Emilio Isgrò L’Orestea di Gibellina e gli altri testi per il teatro a cura di Martina Treu postfazione di Dario Tomasello con la collaborazione di Laura Cammarosano Le Lettere Gibella del Martirio Sette libri e un girotondo per Francesca Benedetti Prologo Ma com’è? Com’è il ricercato? Il ricercato è di profilo basso, greco e di gracile aspetto. Buonanotte Giulio Cesare, buonanotte Pompeo, buonanotte mammina. Io quell’inverno del Sessantotto battevo i denti per il freddo. Buonanotte Mussolini, buonanotte nonna. Ragazza georgiana volevo coltivare i fiori e preparare il brodo per il babbo raffreddato e per la mamma cieca. Ma incontrai quel Beria che decise il mio destino. Ma com’è? Com’è il condannato? Il condannato è grasso, viscido e pende dalla forca. Addio Partanna, buonanotte Erice, buongiorno zietta. Io nell’estate del Quarantaquattro 94 EMILIO ISGRÒ sudavo per il caldo mentre bombardavano il nostro seminario. Buonanotte Anna, buonanotte suora. Ragazza di Catania volevo attraversare il mare prima che la terra si svegliasse ballerina. Ma incontrai Nicola figlio di Atenione che decise la mia sorte. Ma com’è? Com’è il macellaio? Il macellaio è magro, nano, pallido di morte. Nessuno può sapere cosa c’è nella sua testa mentre spira. Nessuno può predire cosa ne sarà del suo futuro. È calvo, indifferente e duro come un lanciamissili che sbuca in paradiso scansando il purgatorio. Buonanotte Calogero, buongiorno zio. Ragazza siracusana con sangue messinese di quello che non sgarra volevo segnalarti il giorno e il mese del mio ritorno e della mia partita. Ma incontrai Sarina figlia di Mariano che decise la mia vita. Libro primo Sono venuta a leggere questo piombo. A domandarti, o piombo, se con te finisce, DRAMMATURGIE TEATRALI se da te incomincia. Spagna o frangia non basta che se magna. Voglio una casa, un chicco, una gallina, una perla per la notte di gennaio. Dormo poco la notte perché più non spero che mi porterai domani quello che mi merito. Ti promisi amore, gratitudine: oggi sbatto la campana sull’incudine e la testa. Mai sappia la sinistra quel che fa la destra al centro del mio centro. Mai sappia l’estate quel che fa l’inverno al monte: nessuna stella conosce il cammino, le impronte delle altre stelle. Fosse il mio nome Solitudine o Gibella nell’afflizione eterna io cercherei nel fondo della morte e nel suo buco pace per questo figlio (meschino, meschino…) e queste nuore a lutto. Vi chiamerò, povere sorelle di clausura e nuore, prima che si fermi il mondo: e voi prendete le giacche e le giacchette, i gomitoli e gli aghi e il punto a giorno: e non dimenticate i miei occhiali ché più non ci vedo in questa valle. Prima risposta Ma io voglio fondare un’associazione segreta, una setta mondana che mi sollevi da questa mia miseria, metà confraternita, metà infernale, laicista un terzo, senza ghiaccio, sanfedista e libertaria. Voglio fondare un foglio dove leggere al mattino l’opinione che democrazia e amore, dapprima disarmonici e indistinti, risultano alla fine transitori e labirintici e soprattutto 95 96 EMILIO ISGRÒ già si sa quello che saranno. Ti chiedo comprensione. Io non ti giudico. Tu non mi giudicare. Tu non ci badare se nei pomeriggi d’estate sogno Stalin e la sua bocca ardente sulla mia. Avverto sempre più il bisogno di una repressione aristocratica e illuminata e non importa il segno purché sia disumana ma culturalmente ineccepibile. Certe volte nei tramonti accesi quando sale in gloria la nuvolaglia rosa, sotto, molto sotto, in basso, molto in basso, quasi laggiù, io sento risvegliarsi la voglia che mi mangia. Io nervosissima e questuante, braccata tra la città e la villa, divisa da settecento amori. Tutto questo è serio e non è serio. Chiamami Maria del Martirio. Chiamami! Chiamami! Chiamatemi! Rispondetemi! Io vi dichiaro guerra superpotenze nucleari e insetti evacuanti tra pinacoteche e libri sulle ceneri di un sole che tramonta. Mi oppongo alle vostre parole ma accolgo le vostre pretese che chiedono il silenzio ai miei compatrioti. Sono pronta a ridiscutere tutti i trattati. La sola arma che scoppia è una retorica ottocentesca. La sola tecnologia che conta è la parola maestosa e nuda dello schiavo che si alza all’alba tra l’uno e l’altro oceano. DRAMMATURGIE TEATRALI Vi concedo tre giorni di tempo per riflettere. Questo è l’ultimatum. Dopo, ordino il fuoco. Libro secondo Sono venuta a leggere questo legno. È una sera come tante e lei – la mia bambina dispettosa – prega i santi e gli dèi della gioventù che passa e non perdona. Sento dal convento, presso cento rughe, l’orologio che prima del gallo canta il suo chicchirichì d’inferno. Leggo in questo libro che sei tu il mio padrone, così fiero, così lento, così incredibilmente svelto. Trovo in queste carte senza segno che presto sarai tu la mia signora. Io sono la tua monaca e la cuoca: quella che sa tirare i maccarruni e cuoce l’agglassato senza un filo d’acqua. Misteri della vita. A me dunàtimi stasira1 le sarde, un rotolo di pasta, un chilo… Ché già passò la fame in queste plaghe e la pellagra e la malaria e il tifo e le novene stellari, le gatte che imperversano dietro l’universo del giudizio. Posso diventare cieca o vivere da sorda dentro un ospedale aperto come il mare: con questa piccola borsa al petto e pochi spiccioli e qualche grammo di grano. Da questo libro può volare una colomba o un cane. 1 “datemi stasera” 97 98 EMILIO ISGRÒ Seconda risposta A meno che tu non voglia chiamarmi Angelica: nel quale caso ti concedo tutto, anche la mia squadra, anche la mia mano. Io sono Rosa che ama le stragi e i casolari impennacchiati a festa. Dei tre figli che avevo uno è finito prete, l’altro detenuto. (E il terzo non è mai nato!) Rispetto i carabinieri ma non li amo, specie se fanno i giovanotti e sono infreddoliti. Piuttosto li sostengo moderatamente. Anzi li respingo con decisione. Dolorosa necessità, la pace, anzi funesta. Mi astengo. Verrò alla finestra, ti darò l’addio, ti comanderò di metterti il cappotto pesante e la scarpetta di vitello, quella con la tomaia appena inzaccherata e frusta, tanto che si può dire nuova, tanto che si può dire tosta. Sono tutti pallidi e sbottonati, sbrachettati e pingui, carichi di anelli e di lanterne. È l’ottantadue o il millenovecentodieci quando s’aspettava la cometa di Halley con tutto il suo veleno. E nella notte fonda vellutata delle canarie soffici e stremate noi tutti cerchiamo una pietra, meglio una pietrina, forse una pietruzza, grande e sostenuta come un masso. È il millenovecentotrentanove. Corro e cammino dentro le mie scarpe che si sono dislabbrate. Sigaretta, prego, anche un mozzicone. Ho l’età di mio padre e di mia madre. Vivo nella società perché non ho una casa. DRAMMATURGIE TEATRALI 99 Libro terzo Picchì vennu allura li tirrimoti? Picchì vènunu? Picchì vènunu? Tögda pöcèmd slucàjutsja zemljatresènija?2 Dico Campania, Basilicata, Irpinia per non dire Brina, per non dire Napoli e Virginia, Potenza e Nunziatina nelle albe che verranno, Vincenzo e Gennariello, Prudenza e Pruvidenza, Petru e Natu nelle aurore torride di questo inverno. Viaggerò altrove, supplicherò ai vivi il mio ceppo e la scure, il cespo e l’idrante. Non qui, non qui, non in questo marcire, tra legami e slegamenti familiari. Warum kommen aber die Erdbeben? Perché so di non esistere e di essere la commemorazione, il puro suono che corre di bocca in bocca, ovvero di brocca in brocca, suono dietro suono, lampo contro lampo. Parché eóra vién i teremoti? Limaza jahsalù lizàlica alzalàzel? Why do therefore earthquakes happen? Iatì lipòn sinvènun i sismì? Pourquoi arrivent’ils les tremblements de terre? Perché i vién alora i teremoti? Warum kommen? Warum kommen? Warum kommen allora? Allora perché vengono? 2 “Perché vengono allora i terremoti?” (Quest’ultima frase, con procedimento tipico dell’arte di Isgrò, è ripetuta in diverse lingue, con effetto di ripetizione e accumulo, ma anche di parziale cancellazione: nella babele linguistica ricreata da Isgrò ogni lingua – russo, tedesco, inglese, greco, francese, spagnolo, cinese e così via – si somma a quella precedente e la annulla). 100 EMILIO ISGRÒ Allora perché scavano? Perché i végnen alúa i terremoti? E alura com’è che spàmpano i terremòz? Dlaczego wièc mamy trzesièmia zièmi? Por qué se producen entonces los temblores de tierra? Uèi shmò huèi iòu ti tsen? Perché? Perché? Perché? Perché cadono tanti accenti e tanti orrori di stampa e di stampàggine in questo manuale turistico per martiri e morituri? Perché? Perché? Perché, mio povero Belzebù, sacramentato e lacero? Perché cade la vanga? Perché scivola il gatto? Perché cadono i muri? Terza risposta Ma io ti dico che non posso cedere al tuo lutto. Perché se cedo mi si blocca il petto e tutto l’apparato digerente. Raccomando lavaggio intestinale. Perché se crollo resta nel mio cuore un fuoco ansioso che mi spinge a vivere ora che il mondo muore. Perché se cado e vacillo rifugge la mia testa dalle cose concrete, dai torti universali. Universalità della mano di ferro in guanto di velluto. Felicità del mio ginocchio che si piega, prosperità di un occhio muto, trafitto dalla luce della verità. Invulnerabilità di picciotti e lestofanti sorpresi dalle piogge dietro l’angolo, senza ombrello, colti sopra il fatto e incaprettati DRAMMATURGIE TEATRALI 101 da san Michele Arcangelo e sant’Antonio. Questo è il primo elenco di complotti e crimini, l’altro te lo risparmio vivaddio. Ma se poi t’incapricci e vai verso Palermo, non Siracusa, accura3, allora troverai la scusa e non vedrai che gelsomini e giaurrìne4 e ceci e l’acre acetilene sotto il monte e la roulette che scatta al nove e sanguinacci e cotiche festive e banderuole. Questo è il secondo elenco che non ti risparmio. Potrei continuare. Non lo faccio per i tuoi cugini che so tutti implicati. Evito, sorvolo e timbro. Il tempo si rimette bene. Il vino è straordinario. Implorami, dimmi, chiamami Ginevra del Martirio. Intermezzo In questo primo libro ultimo terzultimo o penultimo a tua scelta su carta protocollo e marchi di giustizia si legge e si conferma: «Se queste pietre sono dell’oceano o della valle». In questo secondo libro ultimo o quartultimo o penultimo non so il filo non si perde: 3 “attenzione” “giaurrìne” (Dolci di miele tipici della festa patronale di san Sebastiano a Barcellona di Sicilia, patria di Isgrò). 4 102 EMILIO ISGRÒ «Sei mascalzone, ladro, farabutto e baro. Ma non sei peggio degli altri: te l’assicuro». In questo terzo libro ultimo o quintultimo o penultimo nell’ombra si scoprono tre righe: «Io penitente progettai l’armadio tra paradisi e sismi sotto le finestre». In questo libro quarto ultimo o sestultimo o penultimo sotto il vetro si rafforza il concetto: «Io resistente progettavo il letto tra assestamenti e crolli sotto le campane». In questo libro quinto ultimo o penultimo sotto la mia mano la prova è più sicura: «Se appartengono a una cosca generale ovvero a una foglia particolare eminentissima e rapace». In questo libro sesto fu scritto e si rintraccia quanto segue: «Ma queste mule bianche vanno alle case di Gaetano dove scorre l’acqua della rocca e la ricotta». E questo è il settimo libro con la quarta domanda che ti elimina ti schiaccia e ti minaccia: «Potrò mai creare un furetto e una mosca, una farfalla e un nido, un coccodrillo e un’acca?» Non importa vedere per credere DRAMMATURGIE TEATRALI come san Tommaso in Emmaus. Non importa toccare con mano la matita la casa il castello. Sono io la tua guida. Guarda anche da lontano se non hai guardato entrando. Importa intendersi, capire, percepire. Se ti dico che sono vittima di intrighi e imbrogli credimi e procedi nel tuo giro. Io che sono incinta vivo in una notte tutte le tragedie che furono che sono e che saranno. Ammazzo, soffoco e mi purgo. Spùrgati anche tu senza sapere quanti anni ho e quando morirò. Libro quarto Là nella conca sotto le montagne dove ritorno dopo la spaventosa cena con un lume a petrolio e una lumera. Là sul garofano appassito dove costruisce la formicola il suo nido tra le fosse e i sassi, tra le luci e l’acqua. Là sotto le mura grandi a perpendicolo. Là non accade più nulla. Là non mi succede niente. Se non il pompiere ridicolo nella sua divisa fradicia, infreddolito e senza gli stivali, che mi guarda e conferma: «Tutti emigrati, tutti là in Germania, tutti sulle ali». Bel paese la Germania con tante ossa da nutrire e tanti angeli da sfamare e san Pietro con il mazzo delle chiavi 103 104 EMILIO ISGRÒ (ma non c’è quella di casa mia) e san Calògiru e santu Vituzzu e santa Maria e le Madonne del Rosario castigate e belle e le Vergini tutte bianche e nere con il Corpus Domini che esce a giugno quando queste nevi a raffica saranno sciolte, liquefatte al sole. Io non vi chiedo, angeli del cielo, di ridarmela come era, ma se c’è una faccia che gli assomiglia a questo mondo. Confidatemi nel sonno dove ha nascosto gli orecchini in quale cassetto e se mangia e si lava e gioca con il pongo. Quarta risposta Emesso dalla luce, intermittente, intermittente, dalle tenebre è sommerso. Riemerso come un sommergibile. Scommesso che non scrivo a mia madre. È una delle ultime donne che non sanno leggere. O legge appena. Garantito, collega. L’anno prossimo a Pechino. O a Gerusalemme: il che fa lo stesso. E tu, Gerusalemme, udrai la voce cavernosa e nasale, sentirai battere un’ala là sulla croce. Tutti mi hanno tradita e io tradisco tutti perché infiniti lutti m’hanno atterrata. Io sono abbandonata da mio padre. Abbandonatamente. Ma con prudenza. Ardentemente. L’ultimo uomo che amavo DRAMMATURGIE TEATRALI era di altre donne ma annusava le rose che io gli donavo. Io gli porgevo il mondo, l’universo, un pacco. Lui mi dava scacco perché non voleva amare. O non sapeva: il che fa lo stesso. Dicono sempre così, così cantano e parlano gli uomini spaventati. Io ne ho perdute di battaglie, tante e tante, mille e mille, ma vincerò la guerra. Ex compagno in doppiopetto blu, fiore del supercarcere e degli scoli, da te mi aspettavo un bacio, nient’altro che un garofano, una briglia sciolta sopra il collo. Ma tu sei figlio della meschina Rivoluzione borghese e non dai nulla, nulla alla tua compagna, se escludo le pretese che mi cacciano in una fogna di fame e di sete. Non c’è fuoco nelle notti che Dio mi concede. Quando mi farai con te dormire? È un anno che te lo chiede il mio cuore sgomento, è un anno che la mia mano accarezza la tua pelle, gelida come ghiaccio sintetico. O la tua anima: e questo non è lo stesso. Tutto fa lo stesso perché non c’è più differenza nell’universo. Emerso dai venti o dalle nebulose muto rimane per l’eternità, per un minuto… Ma senza nome. Come una farfalla o come il come che non ha confini e tocca dove chi tocca muore. Sono finite le guerre lungamente preparate. I giovani vanno al fronte 105 106 EMILIO ISGRÒ nelle cantine, nelle bottiglie come velieri, nel sacco a pelo. La clandestinità del sacco a pelo è la più bella. Si bucano. Si spinellano anche nell’Italia che si sveglia. Si irrigidiscono e tremano. Si attengono. Ottengono. Impazziscono. Risultano immacolati. Ineleggibile figlio, io t’ho aspettato un anno, sperando che tu venissi sopra le acque o sotto le maree, verso la luna grigia che paventa i maiali rosei negli stabbi, tra la notte dei cieli e l’orrore intemerato delle terre emerse. Emerse non sono le prove che tu mi promettevi: mai più saremo uguali, mai più saremo gelidi tra i molti figli che non hanno nome sulla terra che vuole essere bruciata, ma non sa come. Libro quinto Cu cridirìa5 che sotto le spoglie di un bovaro può nascondersi un cuore che brucia e sotto il camice dell’infermiere un drago, il dente che consuma. L’altra notte era mio cognato che rideva sgangherato nella serra vomitando tra la Russia e le Polonie. Oggi ho visto una rana ma cos’è una rana? Quanta volgarità al mondo, quanta nequizia. E già balena altra empietà, altra mestizia. C’era una volta un fiore, c’era una volta un re, una città, una busta. 5 “Chi crederebbe” DRAMMATURGIE TEATRALI 107 Dicono che dormo. Sarà vero? Sarà vero che sei tu l’uomo rispettabile e rispettato che mi porta alla stazione spastica di Salemi, alla pianura calda dove si fermano e sciamano tutti i treni? È vero che l’inverno anche da queste parti lascia uno scampo, e c’è quando piove e c’è quando non piove, e c’è chi fa il pane in casa e chi lo prende al forno, e uno accende il fuoco e l’altro glielo spegne. Anche i nostri tempi, anche i nostri campi sono conflittuali in paradiso e in terra. Io non decido niente. E tu neppure. Dio Nostro Signore crea questo topo oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue6. Quinta risposta Chiamami Francesca, chiamami Beatrice del Martirio. Sono Gibella la più pura stella, sono Gibella rimasta zitella. E nell’inferno turbinante e vario del dopoterremoto, tra lusinghe e spinte di questi anni sanguinosi e celeri, scorgo dietro una porta un uomo tramutato in water che si lagna al suon dello sciacquone e canta: «Soffrivo d’una sordità leggera poco prima dell’attacco alla Polonia, come un intontimento, un’emicrania, ma non lo confidai agli uomini portando nella tomba il mio segreto. Una vanità minuscola, se vuoi, 6 Il quattordici gennaio, si ricorda, è la data del terremoto del 1968 (si veda sopra la Nota ai testi, p. 55). 108 EMILIO ISGRÒ appena un neo in tanta perfezione, ma chi non ha, chi non ha qualche difetto? Sono Hitler, il nonno, e qui t’aspetto». Aspettami, bambino, aspettami tra Archimede e tutte le sue leve di comando ancora intatte. Non so se t’hanno sistemato in paradiso o altrove ma conosco le ragioni del tuo cuore, non ignoro il travaglio d’una vita, rispetto la tua delicatezza d’animo, il tuo nobile sentire e tutto ciò che solo noi sappiamo in mezzo a queste fiamme. Ma tu non ti scordare che io ti cercai gran tempo per terre e mari, continenti e selve e ora che il gran giorno è qui – dietro la porta – io mi smarrisco e tremo come una bambina che non ha dai vivi la bolla necessaria e il senso della gloria. Con questa leva ti sollevo il mondo: non posso sollevarti dalla morte. Io Gibella del Martirio mi assumo tutto il peso e passo senza remore. Perché la differenza è minima, oramai, tra paradiso e inferno: da una parte l’aria condizionata, dall’altra le finestre aperte. Libro sesto Questa è la mia giberna, il mio piè incatenato alle catene lente. Lente che sul mio occhio sei scaduta di grado in grado fino a farmi cieca. Occhio di Polifemo che mi insegui da tutte le Sicilie: senza amore io spero, senza greggi, DRAMMATURGIE TEATRALI senza le mie pecore. E quando è notte, notte nel mio petto, buio nel mio letto, io rido alla pudica ortensia, alla tenda che la sciroccata gonfia sulla piazza, a quest’ultima cena, a questa scena candida nel bosco. Scelleratamente il giorno passa della pratica inevasa e dello strazio. Questa è la mia lepre caduta in un laccio. Questa è. Questa è. Questa. Questa dovrebbe essere. E se tutti i salumieri della terra potessero affettare due o tre fette delle nostre carni e dei nostri salumi nessuno resterebbe con la fame al mondo e senza lumi. Tu sei alla finestra, lume della casa, luce del ricordo, spirale della pace che non resisti al freddo. E intanto tace la bocca invasa, spalancata, l’occhio con le febbri ma lucido di vita. No, non può essere. Dico che non può essere. Nell’eterno andare delle stelle morte c’è una stella turbata, anzi sconcertata, una stellina torbida, anzi tre o quattro, non le conto più. Più non li sento quattrocento siciliani asmatici affannati storti che non dico storti ma stortissimi e capillari. Sesta risposta Sei assassino, mentitore, furbo e delatore. Ma non sei peggio degli altri: te l’assicuro. Ti sia di conforto, angelo mio. 109 110 EMILIO ISGRÒ Ti sia di conforto rendere almeno qualche sputo, ‘na ntìcchia di disprezzu7, la mano santissima di Dio sulla guancia altrui. Solo nell’ingiustizia cerca la tua giustizia. Trova il tuo bene dove sono pianti, patimenti e pene. Scassa, scanna e scappa. Scatena, scampa e scaraventa. Per mandare a morte non ci vuole molto. Io ti dirò, mio caro, quello che già sai. Nessuno mi potrà ridare il sonno che mi è stato tolto né tanto meno l’amore ingannato. Per questo sono acida e maligna e fiera delle mie sventure; e faccio della disperazione un vanto, della fame una storia, della sconfitta un gioco, una scintilla. Tu non sai leggere e scrivere ma la tua millanteria arriva in alto, dove si decidono le sorti generali. Tu spernacchi e sputi e una tale espressione di consenso ci commuove. Tu vomiti e il tuo vomito redime la gastronomia cinese. Àlteri registri e conti e subito si parla di nuova matematica e calcolo divino. Tu non sai resistere e vedere e le tue miserabili visioni di buffon, padrone e servo scuotono la Francia morta e Pompidou defunto, fino alle coste d’Italia e agli ultimi relitti kennediani che balbettano e ciabattano in solitudine – 7 “un poco di disprezzo” DRAMMATURGIE TEATRALI 111 sempre più vicini al sonno, sempre più vicini alla vecchiaia ma ancora non lo sanno, dopo che la loro giovinezza fu stroncata tra aiuole e corridoi, sotto le pallottole di giugno e di novembre. Nessuno ti ha chiamato, nessuno ti ha fornito il passaporto e la barca. Tu non sei la banca del sangue. Tu non sei meno responsabile di chi ti manda. Libro settimo E ora caminamu, caminamu, caminamu. Palammu, polema, parunna, meskasè8. Questa è la barca che ti prende viva e ti porta defunta all’altra riva. Venexia! Venexia! Venexia cognata di tutti i re! Sì, la mi putela!9 Venexia e tutto l’universo! El universo todo collabora e congiura per fare de Gibela de drito o de traverso una sola figura10. Fisica o metafisica? Prognosi o diagnosi, miei principi e principini? Aristotele o san Tommaso? Platone travestito da Sofocle 8 “E ora camminiamo, camminiamo, camminiamo.” (Il verso seguente mescola suoni d’invenzione siciliani, arabi, greci). 9 “Sì, la mia figliola!” 10 “L’universo intero / collabora e congiura / per fare di Gibella / di dritto e di traverso / una sola figura”. 112 EMILIO ISGRÒ o Giotto spaventato da Cimabue? Dio Nostro Signore crea questo filosofo oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue. Settima risposta Non sono venuta a leggere questi fogli. Sono venuta ad ascoltare il guscio della noce, il vuoto che segue a una catastrofe innaturale, all’inchiostro versato, ai figli abbandonati e spogli, pellegrini e rari. Bèlice o Belìce non importa: metti pure l’accento dove puoi. La lirica intenzione è degenerata in furia. La squisitezza delle forme è morte come disse quell’incerto agrigentino o trapanese e oggi ripetono le torme degli uccelli nelle nostre valli, le mosche e le galline nei pollai, ragni e vermi, aruspici e liberti, sentimenti e venti. Dicono che canto e mi macello cauta sotto le statue e sopra questi tomi. Affermano che non sempre afferro il respiro delle cose, l’affanno degli oggetti destinati a sopravvivermi, il canto delle Americhe. Ma dove sta Vienna? Dov’è Bruxelles? Dove corrono i tedeschi? Dove vanno i francesi e gli spagnoli e gli albanesi e i greci? Perché vogliono distruggere col silenzio delle voci e delle menti ciò che la guerra non poté distruggere? Io non decido nulla: né la morte né la salute. Dio Nostro Signore crea questa culla oggi quattordici gennaio millenovecentottantadue. DRAMMATURGIE TEATRALI Libro ottavo (senza risposta) Sempre ti rivedrò, fantasma benigno, in un lettuccio d’ospedale italiano, dove il primario bambino, balbuziente e molle, non venne a visitarti mai prima di gennaio, sotto Natale o verso Capodanno, tra una clinica privata e una pubblica disdetta, o Elisa languida, Elisa sbarruàta11 manchevole di tutto! E tu, che cerchi la perfezione alata, potrai dirti perfetto se poi ti spiegheranno che tra un’ameba e un cancro non c’è troppa distanza e che persino un taglio alla mano – ovvero un raglio d’asino – non è meno esiziale di quanto non lo sia, di solito, un vaso sulla testa o uno sparo che penetra nel cuore ed esce dal costato? Oggi sentito prima volta parola psicanalisi scandagliata da eclisse lunare. Cos’è psicanalisi? Cos’è la luna? Cos’è la cruna intoppata delle nostre scienze e dei nostri bollori? E se una madre moribonda e sola ti supplica: «Denunzia questi medici perché non sanno quel che fanno e quello che faranno» tu che fai? Come ti muoverai? Rileggi in queste pagine 11 “terrorizzata” 113 114 EMILIO ISGRÒ la vanità d’ogni risposta e di te stesso, tu che speravi in uno scontro o in un processo, in un memoriale che s’incrocia con lettere, arrivederci e addii. Io non sono Francesca, non sono Ludovico, Gaspare o Baldassarre detto il Barbagianni. Sono un povero libro che presto bruceranno. Epilogo e girotondo BAMBINA Oggi sono andata al mare nel mare c’era un pesce un pesce rosso e blu ma chi creò quel pesce non eri forse tu? CORO Giro girotondo libro come labbro labbro come ebbro ebbro come febbre febbre come fabbro scappa maniscalco stallo come stella stella come stele stele come stile ho toccato il fondo fondo era salato sono risalito tu non eri su tu non eri giù tu non eri qui tu non eri lì dove eri tu? Indice Linguaggi federati di Emilio Isgrò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 5 Classico suo malgrado di Martina Treu . . . . . . . . . . . . . . . . Emilio Isgrò: scrittore (e cancellatore) di teatro . . . . . . . . . . . . Gibellina, città-teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Una, nessuna, centomila Orestee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » 9 9 19 26 «La Sicilia è diventata un palcoscenico perenne e senza scampo» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La «tragedia della ragione» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Drammaturgie parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » 36 43 49 Nota ai testi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 55 Ritratto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 85 Criteri di edizione di Laura Cammarosano . . . . . . . . . . . . . » 87 Gibella del Martirio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 93 San Rocco legge la lista dei miracoli e degli orrori . . . . . . . » 115 L’Orestea di Gibellina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. Agamènnuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II. I Cuèfuri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . III. Villa Eumènidi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » Il frutto senza nome . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 347 Didone Adonàis Dòmine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 358 PARTE I. DRAMMATURGIE TEATRALI. TUTTI I TESTI PER LA SCENA 158 158 222 304 626 INDICE Giovanna d’Arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. 396 Medea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 435 Odissea cancellata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 495 Due di Spade . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 524 Disobbedisco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 526 PARTE II. DRAMMATURGIE PARALLELE. Selezione di scritti critico-teorici Lettera a Ludovico Corrao sindaco di Gibellina . . . . . . . . . . Il siciliano di Brooklyn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tragedia rusticana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Grande Meridione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lo scacco di Segesta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Infinito presente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ritorno alla parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La questione culturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colpi di scena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lingua travestita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Per Valéry . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fo e la vespa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Malumori beckettiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Orfani di Pirandello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La distrazione teatrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cancellazione di Eschilo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Introduzione a Gibellina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stimoli e tradimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Antidoto e contrappunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La quarta caravella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Voci di donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » » 537 539 541 543 546 549 553 555 557 559 568 570 573 575 577 585 587 598 601 605 608 POSTFAZIONE Parole come cicatrici senza ferita. L’avventuroso teatro di Emilio Isgrò di Dario Tomasello . . . . . . . . . . . . » 611