L`Orestea di Gibellina corretta.ps, page 503 @ Preflight ( 1IMPr )

Emilio Isgrò
L’Orestea di Gibellina
e gli altri testi per il teatro
a cura di
Martina Treu
postfazione di
Dario Tomasello
con la collaborazione di
Laura Cammarosano
Le Lettere
Gibella del Martirio
Sette libri e un girotondo per Francesca Benedetti
Prologo
Ma com’è? Com’è il ricercato?
Il ricercato è di profilo basso, greco
e di gracile aspetto.
Buonanotte Giulio Cesare,
buonanotte Pompeo,
buonanotte mammina.
Io quell’inverno del Sessantotto
battevo i denti per il freddo.
Buonanotte Mussolini,
buonanotte nonna.
Ragazza georgiana
volevo coltivare i fiori
e preparare il brodo
per il babbo raffreddato
e per la mamma cieca.
Ma incontrai quel Beria
che decise il mio destino.
Ma com’è? Com’è il condannato?
Il condannato è grasso, viscido
e pende dalla forca.
Addio Partanna,
buonanotte Erice,
buongiorno zietta.
Io nell’estate del Quarantaquattro
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EMILIO ISGRÒ
sudavo per il caldo
mentre bombardavano
il nostro seminario.
Buonanotte Anna,
buonanotte suora.
Ragazza di Catania
volevo attraversare il mare
prima che la terra
si svegliasse ballerina.
Ma incontrai Nicola
figlio di Atenione
che decise la mia sorte.
Ma com’è? Com’è il macellaio?
Il macellaio è magro, nano,
pallido di morte.
Nessuno può sapere
cosa c’è nella sua testa mentre spira.
Nessuno può predire
cosa ne sarà del suo futuro.
È calvo, indifferente e duro
come un lanciamissili
che sbuca in paradiso
scansando il purgatorio.
Buonanotte Calogero,
buongiorno zio.
Ragazza siracusana
con sangue messinese
di quello che non sgarra
volevo segnalarti il giorno e il mese
del mio ritorno
e della mia partita.
Ma incontrai Sarina
figlia di Mariano
che decise la mia vita.
Libro primo
Sono venuta a leggere questo piombo.
A domandarti, o piombo, se con te finisce,
DRAMMATURGIE TEATRALI
se da te incomincia. Spagna o frangia
non basta che se magna.
Voglio una casa, un chicco, una gallina,
una perla per la notte di gennaio.
Dormo poco la notte perché più non spero
che mi porterai domani quello che mi merito.
Ti promisi amore, gratitudine:
oggi sbatto la campana sull’incudine
e la testa. Mai sappia la sinistra
quel che fa la destra al centro del mio centro.
Mai sappia l’estate quel che fa l’inverno
al monte: nessuna stella
conosce il cammino, le impronte
delle altre stelle.
Fosse il mio nome Solitudine o Gibella
nell’afflizione eterna
io cercherei nel fondo della morte e nel suo buco
pace per questo figlio (meschino, meschino…)
e queste nuore a lutto.
Vi chiamerò, povere sorelle di clausura
e nuore, prima che si fermi il mondo:
e voi prendete le giacche e le giacchette,
i gomitoli e gli aghi e il punto a giorno:
e non dimenticate i miei occhiali
ché più non ci vedo in questa valle.
Prima risposta
Ma io voglio fondare
un’associazione segreta, una setta mondana
che mi sollevi da questa mia miseria,
metà confraternita, metà infernale,
laicista un terzo, senza ghiaccio,
sanfedista e libertaria.
Voglio fondare un foglio
dove leggere al mattino l’opinione
che democrazia e amore,
dapprima disarmonici e indistinti,
risultano alla fine
transitori e labirintici e soprattutto
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EMILIO ISGRÒ
già si sa quello che saranno. Ti chiedo
comprensione. Io non ti giudico.
Tu non mi giudicare. Tu non ci badare
se nei pomeriggi d’estate sogno Stalin
e la sua bocca ardente sulla mia.
Avverto sempre più il bisogno
di una repressione
aristocratica e illuminata
e non importa il segno purché sia
disumana
ma culturalmente ineccepibile.
Certe volte nei tramonti accesi
quando sale in gloria
la nuvolaglia rosa, sotto,
molto sotto, in basso, molto in basso,
quasi laggiù,
io sento risvegliarsi la voglia
che mi mangia. Io nervosissima e questuante,
braccata tra la città e la villa, divisa
da settecento amori. Tutto questo
è serio e non è serio. Chiamami
Maria del Martirio.
Chiamami! Chiamami!
Chiamatemi! Rispondetemi!
Io vi dichiaro guerra
superpotenze nucleari e insetti
evacuanti
tra pinacoteche e libri
sulle ceneri di un sole che tramonta.
Mi oppongo alle vostre parole
ma accolgo le vostre pretese
che chiedono il silenzio
ai miei compatrioti.
Sono pronta a ridiscutere
tutti i trattati. La sola
arma che scoppia
è una retorica ottocentesca.
La sola tecnologia che conta
è la parola maestosa e nuda
dello schiavo che si alza all’alba
tra l’uno e l’altro oceano.
DRAMMATURGIE TEATRALI
Vi concedo tre giorni
di tempo per riflettere.
Questo è l’ultimatum. Dopo,
ordino il fuoco.
Libro secondo
Sono venuta a leggere questo legno.
È una sera come tante e lei
– la mia bambina dispettosa –
prega i santi e gli dèi
della gioventù che passa e non perdona.
Sento dal convento, presso cento rughe,
l’orologio che prima del gallo canta
il suo chicchirichì d’inferno.
Leggo in questo libro che sei tu
il mio padrone, così fiero, così lento,
così incredibilmente svelto.
Trovo in queste carte senza segno
che presto sarai tu la mia signora.
Io sono la tua monaca e la cuoca:
quella che sa tirare i maccarruni
e cuoce l’agglassato senza un filo d’acqua.
Misteri della vita.
A me dunàtimi stasira1
le sarde, un rotolo di pasta, un chilo…
Ché già passò la fame in queste plaghe
e la pellagra e la malaria e il tifo
e le novene stellari, le gatte che imperversano
dietro l’universo del giudizio.
Posso diventare cieca o vivere da sorda
dentro un ospedale aperto come il mare:
con questa piccola borsa al petto
e pochi spiccioli e qualche grammo di grano.
Da questo libro può volare
una colomba o un cane.
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“datemi stasera”
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EMILIO ISGRÒ
Seconda risposta
A meno che tu non voglia chiamarmi
Angelica: nel quale caso
ti concedo tutto, anche la mia squadra,
anche la mia mano.
Io sono Rosa che ama le stragi
e i casolari impennacchiati a festa.
Dei tre figli che avevo
uno è finito prete, l’altro detenuto.
(E il terzo non è mai nato!)
Rispetto i carabinieri ma non li amo,
specie se fanno i giovanotti e sono infreddoliti.
Piuttosto li sostengo moderatamente.
Anzi li respingo con decisione. Dolorosa
necessità, la pace, anzi funesta. Mi astengo.
Verrò alla finestra, ti darò l’addio,
ti comanderò di metterti
il cappotto pesante e la scarpetta
di vitello, quella con la tomaia
appena inzaccherata e frusta,
tanto che si può dire nuova,
tanto che si può dire tosta.
Sono tutti pallidi
e sbottonati, sbrachettati e pingui,
carichi di anelli e di lanterne.
È l’ottantadue o il millenovecentodieci
quando s’aspettava la cometa di Halley
con tutto il suo veleno. E nella notte
fonda vellutata
delle canarie soffici e stremate
noi tutti cerchiamo una pietra, meglio una pietrina,
forse una pietruzza, grande e sostenuta come un masso.
È il millenovecentotrentanove. Corro e cammino
dentro le mie scarpe che si sono dislabbrate.
Sigaretta, prego, anche un mozzicone. Ho l’età
di mio padre e di mia madre. Vivo nella società
perché non ho una casa.
DRAMMATURGIE TEATRALI
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Libro terzo
Picchì vennu allura li tirrimoti?
Picchì vènunu? Picchì vènunu?
Tögda pöcèmd slucàjutsja zemljatresènija?2
Dico Campania, Basilicata, Irpinia
per non dire Brina, per non dire Napoli
e Virginia, Potenza e Nunziatina
nelle albe che verranno, Vincenzo
e Gennariello, Prudenza e Pruvidenza,
Petru e Natu
nelle aurore torride
di questo inverno. Viaggerò
altrove, supplicherò ai vivi
il mio ceppo e la scure,
il cespo e l’idrante.
Non qui, non qui, non in questo marcire,
tra legami e slegamenti familiari.
Warum kommen aber die Erdbeben?
Perché so di non esistere e di essere
la commemorazione, il puro suono
che corre di bocca in bocca, ovvero
di brocca in brocca, suono dietro suono,
lampo contro lampo.
Parché eóra vién i teremoti?
Limaza jahsalù lizàlica alzalàzel?
Why do therefore earthquakes happen?
Iatì lipòn sinvènun i sismì?
Pourquoi arrivent’ils les tremblements de terre?
Perché i vién alora i teremoti?
Warum kommen? Warum kommen?
Warum kommen allora?
Allora perché vengono?
2 “Perché vengono allora i terremoti?” (Quest’ultima frase, con procedimento tipico dell’arte di Isgrò, è ripetuta in diverse lingue, con effetto di ripetizione e accumulo,
ma anche di parziale cancellazione: nella babele linguistica ricreata da Isgrò ogni lingua – russo, tedesco, inglese, greco, francese, spagnolo, cinese e così via – si somma
a quella precedente e la annulla).
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EMILIO ISGRÒ
Allora perché scavano?
Perché i végnen alúa i terremoti?
E alura com’è che spàmpano i terremòz?
Dlaczego wièc mamy trzesièmia zièmi?
Por qué se producen entonces los temblores de tierra?
Uèi shmò huèi iòu ti tsen?
Perché? Perché? Perché?
Perché cadono tanti accenti
e tanti orrori
di stampa e di stampàggine
in questo manuale turistico
per martiri e morituri?
Perché? Perché?
Perché, mio povero Belzebù,
sacramentato e lacero?
Perché cade la vanga?
Perché scivola il gatto?
Perché cadono i muri?
Terza risposta
Ma io ti dico che non posso
cedere al tuo lutto. Perché se cedo
mi si blocca il petto e tutto
l’apparato digerente. Raccomando
lavaggio intestinale. Perché se crollo
resta nel mio cuore
un fuoco ansioso che mi spinge a vivere
ora che il mondo muore. Perché se cado
e vacillo
rifugge la mia testa
dalle cose concrete, dai torti universali.
Universalità della mano di ferro
in guanto di velluto. Felicità
del mio ginocchio che si piega,
prosperità di un occhio muto, trafitto dalla luce
della verità.
Invulnerabilità di picciotti e lestofanti
sorpresi dalle piogge dietro l’angolo,
senza ombrello, colti sopra il fatto e incaprettati
DRAMMATURGIE TEATRALI
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da san Michele Arcangelo e sant’Antonio.
Questo è il primo elenco di complotti e crimini,
l’altro te lo risparmio vivaddio.
Ma se poi t’incapricci e vai verso Palermo,
non Siracusa, accura3,
allora troverai la scusa e non vedrai
che gelsomini e giaurrìne4 e ceci
e l’acre acetilene sotto il monte
e la roulette che scatta al nove
e sanguinacci e cotiche festive
e banderuole.
Questo è il secondo elenco
che non ti risparmio.
Potrei continuare. Non lo faccio
per i tuoi cugini che so tutti implicati.
Evito, sorvolo e timbro. Il tempo
si rimette bene. Il vino è straordinario.
Implorami, dimmi, chiamami
Ginevra del Martirio.
Intermezzo
In questo primo libro
ultimo terzultimo
o penultimo a tua scelta
su carta protocollo
e marchi di giustizia
si legge e si conferma:
«Se queste pietre sono
dell’oceano o della valle».
In questo secondo libro
ultimo o quartultimo
o penultimo non so
il filo non si perde:
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“attenzione”
“giaurrìne” (Dolci di miele tipici della festa patronale di san Sebastiano a Barcellona di Sicilia, patria di Isgrò).
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EMILIO ISGRÒ
«Sei mascalzone, ladro,
farabutto e baro. Ma non sei
peggio degli altri:
te l’assicuro».
In questo terzo libro
ultimo o quintultimo
o penultimo nell’ombra
si scoprono tre righe:
«Io penitente progettai l’armadio
tra paradisi e sismi
sotto le finestre».
In questo libro quarto
ultimo o sestultimo
o penultimo sotto il vetro
si rafforza il concetto:
«Io resistente progettavo il letto
tra assestamenti e crolli
sotto le campane».
In questo libro quinto
ultimo o penultimo
sotto la mia mano
la prova è più sicura:
«Se appartengono a una cosca generale
ovvero a una foglia particolare
eminentissima e rapace».
In questo libro sesto
fu scritto e si rintraccia
quanto segue:
«Ma queste mule bianche
vanno alle case di Gaetano
dove scorre l’acqua della rocca
e la ricotta».
E questo è il settimo libro
con la quarta domanda che ti elimina
ti schiaccia e ti minaccia:
«Potrò mai creare un furetto
e una mosca, una farfalla
e un nido, un coccodrillo
e un’acca?»
Non importa vedere
per credere
DRAMMATURGIE TEATRALI
come san Tommaso in Emmaus.
Non importa toccare con mano
la matita
la casa il castello.
Sono io la tua guida.
Guarda anche da lontano
se non hai guardato entrando.
Importa intendersi, capire, percepire.
Se ti dico che sono
vittima di intrighi e imbrogli
credimi e procedi nel tuo giro.
Io che sono incinta
vivo in una notte
tutte le tragedie
che furono
che sono e che saranno.
Ammazzo, soffoco e mi purgo.
Spùrgati anche tu senza sapere
quanti anni ho
e quando morirò.
Libro quarto
Là nella conca sotto le montagne
dove ritorno dopo
la spaventosa cena
con un lume a petrolio e una lumera.
Là sul garofano appassito dove
costruisce la formicola il suo nido
tra le fosse e i sassi, tra le luci e l’acqua.
Là sotto le mura grandi a perpendicolo.
Là non accade più nulla. Là non mi succede niente.
Se non il pompiere ridicolo
nella sua divisa fradicia, infreddolito
e senza gli stivali, che mi guarda e conferma:
«Tutti emigrati, tutti là in Germania,
tutti sulle ali».
Bel paese la Germania con tante ossa
da nutrire e tanti angeli da sfamare
e san Pietro con il mazzo delle chiavi
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EMILIO ISGRÒ
(ma non c’è quella di casa mia)
e san Calògiru e santu Vituzzu
e santa Maria
e le Madonne del Rosario castigate e belle
e le Vergini tutte bianche e nere
con il Corpus Domini che esce a giugno
quando queste nevi a raffica
saranno sciolte, liquefatte al sole.
Io non vi chiedo, angeli del cielo,
di ridarmela come era,
ma se c’è una faccia che gli assomiglia
a questo mondo. Confidatemi nel sonno
dove ha nascosto gli orecchini
in quale cassetto
e se mangia e si lava e gioca con il pongo.
Quarta risposta
Emesso dalla luce,
intermittente, intermittente,
dalle tenebre è sommerso.
Riemerso come un sommergibile.
Scommesso che non scrivo a mia madre.
È una delle ultime donne che non sanno leggere.
O legge appena.
Garantito, collega.
L’anno prossimo a Pechino.
O a Gerusalemme: il che fa lo stesso.
E tu, Gerusalemme, udrai la voce
cavernosa e nasale, sentirai
battere un’ala
là sulla croce.
Tutti mi hanno tradita e io
tradisco tutti
perché infiniti lutti
m’hanno atterrata.
Io sono abbandonata da mio padre.
Abbandonatamente.
Ma con prudenza. Ardentemente.
L’ultimo uomo che amavo
DRAMMATURGIE TEATRALI
era di altre donne
ma annusava le rose
che io gli donavo. Io gli porgevo
il mondo, l’universo, un pacco.
Lui mi dava scacco
perché non voleva amare.
O non sapeva: il che fa lo stesso.
Dicono sempre così, così
cantano e parlano
gli uomini spaventati.
Io ne ho perdute di battaglie,
tante e tante, mille e mille,
ma vincerò la guerra.
Ex compagno in doppiopetto blu,
fiore del supercarcere e degli scoli,
da te mi aspettavo un bacio,
nient’altro che un garofano, una briglia
sciolta sopra il collo. Ma tu sei figlio
della meschina Rivoluzione borghese
e non dai nulla, nulla alla tua compagna,
se escludo le pretese
che mi cacciano in una fogna
di fame e di sete.
Non c’è fuoco
nelle notti che Dio mi concede.
Quando mi farai con te dormire?
È un anno che te lo chiede
il mio cuore sgomento, è un anno
che la mia mano accarezza la tua pelle,
gelida come ghiaccio sintetico.
O la tua anima: e questo non è lo stesso.
Tutto fa lo stesso
perché non c’è più differenza nell’universo.
Emerso dai venti o dalle nebulose
muto rimane per l’eternità, per un minuto…
Ma senza nome.
Come una farfalla o come
il come che non ha confini e tocca
dove chi tocca muore.
Sono finite le guerre
lungamente preparate. I giovani vanno al fronte
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EMILIO ISGRÒ
nelle cantine, nelle bottiglie come
velieri, nel sacco a pelo.
La clandestinità del sacco a pelo è la più bella.
Si bucano. Si spinellano
anche nell’Italia che si sveglia.
Si irrigidiscono e tremano.
Si attengono. Ottengono. Impazziscono.
Risultano immacolati.
Ineleggibile figlio,
io t’ho aspettato un anno, sperando
che tu venissi sopra le acque
o sotto le maree, verso la luna grigia
che paventa i maiali rosei negli stabbi,
tra la notte dei cieli
e l’orrore intemerato delle terre emerse.
Emerse non sono le prove
che tu mi promettevi: mai più saremo
uguali, mai più saremo gelidi
tra i molti figli che non hanno nome
sulla terra che vuole essere bruciata, ma non sa come.
Libro quinto
Cu cridirìa5 che sotto le spoglie di un bovaro
può nascondersi un cuore che brucia
e sotto il camice dell’infermiere
un drago, il dente che consuma.
L’altra notte era mio cognato
che rideva sgangherato nella serra
vomitando tra la Russia e le Polonie.
Oggi ho visto una rana ma cos’è una rana?
Quanta volgarità al mondo,
quanta nequizia. E già balena
altra empietà, altra mestizia. C’era
una volta un fiore, c’era una volta un re,
una città, una busta.
5
“Chi crederebbe”
DRAMMATURGIE TEATRALI
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Dicono che dormo. Sarà vero?
Sarà vero che sei tu
l’uomo rispettabile
e rispettato che mi porta
alla stazione spastica di Salemi, alla pianura calda
dove si fermano e sciamano tutti i treni?
È vero che l’inverno anche da queste parti
lascia uno scampo, e c’è quando piove
e c’è quando non piove, e c’è chi fa il pane
in casa e chi lo prende al forno,
e uno accende il fuoco e l’altro glielo spegne.
Anche i nostri tempi, anche i nostri campi
sono conflittuali in paradiso e in terra.
Io non decido niente. E tu neppure.
Dio Nostro Signore
crea questo topo
oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue6.
Quinta risposta
Chiamami Francesca, chiamami
Beatrice del Martirio.
Sono Gibella la più pura stella,
sono Gibella rimasta zitella.
E nell’inferno turbinante e vario
del dopoterremoto, tra lusinghe e spinte
di questi anni sanguinosi e celeri,
scorgo dietro una porta
un uomo tramutato in water che si lagna
al suon dello sciacquone e canta:
«Soffrivo d’una sordità leggera
poco prima dell’attacco alla Polonia,
come un intontimento, un’emicrania,
ma non lo confidai agli uomini
portando nella tomba il mio segreto.
Una vanità minuscola, se vuoi,
6 Il quattordici gennaio, si ricorda, è la data del terremoto del 1968 (si veda sopra
la Nota ai testi, p. 55).
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EMILIO ISGRÒ
appena un neo in tanta perfezione,
ma chi non ha, chi non ha qualche difetto?
Sono Hitler, il nonno, e qui t’aspetto».
Aspettami, bambino, aspettami
tra Archimede e tutte le sue leve
di comando ancora intatte. Non so
se t’hanno sistemato in paradiso o altrove
ma conosco le ragioni del tuo cuore,
non ignoro il travaglio d’una vita,
rispetto la tua delicatezza d’animo,
il tuo nobile sentire
e tutto ciò che solo noi sappiamo
in mezzo a queste fiamme. Ma tu non ti scordare
che io ti cercai gran tempo
per terre e mari, continenti e selve
e ora che il gran giorno è qui
– dietro la porta –
io mi smarrisco e tremo
come una bambina che non ha dai vivi
la bolla necessaria
e il senso della gloria.
Con questa leva ti sollevo il mondo:
non posso sollevarti dalla morte.
Io Gibella del Martirio
mi assumo tutto il peso
e passo senza remore.
Perché la differenza è minima, oramai,
tra paradiso e inferno: da una parte
l’aria condizionata, dall’altra le finestre aperte.
Libro sesto
Questa è la mia giberna, il mio piè
incatenato alle catene lente.
Lente che sul mio occhio
sei scaduta di grado in grado
fino a farmi cieca. Occhio
di Polifemo
che mi insegui da tutte le Sicilie:
senza amore io spero, senza greggi,
DRAMMATURGIE TEATRALI
senza le mie pecore. E quando è notte,
notte nel mio petto, buio nel mio letto,
io rido alla pudica ortensia, alla tenda
che la sciroccata gonfia sulla piazza,
a quest’ultima cena, a questa scena
candida nel bosco.
Scelleratamente il giorno passa
della pratica inevasa e dello strazio.
Questa è la mia lepre caduta in un laccio.
Questa è. Questa è.
Questa. Questa dovrebbe essere.
E se tutti i salumieri della terra
potessero affettare
due o tre fette delle nostre carni
e dei nostri salumi
nessuno resterebbe con la fame al mondo
e senza lumi.
Tu sei alla finestra, lume della casa,
luce del ricordo, spirale
della pace che non resisti al freddo.
E intanto tace
la bocca invasa, spalancata, l’occhio
con le febbri ma lucido di vita.
No, non può essere.
Dico che non può essere. Nell’eterno
andare delle stelle morte
c’è una stella turbata, anzi sconcertata,
una stellina torbida,
anzi tre o quattro, non le conto più.
Più non li sento quattrocento
siciliani asmatici affannati
storti che non dico storti
ma stortissimi e capillari.
Sesta risposta
Sei assassino, mentitore, furbo
e delatore. Ma non sei
peggio degli altri: te l’assicuro.
Ti sia di conforto, angelo mio.
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EMILIO ISGRÒ
Ti sia di conforto
rendere almeno qualche sputo,
‘na ntìcchia di disprezzu7,
la mano santissima di Dio
sulla guancia altrui. Solo
nell’ingiustizia cerca
la tua giustizia. Trova il tuo bene
dove sono pianti, patimenti e pene.
Scassa, scanna e scappa.
Scatena, scampa e scaraventa.
Per mandare a morte non ci vuole molto.
Io ti dirò, mio caro, quello che già sai.
Nessuno mi potrà ridare
il sonno che mi è stato tolto
né tanto meno l’amore ingannato.
Per questo sono acida e maligna
e fiera delle mie sventure; e faccio
della disperazione un vanto,
della fame una storia,
della sconfitta un gioco, una scintilla.
Tu non sai leggere e scrivere
ma la tua millanteria
arriva in alto, dove si decidono
le sorti generali. Tu spernacchi e sputi
e una tale espressione di consenso ci commuove.
Tu vomiti e il tuo vomito redime
la gastronomia cinese. Àlteri
registri e conti e subito si parla
di nuova matematica
e calcolo divino.
Tu non sai resistere e vedere
e le tue miserabili visioni
di buffon, padrone e servo
scuotono la Francia morta e Pompidou defunto,
fino alle coste d’Italia
e agli ultimi relitti kennediani
che balbettano e ciabattano in solitudine –
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“un poco di disprezzo”
DRAMMATURGIE TEATRALI
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sempre più vicini al sonno, sempre
più vicini alla vecchiaia
ma ancora non lo sanno, dopo
che la loro giovinezza fu stroncata
tra aiuole e corridoi, sotto le pallottole
di giugno e di novembre.
Nessuno ti ha chiamato, nessuno
ti ha fornito il passaporto
e la barca.
Tu non sei la banca
del sangue. Tu non sei
meno responsabile di chi ti manda.
Libro settimo
E ora caminamu, caminamu, caminamu.
Palammu, polema, parunna, meskasè8.
Questa è la barca che ti prende viva
e ti porta defunta all’altra riva.
Venexia! Venexia!
Venexia cognata di tutti i re!
Sì, la mi putela!9
Venexia e tutto l’universo!
El universo todo
collabora e congiura
per fare de Gibela
de drito o de traverso
una sola figura10.
Fisica o metafisica?
Prognosi o diagnosi,
miei principi e principini?
Aristotele o san Tommaso?
Platone travestito da Sofocle
8
“E ora camminiamo, camminiamo, camminiamo.” (Il verso seguente mescola suoni d’invenzione siciliani, arabi, greci).
9 “Sì, la mia figliola!”
10 “L’universo intero / collabora e congiura / per fare di Gibella / di dritto e di traverso / una sola figura”.
112
EMILIO ISGRÒ
o Giotto spaventato da Cimabue?
Dio Nostro Signore
crea questo filosofo
oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue.
Settima risposta
Non sono venuta a leggere questi fogli.
Sono venuta ad ascoltare il guscio della noce,
il vuoto che segue
a una catastrofe innaturale,
all’inchiostro versato, ai figli
abbandonati e spogli, pellegrini e rari.
Bèlice o Belìce non importa: metti pure
l’accento dove puoi. La lirica intenzione
è degenerata in furia. La squisitezza
delle forme è morte
come disse quell’incerto agrigentino o trapanese
e oggi ripetono le torme degli uccelli
nelle nostre valli, le mosche
e le galline nei pollai, ragni e vermi,
aruspici e liberti, sentimenti e venti.
Dicono che canto e mi macello cauta
sotto le statue e sopra questi tomi.
Affermano che non sempre afferro
il respiro delle cose, l’affanno degli oggetti
destinati a sopravvivermi, il canto
delle Americhe. Ma dove sta Vienna?
Dov’è Bruxelles? Dove corrono i tedeschi?
Dove vanno i francesi
e gli spagnoli e gli albanesi e i greci?
Perché vogliono distruggere
col silenzio delle voci e delle menti
ciò che la guerra
non poté distruggere?
Io non decido nulla: né la morte né la salute.
Dio Nostro Signore
crea questa culla
oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue.
DRAMMATURGIE TEATRALI
Libro ottavo (senza risposta)
Sempre ti rivedrò, fantasma benigno,
in un lettuccio d’ospedale italiano,
dove il primario bambino, balbuziente e molle,
non venne a visitarti mai prima di gennaio,
sotto Natale o verso Capodanno,
tra una clinica privata
e una pubblica disdetta,
o Elisa languida, Elisa sbarruàta11
manchevole di tutto!
E tu, che cerchi la perfezione alata,
potrai dirti perfetto
se poi ti spiegheranno
che tra un’ameba e un cancro
non c’è troppa distanza
e che persino un taglio alla mano
– ovvero un raglio d’asino –
non è meno esiziale
di quanto non lo sia, di solito,
un vaso sulla testa
o uno sparo che penetra nel cuore
ed esce dal costato?
Oggi sentito prima volta
parola psicanalisi
scandagliata da eclisse lunare.
Cos’è psicanalisi?
Cos’è la luna?
Cos’è la cruna intoppata
delle nostre scienze e dei nostri bollori?
E se una madre moribonda e sola
ti supplica: «Denunzia questi medici
perché non sanno quel che fanno
e quello che faranno»
tu che fai?
Come ti muoverai?
Rileggi in queste pagine
11
“terrorizzata”
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EMILIO ISGRÒ
la vanità d’ogni risposta e di te stesso,
tu che speravi in uno scontro o in un processo,
in un memoriale che s’incrocia
con lettere, arrivederci e addii.
Io non sono Francesca, non sono
Ludovico, Gaspare
o Baldassarre detto il Barbagianni.
Sono un povero libro
che presto bruceranno.
Epilogo e girotondo
BAMBINA
Oggi sono andata al mare
nel mare c’era un pesce
un pesce rosso e blu
ma chi creò quel pesce
non eri forse tu?
CORO
Giro girotondo
libro come labbro
labbro come ebbro
ebbro come febbre
febbre come fabbro
scappa maniscalco
stallo come stella
stella come stele
stele come stile
ho toccato il fondo
fondo era salato
sono risalito
tu non eri su
tu non eri giù
tu non eri qui
tu non eri lì
dove eri tu?
Indice
Linguaggi federati di Emilio Isgrò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p.
5
Classico suo malgrado di Martina Treu . . . . . . . . . . . . . . . .
Emilio Isgrò: scrittore (e cancellatore) di teatro . . . . . . . . . . . .
Gibellina, città-teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Una, nessuna, centomila Orestee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
»
»
»
9
9
19
26
«La Sicilia è diventata un palcoscenico perenne e senza
scampo» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La «tragedia della ragione» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Drammaturgie parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
»
»
36
43
49
Nota ai testi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
55
Ritratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
85
Criteri di edizione di Laura Cammarosano . . . . . . . . . . . . .
»
87
Gibella del Martirio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
93
San Rocco legge la lista dei miracoli e degli orrori . . . . . . .
» 115
L’Orestea di Gibellina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I. Agamènnuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
II. I Cuèfuri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
III. Villa Eumènidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
»
»
»
Il frutto senza nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 347
Didone Adonàis Dòmine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 358
PARTE I. DRAMMATURGIE TEATRALI. TUTTI I TESTI PER LA SCENA
158
158
222
304
626
INDICE
Giovanna d’Arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
p. 396
Medea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 435
Odissea cancellata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 495
Due di Spade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 524
Disobbedisco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 526
PARTE II. DRAMMATURGIE PARALLELE. Selezione di scritti
critico-teorici
Lettera a Ludovico Corrao sindaco di Gibellina . . . . . . . . . .
Il siciliano di Brooklyn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tragedia rusticana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Grande Meridione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lo scacco di Segesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Infinito presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ritorno alla parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La questione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Colpi di scena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Lingua travestita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Per Valéry . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Fo e la vespa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Malumori beckettiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Orfani di Pirandello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La distrazione teatrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Cancellazione di Eschilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Introduzione a Gibellina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Stimoli e tradimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Antidoto e contrappunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La quarta caravella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Voci di donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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POSTFAZIONE
Parole come cicatrici senza ferita. L’avventuroso
teatro di Emilio Isgrò di Dario Tomasello . . . . . . . . . . . .
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