385 Rassegna Recenti Prog Med 2014; 105: 385-391 Il QT Variability Index come strumento per la stratificazione del rischio di morte improvvisa Gianfranco Piccirillo1, Federica Moscucci1, Damiano Magrì2 Riassunto. La morte cardiaca improvvisa (MCI) costituisce la principale causa di mortalità in pazienti con scompenso cardiaco e pregresso infarto del miocardio. Lo studio e l’individuazione dei pazienti a rischio è di vitale importanza per garantire il giusto approccio e la corretta terapia al paziente. Il QT Variability Index (QTVI) è un marker non invasivo di labilità della ripolarizzazione che è stato applicato a un ampio spettro di soggetti con patologia cardiovascolare. È un rapporto tra la variabilità del QT e la Heart Rate Variability (HRV) normalizzate, costituendo quindi un valore riferibile all’attività del sistema nervoso autonomo. Contrariamente a quanto avviene per altri metodi di valutazione, come l’alternanza dell’onda T, il QTVI non risente delle modificazioni della frequenza cardiaca. Gli ultimi studi ci inducono a ritenere che il QTVI potrebbe essere di aiuto al clinico nella scelta del timing per l’impianto del defibrillatore caridaco impiantabile, sia nel paziente con cardiopatia dilatativa sia in quelli con cardiomiopatia ipertrofica e scompenso, prestandosi con grande efficacia alla valutazione e al follow-up di questi pazienti. QT Variability Index as a tool for risk stratification of sudden cardiac death. Parole chiave. Morte cardiaca improvvisa, QT, QTVI, ripolarizzazione. Key words. QT, QTVI, repolarization, sudden cardiac death. Summary. Sudden cardiac death is the leading cause of mortality in patients with chronic heart failure (CHF) and history of myocardial infarction. Selection of patients at risk of sudden cardiac death is dramatically important to choose the correct therapeutic approach. The QT Variability Index (QTVI) is a non-invasive measure of repolarization lability that has been applied to a wide variety of subjects with cardiovascular disease. It is a ratio of normalized QT variability to normalized heart rate variability, and therefore includes an assessment of the autonomic nervous system tone. As opposed to T wave alternans, QTVI assesses variance in repolarization at all frequencies. Recent studies suggest that QTVI may help clinicians choosing the appropriate implantable cardiovester defibrillator timing implantation, in patients with dilated or hypertrophic cardiomyopathy or CHF because of its efficacy in patient evaluation and follow-up. Introduzione È stato stimato che tra il 33% e il 50% di tutte le morti per cardiopatia ischemica insorge improvvisamente come primo sintomo di una malattia coronarica prima ignota e che il 50% di tutti i pazienti con funzione sistolica depressa muore per aritmie fatali. Pertanto, abbiamo un impellente bisogno di test economici e rapidi da usare per uno screening di massa e per stratificare meglio il rischio di morte cardiaca improvvisa (MCI)1. L’evento MCI è la conseguenza di quattro possibili meccanismi fisiopatologici: fibrillazione o flutter ventricolare (FV), tachicardia ventricolare sostenuta (TVS), asistolia e attività elettrica senza polso (quest’ultima chiamata anche “dissociazione elettromeccanica”). I primi due meccanismi sono propriamente aritmici e rientrano a buon diritto nelle cosiddette aritmie ventricolari maligne. La FV può insorgere primitivamente o essere la conseguenza della degenerazione di TVS. Questo tipo di aritmia può complicare la storia clinica di soggetti affetti da coronaropatie, cardiomiopatia dilatativa post-ischemica o da altre cardiopatie strutturali ma ne rappresenta un evento indipendente, non prevedibile, inaspettato e talvolta non correlato alla gravità della malattia miocardica. Discorso differente è quello inerente all’asistolia e alla dissociazione elettromeccanica che nella maggior parte dei casi sono, invece, l’epifenomeno di un grave evento cardiaco (per es., tamponamento cardiaco, trombosi coronarica acuta) o non cardiaco (per es., ipovolemia, acidosi) e ne rappresentano quindi l’episodio terminale. In questa rassegna, pertanto, ci riferiremo alla MCI da aritmie ventricolari maligne dal momento che queste rappresentano la maggior parte degli episodi che complicano la cardiopatia ischemica e soprattutto perché, una volta individuati i soggetti a maggior rischio di svilupparle, si possono adottare strategie di profilassi primaria ricorrendo all’utilizzo di defibrillatori impiantabili anche noti sotto il nome di implantable cardioverter defibrillator (ICD). 1Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Sapienza Universita di Roma. Pervenuto il 13 maggio 2014. 386 Recenti Progressi in Medicina, 105 (10), ottobre 2014 QT Variability Index (QTVI) Nel 1997 Berger et al.2 proposero un nuovo possibile test non invasivo in grado di valutare i pazienti ad alto rischio di MCI. Questo indice è il rapporto tra la variabilità del QT e quella della frequenza cardiaca, entrambe espresse come varianza e normalizzate per il quadrato rispettivamente della media del QT e RR: (QT varianza / QT media2) QTVI= Log –––––––––––––––––––––– (RR varianza / RR media2) Entrambi i termini del rapporto sono ottenuti da una semplice registrazione elettrocardiografica della durata di 5 minuti (figure 1 e 2). Ultimamente la stessa formula è stata applicata anche ad altri intervalli della fase di ripolarizzazione (QTpeak e Tpeak-Tend); pur essendovi un valido substrato fisiopatologico, sono disponibili ancora pochi dati sulla variabilità di questi ulteriori segmenti. Invece, negli ultimi anni si sono accumulate diverse evidenze che indicano che il QTVI è predittivo per MCI in soggetti con scompenso cardiaco cronico3. Nel lavoro originale di Berger et al. e nei successivi si è visto che l’incremento di questo rapporto per aumento del numeratore e/o per riduzione del denominatore peggiora in relazione alla gravità dello scompenso cardiaco e al rischio di MCI2. Variabilità dell’RR: il denominatore È una nozione consolidata da molti anni che la variabilità della frequenza cardiaca o dell’intervallo RR, cioè il denominatore del QTVI, si riduce in relazione al peggiorare dello scompenso cardiaco. La variabilità dell’RR dipende dall’integrità funzionale del nodo del seno e dal controllo simpatovagale. In altre parole, un soggetto normale presenta una discreta oscillazione della frequenza cardiaca; gli atleti e i soggetti con controllo vagale cardiaco elevato, oltre a essere tendenzialmente bradicardici, hanno anche un’elevata variabilità della frequenza cardiaca. La variabilità della frequenza cardiaca è associata a elevata aritmia respiratoria vago-mediata. L’invecchiamento, la neuropatia autonomica diabetica, l’obesità e la sindrome metabolica, l’ipertensione e lo scompenso cardiaco tendono a ridurre la variabilità della frequenza cardiaca, per riduzione della attività vagale e incremento di quella simpatica. Nello scompenso cardiaco, specialmente in quello con funzione sistolica depressa, l’aumento della pressione telediastolica e l’elevata stimolazione simpatica finiscono per indurre un danno a livello del nodo del seno, noto come disfunzione sinusale. La disfunzione sinusale, la riduzione della funzionalità vagale e l’incremento di quella simpatica si traducono in una riduzione della varia- bilità della frequenza cardiaca4. Numerosi studi, adottando tecniche diverse di misurazione5, hanno evidenziato che una riduzione della frequenza cardiaca nello scompenso cardiaco6 e nel post-infarto sono predittivi per morte cardiaca improvvisa7. Variabilità del QT: il numeratore La durata del segmento QT, o fase di ripolarizzazione, è il corrispettivo elettrocardiografico della durata del potenziale d’azione delle cellule miocardiche. Questa durata differisce a seconda della localizzazione nel contesto del miocardio, determinando una conseguente differenza di durata tra i periodi refrattari assoluti. Questa differenza è alla base della gerarchia funzionale responsabile dell’attività elettromeccanica del cuore. La ripolarizzazione è assicurata prevalentemente dall’attivarsi di correnti in uscita di ioni potassio (fase 1, 2 e 3) che neutralizzano l’entrata di ioni sodio e calcio (fase 0 e 2) e la complessiva durata di questa fase è garantita dalla corretta attivazione e inattivazione di specifici canali ionici. I canali ionici sono costituiti da strutture proteiche comprendenti subunità principali (α) e accessorie (β, δ, γ), tutte naturalmente codificate a livello genico: la fase 0 del potenziale d’azione (depolarizzazione rapida) è assicurata dall’ingresso del sodio attraverso l’attivazione dei canali del sodio (INa) e il gene specifico codificante per le subunità proteiche di questo canale è il Nav1.5 (vecchia denominazione SCN5A); la fase 1 (ripolarizzazione rapida/notch) è prodotta da uno specifico canale del potassio detto I to (transiet outward) che determina una rapida fuoriuscita di potassio e il gene coinvolto è il Kv4.2 (subunità α) e la subunità accessoria chiamata K channel interacting protein (KChIP2). La fase 2, o di plateau, è determinata dall’ingresso del calcio mediante un canale specifico (ICa-L) codificato dal gene CACNA1C (vecchia denominazione Cav1.2), controbilanciata da un’importante corrente in uscita di potassio dovuta all’attivazione del canale IKr (rapidly activating component of the delayed rectifier outward potassium current) codificato dal gene KCNH2 (vecchia denominazione HERG). La fase 3 di ripolarizzazione è caratterizzata dall’attivazione di più correnti in uscita di potassio e cioè dal canale IKs (slowly activating component of the delayed rectifier outward potassium current) codificato dal gene KCNQ1 (vecchia denominazione KvLQT1+minK) e da quello IK1 (inward rectifier current) codificato dal gene KCNJ2 (vecchia denominazione Kir2.x). Infine, nella fase 4, i normali sistemi di trasporto del sodio e del potassio ristabiliscono le concentrazioni ioniche di partenza (maggiori concentrazioni intracellulari di potassio e minori di sodio). La distribuzione dei canali precedentemente citati non è omogenea e questo determina un certo grado di differenza di durata delle ripolarizzazioni nei vari strati del miocardio ventricolare. G. Piccirillo et al.: Il QT Variability Index come strumento per la stratificazione del rischio di morte improvvisa Figura 1. Calcolo del QT Variability Index in un soggetto normale. Nella parte sinistra della figura possiamo osservare un frammento della registrazione elettrocardiografica di 5 minuti con gli intervalli studiati: intervallo RR (A), intervallo QTend, compreso tra l’onda q e la fine dell’onda T (B); intervallo QTpeak, compreso dalla q al picco dell’onda T (C); Tpeak-Tend, compreso dal picco e la fine dell’onda T(D). Nella parte destra della figura troviamo l’andamento temporale dell’intervallo RR (A), QTend (B), QTpeak (C) e Tpeak-Tend (D) in 422 battiti ottenuti mediante una registrazione elettrocardiografica di 5 minuti. Sono stati calcolati i QTend Variability Index (QTendVI). Poi è stata applicata la stessa formula anche per gli intervalli QTpeak (QTpeakVI) e per TpeakTend (Tpeak-TendVI). Normalmente i valori di questi indici sono negativi, l’aumento o la positivizzazione di questi indici indicano una predisposizione alle aritmie ventricolari maligne. Alla base di una certa disomogeneità temporale della fase di ripolarizzazione anche nei cuori normali c’è una differente distribuzione dei canali ionici nei diversi strati del miocardio. Infatti, da un punto di vista propriamente elettrofisiologico possiamo suddividere il miocardio ventricolare in tre strati distinti: strato epicardico, intermedio (cellule M) e strato endocardico. I INa sono presenti prevalentemente nello strato di cellule M (Moe cells); i Ito sono presenti nello strato epicardico e nelle cellule M mentre mancano del tutto nello strato endocardio (nel quale quindi manca il notch); i IKr sono diffusamente e ugualmente rappresentati in tutti gli strati; i IKs, infine, mancano nello strato di cellule M. Questa eterogenea distribuzione determina una durata maggiore del potenziale d’azione nello strato di cellule M e, quindi, un certo ritardo nella fine della ripolarizzazione a questo livello. In un cuore normale esiste pertanto una cosiddetta dispersione fisiologica dei tempi di ripolarizzazione, definibile come la massima differenza esistente tra le durate dei potenziali d’azione dei diversi strati e anche nota sotto il nome di dispersione transmurale della ripolarizzazione (DTR). Da un Figura 2. Variazioni temporali dell’intervallo RR e dell’intervallo QTend in una registrazione elettrocardiografica di 5 minuti in soggetto con scompenso cardiaco cronico. È stato calcolato il QTend Variability Index (QTendVI) che indica un rischio aumentato di aritmie ventricolari maligne perché un soggetto normale dovrebbe avere un QTend VI minore di -0,47 o di -0,50 a seconda degli studi. 387 388 Recenti Progressi in Medicina, 105 (10), ottobre 2014 punto di vista strettamente elettrocardiografico la fine della ripolarizzazione dell’ultimo strato (cellule M) coinciderà con la fine dell’onda T dell’elettrocardiogramma di superficie e, pertanto, sarà questa a determinare la durata dell’intervallo QT. Le sindromi congenite del QT lungo, quelle del QT breve, la sindrome di Brugada e le TV catecolaminergiche costituiscono un paradigma per la comprensione della MCI. In queste sindromi si verificano, infatti, gravi errori genetici, generalmente trasmessi con modalità autosomica dominante, che determinano la formazione di un canale di membrana non perfettamente funzionante. Nonostante in alcuni casi si verifichi una riduzione di funzione di questi canali, in tutte queste sindromi c’è una tendenza alla FV/TV o alla torsione di punta e questo rischio è legato a un aumento della DTR. In altre parole, la disfunzione di un canale ionico, determinando un prolungamento o una riduzione della durata delle ripolarizzazioni dello strato delle cellule M, induce un aumento della DTR. La soglia di DTR che costituisce un rischio per aritmie ventricolari da rientro è stimata intorno ai 55 millisecondi mentre intorno ai 90 millisecondi si manifesta torsione di punta. Sebbene il meccanismo di rientro sia strettamente dipendente, quindi, dalla dispersione temporo-spaziale della fase di ripolarizzazione, è altrettanto vero che di solito l’innesco della FV/TV è determinato da oscillazioni del potenziale (trigger activity), durante il potenziale d’azione stesso (early after depolarization, EAD) o alla fine (delayed after depolarization, DAD). La cardiopatia dilatativa post-ischemica è una condizione in cui si verifica un eterogeneo allungamento della durata della ripolarizzazione nei diversi strati di miocardio, questa condizione è causata sia dalla presenza di isole di tessuto elettrofisiologicamente funzionale, che si alternano a zone di fibrosi della cicatrice8, sia dell’attivazione neuroumorale9. Tutto ciò determina l’aumento della DTR che sull’ECG di superficie sarà evidenziata da un aumento dell’intervallo QT e da una sua disomogeneità di durata nel tempo. Per taluni autori l’aumento della DTR provocherebbe prevalentemente un aumento del tratto che va dall’apice alla fine dell’onda T10, mentre alcuni dati sperimentali e clinici sembrano indicare che la dispersione temporale, anche solo di questo tratto, potrebbe essere predittiva per MCI11-14 (figura 1). I meccanismi molecolari alla base della DTR nello scompenso cardiaco sono molteplici: sono stati infatti riportati malfunzionamenti per downregulation sia in modelli animali sia in umano di Ito, di Ik1, di IKr e di IKs. Più complesse e controverse sono le alterazione legate allo ione calcio che, secondo alcuni autori, potrebbero determinare sia un prolungamento della durata dell’ingresso attraverso ICa-L sia della regolazione dell’omeostasi intracellulare. Dobbiamo considerare che nella ripolarizzazione giocano anche forti caratteristiche individuali. La capacità di far fuoriuscire il potassio dai vari canali è variabile da soggetto a soggetto ed è geneticamente predeterminata. Alla base di questa variabilità c’è il cosiddetto polimorfismo dei canali ionici, cioè la capacità del DNA di codificare proteine che costituiscono canali ionici con sostituzioni di aminoacidi. Un tipico esempio è quello rappresentato da una sostituzione di aspartato con asparagina in posizione 85 (D85N) in una subunità di Iks: questa sostituzione è prodotta da un piccolo errore nel gene KCNQ1 (sostituzione in posizione 253 di una adenosina con una guanina, G253A) e il canale Iks risultante presenta una riduzione di funzione. Tuttavia, da un punto di vista fenotipico e in condizioni normali, i soggetti portatori di questo polimorfismo non presentano specifiche alterazioni cliniche: infatti, la durata della ripolarizzazione è normale così come la durata dell’intervallo QT. Probabilmente in questi soggetti (circa il 3,2% della popolazione bianca e afroamericana), la normale durata del QT è assicurata da una suppletiva funzione di Ikr. In altre parole la debole funzione di Iks è bilanciata da una robusta funzione di Ikr, e questa capacità vicariante prende il nome di “riserva di ripolarizzazione”. Il problema in questi soggetti nasce se la funzione di Ikr è inavvertitamente ridotta o bloccata da un farmaco, un alimento, una sostanza tossica o dall’ipokaliemia. In questi frangenti è possibile che si inneschi una torsione di punta e, quindi, MCI. Un altro tipico esempio di polimorfismo è quello del gene SCN5A che codifica per il canale del sodio INa: ne sono stati descritti circa 8 con varie frequenze nella popolazione di cui i due più studiati presentano una sostituzione di una serina con una tirosina in posizione 1102 (S1102Y) presente nel 6-7% della popolazione afroamericana e la sostituzione di una istidina con una arginina in posizione 558 (H558R) che è estremamente frequente negli USA (29% nei neri, 23% negli ispanici, 20% nei bianchi e il 9% negli asiatici). Il polimorfismo S1102Y è responsabile di MCI per torsione di punta prodotta per prolungamento del QT indotto da amiodarone o da malattie miocardiche. QTVI: predizione del rischio aritmico e mortalità cardiovascolare È nota da tempo la correlazione tra QTVI e morte cardiaca improvvisa/fibrillazione ventricolare. Come dimostrato in uno studio effettuato su 95 pazienti afferenti a un centro di elettrofisiologia, di cui 38 esenti da patologia cardiovascolare e 10 che sono andati incontro a morte cardiaca improvvisa o arresto per fibrillazione ventricolare, è stato dimostrato un significativo incremento del QTVI in quei pazienti con morte cardiaca improvvisa o storia di fibrillazione in confronto ai pazienti che non hanno presentato tali complicanze15. La relazione tra QTVI e tachicardia/fibrillazione ventricolare è stata inoltre indagata in pazienti nel periodo post-infartuale, nei quali si era riscontrata una ridotta frazione di eiezione, nello studio MADIT II16. G. Piccirillo et al.: Il QT Variability Index come strumento per la stratificazione del rischio di morte improvvisa Questo studio rappresenta una analisi post hoc effettuata su 912 pazienti dello studio MADIT II che sono stati sottoposti a 10 minuti di registrazione dell’elettrocardiogramma che hanno preceduto la randomizzazione per ICD o per ottimizzazione della terapia. I criteri di inclusione prevedevano una classe NYHA da I a IV, un pregresso infarto miocardico e una frazione di eiezione del ventricolo sinistro inferiore al 30%. Nei 476 pazienti randomizzati nel braccio che ha ricevuto l’impianto di un ICD, il QTVI al quartile più alto era associato a un rischio di tachicardia/fibrillazione ventricolare in analisi multivariata a due anni di follow-up. L’incrementato rischio di aritmie ventricolari scaturisce da un aumento del numeratore dell’equazione del QTVI, da cui scaturisce la QT varianza normalizzata (QTVN). L’inclusione della variabilità del tratto RR, comunque, riduce il potere prognostico del QTVI, suggerendo che l’instabilità di membrana, piuttosto che lo squilibrio dell’attività del sistema nervoso autonomo, costituisce un importante contributo alla aritmogenesi in soggetti con una disfunzione sistolica grave. È interessante notare che un aumento del QTVI, rispetto al QTVN, è correlato a una più elevata mortalità nel braccio di pazienti che aveva impiantato un ICD, suggerendo che l’inclusione della variabilità del tratto RR determina un più elevato potere predittivo per i pazienti con scompenso cardiaco, rispetto a quelli con morte aritmica. Un allungamento del QTVI è in ogni caso correlato a morte per tutte le cause e per cause cardiovascolari in studi che non prevedevano l’impianto di un ICD. A oggi, solo pochi studi hanno valutato un potenziale cut off del QTVI nel predire la morte e gli eventi aritmici (tabella 1). In un trial eseguito in un singolo centro, Piccirillo et al.17 hanno impiegato una registrazione di breve periodo (<15 min) in 396 pazienti post-infartuati asintomatici (classe NYHA I) con riduzione moderata della funzione sistolica (frazione di eiezione-FE 35-40%), per valutare in modo prospettico la predizione del rischio aritmico di differenti variabili riguardanti il QT (incluso il QTVI) in 5 anni di follow-up. Gli autori hanno dimostrato un forte rischio (HR 4,60; p=0,006) per morte cardiaca improvvisa in pazienti che presentavano un QTVI ≥80esimo percentile. Dobson et al.18 hanno misurato il QTVI per predire la mortalità in 268 pazienti dello studio GISSI-HF, i quali sono stati sottoposti a una misurazione dell’elettrocardiogramma delle 24 ore secondo Holter (a differenza della misurazione a breve periodo effettuata dagli autori dello studio precedente) per un periodo di 4 anni di follow-up. Questa coorte includeva pazienti sintomatici con scompenso cardiaco in classe NYHA III-IV, indipendentemente dalle cause, e oltre i due terzi dei pazienti avevano una FE ≤35%. Da notare che il più alto quartile di QTVI anche qui considerato era sostanzialmente più basso nello studio GISSI HF, -0,84, suggerendo che i pazienti ivi inclusi erano probabilmente più sani di quelli dello studio MADIT II e di quelli dello studio di Piccirillo et al. Dicotomizzando i dati usando come soglia -0,84, gli autori hanno dimostrato che un QTVI aumentato determinava un HR di 4,4 (intervallo di confidenza 1,9-10,1; p=0,0006) per morte cardiovascolare considerata in un modello multivariato. Applicando un cut off >-0,50, equiparabile a un valore simile a quelli dello studio MADIT II (-0,52) e dello studio di Piccirillo et al. (-0,47), hanno dimostrato un HR multivariato di 3,8 (1,6-9,3; p=0,003) per mortalità cardiovascolare. QTVI in condizioni patologiche Il QTVI è stato maggiormente applicato e studiato in pazienti affetti da scompenso cardiaco (chronic heart failure, CHF), ma altri processi morbosi possono modificarlo (tabella 2). Tra questi: il QT lungo indotto da farmaci, l’assunzione di cocaina, il disturbo di panico, l’ansia, la distrofia miotonica, l’insufficienza renale, l’ipertrofia miocardica, la cardiomiopatia ipertrofica e l’invecchiamento. In particolare, è stato osservato che nello CHF il QTVI correla con la classe NYHA piuttosto che con la frazione di eiezione2 e che esiste una associazione significativa tra Tabella 1. Studi che predicono la mortalità o l’insorgenza di TV/FV usando differenti soglie di cut off di QTVI. Autore Anno Haigney MCP 2004 Popolazione Post-infarto, FE <30% Soggetti Soglia QTVI medio della popolazione studiata 817 -0,52 -0,8 Piccirillo G 2007 Post-infarto, NYHA I, FE 35-40% 396 -0,47 -0,96 Vrtovec B 2008 Scompenso con FE <30%, NYHA III 110 Non chiara -0,51 Haigney MCP 2009 Post-infarto FE <30% 805 -0,52 -0,92 Tereshchenko LG 2009 Pazienti con ICD 298 -0,11 0,02 Dobson CP 2011 Scompenso cardiaco per tutte le cause 268 -0,84 -1,01 Tereshchenko, LG 2012 Scompenso cardiaco per tutte le cause 533 -1,19 -1,56 Tabella riprodotta parzialmente da Dobson et al.3 con il permesso dell’autore. 389 390 Recenti Progressi in Medicina, 105 (10), ottobre 2014 Tabella 2. QTVI in pazienti con patologie cardiache. Autore Berger RD Anno 1997 Popolazione Cardimiopatia dilatativa Soggetti QTVI medio 83 -0,43 Atiga WL 1998 Studio elettrofisiologico 95 0,00 Hohnloser SH 1999 Pazienti con ICD 88 n/a Atiga WL 2000 Cardiomiopatia ipertrofica con gene positivo 36 -1,24 Piccirillo G 2002 Scompenso cardiaco post-ischemico 82 0,22 Murabayashi T 2002 Infarto miocardio acuto 68 n/a Yeragani VK 2002 Non chiaro 17 n/a Galeano GJ 2003 Cardiopatia ipertrofica, dilatativa aritmogena 69 -0,3 Bilchick K 2004 Sindrome del QT lungo 1 e 2 64 n/a Raghunandan DS 2005 Scompenso cardiaco 23 -0,09 Kalisnik JM 2006 Post-bypass aorto-coronarico 42 n/a Haighney MCP 2006 Abuso di cocaina 29 n/a Hiromoto K 2006 Post-infarto 59 n/a Myredal A 2008 Post-bypass aorto-coronarico 61 -0,9 Dobson CP 2009 Scompenso cardiaco da qualsiasi causa 372 n/a Haigney MCP 2009 Pazienti con ICD 47 -0,79 Tereshchenko LG 2009 Pazienti con ICD 298 -0,23 Sachdev M 2010 ICU con TV/FV 38 n/a Kuriki M 2011 Kawasaki 25 -0,60 Oosterhoff P 2011 Pazienti con ICD 233 -0,27 Das D 2012 Pazienti con ICD 33 n/a Magri D 2012 Post-infarto 30 -0,83 a -0,25 Piccirillo G 2013 Pazienti deceduti per MI verso soggetti con CHF 84 -0,28 Magrì, 2014 Cardiomiopatia ipertrofica 85 -0,72 Tabella riprodotta parzialmente da Dobson et al.3 con il permesso dell’autore. presenza di ipertrofia miocardica e incremento del QTVI in soggetti affetti da ipertensione arteriosa18. È stato, altresì, osservato che il solo numeratore del QTVI, e cioè il QTVN (QT varianza / QT media2), è positivamente correlato al grado di ipertrofia miocardica e alla presenza di fibrosi svelata con il late gadolinium enhancement19. Sempre in questo studio, invece, il QTVI era correlato all’età, all’ostruzione dell’efflusso e a un punteggio di rischio per MCI specifico della miocadiopatia ipertrofica. Sempre nello CHF è stata anche indagata l’influenza dell’attività simpatica sul QTVI. Infatti, era stato visto in modello sperimentale che l’incremento dell’attività simpatica si accompagnava a un aumento del QTVI solo negli animali in cui era stato indotto il CHF. Questo risultato non sembrava confermarsi negli studi condotti su pazienti con CHF. Infatti, i pazienti, sottoposti o a tilt test20 o a stress mentale21 non presentavano un incremento del QTVI. A differenza del modello animale, però, negli studi condotti o con il tilt o con stress mentale i pazienti con CHF erano trattati rispettivamente per l’80% e per il 100% con betabloccanti. Infine, è stato stabilito che il trattamento con diversi betabloccanti non è uguale nel CHF; infatti, solo il carvedilolo tende a normalizzare maggiormente la risposta del QTVI allo stress posturale simpatico22,23. Conclusioni Gli ultimi studi ci inducono a ritenere che il QTVI potrebbe essere di aiuto al clinico nella scelta del timing per l’impianto dell’ICD, sia nel paziente con cardiopatia dilatativa sia in quelli con cardiomiopatia ipertrofica. Soprattutto la facilità dell’esecuzione e ripetibilità ne fanno uno strumento atto alla valutazione del paziente nel follow-up. Abbiamo visto, infatti, come la riduzione dell’iperattività simpatica con il betablocco comporti un miglioramento del QTVI24. Inoltre, l’attivazione neuro-ormonale induce anche una riduzione del controllo vagale, che si traduce nella diminuzione della variabilità della frequenza cardiaca, che rap- G. Piccirillo et al.: Il QT Variability Index come strumento per la stratificazione del rischio di morte improvvisa presenta il denominatore della formula del QTVI; per tale ragione, l’ultima frontiera del trattamento dello CHF sarà l’introduzione di dispositivi in grado di stimolare l’attività vagale cardiaca25 in funzione antiaritmica, e il QTVI, come test non invasivo, si potrebbe prestare con grande efficacia per la valutazione e il follow-up di questi pazienti. Bibliografia 1. 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Gianfranco Piccirillo Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie, Nefrologiche, Anestesiologiche e Geriatriche Sapienza Università di Roma Policlinico Umberto I Viale del Policlinico 155 00161 Roma E-mail: [email protected] 391