DIDATTICA E RAPPORTO EDUCATIVO di Irene Collerone

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a cura di Fabio Venezia
Mieac Diocesi di Caltanissetta
DIDATTICA E RAPPORTO EDUCATIVO
di Irene Collerone - psicopedagogista
Anno 05/06 – 09.12.05
Il concetto di didattica si è oggi evoluto e come per tutte le altre branche del sapere esso si evolve a
misura che l’uomo scopre, con l’aiuto di tecniche e metodi sempre più rigorosi e potenti, la spiegazione
del mondo umano e fisico che lo circonda.
Durante il periodo pre-scientifico, invece, la metodologia generale si è essenzialmente fondata sulla
esperienza degli uomini, si è nutrita delle credenze tradizionali e dei costumi pedagogici correnti.
Attraverso la didattica si trasmettevano e si reiteravano modi di fare (per prove ed errori)
empiricamente fondati.
Il primo secolo del terzo millennio vede la didattica abbandonare la mera prassi educativa e farsi
anch’essa scienza con l’apporto e in interconnessione con le altre scienze sociali e della ricerca
sperimentale in educazione (docimologia, psicologia, psicolinguistica, sociologia,medicina…).
La metodologia è divenuta corpo di dottrine che rispetto alla progettazione pedagogica, consente uno
studio autonomo: essa studia la posizione da assegnare alle finalità, agli obiettivi, in funzione dei
processi e delle attività che consentano la realizzazione del progetto pedagogico e il raggiungimento
degli obiettivi stessi.
Costituisce l’organizzazione delle procedure e delle tecniche atte a far raggiungere in modo ottimale gli
scopi prefissati. Oggi si sottolinea l’importanza che il metodo si costruisca in rispondenza alle
caratteristiche del processo di apprendimento dei discenti mettendo in evidenza le interconnesiioni con
i diversi settori della psicologia e delle scienze dell’educazione.
In passato, l’attività didattica si è basata essenzialmente sulla trasmissione di conoscenze consolidate,
poco problematizzate, che non tenevano in gran conto gli interessi, i bisogni, le attitudini e le
motivazioni del soggetto in apprendimento.
Il focus della relazione educativa era centrato sull’insegnamento : il metodo della lezione frontale
supportata dal libro di testo e dallo studio individuale , scandiva i tempi e i modi dell’insegnamento
presupponendo che alla spiegazione corrispondesse una reale attenzione dei discenti e un efficace
apprendimento.
La lezione come strumento determinante nello svolgimento dell’attività didattica a scuola è connessa
all’idea dell’”alunno medio” (si assume l’esistenza di capacità comuni a tutti i membri del gruppo, di
comuni modalità di apprendimento e di comune disponibilità ad apprendere ) e quindi il docente produce
informazioni comuni, uguali per tutti rilevando poi uno scarto notevole tra i risultati dell’apprendimento
e gli sforzi, ingenerando insoddisfazione non solo negli insegnanti (colpiti sempre più dalla sindrome del
burnout), ma anche da parte degli allievi che manifestano noia, irrequietudine, distrazione.
La lezione è un atto unilaterale che mantiene la distanza tra insegnamento e apprendimento.
La pratica della lezione che offre dei vantaggi in alcuni casi, va però superata individuando nuovi
percorsi didattici che creino rapporti diversificati all’interno della classe e portino al superamento
dell’approccio collettivo proprio della lezione per sollecitare risposte attive da parte dei singoli allievi,
scaturenti dall’affrontare problemi effettivi e dalla ricerca di metodi di soluzione e spiegazione.
In una società profondamente mutata in cui sono completamente cambiate le coordinate culturali di
riferimento, non si ritiene bastevole l’acquisizione di informazioni e nozioni, benché necessarie, ma si
ritiene necessario attivare processi di negoziazione di significati consapevole e dinamica che si svolga in
un clima di collaborazione e di partecipazione diffusa.
Per comprendere meglio questa rivoluzione in educazione, per cui il focus di attenzione passa
dall’insegnamento all’apprendimento, si deve far riferimento al mutato scenario culturale, economico e
sociale e al paradigma che lo descrive:il paradigma della complessità.
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La riflessione su tale cambiamento epocale è stata operata dagli organismi soprannazionali, già a partire
dagli anni ’90, in vista del sopraggiungere del terzo millennio, epoca della post-modernità e
dell’affermarsi di un nuovo paradigma di pensiero,il pensiero complesso.
Fattori determinanti degli epocali cambiamenti della società complessa sono stati la globalizzazione dei
mercati; lo sviluppo tecnologico e scientifico; l’informatizzazione della società con tutti i fenomeni,
anche imprevisti e imprevedibili, ad essi correlati; il fenomeno degli imponenti flussi migratori dai paesi
poveri con le conseguenti problematiche interculturali .
Se da un lato il progresso della conoscenza e delle tecniche è stato foriero di fiducia nelle possibilità
umane, dall’altro lato ha messo in evidenza i gravi rischi di sperequazione e di emarginazione sociale ed
economica e l’emergere di nuove e gravi povertà.
Si imponeva quindi una riflessione che portasse ad individuare i nodi cruciali da cui partire per
consentire uno sviluppo sostenibile, sia dal punto di vista economico e ambientale che umano, improntato
al principio di responsabilità (Jonas) nei confronti delle future generazioni.
Nel ’93 Delors, nel suo rapporto per l’UNESCO, individuò nell’”Educazione un tesoro” da capitalizzare e
aggiornare per poter affrontare le sfide imposte dalla società complessa.
Le leve dell’educazione dovevano essere i saperi: il sapere come sedimento delle conoscenze acquisite
dall’uomo nel corso dei secoli e nello sviluppo delle civiltà; il saper fare come esercizio di abilità
spendibili nel concreto; il saper essere al fine di porsi nel mondo come portatori dei valori umani della
collaborazione, della tolleranza, della solidarietà, del rispetto reciproco.
Nel ’93 un altro importante documento, il Libro Bianco di Cresson, viene pubblicato al termine dei lavori
della Commissione Europea ,in cui si afferma la necessità che le future generazioni acquisiscano le
competenze necessarie a far fronte ai continui cambiamenti di una società sempre più fondata sulla
conoscenza. Ai sistemi di istruzione e formazione è affidato il compito di favorire l’acquisizione ,da
parte dei giovani, dei saperi essenziali ad orientarsi in un mondo in continua evoluzione. Tali saperi sono
costituiti da una solida cultura generale di base; dalla conoscenza di almeno due lingue straniere di cui
una, l’inglese, come lingua veicolare per la comunicazione; da una spiccata attitudine al lavoro per
potersi inserire nella società apportando il proprio positivo contributo allo sviluppo della comunità locale
e globale a cui si appartiene.
Importante rilievo assume in questo contesto la formazione continua, lungo tutto l’arco della vita, per
sviluppare in ciascuno la capacità di adattamento ai mutamenti continui nel lavoro e nella società,
dettati dall’esponenziale sviluppo tecnologico, informatico e dall’estrema mobilità causata dal fenomeno
della globalizzazione dei mercati.
Una società conoscitiva, complessa, globalizzata, richiede dunque un nuovo modello di sistema educativo
che mantenga il contatto con la società e con le sue crescenti richieste, che trasmetta il patrimonio di
conoscenze e valori orientanti, ma che sappia adeguare i saperi allo sviluppo in atto in tutti i campi
disciplinari, pena un forte rischio di esclusione per inadeguatezza.
Nel 2000 il Consiglio Europeo di Lisbona si è posto alcuni obiettivi strategici, da raggiungere entro il
2010, riguardanti la riforma dei sistemi di istruzione e formazione di tutti i Paesi, pur nel rispetto delle
diversità nazionali, al fine di aumentarne la qualità e l’efficacia, facilitarne l’accesso, aprirli al mondo
esterno e adattarli al nuovo contesto di long live learning.
Gli esiti del lungo dibattito culturale, sin qui sintetizzati, fanno da sfondo alle dichiarazioni di principio
espresse nella Carta Costituzionale Europea sottoscritta dagli Stati membri a Roma il 29 Ottobre
2004. All’Art. II-14 viene sancito il diritto di ogni persona all’istruzione e alla formazione professionale
continua con la facoltà di accedere gratuitamente all’istruzione obbligatoria, garantendo la libertà, pur
nel rispetto dei principi democratici, di insegnamento e di scelta dei genitori di provvedere
all’educazione e istruzione dei figli in base alle loro convinzioni.
Con ciò si afferma il nuovo concetto di diritto-dovere del cittadino all’istruzione, maturatosi con
l’affievolirsi dell’ottocentesco concetto di obbligo scolastico, a favore di un più consapevole esercizio
dei diritti di cittadinanza ai quali corrispondono precisi doveri.
Si richiede, quindi, ai sistemi scolastici un rilevante sforzo di rinnovamento per rispondere a tali sfide e
qualificarsi come fattore di sviluppo aderente alla realtà sociale nella quale essi operano.
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In quanto istituzioni educative le scuole si dovranno configurare come istituzioni ad hoc individuando la
propria specificità e nello stesso tempo la propria non esaustività d’azione sapendosi pienamente
integrare nel territorio in un sistema educativo integrato e policentrico capace di fornire ai singoli
l’insieme dei saperi (il sapere- il saper fare – il saper essere) necessari a realizzare pienamente il
proprio progetto di vita e a promuovere la crescita della comunità di appartenenza locale, nazionale,
europea, mondiale.
In questo ampio scenario culturale e sociale va dunque inquadrata l’azione didattica che movendosi
nell’ambito di una fitta rete di relazioni ha il compito di ridisegnare una diversa concezione
dell’apprendimento (approccio interpretativo ai saperi) che comprenda le emergenti esperienze sociali, i
nuovi sistemi simbolico-culturali, le molteplici identità e appartenenze.
Si dovrà tendere a rafforzare i legami e gli scambi tra i diversi attori coinvolti (alunni- docentigenitori-soggetti territoriali e stakeholders sociali)per condividere compiti e usare responsabilmente le
risorse umane professionali, strumentali, tecnologiche per la creazione di ambienti/contesti educativi
di apprendimento che possano valorizzare le intelligenze multiple (Gardner),i diversi stili di
apprendimento di ciascuno, armonizzandoli con gli stili di insegnamento.Suggestiva l’immagine
dell’insegnante plurale per alunni plurali, portatori cioè di una propria identità che si fa matura nella
comunità di appartenenza in un reciproco scambio che si fa ascolto, partecipazione, accoglienza, presa
in carico, promozione della persona nella sua integrità e molteplicità, della persona in quanto portatrice
di valori ad essa connaturati.
Un contesto adeguato,dunque, favorisce l’acquisizione delle abilità che conducono a processi di
pensiero e di approfondimento. Secondo la proposta di Edgard Morin l’insegnamento deve essere
orientato ai problemi, secondo un approccio costruttivista al sapere, che permetta un apprendimento
contestualizzato, intenzionale e che faccia leva sulle strategie di cooperative learning o lavoro di
gruppo cooperativo.
La dimensione da prediligere è quindi una dimensione laboratoriale in cui il laboratorio è un luogo sia
fisico che sociale attrezzato che agisce come condizionatore e mediatore delle attività.
Esso è in opposizione al concetto di lezione, di studio libresco, di distacco dalle cose e dai problemi, dai
rapporti formali tra i docenti e gli studenti, dal rispetto incondizionato di nome eteronome.
Le “cose” nei laboratori non sono neutre o inerti, ma quasi necessariamente spingono ad interpretare le
attività, a costruire saperi, a instaurare relazioni positive e di scambio in cui il docente svolge il ruolo di
catalizzatore, guida , regista.
Il sistema dei laboratori intende fornire le condizioni perché il lavoro di apprendimento sia analogo a
quello di produzione culturale nei vari campi con i mezzi della ricerca. Infatti nei laboratori la
disponibilità di spazi, strumenti, gli obiettivi, l’organizzazione del lavoro, la capacità dei docenti e di
altri esperti, i modi della valutazione formativa, favoriscono la ricerca e possono far si che questo
possa divenire un metodo abituale per affrontare problemi di varia natura.
La relazione educativa va , dunque finalizzata alla crescita e alla valorizzazione della persona umana, nel
rispetto dei ritmi dell’età evolutiva, dell’identità e delle differenze di cui ciascuno è portatore, della
unitarietà del sapere in ottica ologrammatica, per la quale non si dà il tutto se non nelle singole parti e
non si possono comprendere le singole parti se non attraverso il tutto.
Questo approccio al sapere e alla persona nella sua totalità consente il superamento della
frammentarietà, dell’incoerenza, della dispersione favorendo la coniugazione dei saperi scolastici ed
extrascolastici, disciplinari e transdisciplinari, educando al comprendere/interpretare e costruire
abilità sociali (conoscenze, competenze e capacità) con l’utilizzo di una pluralità di metodologie: mastery
learning, problem solving, role playing, didattica laboratoriale e cooperativa, peer tutoring,
brainstorming, open classroom,….).
Quale insegnante, quale educatore può essere in grado di assolvere ad un compito tanto complesso? Un
insegnante “efficace”, un professionista riflessivo , ci viene detto. Ma quali sono le sue caratteristiche?
1)essere capace di confrontarsi con modelli di riferimento anche storici ( il “missionario”, il
“ricercatore,””l’artista”, “l’interattivo” , il “tecnologico”, il “ Manager”….) non per replicare
acriticamente i modelli, ma per rispondere ai bisogni rilevati;
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2) essere capace di autovalutazione periodica, di interrogare se stesso per comprendere ciò che
realmente avviene nella relazione educativa e nel contesto di apprendimento organizzato;
3)essere capace di confrontarsi con gli altri nel rispetto reciproco per “formare”, cioè dare a ciascuno
la “forma propria”;
4)essere capace di aggiornare continuamente le proprie competenze disciplinari, didattiche e
metodologiche, ma anche le metacompetenze (capacità di riflettere sul proprio operato, di cogliere
significati, bisogni…);
5)capacità di predisporsi alla relazione educativa in una dimensione etica per favorire la crescita e la
valorizzazione della persona umana e la sua centralità. Ciò significa stare sempre dalla parte degli
ultimi.
Certamente l’elenco delle competenze dell’educatore non può essere esaustivo per definizione, in
quanto educare è un processo, non un semplice prodotto, ma può essere utile concludere questa
riflessione con le parole di A.Portera:
“Al centro di ogni decisione, specie se educativa bisogna collocare la persona. Si tratta di recuperare il
valore della persona, della cultura e dell’intervento educativo e formativo” se si vuole che l’impegno
educativo sia diverso dall’affanno, la prudenza dell’azione sia diversa dalla paura di agire, la flessibilità
sia diversa dalla perdita di identità personale, culturale ed etica, il coraggio nel compiere le scelte
educative sia diverso dall’incoscienza e la speranza nelle possibilità dell’educazione sia diversa dalla
mancanza di senso della realtà.
L’educatore cristiano è in primo luogo chiamato a conoscere ed interpretare il mondo che lo circonda
(che , per quanto riguarda il mondo dell’istruzione e della formazione ho cercato di sintetizzare) alla
luce dei valori spirituali, religiosi, etici del Vangelo come chiave di lettura della complessità e ad
esercitare la carità della competenza per farsi testimone verace e costruttore di senso per le giovani
generazioni che sono alla ricerca proprio di questo.
BIBLIOGRAFIA
D. Torchia, “Relazione educativa”, in Annali dell’Istruzione, Le Monnier, 2002.
E. Morin, “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”, Raffaello Cortina, Milano , 2001.
E. Morin, “LA testa ben fatta”, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
F.Frabboni, “Manuale di didattica generale” , Editori Laterza,Bari ,1997.
De Bartolomeis, “Sistema dei laboratori”, Feltrinelli, Milano, 1978.
Sibilio M., “Il laboratorio come percorso di ricerca, Napoli, CUEN, 2002.
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