QUARTA SETTIMANA ROSMINIANA
19 – 26 FEBBRAIO 2005
ANTONIO ROSMINI: UNA GRANDE FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA
MILANO 19 FEBBRAIO – PALAZZO SCHUSTER
«Una cosa sola in una società frammentata
Abbandonare se stesso nella divina Provvidenza»
La Teodicea tra fede e ragione1
Prof. Don Claudio Massimiliano Papa
Ringrazio la professoressa Tripodi e ringrazio anche i docenti che hanno parlato sapientemente: il professor Gaspari e il professor Bressan. Il mio compito ora è quello di portare il dialogo sul punto di vista spirituale e qui noterete come in Rosmini il discorso della spiritualità è strettamente legato a quello della realtà
intellettuale. Anche nelle citazioni con riferimento spirituale che farò, noterete come di fatto chi mi ha preceduto ha già accennato agli stessi temi dando più attenzione al piano culturale, ma in definitiva in questa unicità di pensiero che si richiama a quella unicità della persona che il professor Bressan ha citato e ha concluso
il suo intervento.
Nell’opera spirituale di Rosmini, le Massime di perfezione cristiana, dopo aver ben meditato il fine che
deve proporsi il cristiano, si passa ai mezzi. Li abbiamo approfonditi nei nostri incontri annuali in preparazione alla prossima beatificazione, che noi auspichiamo in questo 150° della morte. Ci sono molte indicazioni che portano a questa conclusione ma dire di fatto, nero su bianco, che la beatificazione avverrà in questo
150à non c’è. Colgo quindi l’occasione per invitare alla preghiera in questo senso e anche in quel senso di
fiducia nella Provvidenza che ci caratterizza come rosminiani e come persone che hanno grande stima di
questo uomo.
Ebbene nei nostri incontri alla preparazione della beatificazione ci siamo soffermati a meditare negli
scorsi tre anni il fine che il cristiano si propone per la propria santificazione sulla scorta delle indicazioni che
Rosmini ci ha lasciato nelle sue opere di spiritualità. È giunto il tempo di investigare i mezzi da porre in atto
per raggiungere il fine.
Dico subito con molta crudezza di linguaggio che in pratica i mezzi ciascuno deve trovarseli da solo,
mettendosi in discussione o meglio mettendo in discussione il suo impegno e la sua esperienza.
Ogni persona è individuo fonte di diritto, ma anche difensore dello stesso nell’ambiente e tra gli eventi
che accompagnano la sua vita. I mezzi che adopera e che testimonia con la sua condotta spirituale sono relativi alla sua formazione e alle intenzioni o deliberazioni che ha raggiunto.
Emerge quindi in questa mia riflessione che nella scelta dei mezzi per raggiungere il fine prevale un criterio di ricerca in cui la scelta individuale è scelta di campo, definendola bontà dell’agire personale sulla base
di quanto è deliberato. In definitiva la persona si forma un criterio di valutazione che applicherà anche in riferimento ai principi evangelici, scegliendo di assumerli o rifiutarli al fine di formarsi questo criterio.
Rosmini propone tre linee di riferimento che riguardano i mezzi da assumere in ragione del fine: sono le
ultime tre massime di perfezione nel libro di spiritualità che tutti conosciamo. Esse sono:
· abbandonare totalmente se stesso alla divina provvidenza,
· riconoscere intimamente il proprio nulla,
· disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza.
Questo nostro incontro intende dare importanza o riferimento al primo di questi tre mezzi: abbandonare
totalmente se stesso alla divina Provvidenza.
1.
Trascrizione della registrazione non rivista dal relatore.
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Come si vede sono direttive generali ma, se meditate e vissute, fanno acquistare un criterio con cui regolarci nei casi pratici che quotidianamente si presentano.
Si nota quindi come Rosmini applichi l’intuizione intellettiva alla concretezza del mondo creato. Viene
quindi smentita quell’opinione quasi universalmente diffusa che Rosmini sia solo un filosofo e ancor peggio
quando si dice che Rosmini è difficile; allora siccome è difficile lasciamolo stare, perché delle cose difficili
si ha paura. Questa è una delle peggiori cose che il cristiano può dire: aver paura delle cose difficili, come
ora in cui mi soffermerò sull’aspetto del razionalismo.
Rosmini in definitiva combatte questo, non aver paura delle cose difficili; e lo combatte con la forza
della grazia, convinto del fatto che è la grazia che ci fa fare tante cose e ci fa compiere l’azione difficile come
gloria di Dio, e non la forza dell’uomo intesa come deliberazione personale. Pensare che Rosmini sia solo un
filosofo, una persona difficile, capita talvolta anche presso i suoi discepoli più affezionati e competenti.
Quindi capita questa espressione tante volte anche tra di noi.
Vi sono pregevoli monografie e trattazioni sistematiche sul pensiero di Rosmini senza alcun accenno alla teologia soprannaturale rosminiana, quasi fosse un fatto marginale o trascurabile.
Rosmini è un filosofo, Rosmini è un pensatore, Rosmini é una persona che comunque non può avere a
che fare con la nostra vita e con la nostra spiritualità perché non può capire realmente i problemi di tutti i
giorni, viceversa diversi suoi avversari lo hanno accusato con una punta di disprezzo di essere un teologo o
un mistico, quasi per dire: sì la tua ricerca filosofica, il tuo grande approfondimento, ma in definitiva è aria
fritta, cioè parli, ma non hai niente di vera realtà scientifica. E qui sottolineo due aspetti: il primo era sacerdote e perciò si inserisce in tutta la tradizione cattolica di pensiero che non può non essere cattolica – come
afferma in riferimento al roveretano Benedetto Croce.
E di questo ne diremmo con orgoglio, in vista anche di tutte le attuali problematiche che si vanno sviluppando in Italia e in Europa di tutta quella tradizione teologica che non può non dirsi cattolica, di quel pensiero contemporaneo oggi europeo, italiano, che non può non dirsi cattolico.
D’altra parte, o meglio dalla parte opposta tra i detrattori c’è chi afferma che le linee portanti del suo
pensiero, l’idea dell’essere come lume intellettivo e sentimento fondamentale corporeo o sentimento fondamentale. sono piuttosto dovute ai suoi slanci mistici, oppure al suo essere intimo di esperienza soprannaturale
del divino.
Questo lo afferma in modo particolare Agostino Gemelli cercando di evidenziare capziosità, senza peraltro riuscirvi, per dare origine a finti problemi che oggi finalmente vengono considerate virtù.
Questa è un’altra realtà interessante della storia di Rosmini e della storia della spiritualità rosminiana o
dell’applicazione della spiritualità alla realtà attuale. Ciò che in Rosmini veniva considerato un problema che
veniva combattuto – e permettetemi di dirvi che veniva combattuto in modo determinante – l’applicazione
del pensiero alla religione, il volersi spiegare il Dio in cui crediamo, il Dio che professiamo. Oggi questa
viene considerata una virtù.
Dopo uno studio approfondito del pensiero rosminiano non credo sia fondata e corretta l’accusa di neologismo, di misticismo delle dottrine rosminiane. Sono parole difficili, sono giudizi che indicano conoscenza
approssimativa di seconda mano delle opere e della vita di Rosmini, oltre che fretta interpretativa del suo
pensiero.
Un’altra cosa importante – quando parliamo di Rosmini – non dobbiamo avere fretta interpretativa del
pensiero rosminiano. Quando si segue l’affermazione “Rosmini é difficile” – e si segue nel chiudere il libro e
metterlo nel cassetto, nel mezzo della libreria – è difficile perché c’è troppa fretta interpretativa; ed è un problema dell’uomo di ogni tempo, ma l’uomo contemporaneo lo ha forse un po’ di più di qualche anno fa; si
vuole arrivare subito alla conclusione e, permettetemi di dire, si vuole arrivare alla conclusione senza avere
delle basi solide senza essersi informati, informati alla Parola di Dio, allo studio della Parola di Dio, essersi
formati alla interpretazione della Parola di Dio. E qui si inserisce il pensiero rosminiano; il tempo è stato, ed
è ancora, il miglior giudice di Rosmini.
Considerando che ora sono pacificamente superate le accuse più tremende, in riferimento a quella nota
del 1 luglio del 2001 dove si dice espressamente, un’espressione che i Rosminiani ormai sanno a memoria
ma è bello un po’ ricordarla: «sono ormai considerate superate quelle ragioni prudenziali che avevano condotto a una certa attenzione nei confronti di Rosmini; e questo a ragione del fatto che l’opera condannata
con le 40 proposizioni, qualora contestualizzate nel pensiero rosminiano non offrono più il fianco a
un’interpretazione erronea oppure peggio ancora eretica».
Qualora quelle preposizioni sono contestualizzate. Ecco che Rosmini bisogna leggerlo e studiarlo nella
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sua unicità e non prendendo pezzettini da una parte e dall’altra. E qui vi è purtroppo la considerazione fondata che spezzettando Rosmini, sminuzzando Rosmini, si é portato Rosmini alla condanna. E questo è grave.
Ecco quindi che non bisogna avere paura di faticare nello studiare Rosmini, ma dove questa fatica non è
una fatica semplicemente per gli addetti ai lavori, quindi professori universitari o comunque coloro che possono fare del pensiero una libera professione nel senso di dire che hanno tempo nel fare queste cose, ma dove
il pensiero è fondamento dell’azione; dove non possiamo pensare di crescere nella virtù cristiana senza avere
una conoscenza della virtù, senza avere una fondatezza nell’essere cristiani.
Ecco dove si inserisce Rosmini: non tanto come colui che fa scuola, ma come colui che sottolinea nel
dire bisogna impegnarsi a studiare, bisogna impegnarsi ad approfondire gli studiosi seri. Quindi concordano
tutte le persone che si impegnano in questa linea, nel definire il pensiero di Rosmini tutto orientato in un rigoroso sforzo di distinzione dei campi naturali e soprannaturali e un impegno di procedere rigorosamente e
criticamente nel fondare e nello sviluppare il suo sistema, tanto da essere stato accusato anche di razionalismo.
In questo ambito, a proposito del razionalismo, mi lego a quello che già diceva il professor Gaspari e
cerco un po’ di portarlo sul piano della spiritualità. Né si dimentichi che Rosmini dopo un periodo iniziale in
cui i suoi studi erano orientati in senso storico e positivo, ha sentito il bisogno di dedicarsi a studi strettamente filosofici, gnoseologici, morali e metafisici, onde porre le fondamenta di una filosofia capace di applicarsi
a discipline più determinate e particolari come il diritto, la politica, l’ascetica, la teologia, la psicologia,
l’economia.
Siamo dinanzi ad un passaggio fondamentale. Dal pensiero dell’incontro con Dio, dalla determinazione
del valore della persona, nascono poi le realtà contingenti e materiali: politica, psicologia, economia, che determinano poi la prassi della persona, che determinano la vita comune. Invece il più delle volte si cerca di fare l’opposto, si cerca di dire effettivamente qual è la mia vita, qual è la mia realtà materiale, che cosa ha bisogno.
Cerchiamo di affrontare le cose di cui abbiamo bisogno, tutto il resto lo facciano coloro che hanno più
tempo da perdere in parole e in filosofia. Si dovrebbe invece riconosce come l’importanza della filosofia sia
determinante per la prassi, per la scelta di tutti i giorni, per quella conoscenza che, qualora applicata al materiale, diventa quella realtà che mi conduce lungo tutto l’arco della vita, ma che ha la sua origine nel carattere
del pensiero nell’incontro dell’uomo con Dio.
Nell’Introduzione alla filosofia Rosmini ha voluto sottolineare apertamente la raccomandazione di Pio
VIII, ripetuta anche da Pio IX, dove si diceva che gli uomini vanno condotti alla religione mediante la ragione. Sicuramente 150 anni fa era la profonda convinzione di Pio VIII e di Pio IX, ma vediamo la contemporaneità e l’attualità stringente di questa affermazione.
Approfondendo la vita e l’opera di Rosmini appare sempre più chiaro che il fine teologico di tutto il suo
pensiero è saper incontrare Dio. Il suo sforzo è in funzione di quella sublime teologia che porta l’uomo alla
conoscenza della verità e quindi alla gioia della conoscenza. Del resto Rosmini non ha mai nascosto nelle sue
più di cento opere e nelle sue moltissime lettere scritte sempre nell’ordine della carità intellettuale, l’intento e
l’apporto apologetico della filosofia.
La attenzione del suo pensiero era alla carità intellettuale, a quella carità che aiuta l’uomo a conoscere
se stesso. a conoscere il mondo e quindi ad avere un rapporto con Dio.
Dobbiamo recuperare – e qui come rosminiani realmente la Chiesa ci chiede qualche cosa – questo rapporto di carità intellettuale. La parola carità immediatamente richiama alle nostre menti i poveri, raccolte di
denaro, raccolte di vestiti, organizzazioni di mense. Ma davanti alla parola poveri noi vogliamo avvicinare la
proposta che la Chiesa italiana sta facendo; che viene compresa sempre con maggiore difficoltà, anzi molti
non sanno nulla di quella che è l’opzione culturale della Chiesa Italiana.
Ma quando parliamo di opzione culturale, parliamo proprio di carità intellettuale. Quando parliamo di
opzione culturale della Chiesa Italiana, parliamo di quel saper parlar di Dio, con Dio, in Dio. E qui Rosmini
dice realmente qualche cosa, non ponendosi in cattedra da maestro.
Rosmini spiega, o tenta di offrire un metodo di studio per capire il nostro rapporto con Dio; è questo
che dobbiamo cercare di scoprire; è questo che dobbiamo valorizzare: il rapporto con Dio inteso come metodo di studio.
La sfortuna di Rosmini nasce proprio da questo principio. Perché il suo pensiero non è un pensiero
chiuso, non è un filosofia che ha un’origine e una fine, non una semplice determinazione storica,
un’applicabilità di quella contingenza, una risposta precipua a degli eventi che si sono manifestati e si sono
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conclusi. Non si sarebbe avuto paura di Rosmini o di un pensiero di questo genere.
Il pensiero di Rosmini è un pensiero che non ha termine perché è il colloquio dell’uomo con Dio; e in
questo colloquio dell’uomo con Dio nasce un rapporto infinito perché l’uomo non finirà mai di colloquiare
con Dio. Ecco la paura, la paura che ha portato alla condanna dell’1888. La paura di dire: l’uomo dialoga con
Dio, e da questo dialogo poi che cosa nasce? O si ha fiducia nella provvidenza – ecco il senso di questo mio
intervento –, oppure si vuole governare la provvidenza. Ora noi non facciamo un’indagine sulla storia di
quello che è stato; facciamo un’indagine contemporanea di quello che è il nostro rapporto con Dio, il nostro
rapporto di studio teologico, quindi di conoscenza di Dio.
Del resto Rosmini non ha mai nascosto questa sua intenzione, questa scelta filosofica sempre aperta al
divenire, cioè all’approfondimento. Egli apre l’intelligenza alla gioia del capire, del conoscere, dell'intendere,
dell’avvicinarsi al trascendente, all’ulteriore, all’inesauribile, al sorprendente. Questa scelta teologica è qualcosa che crea gioia che crea divertimento, che crea quel divertimento perché crea quello stato nell’uomo dello star bene.
Dobbiamo intenderci quando diciamo divertimento; il divertimento deve portare alla gioia. La gioia del
cristiano è quella gioia che porta a conoscere Dio e a partecipare di Dio, quella gioia del filosofare dove il
filosofare è il ragionamento dell’uomo su Dio. È questa quella gioia che Rosmini manifesta.
Tale manifestazione può avvenire in tanti modi. Il rapporto dell’uomo con Dio non è un rapporto di noia, oppure un rapporto dell’uomo piegato sulla scrivania che sfoglia una pagina dopo l’altra e, se non è in
grado di capirla, è fuori dal rapporto con Dio. Non è questo. Il rapporto con Dio è la gioia di partecipare in
Dio, che già nella sua giovinezza Rosmini espresse in quella lirica mistica che conosciamo: gli Affetti spirituali.
Pur nella severità rigorosa della sua ricerca filosofica, Rosmini non si esaurisce nel razionalismo,
nell’ottimismo illuminista, nel perfettismo, cioè nella concretezza assolutamente autosufficiente della ragione umana esaltando un’onnipotenza orgogliosa e ridicola. ma si sviluppa attraverso la ragione consapevolezza della sua concretezza storica, reale, contingente, operando una critica radicale al razionalismo.
Giustamente un suo acuto biografo scrive: «il Rosmini comprese che anzitutto era necessario adoperarsi
a ricondurre alla fede per via della ragione quelli uomini che abusando della ragione si erano allontanati dalla
fede». Questa è la risposta di Rosmini, lo ricorda il Paoli. Ma questa è anche la risposta di Rosmini
all’indicazione data da Pio VIII, ed è anche la risposta che la Chiesa italiana con il suo progetto culturale
vuole dare ai cristiani che si allontanano dalla fede, abusando della ragione, dicendo che la ragione della persona è autoreferenziale e riferimento assoluto.
Qui si inserisce uno dei punti più originali della critica rosminiana al razionalismo illuminista, demitizzandolo con la stessa ragione, con la fiducia nella Provvidenza – da cui appunto il titolo della conferenza. Si
tratta della critica al perfettismo.
Non a caso, parlando della problematica teologica del Rosmini, si inizia dalla critica radicale all'illuminismo naturalista e razionalista, perché tale sistema filosofico costituisce il più importante antagonista della
teologia e dell’antropologia cristiana rivelata.
Anche oggi il problema della nostra Chiesa occidentale nasce dal non saper offrire una risposta concreta
agli assunti del razionalismo illuminista. La risposta è stata per anni nella tradizione, nel dire: si è sempre fatto così, continuiamo a fare così. Questa risposta non è stata di fatto valida, si rende più necessaria una risposta ragionata sul problema di Dio: che cosa dice a me, che cosa mi dice Dio, che cosa è Dio per me?
Qui si inserisce appunto questo dialogo rosminiano. Il perfettismo è descritto da Rosmini come quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane e che sacrifica i beni presenti all’immaginata futura
perfezione; un perfettismo che pensa di poter, con il proprio ragionamento e con le proprie forze, una futura
perfezione. Noi cristiani sappiamo che questo non è possibile senza la grazia. In questa applicazione di impossibilità, fortemente presente anche nella realtà contemporanea, manca sempre qualche cosa; manca la fiducia nella provvidenza di Dio. Una provvidenza che possiamo riconoscere con quel lume intellettivo che
Dio ci dà e che ci permette di poter discernere i mezzi che ci sono dati per poter raggiungere il fine.
La discriminante è l’utilizzo di questi mezzi; la discriminante è la conoscenza di Dio. La prima cosa che
il perfettismo ignora è il principio della limitazione delle cose. Il limite infatti sta alla radice del finito e lo
rende contingente, fallibile, peccabile L’altissima dignità della persona non significa onnipotenza
nell’infallibilità, ma dipendenza reale e fragilità, pur nella comunione reale con il Creatore; la grandezza della persona sta proprio nel riconoscimento dello Spirito Santo che ci guida, nel riconoscimento della provvidenza che ci é data.
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Alto aspetto negato dal perfettismo naturalista è la possibile fallibilità della libertà umana come capacità
di scegliere, con le sue relative conseguenze: scelte irrazionali che scombinano l’ordine razionale esistente o
progettato. E qui scopriamo il grande amore di Dio per l’uomo. Dove egli realmente può scegliere anche ciò
che non é razionale, che non lo porta alla salvezza, che non lo porta all’appagamento del bene, lo stesso
l’uomo viene “recuperato” da Dio.
Nel principio del razionalismo perfettista questo non c’è, assolutamente. Manca questo senso di recupero anche dinanzi alla fallibilità. Vi è un mistero del male e del bene, della vita e della morte, davanti al quale
la ragione avverte la sua impotenza e se non l’avverte impazzisce divinizzandosi.
Un terzo aspetto del tutto negato dal perfettismo, secondo Rosmini è l’esistenza del peccato originale.
Si parla poco di peccato originale, anzi si afferma che non avendo noi alcuna responsabilità per le colpe dei
nostri progenitori, è assurdo pensare che dobbiamo portarne le conseguenze. Non avendo questa attenzione e
negando il peccato originale, il perfettismo nega il disordine interiore che accompagna l’uomo in tutte le sue
opere. La teologia chiarisce l’esistenza di questo disordine umano basandosi sulla rivelazione che parla del
peccato di Adamo ed Eva ereditato da ogni loro discendente; e parla dell’esistenza del demonio, “principe di
questo mondo”, quale autore di tentazione e di corruzione.
La critica di Rosmini al razionalismo perfettista non è critica alla ragione o negazione del valore della
ragione, perché l’uomo, in quanto persona, ha da Dio il dono di pensare, di giudicare, di scegliere; si tratta
però di avere un senso realistico della vita, del progresso, della possibilità umana con i rispettivi limiti.
L’uomo nel suo rapporto con Dio non è privato della ragione, anzi è grazie alla ragione che giudica, sceglie,
programma, ma sta alla sua responsabilità – ecco la tremenda grandezza della libertà umana – giudicare, scegliere e programmare in rapporto al suo colloquio con Dio, o fuori da esso.
Particolarmente preziosa per noi oggi è l’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio, già citata da chi
mi ha preceduto, in cui ritroviamo non solo Rosmini espressamente citato ai numero 74, ma dove si può in
tutte le pagine ritrovare sintonia ed analogia con la riflessione rosminiana. La chiave interpretativa questa
enciclica può essere trovata là dove dice: «la fede senza la ragione scade nel mito e nella superstizione». Già
150 anni fa Rosmini affermava le stesse cose. Con una certa gioia possiamo allora dire che la Chiesa sta
camminando su questa strada, perché questa è la strada giusta. La ragione aiuta la religione a demitizzarsi di
tutte le forme superstiziose e la teologia aiuta la ragione a demitizzarsi dell’onnipotenza ridicola, riconducendo l’uomo entro i limiti, suoi propri.
Nel rapporto tra filosofia e teologia, ragione e rivelazione è importante l’accordo grandemente fruttuoso, se non cade in forme superficiali. La verità ha un’unica fonte e non può dare origine a contrasti; dobbiamo vigilare per non cadere in forme di superficialità.
Mi avvio a concludere ricapitolando quanto fin qui detto. Richiamo l’attenzione sulla fiducia di Rosmini nella Provvidenza intesa come un abbandonarsi in Dio che tuttavia, come abbiamo visto, lascia spazio
all’evolversi delle iniziative personali che sorgono spontanee nell’uomo. Dio non disprezza questo istinto
che egli stesso ha creato in noi. Così avviene che lecitamente ciascuno usi quei mezzi ritenuti più idonei per
il raggiungimento del fine, convinti del fatto che la liceità dei mezzi e in stretta dipendenza dal raggiungimento del fine, dove il fine non giustifica i mezzi, ma anzi identifica i mezzi che occorrono per raggiungerlo,
in relazione all’ambiente in cui ci siamo mossi. Il fine evidentemente è Dio e i mezzi da usare sono quelli che
Dio ci ha dato, quindi il saper parlar di Dio, il saper dialogar con Dio, il saper spiegarci di Dio.
Noi cristiani siamo certi che questo lavoro di mente, cuore e volontà dipenda e si coordini con la Provvidenza Divina. L’uomo si affatica ma sa che l’esito della sua opera è nelle mani di Dio, come nelle mani di
Dio pone tutta la sua ricerca e il suo operato. Da una parte viene l’intenzione e l’impegno con cui si lavora,
dall’altra il successo e la riuscita dell’opera. Rispetto a quest’ultimo, l’uomo si abbandona riconoscendo che
Dio può avere un’altra volontà da quella che egli con la ragione si proponeva. La discriminante quindi é la
conoscenza della volontà di Dio.
Grazie.
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