva”.
Io ho proposto il neologismo ‘regole anankastico-costitutive’ [...] per designare le regole
(deontiche) le quali pongono una condizione necessaria [...], una condicio sine qua non, di ciò
su cui esse vertono. [...] Ecco due regole anankastico-costitutive. La prima è una regola sul
testamento olografo: [...] ‘Il testamento olografo deve essere [...] sottoscritto di mano del
testatore.’ [...] La seconda [...] è una regola la quale pone una condizione necessaria affinché
un atto abbia valore di donazione: [...] ‘La donazione deve essere fatta per atto pubblico
[...]’. (Conte 1985, 360; parentesi quadre in originale nella quinta e nona occorrenza)
Secondo Conte, una regola anankastico-costitutiva si differenzia sia dalle regole
eidetico-costitutive sia dalle regole thetico-costitutive in quanto essa non è in
rapporto di condizione con il proprio regolato, bensì pone una condizione al proprio
regolato: nello specifico, una condizione necessaria. Scrive Conte:
Le regole eidetico-costitutive sono condizione necessaria di ciò su cui esse vertono. Ad
esempio, le regole degli scacchi sono condizione necessaria sia della praxis: gioco degli
scacchi, sia dei suoi praxemi (pezzi, pragmemi, status ludici). [...] Le regole anankasticocostitutive, invece, pongono condizioni necessarie di ciò su cui esse vertono. Ad esempio,
la regola: [...] ‘Il testamento olografo deve essere [...] sottoscritto di mano del testatore’
pone una condizione necessaria affinché un atto abbia valore di testamento olografo.
(Conte 1985, 362; parentesi quadre in originale nella terza occorrenza)
In conclusione, dunque, i criteri rilevanti per l’identificazione del tipo di costitutività
di una regola sono due, e corrispondono a due domande distinte: (a) la prima
domanda è se la regola sia o piuttosto ponga una condizione al proprio regolato; (b) la
seconda è quale tipo di condizione la regola sia, o ponga: se necessaria, sufficiente, o
necessaria e insieme sufficiente. Una tassonomia delle regole costitutive sulla base
dei due detti criteri è stata proposta da G. Azzoni, allievo di Conte, nel suo
Condizioni costitutive, del 1986 (e ripresa più estesamente in Il concetto di condizione nella
tipologia delle regole, del 1988).18 Nella tassonomia di Azzoni vengono isolati sei distinti
concetti di regola costitutiva, ognuno con una propria specifica denominazione.
(i) Sono regole eidetico-costitutive quelle regole che sono condizione necessaria di ciò che
esse regolano; ad esempio, la regola: ‘la situazione di gioco in cui il re non può essere
sottratto allo scacco con nessuna mossa è uno scacco matto nel gioco degli scacchi’.
(ii) Sono regole thetico-costitutive quelle regole che sono condizione sufficiente di ciò che
esse regolano; ad esempio, la regola: ‘la norma X è abrogata’.
(iii) Sono regole noetico-costitutive quelle regole che sono condizione necessaria e sufficiente
di ciò che esse regolano; ad esempio, “la norma fondamentale di un ordinamento, se
concepita (à la Felix Kaufmann) come condizione necessaria e sufficiente della
paradigmatiche regole come: ‘L’alfiere deve muovere in diagonale’; ‘Il re, se sotto scacco, non può arroccare’.
[...] Sono regole eidetico-costitutive deontiche sintagmatiche regole come: ‘Il re, se sotto scacco, deve essere
sottratto allo scacco’. [...] Regole come: ‘L’alfiere deve muoversi in diagonale’ e ‘Il re, se sotto scacco, non può
arroccare’ ordinano l’asse paradigmatico del gioco (determinano paradigmi di possibilità, fissando quali mosse
possano, alternativamente, compiersi ad ogni punto del gioco). [...] Esse prescrivono forme d’azione. [...] Invece,
regole come: ‘Il re, se sotto scacco, deve essere sottratto allo scacco’ non prescrivono un paradigma di
possibili forme di prosecuzione del gioco, ma prescrivono una determinata prosecuzione del gioco (nel nostro
esempio: che il re venga sottratto allo scacco). [...] Esse prescrivono (non forme, ma) norme d’azione” (Conte
1995d, 286–7).
18
Rispettivamente, Azzoni 1986 e 1988.
22
possibilità di validità delle norme dell’ordinamento da essa individuato” (Azzoni
1986, 161).
A questi primi tre tipi di regole costitutive si aggiungono le regole ipotetico-costitutive,
ovvero regole che costituiscono ponendo una condizione al proprio regolato. Le
regole ipotetico-costitutive si suddividono nei seguenti tre sotto-tipi.
(iv) Sono regole anankastico-costitutive quelle regole che pongono una condizione
necessaria a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘il testamento olografo deve
essere sottoscritto di mano del testatore’.
(v) Sono regole metathetico-costitutive quelle regole che pongono una condizione sufficiente
a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘è senatore di diritto a vita, salvo
rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica’.
(vi) Sono regole nomico-costitutive quelle regole che pongono una condizione necessaria e
sufficiente a ciò che esse regolano; ad esempio, la regola: ‘il riconoscimento del figlio
naturale è fatto nell’atto della nascita, oppure con un’apposita dichiarazione,
posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile o
davanti al giudice tutelare o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la
forma di questo’.
Riconducendo il fenomeno della costitutività alla categoria di condizione, come si
vede, Conte e la sua scuola hanno isolato non due bensì sei tipi diversi di
costitutività, fornendo un criterio di differenziazione semplice ed elegante. Questo,
senza dubbio, è un risultato teorico imponente, e certamente, quanto a
comprensività della teoria e omogeneità della spiegazione, la teoria della costitutività
di Conte e della sua scuola ha pochi rivali. Nel seguito, tuttavia, solleveremo alcuni
rilievi critici a questa prospettiva, per mostrare che anch’essa non riesce a comporre
la duplicità essenziale tra i due sensi di ‘norma costitutiva’, in quanto presuppone
esplicitamente due sensi diversi di ‘condizione’: il senso di ‘condizione’ nel caso delle
regole eidetico-costitutive è infatti diverso dal senso di ‘condizione’ nel caso delle
regole thetico-costitutive; in altre parole, la sotterranea duplicità tra la
fenomenologia del thetico-costitutivo e quella dell’eidetico-costitutivo permane.
Inoltre, e inversamente, con riferimento alle regole cosiddette “ipotetico-costitutive”
la tassonomia distingue invece concetti di regola costitutiva che sembrano
sovrapponibili, sacrificando all’esigenza di analiticità il riconoscimento di una
fenomenologia in ultima analisi comune. In un primo senso, dunque, il criterio di
differenziazione del fenomeno della costitutività di regole per mezzo del concetto di
condizione è troppo ampio (esso accomuna ciò che è sostanzialmente diverso); in un
secondo senso, esso è troppo stretto (esso differenzia tra ciò che è sostanzialmente
simile).
Che il criterio di differenziazione sia troppo stretto, è cosa che può essere argomentata
con riferimento al rapporto tra regole eidetico-costitutive, regole anankasticocostitutive, regole metathetico-costitutive e regole nomico-costitutive. Si è detto
sopra che la differenziazione tra questi tipi di regole risiede nel fatto che, mentre le
prime sono condizione necessaria del proprio oggetto, le altre pongono una condizione
(rispettivamente necessaria, sufficiente, necessaria e sufficiente) al proprio oggetto.
La nostra tesi è che o le regole anankastico-costitutive, metathetico-costitutive, e
nomico-costitutive, che pongono una condizione al proprio regolato, ne sono anche
23
una condizione necessaria—proprio perché lo costituiscono in senso eidetico,
ovvero ne creano il concetto—, oppure non sono costitutive affatto. Per un verso,
una regola eidetico-costitutiva come ‘la situazione di gioco in cui il re non può
sottrarsi allo scacco con nessuna mossa ha valore di scacco matto nel gioco degli
scacchi’ è certamente una condizione necessaria dello scacco matto (essa ne
costituisce il concetto, e dunque, appunto, ne è una condizione di pensabilità e di
possibilità in quanto stato di cose significante); ma è chiaro che essa pone, anche, allo
scacco matto almeno una condizione necessaria e, in questo esempio, persino
sufficiente. Sembra chiaro, dunque, che una regola eidetico-costitutiva debba essere
anche, necessariamente, una regola anankastico-costitutiva, poiché nel costituire essa
pone condizioni almeno necessarie al proprio regolato, e che possa essere anche
metatetico-costitutiva o nomico-costitutiva, se essa pone condizioni, oltre che
necessarie, anche sufficienti. Per altro verso, una regola anankastico-costitutiva
come ‘il testamento olografo deve essere sottoscritto di mano dal testatore’, o nel
porre questa condizione necessaria costituisce il concetto di testamento olografo, e
allora è assolutamente equivalente ad una regola eidetico-costitutiva, oppure pone una
condizione del tutto estrinseca a qualcosa il cui concetto le pre-esiste, e allora è una
semplice regola tecnica che non ha nulla di costitutivo. Ciò sembra valere anche per
le regole metathetico-costitutive e per le regole nomico-costitutive. In altri termini, il
criterio del porre condizioni, se non è “supportato” dalla costitutività eidetica
(l’essere condizione necessaria), non è un fenomeno proprio della costitutività,
perché il porre condizioni a ciò il cui concetto sia già determinato non è altro che
disciplinarne le condizioni di attuazione in senso tecnico. Ma, se questo è vero, la
categoria della ipotetico-costitutività (regole che sono costitutive in quanto pongono
condizioni) si dissolve in quella dell’eidetico-costitutività.
I due tipi basilari di costitutività, dunque, rimangono la thetico-costitutività e
l’eidetico-costitutività (della “noetico-costitutività” diremo infatti tra poco). Con
riferimento a questi due tipi, il criterio di differenziazione del fenomeno della
costitutività di regole per mezzo del concetto di condizione è però troppo ampio,
perché nei due casi viene esplicitamente presupposto un senso di ‘condizione’
differente, e questo non ci permette di ottenere un concetto a sua volta univoco
della costitutività. Come abbiamo notato nella Sezione 2 (con riferimento alla
differenza categoriale tra thetico-costitutività ed eidetico-costitutività sotto l’aspetto
dell’oggetto costituito), e come peraltro Conte ha colto e formulato con precisione
(lo abbiamo visto sopra), le regole eidetico-costitutive, creando un concetto, sono
condizione necessaria di possibilità di ciò che esse regolano, mentre le regole theticocostitutive, istituendo immediatamente uno stato di cose, ne sono condizione
sufficiente di attualità. A dispetto dell’utilizzo comune del concetto di condizione, la
differenza è essenziale, e può essere colta anche tramite un semplice formalismo. Se
indichiamo con ‘R(x)’ la regola, e con ‘x’ il suo regolato, il rapporto di condizione tra
regola e regolato che Conte ravvisa nel caso di una regola eidetico-costitutiva può
essere schematicamente espresso come:
R(x)  x (equivalente a x  R(x)),
mentre il rapporto di condizione che Conte ravvisa nel caso di una regola theticocostitutiva nel secondo senso può essere espresso come:
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R(x)  x.19
La differenza di posizione relativa tra regola e regolato rispetto all’operatore ‘’,
nonché la presenza di un operatore modale nel primo caso, è indicativa della
differenza di concetto che stiamo qui trattando. Come ha notato Gianfranco Ferrari,
La specificazione del tipo di condizioni (solo sufficienti, solo necessarie) e del piano su
cui le regole fungono da condizioni (rispettivamente, il piano della realtà e il piano della
possibilità) rivela la notevole disparità (e logica e ontologica) che sussiste tra queste regole.
[...] Mi riferisco al fatto che, indipendentemente dal tipo di condizione espressa dalle
regole thetico-costitutive, il piano su cui esse si pongono come condizioni di qualcosa è il
piano della realtà, a differenza delle regole eidetico-costitutive (deontiche o ontiche), le quali
tutte sono condizioni di possibilità del regolato. (Ferrari 1981, 519)
La permanenza della differenza concettuale tra thetico-costitutività ed eideticocostitutività nella tassonomia di Conte-Azzoni è inoltre mostrata dal fatto che si
rivela difficoltosa l’interpretazione del terzo tipo di regola costitutiva, ovvero la
“regola noetico-costitutiva” intesa come regola che è condizione necessaria e
sufficiente del proprio regolato. In quanto condizione sia necessaria sia sufficiente,
questa regola dovrebbe sintetizzare i primi due tipi di costitutività, ma le tre
interpretazioni possibili di essa o riducono un tipo di costitutività all’altro oppure non
configurano alcuna sintesi, sdoppiando in realtà la regola noetico-costitutiva in due
regole, di cui una eidetico-costitutiva ed una thetico-costitutiva.
Secondo una prima interpretazione, infatti, una regola noetico-costitutiva è condizione
necessaria e sufficiente di possibilità del proprio regolato. Ma questa interpretazione,
palesemente, annulla la differenza tra eidetico-costitutività e thetico-costitutività
privilegiando la prima sulla seconda: il senso in cui si parla di “condizione” nel caso
di una regola noetico-costitutiva così interpretata non è lo stesso in cui si parla di
“condizione” nel caso di una regola thetico-costitutiva. Qui la regola è condizione
necessaria e sufficiente di possibilità del regolato in quanto ne costituisce
completamente il concetto.20 Come abbiamo mostrato nella Sezione 2.2, tuttavia,
ogni tentativo di ricomporre il dualismo sotto il profilo del soggetto costituente lo
riapre sotto il profilo dell’oggetto costituito: se anche, infatti, la regola viene
concepita come atto thetico-costitutivo di un concetto, essa tuttavia non stabilisce
Si noti che queste formule hanno un semplice valore esplicativo. Ovviamente, la costruzione di un sistema
di logica modale predicativa per formalizzare il rapporto di condizione tra regola e regolato va oltre i limiti del
presente lavoro.
19
20 È certamente questa l’interpretazione del concetto privilegiata da Conte ed Azzoni. Con riguardo alle regole
noetico-costitutive, Azzoni rimanda al seguente passo di Conte: “Vi sono regole, che sono condizione
necessaria e sufficiente di possibilità del regolato” (Conte 1981, 85; mia traduzione. L’originale tedesco è: “Es
gibt Regeln, die notwendige und hinreichende Möglichkeitsbedingung des Geregelten sind.” Il passo è citato in
Azzoni 1988, 70). Che, nella interpretazione di Conte, una regola noetico-costitutiva sia condizione necessaria
e sufficiente di possibilità di ciò che essa regola, è mostrato dalla sua ipotesi che la Grundnorm kelseniana sia una
regola noetico-costitutiva. Secondo Conte, la Grundnorm non sarebbe infatti condizione sufficiente di attualità
della validità delle norme dell’ordinamento, mancando essa dell’aspetto volontaristico-soggettivo alla base
dell’emanazione valida di una norma (in altri termini, secondo questa interpretazione la Grundnorm non
avrebbe un aspetto performativo). La Grundnorm sarebbe invece semplicemente “condizione necessaria e
sufficiente di possibilità della validità come norma attraverso la quale si individua il sistema normativo” (Conte
1981, 20–1; mia traduzione e corsivo mio. L’originale tedesco, completo, è: “eine Grundnorm ist notwendige
und hinreichende Möglichkeitsbedingung der Geltung als Norm in dem durch sie individuierten
Normensystem”).
25
immediatamente l’attualità di uno stato di cose concreto, e dunque non è theticocostitutiva nello stesso senso in cui lo è una norma abrogativa.
Stando ad una seconda interpretazione, una regola noetico-costitutiva è condizione
necessaria e sufficiente di attualità del proprio regolato. Ma questa interpretazione,
inversamente rispetto alla precedente, annulla la differenza tra eidetico-costitutività e
thetico-costitutività privilegiando la seconda sulla prima: il senso in cui si parla di
“condizione” nel caso di una regola noetico-costitutiva così interpretata non è lo
stesso in cui si parla di “condizione” nel caso di una regola eidetico-costitutiva. Qui,
infatti, la regola è condizione necessaria e sufficiente del regolato in quanto, come
atto performativo, lo istituisce immediatamente, ed è inoltre l’unico modo per
istituirlo (essa, potremmo dire, è l’unico atto possibile in grado di istituire uno stato
di cose concreto). Questa regola, tuttavia, non costituisce alcun concetto, né crea la
possibilità di uno atto o fatto significante: essa non è eidetico-costitutiva nello stesso
senso in cui lo è una regola del gioco.21
Secondo una terza interpretazione, una regola noetico-costitutiva è condizione
necessaria di possibilità e condizione sufficiente di attualità del proprio regolato.
Questa interpretazione è l’unica che non annulla la differenza tra eideticocostitutività e thetico-costitutività, in quanto ne mantiene le peculiarità concettuali e
non ne privilegia una sull’altra. Una regola noetico-costitutiva in questo senso
potrebbe sia essere un atto istitutivo di uno stato di cose (una regola o norma
thetico-costitutiva) che contestualmente ne determini il significato (essendo così
anche eidetico-costitutiva), sia una regola eidetico-costitutiva del concetto di un
determinato atto o fatto significante la quale, per il fatto stesso di esistere, sia in
grado di determinare concretamente la sussistenza dello stato di cose su cui essa
verte. Quest’ultimo esempio ci sembra paradossale, perché, evidentemente, la regola
sullo scacco matto non può istituire, anche, la sussistenza di uno scacco matto: nel
caso dell’eidetico-costitutività, infatti, (lo abbiamo visto nella Sezione 2) la relazione
di costituzione tra la regola e lo stato di cose su cui essa verte non è immediata,
bensì mediata dal comportamento concreto dei giocatori. Diverso è il caso del
primo esempio, poiché un atto istitutivo (che sia dunque regola thetico-costitutiva)
di uno stato di cose concreto che contestualmente determini anche il significato di
questo stato di cose (essendone dunque, anche, regola eidetico-costitutiva) sembra
perfettamente possibile: si pensi al caso di una regola che dicesse “è con ciò istituito
Y, il cui significato è xz”. Di una tale regola, tuttavia, diremmo che essa fa due cose
differenti, secondo due distinti processi di costituzione: in primo luogo, essa crea il
concetto di un determinato fatto significante Y (e dunque lo costituisce
mediatamente, come tipo di fatto la cui sussistenza è condizionata ad un
determinato atto istitutivo: la regola, cioè, crea il significato xz di Y); in secondo
luogo, in qualità di atto, essa istituisce tale fatto Y come effettivamente sussistente (e
dunque lo costituisce immediatamente). Una tale regola sarebbe effettivamente sia
Che questa interpretazione del concetto di “regola noetico-costitutiva” possa sovrapporsi alla precedente è
una possibilità prefigurata da Mario Jori nel seguente passo: “Il problema emerge se ci chiediamo se sia
ammissibile una regola thetico-costitutiva che sia condizione non solo sufficiente ma anche necessaria, che sia
cioè l’unico mezzo per ottenere il proprio oggetto. Non mi risulta che questa possibilità sia stata investigata
finora in teoria della costitutività, nonostante essa rappresenti un aspetto importante di una delle sue
distinzioni fondamentali, dal momento che una risposta positiva (le regole thetico-costitutive possono essere
anche una condizione necessaria oltre che sufficiente) farebbe coincidere alcune istanze di una regola theticocostitutiva con alcune istanze di una congiunzione completa di regole eidetico-costitutive” (Jori 1986, 455).
21
26
thetico-costitutiva sia eidetico-costitutiva, ma lo sarebbe distintamente: essa non
comporrebbe i due tipi di costitutività fornendone un unico concetto, bensì,
semplicemente, li sommerebbe. In quanto tale, una tale regola potrebbe essere vista,
senza alcuna difficoltà, come nient’altro che la crasi, o la somma, di un insieme di
regole differenti. Ciò è quanto abbiamo visto anche nella Sezione 2.2: se si pone una
equivalenza tra thetico-costitutività ed eidetico-costitutività sotto il profilo
dell’oggetto costituente, rimane tuttavia tra esse una differenza sostanziale sotto il
profilo del processo di costituzione.
4. Conclusioni
In conclusione della nostra analisi, possiamo riassumerne i risultati teorici nelle
seguenti tre tesi:
(1) Ogni tentativo di porre una equivalenza tra thetico-costitutività ed eideticocostitutività fallisce o sotto il profilo del soggetto costituente, o sotto il profilo
dell’oggetto costituito, o sotto il profilo del processo di costituzione. In altri termini,
non è possibile una tale equivalenza sotto tutti e tre i profili contemporaneamente
(Sezioni 2.1 e 2.2).
(2) Il tentativo di ridurre l’eidetico-costitutività a “thetico-costitutività + definizioni
stipulative di insiemi” fallisce in quanto non rende conto di alcuni aspetti essenziali
del fenomeno della costitutività di concetti da parte di regole (Sezione 3.1).
(3) Il tentativo di ricondurre sia la thetico-costitutività sia l’eidetico-costitutività sotto il
più ampio concetto di condizione non è esplicativo, in quanto la duplicità del
concetto di costitutività si ripercuote in una duplicità del concetto di condizione che
dovrebbe spiegarlo (Sezione 3.2).
Siamo così giunti alla nostra conclusione ipotetica, ovvero che la duplicità del
costitutivo, così formulata, sia irriducibile, e che si stia qui parlando di “cose”
differenti. Certamente, questa conclusione non può considerarsi dimostrata dagli
argomenti sopra esposti, i quali sono vòlti semplicemente a mostrare come alcuni
tentativi di ricomporre la duplicità siano in realtà problematici. Se non dimostrano
detta conclusione, tali argomenti tuttavia la corroborano, ed essa rimane come
ipotesi metodologica. È certo infatti che, se tale ipotesi fosse vera, continuare a
parlare di cose differenti facendo ricorso ad un’unica espressione non potrebbe che
produrre una continua, e ricorrente, confusione teorica.
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