La Conferenza Organizzativa di metà mandato è uno dei

MICHELE RIZZI
Vice Presidente nazionale Acli
RELAZIONE INTRODUTTIVA
Davanti allo specchio. Osservare le Acli.
La Conferenza Organizzativa di metà mandato è uno dei momenti più
importanti della vita associativa. Le Acli sono un’associazione che vive di
momenti come questo, momenti che richiedono insieme rigore e passione,
un binomio molto caro al nostro Presidente Nazionale Andrea Olivero.
Guardarsi
allo
specchio
La Cop ha senso solo quando è un momento di confronto e di discussione. Un
momento in cui le Acli si mettono davanti allo specchio e si valutano
criticandosi sinceramente (l’autocritica del resto è una delle forme della
libertà), nel senso più vero della parola, quello cioè di riandare alle radici
del nostro essere associazione di promozione sociale, di dire le cose come
stanno.
La Cop è infatti un guardarsi allo specchio, e ciò comporta sempre dei rischi.
C’è chi ha uno sguardo troppo severo su se stesso che gli impedisce di essere
oggettivo. Il rischio di questo sguardo è l’anoressia o la bulimia.
C’è chi evita di guardarsi e preferisce fissare lo sguardo sullo sfondo. E’ lo
sguardo di chi è incapace di affrontare le proprie debolezze e preferisce
fuggire da se stesso piuttosto che affrontare con coraggio le proprie
responsabilità. Questo è lo sguardo del codardo.
C’è chi invece guardandosi non smette di staccare gli occhi dalla propria
figura, anzi se ne compiace narcisisticamente, come la strega nella fiaba di
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Biancaneve, credendosi il “più bello del reame”. E’ lo sguardo del Narciso
che si abbaglia della sua immagine e non si accorge di ciò che accade
attorno a lui.
Incidere
nella
realtà
Scegliere di essere né anoressici, né codardi, né narcisi mi sembra debba
essere la prima conquista di questa nostra Cop.
Il nostro sguardo dev’essere ben fisso sulla nostra realtà associativa, ma al
tempo stesso sul mondo e sul periodo storico che stiamo vivendo. Non
possiamo permetterci uno sguardo autoreferenziale perché il nostro essere
una buona associazione, la nostra forza, si misura nella capacità che
abbiamo di incidere profondamente nella realtà che ci troviamo a vivere, e
non in un’altra, sapendo che il nostro metro di giudizio sarà proprio quello di
valutarci sulla nostra capacità di lasciare il segno qui ed ora.
E’ l’essere cristiani che ci spinge a questo. L’esperienza cristiana è
profondamente incarnata nella storia.
“Perché
state a
guardare
il cielo?”
Il libro che narra le origini del cristianesimo sono gli Atti degli Apostoli (il cui
titolo in greco suona “Pràxeis apostolòn”). Pràxeis… La prassi appunto, le
azioni, l’impegno concreto di uomini che sotto l’azione dello Spirito Santo
sono in grado di cambiare il corso della storia. “Uomini di Galilea, perché
state a guardare il Cielo?” (At 1-11): queste sono le parole che vengono
rivolte agli Apostoli dopo l’ascensione di Gesù Cristo. Parole forti che
richiamano all’azione concreta, all’impegno assiduo di testimonianza che
ognuno di noi è chiamato a portare.
Ciò non vuol dire abbandonare la nostra dimensione di idealità. Significa che
in questa Cop siamo chiamati ad immergerci nel nostro mondo, a
comprenderlo e a fare di tutto per cambiarlo.
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Questo e solo questo dev’essere il metro d’analisi del nostro operato.
Uno
sfondo
confuso e
complesso
Guardandoci allo specchio vediamo la nostra immagine a fuoco. Le Acli ci
sono, ci sono da oltre 60 anni, sono una realtà presente e visibile. Quello che
è confuso è lo sfondo, che appare sfuocato e pieno di complicazioni. Il
tempo in cui viviamo è difficile da decifrare, difficile da mettere a fuoco. E’
un mondo molto più complesso di quello di trenta, quaranta anni fa. Non
dobbiamo quindi spaventarci di fronte a nuove ed impreviste difficoltà, oggi
il mondo è molto difficile, molto complicato.
Rappresentazio
ne sociale e
rappresentanza
Viviamo una duplice crisi: una crisi della “rappresentazione” sociale che
porta ad una crisi della rappresentanza. Mi spiego meglio: non siamo più
capaci di dare un volto a tutte quelle categorie o inadeguatamente
interpretate o addirittura manipolate. Quest’incapacità rende impossibile la
rappresentanza di queste realtà che rimangono così prive di voce. Un
esempio evidente credo sia quello che riguarda i Pacs. Come dimostrano
anche le cronache delle ultime ore, nella nostra società, nel Parlamento, sui
mezzi di comunicazione di massa è ben presente e pressante il dibattito sulle
coppie di fatto, ma chi si preoccupa di quei due milioni di famiglie
monoparentali (quattro volte tanto le coppie di fatto), madri sole che tirano
su i figli spesso senza l’aiuto di nessuno?
Gli stessi sindacati sono in difficoltà nel rappresentare i lavoratori nella loro
totalità, soprattutto quelli assunti con contratti precari, ancora privi di
tutele e garanzie. Anche il civile organizzato spesso non riesce ad incidere
con forza nei luoghi della politica dove si prendono le decisioni. Questi
luoghi oggi sono dominati soprattutto dai poteri economici e finanziari che
detengono il controllo, che muovono effettivamente le leve della politica!
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Declino
della
società
civile?
Mi ha colpito in un recente articolo di Ilvo Diamanti (“Repubblica” del 19
Novembre 2006) vedere citati tra i soggetti della rappresentanza solo i
partiti, i sindacati e la Confindustria. E non vedere citata la società civile.
Questo significa il declino della società civile o una rivincita delle forme
tradizionali di rappresentanza?
D’altra parte non bisogna dimenticare che proprio alla capacità istituente
della società civile, alla sua capacità di generare dal basso la democrazia e
le sue istituzioni, veniva assegnato, nella crisi della prima Repubblica, un
importante compito rigenerativo della politica. Precisamente qui sta il senso
della presenza nelle Acli di un Dipartimento Istituzioni del quale per altro ho
la responsabilità.
Se non ci può essere rappresentanza senza rappresentazione sociale, il
nostro compito è innanzitutto quello di far emergere dall’invisibilità tutti
quei soggetti che ancora non hanno voce e vivono sommersi nell’anonimato.
Lo diceva Honorè de Balzac a chi gli chiedeva quale fosse il suo ruolo di
scrittore: “Io sono solo uno che gira con uno specchio in mano”. Forse questo
è il compito nuovo della società civile e di noi aclisti.
Crisi
della
sintesi
politica
Il fatto è che oggi lo specchio che abbiamo in mano sembra caduto in
frantumi. (Se così fosse chi è superstizioso si prepari ad almeno 7 anni di
sfortune!). Il nostro periodo storico vive di frammentazioni. I rapporti umani,
le relazioni interpersonali che costruiamo sono sempre più deboli, incapaci
di durare nel tempo. Questo fenomeno colpisce anche i soggetti e gli attori
politici. Oggi è in atto ed è sotto gli occhi di tutti una crisi della mediazione
e della sintesi politica. I partiti non intercettano più i bisogni dei cittadini.
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Ma non intercettano più nemmeno le istanze dei corpi intermedi e dei
territori. Lo scollamento è evidente, come è evidente la difficoltà di
comunicazione tra tutti questi soggetti. Eppure la nostra Costituzione su
questo è chiara e dice all’articolo 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di
associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale”. I cittadini, iscrivendosi ai partiti
dovrebbero poter determinare la politica nazionale! Oggi siamo decisamente
lontani da quanto propone la nostra Carta Costituzionale. Ogni soggetto
sociale, politico, istituzionale, sembra interessato a tutelare principalmente
Una
nuova
rifeudaliz
zazione?
interessi particolari senza domandarsi nemmeno quale sia il bene generale
del Paese. Lo Stato litiga con le Regioni, le Regioni con lo Stato, i Comuni
con l’uno e le altre. Sembra quasi di assistere alle prove generali di una
nuova rifeudalizzazione! Le associazioni di categoria mirano a fare di tutto
perché i propri associati non perdano i privilegi acquisiti, lobby di ogni
natura difendono interessi di pochi, conquistati negli anni delle vacche
grasse. Si direbbe che non c’è più nessuna parzialità in grado di pensarsi
dentro un contesto totale.
Questo è il Paese in cui siamo chiamati ad operare con l’ottimismo della
volontà, ma anche con quello della ragione.
Un Paese
bloccato
E ancora. Quanto può reggere un Paese in cui in molte zone la maggior parte
dei commercianti sono costretti a versare alla malavita organizzata il pizzo?
E quanto può reggere un Paese che fa della raccomandazione il suo sistema
principale di selezione?
Il nostro è un Paese bloccato. Vi è una necessità enorme di ricambio
generazionale in tutti i settori, da quello della politica a quello
dell’economia, da quello dell’impresa a quello dell’università. Il ricambio
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generazionale però non basta se non si affronta il tema spinoso ma centrale
della mobilità sociale. Il nostro è un Paese immobile. Non solo per i giovani è
difficilissimo inserirsi con successo nella vita attiva ma è ancor più difficile,
se non impossibile, il passaggio da una classe all’altra della nostra società. In
parole semplici: un giovane figlio di una famiglia povera anche se con grandi
capacità non ha le stesse possibilità di un figlio di una famiglia benestante.
Solo con estrema difficoltà riuscirà ad affrancarsi dalla propria condizione
originaria. E’ la novità di questi ultimi anni rispetto ai decenni della storia
italiana dalla ricostruzione a tutti gli anni Ottanta. Questa è la spia più
evidente di un Paese incapace di vero dinamismo.
L’emergenza
educativa
Non possiamo nasconderci dietro un dito. In Italia sta emergendo con
prepotenza una grande questione educativa. Una questione che coinvolge le
scuole e le famiglie, ed in generale tutte le agenzie educative del nostro
Paese. Non possiamo non notare il disagio delle giovani generazioni, sempre
più sole, e spesso anche più violente. Queste generazioni spesso crescono
nell’assenza di valori e di punti di riferimento. L’emergenza educativa non
sta solo nella riforma della scuola come istituzione, ma anche nel renderci
conto che l’educazione dei nostri ragazzi passa attraverso qualcuno che li
sappia ascoltare. Robert Nozick, grande filosofo del Novecento, morto
qualche anno fa, chiude uno dei suoi libri (“La vita pensata”, ed. Rizzoli) con
un piccolo racconto autobiografico. Ricorda come, da adolescente, amasse
girare portando sotto il braccio la “Repubblica” di Platone augurandosi
sempre di trovare qualche adulto che gliene chiedesse la ragione. Cosa che
puntualmente non avveniva.
Insomma, il discorso educativo non è una questione moralistica. Lo stesso
governatore della Banca d’Italia Mario Draghi sottolinea come la questione
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dell’istruzione e dell’educazione sia in realtà strategica per la crescita e lo
sviluppo economico del nostro Paese:
“Nel secolo scorso la scuola e l’università italiane - dice Draghi - hanno
sostenuto la crescita economica e civile del Paese; sono divenute meno
elitarie, si sono progressivamente aperte alla società; educando milioni di
cittadini che ne erano prima esclusi, hanno ridotto le disuguaglianze, ma
hanno reso allo stesso tempo più difficile conseguire un elevato standard
qualitativo”.
Un deficit
di
istruzione
Prendiamo atto che il nostro Paese vive un preoccupante deficit di istruzione
rispetto agli altri. Un Paese poco istruito è destinato a non essere
competitivo, è destinato alla povertà, è destinato al declino. Ecco un’altra
terra di missione per le Acli.
Lavorare
con fatica
La nostra è anche una società in cui si vogliono ottenere risultati senza fare
fatica. Una società che ha dimenticato la distanza che c’è tra il lavoro, il
sacrificio e l’ottenimento di un risultato. Chi ha la passione di camminare in
montagna impara subito il rapporto tra fatica e risultato, tra gestione delle
proprie energie e raggiungimento della vetta. Oggi si vogliono fare bambini
senza fare l’amore, si vogliono raggiungere posti visibili e prestigiosi senza
alcuna esperienza. Si preferiscono, pur di raggiungere il risultato, le
scorciatoie alla strada normale. Le varie, “opoli”, da calciopoli a vallettopoli
lo dimostrano ampiamente. E anche le ultime elezioni sono frutto di questa
mentalità. Il sistema elettorale con cui si è votato, non solo ha fatto in
modo che poche persone, nelle segreterie dei partiti, scegliessero a tavolino
praticamente tutti i futuri parlamentari, ma ha permesso anche che questi lo
diventassero senza fare quasi alcuna campagna elettorale. Questo non vale
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certo per i nostri parlamentari che la campagna elettorale l’hanno fatta
eccome, avendo alle spalle una grande esperienza sul territorio e molti anni
di impegno sociale. Li salutiamo tutti affettuosamente. Il senatore Luigi
Bobba, già Presidente nazionale delle ACLI, l’On. Mimmo Lucà, l’On. Franco
Narducci e il senatore Eduardo Pollastri.
Questo rifiuto della fatica è un tratto fondamentale della nostra società a
cui non possiamo aderire, perché l’impegno che porta al buon risultato è
connaturato al Dna originario delle Acli. Fin da quando, con fatica, appunto,
e dedizione, i nostri padri fondatori si impegnavano a distribuire i generi
alimentari di prima di necessità e nell’aiutare a ricostruire le case rase al
suolo dalla guerra.
Chiamati
ad essere
scomodi
Serve una nostra presenza nella storia che sia scomoda. Scomoda perché le
nostre proposte devono avere la caratteristica della libertà e del coraggio.
La scomodità nasce dal fatto che le Acli hanno delle idee ed hanno il
coraggio di dirle, di farle sentire, a voce alta se necessario.
Siamo chiamati ad essere scomodi innanzitutto da un punto di vista politico
e culturale. Richiamare con forza la necessità di legami responsabili e
duraturi, in grado di essere il collante della nostra società, è già un mettersi
di traverso, contrastare una società che incoraggia la debolezza e
l’insignificanza delle relazioni. Per essere veramente sale della terra
dobbiamo continuare ad essere presenza critica in questa società. A far
sentire tutto il peso delle nostre proposte al mondo della politica senza
essere subalterni a nessun partito in particolare. La nostra scomodità nasce
dalla nostra autonomia, dalla fedeltà alla nostra storia e alle nostre idee.
Così abbiamo fatto in occasione del referendum sulla legge 40.
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Scomodi significa, ad esempio, dire a chiare lettere che alcune scelte di
questo governo non ci convincono, come la recente iniziativa della ministro
Livia Turco sulla droga, scomodi significa aver fatto sentire le nostre ragioni
per ribadire la bontà del 5 per mille, oppure per la realizzazione di una
legge seria sulla formazione professionale.
Responsabilità Vogliamo avere una presenza liberamente autentica anche all’interno della
e autenticità Chiesa sapendo che, come diceva il nostro padre fondatore Achille Grandi,
“le minoranze di oggi possono diventare maggioranze domani, purché
dimostrino di essere convinte, addestrate e capaci”.
Una presenza responsabilmente autentica perché nella Chiesa di oggi c’è più
che mai bisogno di autenticità e responsabilità. Dobbiamo continuare ad
essere il lievito dentro la pasta, e la nostra pasta è la nostra Chiesa. Questo
spazio per una presenza laicale attiva e responsabile è uscito ben chiaro dal
recente convegno ecclesiale di Verona. Le Acli devono essere autentiche nel
declinare una laicità responsabile ed obbediente. Obbediente nel portare il
proprio contributo sempre all’interno della Chiesa, sempre essendone parte
integrante.
Liberi e
obbedienti
Non vogliamo essere clericali, non lo siamo mai stati ma non vogliamo essere
nemmeno disobbedienti. Del resto non era né l’uno né l’altro Achille Grandi.
La fedeltà alla Chiesa sta proprio tra queste due opzioni. E’ la fedeltà di San
Francesco che avrebbe potuto dar vita ad un’altra delle numerose eresie
presenti nel suo tempo, mentre scelse di riparare la Chiesa del suo Signore,
dal di dentro, portandone sulle spalle i limiti e i pregi. Ci sono esempi ancor
più vicini a noi: Don Primo Mazzolari, Don Lorenzo Milani, padre David Maria
Turoldo.
Tutti
spesso
superficialmente
presi
come
bandiera
della
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disobbedienza nei confronti della struttura temporale della Chiesa, invece di
essere riconosciuti per quello che erano realmente: persone innamorate
della loro Chiesa che hanno fatto dell’obbedienza e della libertà il loro stile,
la loro missione.
Attraverso lo specchio. Interpretare le Acli.
Ora è infatti il momento di concentrarci sulla salute delle nostre Acli. Lo
farò ponendomi delle domande, sapendo già che, come dice Oscar Wilde, se
si trovano tutte le risposte vuol dire che le domande erano sbagliate.
Come sono cambiate le Acli negli ultimi anni?
Non
bastano i
numeri
Inizio col dirvi che sono state celebrate 99 Cop provinciali e 21 regionali.
Anche da questo possiamo capire che le Acli ci sono, e sono presenti e
diffuse capillarmente in tutto il nostro Paese.
Le Acli sono sicuramente molto cresciute. E i risultati credo siano un po’
sotto gli occhi di tutti. E’ aumentato il tesseramento (il nostro sistema è
vicino alla soglia del milione di iscritti, le Acli sono arrivate ad oltre 430.000
iscritti, quasi tutte le nostre associazioni specifiche hanno visto negli ultimi
anni incrementi significativi e continui, l’U.S. ha raggiunto quota 311.000
iscritti, la Fap 60.000). Numeri importanti, numeri che contano nella società
italiana. Ma possiamo appagarci solamente con i numeri? Il fatto che in
questa Cop abbiamo messo a tema i legami e l’azione volontaria dimostra
quanto diamo importanza alla qualità della nostra vita associativa.
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La crescita numerica della nostra associazione però non è solo una questione
quantitativa, ma anche di progettazione organizzativa. E su questo voglio
citare la mozione finale della Cop pugliese che ha sottolineato un passaggio
fondamentale:
“Il governo del movimento ha una parola d’ordine su cui fondarsi:
integrazione. Le diverse articolazioni del sistema sono ricchezze spesso
separate che vanno connesse soprattutto attraverso la circolazione delle
informazioni, la condivisione della progettualità sociale, la formazione della
classe dirigente”.
In questi anni abbiamo tentato di fare questo. Abbiamo sperimentato nuove
funzioni (pensiamo al coordinatore regionale del Welfare e ai responsabili
locali di Ente accreditato per il servizio civile nazionale), e rivisitato alcune
di quelle tradizionali (la funzione dello sviluppo associativo a livello
regionale e provinciale).
Il processo
della
Governance
Abbiamo dedicato i nostri sforzi al tema della governance, da un lato spinti
dai recenti cambiamenti istituzionali (la riforma del titolo V della nostra
Costituzione), dall’altro credendo fermamente che il processo della
governance a livello regionale, provinciale e locale rappresentasse un
importante punto di snodo e di coordinamento per la nostra associazione.
Il processo di governance nelle Acli è diretto a costruire tra le diverse parti
del sistema dei confini chiari e flessibili allo stesso tempo, delle regole che
consentano di coinvolgere tutte le varie parti del nostro sistema.
Governance
e
formazione
Il compito della governance è anche culturale e formativo. Abbiamo voluto
sviluppare conoscenza attorno a temi prioritari per la nostra associazione
come quelli della famiglia, della bioetica, del lavoro, dell’immigrazione,
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della dimensione ecclesiale della parrocchia e dello sviluppo di una
sensibilità ecumenica.
Il servizio
civile
volontario
Per quanto riguarda la governance a livello provinciale il principale processo
organizzativo che abbiamo avviato è stato quello di individuare una nuova
funzione, quella dello sviluppo associativo, che raccogliesse l’eredità della
funzione organizzazione e la sviluppasse in senso qualitativo.
Ma un’altra figura importante è nata in questi anni: quella del Responsabile
Locale di Ente Accreditato per il Servizio Civile Nazionale, che lavora
assieme agli altri Operatori locali di Progetto, ed ha un compito
fondamentale, sia organizzativo sia educativo, per fare in modo che i ragazzi
che svolgono il servizio civile da noi siano accolti e coinvolti pienamente
dalle nostre proposte.
Pensarsi
come
sistema
Abbiamo messo in atto una notevole riorganizzazione del livello nazionale.
Abbiamo articolato e definito la struttura e la funzione dei dipartimenti, e li
abbiamo connessi alle strutture dei servizi e delle imprese di riferimento.
Questo ha permesso e permetterà di pensarci sempre più come sistema, di
connettere e sviluppare la nostra presenza dando unità d’intenti e di
strategia politica alla varietà delle nostre proposte.
I nostri servizi, le nostre imprese, le nostre associazioni specifiche godono di
una rinnovata credibilità e presenza. Certo non mancano i problemi che voi
tutti ben conoscete, a partire dalla situazione dell’Enaip, servizio che per
motivi legati a pesanti eredità del passato e, soprattutto, ad una politica
spesso miope, si trova oggi ad un bivio drammatico: cambiare strategia o
scomparire. La formazione professionale viene infatti indicata da ogni parte
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come elemento fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese e come
potente strumento contro la dispersione e l’insuccesso scolastico, ma alla
prova dei fatti viene regolarmente relegata al ruolo di
parente povera
dell’istruzione scolastica, condannata alla precarietà e talvolta anche a
morte ignominiosa. L’Enaip sta quindi combattendo la sua battaglia più
difficile ed ha bisogno di avere al suo fianco le Acli, con tutte le idee e le
energie di cui dispongono. Nel complesso comunque l’associazione ha più
risorse che nel passato, e questo non può che essere un fatto positivo.
Abbiamo visto in questi ultimi anni lo sviluppo e la crescita del nostro Caf,
del nostro Patronato, di Acliterra, della Fap, l’introduzione del 5 per mille e
una progettualità capace di portare nuove risorse al nostro sistema. Ma
chiediamoci: il fatto di avere più risorse di prima rischia di alterare la natura
della nostra associazione? Anche in questo caso dobbiamo chiederci: possono
i numeri appagarci totalmente?
Risorse e
ragioni
In una situazione del genere il rischio di dimenticare le motivazioni e le
ragioni dell’esistenza delle Acli è reale. Come è reale il rischio di
immaginarci come un’organizzazione il cui obiettivo principale è quello di
fare impresa e di fare della redditività del nostro sistema l’unico criterio di
valutazione del nostro stato di salute.
Oggi abbiamo il dovere di “attraversare lo specchio”, esattamente come
Osare il
nuovo
accadeva ad Alice nel famoso libro di Lewis Carrol. Attraversare lo specchio
è avere il coraggio di osare qualcosa di nuovo, è entrare in una dimensione
diversa.
Non significa necessariamente fare cose straordinarie, piuttosto cambiare la
nostra prospettiva nel guardare le cose. Cambiare punto di osservazione.
D’altronde è quello che Paolo VI diceva dovevano essere i cristiani: degli
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“scompaginatori della stagnazione”, (potente affermazione!) persone capaci
La presenza
di GA
di portare un vento nuovo. E’ indubbio che questa capacità ha a che fare
anche con la nostra condizione anagrafica. Ed è in questo senso che la
presenza dei Giovani delle Acli e una crescente presenza di giovani nella
classe dirigente possono garantirci circa questa costante prospettiva di
dinamismo.
E allora ripercorro alcuni punti nodali della nostra esperienza associativa,
che sono imprescindibili e assodati, ma che hanno bisogno di essere guardati
“attraverso lo specchio”.
Radicamento
territoriale
Le Acli hanno una loro appartenenza originaria al territorio. L’Italia è il
Paese dei comuni e dei piccoli borghi e le Acli sono cresciute in questo
radicamento territoriale. Ma, finita l’epoca delle culture popolari, cosa
significa abitare il territorio oggi in una cultura di massa e in epoca di
globalizzazione?
Centralità
delle
persone
C’è un altro tratto identitario del nostro essere associazione: la centralità
delle persone. E uso il plurale intenzionalmente. Non mi riferisco al valore
astratto della persona ma alla concretezza di ciascuna storia, di ciascun
percorso associativo. L’aumento del tesseramento non è un punto di forza se
non abbiamo ben chiaro che dietro ogni tessera c’è una persona. Una
persona con una storia ben precisa, un’esperienza particolare. Uomini e
donne nella loro concretezza. Ha descritto bene questo concetto un
passaggio della mozione finale della Cop della Toscana:
“L’associazione va intesa non solo come “tessere” ma come tesserati
consapevoli della scelta effettuata al momento dell’adesione. C’è la
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necessità di riaccendere il senso di appartenenza e di fidelizzazione
all’associazione e ai suoi valori”.
Quella
scintilla
originaria
Questo è un punto centrale. Per restare fedeli alle persone dobbiamo
chiederci in che modo siamo entrati nelle Acli. Qual è stata quell’esperienza
che ci ha spinto a deciderci a farne parte e poi ad associarci. Ognuno avrà
un’esperienza diversa dall’altro. Ma sicuramente ognuno ha vissuto quel
momento come una scintilla. Ho avuto modo di verificare la bontà di questa
metafora in un appassionante confronto con le donne delle Acli riunite
nell’Assemblea dei coordinamenti lo scorso 25 novembre. I loro racconti così
diversi e ricchi mi hanno convinto che è proprio così: ci si “innamora” delle
Acli, magari anche lentamente, e non a prima vista, ma sempre in un modo,
per così dire, improvviso. Quella scintilla può essere una persona, (qualcuno
che ci ha parlato delle Acli o che ci ha testimoniato la proposta aclista), una
parola, una testimonianza, un libro, un evento particolare, una circostanza
esterna, spesso del tutto fortuita, “un caso a cui il cuore ha creduto” come
diceva Jean Guitton. Quella scintilla però è la ragione originaria del nostro
essere aclisti. E quella scintilla va ricordata, va ripensata ogni giorno per
mantenere acceso il fuoco della nostra appartenenza associativa.
Dobbiamo partire da questo per costruire le Acli del futuro.
Autenticità
e creatività
Dobbiamo recuperare la nostra capacità di essere creativi. Non credo di
puntare troppo in alto quando dico che oggi non siamo chiamati ad
inventare, ma a creare. L’inventore (la parola “invenio” da cui deriva lo dice
chiaramente), mette in un ordine particolare cose che già esistono. La
creatività invece è qualcosa che nasce dalla nostra autenticità, dalla
capacità di essere compiutamente e ripetutamente noi stessi. L’autenticità,
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infatti, non è solo una virtù morale, ma anche politica. Siamo capaci noi,
oggi, di creare qualcosa che abbia questi presupposti? Io credo di sì…
Pensiero e
azione
Ma c’è un altro tratto identitario che non possiamo non avere presente. La
fedeltà a quell’intreccio originario di pensiero e azione che è caratteristico
delle Acli.
Sappiamo che non esiste un pensiero che viene prima dell’azione, come non
esiste un’azione che viene prima del pensiero. Così il nostro essere aclisti
deve vivere della feconda commistione tra pensiero ed azione.
Tutti questi punti fermi hanno bisogno di essere declinati concretamente.
Cura e
formazione
dei dirigenti
Dobbiamo partire dalla formazione dei nostri dirigenti che sono la
testimonianza più visibile della qualità delle Acli, sono il volto, l’immagine
che la nostra associazione comunica all’esterno. La cura nella scelta e nella
formazione dei dirigenti è il primo gradino che dobbiamo salire per ripensare
adeguatamente la nostra struttura organizzativa.
Dobbiamo tenere presente innanzitutto la distinzione che c’è tra dirigenti
politici e dirigenti tecnici dei servizi, i nostri manager. Se non abbiamo ben
chiara questa distinzione il rischio che si creino dei cortocircuiti al nostro
interno è molto alto.
Ma vi è un’altra questione che va detta chiaramente: la formazione di tutti i
nostri dirigenti, tecnici e politici, non può essere solo specifica. La nostra
formazione deve avere al centro un pensiero associativo condiviso sia sul
versante sociale sia ecclesiale. L’integrazione di sistema passa anche di qui.
Una formazione che sia in grado di far comprendere che, oltre alle
competenze tecniche, ai nostri dirigenti è richiesto un surplus di passione e
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testimonianza. La prima condizione per far diventare le Acli una macchina
che produce scintille di partecipazione. Per questo i nostri dirigenti non sono
chiamati ad avere solo competenze tecniche e neppure solo visione politica.
Il bene e
il bello
Ma ad avere anche uno spiccata cura per il bello. Perché le Acli non solo
devono fare le cose bene, ma devono anche renderle belle, in grado cioè di
appassionare e coinvolgere. Sappiamo tutti come per il mondo ebraico, ma
anche per la stessa cultura greca e per il pensiero teologico medievale, il
concetto di bene e bello vadano di pari passo, siano la stessa cosa… Il buon
pastore della parabola evangelica (Gv 10,11), stando al testo originale, non è
semplicemente buono, ma anche bello, perché le due cose sono coessenziali.
Azione
volontaria
e gratuità
Ora ci dobbiamo chiedere: come valorizzare l’esperienza di volontariato
nelle Acli? Abbiamo ben chiaro che anche dalla risposta a questa domanda
dipende il nostro futuro.
Le Acli crescono veramente nella qualità solo se accanto ai servizi e alle
imprese abbiamo la forza di promuovere un’associazione che abbia il suo
perno nell’esperienza volontaria. D’altra parte abbiamo tutti presente la
crisi del volontariato che colpisce anche il nostro Paese. La gratuità ha
bisogno di proposte forti e appassionanti. E poi, diciamolo sinceramente,
puntare sull’azione volontaria e sulla gratuità significa impegnarci a
contrastare una cultura dominante in cui prevalgono il profitto e l’interesse
individuale.
Oltre lo specchio. Scommettere sulle Acli
Uno spazio
organizzato
di libertà
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Possiamo immaginare a questo punto qualche sfida, qualche linea da fare
nostra nei prossimi anni. Ci si deve assumere qualche rischio nell’immaginare
il nostro futuro e questo lo possiamo fare amando “l’avventura” senza per
questo essere “avventurieri”. Ha espresso bene questi valori un passaggio
della mozione conclusiva della Cop della Valle d’Aosta: “Quando la vita
associativa vive uno spazio organizzato di libertà e insieme di responsabilità
genera quel legame sociale di cui la società ha estremo bisogno”. E questo
legame sociale va costruito tenendo presente quelli che già ci sono apparsi
come i caratteri costitutivi del fare associazione: il coraggio, l’autonomia, la
libertà e la creatività.
La lezione
di Tommaso
Moro
Vale per tutti noi l’esperienza di vita coraggiosa e illuminata di Tommaso
Moro che per difendere la propria libertà di pensiero e i propri valori
cristiani, da cancelliere del Regno si oppone ad Enrico VIII Re d’Inghilterra,
ed accetta la prigionia e poi il martirio. Un uomo che, rinchiuso in una torre
in attesa della morte, per aver difeso il proprio essere cristiano, scrive
pagine bellissime come il “Dialogo del conforto nella tribolazione”. Un uomo
coraggioso Tommaso, autonomo, libero. Proprio come dovrebbero essere le
nostre care Acli.
Ancora
sull’integrazio
ne di sistema
La nostra prima sfida è al tempo stesso interna ed esterna. In questi anni
abbiamo fatto un buon lavoro di integrazione di sistema. Abbiamo voluto
lavorare perché i nostri servizi fossero maggiormente integrati. E ce
l’abbiamo fatta. Oggi, è sotto gli occhi di tutti, i meccanismi dei nostri
servizi sono più dinamici, comunicano meglio tra di loro. Oggi si apre la fase
due dell’integrazione di sistema. Un sistema è veramente integrato solo
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quando chi entra in contatto con una sua parte si accorge di aver conosciuto
il tutto.
Le Acli sono come un prisma, ognuno può venire a contatto con un lato
diverso, che ha le proprie caratteristiche specifiche, ma insieme una sua
coerenza. Questo è un obiettivo chiaro su cui lavorare nei prossimi anni.
Curare
l’immagine
La nostra seconda sfida è direttamente conseguente alla prima. Dobbiamo
saper curare bene la nostra immagine, ciò che si percepisce di noi. E’ una
sfida importante soprattutto oggi, nella società della comunicazione, dei
media. Ed è importante che l’immagine che si percepisce di noi sia lo
specchio di ciò che siamo realmente. Un’immagine veritiera, forte e
completa. Ma il problema dell’immagine, che non vuol dire solo apparenza,
deve interessare ogni aclista. Ognuno deve porsi la domanda: come mi devo
comportare perché si capisca che io appartengo alle Acli? E’ qualcosa che
interpella tutti noi, dai dirigenti nazionali a quelli locali, dagli operatori del
Patronato al semplice iscritto di un circolo.
Giovani
competenti e
appassionati
Una terza sfida. Siamo riusciti in questi anni a proiettarci verso il futuro
rinnovando in maniera evidente la nostra classe dirigente, anche in senso
generazionale. Questo non ci deve però appagare. La questione del ricambio
generazionale è ancora all’ordine del giorno, ed è ancora una delle priorità
delle Acli anche per i prossimi anni. Non basta però pensare a delle Acli più
giovani, dobbiamo anche intervenire sui criteri di scelta dei giovani
dirigenti, cercando in loro non solo la competenza e la professionalità ma
anche la passione associativa.
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Protagonisti
nelle reti del
sociale
Una quarta sfida. Le Acli hanno contribuito in questi anni a far nascere e
crescere numerose esperienze di reti associative. Siamo al centro, e spesso
ne siamo il motore, di un tessuto di soggetti della società civile ed ecclesiale
(dal Forum del terzo settore a Retinopera, dal Forum delle Famiglie al Forum
nazionale dei giovani). Queste reti dovranno essere ancor più presenti nei
prossimi anni nel panorama del nostro Paese. Il futuro ci vede impegnati,
dunque, a renderle più forti, e ad essere protagonisti di questo processo.
Politica e
valori
Vi è infine una quinta sfida. Le Acli hanno la forza e la vocazione per
pensare a delle “scuole di formazione politica” senza complessi di minorità?
C’è l’esigenza per noi laici cristiani di tornare ad occuparci senza paura di
politica. La nostra azione deve mirare a coinvolgere e rendere sensibili ai
nostri valori il mondo della cultura, delle università e dell’economia, in
modo tale da poter trasmettere i nostri contenuti in tutti quegli ambiti che,
a vario titolo, contribuiscono al rinnovamento del nostro Paese.
Siamo arrivati alla conclusione, cari amici e care amiche.
Queste sono solo alcune delle tante sfide che siamo chiamati ad affrontare e
che sabato pomeriggio il Presidente tratteggerà in modo molto più
approfondito di quanto io abbia fatto.
Tutto ciò che ci siamo detti fin qui è una cornice all’interno della quale io
spero si animerà un ricco confronto. Un tentativo di proporre una visione
della nostra associazione il più possibile realistica e, al tempo stesso, piena
di speranza. Una visione incarnata nella storia, che non dimentichi, però,
che quella nostra speranza travalica i confini della storia.
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Le sfide che abbiamo di fronte testimoniano che l’Italia ha bisogno di noi,
del nostro coraggio, della nostra autenticità, della nostra passione e della
nostra creatività.
Il vento che spira oggi nel nostro Paese dice chiaramente che c’è bisogno di
Acli.
Per questo, cari amici, care amiche, dobbiamo fare le Acli. Meglio e di più.
“Avanti con le Acli!”.
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