A proposito di sviluppo della “attenzione” in età evolutiva.

A proposito di sviluppo della “attenzione” in età evolutiva.
(Serie “ZeroPuntoZero”)
“ E’ molto probabile che una delle tappe evolutive
più importanti per il genere umano, sia rappresentata
dal giorno in cui l’innata curiosità dell’uomo,
si trasformò in consapevole attenzione”
(Konrad Lorenz – L’anello di re Salomone)
Come ciascuna delle diverse funzioni neuro-cognitive, anche l'attenzione va incontro a processi
graduali di sviluppo, che tengono conto, tra l’altro, dei livelli di maturazione del sistema nervoso
centrale, dello sviluppo delle senso-percezioni e delle esperienze che ciascuno di noi, sin dalla
nascita e a seguire dalla prima infanzia, realizza nell'ambiente e nel tempo.
Da bambini, inoltre, l'attenzione è influenzata e condizionata più facilmente dall'esterno (attenzione
di tipo riflesso) e, se si tratta di attenzione mirata, è particolarmente limitata nella durata. I più
piccoli dei nostri allievi inoltre, sono particolarmente attratti dalle caratteristiche proprie e motivanti
dei diversi stimoli (situazioni nuove, colori vivaci, suoni forti, ludicità, eccetera) mentre allo stesso
tempo si distraggono anche con grande facilità.
La curiosità determinata dalle attività con queste caratteristiche motivanti e stimolanti, favorisce
azioni esplorative rivolte al superamento delle incertezze, delle indecisioni, dei timori di sbagliare,
delle presunte inadeguatezze rispetto al compito, anche attraverso la ricerca di nuove informazioni,
di comunicazioni, di atteggiamenti e di relazioni rassicuranti.
Perché ciò avvenga, assieme ad apposite metodologie-didattiche mirate, occorre che l’intensità delle
stimolazioni presenti nelle attività sia ottimale, cioè efficace, vale a dire né troppo bassa come nel
caso di proposte noiose, ripetitive e a basso carico cognitivo e motorio-funzionale, né troppo
elevata, come nel caso di proposte complesse e a forte carico cognitivo e motorio-funzionale.
Ma è sul piano della dimensione neuro-cognitiva e solo quando la maturazione dei lobi frontali avrà
raggiunto un discreto livello di sviluppo (intorno ai 7 anni circa) che l'attenzione volontaria e
selettiva comincerà a prevalere su quella riflessa, permettendo cioè comportamenti proiettati nel
lungo termine nei quali, ad esempio, la dimensione del “tempo futuro” sarà rappresentata e
riconosciuta come tale (come nel pensiero ipotetico deduttivo).
La durata di permanenza nell'attenzione mirata sarà ancora per qualche tempo piuttosto scarsa e
saranno ancora presenti difficoltà nell'orientamento (focus selettivo) verso i fattori rilevanti delle
diverse situazioni di gioco.
Inoltre, non essendo ancora sviluppata la capacità di distribuire in maniera economica e funzionale
le risorse dell'attenzione in relazione alle effettive richieste del compito, l'attenzione tenderà a
essere utilizzata secondo meccanismi del tipo “all or nothing” (tutto o nulla), poco utili e molto
dispendiosi sia sul piano neuro-cognitivo che, nell’ambito delle azioni conseguenti, su quello
motorio-funzionale.
In base a quanto detto, è bene tenere presente che spiegazioni troppo lunghe, verbalizzazioni
complesse, ovvero esercizi troppo ripetitivi sono da evitarsi o da proporsi gradualmente, quando si
abbia a che fare con i bambini. Viceversa, si potranno utilizzare le proprietà motivanti degli stimoli
per attrarre inizialmente l'attenzione, e sarà utile presentare sempre le proposte di attività in forma
ludica, coinvolgente e ricca di variabili.
Progressivamente, sarà utile definire via via e per le fasce successive traguardi e obiettivi sempre
più a lungo termine, proponendo esercizi che richiedano un'attenzione sempre maggiore e
inserendo di tanto in tanto distrattori sempre più efficaci, nell'ottica di uno sviluppo di quest'aspetto
essenziale del processo elaborativo.
Durante la pre-adolescenza, in funzione anche delle acquisite capacità di pensiero astratto,
l'attenzione è spesso rivolta dai giovani al loro mondo interiore.
La ricerca di coerenza interna nei propri ragionamenti, l'interesse crescente per le prospettive future,
la presenza di vissuti emotivi intensi, fanno sì che i ragazzi delle nostre categorie, anche a partire
dagli esordienti, siano spesso apparentemente distratti rispetto al mondo che li circonda, benché i
meccanismi di attenzione selettiva, concentrata e sostenuta nel tempo, siano ormai sviluppati e
paragonabili quasi a quelli dell'adulto.
Dentro l’attenzione
Anche in presenza di motivazioni efficaci, di un normale stato di benessere, di un impegno volitivo
significativo, non sempre siamo in grado di controllare momento per momento tutta l'informazione
proveniente dall'ambiente (interno ed esterno): solitamente l'attenzione è rivolta solo a una piccola
parte degli stimoli presenti e potenzialmente in grado di essere recepiti, e solo una parte di essi
viene più o meno coscientemente trattata, cosicché la risposta che ne consegue è, di fatto, frutto di
un'analisi comunque limitata della situazione.
Sono state proposte molte definizioni di attenzione, che in questa sede si può cercare di definire
come un insieme di processi e di operazioni mentali utili per pianificare e controllare, sia
nell’informazione che nell'esecuzione, che nei risultati, le nostre azioni, in funzione delle scelte e
degli scopi che ci si è prefissi, delle condizioni in cui ci si trova ad agire e delle diverse
rappresentazioni personali.
E possibile esemplificare le caratteristiche dell'attenzione dicendo che essa è un meccanismo:
di limitata capacità e durata;
di portata variabile;
progressivamente selettivo;
In realtà, ci troviamo di fronte a due tipi di limiti attentivi : un limite di capacità di governance in
senso stretto e un limite di durata. Il primo limite si riferisce al fatto che, come già accennato, non
siamo in grado di controllare contemporaneamente tutta l'informazione disponibile e che l’ambiente
ci rappresenta.
È dato per acquisito, infatti, che il nostro cervello sia in grado di controllare momento per momento
solo pochi bit (intesi come quantità d'informazione) e che il flusso di segnali provenienti
dall'ambiente esterno e interno (memorie comprese) debba necessariamente ricadere entro limiti
di “portata” propri del S.N.C. della specie umana cui apparteniamo.
Anche la durata dell'attenzione nel tempo è limitata: la quantità di risorse disponibili tende via
via a diminuire, trattandosi di meccanismi ad alto dispendio di risorse e quindi necessariamente
soggetti ad affaticamento e bisognosi di tempi di recupero.
Di conseguenza, con i bambini e in età evolutiva, ad esempio, si può lavorare impegnando
intensamente la propria attenzione per tempi piuttosto brevi (10-20 minuti), dopo di che è
necessario passare a compiti meno impegnativi o recuperare attraverso tipologie di attività a basso
carico cognitivo.
Poiché l'attenzione, come è stato detto, è un meccanismo a capacità limitata, ne consegue che esso
debba anche operare selettivamente: le sue risorse vengono quindi indirizzate verso alcuni
“indizi” o segnali, a scapito di altri seppure disponibili in quel momento.
Questa selezione è il più delle volte operata in maniera volontaria e cosciente (attenzione
volontaria) dalla persona che, in base ai traguardi e agli obiettivi che intende raggiungere, ricerca
attivamente nell'ambiente informazioni e/o conferme utili per prendere decisioni operative, mettere
in atto comportamenti finalizzati efficaci, o semplicemente per trarsi fuori da situazioni sfavorevoli.
In questo caso, l'utilizzo dell'attenzione può essere paragonato a quello della risoluzione in pixel di
un immagine o di un suo particolare, o se volete della sua messa a fuoco: la risoluzione in pixel è
dovrà essere tanto più elevata (diremo a grana fine) quanto più la persona è interessata ai particolari
delle zone che interessano nel senso del passaggio dall’attenzione diffusa a quella concentrata,
come nel caso della differenza tra “visione d’insieme ed acutezza visiva”.
Di volta in volta l’aumento dei pixel viene applicato successivamente, mettendo a fuoco vari punti
da esplorare (quelli dove si ritiene di trovare ciò che si cerca in quanto ritenuto utile) e magari
tralasciando il resto utilizzando il criterio dell'attenzione selettiva.
Non sempre, però, la selezione è dipendente strettamente dalla persona: alcuni stimoli presenti
nell'ambiente sono in grado di attirare l'attenzione più di altri, indipendentemente dalla volontà
dell'individuo. In questo caso si parla di attenzione riflessa.
Pur rimanendo nei limiti di capacità propri della nostra specie, inoltre, la portata dell'attenzione può
variare, non essendo sempre utile lavorare ai limiti superiori di capacità del sistema (cioè in regime
di stress cognitivo). Non sempre ci si impegna al massimo, soprattutto quando il compito che da
svolgere non lo richiede o perché è molto facile o già appreso, in termini di abilità, ovvero noioso o
ripetitivo.
L'attenzione competente, ossia governata efficacemente in relazione alle richieste del compito, è
propria di chi possiede un ampio bagaglio di abilità tecniche e serve perfettamente allo scopo di
economizzare risorse o distribuirle meglio nel tempo (come ad es. negli atleti allenati e agonisti).
Si deve anche sottolineare che, a parità di portata, l'attenzione può essere utilizzata in maniera
concentrata, focalizzando tutte le risorse disponibili su un'unica fonte di informazione (quelle di
tipo visivo ad es.), o in maniera diffusa, coprendo con minore intensità un maggior numero di
indizi: come per uno zoom fotografico o nei pixel di una risoluzione grafica, come già accennato, la
risoluzione del fascio attentivo è variabile in modo inversamente proporzionale alla sua grandezza
(più l'attenzione è focalizzata, maggiore sarà la percezione dei dettagli, e viceversa).
Indipendentemente dal senso attraverso il quale vengono recepite (vista, udito, somestesi, cinestesi,
ecc.), le informazioni possono presentare caratteristiche che vengono definite significative, determinano la rilevanza dello stimolo e fanno sì che esso attragga l'attenzione del soggetto e ne
motivi l’azione.
Una delle caratteristiche più significative e rilevanti è senz'altro la novità, intesa sia in senso
assoluto (rispetto alle nostre esperienze), sia in senso relativo (rispetto a ciò che è sotto il nostro
controllo in quel momento). Lo stesso dicasi per la durata limitata nel tempo e l’intensità degli
stimoli.
Anche la complessità degli stimoli o l'incongruità rispetto al contesto nel quale un certo stimolo è
inserito (ad es. come distrattore) hanno un alto potere attrattivo sull'attenzione.
Questo tipo di attenzione, che abbiamo definito involontaria (nota più propriamente come “riflesso
d'orientamento”), ha un valore adattativo notevole: il sistema nervoso dà la precedenza all'analisi di
stimoli e situazioni che hanno caratteristiche tali da far presupporre una potenziale pericolosità o
disturbo (in quanto non conosciute o non ancora individuate) e sospende tutte le altre operazioni in
atto in quel momento.
Una volta riconosciuta l'innocuità, l'irrilevanza o l’inconsistenza del nuovo segnale, verrà ripreso il
controllo attentivo sulle operazioni precedentemente in via di svolgimento. Al contrario, situazioni
ripetitive danno luogo ad “abitudini” e tendono ad abbassare il controllo cosciente dell'individuo.
I processi, nei quali l'attenzione viene inizialmente pilotata dall'ambiente, sono normalmente
processi molto rapidi e a basso dispendio, rispetto a quelli condotti in attenzione volontaria e con
l'intervento della coscienza dell'individuo che necessitano di un certo impegno neuro-cognitivo.
Naturalmente, la suddivisione tra attività attentiva involontaria e volontaria, è utile soprattutto a fini
discorsivi: in realtà, il più delle volte i due processi si intersecano strettamente e sono presenti in
percentuali relative diverse, proprio per rendere ottimale il processo elaborativo.
La programmazione di traguardi ed obiettivi ben definiti ha l'effetto di abbassare selettivamente la
soglia di percezione e di riconoscimento a specifiche categorie di segnali. Va anche tenuto presente
che i meccanismi dell'attenzione hanno una loro inerzia: passare da un indizio all'altro, da
un'attenzione concentrata a una diffusa, da un'attenzione centrata sull'ambiente esterno a una
centrata sull'ambiente interno e viceversa, richiede un certo lasso di tempo.
Questo tempo può essere ridotto con l'allenamento specifico, ma non eliminato del tutto, mentre
nelle fasce infantili e poi giovanili è molto influenzato dalla quantità, qualità e significatività delle
esperienze personali e dal livello di sviluppo e di allenamento efficace delle capacità sensopercettive.
Quando cala l’attenzione
Nel giovane praticante sportivo e nell'adulto, in condizioni normali, l'attenzione viene impiegata in
maniera economica ed efficace e cali di prestazione sono spesso da addebitarsi alla noia, alla fatica
alla mancanza di stimoli motivazionali. Inoltre, situazioni di malattia o di stress sia fisico che
cognitivo influiscono negativamente, provocando un abbassamento momentaneo delle capacità
individuali, in termini sia di attenzione sostenuta che di attenzione selettiva.
Il sistema di elaborazione delle informazioni tuttavia può andare incontro a due tipi di
inconvenienti, che ne riducono l'efficienza in maniera rilevante: il sovraccarico e il sottocarico
di informazioni, cui corrispondono, come già accennato, rispettivi “carichi cognitivi”.
Il primo effetto si verifica quando la persona deve trattare una quantità di informazione ai limiti
delle capacità del sistema e per tempi prolungati. In questo caso, vengono riscontrati dispendi
eccessivi e l'individuo avverte la sensazione soggettiva di fatica: la rapidità e l’accuratezza con cui è
portato avanti il compito diminuiscono considerevolmente e vengono commessi sempre più errori e
imprecisioni.
In una prima fase dell'affaticamento tendono a prendere il sopravvento, azioni, gesti o
comportamenti che non sottostanno a meccanismi automatizzati (abilità). A un livello successivo di
stanchezza, anche gli automatismi tendono a deteriorarsi e la persona si vede costretta a esercitare
un controllo costante per gestire anche situazioni che normalmente non richiedevano più
l'intervento della sua attenzione cosciente.
Questo intervento forzato dell'attenzione concentrata rischia di generare una sempre maggiore
stanchezza ( + stanchezza, + più controllo , + dispendio, + stanchezza, e così via) e quindi di
pregiudicare parzialmente o completamente la prestazione.
Alcuni cali di efficienza possono essere prodotti anche dall'impegno prolungato in un compito non
difficile, ma ripetitivo e monotono. Avvertita soggettivamente come noia, tale situazione è dovuta a
problemi di sottocarico informativo e ha anch'essa effetti deleteri sulla prestazione: l'errore compare
sempre più spesso e le correzioni sono particolarmente lente e inefficaci a causa della quantità via
via decrescente di risorse che il sistema recluta.
In entrambi i casi sopradescritti, la disponibilità alle distrazioni (tendenza a veder richiamata
l'attenzione residua da stimoli esterni non ricercati volontariamente) aumenta e si pagano costi
ulteriori per focalizzare di nuovo l'attenzione su indizi o segnali premonitori utili.
Può allora succedere che diminuisca o si perda la concentrazione e si abbia l'impressione di trovarci
all'improvviso con la “testa altrove”, richiamati da pensieri o da eventi di nessuna importanza
rispetto al compito che stiamo svolgendo in quel momento, sia a livello individuale che di squadra.
Ne consegue che nelle fasce infantili del minibasket e persino giovanili della pallacanestro, le
problematiche connesse “allo sviluppo e all’allenamento” dell’attenzione andrebbero considerate e
affrontate, certamente in maniera consona alle diverse età, ma sicuramente con competenza ed
efficacia. Insomma con un minimo di … attenzione !
Alla prossima !
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