L`OMEOPATIA QUALE MEDICINA “COMPLEMENTARE”

L’OMEOPATIA QUALE MEDICINA
“COMPLEMENTARE”
INTRODUZIONE
L’attuale generazione di medici può dirsi fortunata, poiché ha molte più possibilità nella
diagnosi e nella terapia di quanto ne avesse la generazione precedente. La ricerca analiticoscientifica ha apportato alla medicina successi in ogni campo; la perfezione tecnica della
diagnostica strumentale e della terapia d’urgenza è considerevole.
La chirurgia e le protesi aiutano dove prima esistevano dei limiti. La psicologia
dell’inconscio ha aperto nuovi orizzonti nelle sconosciute sfere dell’anima. La medicina
psicosomatica ci offre il suo aiuto per comprendere la correlazione tra corpo e psiche.
Questa, potrebbe essere una generazione fortunata di medici, con tanti successi. Perché,
ciononostante, viene sperimentato così spesso nel rapporto quotidiano con i pazienti l’esistenza di
uno stato di crisi della medicina? Perché aumenta il numero dei malati cronici? E’ solo una
conseguenza della civiltà e di una maggiore durata della vita? Perché bisogna considerare così
spesso i vantaggi ed i danni di una terapia? Come devono valutare medici e pazienti i pericoli e le
controindicazioni di un farmaco che il fabbricante stesso non conosce con sicurezza poiché tali
danni spesso diventano evidenti solo dopo lungo tempo? Nel nostro tempo non viviamo solo la
minaccia dell’ambiente naturale, ma si osserva anche con molta preoccupazione la ripercussione
sul mondo interiore dell’uomo. Infatti, si possono riconoscere disturbi causati da sostanze nocive e
tossiche presenti nell’aria, nell’acqua, nei cibi ed anche disturbi causati da medicamenti.
Il termine “crisi della medicina” turba da mezzo secolo medici e pazienti: è possibile
trovare una soluzione solo se tutti ci adoperiamo per conoscere le motivazioni affinchè sia
possibile trattarle nel loro complesso.
Bamm ha formulato queste motivazioni nell’Ex ovo:
“il principio scientifico sul quale si basa la medicina è la biologia sperimentale, ma ora si sa che la
biologia sperimentale non ha come soggetto di ricerca la vita, bensì solo i principi fisico-chimici
della vita. Una terapia che si basa esclusivamente sulla biologia sperimentale, ha successo solo sui
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disturbi dovuti a concrete alterazioni fisico-chimiche.
Per il medico che cura l’ammalato, ciò non è sufficiente.
L’ansia metafisica, che agita da tempo la medicina, deriva dal fatto che i principi scientifici
della medicina moderna non comprendono a priori ciò che la medicina ha di fronte a sé al
capezzale di un malato.
Il medico ha di fronte a sé un paziente, la cui salute logorata, disturba la personalità stessa
del paziente…..
Solo una medicina che si occupa dell’individuo nella sua totalità, ha probabilità non solo di
riequilibrare le funzioni biologiche logorate, ma anche di guarire uomini malati”.
Ho citato volutamente un testimone neutrale, poiché il termine “crisi della medicina” non è
stato coniato dagli Omeopati. Esistono nella medicina del nostro tempo persone abbastanza
sensibili, le quali percepiscono l’inquietudine e cercano nuove vie. In questa situazione, ritengo
che i medici siano invitati a ricercare più ampie possibilità di terapia.
L’Omeopatia può aiutare molto la medicina generale e “ufficiale”: è ritenuta sicura e
innocua da quasi duecento anni. Fattore di importanza essenziale: l’Omeopatia cura il malato nella
sua globalità psicofisica (medicina olistica, medicina antroposofica, ecc.) e lo considera come
persona nella sua complessità costituzionale, inserita nel suo ambiente, nelle condizioni del suo
tempo e nella sua storia. Il paziente nella sua individualità è un’unità indivisibile di spirito, psiche
e corpo ed è l’unità di misura dell’attività delle sostanze medicamentose omeopatiche (rimedi).
Le diverse terapie, a seconda della situazione del malato, danno nel quadro generale della
medicina risultati brillanti o nulli.
Ritengo, perciò, che la disputa e l’arroganza dovrebbero cessare nel nostro tempo e lasciar
spazio alla collaborazione tra medicine di impostazioni varie. I medici hanno un preciso obbligo
verso il malato; non si devono avere né ideologie, né indirizzi terapeutici fissi, ognuno può
imparare dall’altro.
Dobbiamo riflettere sulla medicina: sullo sviluppo delle scienze mediche, sulla crisi nella
formazione medica, sui problemi delle strutture sanitarie, sulle crescenti difficoltà di una
significativa esperienza medica. Il rapporto con la salute, la malattia, il dolore, il bisogno, la
caducità, l’abbandono e la crisi è improntato dalla tensione tra le possibilità ed i limiti della
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medicina. Il medico che ha vissuto nel rapporto quotidiano con il suo malato questi limiti, è
invitato ad apprendere ulteriori possibilità terapeutiche. Egli è obbligato dall’amore per la propria
professione e perfino dalla legge.
Oltre ai differenti punti di vista e metodi, si possono esaminare i vari operati e desideri in
campo medico in base ad una frase di Hahnemann, il fondatore dell’Omeopatia:
“il più alto ideale terapeutico consiste nel ristabilire lo stato di salute in modo rapido, dolce e
permanente, nell’eliminare e nel distruggere la malattia nella sua totalità agendo per la via
più breve, più sicura e meno dannosa; questo deve avvenire secondo principi chiari e
comprensibili”.
Ho sentito in parecchie occasioni medici anziani, ma, soprattutto, giovani medici e
studenti, ammettere che lo stato di crisi della medicina potrebbe essere superato se si studiassero
anche metodi terapeutici naturali. I corsi di specializzazione per la medicina omeopatica hanno un
crescente numero di partecipanti. Specialmente gli studenti di medicina desiderano una
formazione precisa e completa. Purtroppo, le facoltà di medicina, precludono ancora questo
desiderio, sebbene il tempo stringa, perché l’allontanamento di molti pazienti dagli ambulatori
medici verso i guaritori è un fenomeno che i politici e le facoltà non dovrebbero ignorare.
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COLLOCAZIONE DELL’OMEOPATIA RISPETTO
ALLA MEDICINA TRADIZIONALE
Gli interventi terapeutici sulle persone malate possono essere classificati in tre categorie:
l’aver cura delle funzioni vitali del malato, il sostenerle e il tenerle in esercizio. A seconda della
situazione in cui si trova il malato è più indicato l’uno o l’altro tipo di intervento. Per esempio, nel
corso di un infarto del miocardio è necessario innanzitutto immobilizzare il paziente ed aver cura
della sua funzionalità cardiaca, potenziare l’irrorazione sanguigna delle coronarie e la funzionalità
cardiaca. Nella fase finale viene attuata la riabilitazione attraverso particolari esercizi.
La cura ed il sostegno delle funzioni vitali dell’organismo vengono attuati principalmente
per mezzo di misure assistenziali e con l’uso di farmaci. La fisioterapia agisce attraverso mezzi di
stimolazione naturali, come la luce, l’aria, l’acqua e il movimento, per rafforzare le prestazioni del
malato grazie all’esercizio.
“Esercizio” significa usare uno stimolo per fare in modo che l’organismo migliori il suo
sistema di autoregolazione, attraverso la reazione da esso provocata. Ogni terapia dovrebbe avere
lo scopo di dare un impulso al rendimento fisico dell’organismo attraverso l’esercizio. La maggior
parte dei metodi curativi della medicina ufficiale dei nostri tempi, se anche favorisce in parte la
cura e il sostegno del malato, tuttavia tende soprattutto a reprimere le reazioni indesiderate.
Sarebbe opportuno riflettere su questi dati di fatto e stabilire la correlazione che questi
interventi terapeutici possono avere con l’aumento dell’indice di morbilità, particolarmente nel
campo delle malattie croniche. Viceversa, per ogni terapia che si basa sulla stimolazione, vale la
regola seguente: per ottenere un risultato non è tanto determinante l’intensità dell’azione, quanto
la reazione allo stimolo provocato.
Il proverbio che, generalizzando, dice “chi più fa, più ha”, viene confutato da tutte le
terapie reattive.
La riabilitazione dopo un infarto del miocardio, parte con esercizi che richiedono il minimo
sforzo; per esempio, nella cura “Oertel” si inizia con un percorso minimo che viene aumentato con
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cautela a seconda della reazione del paziente, cosicchè si ottiene un progressivo e graduale
miglioramento delle prestazioni.
La cura Kneipp classica opera per mezzo di abluzioni parziali, cioè minime stimolazioni
“fredde” le quali bastano appena a provocare un leggero arrossamento e riscaldamento della pelle.
Oggi, purtroppo, ci si allontana troppo da quella che è la cura classica. Il parroco Kneipp usava per
le abluzioni una specie di annaffiatoio, simile a quello piccolo che viene usato per annaffiare le
piante da appartamento (esposto nel museo Kneipp a Bad Wörishofen).
Un bagno completo era una rara eccezione ed era considerato una cura drastica.
Hahnemann stesso, nella sua opera principale L’Organon dell’arte del guarire, consigliava
applicazioni di acqua fredda nei casi di carenza di calore vitale. Potrebbe essere perciò considerato
un precursore della “cura Kneipp”. Inoltre, è interessante il fatto che Hahnemann abbia sostenuto
l’apparente paradosso di tutte le terapie basate sulla stimolazione e cioè: usare il freddo per curare
una carenza di calore.
Per quanto riguarda l’intensità della stimolazione non esiste una regola, né un’obiettiva
unità di misura. Visto che l’andamento della cura è determinato dalla reazione del paziente, viene
stabilito l’impiego di un metro totalmente nuovo: il soggetto. E’ dunque il soggetto stesso che
deve dosare l’intensità di uno stimolo in riferimento unicamente alla reazione che esso gli
provoca. Gli stimoli fisici hanno generalmente un effetto discorde sul sistema neuro-vegetativo e
di conseguenza sul tono dei capillari sanguigni: il fatto è che tali stimoli sono aspecifici, in quanto
non agiscono in maniera selettiva su determinati organi e tessuti.
E’ sensibilmente più specifica l’azione delle sostanze medicinali. “Per ogni male esiste
un’erba che lo cura”; ma come trovare l’erba giusta per curare la particolare malattia da cui è
affetto quel malato?
A questa domanda hanno dato risposta i terapeuti del passato nel corso di diverse
generazioni attraverso l’esperienza, l’osservazione e l’istinto naturale.
L’esperimento, usato come “domanda mirata posta alla natura”, ha invero già dei
precursori nell’antichità e nel medioevo; ma, solo con Francis Bacon (1561-1626), l’esperimento
acquista quell’importanza che diventerà poi essenziale per le acquisizioni scientifiche dell’era
moderna. L’opera principale di Bacon è intitolata Organon; non è certo per caso che Hahnemann
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usa questa stessa parola per intitolare la sua opera più importante. La sua ipotesi di lavoro suona
così: quale la reazione che una determinata sostanza medica provoca su un soggetto sano?
Hahnemann non si accontenta di una spiegazione speculativa, come, per esempio, che un
medicamento ha delle proprietà stomachiche o ricostituenti o lassative oppure che agisce come un
solvente, o, che ha un’azione desensibilizzante. La sua risposta inequivocabile è la seguente:
“Il medicamento provoca una malattia artificiale. Come succede per ogni sostanza estranea,
anch’esso innesca uno stimolo specifico. Ed è solo attraverso la reazione dell’organismo che
questo medicamento diventa una sostanza curativa”.
Con questi esperimenti, e cioè con la
somministrazione di sostanze medicinali a soggetti sani, viene dimostrato chiaramente che
l’azione del medicamento segue le leggi della terapia reattiva:
1. Ogni medicamento provoca uno stimolo specifico che è tipico per quella sostanza.
2. Lo stimolo deve essere esattamente calibrato per ottenere una giusta reazione.
3. La reazione è strettamente correlata con le condizioni di partenza dell’organismo.
4. Stimoli di lieve intensità hanno un effetto stimolante grazie alla risposta reattiva
dell’organismo. Stimoli di maggiore intensità provocano una reazione diretta ed immediata.
Stimolazioni massicce invece hanno un effetto tossico.
5. E’ il soggetto stesso che decide, a seconda della sua reazione, se lo stimolo è adeguato, oppure
no.
Quest’ultimo punto chiarisce la diversità dell’impostazione terapeutica tra Allopatia ed
Omeopatia.
Per avere un effetto lassativo, stimolando direttamente l’intestino, è necessario
somministrare una dose consistente di Aloe. Quando, invece, deve essere curato un intestino già
irritato, per esempio affetto da colite, bisogna usare una dose minima di Aloe. L’Aloe provoca
come malattia artificiale uno stato di irritazione. Se questo stato di irritazione esiste già come
malattia naturale, l’Aloe, in dose infinitesimale, può rimuovere questo stato. Dunque, il male che
viene provocato da una determinata sostanza, può essere curato con la stessa sostanza. E’
determinante la situazione di partenza. La malattia naturale e spontanea e la specifica malattia
artificiale provocata devono essere il più possibile simili.
La diversità tra questi due principi risulta evidente dalla delimitazione dei rispettivi campi
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di impiego (vedi tab. 1).
Il rimedio omeopatico non sostituisce direttamente la sostanza mancante nell’organismo né
vuole riequilibrare parzialmente il sistema o sopprimere direttamente un sintomo. L’Omeopatia
vuole avere una funzione regolarizzatrice agendo sui processi di controllo centrali dell’organismo.
Ogni organismo vivente tende, in virtù di una legge naturale, a mantenersi in equilibrio.
Questo equilibrio lo ottiene con reazioni adeguate rispetto a stimoli interni o esterni. Naturalmente
il tipo di risposta allo stimolo dipende dalla situazione di partenza dell’organismo ed ha lo scopo
di mantenere “l’equilibrio di flusso” (di Berthalanffy), l’omeostasi dei processi vitali. Ciò che ci fa
distinguere un essere vivente da uno privo di vita è proprio questa capacità di reagire ad uno
stimolo, mentre la capacità di mantenimento “dell’equilibrio di flusso” indica lo stato di salute o di
malattia di un organismo.
Qualsiasi azione di disturbo che interferisca nell’armonia interna fa scattare dei processi di
regolazione, come per esempio febbre, infiammazione, reazioni vegetative, ecc. (Hoff).
Alcuni di questi processi di regolazione, per esempio la febbre, si manifestano spesso in
maniera
particolarmente
violenta.
Interpretando
questa
febbre
come
una
necessaria
autoregolazione dell’organismo, essa diventa una “malattia salutare”. L’uso sconsiderato di
antipiretici può danneggiare la regolazione immunitaria dell’organismo. La soppressione del
sintomo, infatti, impedisce l’autoregolazione. Un medico dell’antica Roma, Celso, arrivava a dire:
“Datemi un farmaco che sia in grado di provocare la febbre ed io curerò tutte le malattie”.
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Tabella 1
Principio terapeutico
sostituzione
Esempi
sostituzione di sostanze •
anemia sideropenica curata con il ferro
•
diabete insulino dipendente curato con
mancanti
l’insulina
compensazione
riequilibrio di un’attività •
insufficienza cardiaca acuta curata con
difettosa
la digitale
•
soppressione
regolazione
edemi curati con i diuretici
eliminazione di reazioni •
reazioni
esagerate o indesiderate
cortisone e gli antistaminici
modulazione
di
allergiche
curate
con
•
extrasistoli curate con gli antiaritmici
•
infezioni curate con gli antibiotici
certe •
reazioni
il
desensibilizzazione con dosi minime
di allergeni
•
stimolazione del sistema immunologico con vaccinazioni
•
Omeopatia
La medicina deve intervenire quando il cosiddetto “medico interno”, cioè il sistema di
autoregolazione, reagisce in maniera esagerata o insufficiente. Questo, però, non deve essere un
intervento di soppressione o di stimolazione di breve durata. La terapia omeopatica in particolare,
ha lo scopo di stimolare il sistema di regolazione proprio dell’organismo ad operare una
“autoguarigione” e di guidarne sensatamente l’andamento. Essa si limita ad aiutare le risorse
interne dell’organismo. Natura Sanat!
Per poter guidare il sistema di regolazione proprio dell’organismo è necessario considerare
la situazione di partenza di ogni singolo malato, che si riconosce prendendo in esame le reazioni
individuali, cioè la sintomatologia: il grado di alterazione della capacità di risposta nel singolo
caso patologico è indicato dai reperti diagnostici obiettivi e dal turbamento dello stato soggettivo.
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Il reperto diagnostico obiettivo rende possibile l’individuazione della malattia e la
classificazione dei disturbi, mentre lo stato soggettivo del malato ne permette una visione più
profonda: l’ammalato, cioè, può essere considerato come una “persona che soffre”.
Ogni persona deve essere presa in considerazione dal medico come un unico insieme di
spirito, psiche e soma e può essere compresa nella sua totalità solo se considerata individualmente.
I processi di regolazione, che precedentemente abbiamo esaminato dal punto di vista
fisiologico, assumono, su un piano personale, un significato più profondo: la malattia è
un’alterazione del sistema che, a monte, controlla le funzioni dell’individuo e gli fornisce
l’energia necessaria a mantenersi in vita. Hahnemann definisce quest’istanza centrale “energia
vitale spirituale, forza, autocrazia”, Aristotele parla di “entelechia”, altri di “principio vitale”: sono
soltanto parole o termini diversi per indicare qualcosa che gli uomini non sono in grado di
definire. Ma ognuno di noi è consapevole che da questa “cosa” indefinibile, inesplorabile anche
per le scienze naturali, traiamo la vita. Questa “cosa” è imponderabile, incomparabile e
sperimentalmente indefinibile.
La terapia psicosomatica e le altre forme di psicoterapia operano in questo campo usando
la parola e il dialogo. La valutazione della soggettività rappresenta il punto di incontro tra le
terapie psicosomatiche e l’Omeopatia.
La medicina ufficiale dei nostri tempi fa uso frequente di medicinali omeopatici in
farmacia, almeno nel campo ponderabile e misurabile della fisiologia; in questo caso la
classificazione dell’Omeopatia quale particolare forma di terapia regolatrice favorisce la reciproca
comprensione fra le due medicine, Allopatia ed Omeopatia.
Con la sua caratteristica di “medicina naturale”, l’Omeopatia tende ad integrare psichiatria
e medicina interna. Queste non sono solamente parole altisonanti: la sperimentazione, la scelta e
l’azione del farmaco omeopatico toccano e riuniscono la totalità delle manifestazioni patologiche
della psiche, dello spirito e del soma.
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L’OMEOPATIA
L’Omeopatia, come abbiamo già detto in precedenza, è una forma di terapia che mette in
opera un principio fondamentale d’ordine farmacologico: la Legge dei Simili. Tale legge, in breve,
si può riassumere ed enunciare nel modo seguente: “un qualsiasi prodotto che somministrato a
forti dosi fa scattare certi disturbi nell’uomo sano, diviene a dosi molto leggere, infinitesimali,
cioè dopo diluizioni e dinamizzazioni, il rimedio capace di guarire questi stessi disturbi nell’uomo
malato”. Così, per fare altri esempi oltre all’Aloe già in precedenza trattata, l’Ipecacuana a forti
dosi, fa vomitare, mentre a dosi leggere, cioè diluita e dinamizzata, quindi “Omeopatica”, sarà uno
dei rimedi contro la nausea ed il vomito. Il caffè, la Coffea arabica disturba in genere il sonno, a
dosi omeopatiche viene utilizzato nel trattamento dell’insonnia. L’Oppio a dose rilevante paralizza
la muscolatura liscia dell’intestino, a dose omeopatica, sarà uno degli elementi per il trattamento
della costipazione. “Similia Similibus curantur”: “i Simili si guariscono con i Simili”.
L’applicazione di questa legge d’attività terapeutica ha come presupposto l’impiego di
medicamenti altamente diluiti, estremamente deconcentrati e dinamizzati. Sarà, dunque, un’altra
originalità dell’Omeopatia utilizzare dei medicamenti solo al di sopra della soglia del ponderabile.
La medicina classica usuale, chiamata come già detto in precedenza per antitesi Allopatia, è la
medicina del ponderabile. L’Omeopatia è la medicina della diluizione, dell’imponderabile
attivato. Il medicamento omeopatico si caratterizza, dunque, per la sua estrema diluizione ottenuta
mediante la tecnica descritta nella Farmacopea Omeopatica Ufficiale.
Si preparano così dei rimedi che saranno prescritti in generale sia a bassa diluizione, cioè
dalla 1^ alla 10^ cifra decimale, DH (decimale Hahnemanniana), sia a media diluizione: dalla 7^
alla 9^ centesimale, CH (centesimale Hahnemanniana) e al di sopra, la 12^, 15^, 30^ centesimale
rappresenta il limite correntemente utilizzato in Francia. In Germania ed in altri Paesi, invece,
vengono utilizzate diluizioni alla 200^ cifra decimale fino alle millesimali.
Queste diluizioni rappresentano delle deconcentrazioni di sostanze estremamente spinte,
poiché, per esempio, un ml. della 4^ centesimale contiene 1:10-8 di sostanza attiva, cioè 1/100 di
millesimo di milligrammo; quindi, nella 30^ centesimale si avrà 1:10-60 di sostanza attiva.
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Avendo parlato di diluizioni Hahnemanniane mi sembra doveroso ritornare sulla vita e
sull’opera del fondatore dell’Omeopatia: Samuel Christian Hahnemann. Hahnemann è stato un
medico della Sassonia, nato a Meissen nel 1755. Esercitò in numerose città della Germania del
Sud prima di stabilirsi a Lipsia. Il giovane medico era già profondamente in crisi riguardo le sue
convinzioni mediche a causa della povertà della Terapia dell’epoca che risultava spesso dannosa
con i suoi salassi e clisteri.
Rinunciando all’esercizio pratico della medicina ed alla clientela e per poter campare,
Hahnemann si dedicò alla traduzione di opere straniere. Fu così che nel 1790, traducendo il libro
“Materia Medica” di un medico scozzese molto stimato chiamato Cullen, la sua attenzione fu
attratta da un articolo che trattava della China. Hahnemann non poteva ammettere ciò che vi era
scritto, cioè, che: “la corteccia di China agisce sulla febbre in virtù dell’azione fortificante che essa
esercita sullo stomaco”. Egli, infatti, aveva contratto quando era giovane studente, la febbre
terzana in Transilvania ed aveva consumato forti dosi di questa sostanza constatando che anziché
fortificargli lo stomaco, gli aveva invece provocato un inizio di gastrite. Dunque bisognava
credere che Cullen si era sbagliato? Hahnemann, molto onestamente, decise di rifare l’esperimento
e per parecchi giorni si sottomise ad un trattamento di quattro pillole di China per due volte al
giorno. Lontano dal sentire il suo stomaco rafforzato, egli provò una serie di disturbi:
raffreddamento delle estremità, debolezza, sonnolenza, palpitazioni, angosce, tremori, sete e brevi
elevazioni febbrili che erano tutti sintomi soggettivi di febbre intermittente. (Ricordo che in
quell’epoca il termometro medico non era ancora stato inventato). Hahnemann fu allora colpito da
tale coincidenza e notò alla pagina 108 del tomo II dell’opera di Cullen questa frase che è
veramente l’atto di nascita dell’Omeopatia: “Alcune sostanze che provocano una specie di febbre
debellano diverse varietà di febbri intermittenti”; detto in altre parole, come già esposto in
precedenza: “La febbre guarisce la febbre”.
Hahnemann protrasse la sua sperimentazione e pubblicò numerosi articoli e nel 1810 uscì:
“L’Organon dell’arte del guarire”. Alla pubblicazione quest’opera fu occasione di numerose
critiche e di attacchi personali. Hahnemann perse il posto di medico di igiene che gli aveva
affidato la città di Lipsia, ma appena aprì un ambulatorio medico vide affluire molti malati. Alcuni
medici di più ampie vedute si interessarono alla dottrina e cominciarono a studiarla: si costituirono
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alcuni gruppi di società medico omeopatiche e arrivarono gli onori.
Nel 1821 Hahnemann fu accolto nel Ducato d’Anhalt Kotlen dal principe regnante il quale
lo nominò consigliere medico, cioè medico particolare.
All’età di 65 anni, Hahnemann conduce una vita tranquilla dedicata unicamente alla cura
dei suoi malati ed a studi di ricerca. Sperimenta numerosi medicamenti, assumendoli lui stesso o
dando ai suoi discepoli delle dosi serie di questi medicamenti in modo da studiare i sintomi che ne
scaturivano e di ritrovarli in seguito nel malato da curare. Questi esperimenti, i cui risultati sono
ancora utilizzati dai medici omeopatici attuali, sono chiamati “patogenesi” e sono raccolti nelle
opere denominate “Materie Mediche”. Muore nel 1843 nel pieno degli onori. Le sue spoglie
riposano nel cimitero di Père Lachaise dove si può vedere la sua tomba curata dalla Società
Francese di Omeopatia.
Hahnemann ha creato l’Omeopatia. Ha saputo sperimentarla e verificarla clinicamente,
però nello stesso tempo egli sviluppava la Legge dei Simili con il suo corollario dell’impiego della
dose infinitesimale; egli cercò di individualizzare al massimo la patologia, valorizzando il Terreno
del malato. Per lui le malattie acute sono delle reazioni della natura per espellere gli agenti
morbosi come già aveva esposto Sydenham. Per quanto riguarda le malattie croniche, esse si
possono ridurre a tre grandi Diatesi i cui differenti sintomi clinici non sono altro che l’affiorare di
queste. Le Diatesi Omeopatiche battezzate dal linguaggio dell’epoca sono la Psoriasi, la Sicosi, la
Luetica alle quali più tardi, eminenti Omeopati del XX secolo hanno aggiunto la Tubercolotica e
la Cancerosa. Esse sono tutte basate sulla nozione propria degli Omeopati dell’ereditarietà delle
intossicazioni, cioè, del passaggio delle tossine dal genitore al bambino senza che ci siano,
propriamente parlando, delle contaminazioni batteriche o virali. Le loro denominazioni le fanno
sembrare inconsuete, però l’esperienza dimostra che esse ricoprono realtà cliniche realmente
esistenti.
Mi sembra utile definire, in breve, queste Diatesi poiché il loro nome ritorna spesso nei
trattati di Medicina Omeopatica.
1. Sicosi
Per Hahnemann la Sicosi era fondamentalmente la malattia dei Condilomi venerei e scoli
uretrali. Queste patologie sono sensibili al medicamento omeopatico Thuya. In una prima
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analisi è possibile collegarla ad un’impregnazione lenta e profonda causata dal gonococco.
Come è stato in seguito dimostrato dai lavori di autori contemporanei, in particolare
BERNARD, questa Sicosi è fondamentalmente una malattia cronica del sistema
Reticoloendoteliale, una Reticoloendoteliosi cronica che si traduce in uno stato di minore
resistenza dell’individuo con infiltrazione idrica del tessuto connettivo. In tal caso essa può
derivare dall’azione di numerosi agenti patogeni diversi dal gonococco, per esempio, il
paludismo. Questa Sicosi può anche provenire dall’impiego troppo ripetuto di siero, oppure di
vaccini mal tollerati. I medicamenti indicati dalla Sicosi sono Thuya, ma anche l’Acido
Nitrico e il Bioterapico Nosode Medorrhinum.
2. Luetismo
Il Luetismo è l’insieme dei disturbi provocati sia da una Sifilide acquisita e trascurata, sia
piuttosto da una Sifilide ereditaria curata o meno.
Tra i principali medicamenti indicati per questa Diatesi, cito il Bioterapico Nosode Luesinum
ma anche: Mercurius, Aurum, Baryta e Calcarea Fluorica.
3. Psoriasi
Per Hahnemann la Psoriasi, da un punto di vista estremamente generale, è uno stato di
intossicazione cronica che risulta dalla somma di tutte le impregnazioni tossiniche acquisite o
ereditate che non dipendono né dalla Sicosi né dal Luetismo e che si traducono
fondamentalmente attraverso manifestazioni cutanee.
Poiché all’epoca una delle grandi cause delle malattie cutanee croniche era l’Acaro della
Scabbia, Hahnemann considerò questo parassita all’origine della Psoriasi. Attualmente
sembra che il quadro Psorico sia estremamente vasto e che possa essere validamente
inquadrato, elencato e classificato. In ogni modo le sue caratteristiche corrispondono alla
patogenesi del Nosode Psorinum preparato a partire dal liquido che si trova nel solco
tracciato nella pelle del malato dall’Acaro della Scabbia.
Tra i medicamenti antipsorici Sulfur, sarà il più indicato.
4. Tubercolinismo
Si tratta si una Diatesi che è stata messa in luce più recentemente da Leon Vannier. Tale
concezione la dobbiamo al Dott. Nebel i cui lavori ispirarono il Dott. Vannier. Essa definisce
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un Terreno modificato dalla Tubercolosi acquisita od ereditaria. I malati tubercolinici sono
estremamente sensibili alle tossine del Bacillo di Koch. Essi sono più facilmente vittime degli
altri di affezioni tubercolari o affezioni derivate, dette tubercoliniche, come le affezioni
pleuro-polmonari e le asmatiche. I Nosodi bioterapici Tuberculinum e Tuberculinum
Residuum, i medicamenti Pulsatilla, Silicea, Calcarea Phos., sono indicati nel
Tubercolinismo.
5. Cancerinismo
Anche qui abbiamo a che fare con una Diatesi nettamente individualizzata dal Dott. Leon
Vannier in seguito ai lavori originali del Dott. Nebel. Si tratta di una nozione abbastanza
difficile per definirla in termini medici e scientifici. Essa designa dei malati il cui Terreno
predispone al cancro per la loro ereditarietà o quanto meno per i disturbi di cui sono vittime.
Numerosi test di laboratorio sono stati studiati per definire questo Terreno. Danno spesso
risultati interessanti ma vanno interpretati con cautela.
Non si deve dimenticare che queste Diatesi non sono mai entità fisse. Esse sono dotate di
possibilità evolutive che dipendono da fattori intrinsechi o estrinsechi suscettibili di
manifestarsi nell’organismo. Le Diatesi sono modificabili con una terapia adeguata. Infine,
possono coesistere nello stesso soggetto esercitando influenze reciproche le une sulle altre in
senso sia favorevole che sfavorevole alla salute dell’individuo.
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TERRENO – COSTITUZIONE – TEMPERAMENTO
La nozione di Terreno è una delle pietre angolari dell’Omeopatia ma gli Omeopati non ne
rivendicano né la paternità né il monopolio. Nessuno di loro ignora, infatti, che è uno dei postulati
fondamentali della medicina e che dovrebbe restare una delle regole d’oro di ogni medico.
TERRENO
Terreno, Costituzione, Temperamento sono strettamente legati e sono difficilmente
dissociabili. Essi fanno parte del concetto di totalità che era come abbiamo visto, uno dei principi
di Ippocrate. Non si può definire senza separare e noi non ignoriamo che in una simile materia
ogni separazione è una “profanazione”. Però la chiarezza esige degli schemi. Dirò, dunque, che il
Terreno è “l’organismo vivente considerato come un sistema completo nel quale l’anatomia, la
morfologia, il funzionamento fisiologico, lo psichismo, gli antecedenti ereditari e acquisiti si
presentano essenzialmente come aspetti analitici di un tutto indivisibile”. E’ il complesso che è
formato dagli elementi della Costituzione e del Temperamento nel loro legame con le Diatesi.
La composizione è un composto statico che si basa su elementi stabili, i meno modificabili
dell’organismo che sono appunto: la struttura del sistema osseo, i rapporti delle sue differenti
parti, la struttura dei tessuti, la loro plasticità, le forme: rotondo, piatto, quadrato, cubico, ecc.
Il Temperamento è uno stato dinamico. Esso fa uso delle proprietà che sono in potenza
nella costituzione dell’individuo. Vi è in un certo qual modo un processo che interviene nel
divenire, il modo del determinante funzionale della totalità dell’essere.
Possiamo dire: “fissità nella Costituzione, variabilità nel Temperamento”.
Come hanno ben detto da una parte Leon Vannier: “la Costituzione è quello che è, il
Temperamento è quello che diviene” e pende d’altra parte: “il Temperamento ci appare come il
tratto d’unione tra la forma e la funzione, tra il corpo e lo spirito”.
TERRENO:
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1. COSTITUZIONE: Stato invariabile
2. TEMPERAMENTO: Stato variabile.
Le modalità funzionali e di reazione del binomio Costituzione-Temperamento sono in
stretto rapporto con il sistema reticolo-endoteliale e soprattutto con il sistema endocrinosimpatico.
Da qui molti aspetti comuni come abbiamo visto, tanto fisiologici che patologici, tra le
analisi e clichés omeopatici e le descrizioni e i quadri neuro-endocrino-simpatici.
Esiste una classifica delle Costituzioni e dei Temperamenti che usano al nostro tempo gli
Omeopati. Per ordine cronologico e non per ordine logico, la classificazione dei secondi ha
preceduto l’altra.
Quanto alla descrizione delle Costituzioni, essa è stata oggetto di numerose opere tra le
quali è difficile ritrovare l’esatta origine.
Vengono citate due classificazioni tali quali senza pregiudicarne il loro rigore scientifico.
Esse si basano su delle osservazioni empiriche e praticamente rendono dei grandi servizi
all’esercizio dell’Omeopatia, sia come guida diagnostica e terapeutica, sia a causa delle numerose
allusioni che le riguardano nella letteratura didattica degli Omeopati; queste classificazioni non
sono né esaurienti né esclusive.
Numerosi e interessanti studi sui Temperamenti e sulle Costituzioni esistono nel terreno di
pertinenza degli Ippocratisti, dei Morfologi e soprattutto degli Omeopati.
In ogni caso cercherò di illustrare la nomenclatura delle Costituzioni e dei Temperamenti
della Scuola Omeopatica Contemporanea.
COSTITUZIONE
La teoria delle Costituzioni stabilita da Nebel e Vannier è fondata su un postulato; lo
scheletro è formato da un miscuglio di tre sali di calcio: carbonato, fosfato e fluoruro i cui valori
assoluti sono largamente disuguali ma le cui rispettive proporzioni esercitano un’influenza
specifica sui soggetti…… Ognuno di questi sali impregna l’armatura ossea dandole caratteristiche
anatomiche differenziali.
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D’altra parte ognuno di questi radicali chimici possiede un dinamismo che gli è proprio e
che è di natura tale da far promuovere nella sua categoria delle disposizioni fisiologiche e degli
orientamenti morbosi speciali.
Esistono i seguenti tipi costituzionali:
•
il Carbonico
•
il Fosforico
•
il Fluorico.
Il Carbonico o il Calcareo Carbonico è il tipo in cui teoricamente si constata la
predominanza relativa della presenza e dell’influenza del carbonato di calcio.
Il Fosforico o Calcareo Fosforico è colui in cui predomina il fosfato di calcio.
Il Fluorico o Calcareo Fluorico è colui in cui predomina il fluoruro di calcio.
Bisogna constatare che tali dati non sono stati mai verificati dall’analisi chimica, ma che
essi corrispondono perfettamente all’osservazione clinica.
L’orientamento
di
un
organismo
verso
una
o
l’altra
Costituzione
dipende
dall’Embriogenesi. Sarebbe a dire che la Costituzione è prestabilita alla nascita, che appare nella
sua forma e nelle sue funzioni a partire dalla prima settimana e nella fissità del suo quadro,
indipendente da accidenti morbosi individuali, essa seguirà per tutta la vita il suo determinismo.
Non è eccezionale incontrare delle combinazioni tra l’uno e l’altro di questi tipi
costituzionali. In particolare il tipo misto Fosfo-Fluorico è frequente; le altre combinazioni sono
più rare.
La diagnosi di Costituzione si fa per mezzo dei segni obiettivi derivanti dall’esame
somatico.
Avevo detto in precedenza che ciascun tipo costituzionale possiede oltre al suo staticismo,
un dinamismo funzionale appropriato. Si è potuto descrivere in ogni categoria un tipo infantile ed
un tipo adulto, un tipo ben portante ed un tipo patologico. E’ esatto, ma bisogna aggiungere che
ogni Costituzione oppone i suoi modi reazionari particolari alle aggressioni morbose.
Prendiamo l’esempio dalla tubercolosi.
Per il Carbonico, la prima caratteristica di fronte al B.K. è d’essere difficilmente
vulnerabile. Se l’organismo è invaso, esso possiederà una spiccata attitudine alle localizzazioni
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tessutali più benigne (tubercolosi extra-polmonare). Se si tratta di un attacco polmonare, si
osserverà una tendenza più fortunata di lesioni limitate alla fibrosclerosi, alla apiressia.
Il Fosforico, al contrario, è il Terreno d’elezione del B.K. che si impadronisce, senza
difficoltà, di tutti i tessuti di ogni localizzazione. Qui la tubercolosi produce delle forme acute,
ipertermiche, a rapida evoluzione. Quella Polmonare è una tubercolosi granulosa o ulcero-caseosa
estensiva, facilmente bilaterale.
Il Fluorico più sensibile del Carbonico alle tossine del B.K. si difende abbastanza bene. In
lui i processi di sclerosi sono attivi, ma spesso non sono circoscritti e, sconfinando dalla loro
localizzazione, provocano danni circonvicini tipo spine irritative di natura tale da provocare
l’asma.
Se è vero che in ogni quadro costituzionale si può incontrare uno stato di salute ideale, è
certo che il Carbonico rappresenta il tipo fisico più resistente e il più equilibrato; il Fosforico il più
fragile ed il più instabile, il Fluorico resta a metà tra i due.
Certi autori hanno immaginato l’ipotesi che il prototipo originale umano sarebbe stato un
Carbonico e che le altre formazioni costituzionali non sarebbero che delle derivazioni conseguenti
a delle irregolarità dell’organismo, influenzate da determinate Diatesi morbose.
Tale spiegazione è plausibile e si ammette volentieri che la Costituzione fosforica deriva
dalle modificazioni causate dal B.K., mentre quella fluorica deriverebbe dalla sifilide. Il tipo misto
fosfo-fluorico riunirebbe l’influenza di tutte e due le Diatesi.
Lo studio delle patogenesi non manca di rivelare le affinità esistenti tra tale medicamento e
tale gruppo costituzionale. Aggiungo che ad ogni tipo costituzionale appartiene uno psichismo
appropriato, nello stesso modo in cui si può assegnare a ciascuno di essi delle corrispondenze
endocrino-simpatico elettive.
TEMPERAMENTO
Ciò che si designa sotto il nome di Temperamento era stato descritto da Grauvogl sotto la
denominazione di “Costituzione bio-chimica”. In precedenza sono stati segnalati gli stretti rapporti
che esistono tra l’uno e l’altro termine e, senza snaturare il pensiero dell’autore citato, si può dire
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che c’è della somiglianza tra il Temperamento e la Costituzione essendo scontato che viene
considerato il composto umano sotto il suo aspetto dinamico e sotto quello funzionale. Grauvogl
scrisse: “l’Idrogeno, il Carbonio, l’Ossigeno e l’Azoto sono gli elementi fondamentali della cellula
organizzata; gli altri fattori che entrano nella sua composizione chimica hanno invece un ruolo più
secondario”.
Sono questi quattro metalloidi di base che condizionano i processi generali
dell’anabolismo e del catabolismo, dell’assimilazione e della disassimilazione.
I Temperamenti biochimici sono tre.
Il primo, o Idrogenoide, è caratterizzato da un eccesso di idrogeno, di conseguenza da un
disturbo del metabolismo dell’acqua e quindi da un eccesso d’acqua.
Il secondo, o Ossigenoide, è caratterizzato non da un aumento di ossigeno ma da una sua
eccessiva influenza nell’organismo, un eccesso di ossigenazione del sangue.
Il terzo, o Carbo-Nitrogenoide, è caratterizzato da un eccesso di carbonio e d’azoto; in
seguito ad un’ossigenazione insufficiente si produce un aumento della formazione o della
ritenzione nel sangue e negli umori di sostanze carbonitrogeniche dell’organismo.
Si fa la diagnosi di questi Temperamenti nel seguente modo:
l’Idrogenoide si riconosce dalle sue infiltrazioni tessutali, dalla sua iperidratazione o
prolungamento del tempo di riassorbimento di una iniezione sottocutanea di soluzione fisiologica.
C’è una tendenza agli edemi, un generale rallentamento della circolazione sanguigna e linfatica.
Gli Idrogenoidi sono ipersensibili all’umidità in tutte le sue forme: tempo umido, clima
umido, regioni umide, vallate, mare, paludi. Ne risultano numerose attitudini patologiche che sono
facili a dedursi dal postulato iniziale (reumatismi, cellulite, edema, ecc.) e delle speciali modalità
reazionali: malattie dalle lenti reazioni, raffreddamento, ipertermia.
L’Ossigenoide è il contrario del precedente. In esso esiste una iperattività di scambi che si
traduce in un insieme di sintomi che caratterizzano l’aumento del metabolismo basale: il
dimagrimento, la demineralizzazione vanno alla pari con l’ipertermia. Lo stato fisico si
accompagna ad uno stato mentale particolare: agitazione, inquietudine, ansietà.
Il Carbonitrogeno non si presenta generalmente come un tipo primitivo. Molto più spesso il
suo quadro clinico si costituisce a partire da uno dei Temperamenti precedenti in un periodo di
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vita che, frequentemente, è situato vicino alla cinquantina. L’individuo si presenta come un autointossicato, accusando dei disordini funzionali fra i più svariati: epatici, renali, digestivi, cutanei,
circolatori, nervosi. E’ una sorta di stato allergico che apre le porte ad ogni possibilità morbosa;
ogni malattia compiendo male il suo ciclo, assume un aspetto cronico, evolvendo inesorabilmente
verso un esito fatale: sclerosi, ipertensione, cancro.
Mentalmente è un instabile che alterna periodi di astenia a periodi di ipereccitabilità.
Questi sono dunque i tre Temperamenti di Grauvogl. Ma colui che ha veramente fondato la
tipologia moderna è Martiny. Tale autore ha anche lui stabilito una classificazione estremamente
interessante basata sulla predominanza dei tre foglietti embrionali: l’Endoblasto, l’Ectoblasto ed il
Mesoblasto e quindi si trova:
•
il tipo Endoblastico, il digestivo, pallido, rotondo, dall’addome prominente, dallo sviluppo
preponderante del piano inferiore della faccia: è il Carbonico degli Omeopati.
•
Il tipo Ectoblastico, il nervoso, magro, longilineo ha predominanza del piano superiore del
massiccio facciale: è il Fosforico degli Omeopati.
•
Il tipo Mesoblastico, il respiratorio, l’apoplettico, il sanguigno, il brevilineo, astenico è il
“Sulfur grasso” degli Omeopati.
*****
21
IL CONSULTO OMEOPATICO
GENERALITA’
Il consulto omeopatico non differisce di primo acchito da un consulto ordinario, con
l’esame del malato tale e quale quello praticato dalla maggioranza dei medici.
Ogni clinico che vuole fare dell’Omeopatia rimarrà innanzitutto fedele alle sue abitudini
personali e classiche nell’esame del malato: oggetto della visita, studio degli antecedenti ereditari
ed acquisiti, esame degli apparecchi funzionali, indagine sulle condizioni di vita e sulle condizioni
alimentari, indagine molto precisa sulle terapie precedenti, che siano vecchie o recenti, riassunto
della natura con le date delle vaccinazioni o delle sieroterapie anteriori, bilancio biologico.
Questo genere di indagine non costituisce affatto una novità. Gli Omeopati hanno tuttavia
la reputazione di procedere in maniera originale.
Questa originalità risiede nell’esattezza rigorosa ricercata nell’interrogatorio del malato e
nella valorizzazione di certi dettagli che si ha spesso la tendenza di sottovalutare.
Gli Omeopati, fedeli al Principio d’Unità, si sforzano di concepire il malato come un
tutt’uno, inseparabile, come già detto nel corso della mia dissertazione, dal flusso vitale
universale. La malattia è un episodio che si deve integrare nella storia dell’individuo e della sua
famiglia biologica, donde la necessità di certe precisioni. Nell’interrogatorio, prima di tutto, si
insisterà sull’inizio, sull’origine e sulle circostanze di apparizione dello stato patologico attuale;
sulle condizioni precise in cui sono apparsi la sindrome o il sintomo. Per esempio: un’insonnia che
sopravviene in seguito ad un bagno freddo, una dissenteria dopo un’indigestione di frutti di mare,
un’orticaria o allergia in seguito ad un assorbimento di medicamenti, ecc.
Si deve poi vedere se non si deve stabilire un rapporto di dipendenza tra lo stato attuale ed
il passato patologico del paziente: nevralgie intercostali in un vecchio pleuritico, eczema in un
adulto colpito nell’infanzia da una crosta lattea, verruche in un vecchio blenorragico.
Qui è necessario fare una precisazione.
E’ stato rimproverato agli Omeopati di esagerare negli apprezzamenti relativi alle
successioni morbose e di fare dei collegamenti paradossali. Senza dubbio, alcuni eccessi possono
essere commessi, ma secondo l’ideologia omeopatica è necessario rimanere fedeli a questa
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dottrina della ricerca delle metastasi morbose. Uno spirito d’analisi esclusivo impedisce spesso di
discernere queste corrispondenze tra il sintomo morboso che appare in un malato in un dato
momento ed il suo passato patologico completo. Invece, da un punto di vista terapeutico, ciò, può
avere un’importanza enorme.
Nella loro inchiesta approfondita, gli Omeopati tengono conto di ciò che essi chiamano le
“modalità”. Una “modalità” definisce il modo in cui ciascun individuo reagisce regolarmente
alle sollecitazioni del mezzo esterno. Questa nozione di mezzo esterno è presa nel senso più largo
e ingloba così bene sia l’alimentazione che l’affettività, la professione, la classe sociale, le
influenze meteorologiche, ecc.
In generale si raggruppa in rubriche: sensibilità al caldo e al freddo, al secco ed all’umidità,
all’acqua, alla montagna, al mare, alla pianura ed alla città; sensibilità ad ogni eccitazione
sensoriale: il vino, il caffè, il tabacco, la luce, i rumori ed i movimenti; avversione o desiderio di
questo o di quell’alimento, ecc.
Dallo studio delle “modalità”, si può arrivare allo studio della mentalità e dello psichismo.
La psiche comprende l’analisi delle funzioni affettive ed intellettuali, la struttura morale, la
conoscenza del carattere, cioè l’insieme di tutti gli elementi costituenti la personalità psicologica e
le tradizioni eccezionali. Essi sono: l’ottimismo, il pessimismo, la gioia, la tristezza, la dolcezza, la
collera, la sessualità, il sonno ed i sogni, che è importante non trascurare. La psicosomatica è stata
un’arma utilizzata dal medico omeopatico ancora prima che il termine fosse creato.
In ultimo luogo e per realizzare la scelta del Simillimum, gli Omeopati tengono conto di un
certo numero di piccoli segni che sono realmente caratteristici del medicamento e che
raggruppano con i dati dell’interrogatorio, permettendo di individuare più facilmente il
Simillimum valido.
Queste sono le note chiave degli autori anglosassoni.
Il consulto omeopatico comporterà in più, l’individualizzazione del malato mediante
l’aiuto della Diagnosi, della Costituzione, della Diatesi e del Temperamento.
Il trattamento dovrà tenere conto di tutte le informazioni fornite dalla Diagnosi così posta.
Se il caso sembrerà giudicabile per mezzo di un Simillimum si prescriverà il rimedio unico; se
parecchi medicamenti saranno indicati, si sceglierà il rimedio in funzione dei sintomi presentati
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dal malato ed in funzione dei dati sviluppati dalla Costituzione e dalla Diatesi. Sarà utile associare
un drenaggio in questi casi.
In questo trattamento stabilito su tre piani, il rimedio del drenaggio sarà prescritto in basse
diluizioni, dalla 1DH alla 6DH; i rimedi sintomatici in media diluizione: 5 e 7CH e i medicamenti
richiesti dalla Costituzione e dalla Diatesi in alte diluizioni. Se diverse Diatesi entrano in causa,
come frequentemente si riscontra, si somministreranno i medicamenti in ordine inverso
all’apparire della Diatesi, cioè cominciando dai rimedi della Diatesi più recente. Per esempio, un
eczema psoriaco presso un tubercolotico, sarà trattato prima con lo Psorinum e poi con il
Tuberculinum.
*****
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SCELTA DEL RIMEDIO
E’ evidente che un esame così completo richiede molto tempo ed attenzione, soprattutto
quando il medico è in presenza di un malato che vede per la prima volta. Si raccomanda perciò di
compilare una scheda per ogni malato, dove si descriveranno, con accuratezza, le informazioni del
primo esame.
E’ infatti dalla qualità di un’osservazione ben presa e ben assimilata che dipende il valore
del trattamento.
Guidato dalla Legge della Similitudine, l’Omeopata sceglie tra i medicamenti quello o
quelli più appropriati per il trattamento del caso in questione.
Come già detto in precedenza, è la conoscenza delle patogenesi che permette di stabilire
questa corrispondenza, questa sovrapposizione di quadri terapeutici o clinici ed i risultati saranno
tanto migliori quanto ne sarà più esatta la coincidenza. Qualche volta il rimedio è facile a trovarsi,
“il malato invoca il suo rimedio”. Per esempio: un lattante affetto da diarrea con agitazione che
grida dimostrando collera e che si calma non appena sua madre lo prende nelle sue braccia, che ha
una guancia rossa e calda e l’altra tiepida e bianca: questo ammalato lo chiameremo
“Chamomilla”.
In questo caso di incontra il Simillimum, cioè, il medicamento la cui patogenesi copre, essa
sola, tutti i sintomi; scelta che conferisce il massimo di probabilità di successo. Hering dichiarava
che tre sintomi ben selezionati bastavano a determinare il Simillimum.
Ma non è sempre così. A volte il Simillimum è impossibile a determinarsi, sia a causa della
complessità della sindrome osservata, sia a causa dell’imprecisione dei sintomi, sia a causa delle
modalità contraddittorie. Bisogna allora ricorrere a parecchi rimedi la cui complementarietà e
convergenza d’azione si estenderanno sulla totalità o sulla più ampia maggioranza dei sintomi.
Non si fa più del Simillimum ma del Simile, cosa che si riscontra più frequentemente.
La diagnosi medicamentosa si basa sulla designazione, sia di un rimedio unico, sia di
rimedi multipli che il clinico dovrà ripartire attraverso separate assunzioni nel corso della giornata
o che dovrà somministrare a distanza di giorni o di settimane.
A questo punto merita una trattazione particolare il cosiddetto farmaco o rimedio
25
omeopatico. Lo tratterò subito, riprendendo ed approfondendo anche alcuni temi già parzialmente
trattati sommariamente in precedenza.
*****
26
IL FARMACO O RIMEDIO OMEOPATICO
Le vie attraverso le quali l’Omeopatia indaga per conoscere esattamente l’azione di un
farmaco sono le seguenti:
•
sperimentazione del farmaco su soggetti sani,
•
esami tossicologici e farmacologici,
•
somministrazione ai malati,
•
somministrazione e ricerche sperimentali su animali.
La totalità di queste osservazioni ci dà il quadro preciso del farmaco.
In Omeopatia vengono usate prevalentemente sostanze medicinali di origine naturale
(vegetali, animali, minerali) ed alcune sostanze di sintesi. Hahnemann ha messo a punto una
speciale tecnica di preparazione (triturazione e dinamizzazione) della sostanza grezza. Con
questa tecnica si ottiene una diluizione graduale e contemporaneamente un potenziamento della
sostanza grezza, con un aumento della sua efficacia.
E’ per questi motivi che Hahnemann, per definire le tecniche di preparazione dei farmaci,
usa i termini diluizione dei farmaci e dinamizzazione.
Il Libro dei Farmaci Omeopatici (H.A.B.) è, in Germania, il testo della Farmacopea
Ufficiale e stabilisce in maniera vincolante le modalità per la loro preparazione.
Raccogliere il maggior numero di dati e approfondirli al massimo per conoscere l’azione
del farmaco è di importanza fondamentale e ciò deve essere realizzato nella misura in cui lo
consentono le conoscenze del nostro tempo.
E’ opportuno ribadire il significato della parola “azione” (di un farmaco); con il termine
“azione” ci si riferisce in questo caso alle modificazioni fisiche, psichiche e spirituali che si
osservano in un soggetto sano in seguito all’assunzione sperimentale di una determinata sostanza.
L’azione di quest’ultima si traduce nella “produzione” di una malattia (artificiale).
La malattia provocata da una “sostanza” può essere curata dalla stessa. In questo modo una
sostanza diventa farmaco. “Ciò che fa ammalare, fa anche guarire”. Ogni farmaco ha una
doppia faccia: è allo stesso tempo medicina e veleno. Per conoscere l’azione di un farmaco
bisogna studiare approfonditamente la malattia provocata dallo stesso.
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1. FONTI PER LA CONOSCENZA DEI FARMACI
Sperimentazione su soggetti sani
L’azione specifica di un farmaco non può essere dedotta a priori per mezzo della
speculazione, dell’elucubrazione o dell’intuizione.
Hahnemann è uno dei più importanti ricercatori che hanno usato la sperimentazione per
indagare con un preciso scopo i fenomeni naturali.
“Da questa particolare farmacologia deve essere totalmente escluso tutto ciò che è supposizione,
affermazione gratuita o addirittura immaginazione; tutto deve essere esclusivamente pura
espressione della natura, che dobbiamo interrogare a fondo e con onestà”. (Organon § 144).
La strada più vecchia e ripetutamente convalidata per giungere alla conoscenza è quella
dell’esperienza. L’esperimento conferisce sicurezza all’esperienza e crea nuova esperienza.
Ritorno per un attimo indietro, e cioè all’esperimento di Hahnemann su se stesso con la
corteccia di China: sul fatto che la China potesse essere d’aiuto in determinati casi di malaria,
sussistevano già allora delle esperienze sicure e molteplici.
Ma soltanto l’esperimento, nella fattispecie su se stesso – gli chiarì perché e quando la
China doveva e deve essere impiegata secondo una precisa norma. La China produce in un
soggetto sano delle modificazioni dello stato generale che sono simili ai sintomi tipici della
malaria.
I critici hanno messo in dubbio la realtà della sperimentazione dei farmaci su soggetti sani.
La verifica dei farmaci di P. Martini, non portò a dei risultati nell’analisi statistica per l’errata
impostazione del metodo. Deve essere disponibile un gruppo di sperimentazione di ampia
provenienza sia come età che come sesso. Per esempio Sepia, un rimedio particolarmente indicato
per donne in climaterio, fu somministrato prevalentemente a uomini giovani. L’unica donna in età
(anni 53), manifestò un interessante sintomo da Sepia: “il soggetto rimane vistosamente
indifferente in situazioni spiacevoli che altrimenti l’avrebbero messo in agitazione”.
Un musicista sensitivo di 39 anni reagì con uno stato d’animo triste e facile al pianto,
sonno irrequieto e nervosismo generalizzato.
E’ degna di nota una constatazione di Martini: “per contro, risulta particolarmente insolito
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il fatto che in ambedue le serie di esperimenti, la relativa frequenza di sintomi era piuttosto ridotta
in caso di somministrazione di basse diluizioni, incluse le tinture madri, rispetto a quella notata in
presenza della somministrazione di diluizioni più alte (fino alla 10DH)”.
L’analisi statistica, “reprime e soffoca” i pochi sintomi particolari e di alto valore
qualitativo.
La concretezza di questi esperimenti può essere confermata da esempi quasi quotidiani.
Sono sicuro che vi è già capitato di piangere involontariamente sbucciando o tagliando una
cipolla, il naso ha incominciato a prudervi ed avete dovuto starnutire. L’azione irritante della
cipolla sugli occhi e sul naso rappresenta un’esperienza sicura. Un’altra esperienza ugualmente
autentica è che spesso un raffreddore catarrale provoca un similare stato di irritazione agli occhi ed
al naso.
Vi ricordate, se capitato, della prima volta che avete fumato e di come vi girava la testa,
quasi da non reggersi in piedi e di come vi sentivate stranamente male? Eravate bianchi come un
lenzuolo. Vi ricordate ancora dell’effetto del tabacco? Sicuramente ci sono dei pazienti che, per
motivi totalmente diversi, si sentono spaventosamente male, con giramenti di testa, volto pallido,
non si reggono in piedi e si devono distendere. Questo è l’aspetto di una persona durante un
collasso cardiocircolatorio. La sindrome di Ménière provoca spesso sintomi di questo genere.
Vi piace il caffè? Forse vi è capitato di bere un caffè molto forte dopo un lungo periodo di
astensione. Dopo averlo bevuto, vi siete sentiti veramente “allegri”, il sangue vi saliva con
maggior forza alla testa, il cuore aveva incominciato a battere forte e veloce; la sera non riuscivate
a prendere sonno, continuamente vi giungevano nuovi pensieri alla mente e continuavate a
rigirarvi nel letto.
Molti pazienti lamentano questi simili sintomi (spesso si tratta di donna in pre-climaterio).
Con questi esempi, avete vissuto, personalmente, a grandi linee l’esperienza dell’azione di
un farmaco: avete sperimentato i seguenti rimedi: Allium Cepa, ossia la cipolla; Tabacum
Nicotiana, ossia la pianta del tabacco e Coffea Tosta, ossia il caffè tostato. Camuffato da questi
nomi latini anche il quotidiano acquista una parvenza scientifica. Il quotidiano, invece, diventa
scienza con l’accumularsi di esperienza attraverso la sperimentazione dei farmaci.
Hahnemann, come già trattato, usava come cavia innanzitutto se stesso, indi la sua
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famiglia; poi passava ad amici, pazienti e colleghi e, più tardi, quando insegnava all’università, si
aggiunsero a questi gli studenti stessi. Egli incominciava somministrando in un’unica assunzione
una dose ponderale della sostanza da sperimentare; quindi, si faceva riferire esattamente tutti i
sintomi soggettivi e tutti i segni obiettivi che il soggetto aveva osservato. Se non subentrava
alcuna modificazione, dopo un paio di giorni aumentava la dose e continuava così finchè non si
aveva una reazione visibile, percettibile alla sostanza.
Riguardo alla conduzione della sperimentazione Hahnemann fornisce delle indicazioni
estremamente precise e circostanziate, specialmente per quell’epoca; egli fu il primo in assoluto a
realizzare esperimenti, degni di nota, di sostanze medicinali su soggetti umani (Organon, §§ 105108, 120-153).
Oggi gli esperimenti in Germania vengono condotti secondo le seguenti direttive di
Stübler, Mezger e H. Schulz:
•
solamente il medico che conduce l’esperimento è a conoscenza di quale sostanza viene usata.
Si tratta in questo caso di un esperimento cosiddetto “cieco”. L’esperimento in “doppio-cieco”
è proibito, poiché colui che conduce l’esperimento è responsabile nei confronti dei soggetti
che vi si sottopongono. Egli deve sapere più o meno a quali rischi lo sperimentatore può
andare incontro. Chi conduce un esperimento deve tenere conto anche della sensibilità
individuale e della ricettività dei singoli soggetti aumentando o diminuendo la dose.
•
Alla fase di sperimentazione vera e propria, vengono alternati, premessi o aggiunti alla fine,
periodi in cui viene somministrato un farmaco “apparente”, il cosiddetto “placebo”; ad una
parte dei soggetti viene somministrata unicamente questa sostanza. Grazie a questi interventi
aumenta la forza delle affermazioni scientifiche conseguenti agli esperimenti. In questo modo
è possibile fare una netta distinzione tra i sintomi veri, originati dal farmaco e quelli prodotti
dalla suggestione in conseguenza dell’assunzione del farmaco. Hahnemann ha già anticipato
molti dei risultati scaturiti dalle moderne ricerche sulle sostanze “placebo”. Egli faceva ampio
uso di somministrazioni di lattulosio.
•
I soggetti che si sottopongono alla sperimentazione devono essere sani, sia all’inizio che
durante l’esperimento. Si deve evitare che i sintomi vengano cancellati o alterati da disturbi
patologici. Nel caso in cui un soggetto si ammali durante l’esperimento, o si ritira dallo stesso,
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oppure viene fatta un’annotazione sul protocollo relativo all’esperimento, affinchè i suoi
sintomi vengano giudicati separatamente da quelli degli altri.
•
Il gruppo dei soggetti deve essere rappresentato il più ampiamente possibile in relazione all’età
ed al sesso, per ottenere un quadro diversificato della ricettività rispetto alla sostanza in esame.
•
I soggetti compilano su un protocollo giornaliero tutte le modificazioni soggettive ed obiettive.
Devono essere forniti dati quanto più precisi riguardo al luogo, i tempi, le modalità e la
dipendenza da fattori ambientali in cui il soggetto ha vissuto delle modificazioni dello stato di
salute.
•
Il medico che conduce l’esperimento cerca di confermare gli effetti osservati obiettivamente
per mezzo di ricerche cliniche: parametri bioumorali, elettrocardiogramma, controllo della
temperatura corporea, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, ecc.
•
La Lega Internazionale dei Medici Omeopatici organizza esperimenti di portata mondiale in
diversi Paesi per eliminare le discordanze nei risultati dovute alle diversità di clima e di razza e
per evidenziare l’azione pura del farmaco (rimedio omeopatico), che è in definitiva uniforme
ed unitaria.
Risultati tossicologici e farmacologici
Per motivi umanitari sono state imposte delle limitazioni alla sperimentazione dei farmaci
su soggetti sani. Va da sé che è proibita una somministrazione di sostanze tossiche in dose
massiccia o per un periodo prolungato.
Nella sperimentazione dei farmaci bisogna rimanere al di sotto del livello di tossicità.
Schoeler definisce “microtossicologia” questo raggio d’azione. Essa ci fornisce soprattutto dei
sintomi soggettivi che vengono vissuti dal soggetto come alterazioni del suo stato di salute.
I segni obiettivi e le modificazioni tissutali vengono raccolti dalla tossicologia vera e dalla
farmacologia.
Dagli avvelenamenti provocati o intenzionali (medicina legale) e da quelli involontari o
accidentali (incidenti, medicina del lavoro) si possono scoprire quali siano i danni organici ed i
profondi disturbi funzionali che una sostanza è in grado di produrre.
Platone ci ha tramandato un’esatta relazione sulla morte di Socrate, avvenuta per
31
avvelenamento da Conium Maculatum (Cicuta Maggiore). La sua toccante relazione descrive
forse il più antico esperimento con un farmaco a dose tossica. La paralisi progressiva dal basso
verso l’alto provocata da una dose tossica di succo di Cicuta, non è riproducibile in sede di
sperimentazione su un soggetto sano. Tutte le alterazioni dello stato di salute, dai danni funzionali
a quelli organici fino all’esito fatale, fanno parte del quadro generale delle malattie indotte
sperimentalmente “da un farmaco”. La tossicologia ci fornisce ampi dati in questo campo.
Un esempio: l’avvelenamento orale da mercurio provoca dei danni evidenti alla bocca, allo
stomaco, all’intestino retto ed ai reni. Alla bocca, in particolare, si nota una forte salivazione, alito
cattivo e maleodorante, le gengive appaiono gonfie e ulcerose; la lingua ingrossata presenta le
impronte dei denti. Le tonsille si infiammano e tendono a decomporsi in seguito ad ulcerazioni
formando delle pseudo-membrane.
Questi evidentissimi segni dell’azione di un veleno vengono usati, omeopaticamente, nella
cura della stomatite, dell’angina pseudomembranacea, eventualmente della difterite (cianuro di
mercurio). L’intestino presenta, specialmente nella parte del retto, un’infiammazione ulcerosa. Le
evacuazioni sono sanguinolenti e ricche di muco, accompagnate da un forte tenesmo. Il quadro
clinico della dissenteria e della colite ulcerosa è spesso molto simile a questo. La somiglianza dei
reperti clinici nei due diversi casi è talmente concorde, che all’autopsia (lo fece notare Virchow), è
impossibile capire, “se si tratta di un caso di grave dissenteria oppure di un caso altrettanto grave
di avvelenamento da mercurio”.
Nei casi di lesioni da mercurio a causa di esposizione prolungata nel tempo (per esempio
sul lavoro), compaiono anche disturbi psichici. Queste alterazioni spaziano inizialmente da
un’attività esagerata con agitazione motoria e psichica, fino allo stadio finale di letargo e demenza.
Spesso si ha un tremore chiaramente visibile, frequentemente si osservano pure lievi
paralisi. La pelle reagisce con multiformi efflorescenze simili a quelle della Lue secondaria. Ciò
che è sbalorditivo è la somiglianza nel suo insieme, tra i sintomi della Lue e quelli della malattia
provocata dalla somministrazione di mercurio.
Per molti secoli il mercurio è stato il mezzo che veniva usato per curare la Lue. Nel 1845 il
Prof. Zlatorowic, insegnante alla facoltà di medicina all’Università di Vienna, si rese conto della
somiglianza che esisteva tra la sintomatologia della sifilide e gli effetti che provoca l’assunzione
32
di mercurio, improvvisamente, durante una lezione, mentre stava spiegando, appunto, quale era
l’azione del mercurio.
La somiglianza era tale che si sarebbe potuto scambiare una affezione con l’altra. Questa
constatazione fulminea colpì talmente il professore, che interruppe la lezione, se ne andò a casa e
si mise a studiare l’Omeopatia, di cui fino ad allora ne aveva sentito solo parlare vagamente.
Purtroppo oggigiorno si sa anche troppo sul tema “mercurio”, a causa di tutto ciò che con
leggerezza viene catalogato come “effetto collaterale”. Bisognerebbe “dire” per tempo ai farmaci
ciò che “possono” e ciò che “non possono” fare, affinchè alcune loro azioni non risultino
sconvenienti agli occhi dei farmacologi.
A proposito degli effetti collaterali che insorgono dopo la somministrazione di un farmaco,
vorrei fare delle precisazioni in tre sensi:
•
gli effetti collaterali sono tanto più frequenti e tanto più forti quanto più consistente è la dose
tossica che si è deciso di somministrare;
•
essi dipendono dalla sensibilità del malato (idiosincrasia, allergie, danni precedenti);
•
l’azione del farmaco è per sua natura fondamentalmente più ampia di come previsto e
prefissato dalle indicazioni dell’uomo (azione curativa prevista).
Da questi fatti estremamente chiari Hahnemann per primo, ha tratto delle logiche
conclusioni:
•
ha diminuito la dose, fino a renderla minima;
•
la dose infinitesimale viene adeguata singolarmente alla ricettività del paziente;
•
l’azione del farmaco deve corrispondere alla totalità dei sintomi e delle manifestazioni del
paziente.
Solo così si soddisfano le esigenze della Legge della Similitudine.
Una similitudine parziale è una similitudine solo apparente e perciò insufficiente per la
finalità curativa dell’Omeopatia.
Un esempio: l’aspetto visibile di un’infiammazione delle tonsille corrisponde
superficialmente a ciò che si osserva nell’infiammazione con suppurazione ed un’eventuale
formazione di pseudomembrane in un caso di intossicazione orale da mercurio.
L’aspetto grossolano nei due casi è simile; solo un approfondito esame con l’aiuto della
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sperimentazione del farmaco su soggetti sani ci dà il quadro reale della situazione e ci guida nella
scelta del farmaco. Questo procedimento è valido in quanto ci permette di distinguere caso per
caso tonsilliti apparentemente simili. Criteri indispensabili, in un caso di angina, che ci inducono a
scegliere il mercurio “omeopatico” per curarla sono:
•
il reperto medico locale corrisponde all’azione tossica del mercurio;
•
il soggetto avverte un dolore lancinante e la sensazione di venire stretto alla gola, sensibilità al
contatto nella zona della gola, alito cattivo;
•
sudorazione abbondante ed oleosa che non apporta alcun beneficio o miglioramento dello stato
generale;
•
la notte aggrava tutti i disturbi, in modo particolare inquietudine e paura;
•
il calore risulta negativo per il malato; bisogna evitare gli impacchi caldi al collo e le bevande
calde, nonché il calore nella stanza; il malato è comunque, nel complesso, freddoloso, per cui
teme anche il freddo intenso. Sono, dunque, da evitare ambedue gli estremi per quanto
riguarda la temperatura.
Su questo esempio si può comprendere il valore della sperimentazione dei farmaci su
soggetti sani ed il valore dell’osservazione di un malato sotto trattamento. Solamente la conferma
ottenuta con la guarigione conferisce validità a queste due fonti di conoscenza e pone delle
limitazioni per evitare che dei grossolani sintomi di intossicazione vengano interpretati
erroneamente per la loro apparente similitudine.
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Impiego nella cura dei malati
Oltre alla verifica della capacità terapeutica e ad un chiarimento sui reali rapporti di
somiglianza, l’impiego nella cura dei malati fornisce ulteriori informazioni per la conoscenza dei
farmaci.
Un esempio: per la cura dell’acne conglobata, ad un paziente venne prescritto il bromo.
L’indicazione del bromo in determinati casi di acne deriva dalla tossicologia e dall’impiego di
bromo su soggetti malati.
In passato il bromo veniva somministrato in forti dosaggi e per periodi prolungati nei casi
di epilessia per la sua azione sedativa. In conseguenza di questa assunzione si sviluppava spesso
un’acne come “effetto collaterale”. L’acne della paziente guarì in breve tempo. Poiché il bromo le
aveva fatto così bene, per sicurezza, continuò a prenderne ancora. Dopo quattro settimane si
ripresentò lamentando dolori lancinanti al dito indice. Apparentemente il dito non aveva nulla, non
si era verificato alcun trauma, non si constatavano limitazioni nei movimenti, quindi la diagnosi
della visita risultava negativa. Ma la versione soggettiva della paziente, che era degna di fede, non
poteva essere messa in discussione.
Nel repertorio di Kent sotto il sintomo “dolore lancinante all’indice” si trova come unico
rimedio il bromo. Il nesso era chiaro: la paziente aveva involontariamente effettuato una
sperimentazione del farmaco assumendo per lungo tempo il bromo ed aveva così provocato il
sintomo del dolore all’indice; cessata la somministrazione, il dolore passò dopo otto giorni.
Impiego nella cura degli animali
I veterinari omeopatici attuano quotidianamente degli “esperimenti”, se così si può dire,
curando gli animali, naturalmente non a scopo di ricerca volta a rispondere ad un determinato
interrogativo. Se, però, confrontiamo il rapporto costo-utilità, queste cure hanno lo stesso valore di
qualsiasi esperimento e ridicolizzano ogni accenno alla suggestione.
La cura degli animali è di importanza fondamentale per la conoscenza dei farmaci, visto
che l’opinione soggettiva del “malato” può essere comunicata al massimo con uno scodinzolio
della coda.
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In questo caso è decisivo il successo obiettivo. La “droga-medico” viene messa un po’ in
disparte.
Nell’esperimento “cieco” bilaterale, Wolter riuscì a dimostrare l’azione differenziata del
Caulophyllum D 30 nel parto dei suini, mentre sui bovini riuscì ad elaborare il quadro del farmaco
Flor di Piedra. Sono già stati condotti esperimenti su animali per dimostrare l’efficacia dei farmaci
omeopatici. Molti Omeopati sono contrari a fare esperimenti sugli animali poiché, secondo la loro
opinione, l’uomo non dovrebbe abusare degli esseri indifesi.
Secondo una dichiarazione della stampa, nella Germania Occidentale vengono usati ogni
anno dai 10 ai 12 milioni di animali per esperimenti discutibili ed i responsabili tacciono.
Riepilogo
L’Omeopatia trae la conoscenza dell’azione dei farmaci da quattro fonti:
•
la sperimentazione dei farmaci su soggetti sani;
•
i risultati delle ricerche tossicologiche e farmacologiche;
•
l’impiego nella cura dei malati;
•
l’impiego nella cura degli animali, cioè dai risultati della medicina veterinaria.
2. IL QUADRO DEL FARMACO
L’espressione “quadro del farmaco” è già stata usata. Sarà sembrato strano in quanto il
connubio tra questi due termini, farmaco e quadro, non viene usato nella medicina allopatica; ma
dalla patologia clinica si conoscerà l’espressione “quadro clinico”. Con questo termine si intende
indicare la totalità della sintomatologia riscontrata in un singolo caso. Dopo aver attinto alle
quattro fonti della conoscenza dei farmaci, sappiamo quale valore ha ogni singola fonte. Con le
conoscenze tratte da queste fonti è stato riunito tutto il materiale al completo che occorre per
formulare il “quadro del farmaco”. Esso è in effetti la sintesi delle singole nozioni, ossia il tutt’uno
dell’azione di un farmaco.
Quadro, visione e totalità sono termini che appartengono al linguaggio della
fenomenologia. Per descrivere le totalità e per concepirle spiritualmente non è più sufficiente il
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modello di pensiero che ha come base il rapporto causa – effetto.
La medicina moderna conosce e tiene conto purtroppo solamente dei rapporti di causa che
vengono applicati nella sperimentazione delle scienze naturali. Ai nostri tempi risulta chiaro come
vanno perdute delle essenziali possibilità di conoscenza, quanto impoverimento vi è, poiché
vengono “dimenticati” gli sforzi millenari dell’uomo per giungere a delle intuizioni filosofiche.
L’Università è diventata un luogo di formazione dove non c’è più traccia dell’antica Universitas.
La biologia materialistica delle scienze naturali del IXX e del XX secolo ha ridotto pure la
visione della medicina a tutto ciò che è puramente materiale, spiegabile in modo causale e che è
stato fissato sperimentalmente.
A poco a poco, attraverso la “porta di servizio”, lo spirito è rientrato nella medicina
ufficiale. Tutto ciò che è anima e spirito non è spiegabile causalmente, è un fenomeno. Il rapporto
di similitudine tra quadro del farmaco e quadro clinico è altrettanto inspiegabile causalmente.
Al rapporto causa-effetto si sostituisce la deduzione logica del “se-allora”. Se tra il quadro
del farmaco ed il quadro clinico individuale sussiste una somiglianza comparabile, allora c’è il
presupposto perché quel farmaco possa guarire quel malato.
Il rapporto causa-effetto in senso stretto è praticamente quasi inesistente nel campo
biologico. Esagerando un po’, si può dire addirittura che le leggi classiche della fisica, nonostante
la loro esattezza, necessitano di parecchie condizioni marginali. Per esempio un presupposto
necessario per la validità dell’esperimento della legge sulla caduta libera è che esso avvenga in
assenza di aria. Gli esperimenti biologici, però, non possono essere condotti in ambienti privi di
aria. Ogni sforzo per ottenere la guarigione di un soggetto rappresenta un “esperimento” in
condizioni molto complesse. Queste condizioni rimangono spesso inspiegabili o poco chiare,
senza la regola del rapporto di regolazione.
Risulta evidente che lo stimolo guaritore e quello che provoca la malattia devono
assomigliarsi, perché possa avvenire una inversione di tendenza nel centro di regolazione. In
questo modo il rapporto di similitudine tra il quadro di azione del farmaco e il quadro clinico
individuale è in accordo con la logica scientifica.
L’impiego della regola della similitudine presuppone la comparazione di due insiemi,
perciò è indispensabile riunire le singole nozioni sull’azione del farmaco per formare il quadro del
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farmaco stesso.
In questo modo il farmaco diventa un’entità individuale che agisce complessivamente.
Paracelso parla del farmaco intendendo nello stesso modo un tutt’uno. Nel loro linguaggio i
medici omeopati vanno tanto in là nella identificazione immaginaria del farmaco con il malato,
che è possibile sentirli parlare di una “donna-Pulsatilla”, di un “bambino-Calcium Carbonicum”,
di una “tosse-Hyoscyamus” o di “un’ansia-Arsenicum”. La comparazione fenomenologica ci
mostra come determinate “tipologie umane” si accordano particolarmente bene al quadro di un
dato farmaco: il nome di quest’ultimo può diventare la definizione tipologica del primo.
Così si parla di un tipo “Nux-Vomica” o più semplicemente di un “Nux Vomica”, o di un
tipo “Phosphorus”, ecc. Bisogna tener presente che solamente alcuni rimedi che agiscono in
profondità possono essere comparati alle tipologie umane. Si tratta soprattutto di quelle sostanze
di cui è costituito il nostro corpo.
Nei testi di Hahnemann non compare ancora il termine quadro di un farmaco. Egli scrive
così: “La totalità di tutte le manifestazioni patologiche che un farmaco è in grado di produrre si
avvicina alla completezza appena dopo che sono state più volte studiate ed esaminate numerose e
disparate persone appartenenti ad ambedue i sessi ed idonee a questo scopo” (Organon, § 135).
“La totalità delle manifestazioni patologiche che un farmaco è in grado di produrre”!
Questo è ciò che bisognerebbe tenere incondizionatamente presente nella terapia omeopatica,
considerando contemporaneamente che significa molto di più di somma di cognizioni parziali.
Riepilogo
Il quadro di un farmaco è la sintesi di tutte le singole nozioni sull’azione del farmaco
stesso. La comparazione immaginaria dell’azione del farmaco con la sintomatologia del malato è
un processo fenomenologico. Hahnemann non usa ancora il termine del famaco. Per indicare
l’azione globale di un farmaco egli usa l’espressione: “il concetto”.
3. PROVENIENZA E PREPARAZIONE
DEL FARMACO OMEOPATICO
Hahnemann non era solamente un genio della medicina; egli era anche un eccellente
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chimico, farmacologo e farmacista. Fedele all’immagine professionale del farmacologo e del
farmacista egli era così pedantemente preciso, che le sue istruzioni per la preparazione dei farmaci
sono valide ancora oggi e tengono testa a tutti i criteri scientifici. Era preciso al milligrammo,
tanto da poter essere definito “Miligrammikus” – soprannome che usavano gli studenti nei
confronti dei loro colleghi che studiavano farmaceutica. Ma egli non era solamente esatto,
estremamente preciso. Egli creò dalle fondamenta una farmacologia completamente nuova.
Ben poco di ciò che poteva trovare a quell’epoca soddisfaceva le sue esigenze; di
conseguenza preparava da solo tutti i suoi farmaci. Per quanto era possibile, raccoglieva
personalmente le erbe medicinali, oppure preparava gli estratti. Voleva avere la certezza che i suoi
prodotti di partenza fossero puri e perfetti. Il farmaco era per Hahnemann una cosa talmente seria
che tutto ciò che era approssimazione e chiacchiere non aveva accesso al suo laboratorio. I critici
avrebbero dovuto prima prendere atto del fatto che né prima né dopo di lui, mai alcun medico si è
prodigato con tale scrupolosità, dedizione e lungimiranza alle conoscenze ed alla preparazione dei
farmaci.
La materia grezza dei medicamenti omeopatici proviene da tutti i regni della natura
(vegetale, animale, minerale); alcune sostanze sono composti chimici preparati in
laboratorio. Hahnemann stesso ha sviluppato dei nuovi procedimenti per la produzione di
determinati farmaci (per esempio il “Calcium Carbonicum Hahnemanni”, il “Mercurius Solubilis
Hahnemanni”). Egli ha scoperto per primo la solubilità colloidale di sostanze insolubili allo stato
grezzo. In tempi più recenti sono stati usati come materiali di partenza anche sostanze prodotte da
malattie chiamate Nosodi, tra cui, per esempio: la “Alt-Tuberculin”, la tossina della difterite, il
sangue del malato stesso. Da questi esempi si può capire come l’Omeopatia si sviluppi con una
metodica giovane e moderna, ricca di nuove idee e che non riposa comodamente sugli allori.
Hahnemann non è per gli Omeopati un “mostro sacro”. Fino alla fine della sua esistenza terrena,
Hahnemann ha proseguito le sue ricerche ed ha continuato a perfezionare la metodica; e così fanno
anche i suoi successori.
Il Libro dei Farmaci Omeopatici, abbreviato H.A.B., che è dal 1934 il testo legalmente
valido per la farmacopea tedesca riguardo alle prescrizioni per la preparazione dei farmaci,
acquisisce ad ogni successiva edizione nuove conoscenze. Nell’ultima, uscita nel 1979, sono stati
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inseriti, tra l’altro, nuovi metodi dimostrativi come per esempio l’analisi degli spettri di
assorbimento. Seguendo le direttive di Hahnemann, la preparazione dei farmaci procede in
maniera diversa, a seconda del materiale di partenza, che può essere un’essenza, una tintura, una
soluzione, oppure una triturazione.
L’”essenza”: la sostanza base è il succo ottenuto dalla spremitura di piante fresche intere o
di loro parti (fiori, foglie), diluito con alcool a 90°, allo scopo di conservare il prodotto.
La “tintura”: la sostanza base viene ottenuta o con il disseccamento e la polverizzazione di
una pianta oppure con lo schiacciamento di sostanze di origine animale (api, formiche, ecc.).
Successivamente viene usato dell’alcool dai 60° ai 90° e con un procedimento di macerazione o di
percolazione vengono estratte le sostanze essenziali.
La “soluzione”: la sostanza base, prevalentemente sali solubili o acidi, a seconda della sua
solubilità viene elaborata in soluzioni acquose o alcooliche.
La “triturazione”: il materiale di partenza, minerali insolubili o piante intere o parti di esse
(radici, semi, ecc.), seccate e finemente polverizzate, dopo la triturazione nel mortaio, che deve
durare almeno un’ora, vengono trattate con del lattulosio.
Le sostanze fluide (essenze, tinture e soluzioni) vengono classificate con il termine di
tintura madre. Quelle in forma solida vengono invece definite sostanza madre. Ad ambedue viene
abbinato il simbolo Ø. Per prescrivere la tintura madre di “Pulsatilla” per esempio, scriviamo:
“Pulsatilla Ø”. Per indicare invece la sostanza madre dell’oro, usando il “latino del farmacista”,
scriviamo: “Aurum Trit. Ø”. Trit. è un’abbreviazione del termine latino “trituratio”, che significa
triturazione.
I farmaci omeopatici vengono somministrati ai pazienti sotto forma di gocce, compresse,
granuli, polvere e globuli. Per l’uso esterno vengono usate pomate e misture preparate con il
farmaco e l’aggiunta di glicerina. Per la terapia per via parenterale vengono invece preparate delle
fiale.
La veste esteriore della sostanza da assumere viene scelta a seconda della sostanza base e
relativamente alle necessità del paziente. Perciò le sostanze che sono insolubili sotto forma di
sostanza madre (per esempio l’oro), per quanto riguarda le basse diluizioni (generalmente sotto la
D8), possono essere preparate solo sotto forma di compresse o granuli o triturazioni. Altre
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sostanze, invece, che sono fluide come il bromo, e che in caso di triturazione con aggiunta di
lattulosio possono diventare pericolose per il preparatore a causa dello sviluppo di calore e delle
esalazioni, vengono prescritte in diluizioni fino alla D8; per le potenze successive, invece, in
qualsiasi altra forma.
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Riepilogo
I farmaci omeopatici traggono la loro origine dal regno vegetale, animale e minerale.
Alcuni vengono prodotti in laboratorio usando la sintesi chimica. Le sostanze base prodotte dagli
stessi malati vengono definite Nosodi.
La scienza omeopatica per la preparazione dei farmaci è stata sviluppata da Hahnemann
stesso. Essa è così esatta, che ancora oggi, a parte qualche perfezionamento tecnico, il “Libro dei
Farmaci Omeopatici” (H.A.B.) come testo della Farmacopea Ufficiale segue le sue prescrizioni.
Sotto il denominatore comune di tinture madri vengono classificate le diluizioni, le essenze
e le tinture ottenute con l’aggiunta di acqua o alcool: nelle preparazioni esse vengono additivate
con lattulosio: in questi casi la materia di base viene definita sostanza madre.
Anche per queste il simbolo usato è Ø.
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4. POTENZIAMENTO DEL FARMACO
Inizialmente Hahnemann andava per tentativi e somministrava i farmaci in dosi ponderali e
senza elaborarli. Così facendo, osservò che l’impiego dei farmaci nella forma in uso dall’antichità
non era ottimale. A seconda delle diverse sostanze di base, si otteneva o una reazione troppo forte
nel malato (effetti collaterali, eccessiva reazione iniziale, aggravamento iniziale molto marcato),
oppure la reazione era insufficiente a causa della scarsa assimilazione del farmaco (soprattutto
quando si trattava di minerali insolubili).
Da queste osservazioni scaturì la logica decisione di sviluppare un metodo di preparazione
dei farmaci che facesse combinare in maniera ottimale quantità e qualità. Hahnemann aveva
inoltre osservato che la sensibilità e la prontezza di reazione nei confronti del farmaco erano
diverse a seconda del soggetto. Ma a questa maniera di reagire, diversa da individuo a individuo,
doveva corrispondere un farmaco adattato individualmente.
Questa meta chiara e concepita razionalmente fu raggiunta diminuendo la dose e
aumentando l’efficacia del farmaco, elaborandolo (triturazione e dinamizzazione). Poiché sotto
questa forma il farmaco raggiungeva “l’optimum” della sua forza medicamentosa evitando gli
effetti dannosi, Hahnemann gli diede il nome di potenza o dinamizzazione ed al procedimento di
preparazione del farmaco quello di potenziamento. Questo termine apparve comunque appena nel
1827. Questa data tardiva ha la sua motivazione nel fatto che Hahnemann sviluppò questo
procedimento dopo lunghe e attente osservazioni.
Nel 1839 scriveva: “le dinamizzazioni omeopatiche provocano un vero risveglio delle
proprietà medicamentose delle sostanze naturali, proprietà che sono latenti quando queste
sostanze si trovano allo stato grezzo”.
Preparazione e rapporto di miscelazione
Le sostanze fluide vengono portate a tutti i gradi di diluizione partendo dalla tintura madre,
semplicemente con dieci movimenti energici diretti verso il basso.
La miscelazione con il veicolo (acqua, alcool, lattulosio) avviene per ogni singolo stadio o
in rapporto 1 + 9 = 10 (scala decimale), oppure 1 + 99 = 100 (scala centesimale).
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Fino al periodo parigino Hahnemann lavorò con la scala centesimale. Negli ultimi anni
sviluppò la diluizione sotto forma di globuli, in diluizioni da 50.000 o, (in cifre romane), diluizioni
LM; Hering (un medico di origine tedesca, emigrato a Filadelfia), usò per la diluizione del veleno
di serpente la scala decimale, che fu più esattamente descritta da Vehsemeier.
Oggi vengono usate tutte le scale; in Francia la scala centesimale, nei paesi di lingua
inglese prevalentemente la scala centesimale, in Germania quasi esclusivamente la scala decimale.
Ambedue le scale hanno i loro sostenitori. Si può dire, secondo la letteratura omeopatica,
che per le diluizioni più basse fino alla D6, è migliore la scala decimale, mentre nelle diluizioni
più alte, agisce più prontamente la centesimale.
La corrente antroposofica della medicina, a ragione, dà rilievo al fatto che per variare
l’efficacia di un dato farmaco omeopatico è più decisivo il numero dei passaggi di diluizione
che il rapporto quantitativo tra sostanza di base e veicolo. Nella scala decimale il numero di
questi passaggi è il doppio rispetto alla scala centesimale.
Il confronto puramente matematico, riferito alla quantità di sostanza base, è valido
sicuramente solo per le basse diluizioni: così per esempio la C3 o 3CH corrisponde alla D6 o 6DH
e la C6 o 6CH corrisponde alla D12 o 12DH.
Il “Libro dei Farmaci Omeopatici” fornisce, in particolare, delle precise prescrizioni.
Prendiamo come esempio la diluizione di sostanze fluide (pag. 21 del H.A.B.).
“La diluizione delle sostanze fluide deve essere eseguita in una stanza protetta dalla luce
solare diretta. I recipienti di vetro che vengono impiegati devono avere una capienza tale da poter
contenere da 1/2 fino a 1/3 di sostanza in più rispetto al quantitativo di sostanza da potenziare.
Il nome del farmaco ed il numero della potenza dovranno essere scritti sia sul tappo di sughero che
sul recipiente di vetro che fungerà da contenitore; se si tratta di una diluizione centesimale la cifra
dovrà essere preceduta dalla lettera C, se invece si tratta di una diluizione decimale sarà la lettera
D a precedere la cifra. Il potenziamento avviene in caso di grossi quantitativi in base a rapporti di
peso, mentre in casi di piccoli quantitativi, in base al numero di gocce.
I recipienti di vetro, contrassegnati come precedentemente indicato, con il nome del
farmaco e le cifre da C1 a C30, vengono posti in fila su un tavolo ed in ognuno di essi, dal C2 in
poi vengono aggiunte, con l’aiuto di un misurino di vetro, 99 parti di alcool etilico. Dall’essenza,
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ossia dalla tintura o dalla soluzione, viene preparata la prima potenza centesimale secondo le
prescrizioni dei singoli paragrafi e viene posta nel recipiente con il contrassegno C1”.
I paragrafi citati regolamentano esattamente la preparazione della C1 (o D1); a seconda
della sostanza di base c’è una certa distinzione, motivata dalla diversità tra il contenuto in succo
(nelle piante) o la solubilità (nei sali), oppure l’estratto (nelle sostanze di origine animale). Così si
ottiene sempre che ogni C1 oppure D1, ha un quantitativo di farmaco rispetto all’alcool nel
rapporto di 1:99, oppure 1:9, di modo che il quantitativo totale è sempre 100 o 10.
“A questo punto dal recipiente con il contrassegno C1 viene versata una parte nel
recipiente con il contrassegno C2, dopo di che quest’ultimo viene tappato e scosso energicamente
per 10 volte verso il basso.
Da questa seconda potenza una parte viene versata nel recipiente con il contrassegno C3,
dopo di che quest’ultimo viene scosso 10 volte e ne risulta una terza potenza e così viene
continuato il potenziamento da un recipiente all’altro, fino all’ultimo, aggiungendo ogni volta una
parte dal precedente recipiente a quello che segue e scuotendo indi quest’ultimo per 10 volte”.
Quest’esempio vale come principio basilare del procedimento di potenziamento.
Conformemente ad esso si procede anche nella preparazione di potenze non liquide, ma secche,
che hanno come veicolo il lattulosio.
Per maggiore chiarezza, faccio presente che la C corrisponde a CH e la D a DH.
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Potenziamento con l’uso di uno o più recipienti
La preparazione di ogni potenza necessita di un nuovo recipiente, anche se molte delle
potenze intermedie, per la maggior parte, non vengono usate. Questo metodo, in effetti costoso,
ma corretto, che Hahnemann ha sempre usato pur trovandosi spesso in ristrettezze, fu da lui stesso
denominato “procedimento di potenziamento con l’uso di più recipienti”.
I francesi indicano correttamente queste potenze e cioè: CH1, 2, 3, ecc. o 1CH, 2, 3, ecc. =
potenza centesimale secondo Hahnemann = potenza ottenuta con l’uso di più recipienti.
Le potenze prodotte con un solo recipiente richiedono meno tempo e denaro. Hanno però
lo svantaggio di non essere precisissime; esse traggono il loro nome dall’inventore Korsakoff.
Secondo un’informazione della DHU, in Germania vengono prodotte solamente potenze secondo
il metodo Hahnemanniano. Per ora, per l’esportazione, invece, e solo per le potenze oltre la
CH1000, viene usato il metodo Korsakoff.
Questo metodo di preparazione si basa sull’esperienza secondo la quale con lo scuotimento
di un recipiente di vetro pieno di liquido, una parte di quest’ultimo rimane sulle pareti del
recipiente. Dopo averlo vuotato completamente, lasciando stare per un po’ questo recipiente, si
osserva che sul fondo si raccoglierà qualche goccia. Korsakoff, realizzando un test su questa
esperienza, notò che svuotando un bicchiere “con un energico movimento del braccio verso il
basso”, rimane nello stesso, in media, una goccia di liquido. Il quantitativo del residuo varia a
seconda della forza di adesione alla parete del vetro ed a seconda della tensione di superficie della
sostanza di base.
Hahnemann era e rimane il più preciso con il suo metodo di preparazione, ma nonostante
tutte le riserve, l’efficacia del metodo Korsakoff è assai buona. Se si parte dal presupposto che il
numero di passaggi di potenza è più importante del rapporto di quantità di contenuto della
sostanza di base, ci si può basare su questo fatto per sostenere il meno faticoso e più economico
metodo Korsakoff. Il potenziamento viene portato a termine usando continuamente lo stesso
recipiente; il liquido residuo dopo lo svuotamento del recipiente (una-due gocce circa) è la
sostanza di base per la potenza successiva; questo è un metodo indicato per la preparazione delle
potenze centesimali al di sopra della 30CH o C30. Finora, però, questo metodo non è stato inserito
nell’H.A.B.
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Riepilogo
Hahnemann constatò, con l’esperienza, che la sostanza medicinale grezza e non lavorata,
spesso non è abbastanza efficace e che il dosaggio dei medicinali impiegati fino allora era troppo
forte.
Con la lavorazione del farmaco (triturazione, dinamizzazione) e la riduzione della dose
(diluizione) gli riuscì di raggiungere “l’optimum” della qualità e quantità del farmaco. Chiamò
questo procedimento potenziamento. I medicinali così ottenuti vennero definiti potenze o
dinamizzazioni. Le potenze vennero prodotte secondo la graduazione 1 + 9 = 10 o 1 + 99 = 100 e,
a seconda del rapporto di cifre, vennero denominate potenze decimali o centesimali (D o DH -–C
o CH). Negli ultimi anni della sua vita, Hahnemann sviluppò il potenziamento sotto forma di
globuli: con diluizione 1 : 50.000 che fu denominato potenza LM. Al giorno d’oggi si usano
diluizioni ancora più alte rispetto alla 1 : 50.000.
Il “Libro dei Farmaci Omeopatici” (H.A.B.) indica esattamente il procedimento di
produzione. Ogni passaggio da una potenza inferiore alla superiore, secondo l’H.A.B., deve essere
eseguito in un nuovo recipiente: questo è il metodo classico di Hahnemann, secondo il quale,
potenze diverse si ottengono con l’uso di più recipienti.
Esiste, inoltre, un altro metodo di preparazione, non così preciso, ma assai affidabile e più
semplice: il metodo di Korsakoff. Per ottenere potenze diverse viene usato sempre lo stesso
recipiente.
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5. IPOTESI SULLE PROVE SCIENTIFICHE DELL’ATTIVITA’ DELLE
SOSTANZE
A DOSI INFINITESIMALI
E’ evidente che, a causa delle successive diluizioni, il farmaco o rimedio omeopatico, non
può agire chimicamente tramite un effetto di massa molecolare.
Si sa, con certezza, che determinati organismi animali reagiscono a dosi dell’ordine del
picogrammo (miliardesimo di grammo: 10-9 gr.) ed anche inferiori: le farfalle femmine secernono
una sostanza, alla quale i maschi sono sensibili a diluizioni di 10-20 corrispondenti ad una 10CH. I
Fisiologi assicurano inoltre che, finchè resta in una soluzione una molecola di sostanza, questa può
sempre scatenare delle reazioni a catena qualora agisca su una cellula recettrice privilegiata.
Ma cosa accade per le diluizioni nelle quali non è più possibile ritrovare molecole della
sostanza di base, in particolare per quelle in cui, tenuto conto del numero di Avogadro (6,02 x
1023), non possono esserci molecole, vale a dire per le diluizioni a partenza dalla 12CH e oltre?
Era l’argomento tipico degli avversari dell’Omeopatia, che dicevano: i rimedi omeopatici
sono vento o acqua pura ed agiscono per effetto placebo.
Solamente la ricerca scientifica poteva rispondere a tale quesito.
Si tenga presente che la ricerca, in campo omeopatico è essenzialmente una “ricerca
fondamentale” e che essa differisce dalla ricerca applicata, abituale in campo farmaceutico
ufficiale, il cui scopo è quello di evidenziare l’azione terapeutica di un prodotto o di una molecola
di nuova sintesi.
Senza voler entrare nella storia di questa ricerca e fare un’analisi esauriente di tutte le
sperimentazioni effettuate da farmacisti, farmacologi, medici, ingegneri, fisici (tra i quali,
numerosi sono i docenti di Facoltà di Medicina e di Farmacia), per chiarire alcuni aspetti, si tenga
presente che la ricerca ha tentato di dimostrare successivamente:
•
che l’attività farmacologica delle diluizioni Hahnemanniane poteva essere scientificamente
dimostrata con procedimenti riproducibili e statisticamente validi;
•
che l’attività di queste diluizioni dipendeva da una particolare struttura chimico-fisica e
che, conseguentemente esse non erano soluzioni vuote, “delle diluizioni in cui non c’è nulla”,
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come si è detto e si dice troppo spesso.
L’attività farmacologica delle diluizioni Hahnemanniane
Data l’impossibilità di provocare un’azione farmacodinamica diretta nei soggetti sani, la
grande idea dei ricercatori fu quella di sperimentare l’azione farmacologica dei farmaci
omeopatici su materiale animale o vegetale “sensibilizzato”. Così:
•
se si intossicano dei ratti con l’arseniato di Na, si ritrova nei loro escreti, nei giorni
successivi, solo il 35% del tossico somministrato, e, parallelamente, si nota un incremento
della cronassia vestibolare che traduce precisamente questa sub-intossicazione.
Se, verso il 45° giorno dalla intossicazione iniziale, si somministrano diluizioni
Hahnemanniane di arseniato di Na, alla 7, 9 o 15CH, si nota che l’arsenico ricompare negli
escreti e la cronassia vestibolare ritorna nei limiti della norma nel giro di qualche giorno.
• Se si somministra dell’allosana a dei ratti, si provoca loro tossicologicamente un diabete
mellito sperimentale per distruzione delle isole di Langherans.
Se, però, si iniettano, prima dell’iniezione iperglicemizzante di allosana, delle diluizioni
infinitesimali della stessa sostanza, il diabete non compare.
Se si iniettano le diluizioni infinitesimali nei giorni successivi all’iniezione ponderale
iniziale, il diabete provocato è molto meno grave, così le alterazioni istologiche pancreatiche.
•
Se si intossicano dei chicchi di grano con solfato di rame, si modifica considerevolmente la
loro “vitalità”, in particolare, il loro potenziale di germinazione: il peso delle radici, la
clorofillogenesi, l’attività amilasica sono estremamente diminuite rispetto ai medesimi
parametri di chicchi normali.
Se, però, si fanno germinare questi chicchi intossicati su di un substrato addizionato con
una diluizione alla 15CH di solfato di rame, tutti questi parametri sono significativamente
migliorati e si riavvicinano a quelli dei chicchi normali.
•
Se si inietta tetracloruro di carbonio o fosforo a dei ratti, si provocano ad essi,
tossicologicamente, delle lesioni anatomopatologiche tipiche di epatite.
Se, dopo aver intossicato i ratti con tetracloruro di carbonio, si iniettano diluizioni di
fosforo alla 7 o 15CH, si migliorano le loro lesioni istologiche di epatite e, nello stesso tempo,
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si regolarizzano i tassi ematochimici perturbati, in particolare quello delle transaminasi
sieriche.
I primi tre gruppi di sperimentazioni provano l’azione delle diluizioni infinitesimali, anche
di quelle in cui non è più possibile ritrovare delle molecole della sostanza di base (15CH è
una diluizione situata oltre il numero di Avogadro).
Il quarto gruppo di sperimentazioni mostra anch’esso l’azione delle alte diluizioni e prova,
nel contempo, la realtà della Legge di Similitudine: l’intossicazione da tetracloruro di carbonio è
guarita da diluzioni Hahnemanniane di fosforo, metalloide in grado, da un punto di vista
tossicologico, di provocare lesioni simili a quelle indotte dal tetracloruro di carbonio.
I fatti si arrestano a questo punto: la prova dell’azione delle dosi infinitesimali
Hahnemanniane e le prove della Legge di Similitudine non sono confutabili. Sono prove
scientifiche e incontestabili, perché riproducibili.
Ma come spiegare l’azione di queste diluzioni infinitesimali quando esse non contengono
più molecole della sostanza di base? A parte il fattore della dinamizzazione, a questo punto
iniziano le ipotesi e le sperimentazioni che tentano di giustificarle.
(Io personalmente, seguendo maggiormente la scuola tedesca ed avendo approfondito la
medicina antroposofica che da anni “coltivo”, ritengo estremamente determinante anche il ruolo
delle dinamizzazioni quale fattore scatenante e fondamentale nell’azione del rimedio omeopatico).
Studio della struttura fisica delle diluizioni Hahnemanniane
Quando si diluisce una sostanza in un solvente, intervengono complessi fenomeni:
•
la dispersione delle molecole: tra un grammo di NaCl in forma solida e un diluito in 1,10,100
litri d’acqua, la differenza esistente a proposito dello stato fisico, cioè della disposizione
relativa delle molecole, è evidente.
Allo stesso modo è evidente, del resto, la differenza esistente tra l’acqua allo stato liquido,
solido o gassoso, sempre per ciò che concerne la disposizione delle molecole.
In questi due esempi, nonostante la formula di base sia la stessa, le costanti fisiche, le
possibilità d’azione, di utilizzo, non sono le stesse.
Ma in una diluizione la dispersione delle molecole della sostanza diluita fra quelle del
50
solvente, non è il solo fenomeno da considerarsi. Infatti, si crea pure:
•
un’interazione molecolare particolare fra i due componenti. Ad esempio, in una diluizione
acquosa, ogni molecola o ogni ione della sostanza diluita si circonda di molecole d’acqua per
costituire una molecola o uno ione idratato, aventi nuove proprietà.
In seguito ad un’ulteriore diluizione, questa interazione molecolare varia, non solo per ogni
molecola della sostanza di base idratata, ma anche in rapporto alle molecole del solvente
non direttamente in contatto con la sostanza.
Ne consegue che, ogni volta che si diluisce un prodotto in un solvente, si crea una nuova
entità fisico-chimica dalle proprietà non solamente proporzionali rispetto alle quantità di
sostanze in causa.
Le molecole della sostanza diluita creano un’interazione particolare con le molecole
del solvente e ciò si traduce in un nuovo stato fisico. Questo stato fisico varia in
conseguenza delle diluizioni; ogni nuova diluizione è caratterizzata dallo stato fisico
preesistente. Accade come se il solvente conservasse la memoria, per ogni diluizione, della
struttura fisica della diluizione precedente. Questo stato può dunque perpetuarsi anche
in assenza di molecole della sostanza di base nel solvente.
Allora, come dimostrare che tale struttura esiste e che essa è, probabilmente, il supporto
dell’attività terapeutica delle diluizioni Hahnemanniane se non si può determinarla con
certezza?
L’équipe di ricerca di Jean Boiron si è posta il problema ed ha successivamente dimostrato
che:
• il valore della costante dielettrica delle varie diluizioni variava effettivamente in
funzione dell’altezza delle diluizioni.
• Recentemente LUU-D-VINH ha potuto studiare il particolare stato fisico delle
diluizioni Hahnemanniane tramite effetto Raman Laser.
Sottoponendo le diluizioni ad un raggio laser (fascio luminoso monocromatico) e
registrando allo spettrografo Raman le diffusioni prodotte, si ottengono degli spettri
particolari. Questi mostrano che le strie caratteristiche del solvente si ritrovano sempre,
ma modificate in funzione dell’altezza delle diluizioni ed in funzione della sostanza
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diluita.
Si può, dunque, pensare che è questo particolare stato fisico, oltre alla
dinamizzazione, il depositario del potenziale reattivo e terapeutico di una sostanza
diluita secondo i procedimenti ideati da Hahnemann.
Possiamo, quindi, dedurre come esposto in precedenza, che il farmaco o rimedio
omeopatico è, a causa delle successive diluizioni, sempre privo di tossicità, che agisce
in funzione di uno stato fisico particolare, è suscettibile di far reagire l’organismo
malato, agisce qualitativamente e non quantitativamente e deve essere somministrato
al di sopra di un limite minimo che rappresenta la soglia di sensibilità reattiva del
paziente: questa soglia normalmente parte dalla 3 - 4CH.
*****
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POSOLOGIA DEI FARMACI
O RIMEDI OMEOPATICI
La scelta della diluizione dipende dal caso clinico ed anche, bisogna riconoscerlo, dalle
abitudini e dal temperamento di ogni Omeopata. Con l’esperienza, ognuno possiede la tastiera da
cui sa tirare fuori il meglio. Esiste, però, un insieme di regole generali che, normalmente, sono
rispettate dalla maggioranza degli Omeopati.
•
Nei casi acuti si ricorre alle basse e medie diluizioni.
•
Nei casi subacuti si ricorre a diluizioni medie.
•
Nei casi cronici si ricorre a diluizioni elevate.
Queste regole possono riassumersi nel seguente schema:
RIMEDIO
MALATTIA CRONICA
(Alte diluizioni)
RIMEDIO
COSTITUZIONALE
(Alte diluizioni)
RIMEDIO SINTOMATICO
O FUNZIONALE
(Basse o medie diluizioni)
Drenaggio
(eventualmente)
Quando si tratta di attaccare un sintomo o un gruppo di sintomi, quando si ricerca un’azione
organotrofica o di drenaggio, si utilizzano diluizioni basse.
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Quando si tratta di modificare il Terreno con l’aiuto di medicamenti di Costituzione o di
Temperamento, si impiegano diluizioni medie o medio-alte. Quando, infine, si deve trattare una
Diatesi, la Mentalità o lo Psichismo, si utilizzano diluizioni alte.
E’ giusto aggiungere che, alcuni Omeopati qualificati sono dei “bassi diluizionisti” ed altri,
non meno stimati, sono, quasi esclusivamente, degli “alti diluizionisti”.
Ancora una volta è da parte dell’Omeopata una questione di temperamento e di esperienza.
La regola d’oro è la giusta applicazione della Legge di Similitudine, qualunque sia il metodo al
quale si dia la preferenza.
Nella ripetizione delle dosi, esiste una regola la cui origine risale ad Hahnemann stesso e che
egli aveva dedotto dalle sue osservazioni.
Non bisogna ripetere la somministrazione di un medicamento finchè il malato resta sotto
l’effetto benefico della sua azione.
L’americano Kent ha molto insistito su questo punto.
Non si rinnova la presa di un medicamento se non quando il o i sintomi fanno la loro
comparsa. Questa regola ideale non è sempre facile da rispettare nella pratica perché il medico non
resta presso il malato ad osservare gli effetti delle sue prescrizioni.
Tuttavia, occorre regolare la condotta tenendo conto della durata d’azione presunta dei
medicamenti secondo le loro rispettive diluizioni.
L’esperienza ha permesso di stabilire una sorta di scala di valori della durata d’azione delle
differenti diluizioni. Generalmente si pensa che le basse e medie diluizioni, dall’azione
relativamente superficiale e di corta durata, debbano essere prescritte varie volte al dì (ad esempio
nelle malattie acute).
Nelle malattie subacute il rimedio omeopatico, sarà somministrato 2 – 3 volte al dì nella
misura, ad esempio, di 5 granuli alla volta.
Nelle malattie croniche o per un’azione profonda sul Terreno e sulla Costituzione del
paziente, saranno prescritti, a seconda del grado di similitudine, ad alte dosi ed a distanza di giorni
o settimane.
Quindi sono due i grandi principi fondamentali per la prescrizione e la posologia:
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•
più la similitudine è grande, più la diluizione da impiegare deve essere elevata e
viceversa;
•
dall’inizio del miglioramento clinico, ridurre la frequenza delle assunzioni o anche
cessarle a seconda che il caso sia più o meno cronico.
Nei casi acuti e subacuti, il potere del rimedio omeopatico si esaurisce in modo
relativamente rapido; ad esempio in una diarrea coleriforme, i medicamenti possono essere
somministrati ogni 10/15/20 minuti e in una pertosse dagli accessi molto frequenti, ogni mezz’ora
o ogni ora. D’altra parte bisogna anche tener conto che certi soggetti, in particolare gli ossigenoidi,
gli ipertiroidei, gli ipersimpaticotonici, metabolizzano rapidamente il loro farmaco omeopatico
anche se in diluizioni alte o medio-alte e quindi, con questi soggetti, si è autorizzati ad accorciare
l’intervallo di somministrazione dei rimedi. Per esempio, una donna che soffre di insonnia del tipo
dell’Ignatia o Lachesis, può assumere la dose utile, che è spesso una diluizione elevata, ogni 5/7
giorni ed oltre.
*****
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LE DIFFERENTI SCUOLE
Le Scuole degli Omeopati si dividono in tre tipologie:
•
Unicista,
•
Pluralista,
•
Complessista.
Gli Unicisti sono rigoristi esclusivi; ciò significa che essi prescrivono un solo rimedio alla
volta che si accosta il più possibile al Simillimum. Questo rimedio è somministrato e mantenuto
fino a che si sia ottenuto l’effetto ricercato, ora in diluizioni basse o medie, più frequentemente ad
alte e ad altissime diluizioni.
I Pluralisti, senza disdegnare occasionalmente il rimedio unico, prescrivono parecchi
farmaci omeopatici nel corso della giornata, ma in assunzioni separate e distanziate. Essi
modificano tutto o una parte del loro trattamento secondo l’evolversi dei sintomi.
I Complessisti sono quelli che utilizzano delle formule composte e quindi associate; più
rimedi omeopatici sono somministrati contemporaneamente. Essi si dividono in due campi che
utilizzano entrambi formule polivalenti composte mediante l’aiuto di rimedi complementari, in
generale a bassa diluizione. A questa tecnica il primo gruppo, avvicinandosi agli Unicisti ed ai
Pluralisti, aggiunge dei medicamenti del Terreno e delle Diatesi e, quindi, diluizioni alte e medie.
Il secondo gruppo di Complessisti, al contrario, non utilizza mai delle attenuazioni superiori
alla 4 – 5CH e nella maggioranza dei casi, non si serve di rimedi del Terreno e delle Diatesi.
Questi Omeopati sono, in generale, dei bassi diluizionisti.
Noi non dobbiamo giudicare se sia meglio l’una o l’altra scuola, anche se io personalmente,
sono “più vicino”, in generale, alle scuole Complessiste (primo gruppo).
Per concludere questa mia dissertazione, si può dire che in Francia il sistema di pluralismo
moderato ha prevalso e che la maggioranza degli Omeopati impiega, come detto in precedenza,
delle basse diluizioni per i rimedi dei sintomi o per il drenaggio; delle diluizioni medie per i
rimedi costituzionali; delle diluizioni medie ed alte per le Diatesi ed il Terreno. Vengono
maggiormente utilizzate diluizioni CH (centesimali Hahnemanniane).
In Germania, il complessismo ed il basso e medio diluizionismo sono dominanti. Vengono
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utilizzate, in via prevalente, diluizioni DH (decimali Hahnemanniane) in quanto viene data
estrema importanza al numero maggiore di dinamizzazioni rispetto alle CH.
In Inghilterra, l’unicismo stretto, così come l’alto diluizionismo, hanno numerosi seguaci.
Negli Stati Uniti, esistono due tendenze nettamente divergenti: gli Unicisti, alti diluizionisti,
da una parte, i Complessisti eclettici dall’altra.
In Spagna, in Italia e Paesi Latini, si nota forse una leggera tendenza che si riallaccia al
metodo francese. Recentemente, però, anche in Italia, come in Svizzera, tutte e tre le scuole
hanno preso brillantemente piede e sono ampiamente rappresentate. In particolare in Svizzera, che
siano o no Complessisti, gli Omeopati restano maggiormente fedeli all’uso delle medio-alte
diluizioni.
*****
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• Vol. III - Rimedi e veleni del regno animale in Omeopatia – 1992
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