CONSIGLIO DI STATO – Quarta sezione – sentenza n. 1559/2004

SENTENZE IN SANITÀ – CONSIGLIO DI STATO
CONSIGLIO DI STATO – Quarta sezione – sentenza n. 1559/2004
La scelta della Regione Puglia di approvare il Piano sanitario con legge “non è lesiva di alcuna sfera di
competenza legislativa riservata allo Stato”. Le Regioni sono libere di usare uno strumento diverso
dall’atto amministrativo, anche se provvisto di forza superiore, purché rispetti le indicazioni generali
contenute nel piano nazionale”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 8375/2003 proposto dal Comune di Terlizzi, in persona del Sindaco pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Paccione ed elettivamente domiciliato presso lo
studio del Dr. A. Placidi in Roma, Lungotevere Flaminio n. 46;
CONTRO
la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore della Giunta Regionale, rappresentata
e difesa dagli Avv.ti Pietro Quinto e Francesco Paparella ed elettivamente domiciliata presso
Giorgio Recchia in Roma, Corso Trieste n. 88;
E NEI CONFRONTI DI
Comune di Corato, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti
Francesco Paparella e Marco Palieri ed elettivamente domiciliato presso Giorgio Recchia in
Roma, Corso Trieste n. 88;
Azienda Unità Sanitaria Locale BA/1 “Castel del Monte”, in persona del Direttore Generale pro
tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Fulvio Mastroviti ed elettivamente domiciliata presso
Chieco Bianchi Alessandro in Roma, Via Cicerone n.28;
Comune di Ruvo di Puglia, non costituito;
Ministero della Salute in persona del Ministro pro tempore, non costituito;
Agenzia Regionale Sanitaria Pugliese – A.R.E.S., in persona del Direttore pro tempore, non costituita;
Conferenza Permanente Regione-Autonomie Locali, in persona del Presidente pro tempore, non
costituita;
CON L’INTERVENTO AD ADIUVANDUM DI
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Comune di Mesagne, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti
Giovanni e Gianluigi Pellegrino ed elettivamente domiciliato presso il primo in Roma, Via Giustiniani n.18;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, sez.I, n.2899/03 in
data 17.7.2003;
Visto l’atto di appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia, del Comune di Corato e
dell’A.U.S.L. BA/1;
Visto l’atto di intervento del Comune di Mesagne;
Viste le memorie difensive depositate dalle parti costituite;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 20 gennaio 2004, relatore il consigliere Carlo Deodato, uditi i difensori delle parti, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con la sentenza appellata il T.A.R. della Puglia dichiarava improcedibile il ricorso proposto dal
Comune di Terlizzi avverso le delibere regionali approvative del piano sanitario e di quello di
riordino della rete ospedaliera, nella parte in cui contemplavano la disattivazione di talune unità
operative dell’Ospedale “M. Sarcone” di Terlizzi ed il loro trasferimento nel presidio ospedaliero di Corato, sulla base del rilievo che la sopravvenuta approvazione della legge regionale 9 dicembre 2002, n.20, con cui erano stati assunti e recepiti (all’art.18, commi 3 e 7) gli effetti dei
provvedimenti impugnati, aveva privato il Comune ricorrente di ogni interesse alla decisione del
ricorso.
Avverso tale decisione proponeva rituale appello il Comune di Terlizzi, contestando la qualificazione della l.r. n.20/2002 come legge-provvedimento, criticando, comunque, la correttezza
delle conseguenze processuali tratte dai primi giudici da tale classificazione, censurando, in subordine, la legittimità costituzionale della citata legge regionale, reiterando tutte le censure di
merito già formulate con il ricorso di primo grado all’indirizzo delle delibere regionali impugnate e concludendo per la riforma della decisione appellata e per il conseguente annullamento dei
piani sanitario ed ospedaliero, nelle parti espressamente contestate.
Resistevano la Regione Puglia, il Comune di Corato e l’A.U.S.L. BA/1, contestando la fondatezza delle doglianze dedotte a sostegno dell’appello, difendendo, in particolare, il convincimento espresso dai giudici di prima istanza in merito alla natura di legge-provvedimento della l.r.
n.20/02 ed alla sua compatibilità costituzionale e concludendo per la reiezione del ricorso.
Non si costituivano, invece, le altre amministrazioni appellate.
Il Comune di Terlizzi proponeva, inoltre, motivi aggiunti con i quali deduceva, in particolare,
l’insussistenza nello stabilimento ospedaliero di Corato dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi.
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Interveniva volontariamente in giudizio il Comune di Mesagne, aderendo alle difese ed alle domande svolte dal Comune di Terlizzi e concludendo per l’accoglimento dell’appello.
Le parti illustravano ulteriormente le loro tesi mediante il deposito di memorie difensive.
Il ricorso veniva, quindi, trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 gennaio 2004.
DIRITTO
1.- Una compiuta intelligenza delle questioni controverse esige una preliminare ricognizione
della vicenda, sostanziale e processuale, dedotta in giudizio.
1.1- Con le delibere n.1429 del 30 settembre 2002 e n.2087 del 27 dicembre 2001 la Regione
Puglia provvedeva, rispettivamente, a definire un nuovo assetto della rete ospedaliera regionale
e a pianificare la gestione del servizio sanitario, disponendo, tra l’altro, la soppressione di alcune unità operative dell’ospedale “M. Sarcone” di Terlizzi ed il loro trasferimento nel vicino presidio sito nel Comune di Corato.
1.2- Il Comune di Terlizzi, quale ente esponenziale degli interessi intestati alla comunità territoriale di riferimento, impugnava dinanzi
al T.A.R. della Puglia i predetti provvedimenti, nella parte riferita alla nuova organizzazione
dell’ospedale “M Sarcone”, assumendone il carattere lesivo degli interessi azionati, deducendone l’illegittimità sotto diversi profili, tra i quali merita di essere segnalato quello relativo
all’incompetenza della Giunta in favore del Consiglio in ordine all’approvazione degli atti programmatori, ed invocandone, quindi, l’annullamento.
Nel corso del giudizio di primo grado veniva approvata la legge regionale 9 dicembre 2002,
n.20 (legge di assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio 2002) che all’art.18, commi 3 e 7, stabiliva i livelli di assistenza sanitaria con esplicito riferimento all’articolazione delle
strutture territoriali ed ospedaliere contenuta nel piano sanitario ed in quello ospedaliero.
La resistente Regione Puglia eccepiva, quindi, la sopravvenuta carenza di interesse del Comune
di Terlizzi alla decisione del ricorso, sulla base del rilievo che l’eventuale annullamento delle
delibere impugnate non avrebbe determinato l’eliminazione dei loro effetti sostanziali, ormai
prodotti dalle citate disposizioni legislative.
Il Tribunale adìto, riscontrando la fondatezza di tale eccezione, qualificava la menzionata legge
regionale come legge-provvedimento, in quanto sostanzialmente approvativa del piano sanitario
e di quello ospedaliero, riteneva che l’intervenuta “legificazione” dei provvedimenti amministrativi impugnati impedisse il sindacato di legittimità di questi ultimi, giudicava manifestamente infondate le eccezioni di incostituzionalità delle sopravenute disposizioni legislative e dichiarava conseguentemente improcedibile il ricorso.
1.2- Il Comune di Terlizzi appellava tale statuizione, contestando la correttezza della qualificazione della legge regionale come legge provvedimento, sostenendo che, in ogni caso, tale catalogazione dogmatica della sopravvenienza non impediva il sindacato di legittimità delle delibere
gravate, eccependo, comunque, l’incostituzionalità, sotto diversi profili, della legge regionale,
riproponendo le censure dedotte a sostegno dell’impugnazione degli atti pianificatori e domandando l’annullamento di questi ultimi, previa riforma della pronuncia dichiarativa
dell’improcedibilità del ricorso di primo grado.
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La Regione Puglia, il Comune di Corato e l’A.U.S.L. BA/1 eccepivano, di contro, l’inammissibilità del ricorso, sotto il duplice profilo della carenza di interesse e di legittimazione a ricorrere dell’Ente appellante, difendevano la correttezza della pronuncia gravata e, nel merito, la legittimità del piano di riordino della rete ospedaliera, nella parte riferita all’ospedale di Terlizzi, e
concludevano per la dichiarazione di inammissibilità o per la reiezione dell’appello.
Interveniva volontariamente ad adiuvandum il Comune di Mesagne che aderiva alle difese, alle
prospettazioni ed alle conclusioni formulate dal Comune appellante.
1.3- Nel corso del giudizio di appello entrava in vigore la legge regionale 7 gennaio 2004, n.1
(legge di bilancio) che, all’art.35, contiene un’espressa approvazione del piano sanitario e del
piano di riordino della rete ospedaliera.
Nelle ultime memorie difensive il dibattito di incentrava, con evidenti, opposte interpretazioni,
sulle implicazioni processuali della predetta disposizione e, in particolare, sulla sua natura di
legge-provvedimento, sulla sua idoneità a determinare l’improcedibilità
del ricorso del Comune di Terlizzi e, da ultimo, sulla sua compatibilità costituzionale.
2.- Va preliminarmente dichiarata, anche d’ufficio, l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum del Comune di Mesagne, per un duplice ordine di considerazioni.
2.1- L’intervento, siccome inteso a tutelare un interesse che il titolare sarebbe stato legittimato
ad azionare in via principale (in quanto connesso ad una presunta lesione degli interessi della
comunità locale), avrebbe dovuto essere esperito entro il termine di decadenza stabilito per
l’impugnazione dei provvedimenti gravati dal ricorrente (cfr. ex multis Cons. St., sez. VI, 11
settembre 2002, n.4606), sicché la sua (evidente) tardiva proposizione ne determina
l’inammissibilità.
2.2- Non solo, ma l’avvenuta proposizione da parte del Comune intervenuto di autonomo ricorso avverso i medesimi atti impugnati nella presente controversia (ed attualmente, a quanto consta, pendente in appello) impone di giudicare irritualmente introdotte in quest’ultima le medesime ragioni difensive dedotte in via principale in altro giudizio, in quanto finalizzate a costituire un’inammissibile duplicazione di posizioni, sostanziali e processuali, identiche in ricorsi tra
loro distinti.
3.- Devono essere, ancora in via pregiudiziale, parimenti respinte le eccezioni di inammissibilità
del ricorso formulate, con accenti parzialmente diversi, dalle parti appellate.
3.1- In ordine alla sussistenza in capo all’Ente odierno appellante della legittimazione e
dell’interesse ad impugnare le parti del piano sanitario e di quello ospedaliero riferite alla struttura ricadente nel suo territorio, è sufficiente ribadire che, secondo un univoco e consolidato orientamento giurisprudenziale (Cons. St., sez. VI, 5 dicembre 2002, n.6657; sez. VI, 6 ottobre
2001, n.5296; sez. VI, 6 ottobre 1999, n.1301), il Comune deve intendersi titolato, quale ente
esponenziale degli interessi riferibili alla collettività dei residenti nel suo territorio (come, peraltro, espressamente sancito dall’art.3, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267),
all’impugnazione dei provvedimenti che producono effetti pregiudizievoli per la comunità locale dallo stesso rappresentata.
3.2- In merito all’assunto dell’inconfigurabilità, negli interventi specificamente contestati, di
qualsivoglia (concreta) capacità lesiva degli interessi della comunità locale di riferimento, basta
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rilevare che, ai fini dell’ammissibilità del gravame, la mera affermazione della perdita di alcuni
posti letto riconosciuti all’ospedale “M. Sarcone” e, dunque, della riduzione quantitativa delle
prestazioni erogabili nel presidio ospedaliero ricadente nel territorio comunale costituisce
senz’altro prospettazione astrattamente idonea a legittimare l’iniziativa giurisdizionale controversa.
4.- La questione principalmente dibattuta, ancora logicamente antecedente al merito della controversia, si risolve nella qualificazione della sopravvenuta legge regionale approvativa del piano sanitario e del piano di riordino della rete ospedaliera, nella disamina degli effetti di tale sopravvenienza sulla procedibilità del ricorso e, da ultimo, nella verifica della compatibilità costituzionale del citato provvedimento normativo regionale.
5.- L’analisi di tali questioni postula una preliminare ricostruzione dogmatica dell’istituto della
legge-provvedimento e dei rapporti tra tale categoria di atti normativi ed il sistema di tutela giurisdizionale amministrativa descritto dalla Costituzione.
5.1- La questione della compatibilità costituzionale delle c.d. leggi-provvedimento, e cioè di
quegli atti formalmente legislativi che tengono, tuttavia, luogo di provvedimenti amministrativi,
in quanto dispongono, in concreto, su casi e rapporti specifici, è stata fortemente dibattuta fin
dall’inizio della storia repubblicana, ma è stata, poi, definitivamente risolta dalla Corte Costituzionale con l’affermazione di principi ormai consolidati.
5.2- Specificamente investita della questione, la Consulta ha, infatti, riconosciuto
l’ammissibilità della categoria di atti normativi in esame sulla base del duplice rilievo
dell’insussistenza di una riserva di amministrazione: la Costituzione non garantisce ai pubblici
poteri l’esclusività delle pertinenti attribuzioni gestorie e dell’inconfigurabilità per il legislatore
di limiti diversi da quelli – formali – dell’osservanza del procedimento di formazione delle leggi: la Costituzione omette di prescrivere il contenuto sostanziale ed i caratteri essenziali dei precetti legislativi (Corte Cost., 25 maggio 1957, nn.59 e 60; 21 marzo 1989, n.143; 16 febbraio
1993, n.62; 24 febbraio 1995, n.63; 21 luglio 1995, n.347).
Secondo la ricostruzione concettuale dell’istituto operata dalla Corte con le sentenze citate, il
valore ed il regime giuridico della legge derivano unicamente dalla sua qualificazione formale e
prescindono dalla natura generale ed astratta delle disposizioni in essa contenute.
5.3- Così ammessa la compatibilità delle leggi in sostituzione di provvedimento con l’assetto
del vigente ordinamento costituzionale, deve esaminarsi la complessa questione dei rapporti con
le garanzie di tutela giurisdizionale di quella particolare tipologia di leggi-provvedimento che si
caratterizza per il vincolo funzionale che le lega ad un provvedimento amministrativo (quali le
leggi di approvazione e di autorizzazione).
Quest’ultima categoria di leggi (e, in particolare, quella delle leggi di approvazione) si connota,
in particolare, per il concorso della volontà legislativa con quella amministrativa nella definizione del contenuto dispositivo sostanziale definitivamente descritto nella legge e si risolve,
quanto al rapporto degli effetti prodotti dai due atti ed al relativo regime degli stessi,
nell’assorbimento dell’atto approvato nella legge che lo approva, della quale acquista il valore e
la forza formali e sostanziali.
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In questa fattispecie, in sostanza, a differenza di quanto accade per altre categorie di leggiprovvedimento che tengono luogo dell’atto amministrativo (concretamente inesistente), la legge
regola una situazione sostanziale sulla quale ha già disposto un provvedimento amministrativo.
La peculiare configurazione appena descritta del vincolo che lega la legge all’atto approvato
presenta evidenti implicazioni in merito al rispetto delle garanzie di tutela giurisdizionale nei
riguardi dei provvedimenti amministrativi sancite dal combinato disposto degli artt. 24 e 113
della Costituzione.
5.3.1- Il Giudice delle leggi ha risolto il problema ritenendo che i diritti di difesa del cittadino,
in caso di sopravvenuta approvazione con legge di un atto amministrativo lesivo dei suoi interessi, non vengono sacrificati, ma si trasferiscono, secondo il regime di controllo proprio del
provvedimento normativo medio tempore intervenuto, dalla giurisdizione amministrativa alla
giustizia costituzionale (Corte Cost. 16 febbraio 1993, n.62).
Secondo questa impostazione, in sintesi, il sistema di tutela segue la natura giuridica dell’atto
contestato, sicché la legge-provvedimento, ancorché approvativa di un atto amministrativo, può
essere sindacata, previa intermediazione del giudice rimettente, solo dal suo giudice naturale: la
Corte costituzionale.
5.3.2- Tale ricostruzione concettuale dell’assetto di tutela delle posizioni incise dalla leggeprovvedimento, oltre a connotarsi per la sua rigorosa aderenza al valore formale di quest’ultima
ed al pertinente sistema di controlli definito dalla Costituzione, valorizza la pregnanza del sindacato costituzionale di ragionevolezza della legge, ancor più incisivo di quello giurisdizionale
sull’eccesso di potere, e finisce, quindi, per riconoscere al privato, seppur nella forma indiretta
della rimessione della questione da parte del giudice amministrativo, una forma di protezione ed
un occasione di difesa pari a (se non maggiore di) quella offerta dal sindacato giurisdizionale.
5.3.3- Con due isolate pronunce (Corte Cost.11 giugno 1999, nn.225 e 226) la Corte ha, tuttavia,
affermato il diverso principio della sindacabilità della legittimità di un atto amministrativo, nonostante la sua sopravvenuta approvazione con legge regionale.
Tale ricostruzione va, tuttavia, circoscritta alla peculiare fattispecie ivi esaminata: la compatibilità costituzionale di una legge regionale di regolamentazione di un complesso procedimento
avente ad oggetto l’adozione, la verifica e l’approvazione del piano territoriale di coordinamento di un parco naturale, suddiviso in due fasi autonome, l’una, amministrativa, di adozione del
piano, con le connesse garanzie procedimentali, e l’altra, legislativa, di mera approvazione dello
stesso.
La Corte, a fronte di una compiuta regolamentazione legislativa del procedimento finalizzato
all’adozione del piano, ha ritenuto che l’approvazione con legge di quest’ultima non sottrae al
sindacato giurisdizionale la verifica delle denunciate violazioni delle regole procedimentali dettate con riferimento alla fase amministrativa, in quanto preordinata alla definizione dell’oggetto
della legge di approvazione ed inscindibilmente connessa alla portata dispositiva di
quest’ultima, secondo la stessa presupposta disciplina normativa dell’iter formativo del piano.
5.3.4- La peculiarità della fattispecie esaminata e decisa con le sentenze citate ed il carattere minoritario dell’indirizzo con le stesse inaugurato impediscono, tuttavia, di assegnare valenza ge-
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nerale al principio, ivi affermato, dell’ammissibilità del sindacato giurisdizionale amministrativo di un provvedimento successivamente approvato con legge.
Quest’ultimo principio si rivela, peraltro, se non restrittivamente inteso con esclusivo riferimento alla verifica della compatibilità costituzionale della legge regionale regolatrice del procedimento finalizzato all’adozione ed all’approvazione di un piano urbanistico, confliggente con le
costanti enunciazioni della Corte in merito alla soggezione della legge, ancorché di approvazione di un provvedimento amministrativo, al regime di validità ed alla forza sostanziale propri degli atti legislativi.
L’affermazione della sindacabilità di un atto amministrativo anche dopo la sua approvazione
con legge si risolve, infatti, a ben vedere, nell’attribuzione ad un giudice diverso dalla Corte Costituzionale della potestà di procedere ad una cognizione diretta della legittimità della leggeprovvedimento (o, comunque, dei suoi effetti), nel ché si risolve la disamina della legalità di un
atto dalla stessa assunto a rango legislativo.
Né vale, peraltro, riferire l’oggetto dell’indagine giurisdizionale alla delibera di adozione del piano (formalmente e sostanzialmente amministrativa), posto che gli effetti di quest’ultima sono
stati, poi, definitivamente assorbiti nella legge-provvedimento di approvazione, della quale hanno così assunto valore e regime giuridico, con conseguente impossibilità di discernimento di effetti ascrivibili solo al provvedimento amministrativo, e non anche alla legge.
5.3.5- Secondo la dottrina più avvertita, in particolare, deve ritenersi inconfigurabile nel nostro
ordinamento la categoria delle c.d. “leggi in senso formale”, connotate cioè solo da elementi estrinseci ma prive, per il loro contenuto materiale, del valore giuridico del provvedimento legislativo, atteso che la Costituzione non vincola il contenuto dispositivo e precettivo della funzione legislativa e connette, di contro, la natura di legge alla sola formazione come tale dell’atto
normativo.
Ulteriore corollario di tale impostazione teorica è che la legge, qualunque sia il suo contenuto
materiale, soggiace al regime di valore suo proprio, di talché la sua validità può essere scrutinata
solo dalla Corte Costituzionale, così come solo dal medesimo organo possono essere eliminati i
suoi effetti.
5.4- Resta da esaminare il rapporto tra l’approvazione della legge-provvedimento e la pendenza
di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’atto amministrativo connesso, secondo il
vincolo sopra descritto, a quello normativo.
La questione si risolve in un conflitto tra due valori costituzionali: le garanzie di tutela giurisdizionale e l’autonomia della funzione legislativa.
5.4.1- La Corte non ha ignorato il problema e lo ha risolto (Corte Cost. 20 novembre 1995,
n.492) assegnando alla pendenza di una controversia avente ad oggetto un atto amministrativo la
valenza di limite specifico all’esercizio della funzione legislativa relativa a leggi in sostituzione
di provvedimento (e, in particolare, del provvedimento concretamente sub judice).
La portata di tale limite non risulta, tuttavia, definita in modo preciso dalla giurisprudenza costituzionale, sicché spetta all’operatore chiarire il suo contenuto e la natura delle conseguenze della sua violazione.
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5.4.2- Possono formularsi, al riguardo, due ipotesi: 1) la pendenza del ricorso impedisce
l’approvazione della legge-provvedimento; 2) solo la formazione del giudicato paralizza un intervento legislativo contrastante con il dictum giurisdizionale.
La prima opzione dev’essere rifiutata in quanto si risolve in un inammissibile vulnus delle prerogative delle assemblee dotate di competenza legislativa, nell’introduzione di un limite nuovo,
non codificato, all’esercizio della relativa funzione e nell’assoluta ed illimitata prevalenza su
quest’ultima delle esigenze di giustizia pertinenti ad un processo in corso.
La seconda soluzione, che individua nel rispetto del giudicato l’unico limite ammissibile ad
un’iniziativa legislativa confliggente con il decisum, si rivela, invece, maggiorente coerente con
l’assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, e, quindi, preferibile, in quanto finalizzata ad
evitare l’irrimediabile sacrificio delle garanzie di tutela giurisdizione ed a contemperare in modo
equilibrato i due valori costituzionali di riferimento.
5.4.3- La pendenza di un ricorso avente ad oggetto proprio il provvedimento amministrativo da
approvare con la legge non si rivela, comunque, del tutto indifferente ai fini del corretto esercizio della funzione legislativa.
La scelta formulata dal legislatore nella predetta situazione non è, infatti, del tutto libera, nel
senso che l’organo legiferante non può ignorare la pendenza del giudizio e le aspettative di giustizia del ricorrente e che l’eventuale comprovata, esclusiva finalizzazione dell’approvazione
della legge alla sottrazione dell’oggetto del sindacato giurisdizionale ed alla conseguente privazione della stessa possibilità di tutela giurisdizionale costituirebbe un indice sintomatico
dell’irragionevolezza della legge-provvedimento.
6.- Così illustrati i caratteri essenziali dell’istituto della legge-provvedimento ed i riflessi della
sua approvazione sulla tutela processuale, occorre procedere allo scrutinio delle doglianze formulate dal Comune appellante all’indirizzo della sentenza gravata, con la quale è stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso in primo grado proprio per la sopravvenienza di una legge in sostituzione di provvedimento.
Si deve ancora avvertire che l’esame delle censure relative alla natura ed alla legittimità della
legge va condotto con riguardo alle difese contenute nella memoria difensiva dell’8 gennaio
2004, in quanto espressamente riferite alla legge regionale n.1/04 (da valersi, ormai, quale provvedimento normativo di riferimento, ai fini della verifica della procedibilità del ricorso).
6.1- Va, anzitutto, affermata la natura giuridica di legge-provvedimento, che sembra, peraltro,
implicitamente ammessa dallo stesso appellante (si veda la rubrica del punto II.b a pag.9 della
memoria), della disposizione contenuta nell’art.35, comma 3, legge regionale n.1/04, con la quale vengono espressamente approvati il piano sanitario di cui alla delibera G.R. 27 dicembre
2001 ed il piano di riordino della rete ospedaliera di cui alle delibere di G.R. del 2 agosto 2002 e
del 30 settembre 2002.
Mentre, infatti, la formulazione delle disposizioni precedenti (art.18, commi 3 e 7, della legge
regionale 20/2002) poteva ingenerare serie perplessità sulla loro natura di leggi in sostituzione
di provvedimento (posto che i piani sanitario ed ospedaliero erano ivi solo richiamati quali parametri di riferimento dei livelli di assistenza contestualmente stabiliti), non appare, di contro,
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seriamente dubitabile la “legificazione” dei richiamati atti pianificatori da parte di una norma
che esplicitamente li approva.
Ne consegue che con l’art.35 l.r. n.1/04 sono stati assorbiti gli effetti dispositivi propri delle delibere regionali approvative del piano sanitario e di quello di riordino della rete ospedaliera, sicché la portata precettiva di questi ultimi va ormai riferita alla legge sopravvenuta, della quale ha
assunto la forza di resistenza ed il regime di validità.
6.2- L’appellante insiste, comunque, nel sostenere che la sopravvenienza della leggeprovvedimento non determina l’improcedibilità del ricorso proposto contro l’atto con quella approvato e che lo scrutinio del giudice amministrativo non incontra alcun limite nell’intervenuta
“legificazione” del provvedimento impugnato.
La tesi si fonda sul richiamo delle due citate sentenze della Corte Costituzionale del 1999
(nn.225 e 226 dell’11.6.1999), con le quali è stato affermato il principio della sindacabilità da
parte del giudice amministrativo della legittimità di un piano urbanistico anche dopo la sua approvazione con legge regionale, e di una decisione di questa Sezione (Cons. Stato, sez. IV, 11
marzo 2003, n.1321), asseritamente conforme alle regole enunciate dalla Corte con le pronunce
menzionate.
6.2.1- L’assunto è infondato e va disatteso.
6.2.2- Va, anzitutto, ribadito che gli effetti di una legge, ancorché contenente un precetto determinato e specifico, possono essere eliminati solo dalla Corte Costituzionale (quale giudice naturale delle leggi) e che, a fronte dell’assorbimento del disposto di un atto amministrativo in un
provvedimento avente forma e valore di legge, resta preclusa al giudice ogni possibilità di sindacato diretto sull’atto impugnato dinanzi a sé, che si risolverebbe, diversamente opinando, in
una sottrazione alla Corte Costituzionale della sua esclusiva competenza nello scrutinio di legittimità degli atti aventi forza di legge.
6.2.3- Tanto premesso, deve negarsi ogni rilevanza ai precedenti addotti a sostegno della tesi esaminata.
6.2.4- I principi enunciati dalla Corte nelle sentenze nn.225 e 226 del 1999 risultano, in particolare, privi di valenza generale sia in quanto riferiti alla peculiare fattispecie, evidentemente diversa da quella qui controversa, della regolamentazione legislativa del procedimento di adozione (con atto amministrativo) e successiva approvazione (con legge) di un piano urbanistico, sia
in quanto, per alcuni profili, contrastanti con l’indirizzo largamente maggioritario della giurisprudenza costituzionale in materia sia, ancora, in quanto incoerenti, se intesi in senso universale, con la rigorosa riserva alla Corte Costituzionale della potestà di controllo della legittimità
degli atti aventi forma e valore di legge (quali le leggi di approvazione di provvedimenti amministrativi).
6.2.5- In ordine al precedente della Sezione, occorre rilevare che, a ben leggere la motivazione,
con la citata decisione non si è affermata (come erroneamente sostenuto dal ricorrente) la sindacabilità del piano sanitario regionale approvato con legge, ma si sono enunciati i diversi principi
dell’ammissibilità della legge-provvedimento nella materia controversa (identica alla presente),
della conoscibilità dei soli atti attuativi del piano sanitario (concretamente impugnati, in quella
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fattispecie, dalla casa di cura ricorrente) e della non rilevanza della questione di legittimità costituzionale della legge che lo aveva approvato.
Come si vede, i principi affermati dalla Sezione risultano del tutto coerenti con quelli qui ribaditi e non comprendono in alcun modo l’enunciazione dell’ammissibilità del sindacato diretto
dell’oggetto della legge-provvedimento.
6.3- Il Comune appellante invoca, ancora, la disapplicazione della legge regionale n.1/2004, siccome contrastante con gli artt.6 e 13 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto
1955, n.848) e con il principio comunitario di effettività della tutela giurisdizionale.
6.3.1- Anche tale domanda si rivela destituita di fondamento.
La richiesta di disapplicazione si fonda, a ben vedere, su due distinti motivi: il contrasto della
legge-provvedimento con le norme della convenzione europea dei diritti dell’uomo (artt.6 e 13)
che garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale e con il conforme principio comunitario
che vincola i giudici nazionali a garantire l’attuazione del diritto europeo.
6.3.2- La disamina della fondatezza del primo argomento esige la preliminare ricostruzione dei
rapporti tra la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
e l’ordinamento interno.
Premessa la natura di trattato internazionale della convenzione sui diritti dell’uomo, pare utile
procedere ad una ricognizione sintetica dei meccanismi di adattamento del dritto interno agli
obblighi assunti dallo Stato a livello internazionale con la sottoscrizione di trattati e della conseguente collocazione assunta dalle norme internazionali nella gerarchia delle fonti.
In via generale le fonti di diritto internazionale possono distinguersi in fonti di carattere generale
e fonti di carattere particolare: le prime coincidono con le norme consuetudinarie e trovano ingresso nell’ordinamento interno per mezzo del suo adeguamento automatico sancito dall’art.10
della Costituzione, mentre le seconde consistono sostanzialmente nelle norme scritte, di genesi
pattizia, contenute nei trattati e vengono introdotte nell’ordinamento per mezzo di una norma
interna di recepimento (che può riprodurre integralmente il testo dell’accordo o che si limiti a
rinviare ad esso mediante un ordine di esecuzione del trattato).
Quanto al rango che assumono le fonti di diritto internazionale nell’ordinamento interno, può
osservarsi che mentre quelle di carattere consuetudinario acquistano valore costituzionale, essendo stato correttamente rilevato che la volontà di soggiacere alle consuetudini internazionali è
contenuta in una norma della Costituzione e che, quindi, tutte le disposizioni che contrastano
con quel tipo di norme devono ritenersi viziate da illegittimità costituzionale, le norme di carattere pattizio (o particolare), che necessitano di uno specifico atto di adeguamento, sono generalmente riconosciute dotate dello stesso valore di quest’ultimo (nel senso che acquistano il rango della legge costituzionale se recepite con questa, quello della legge ordinaria se recepite con
tale strumento e così via).
Posto che l’ordine di esecuzione è generalmente contenuto in una legge ordinaria, come, peraltro, nel caso che ci interessa (la convenzione è stata ratificata con la legge 4 agosto 1955,
n.848), il trattato così recepito acquista la valenza corrispondente nel sistema delle fonti, con le
conseguenze che non può essere assunto a parametro di legalità costituzionale, che (in teoria)
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può essere abrogato da una legge ordinaria successiva e, soprattutto, per quanto qui interessa,
che una norma successiva interna con esso contrastante non può essere disapplicata.
Ne consegue che l’inconfigurabilità di un rapporto di supremazia, analogo a quello definito con
riferimento al diritto comunitario, tra le norme della convenzione europea sui diritti dell’uomo e
le leggi nazionali - da reputarsi di pari rango (come, peraltro, insegnato dalla Corte Costituzionale con le sentenze 22 dicembre 1980, n.188, 10 febbraio 1981, n.17 e 1 febbraio 1982, n.15) impedisce di riconoscere lo stesso presupposto giuridico e concettuale che autorizza la disapplicazione delle disposizioni legislative interne confliggenti con il diritto all’effettività della tutela
giurisdizionale sancito dalla convenzione.
6.3.3- Quanto all’invocata disapplicazione dell’art.35 l.r. n.1/04, in quanto contrastante con il
principio di effettività della tutela sancito dalla Corte di Giustizia CE (peraltro proprio con riferimento agli artt. 6 e 13 della convenzione europea dei diritti dell’uomo), è sufficiente rilevare
che il vincolo per gli Stati membri di garantire l’attuazione del diritto comunitario mediante
un’effettiva protezione giurisdizionale delle posizioni giuridiche dallo stesso attribuite ai singoli
(nel ché si riassume la richiamata giurisprudenza della Corte del Lussemburgo) risulta circoscritto ai casi in cui la legge nazionale (e, nel caso di specie, la legge-provvedimento) regola una
materia già disciplinata con effetto diretto dalle norme comunitarie mediante l’attribuzione immediata ai cittadini di diritti pregiudicati da una disposizione interna successiva.
Perché possa procedersi alla disapplicazione di una disposizione nazionale al fine di garantire
l’effettività della tutela di posizioni soggettive comunitarie è, quindi, necessario che il rapporto
controverso sia ascrivibile a fattispecie già disciplinate con efficacia diretta in sede comunitaria
e che la piena attuazione dei diritti conseguentemente costituiti in capo ai cittadini risulta impedita da una norma interna che ne ostacoli la necessaria e completa protezione giurisdizionale.
Risulta, quindi, agevole escludere, in conformità ai predetti canoni valutativi, che, nella fattispecie esaminata, si verta su rapporti disciplinati in maniera difforme dal diritto comunitario – restando la disciplina dell’assistenza sanitaria rimessa alla regolamentazione degli Stati membri o, comunque, che il diritto europeo abbia attribuito ai comuni un diritto alla conservazione del
numero di posti letto esistenti nell’ospedale ricadente nel loro territorio prima dell’approvazione
dei piani di riordino delle reti ospedaliere regionali.
Neanche sotto quest’ultimo profilo, risulta, in definitiva, praticabile la disapplicazione invocata
dal Comune appellante.
7.- In via subordinata, rispetto alla pretesa di sindacato diretto dei provvedimenti approvati con
la legge regionale ed all’istanza di disapplicazione di quest’ultima, il Comune di Terlizzi eccepisce l’illegittimità costituzionale della disposizione approvativa del piano sanitario e di quello
ospedaliero, sotto i diversi profili appresso illustrati ed esaminati, ed invoca la conseguente rimessione alla Corte della questione della compatibilità costituzionale della leggeprovvedimento in questione.
7.1- Occorre, anzitutto, osservare che da un’analisi complessiva degli scritti difensivi del Comune appellante si ricava che l’assunto di fondo che sostiene la tesi dell’incostituzionalità della
legge-provvedimento e che attraversa trasversalmente le eccezioni più specifiche è costituito
dall’addebito alla Regione Puglia di avere indebitamente approvato con legge i provvedimenti
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pianificatori sub judice al solo fine di impedire all’Ente ricorrente di ottenerne l’annullamento in
sede giurisdizionale e di conseguire, comunque, una decisione, nel merito, del ricorso già proposto.
Si tratta di una accusa che investe il comportamento complessivo tenuto dalla Regione nella
complessa vicenda controversa e che si risolve nell’addebito alla stessa di avere abusato del suo
potere legislativo, per averlo arbitrariamente e strumentalmente esercitato allo scopo di evitare
la pronuncia (presumibilmente sfavorevole) di un giudice già investito della questione della legittimità del piano sanitario e di quello ospedaliero e di “salvare”, quindi, l’efficacia e l’utilità
delle presupposte scelte politiche.
7.1.1- L’assunto è infondato, alla stregua delle considerazioni si seguito esposte.
7.1.2- Se non si può negare, infatti, che l’intervenuta “legificazione” degli atti pianificatori già
impugnati dal Comune di Terlizzi sia stata anche deliberata al fine di sottrarli alla cognizione
del giudice amministrativo, si deve parimenti riconoscere che la strategia sottesa alla contestata
iniziativa legislativa si rivela più articolata e complessa.
In realtà, la Regione non intendeva solo evitare l’annullamento delle delibere impugnate dal
Comune di Terlizzi, ma voleva, soprattutto, garantire adeguata stabilità ed offrire, quindi, copertura legislativa alle misure di riforma del servizio sanitario regionale, deliberate al precipuo fine
di contenere la relativa spesa e di risanare le finanze regionali.
L’inserimento di entrambe le disposizioni succedutesi in corso di causa (art.18 l.r. n.20/2002 e
art.35 l.r. n.1/2004) in leggi aventi ad oggetto l’assestamento e la formazione del bilancio regionale costituisce la migliore conferma che il principale effetto voluto dalla Regione con la “legificazione” del piano sanitario e di quello di riordino della rete ospedaliera era quello di conservare l’efficacia degli interventi strategici deliberati al fine di conseguire il pareggio di bilancio e
di risanare il pesante deficit accumulato negli anni precedenti, proprio per effetto di una spesa
sanitaria eccessiva e priva di meccanismi di contenimento.
7.1.3- Ciò significa che la prospettazione offerta dal ricorrente delle finalità perseguite dal legislatore regionale si rivela riduttiva e parziale e che, in realtà, la controversa iniziativa legislativa
risulta principalmente preordinata al perseguimento di un obiettivo primario nella gestione
dell’amministrazione regionale (quale il risanamento del bilancio), di talché la relativa scelta
politica non può qualificarsi arbitraria o irragionevole, come infondatamente sostenuto
dall’appellante.
7.1.4- La circostanza che la “legificazione” degli atti generali già impugnati dall’odierno ricorrente abbia, di fatto, impedito la decisione, nel merito, del ricorso non vale, di per sé, ad integrare un abuso di potere legislativo, quando, come nel caso di specie, l’intervento legislativo si rivela indirizzato al conseguimento di un fine politico di primaria importanza per la corretta amministrazione della Regione.
7.1.5- Vanno, quindi, disattesi l’assunto esaminato e, con esso, tutte le eccezioni di incostituzionalità logicamente riconducibili alla medesima tesi.
7.2- Così esclusi il carattere arbitrario ed irragionevole dell’art.35 della legge regionale n.1/04
ed il suo contrasto con le norme costituzionali, comunitarie ed internazionali che garantiscono il
diritto di difesa, restano da esaminare le eccezioni relative alla violazione delle norme regionali
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SENTENZE IN SANITÀ – CONSIGLIO DI STATO
che regolano il procedimento di formazione delle leggi ed all’inosservanza delle disposizioni
costituzionali sul riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
7.3- La prima questione, con cui si assume l’incostituzionalità dell’art.35 l.r. n.1/04 per essere
stato approvato in seguito alla presentazione di un emendamento presentato in aula da alcuni
consiglieri di maggioranza e senza l’acquisizione del parere della commissione competente, si
compone di due distinte doglianze.
7.3.1- Con una prima censura viene dedotta l’incostituzionalità della legge-provvedimento in
questione siccome asseritamente violativa della disposizione dello statuto della Regione Puglia
(approvato con legge 22 maggio 1971, n.349) che ne prescriveva l’esame da parte della competente commissione consiliare (art.55).
Se, in astratto, l’inosservanza di una disposizione dello statuto regionale riferita all’esercizio
della funzione legislativa (da valersi quale norma interposta dell’art.123, comma 1, della Costituzione, anche prima della riforma introdotta dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n.1)
determina l’incostituzionalità della norma così approvata (Corte Cost., 27 ottobre 1998, n.993,
10 marzo 1983, n.48), deve, tuttavia, escludersi, in concreto, la sussistenza della dedotta antinomia tra le modalità di presentazione ed approvazione dell’art.35 l.r. n.1/04 e l’art.55 l.
n.349/71 (espressamente indicato quale disposizione violata).
Quest’ultima disposizione, infatti, si limita a prescrivere che “ogni disegno di legge deve essere
esaminato da una commissione consiliare…” e si riferisce, quindi, all’istruttoria ordinaria delle
proposte di legge, ma omette qualsiasi regolamentazione delle modalità procedimentali da seguire nell’ipotesi di diretta presentazione di un emendamento in aula (della cui ammissibilità
nessuno dubita), sicché non pare configurabile l’affermata violazione della norma statutaria (in
realtà riferita ad altra situazione) dedotta a sostegno dell’eccezione di incostituzionalità, che si
rivela quindi, sotto tale profilo, manifestamente infondata.
7.3.2- La disciplina procedimentale degli emendamenti presentati in assemblea risulta, invece,
contenuta nell’art.46 del regolamento interno del consiglio regionale, che prescrive, al comma
16, il parere della competente commissione in merito agli emendamenti che incidono sul bilancio della Regione e sul presupposto della cui violazione viene dedotta l’altra ragione di incostituzionalità.
E’ sufficiente, al riguardo, rilevare, per riscontrane la manifesta infondatezza, che, mentre, in
astratto, il paradigma logico-giuridico che autorizza una delibazione favorevole dell’eccezione
di incostituzionalità dev’essere necessariamente costituito dall’inosservanza di una disposizione
della Costituzione, di rango costituzionale o che possa configurarsi come norma interposta, nel
caso di specie il parametro normativo nella specie indicato a sostegno dell’assunto
dell’incostituzionalità della disposizione (art.46 del regolamento interno del consiglio) risulta
privo di quegli indefettibili caratteri, in quanto ascrivibile ad un atto di normazione secondaria,
del tutto privo di copertura costituzionale e, quindi, neanche catalogabile come norma interposta.
Ne consegue che l’inosservanza della richiamata disposizione, ancorché pertinente all’esercizio
di una funzione di rilievo costituzionale quale quella legislativa, non determina l’illegittimità
costituzionale della legge, ma va ascritta alla categoria degli interna corporis del consiglio re-
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gionale, come tale irrilevante all’esterno e, in ogni caso, non censurabile nelle forme selezionate
dall’odierno ricorrente.
7.4- Con altra eccezione, si assume l’incostituzionalità della disposizione con cui è stato “legificato” il piano sanitario regionale in quanto asseritamente contrastante con il combinato disposto
degli artt.32, comma 1, e 117, comma 3, della Costituzione.
Sostiene, al riguardo, il Comune ricorrente, con un’articolata censura, che l’approvazione con
legge del piano sanitario configge con i principi fondamentali della materia descritti dal decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n.502 e, in particolare, con la qualificazione come provvedimenti
amministrativi generali degli atti programmatori e pianificatori dell’assistenza sanitaria.
Deduce, in sostanza, il ricorrente che con la contestata “legificazione” del piano sanitario regionale, questo ha inammissibilmente assunto una natura giuridica diversa dal (ed un regime di validità superiore al) piano sanitario nazionale (emanato nelle forme dell’atto amministrativo).
7.4.1- Anche tale eccezione si rivela manifestamente infondata, alla stregua delle considerazioni
che seguono.
7.4.2- Va, anzitutto, rilevato che il Comune risulta sprovvisto di legittimazione e di interesse a
formulare la deduzione in esame: assumendosi la lesione di prerogative dello Stato, dovrebbe,
infatti, essere solo quest’ultimo titolato a dolersi di tale violazione, e non anche un Comune, per
il quale la natura giuridica dell’atto approvativo del piano sanitario regionale si rivela, ai fini del
rispetto della gerarchia delle fonti delineata dal d.lgs. n.502/92, del tutto indifferente.
7.4.3- Quand’anche si dovesse, tuttavia, riconoscere l’ammissibilità dell’eccezione in esame, si
perverrebbe, in ogni caso, alle medesime conclusioni reiettive.
7.4.4- A ben vedere, infatti, la questione sollevata dall’appellante risulta impropriamente riferita
all’affermata violazione dell’art.117 Cost. e va, di contro, diversamente decifrata come intesa a
criticare l’uso da parte della Regione di uno strumento (la legge) difforme da quello utilizzato
dallo Stato (l’atto amministrativo generale) per l’approvazione del piano sanitario.
L’Ente appellante non contesta, infatti, l’invasione da parte della Regione di sfere di competenza legislativa assegnate dall’art.117 Cost. allo Stato (nel ché dovrebbe consistere l’affermata inosservanza della disposizione costituzionale indicata come violata), ma si limita a dedurre
l’illegittimità dell’approvazione del piano sanitario regionale con provvedimento avente un regime di validità superiore a quello con cui è stato adottato l’omologo atto pianificatorio nazionale.
Si assume, in particolare, che tale scelta lede il corrispondente principio fondamentale (come
tale, vincolante per le Regioni) stabilito nel d.lgs. n.502/99 (nel ché, forse, può intravedersi
un’indiretta lesione dell’art.117, comma 3, Cost.).
7.4.5- Sennonché, non solo l’art.1 del d.lgs. n.502/99 omette qualsiasi prescrizione circa la forma dell’atto con cui si devono adottare i piani sanitari regionali, limitandosi, al comma 5, a rinviare alle modalità previste nei singoli statuti ed a sancire l’obbligo del rispetto dei parametri
contenuti nel piano sanitario nazionale, ma resta silente anche in ordine alla natura di
quest’ultimo o, meglio, dispone solo le modalità procedimentali della sua adozione, ma non
vincola il Governo alla sua approvazione con atto amministrativo.
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Dal delineato quadro normativo di riferimento si evince, in sintesi, che la scelta della Regione
Puglia di approvare il piano sanitario con legge non solo non risulta lesiva di alcuna sfera di
competenza legislativa o amministrativa riservata allo Stato dall’art.117 della Costituzione, ma
non risulta neanche difforme dall’art.1 del d.lgs. n.502/99, che in nessun luogo impone l’uso
dell’atto amministrativo per l’adozione del provvedimento programmatorio in questione.
7.4.6- La circostanza, poi, che il Governo abbia in concreto approvato il piano sanitario nazionale con atto amministrativo generale non altera i termini della questione: la Regione resta libera
di usare uno strumento diverso, quand’anche provvisto di forza superiore, purché rispetti le indicazioni generali contenute nel piano nazionale (ma tale profilo non risulta contestato).
7.5- Le eccezioni di incostituzionalità formulate dall’appellante vanno, quindi, tutte disattese,
per il rilevato difetto del requisito della non manifesta infondatezza delle relative questioni.
8.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, la reiezione dell’appello e la
conferma della statuizione appellata.
9.- Sussistono, nondimeno, ragioni di equità per disporre la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul
ricorso indicato in epigrafe, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
1) dichiara inammissibile l’intervento del Comune di Mesagne;
2) respinge il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara compensate le spese processuali;
ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 gennaio 2004, con l'intervento dei signori:
GAETANO TROTTA
GIUSEPPE BARBAGALLO
ALDO SCOLA
ANNA LEONI
CARLO DEODATO
L’ESTENSORE
- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere Estensore
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
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