Concorso per un museo a Mestre
M9
Punta della Dogana a Venezia
Tadao Ando
Form Matters - mostra a Pisa
David Chipperfield
Moschea a Firenze
Intervista a 5+1aa
alla Biennale di venezia
Valerio Olgiati
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gi o r na l e di a rc h it e t t u ra
di Roberto Pasqualetti
ISSN: 2038-1182
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Le rubriche di Ark
o
ark without ark
L’architettura senza gli architetti
7
ars hodie
A margine della Biennale di Architettura 7
7
Dall’alto della torre
Nuovi musei... e sistemi museali
8
RILIEVO E DISEGNO
Centenario muratoriano
8
Storico del III millennio
Raimund Abraham muore
9
Sul restauro
Rettitudine e felicità debbono baciarsi
9
News dal mondo
Cidade administrativa di Minas Gerais
9
r
i
Juris
Del cliente? …mai fidarsi!
10
Progetto verde
“Gazebo people”
10
a
Spazi Pubblici
Il recupero dello spazio pubblico
per la rigenerazione dei centri storici
Gumdesign
Abitare il tempo e la qualità del progetto 11
12
Architettura e natura
La qualità del progetto al centro
delle trasformazioni
12
Eventi
Form Matters
Joan Mirò. I miti del mediterraneo
Oltre lo specchio
Le Arti di Piranesi
Una storia Normale
12
Brasile
Oscar Niemeyer
a Belo Horizonte
New young architects
Architetture contemporanee in contesti
storici…“La città che cambia”
BIOARCHITETTURA
Il recupero di un borgo
13
Siti web
13
Concorsi
M9: un nuovo concetto di museo
nella terraferma veneziana
Architettura della tranquillità
14
Materie e tecno
Cor-Ten
15
Giochi. Rebus
15
LIBRI
15
La posta del cuore di Marco Petrini
In un recente dibattito pubblico si è disquisito sulla definizione di luogo di cultura: deve essere identificato come l’interno di un manufatto costruito ove sono esposte le opere
d’arte, o uno spazio aperto dove vengono svolte le manifestazioni culturali, o comunque un luogo ove si pratica un
evento culturale, ma sempre caratterizzato dalla presenza
dell’architettura? O può essere anche un luogo ideale, un sito
virtuale ove convergono tutte le immagini e illustrazioni delle
argomentazioni di eccellenza?
(continua a pagina 6)
Il centro amministrativo
dello stato di Minas Gerais
Tancredo Neves, intitolato
all’ex presidente del Brasile
Tancredo Neves (1910-1985)
che il 4 marzo di quest’anno
avrebbe compiuto 100 anni, è
stato progettato dall’architetto Oscar Niemeyer e si trova a
Serra Verde, a nord della città
di Belo Horizonte.
(articolo a pagina 9)
Per una nuova “carta d’Atene”
di Andrea Branzi
13
o
A voler scrivere un libro sull’argomento, si potrebbero riempire pagine. Non tanto di progetti realizzati, quanto di proposte rimaste
sulla carta, di concorsi mai andati avanti, di idee rimaste aspirazioni. Questa riflessione mira a rintracciare architetture italiane
realizzate da architetti italiani, giovani e meno giovani, conosciuti e meno conosciuti; architetture “quotidiane”, di interventi anche
piccoli e medi. Non grandi progetti mediatici, perché questi costituiscono un’altra finestra sull’architettura contemporanea in Italia,
una finestra privilegiata che non restituisce la misura di una diffusa, reale e meditata attenzione al significato culturale del dialogo
architettonico e urbano fra passato e presente.
(continua a pagina 2)
(Foto di Peppe Avallone)
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Il caso
Una Moschea per Firenze
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L’expo di Shangai
Architettura contemporanea
nei centri storici italiani di Francesca Oddo
Anno 0 - n. 4 - settembre/ottobre 2010 - Bimestrale - Fondatore e direttore editoriale: Roberto Pasqualetti - Direttore responsabile: Barbara Baroni - www.arknews.it/
(articolo a pagina 6)
Architettura contemporanea nei centri storici
15
Architettura contemporanea nei centri storici italiani
di Mariella Soru
(continua da pagina 1)
KBcenter a Gorizia (2006), progetto di WALTRITSCH A+U, foto di Marco Covi
L’aspirazione a contribuire alla trasformazione delle nostre città rimane spesso inappagata, e i pochi progetti che vedono la
luce rimangono episodi, esperimenti isolati, per quanto significativi. I motivi sono noti e trovano perlopiù le proprie radici
nella convinzione radicata (questa sì) che i contesti storici
non vadano “turbati”, non debbano abbracciare nuove stagioni
dell’architettura nel pericolo che la “diversità” possa creare ferite. E che pertanto la nuova architettura debba essere una pedissequa eco dell’oggetto accanto al quale si colloca. Qualsiasi
nuovo intervento in un contesto storico di qualsiasi periodo
storico richiede tatto, sensibilità, intuizione; ma è altrettanto
evidente che sotto una campana di vetro, minimamente permeabile alla novità, i nostri centri storici rimarranno perle preziose alle quali non è data la possibilità del confronto, quindi di
una nuova linfa vitale che attraverso il dialogo offra conferma
aggiornata del loro valore.
Le rare tracce di contemporaneità nelle città italiane testimoniano comunque la presenza di una volontà progettuale e di
una committenza illuminata che comincia a prendere confidenza con la possibilità dell’interazione fra storia e contemporaneità. E così, per esempio, a Lonate Ceppino il settecentesco
ex oratorio di San Michele affianca una scatola bianca, candida, liscia con un occhio trasparente sulla città (2008) firmata
DAP studio: dall’interferenza nasce una nuova vita, una nuova
occasione per vivere quel luogo, per suggerire nuove e inedite
emozioni. A Trino, in provincia di Vercelli, il programma di
riqualificazione urbana di Benedetto Camerana (capogruppo di
un più ampio team vincitore di un concorso bandito dall’ammi-
Recupero e rifunzionalizzazione delle aree centrali della città di Trino (2009),
progetto di Benedetto Camerana (capogruppo), foto di Alberto Piovano
nistrazione comunale) mira a conferire nuova unità e immagine
al centro storico medievale. Fra gli elementi architettonici di
nuova costruzione spicca il volume del teatro civico: agganciato ai prospetti in muratura attraverso una struttura portante
in acciaio, adotta una pelle costituita da una teoria di lamelle
orizzontali in corten. Filtro fra ambiente interno e ambiente
esterno, tramite di un processo osmotico fra dentro e fuori, il
rivestimento propone una nuova soluzione di orditura per la
facciata e al tempo stesso richiama nel colore i tetti in cotto del
centro storico così come gli inserti decorativi della vicina torre.
Un altro caso nel quale la componente cromatica diventa protagonista di un ruolo di mediazione, di interpretazione del
contesto, è la riqualificazione di piazza Garibaldi a Lastra a
Signa, in provincia di Firenze (2010). “Alle tre emergenze della
piazza corrispondono altrettanti spazi articolati che pur vivendo
di vita propria si integrano tra loro secondo un disegno ‘contemporaneo’ ma delicato e attento alle preesistenze nel tentativo
di esaltare le qualità delle singole porzioni di spazio urbano”,
ha affermato la giuria del concorso a proposito del progetto di
NEOSTUDIO (Eleonora Burlando e Riccardo Miselli). I materiali
e i colori diventano gli strumenti per creare un dialogo fra
passato e presente: se la pavimentazione in cotto richiama
le cromie di alcuni degli edifici che prospettano sulla piazza,
il corten offre l’alternativa materica aggiornata, proponendo
una sfumatura che fa eco alle preesistenze. Come in un ciclo di voci che si richiamano con obiettivo corale. Che non
a caso è anche quello intrinseco al concetto di piazza. A Gorizia, fra il 2006 e il 2010, Dimitri Waltrisch è autore di ben
due lavori sul centro storico: il KBcenter, centro di interazione
sociale e culturale dedicato alla comunità slovena cittadina,
e la Mediateca provinciale Ugo Casiraghi. Il primo sorge nel
cuore della città ottocentesca ed il suo volume, risultato della
scomposizione di un cubo, presenta una pelle di legno color
del miele popolata da una serie di ampie aperture che permet-
committenza –pubblica e privata- coraggiosa e intelligente, sensibilizzata per la sua posizione geografica anche dal linguaggio
di Oltralpe, ha consentito e consente ai progettisti di elaborare
strategie di interazione fra architettura storica e architettura
contemporanea che si rivelano molto spesso efficaci, eleganti,
garbate, fertili. Non si tratta di soluzioni strillate o marcatamente eccentriche, quanto di un modo di fare architettura responsabile, consapevole del momento storico nel quale si opera. Progettare architettura contemporanea, in questa regione, è
un gesto naturale, spontaneo, auspicato. L’impianto sportivo in
prossimità del centro storico di Cengles, la stazione ferroviaria
di Malles, la casa della cultura di Sluderno, il centro visitatori “Castel Trauttmansdorff” di Merano, l’intervento di recupero
del Forte di Fortezza (e l’elenco potrebbe continuare) sono la
testimonianza di una diffusa formazione e inclinazione ai lin-
Piazza Garibaldi a Lastra a Signa (2010), progetto di NEOSTUDIO, foto di
Benedetta Mori
Casa a Laces (2009), progetto di Jürgen Wallnöfer, foto di René Riller
tono l’interazione fra interno ed esterno, fra spazio costruito e
giardino, fra architettura contemporanea e architettura storica. “Un luogo dove gli spazi della città storica convivono con
un’architettura che segna la volontà di proiezione nel futuro.
Un segno dell’apertura in atto nella città”, spiega Waltritsch.
Con la mediateca il progettista torna sul delicato rapporto fra
passato e presente adottando una facciata costituita da una
serie di pannelli di vetro serigrafato a tinta unica che riprendono le tonalità delle facciate del patrimonio edilizio esistente.
Ma non è solo l’architettura a tentare il dialogo con il centro
storico; spesso è anche l’arte contemporanea, attraverso installazioni, sculture in materiali inediti, originali regie luminose.
Anche i cantieri possono essere l’occasione per generare interazioni con la memoria dei luoghi: a Modena, durante il restauro
e il consolidamento della medievale Torre della Ghirlandina, il
Comune ha assegnato all’artista Mimmo Paladino l’incarico di
disegnare un telo che ammantasse il ponteggio.
Il Trentino Alto Adige è poi fra i territori italiani più virtuosi nel
confronto fra architettura contemporanea e centri storici. Una
guaggi attuali. Difficilmente qui i concorsi pubblici rimangono
lettera morta: al contrario il numero dei concorsi che arrivano
all’architettura realizzata è alto, e i risultati sono all’altezza.
Anche la committenza privata sostiene questa direzione. Casa
Ganterer a Fortezza di Gerd Bergmeister (2006), per esempio,
si affianca ad una cappella del XV secolo e ad una struttura
alberghiera in stile castellano riproponendone le tinte attraverso una facciata a vetri rosso cupo che al tempo stesso ne
riflette le sagome. La casa a Laces (2009) di Jürgen Wallnöfer
va oltre e si lascia penetrare, attraverso un elegante volume a
vetri, dall’immagine del centro storico. Si stabilisce quindi un
rapporto di scambio reciproco, di sinergia, di comunione, sottolineato anche dal muro di recinzione in pietra locale, quasi
uno slancio in orizzontale ad abbracciare il centro storico.
Sono solo alcuni casi, quelli illustrati, eppure indicativi di una
volontà mirata ad aggiornare la cultura progettuale contemporanea. Una volontà ancora poco radicata, embrionale e timida
nel suo processo di diffusione, che comunque inizia a dare vita
a frutti interessanti e che, proprio per questo, andrebbe sostenuta, incoraggiata, promossa.
Casa Ganterer a Fortezza (2006), progetto di Gerd Bergmeister,
foto di Robert Fleischanderl
numero 1:: marzo / aprile 2010
I PROGETTI PIUSS
Dalla lettura dei progetti PIUSS
si possono ricavare i futuri
“scenari urbani” delle città
toscane
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Il nuovo giornale bimestrale di architettura
numero 2:: maggio / giugno 2010
ARCHITETTURA
CONTEMPORANEA NEL
PAESAGGIO TOSCANO
Gli interventi più significativi
realizzati negli ultimi anni nel
territorio toscano ci danno una
chiara indicazione di come è
possibile integrarsi nel paesaggio
aggiungendo la qualità del
contemporaneo
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settembre / ottobre 2010
Biblioteca Lonate Ceppino
E se un’architettura contemporanea si accostasse ad un oratorio del Settecento? DAP studio di Milano (Elena Sacco e Paolo Danelli) ha dimostrato che la cosa non solo è possibile,
ma che si possono creare delle interazioni fra il linguaggio della contemporaneità e quello
della memoria senza produrre ferite, senza strappi. Anzi, coinvolgendo le due architetture
in un unico gioco di volumi e di richiami, facendole diventare l’una anima dell’altra. Accade a Lonate Ceppino, in provincia di Varese, dove DAP studio è stato impegnato nel lavoro
di restauro dell’ex oratorio di San Michele – sconsacrato e adibito a biblioteca civica- e
nella realizzazione dell’ampliamento della biblioteca stessa.
di Francesca Oddo
Sopra le logge 2010
L’accostamento fra i due corpi è avvenuto con garbo e sensibilità, sfruttando colori e
materiali come strumenti di interazione. Entrambe candide, le due architetture si confrontano adottando materiali diversi, eppure vicini per gradazioni e tonalità. Il confronto
avviene anche per interferenze: la ricerca decorativa della facciata opaca dell’oratorio
di Azzurra Macrì
interagisce con la superficie di rivestimento liscia, addirittura riflettente del nuovo volume. “La dialettica
tra edificio storico e nuovo ampliamento è la chiave di lettura di tutto
l’intervento -spiegano i progettistied è il tema che ha orientato le scelte progettuali. Il rapporto tra le due
presenze è stato giocato contrapponendo matericità e leggerezza, solidità ed instabilità, materiali opachi e
materiali riflettenti”.
Il nuovo volume è pensato come un
guscio leggero in lamiera bianca forata su tutti i lati. In corrispondenza
delle retrostanti aperture la lamiera
si sovrappone alterando il diametro
dei fori, i quali si allargano per fare
passare la luce all’interno. Dall’esterno, l’effetto prodotto è quello di una
perdita di consistenza dell’involucro.
L’ampliamento accoglie i collegamenti verticali, i locali di servizio,
il magazzino e i montanti degli impianti. Inoltre, all’ultimo livello, lì
dove la copertura diventa in angolo
trasparente, quasi a catalizzare la
luce esterna e a proiettare quella artificiale di notte verso il cielo, si trova uno spazio per una lettura più intima. Il volume
preesistente ospita al piano terra la zona reference con piccola emeroteca in prossimità
della zona di ingresso, l’area bambini, le scaffalature e i tavoli per la consultazione; mentre al piano superiore la sala delle capriate è stata concepita uno spazio polifunzionale e
flessibile, destinato ad ospitare convegni ed esposizioni. I due volumi sono collegati al
primo piano tramite una passerella in legno.
Dotato di copertura vetrata, il corpo di congiunzione diventa, con il buio, una grande
lampada che proietta la luce interna verso l’alto, nel vuoto che separa i due volumi. C’è
un altro elemento, infatti, che predispone i due corpi al dialogo: è la luce, che di giorno
li abbaglia e li distingue, producendo un’atmosfera di nitore quasi etereo, e di notte li
avvicina attraverso un gioco di equilibri luminosi votato a sposare le due architetture in
un’unica entità.
Nel cuore di Pisa vive un’importante opera di architettura contemporanea. Significativa in quanto capace di proporre linguaggi attuali e di stabilire una fertile
interazione con uno dei monumenti architettonici più rappresentativi della città
Foto di Luigi Filetici
http://www.dapstudio.com
storica. La prima è il nuovo edificio “Sopra Le Logge”, guscio
della promenade verticale che
consente l’accesso all’ottocentesco Archivio di Stato di Pisa,
il secondo è il complesso “Logge di Banchi”, l’antico mercato
della lana e della seta realizzato dal Buontalenti all’inizio del
Seicento. Queste due presenze
convivono, si guardano, si confrontano, stabilendo un dialogo
sinergico e corroborante per
entrambe: se il segno contemporaneo basa le sue premesse
sulle tracce dell’edificio medievale originario, quello della
memoria assume nuova linfa
vitale attraverso la vibrante
e vivace atmosfera generata
dal volume appena realizzato.
Il progetto, firmato da Roberto Pasqualetti, si inserisce nel
centro storico della città con
eleganza, garbo ed equilibrio:
una pelle bruna in corten – resa a tratti trasparente grazie all’utilizzo di lastre di
vetro nutrite da una sottile rete di rame e ottone- avvolge le scale e l’ascensore in
ferro e vetro che, attraverso ampie vedute sulla città e sugli ambienti di rappresentanza dell’adiacente Palazzo Gambacorti, permettono di accedere all’Archivio
di Stato, situato al primo piano delle Logge. E così la pietra, materiale atavico, si
confronta con l’acciaio corten, materiale di gusto contemporaneo, in uno scambio
serrato fra suggestioni del passato e innovazioni del presente.
Il rapporto con la memoria avviene anche alla scala del tessuto urbano: il nuovo
edificio insiste sulle stesse fondazioni di quello originario di epoca medievale.
“Il linguaggio architettonico della nuova costruzione, pur utilizzando tecnologie
attuali come quelle del cemento armato, della carpenteria metallica e del vetro,
si ispira alla conformazione delle antiche case torri medievali”, spiega il progettista.
Al momento il primo piano delle Logge di Banchi è di proprietà del Ministero dei
Beni Culturali: l’obiettivo del Comune di Pisa è di acquisire l’edificio attraverso
un accordo mirato al mantenimento dei documenti storici. L’Archivio potrà inoltre
ospitare mostre, convegni, eventi culturali. L’intervento fa parte di un più ampio
programma di recupero, promosso e finanziato dal Comune di Pisa, che prevede anche il restauro del portale seicentesco d’ingresso e della facciata di Palazzo Gambacorti su via Toselli e quello delle facciate e del tetto delle Logge di Banchi.
Foto di Mario Ciampi
settembre / ottobre 2010
3
Intervista a 5+1aa Alfonso Femia Gianluca Peluffo a cura di Francesca Oddo
tivo e di incontri pubblici. A poche centinaia di metri, una villa
ottocentesca senza particolari valori artistici, ma con un ruolo significativo per la storia e la memoria della città, diventa il
luogo del presente e del futuro, un luogo dedicato ai bambini
e alla scoperta del mondo attraverso la riscoperta di Gianni
Rodari, che “riscrive” sedici filastrocche attorno ad una scala
ed un ascensore e che ci accompagnano nella contemporanea scoperta della città e del suo paesaggio, in un gioco tra
interno ed esterno che mette in una sequenza verticale una
biblioteca, una ludoteca, un auditorium/teatro. Edifici “piccoli” ma grandi nel significato, che “costruiscono” la provincia,
dei piccoli grandi centri “storici”. La vera Italia.
Ricostruzione di San Giuliano di Puglia (2009), progetto 5+1AA Alfonso
Femia Gianluca Peluffo, foto di Ernesta Caviola
Con quale filosofia e con quali obiettivi affrontate il dialogo
fra sensibilità contemporanea e memoria storica?
La nostra sensibilità contemporanea è la luce di una pila con
la quale illuminiamo il passato. Il riflesso di quella luce illumina il contemporaneo in certi suoi lati bui.
Più semplicemente, il passato è un luogo di ricerca infinito,
perenne e non nostalgico. La sua forza rivoluzionaria è sprigionabile solo in rapporto alla contemporaneità.
Il tempo è infatti il mistero più grande, fondamentale la scelta
poetica e sensuale obbligatoria. è l’enigma al quale rispondere con enigmi in forma di edifici.
Ecco, noi costruiamo edifici che sono enigmi, così come la
contemporaneità ha angoli bui, ed il tempo è un mistero.
L’Italia sembra procedere con eccessiva prudenza verso le
possibili interazioni fra nuove sperimentazioni linguistiche e
paesaggio urbano consolidato. A che punto è, secondo voi,
questo cammino? In che misura i centri storici italiani sono
pronti ad accogliere l’innovazione?
Questa domanda si collega molto alla risposta precedente.
Se immaginiamo la storia come fonte perenne di raggi di luce
ed enigmi, allora vediamo che la città è la più grande rappresentazione di questa idea di storia. La città è assolutamente
il luogo di ricerca e di elaborazione di domande e stimolazioni condivisibili. Quando parliamo di città, parliamo di noi,
della nostra specificità. Perché, nonostante i cinici pensino di
reiterare il loro patetico e temporaneo potere, raccontandoci
che la città italiana e la sua identità non esistono più, o che
è o un retaggio locale e minimo, noi crediamo fermamente
nella Realtà del territorio, nelle sue eccezionalità umane e
poetiche, che sono quanto di più specifico, resistente, stimolante ed interpretabile possa essere. I luoghi e le città
hanno smesso di esistere solo negli occhi di chi non riesce
a rinnovarne l’interpretazione. Nell’ipocrisia e nel cinismo del
potere di un giorno. Identità, bellezza, specificità continuano
a rinnovarsi nei nostri occhi, nei nostri cuori e, vorremmo, nei
nostri edifici.
Parecchi dei vostri progetti affrontano il rapporto fra passato
e presente. Con sguardo sempre diverso – questa è la sensazione che suggeriscono- i vostri lavori si confrontano con
altrettante realtà architettoniche e urbane, dai siti di archeologia industriale ai centri storici veri e propri. Cominciamo dal
Centro Espositivo San Giovanni e dalla biblioteca/ludoteca/
auditorium nella ex Villa Sottanis, entrambi a Casarza Ligure:
come avete affrontato il confronto con le preesistenze?
I progetti per Casarza Ligure si muovono con lo scopo preciso di sensibilizzare una città che per troppo tempo si era
preoccupata esclusivamente di creare opportunità di lavoro
sul suo territorio e di fare crescere i suoi abitanti. Tutto ciò
aveva portato a degli importanti successi politici ed economici ma allo stesso tempo si era persa la capacità di fare
crescere l’identità pubblica della città che necessariamente
si identifica con spazi e funzioni pubbliche. L’Amministrazione Comunale ha ben compreso questa nostra riflessione e
la conseguente necessità di “costruire”, attraverso due occasioni differenti, questo obiettivo. La nostra sfida si è quindi
confrontata con due progetti di piccole dimensioni ma che
alla fine hanno prodotto nuovi valori per la città. Un piccolo
edificio di 350 mq diviene dispositivo percettivo di un contesto tipico degli ultimi quaranta anni italiani, fatto di svariate
tipologie edilizie caratterizzati da protuberanze spontanee,
il tutto a poca distanza dal manufatto architettonico più importante di questi luoghi: una piccola chiesa millenaria che
sovrasta il paesaggio della città contemporanea. L’Edificio
è completamente introverso nel dialogo con il Municipio ed
estremamente estroverso, attraverso due grandi ed uniche
finestre, verso il contesto “umano”. Non volge le spalle a ciò
che usualmente definiamo “brutto” o senza valore, in quanto
questo è il reale, è tutto ciò che in qualche maniera ci rappresenta o rappresenta una storia, e pertanto tutto questo lo
mettiamo in scena, tutto ciò diventa protagonista, attraverso
gli occhi di un edificio di architettura, un nuovo luogo esposi-
4
grafia o nel culturismo dell’architettura del presente. Dietro
ad una scelta di apparente modestia, quella ipogea e quella
di una “non forma” architettonica (la galleria-collina di Carrà),
si nascondeva una dichiarazione di guerra alla superficialità
della teoria del “non contesto”, del “non luogo”, del “non specifico”. è un progetto profondamente politico, profondamente italiano, radicalmente specifico ed identitario. Per questo
è stato odiato e quindi ignorato dalla critica, e combattuto
nella realizzazione da politici e addetti ai lavori, che avrebbero preferito una gesticolazione firmata di cui vergognarsi,
ma che fosse assertiva e priva di dubbi.
Con la ricostruzione di San Giuliano di Puglia, insieme al
confronto con la città consolidata, c’è la realtà del trauma,
fisico per il territorio, psicologico per la popolazione, che con
il terremoto ha perso anche la traccia materiale della propria
memoria abitativa. Un caso più complesso e delicato… Qual
è stata la vostra risposta?
Qui tornano i temi del tempo e dell’identità, come due grandi
misteri ed enigmi. Molta della bellezza, o della tenerezza,
delle nostre piccole città, anche in quelle parti autocostruite e “brutte”, sta nel lavoro del tempo e dell’umanità che lo
attraversa, con la sua polvere mai opaca. Ricostruire dopo il
dolore della distruzione, in poco tempo specificità ed identità, umanità, è sempre una sfida ciclopica. Disumana appunto. Abbiamo provato a lavorare sulla tenerezza della “casa”,
nei sui elementi riconoscibili (tetto inclinato, volumi aggiunti,
scale esterne, intonaco, infisso in anodizzato), aggiungendo,
attraverso lo stupore, più temperato possibile, dei colori della
terra, la riconoscibilità della singola famiglia, della singola
proprietà. Non è stato un lavoro sulla nostalgia, e tantomeno
una messa in forma di dolore o umiltà. E’ stato un delicatissimo gioco di equilibrio con il tempo e la riconoscibilità,
con il dolore e l’orgoglio. Tutte le volte che torniamo lì, vediamo un piccolo passo in più, una oscillazione meno ampia di
quell’equilibrio instabile.
E quando intervenite su ex edifici industriali qual è la riflessione che guida i vostri progetti? Penso al Museo del Giocattolo di Cormano piuttosto che ai Docks di Marsiglia…
In questi due casi, è così forte la differenza e la carica “disorientante” delle nuove funzioni (un museo del giocattolo,
uno spazio commerciale-culturale-urbano giunto tra il centro
storico e la città del futuro) rispetto all’esistente, industriale o portuale, che abbiamo dovuto ricorrere a suggestioni
quasi provocatorie, da mocciosi…da bambini che fanno la
ricerca strappando le pagine dell’enciclopedia comprata a
rate. La zebra-tigre in forma di edificio, l’aereo e il tappeto, sono elementi usati in modo infantile per creare enigmi
necessariamente divertenti. Magari anche una risata. O la
bocca aperta di un bambino davanti al pop-up di un rinoceronte. Ripensare al nuovo ruolo di questi edifici, non solo dal
punto di vista funzionale. Occorre poter cogliere l’occasione
per poter inventare “nuovi” luoghi e allo stesso tempo poterli
rivestire anche di significati poetici e simbolici. Elementi che
ritroviamo nei luoghi, nell’anima degli edifici esistenti nella
loro vocazione di sapersi trasformare senza perdere la propria identità. Un pragmatismo visionario guida la volontà di
realizzare dei sogni.
Biblioteca, ludoteca e auditorium nella ex Villa Sottanis a Casarza
Ligure (2008), progetto 5+1AA Alfonso Femia Gianluca Peluffo,
foto di Ernesta Caviola
Altro caso ancora diverso –sia per la sua collocazione, sia
per le vicende ad esso legate- è il nuovo Palazzo del Cinema
di Venezia. Nella relazione del progetto leggo: “È città o territorio? È luogo o memoria? È presente o passato?”: dove vi
hanno portato queste riflessioni?
Qui si è trattato di un lavoro davvero sulla specificità di un
luogo, che urlava nostalgia, metafisica, magia e passato.
Unita ad una volontà, nostra, di urlare il nostro NON essere
sottosviluppati, ed alla necessità di creare un edificio che
fosse un simbolo internazionale senza cadere nella porno-
Docks di Marsiglia (in corso di realizzazione), progetto 5+1AA
Alfonso Femia Gianluca Peluffo, rendering 5+1AA
All’inizio dell’estate, durante il convegno LAVORI PUBBLICI. Progettare architetture per la collettività. Riflessioni sul
significato di opera pubblica, organizzato dal Comune di
Modena, avete sottolineato come il vostro modo di intendere
il rapporto fra edilizia pubblica e architettura sia fondato su
una profonda aderenza ai temi della contemporaneità. Come
reagiscono a questa vostra vocazione la “città” italiana e il
suo “pubblico”?
La reazione che noi causiamo non ci interessa. Ci interessano le conseguenze, spesso lunghe e silenziose, del meccanismo di condivisione che mettiamo in atto praticando, per
quello che riusciamo, poetica e sensualità, enigma e specificità. La nostra idea di architettura come missione pubblica
e politica, sta nella ricerca di una modalità di condivisione.
Questa battaglia implica l’idea di un’Architettura che sia
“Corpo”, che cerchi il piacere, che abbia fisicità, sensualità, soggettività ed unicità per potersi relazionare e per poter
evitare il monologo: una architettura come “corpo sessuato”, portatrice appunto di soggettività, sensualità, piacere, e
quindi di incontro/dialogo/polifonia/visione/realtà. Se, quindi,
lo scopo prioritario della nostra architettura è la condivisione,
intesa come incontro fra la percezione sentimentale del singolo e la conoscenza collettiva, allora il concetto di “vedere
la realtà”, assume un ruolo centrale proprio nella costruzione
del corpo dell’architettura. Semplicemente, la realtà, la sua
percezione e conoscenza, è l’unica verità possibile da perseguire e praticare in architettura. I nostri edifici sono enigmi
che hanno come tema la percezione della realtà.
Negli ultimi anni state lavorando parecchio in Francia. In che
modo è inteso il rapporto fra l’architettura contemporanea e i
centri storici? Che differenze ci sono rispetto all’Italia?
La Francia, è noto, crede dal 1971 che l’architettura sia un
bene di interesse pubblico e pertanto ha in questi decenni
conferito un ruolo importante e significativo al progetto e al
ruolo dell’architetto nell’atto della trasformazione della realtà.
Il sistema permette un confronto leale ed aperto, che in qualche maniera richiede forti responsabilità e preparazione su
tutto il processo progettuale. Sono occasioni affascinanti ed
energetiche che in poco meno di due anni ci hanno permesso di confrontarci con oltre dieci città diverse tra cui Parigi,
Marsiglia e Bruxelles.
Il progetto sui Docks e sull’area del Velodrome di Marsiglia
o sulla Citè de la Monnaie et de l’Economie di Parigi sono
alcuni dei concorsi ai quali siamo stati invitati a partecipare
e che nel loro sviluppo ci ha fatto comprendere come il rapporto con la storia sia più diretto e coraggioso, rispettoso ma
non supino ad una immobilità intellettuale che sovente non
è capace di prendersi responsabilità e/o visioni coraggiose,
spesso indisponibile a porre le basi di un dialogo sincero
e profondo. L’idea che lo Stato creda nella costruzione di
luoghi pubblici di condivisione e rappresentazione, luoghi
dove praticare l’incontro fra i sentimenti del singolo, ed il suo
essere parte di una collettività, in termini di conoscenza e di
politica, è un insegnamento quotidiano, un percorso, tecnico, professionale etico e politico al quel abbiamo deciso di
partecipare attivamente. Anche per meglio combattere da
sottomarini, in Italia.
settembre / ottobre 2010
Restauro di Punta della Dogana
Venezia - Fondazione François Pinault - Tadao Ando, 2007-2009 - di Silvia Andreussi
Il complesso, allineato lungo l’asse est-ovest, è costituito dal torrino che conclude verso est un lotto triangolare
occupato dai magazzini (realizzati da Giuseppe Benoni a
fine Seicento, e adibiti al deposito del sale), composti da
una serie di campate, di luce variabile e profondità decrescente. Una successione di archi a tutto sesto marca la
scansione delle campate; ciascuno dei portali consentiva
l’accesso ai vani a tutta altezza dei magazzini coperti con
un sistema di tetti a capanna contigui, originariamente
impostati su una sequenza di spessi setti murari paralleli
costruiti perpendicolarmente ai due canali. Nel Novecento
i magazzini della Dogana subirono lavori di adeguamento
strutturale che interessarono, soprattutto, i soppalchi e le
coperture, compiuti senza considerare i caratteri costruttivi dell’edificio seicentesco.
Ando, con profondo rispetto per l’edificio, ha rimosso tutte
le partizioni aggiunte, allo scopo di ripristinare le forme
originali della primissima costruzione, riportando alla luce
le pareti in mattoni e le capriate. In posizione baricentrica
rispetto all’impianto triangolare del complesso, ha inserito un nuovo spazio a tutta altezza, all’interno di uno dei
magazzini mediani, in cemento armato lisciato e lucido.
In accordo con il timbro materico degli elementi in calcestruzzo architettonico (le anime tecniche e il “cubo” al
centro del museo), Ando ha scelto la pavimentazione tradizionale veneziana (i “masegni”) per la corte centrale. Nel
resto del museo, i pavimenti sono realizzati in cemento
(piano terra) ed in linoleum (primo piano).
Esternamente sono state recuperate le facciate originarie,
ad eccezione delle aperture, completamente sostituite. Il
disegno delle nuove porte e finestre, nonostante la modernità degli elementi in acciaio e in vetro, attinge di fatto
all’artigianato veneziano tradizionale e alla memoria Scarpiana. La copertura è stata restaurata recuperando quasi
interamente le capriate lignee originarie, e inserendo dei
i pavimenti, vetro per i parapetti, metallo per i canali e le
reti degli impianti) con l’esistente (capriate lignee e murature in mattoni), risulta legato armonicamente attraverso
una cura notevole del dettaglio, un’essenzialità di segni
e lo studio di simmetrie e moduli: dal taglio nel modello
grandi lucernari aperti per l’illuminazione naturale nelle
sale del museo.
L’attento e naturale contrasto di toni dei materiali di intervento (calcestruzzo per le pareti, pietra e cemento per
trilitico (fra trave e appoggi) nelle aperture superiori della
corte centrale, al distacco della scala dalle pareti verticali,
al dialogo dei nuovi volumi, discostati dalle murature preesistenti e dalle strutture di copertura, con l’invaso originario, riportato a un fondale omogeneo.
Grazie all’incontro di elementi antichi e nuovi, l’edificio di
Punta della Dogana unisce diversi momenti temporali, in
una città alla ricerca di un equilibrio, mai definitivo, tra
memoria del passato ed esigenze del presente, tra museo
diffuso e luogo del vivere quotidiano.
www.palazzograssi.it/index.html
Francesco Dal Co (cur.), “Tadao Ando per François Pinault”, Electa, Milano, 2009
Appunti dalla Biennale di Venezia
Fra le molte suggestioni e spunti alla riflessione che, come ogni edizione, la visita alla
Biennale suggerisce, vogliamo riportare alcune immagini e il testo dell’architetto svizzero Valerio Olgiati per l’illustrazione dei suoi
progetti.
R.P.
Il modello non presenta una contestualizzazione fisica. L’edificio dà semplicemente
l’impressione d’essere sradicato dal suolo, e
viene mostrato con le fondamenta visibili,
totalmente sollevato e fuori contesto.
Si può creare una architettura che non sia
principalmente contestuale.
Negli ultimi vent’anni o più, la richiesta di
contestualizzazione è diventata inevitabilmente compulsiva, principalmente nei progetti fondati su atteggiamenti e posizioni
di natura etica. D’altro canto l’architettura
può essere sviluppata a partire da un’idea,
da un concetto, e questa idea o concetto non
ha fondamentalmente nulla a che fare con
il contesto. I templi e le chiese si possono citare quali esempi storici. Un ulteriore
caso esemplare sono le stalle in Svizzera. Che
sono edifici magnifici e quasi tutti, senza eccezione, non contestuali. Essi sono nati da
un’idea che non è finalizzata al contesto e
non risponde ad esigenze di natura economica, tecnica o funzionale. E’ possibile progettare edifici fondati sulle idee e rispecchianti
l’intelligenza culturale dei tempi moderni.
www.olgiati.net
settembre / ottobre 2010
5
Architettura e luoghi di cultura L’expo di Shanghai
di Roberto Pasqualetti
La rete e tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo a
disposizione, sembrano avere la potenzialità di riprodurre,
anche se solo virtualmente (ma non vi sono anche in molti
musei esposizioni virtuali?) ogni possibile tema. è evidente
allora l’esigenza di chiarire il rapporto fra l’architettura e la
cultura rispetto al concetto di identità: un luogo di cultura
è espressione dell’architettura presente nel luogo stesso;
viceversa l’architettura rappresenta la cultura della città, e
la città è l’immagine della società.
Ma oggi si assiste all’indebolimento di tutte le appartenenze sociali, culturali, religiose, economiche, e via dicendo,
che hanno costituito i limiti entro i quali si è formata ed
è cresciuta la nostra identità. E anche l’appartenenza al
territorio nel quale si vive risulta indebolita dalla percezione globalizzata, come abbiamo detto, attraverso i mezzi
di comunicazione. Abitiamo in un luogo, ma abbiamo la
possibilità di vedere ed immaginarci continuamente altri
luoghi del mondo. Possiamo riappropriarci del luogo ove
abitiamo perchè condividiamo, se c’è, la sua riconoscibilità.
Per il suo paesaggio naturale, per la presenza di contesti
storici, per la presenza di nuove architetture che esprimono
valori estetici e simbolici contemporanei; in sostanza per
la sua qualità. Ma possiamo sentirci in sintonia anche con
luoghi lontani, perchè ne abbiamo apprezzato attraverso le
immagini virtuali le caratteristiche peculiari, perchè condividiamo la qualità del sistema e l’ordine delle cose materializzate. Viviamo in una civiltà elettronica che fa correre
tutto, moltiplica le immagini, fa vivere in tempo reale gli
avvenimenti anche i più remoti. Sentiamo di abitare, grazie
ai nuovi media, come all’interno di un unico sistema nervoso in cui basta toccare una diramazione periferica per avere
ripercussioni, in tempo reale, su di noi. Ha senso allora
identificare un luogo di cultura con un luogo fisico legato
alle specificità del suo territorio?
In questa ottica un luogo come quello dell’expo internazionale di Shanghai potrebbe essere in questo momento,
il migliore punto di osservazione, almeno per la cultura
dell’architettura. Better city, better life, visto che viviamo sempre più numerosi nelle città, è lo slogan idealiz-
Per una nuova “carta d’Atene”
(continua da pagina 1)
zato. Ma non solo. La partecipazione così massiccia della
popolazione, soprattutto cinese (oltre 160mila fruitori al
giorno) all’evento fa ben sperare per una futura auspicabile
riappropriazione dei temi dell’architettura da parte di tutti.
Questo sarebbe veramente il passo importante per ridefinire
i luoghi di cultura (come architetto tendo a generalizzare
identificando l’architettura, nel suo significato più ampio
di trasformazione del territorio da parte dell’uomo, con la
cultura): tutti i luoghi del mondo dove il paesaggio dell’architettura è condiviso e partecipato. Magari partendo dal
progetto; ma questo in Cina non è ancora possibile. E forse
nemmeno in Italia.
di Andrea Branzi
(continua da pagina 1)
Dieci modesti consigli per una nuova Carta di Atene
1. La città come una favelas a alta tecnologia.
2. La città come un computer ogni 20 mq.
3. La città come luogo di ospitalità cosmica.
4. La città come un tutto-pieno microclimatizzato.
5. La città come un laboratorio genetico.
6. La città come un plancton vivente.
7. Ricercare modelli di urbanizzazione debole.
8. Realizzare confini sfumati e attraversabili.
9. Realizzare infrastrutture reversibili e leggere.
10. Realizzare grandi trasformazioni attraverso microprogetti.
Questi progetti non sono destinati a essere realizzati.
Non sono utopie per la città del futuro ma riflessioni sulla città del
presente.
Il mondo è cambiato ma la cultura del progetto non è ancora cambiata.
La città attuale non è più un insieme di scatole architettoniche ma un
territorio di uomini, servizi, oggetti, informazioni, relazioni immateriali.
I modelli di urbanizzazione debole cercano di fare convivere architettura
e agricoltura, tecnologia e meteorologia, le merceologie con le vacche
sacre.
Infinities
Noi oggi viviano in un mondo che non ha più un esterno, né politico né
geografico; un mondo globalizzato costituito dalla somma di tante crisi
locali economiche e ambientali.
Un mondo infinito ma non definitivo: illimitato ma con limiti di sviluppo; monologico ma ingovernabile; senza confini ma privo di una immagine globale.
Un mondo costituito da tanti mondi; opaco, inquinato, dove tutto si
fonde e si espande; per sopravvivere esso deve riformarsi quotidianamente con nuove leggi, nuovi statuti, nuovi progetti, per gestire il
proprio indotto fuori controllo. Ogni intervento deve essere reversibile,
incompleto, elastico, perchè tutto ciò che è definitivo è pericoloso.
Un mondo infinito il cui spazio è riempito dai corpi di sette miliardi di
persone, da flussi di informazioni e da un numero incalcolabile di merci,
che formano cerchi, aggregati e vibrazioni che riempiono totalmente la
scena urbana. L’unica riforma possibile della città è da cercare all’interno degli spazi interstiziali, nelle economie domestiche, nelle relazioni
umane; all’interno della nostra mente.
6
settembre / ottobre 2010
Le rubriche
ark without ark
L’architettura senza gli architetti
Nel precedente numero vi ho parlato del San Matteo sul
lungarno pisano quale esempio di architettura urbana i cui
valori sono leggibili, non nel risultato dell’ attenta regia di
uno o più abili accademici del progetto, bensì nella feroce
stratificazione storica di interventi che, oltre che anonimi,
hanno in comune una certa sfacciataggine verso ciò che
precede in ordine di tempo.
Un’analisi di questo gruppo di edifici, costruito nell’arco
di 6 secoli, sarebbe una buona riflessione sul tema dell’inserimento dell’architettura contemporanea in un contesto
storico.
Esiste però un esempio ancora più efficace, e molto più celebre, per sovrapporre questa rubrica allo stimolante argomento: il “sistema” composto da Palazzo Vecchio, gli Uffizzi ed il Ponte Vecchio a Firenze. Quest’ultimo, come già
detto su queste pagine, con il disordinato sovrapporsi delle rinascimentali botteghe di macellai (ora orefici) protese
e sostenute sul fiume da leggeri ed altrettanto disordinati
puntoni di legno, è uno dei maggiori esempi mondiali di
“architettura senza architetti”, o di “architettura spontanea”, che dir si voglia. La sua fortunosa genesi, estranea
a qualsiasi pianificazione compositiva, rileva, tra l’altro, il
valore, più funzionale che monumentale, che si attribuiva
ai ponti, anche in un contesto urbano. Lo evidenzia l’atteggiamento tenuto da Vasari nel passare sopra il ponte
con il suo corridoio: sobrietà, punto e basta. (il corridoio
vasariano collegava e collega Palazzo Vecchio a Palazzo
Pitti). Certamente diverso dall’atteggiamento che invece
tenne nell’ampliamento degli spazi dell’amministrazione
Medicea (gli Uffizi) dove il tema della modernità, quando
si affianca a ciò che l’ha preceduta, trova uno sviluppo
trionfale e paradigmatico: la nitida ed esatta geometria di
intonaco e vetro, bianca e grigia, leggera e permeabile, si
affianca alla lapidea gravità ed alla fortificata monumentalità del Vecchio Palazzo. Ciascuno dei due espressione del
potere nel suo tempo, ciascuno dei due scritto, a questo
fine, nell’appropriato linguaggio. L’uno accanto all’altro,
senza soggezione e senza incertezze. Vasari scrivendo con
i mattoni questo pezzo di Firenze mette in primo piano
non i problemi “dell’impatto del vecchio sul nuovo” (gli
Uffizi apparvero come una astronave agli occhi dei fioren-
di Luca Difonzo
tini) bensì le finalità: aggiungere un tassello funzionante
di città. La città è come un libro infinito: ogni epoca deve
raccogliere il manoscritto ricevuto dalla storia e proseguirlo per consegnarlo al meglio alle generazioni future. La
città è questo successivo stratificarsi di capitoli, correzioni e note a piè di pagina, un imprevedibile romanzo a più
mani in continua evoluzione ed involuzione e privo, ovviamente, di regia (almeno fino a quando non sarà inventata
la macchina del tempo!). Ogni nuovo capitolo o paragrafo
del romanzo trova il suo senso ed il suo valore all’interno
del racconto e mai autonomamente come esercizio di stile
o di linguaggio. Il linguaggio, però, non può che essere,
per sua definizione, altro che contemporaneo. Mettere in
discussione questo ci fa somigliare a degli scrittori che
riunitisi per discutere di letteratura si affaccendano su
grammatica, sintassi e punteggiatura dimenticandosi che
la letteratura è soprattutto racconto.
Al lettore che pensa di scorgere in queste righe un qualche
riferimento alla polemica che da ben 12 anni accompagna
la realizzazione del progetto vincitore del concorso per la
nuova uscita degli Uffizi, vinto dal giapponese Arata Isozaki, dico che ha visto giusto e che mentre la nostra lingua
e la nostra penna ben si affaccendano in queste digressioni, non altrettanto fanno le nostre gambe, che con quelle
si legge l’architettura. Mi appresto quindi a mettere la mia
bici sul treno per fare una lunga, meglio se silenziosa,
passeggiata a Firenze, seguita da una bella ribollita ed un
bicchiere di chianti.
Per approfondimenti: 43°46’07’’N 11°15’20’’E
Per il progetto di Isozaki:
http://www.de-architectura.com/2010/02/tavola-rotonda-immaginariala-tettoia.html
ars hodie
A margine della Biennale di Architettura
di Ilario Luperini
Alcune note critiche sulla Biennale di Architettura 2010
mettono in risalto, con qualche punta di dissenso, come
gli architetti tendano sempre più a privilegiare gli aspetti
artistici piuttosto che quelli funzionali e costruttivi. Polemiche, mi pare, assai stantie e inutili.
Non c’è dubbio che oggi più di sempre arti visive e architettura percorrano strade convergenti, ma è altrettanto
certo che nel lungo tragitto della storia entrambe si sono
sempre confrontate, spesso per respingersi e molte volte
per attrarsi.
Certo, nell’ultimo secolo si è andata affermando con vigoria la concezione di un’arte non solo per lo spazio, ma
nello spazio della vita umana; quindi, in chiave architettonica. Analogamente, gli architetti traggono ispirazione
dal fare artistico, non tanto per gli aspetti estetici, o per
il fantasioso uso dei materiali, quanto per la qualità e la
profondità dell’indagine che gran parte degli artisti di oggi
operano sulla società.
Nel nome della contaminazione tra linguaggi e culture diverse - che nell’arte oltre il Duemila rappresenta una delle
strade maestre della ricerca - si assiste sempre di più alla
caduta di rigide barriere disciplinari, a favore di continue
compenetrazioni, talora anche azzardate.
Ecco che, in uno dei più stimolanti eventi collaterali alla
A. Santarlasci, Le direzioni diverse del tempo, 2010, veduta parziale
dell’installazione
Biennale veneziana (The bearable lightness of being – The
metaphor of the space), ventuno artisti di multiforme provenienza, con storie, curricola e ispirazioni diverse, sono
stati chiamati per riflettere e operare intorno a un comune
obiettivo: “Prendere/occupare spazio, prendere terreno,
lavorare nel campo culturale”.
Ne è scaturita una mostra colma di suggestioni in cui “gli
spazi coinvolti sono il risultato di processi plastici, architettonici, fisici, virtuali o digitali”. La loro architettura è
il luogo dell’orientamento, il luogo dell’incontro, il luogo
delle responsabilità.
Nel catalogo edito da Silvana Editore che ben sostiene
la mostra curata da Davide Di Maggio, Andrea Bruciati e
Lorand Hegyi, alcune immagini suscitano particolare entusiasmo, non per spirito campanilistico, ma per l’afflato
poetico che da esse emana: documentano l’opera di Andrea Santarlasci, un artista pisano di acclarata qualità che
con raffinato lirismo, consumata perizia tecnica e ampia
profondità di pensiero crea opere e installazioni di elevati
contenuti estetici. Santarlasci è presente in catalogo con
tre opere. Di speciale intensità espressiva e di delicata liricità appare l’installazione Le direzioni inverse del tempo,
del 2010, attuale risultato di un lavoro più che ventennale
che fa presagire sviluppi di valore altrettanto elevato.
www.galeriedavidedimaggio.com
Juris
Del cliente? …mai fidarsi! di Gian Pietro Dalli
è una massima un po’ rozza ma calzante. Una recente pronuncia della Cassazione sembra però aiutare i professionisti accorti.
Se infatti, architetti ed ingegneri devono esaudire i desiderata del proprio cliente/committente, d’altra parte qualora
gli vengano richiesti progetti impossibili da realizzare oppure realizzabili a costo di una peggiore qualità dell’opera
... peggio per il cliente, il quale dovrà comunque pagare la
parcella al professionista.
E’questo in sintesi il principio affermato dalla seconda
sezione della Corte di Cassazione nella sentenza del 19
agosto 2010 n. 18747 relativa ad un progetto di un edificio che secondo i committenti doveva includere anche una
porzione di terreno di proprietà altrui: progetto, dunque,
irrealizzabile.
settembre / ottobre 2010
Come al solito, al momento in cui il professionista aveva
richiesto di essere saldato, i clienti perdevano improvvisamente la memoria e rinnegando ogni loro direttiva in
proposito, eccepivano l’errore tecnico dell’ingegnere e si
rifiutavano di pagare.
Ma “… una simile conseguenza – stabilisce la Corte – è
esclusa in radice dalla accertata circostanza che furono proprio i committenti a pretendere che l’ingegnere inserisse nel
progetto anche la superficie di proprietà comunale, come
evidenziato dal professionista nella relazione al progetto,
laddove era stato affermato che tale inserimento era stato
effettuato su specifica richiesta da parte delle committenti;
pertanto, essendo ciò avvenuto per uno specifico interesse
di costoro, nell’ambito quindi dell’esplicazione del principio
di autonomia contrattuale riconosciuto alle parti dall’or-
dinamento giuridico, la circostanza stessa non può essere
configurata come inadempimento del professionista agli
obblighi legali e contrattuali posti a suo carico, e non può
quindi comportare l’insussistenza dell’obbligo di corrispondergli il compenso”.
Attenzione, però, che per avere ragione della scarsa memoria del cliente, il professionista deve provare di aver
ricevuto la direttiva impossibile e, per le questioni più
tecniche, occorre che l’architetto o l’ingegnere avvisino
delle controindicazioni a cui la direttiva del cliente porterà il progetto. Al professionista, quindi, l’onere di provare
questi passaggi, avendone opportunamente lasciato traccia scritta.
7
Le rubriche
Dall’alto della torre
Nuovi musei... e sistemi museali di Massimo Dringoli
Con l’avvio dei progetti PIUSS sembra davvero che possa attuarsi anche il tanto sospirato recupero degli Arsenali Medicei, ormai destinati ad accogliere il “Museo delle Navi
antiche” e, con questo, anche quel Museo Archeologico di cui a Pisa si avverte da tempo
la mancanza, non potendo ritenersi sufficienti gli spazi ad esso destinati nel Museo di
S.Matteo o nelle collezioni universitarie. Il nuovo complesso museale potrebbe, inoltre,
contare anche sugli spazi lasciati liberi nell’ex convento di S.Vito dopo il trasferimento
della Guardia di Finanza nella nuova caserma, costituendo così un insieme di notevole
pregio e di tutto rispetto per le scienze archeologiche, che dovrebbe verosimilmente
interessare anche l’Università. Coordinare le iniziative di enti diversi come Soprintendenza, Comune e Università sembra, però, da noi impresa alquanto difficile, come proprio
l’organizzazione dei musei sembra dimostrare. Nella città di Pisa, infatti, si possono
attualmente individuare tre diversi sistemi museali: i Musei Nazionali, gestiti dalla Soprintendenza, i Musei dell’Opera della Primaziale e quelli dell’Università. A questi vanno
aggiunti i centri espositivi pubblici e privati. La complessità che ne deriva sotto l’aspetto
gestionale aumenta se si considera che non si tratta di sistemi tra loro indipendenti. Lo
sono, in genere, proprio nella gestione, dando però luogo, per questo, a situazioni di
squilibrio per quanto riguarda la loro frequentazione (si fa la coda per entrare al Museo
delle Sinopie, mentre il S. Matteo è vuoto e non si sa quanti stranieri visitano la Certosa)
che comportano certamente svantaggi notevoli sia nell’economia di conduzione che nella
fruibilità; ma non lo sono certamente nei contenuti: basta pensare alle relazioni tra il
Museo Nazionale di San Matteo ed il Museo dell’Opera del Duomo. Del resto proprio nel
Museo Nazionale di San Matteo un pannello espositivo presenta un’ipotesi di “sistema
museale pisano” di cui dovrebbero far parte, oltre ai due musei nazionali ed all’Arsenale
Mediceo, anche il Museo dell’Opera del Duomo, oltre alla “Domus Mazziniana”, considerata
come luogo delle memorie risorgimentali della città. Quanto l’organizzazione di un unico
sistema potrebbe giovare non solo per la permanenza dei turisti in città, ma anche per
la diffusione della conoscenza delle opere che i musei contengono, è facile intuirlo. Non
per nulla in provincia di Siena già negli anni Novanta l’Amministrazione Provinciale, con
il supporto delle Soprintendenze, dei Comuni, delle Curie, della Fondazione e della Banca
Monte dei Paschi e dell’Università degli Studi di Siena, aveva realizzato un sistema museale, che è stato poi consolidato nel 2003 con l’istituzione di un’apposita Fondazione dei
Musei Senesi alla quale oggi partecipano ben 43 musei diffusi in tutta la Provincia di Siena. La vastità e la varietà di questo territorio, diversificato in sette ambiti territoriali (la
Val d’Elsa, il Chianti, Siena, le Crete, la Val di Merse, la Val d’Orcia e il Monte Amiata, la Val
di Chiana) non ha impedito di considerarlo come un unico grande museo a cielo aperto, in
cui le testimonianze archeologiche, gli straordinari capolavori artistici, gli usi e costumi,
in sintesi la cultura delle comunità che li hanno determinati, mostrano come l’uomo sia
riuscito a plasmare la natura, secondo una caratteristica che può considerarsi tipica della
Toscana. In provincia di Pisa la prima iniziativa per la costituzione di un Sistema Museale
è stata presa a San Miniato dove, su iniziativa di enti diversi sia pubblici che privati,
come il Comune, la Curia Vescovile, la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, la
Regione Toscana e la Provincia di Pisa, è stato istituito sin dal 2000 il “Sistema museale
di San Miniato”. Grazie a questo, oggi chi va a San Miniato è indotto a visitare, unitamente ai luoghi più noti, anche musei di indiscusso pregio, ma precedentemente pochissimo
conosciuti. Questa iniziativa è rimasta però, fino ad oggi, l’unica del genere realizzata nel
territorio provinciale. Ben venga, quindi, il Museo delle Navi antiche all’Arsenale, ma con
l’auspicio che la sua istituzione possa promuovere anche a Pisa l’attivazione di un unico
Sistema Museale.
Rilievo e disegno
Centenario Muratoriano
Progetto Saverio Muratori: Architetture futuribili di Massimo Gasperini
vuole far emergere con maggiore chiarezza il contributo e
l’attualità di Muratori e della sua scuola nella cultura architettonica italiana. Il primo convegno che si terrà nella
città di Modena nelle sale del Baluardo della Cittadella nei
giorni 22 e 23 ottobre, verterà sul tema “Saverio Muratori
o della Scienza della città e del territorio”. Interverranno
alcuni docenti universitari rappresentanti dei principali Atenei italiani tra i quali Giancarlo Cataldi, Gian Luigi
Maffei, Giorgio Muratore, Franco Purini, Attilio Petruccio-
Concorsi per l’Auditorium Santa Cecilia in Roma I e II fase. (S. Muratori
et altri, 1950-51. Disegno di M. Gasperini (2004). Ricostruzioni digitali.
Disegno di M. Gasperini (2007)
Ricostruzione digitale della chiesa di Maria SS. al Tuscolano (S. Muratori,
1954-70. Disegni di M. Gasperini (2004)
Quest’anno si celebra il centenario della nascita di Saverio
Muratori. L’evento sarà segnato da una serie di convegni
itineranti articolati in più sessioni organizzate in varie
città e Facoltà di Architettura italiane e europee. Questi
incontri non hanno solamente l’obiettivo di far conoscere
anche ai non architetti la figura poliedrica di Saverio Muratori, ma ha anche e soprattutto lo scopo di promuovere
un dibattito ampio e qualificato sulle principali tematiche
derivanti dalla sua dottrina e dal suo pensiero. Tematiche
oggi quanto mai attuali per i contenuti anticipatori di situazioni e di quesiti critici, che non investono soltanto
l’architettura, ma chiamano in causa l’ambiente e il destino dell’uomo. A distanza di quasi vent’anni dal convegno
e dalla mostra “Saverio Muratori architetto, il pensiero e
l’opera” tenutisi a Modena nel 1991, la manifestazione
8
li, Enrico Bordogna, Nicola Marzot, Alessandro Giannini.
Nell’occasione sarà presentata l’esperienza didattica diretta da chi scrive nel contesto della Scuola di Specializzazione dei Beni Architettonici e del Paesaggio alla facoltà
di Architettura di Genova, imperniata sulle ricostruzioni
digitali delle opere progettate e mai realizzate dal Maestro
modenese. I progetti per la Chiesa e la casa parrocchiale
dell’Assunzione di Maria SS al quartiere Tuscolano in Roma
(1954-70), dell’Auditorium di Santa Cecilia (1950-51), la
città operaia di Cortoghiana (1940), sono analizzati e restituiti nella loro complessità attraverso immagini avveniristiche. L’esercizio della ricostruzione digitale consente
di ripercorrere le tappe del progetto mediante un’indagine
progressiva tesa alla rivelazione delle sue intime problematiche. Si tratta in realtà di un’operazione d’interpretazione
basata su un processo di attenta e consapevole lettura
dei materiali tramandati, siano essi grafici (rilievi, disegni
esecutivi, fotografie di modelli) o testuali (scritti teorici,
appunti), talora esplicitati come diverse fasi di sviluppo di
un definitivo mai raggiunto. Questa operazione analitica e
tecnica molto complessa nasce dalla volontà di misurare
gli studenti in un lavoro di gruppo in cui sono protagonisti
gli strumenti essenziali e più aggiornati del disegno assistito per l’architettura. Un’analisi questa che non si limita
alla mera “copia” o “lucidatura” dei grafici di progetto o
all’imitazione delle forme tratte dalle rappresentazioni dei
plastici, ma piuttosto tende ad una proposizione volumetrica derivata della cosciente lettura del progetto, dalla
comprensione geometrica delle forme, dalla definizione
tipologica, compositiva e strutturale dell’architettura. Lo
scopo fondamentale è di fornire agli studenti gli strumenti
essenziali per una corretta impostazione e gestione del disegno assistito proponendo alcuni approcci metodologici
finalizzati al raggiungimento di un’adeguata rappresentazione e comunicazione del progetto a scala architettonica
e urbana. Le indagini sui progetti non realizzati da Muratori, sino ad oggi confinati alla lettura dei disegni e dei
plastici tramandati, si ampliano in tal modo di un nuovo
strumento narrativo, il modello tridimensionale, a manifestare la complessità strutturale e fisica dell’architettura muratoriana. I disegni risultanti, seppur caricati di un
certa cifra interpretativa, si pongono come veri e propri
simulacri di una realtà quanto più possibile aderente a
quella immaginata dall’architetto.
Ricostruzione digitale del nuovo centro minerario di Cortoghiana (S. Muratori, 1940). Disegno di E. Macchioni (2010)
settembre / ottobre 2010
Le rubriche
Storico del III millennio
di Alessandro Baldassari
di Alessandro Melis
Raimund Abraham muore
Rettitudine e felicità debbono baciarsi
Sul restauro
Heliopolis 21, Water temple on Mars, 2010
Raimund Abraham muore a Los Angeles il 4 marzo 2010. La vicenda,
in Italia, passa inosservata ai più. Sembra tuttavia che Abraham non
fosse una figura minore del panorama architettonico americano: nato
a Linz nel 1933, è il leader del movimento radicale austriaco che include nomi del calibro di Hans Hollein e Coop Himmelblau. Studia al
Politecnico di Graz e lavora a Vienna con Walter Pichler tra il 1960 e
il 1964. Trasferitosi a New York nel 1964, resterà per oltre trent’anni
alla Cooper Union, durante la gestione di John Hejduk, a cui segue Anthony Vidler, accreditandosi in breve tempo come uno dei docenti più
influenti, insieme ai colleghi e amici Diane Lewis e Lebbeus Woods.
La sua opera è tendenzialmente ignorata dalla critica italiana, eppure
Abraham non è un’archistar autoreferenziale dell’era digitale, non in
linea, dunque, col pensiero dominante nel Belpaese: la sua attività
si concentra sul disegno a mano che rappresenta l’architettura al di
là della realizzazione. I suoi primi lavori sono largamente influenzati
dalle visioni radicali. Nei disegni conservati al Moma appare chiaro
come egli sia interessato, come i colleghi suoi coetanei, tra cui Massimo Scolari, al tema delle macrostrutture urbane, ai meccanicismi,
alla ripetitività di sistemi complessi e riconfigurabili come ingranaggi.
Spesso le visioni, in qualche modo, rappresentano un punto di incontro tra i Metabolismi e l’universo Archigram. Forse il disinteresse per
Abraham, che tuttavia non è un caso isolato, si deve al fatto che egli
abbia vissuto in una dimensione, prima europea, poi americana, distante da quella nostrana, dal punto di vista progettuale-realizzativo.
Eppure Abraham ha esposto le sue opere anche a Milano e nei suoi
progetti più noti, come l’Austrian Cultural Forum e la Musikerhaus a
Dusseldorf, il recupero della dimensione rituale e dei vuoti geometrici, memori della lezione kahaniana (senza tuttavia darne una lettura “postmodern”, diversamente da Mario Botta e altri), convergono
nell’interesse, a tratti ossessivo, per modelli costruttivi arcaici come
il tempio pozzo sardo. Abraham conosce la Sardegna meglio di molti
architetti italiani e intende la sua visita in Sardegna, a Paulilatino,
come un vero e proprio viaggio iniziatico. Raimund Abraham muore
per un incidente, dopo aver tenuto una conferenza allo Sci-Arc. In
quell’occasione, e senza la retorica di un profetico cerimoniale, Eric
Owen Moss lo aveva accolto e consegnato ai presenti come uno dei
maestri dell’Architettura contemporanea.
“Il Centro storico non è luogo per esperimenti”. “Il valore dei monumenti non sta tanto
nell’antichità dei loro materiali ma nella perennità dei loro principi”.
Intorno a queste due affermazioni, di Léon Krier, l’architetto lussemburghese che per
una non breve stagione, al termine del XX secolo, si fece paladino dell’uso di architettura di forma classiche nella realizzazione di nuovi edifici, ruota tutto il problema
di come è possibile intervenire all’interno dei centri storici. Novità o Accademia?
Rottura o Ricopiatura? Sembra che non vi sia spazio se non per affermazioni radicali:
da una parte la città-icona, intesa come un insieme di forme talmente fragile che
qualunque intervento che non abbia caratteristiche mimetiche, nel senso di una
Foto di Mario Ciampi
riproposizione di forme e superfici totalmente analoghe a quelle circostanti, rischia
di rompere un equilibrio sin troppo precario. Se Duchamp ha osato fare i baffi alla
Gioconda, chi oserebbe fare i baffi ad un’icona di Andrei Rublev?
Dall’altro lato la città in trasformazione, argomento già caro ai Futuristi, in cui ad
un loggiato cinquecentesco si può sposare la loggia di Arata Isozaki così come accanto al campanile di Giotto può circolare un tram del XXI secolo. Per proseguire
con le metafore se il Louvre ha la sua Piramide, Firenze può avere il suo Panchetto
di cemento.
Messa così si tratta di un paradosso senza vie d’uscita. Tutto possibile, allora, o
tutto vietato? Se, come dice il midrash ebraico, Dio è colui che si pone dei limiti al
momento della Creazione, qualcosa di analogo può, credo, avvenire nella più modesta
esperienza della creazione all’interno dei centri storici delle nostre città.
Modernità non fa per forza a botte con Continuità. Novità non è per forza nemica
di Coerenza. Senza voler scomodare la Teoria dei Valori di Alois Riegl, proviamo ad
esaminare sotto questo profilo due opere recenti realizzate sui Lungarni di Pisa, la ex
Regia Questura e la vicina Residenza Assistita all’angolo con via La Tinta, ambedue
prospettanti sul Lungarno Galilei. Entrambe presentano sul lungofiume facciate più
vere del vero, più originali dell’originale che, sia detto per inciso, non tarderanno
troppo a mostrare, sotto qualche scrostatura, la mancanza di quel che Marc Augé definisce “lo sguardo dell’antico”. Ma la più modesta Residenza, nel lato su via La Tinta,
mostra ciò che avrebbe potuto essere anche sulla facciata principale del Lungarno e
non è stato: la realizzazione cioè di un edificio in cui Modernità e Continuità, Novità
e Coerenza si sposano; senza rinunciare ad un linguaggio moderno e senza cadere
nella trappola dell’architrave scolpito (peraltro fasullo) questa parte dell’opera ci
dice che intervenire con un linguaggio moderno nei centri storici è possibile, se si
comprende la perennità dei principi e non si baratta con la (finta) antichità delle
forme e dei materiali. Una scelta di morigeratezza forse dolorosa e che richiede doti
creative depurate fino all’essenza che è davvero difficile replicare con continuità. Ma
se Dio vuole la vita è lunga (almeno si spera) e le occasioni, per un bravo architetto,
(forse) non mancheranno.
News dal mondo
Cidade administrativa di Minas Gerais di Marco Petrini
Belo Horizonte Marzo 2010
(continua da pagina 1)
Il complesso è composto da tre edifici principali: il Palazzo
Tiradentes, di 20 mila metri quadrati che ospita la sede del
governo; i due edifici Minas e Gerais, con 116 mila metri
quadrati ciascuno, dove trovano collocazione le segreterie
e gli altri enti pubblici; l’edificio che contiene l’auditorium, inoltre sono presenti un asilo nido, parchi e giardini
con laghi artificiali. Dal punto di vista strutturale, il Palazzo Tiradentes è l’edificio più complesso. La costruzione,
di quattro piani con lunghezza di 147,50 metri e larghezza
di 17,20 metri sospesa da tiranti in acciaio precompresso,
è sostenuta da una struttura in cemento armato a forma
di arco con quattro punti di appoggio. Nei due edifici di
15 piani che contengono gli uffici, per consentire grandi
luci, sono state progettate travi precompresse rinforzate
con cavi di acciaio. Il centro amministrativo è stato sviluppato secondo i principi della sostenibilità. L’obiettivo
è stato quello di ridurre gli impatti ambientali e promuovere il risparmio delle risorse. Per questo gli edifici sono
stati equipaggiati con un sistema centrale computerizzato
per controllare l’uso degli ascensori, della accensione delle luci e dell’aria condizionata. Inoltre le facciate degli
edifici sono state tamponate con superfici trasparenti per
favorire l’uso di luce naturale negli ambienti di lavoro, e
settembre / ottobre 2010
ridurre la spesa per il raffrescamento dell’aria in quanto il
70% del passaggio del calore sarà bloccato dai vetri speciali. Infine la presenza di un sistema fognario ‘a vuoto’
riduce il consumo di acqua del 80% rispetto agli scarichi
convenzionali. Le acque non inquinate delle piogge saranno convogliate attraverso canali di scolo nei laghetti
e, successivamente, potranno essere utilizzate per irrigare
i giardini. Già oggi buona parte degli uffici sono occupa-
ti, il processo di trasferimento sarà fatto gradualmente e
terminerà entro ottobre, quando tutti i 16.200 dipendenti
saranno trasferiti.
Il costo complessivo della città amministrativa è stato di
1,2 miliardi dollari.
www.cidadeadministrativa.mg.gov.br
http://agencianitro.com.br/nitronline/2010/03/30/historias-cidadeadministrativa-de-minas-gerais/
Le foto sono della agenzia Nitro
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Le rubriche
Spazi Pubblici
Il recupero dello spazio pubblico per la rigenerazione
dei centri storici di Andrea Iacomoni
Gli spazi pubblici sono un “elemento convenzionale” di rappresentazione dell’identità
urbana e se non riqualificati con attenzione a storia e bisogni delle comunità insediate, possono snaturarne la configurazione. Oggi piani e programmi urbanistici guardano
sempre di più alla qualità di questi spazi di connessione come “sistema vertebrale” dello
spazio urbano. In particolare, nei centri storici, la riqualificazione delle aree centrali non
riveste soltanto un interesse storico, artistico e culturale, ma innesca veri e propri processi di rivitalizzazione economica, residenziale, dello svago, turistica. In tale contesto,
a partire da fine Novecento, molte città italiane hanno investito sul recupero di piazze,
parchi e strade storiche, evidenziando una molteplicità di profili nei percorsi della riqualificazione.La riconversione degli spazi pubblici è la via che attualmente stanno percorrendo molte amministrazioni, spesso nel quadro di strategie organiche di trasformazione
individuate nei piani urbanistici e nei piani strategici. Ad esempio il piano di Modena definisce le parti del centro destinate a concorrere alla riqualificazione dello spazio pubblico; mentre nel piano di San Benedetto del Tronto si ritrova l’intento di mettere a sistema
lo spazio aperto del centro storico. Per quanto attiene al rinnovo dello spazio pubblico,
molti sono i metodi cui si è fatto ricorso, ma certamente alcuni indirizzi sono prioritari.
Quello del piano urbanistico come strumento generale di programmazione degli interventi
da integrare con altri strumenti di progettazione e gestione degli interventi; i concorsi
di architettura; la predisposizione di Laboratori ed Osservatori stabili per il recupero del
centro storico; l’organizzazione di workshop finalizzati a un ampio coinvolgimento dei
cittadini e dei professionisti. Emblematiche in proposito sono le esperienze svolte in
due piccoli centri toscani, Capolona e Monte San Savino. A Capolona, in un workshop del
2007, sono stati redatti progetti orientati alla ricerca di una più elevata qualità urbana
come campo di sperimentazione di processi partecipativi. Nel 2008 il Comune di Monte
San Savino ha organizzato un seminario di progettazione, con l’intento di disegnare stra-
tegie per il recupero di edifici e spazi del centro storico. Entrambe le esperienze, a livello
metodologico, possono rappresentare un passaggio importante al fine di definire scelte
di pianificazione urbanistica, che siano discusse e verificate nei loro effetti potenziali e,
quindi, capaci di incorporare contenuti morfologici di portata strutturale.
Tale strategia “del progetto”, in alternativa ai piani normativi “delle categorie di intervento” per i centri storici, rappresenta una valida metodologia operativa introdotta da alcuni
comuni, come nel percorso di valorizzazione del centro storico di Faenza, dove vengono
già individuati progetti orientati anche alla riqualificazione dello spazio pubblico.
Ben più avanzata risulta l’esperienza pianificatoria attuata dalla Regione Toscana con i
PIUSS. Nella maggioranza dei Piani presentati dai 20 Comuni la riqualificazione del centro
storico – e del suo spazio pubblico – risulta essere l’elemento centrale di rigenerazione
urbana. Ad esempio Cascina, Carrara e Massa, Prato, con i progetti per la riqualificazione
delle aree degradate del centro storico e zone limitrofe, attraverso interventi sugli edifici
storici e sullo spazio pubblico. In altri casi il piano è occasione per la riqualificazione
di spazi pubblici che determinano una rete di servizi nel centro storico. In particolare è
la strategia dei piani di Arezzo, Lucca, Pisa, che attivano un processo di trasformazione
attraverso la realizzazione di alcune opere connesse tra loro attraverso la riqualificazione
dello spazio pubblico del centro storico.
La loro finalità è di strutturare un “sistema del pubblico” attraverso un disegno organico
degli interventi, in grado di innescare e/o potenziare lo sviluppo socio-economico attraverso una elevata valorizzazione della qualità urbana e ambientale. L’aspetto interessante
rintracciabile in alcuni dei progetti segnalati è il recupero della ricchezza del centro
storico alla rifunzionalizzazione della città moderna; reinterpretando nel nuovo le matrici
generatrici della forma, della storia, della memoria e della cultura, ribaltando così i termini della riqualificazione.
Progetto verde
“Gazebo people” di Fabio Daole
Nel giardino storico venivano realizzati vari manufatti
come le “fabriques” e i “padiglioni di verzura” in un complesso intreccio tra cultura, natura ed architettura.
Nella seconda metà del XVIII secolo, con le nuove scoperte
geografiche, nasce e si estende il gusto per l’esotico ed i
giardini delle corti d’Europa si arricchiscono di padiglioni
di vari stili dall’oriente alle piramidi neo egizie. Il parco
assume una dimensione ancora più spettacolare e scenografica, ma quello che più ci interessa rilevare è che venivano realizzati manufatti funzionali, oltre che onirici, per
la vivibilità e godibilità dello spazio all’aperto. Padiglioni
per il tè, per la musica, per riposarsi dopo il “delizioso passeggio”, ma soprattutto manufatti di relazione e d’incontro
tra le persone che fruiscono dello spazio all’aperto naturale dei parchi e giardini delle città. Nei parchi e giardini
delle città contemporanee questi manufatti si sono estinti
e tutti noi cittadini non disponiamo di strutture attrezzate per interagire con le altre persone, ma soprattutto
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non disponiamo di strutture “verdi” per vivere pienamente
lo spazio naturale “non costruito” delle nostre città, che
invece spesso si rilevano troppo urbanizzate. Spesso l’arte
rappresenta i sogni ed i bisogni dell’essere umano e negli
anni 70 l’arte esce dalla rappresentazione pittorica e si
rivolge alla natura ed agli spazi verdi non costruiti, vedi
le esperienze di “Land Art” che manifestano un’attenzione
ecologica per la natura, per la sua vitalità, per i ritmi che
la caratterizzano e con i quali l’uomo è chiamato ad interagire. La società contemporanea riscontra nuovi bisogni
legati al tempo libero, alle esigenze della vita collettiva,
alle ritualità contemporanee ed ad un crescente rapporto
con la natura, pertanto gli spazi verdi delle città hanno
bisogno di strutture di relazione, che mentre nell’edificato
almeno in parte questi bisogni collettivi sono soddisfatti,
negli spazi non costruiti e soprattutto nei parchi e giardini questi bisogni umani rimangono spesso completamente
insoddisfatti. La progettazione dovrebbe essere sviluppata
per aree tematiche che di fatto sono degli spazi necessari
al soddisfacimento dei bisogni differenti della società contemporanea; come ad esempio aree per lettura e studio,
aree per il gioco dei bambini articolate per fasce d’età,
aree per manifestazioni istituzionali e culturali, aree per
il relax, aree sportive, aree adibite ad orti urbani, aree
naturalistiche con piante, siepi, arbusti e fioriture che seguano il ciclo delle stagioni ed in grado di attrarre insetti
ed uccelli per favorire la biodiversità. Tali aree tematiche
dovrebbero disporre di strutture ed arredi ideati e realizzati per accogliere i fruitori, poiché la cultura dell’acquisto
a catalogo degli elementi di arredo urbano non ha mai
prodotto spazi di vita ma soltanto disordine e caos.
“Gazebo people” non soltanto uno slogan, ma un augurio
per una celere risposta attesa dalle persone che fruiscono
degli spazi all’aperto dei parchi e giardini collettivi.
settembre / ottobre 2010
Le rubriche
Gumdesign
Abitare il tempo e la qualità del progetto
di Laura Fiaschi e Gabriele Pardi
Una giornata alla 25° edizione di Abitare il Tempo a Verona per sentire la nuova energia che il mondo del progetto
è pronto ad esprimere; lo slogan “da 25 anni in anticipo”
riflette lo stato attuale della fiera che vede numerosi spunti creativi da mettere in rilievo.
La crisi economica che ha colpito il mondo dell’industria
sembra aver acceso comunque in numerose nuove aziende
la voglia di investire ed “esserci” e ad una percentuale di
imprese che hanno dovuto rinunciare se ne aggiunge una
consistente di nuove presenze; Abitare il Tempo è inoltre
una fiera da sempre caratterizzata da numerosi interventi
culturali che portano l’attenzione del visitatore su momenti di analisi e riflessione, stimoli creativi e nuove direttrici
progettuali. so la soluzione per una casa contemporanea, economica e
funzionale.
Infine l’allestimento emozionale “Textile Storm” di Claudio La Viola conclude il ciclo tematico del “progetto” in
un momento forte ed emotivamente coinvolgente; un’installazione che riesce a comunicare il tessuto con forza e
dinamismo al punto di desiderare un ombrello per sè! “Una
tempesta tessile” visiva e sonora che coinvolge i sensi ed
emoziona appena si varca la soglia.
Textile Storm, a cura di Claudio La Viola
Abitare l’Utopia, a cura di Alessandro Mendini
Ecco dunque che anche quest’anno può esser definito positivo il “contenuto” della fiera, raccontando brevemente
alcuni episodi che mostrano come il “progetto” sia stato
affrontato dal packaging all’oggetto, dalla mostra all’architettura fino ad arrivare ad installazioni emozionali e
coinvolgenti. Un racconto che dimostra come sia necessario saper leggere e costruire un tema progettuale articolato per essere dentro al mondo creativo contemporaneo.
“Take Care” è probabilmente il più piccolo intervento creativo e si concretizza in un progetto di packaging e grafica
coordinata; l’azienda BonfantiCare, leader nella produzione
di prodotti per la pelle, ha sentito la necessità di investire
nell’immagine aziendale ed ha incaricato lo studio Gumdesign per la nuova comunicazione di una linea di prodotti.
Una logica che si “prende cura” dell’oggetto in pelle, quasi
come se fosse un prodotto cosmetico in una confezione in
cartone naturale e serigrafato ad un colore; sul fronte due
personaggi e sul retro un ampio spazio per scrivere messaggi al cliente, ma anche per indicare il contenuto della
confezione, indoor/outdoor o quant’altro; un modo per
personalizzare il prodotto per il cliente finale e per farlo
sentire “unico” dimostrando che “prendersi cura” dell’altro
è anche semplicemente parlare e trasmettere emozioni.
“Colonniglio” è un oggetto di art-design realizzato da Superego ed ideato da Massimo Giacon; un personaggio (e
parliamo di entrambi) magico e misterioso, folle ed ironico
che riesce a coinvolgerti emotivamente e che scherza con
la vita. Massimo descrive così il suo oggetto-pensiero: “...
il colonniglio tenta una curiosa forma di suicidio, gettandosi a testa bassa contro il marmo, il materiale lo metabolizza ... lo fa suo, e lui si incarna marmoreo; la testa
eternamente paralizzata, il corpo pronto per la decomposizione, forse ...”.
Superego da parte sua ha il merito di dare spazio a pensieri
trasversali e la capacità di immetterli nel mercato del collezionismo di qualità; ottima combinazione di idee e materia per lo sviluppo creativo e la diffusione nel mercato.
“Abitare l’utopia” è la mostra curata da Alessandro Mendini ed allestita da Luca Scacchetti; una riflessione sul
“cambiamento” imposto dalle nuove tecnologie e dai nuovi
sistemi di comunicazione che Mendini ripropone attraverso
numerosissimi oggetti per rivivere senza scansioni preordinate la storia in una logica emozionale. Come spesso
accade il visitatore è introdotto in un circuito di relazioni
Colonniglio, con Massimo Giacon
Una storia percorsa in una giornata di sole per dimostrare
ancora una volta che il progetto come l’opera d’arte deve
emozionare e saper raccontare, coinvolgere e dialogare in
una serie di frammenti che non siano solo e soltanto forma.
Green Frame House, a cura di AstoriDePonti Associati
affettive legate alla sua memoria e proiettate al futuro;
“un micro-clima, un sistema di presenze omogenee e significanti, con un gioco di accostamenti e di spiazzamenti”
dichiara Alessandro Mendini che gioca in un macro puzzle
di oggetti, sensi e frammenti creativi alla ricerca di un
bisogno di utopia.
“Green Frame House” è l’architettura d’interni ideata da
Antonia e Nicola De Ponti ed Ester Pirotta per Art Container, giovane e dinamica azienda che lavora da tempo
sul tema “container” in una riproposizione contemporanea
e funzionale; un’architettura sostenibile reale che propone uno spunto di riflessione sul tema del recupero e sul
riutilizzo di questo “prodotto/contenitore”. Il progetto è
l’evidente segno per una nuova declinazione industriale
riflessa nella tradizionale edilizia abitativa, una sfida per
risolvere l’aspetto del riuso del container ed al tempo stes-
Take Care, packaging di Gumdesign
www.felicieditore.it
Via Carducci, 60 - San Giuliano Terme - Pisa
settembre / ottobre 2010
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Le rubriche
Il caso
Una Moschea per Firenze di Barbara Gori
Premetto prima di ogni successiva considerazione che,
come firmataria dell’articolo, sono assolutamente favorevole alla realizzazione nel territorio italiano di edifici per
il culto di altre religioni che non siano necessariamente
la Cristiano Cattolica, per cui ben venga una Moschea a
Firenze.
Detto questo passiamo alle considerazioni su quell’immagine di Moschea per Firenze che ho visto in televisione e
ritrovato in internet, trattasi ovviamente di un disegno di
massima presentato dall’architetto David Napolitano, che
si presenta come uno strano mix di architettura fiorentina, chiesa rinascimentale, campanile di Giotto sdoppiato
in due minareti, marmi bianchi, neri o verdi, le mura di
Gerusalemme, rosoni, lesene e bugnati.
Posso provare a capire la Comunità islamica di Firenze e i
progettisti, consapevoli che tutte le volte che in Italia si
affronta l’argomento Moschea, scatta un putiferio, memori anche dell’atteggiamento, di alcuni personaggi di spicco della politica italiana che proponevano il Maiale-Day
da fare sui luoghi dove dovrebbero sorgere le moschee e
dove gli stessi, passeggerebbero accompagnati da maiali,
quelli al guinzaglio, per infettare il terreno. Posso anche
capire, sul fronte dell’architettura, che affrontare il tema
della realizzazione di un edificio moderno in una città storica fa scattare tutta una serie di discussioni sulla tutela
dei centri anche se, in questo caso, l’atteggiamento è fin
troppo preventivo visto che ancora non si conosce il luogo
dove dovrebbe sorgere l’edificio.
Forse, dopo queste considerazioni, i promotori dell’opera
hanno optato per un linguaggio architettonico che meglio
si mimetizza con Firenze, ma il problema di questo linguaggio anacronistico è che non si capisce non essendo ne
di questo secolo ma neppure di quello precedente.
Vi immaginate per esempio il Michelucci se avesse realizzato allo svincolo dell’autostrada, una basilica rinascimentale non so una Santa Maria Novella 2 dell’autostrada al
posto di quella meraviglia dell’architettura moderna che è
la chiesa di San Giovanni Battista?
Architettura e natura
La qualità del progetto al centro delle trasformazioni di Marco Del Francia
Costruire in Italia tenendo conto dell’incredibile stratificazione che caratterizza non solo il patrimonio edilizio, ma anche e
inscindibilmente tutta la nostra cultura, significa innanzitutto
non rinunciare al progetto. Il recupero del patrimonio esistente
e inevitabili nuove edificazioni vanno pensate e progettate con
tecnologie e logiche contemporanee, solo così possono rappresentare un valore aggiunto per il paesaggio e per una giusta
fruizione del territorio. Una maggiore qualità in architettura e
in edilizia non è raggiungibile con un processo normativo, bensì
mediante un acculturamento non solo degli operatori e degli
addetti al settore (professionisti, tecnici comunali, amministratori), ma anche della parte committente che deve entrare a far
parte del processo di trasformazione verso una progettazione più
sensibile. D’altra parte, l’interesse sociale verso l’architettura che
si manifesta come un vero e proprio nuovo “appetito” culturale
(come lo è stato la moda) e non ultimo il delicato momento congiunturale, hanno rimesso in gioco la figura dell’architetto come
Form
Matters
Eventi
soggetto responsabile del benessere e del malessere urbano e
del territorio in generale. Urge allora riportare la qualità del
progetto al centro del processo delle trasformazioni (sia che si
tratti di recupero che di nuove edificazioni), restituendo - come
lo era un tempo - fiducia e dignità al ruolo del progettista. Troppo spesso l’architetto si trova mortificato all’interno di rigide
maglie normative che, da una parte, lo costringono ad adottare
facili soluzioni mimetiche ottenute mediante la tecnica del falso storico - contrarie al rispetto della storia e della tradizione
-.e, dall’altra, lo vedono farsi carico in modo spropositato degli
aspetti meramente burocratici - con conseguenze sempre più rilevanti (basti vedere cosa prevede l’introduzione della S.C.I.A.:
Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Alleviarlo da questi
oneri ed energie per responsabilizzarlo di più verso la qualità
progettuale dovrebbe essere la strada più ovvia e naturale da
percorrere.
a cura di Silvia Andreussi
Arsenali Medicei - 26 ottobre-16 gennaio 2010
La mostra raccoglie progetti e lavori dell’Architetto
David Chipperfield, e può considerarsi una prima importante occasione dedicata all’architettura vista non
solo come atto creativo, poiché David Chipperfield è
architetto attento ai luoghi, ma anche alle persone che
li abitano. Oltre ad una grande mole di plastici, foto
e disegni, l’evento accoglierà la progettazione della
proposta di recupero dell’area dell’ospedale di Santa
Chiara, il cui concorso internazionale ha visto vincitore David Chipperfield. Una proposta che rappresenta
un’ulteriore occasione per alimentare il dibattito tra
le esigenze della conservazione, quelle della adeguata
valorizzazione e del segno della contemporaneità. La
città inoltre si è avvalsa dello studio Chipperfield anche
per la redazione di un Masterplan in occasione dei Piani
integrati di sviluppo sostenibile (Piuss) che genererano
nuove opportunità di crescita consentendo di far rie-
Oltre lo specchio
Joan Mirò. I miti del mediterraneo
“Joan Mirò. I miti del mediterraneo” (la seconda mostra
di un ciclo triennale dedicato ai grandi pittori che nel Novecento hanno vissuto e lavorato sulle rive del Mediterraneo), curata da Claudia Beltramo Ceppi, con la collaborazione di Teresa Montaner - conservatrice alla Fundació
Miró di Barcellona, promossa dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Pisa, con il patrocinio del Comune di Pisa e
dell’Ambasciata di Spagna in Italia, organizzata da Giunti
Arte Mostre Musei, presenta 110 opere, tra dipinti, sculture, litografie, disegni e illustrazioni, nelle quali, attraverso il potere trasformatore della poesia e del mito, l’artista
catalano esprime la complessità del reale. Se da un lato,
la poesia costituisce per Miró lo strumento per aprire lo
spazio e accrescere le sue capacità di artista, il mito è
Le Arti di Piranesi
una forma di racconto
che aiuta la comprensione della realtà. Il fulcro
attorno cui ruota tutta
l’arte di Miró è la realtà
intesa come esterna e
quotidiana, ma soprattutto interiore, luogo dei
sentimenti e della rielaborazione del vissuto attraverso la memoria.
www.miropisa.it
Joan Mirò, “Femme, oiseau, étoile”,
1978, Acrilico e olio su tela, 116x89
cm, Fundació Joan Miró, Barcelona, ©
Succession Miró, by SIAE 2010
Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore, 28 agosto-21 novembre 2010
L’esposizione, ideata da Michele De Lucchi e prodotta dalla Fondazione Giorgio
Cini e da Factum Arte, presenta oltre 300 stampe originali, ed è pensata per
valorizzare la poliedricità, lo stile e la straordinaria modernità dell’artista veneziano, anche in virtù di alcuni interventi contemporanei ispirati al suo lavoro.
Tra questi, la realizzazione a cura di Factum Arte di un video in 3d delle Carceri
d’Invenzione e di 7 oggetti originali (due tripodi, un vaso, un candelabro, un
altare, una caffettiera e uno straordinario camino corredato da alari e braciere)
ideati da Piranesi e ricavati dalle sue stampe ma mai realizzati prima, a cui si
aggiungono 32 vedute di Roma di Gabriele Basilico, che costituiscono un personale omaggio del fotografo al grande maestro. Giambattista Piranesi (Venezia,
1720 – Roma, 1778) è stato una figura chiave nella formazione di un gusto tipico del 18° secolo, anticipando, con i
suoi metodi di lavoro, il ruolo dell’architetto e del designer contemporanei.
www.cini.it
12
mergere una identità urbana per troppi anni dimenticata. L’augurio è che questa importante iniziativa sia uno
stimolo per i cittadini tutti e in particolare per le nuove
generazioni. http://pisainformaflash.comune.pisa.it/
Castello dei Pico, Mirandola (Mo) fino al
28 novembre 2010
“Oltre lo specchio” è un’esposizione collettiva di dieci artisti emergenti allestita
negli spazi espositivi del Castello dei Pico
di Mirandola (Mo): punto di partenza per
questo ambizioso progetto è stato il secondo libro di Lewis
Carroll dedicato alle avventure di Alice, “Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò“. Gli artisti sono stati infatti
invitati a realizzare progetti site specific all’interno del Castello per l’occasione, sviluppando il tema delle identità,
delle diversità, della meraviglia e dell’incontro con l’altro
e il diverso. Il percorso della mostra è articolato seguendo
la successione dei capitoli che costituiscono il libro e che
sono stati altrettanti punti fermi per la costruzione di un
innovativo percorso nelle sale espositive del Castello dei
Pico. www.castellopico.it
Una storia Normale
Pisa, Scuola Normale Superiore, Piazza dei Cavalieri, 7
fino al 31 ottobre 2010
La Scuola Normale Superiore di Pisa si racconta in una mostra storico-documentaria dalle origini ai giorni nostri. “Una
storia normale” - titolo della mostra - è quella dei suoi allievi
più celebri. Intreccio tra didattica e ricerca, spirito critico,
applicazione di un metodo rigoroso in campi anche lontani
dalla propria formazione. Sono questi, in duecento anni, gli
ingredienti che hanno reso unica la preparazione fornita dalla Normale.
http://bicentenario.sns.it/mostra.php
settembre / ottobre 2010
Le rubriche
Architetture contemporanee
in contesti storici… “La città che cambia” di Andrea Mannocci
New young architects
La città che cambia. Leggendo i quotidiani rimaniamo sbalorditi dalle
trasformazioni sociali delle nostre città. Sempre più frequentemente fenomeni sociali distorti e violenti trasformano l’apparente equilibrio delle
nostre città in particolare dei centri storici, che sono meno vivibili, con
interi quartieri più o meno abbandonati o mal tenuti, sporchi, non accessibili e privi di servizi.
Un ultimo articolo letto su un quotidiano locale intitolava: “scoperta
casa squillo in centro, arrestate due nigeriane... chiude negozio storico di
abbigliamento dopo 75 anni di attività”.
La risposta a questi fenomeni di trasformazione e di impoverimento è
nell’inerzia di noi cittadini e della politica che riteniamo la città storica
come un sistema da conservare a priori. Chi scrive invece ritiene che la
città sia il luogo per eccellenza delle trasformazioni e che una città che
non cambia la sua architettura diventa una città sterile e facilmente attaccabile dai cambiamenti imposti dalle onde “barbariche” che la conquistano e ne trasformano il significato, spesso anche illegalmente.
Una città che cambia deve accogliere con consapevolezza il pensiero della
contemporaneità a priori perché solo questo può garantire cambiamenti
socialmente utili ed equilibrati. Se così non fosse avremmo sempre più
città povere di contenuti, sociali, culturali ed economici.
Un esempio di un’architettura che con attenzione e guizzo intellettuale si
inserisce in un contesto storico apportando un contributo di alta qualità
architettonica al rinnovamento, riguarda il progetto del Museo delle Arti
Femminili, pensato dai Ghighos ideas (Davide Crippa, Barbara Di Prete,
Francesco Tosi) insieme con ARC studio (Gerardo del Gaudio) e realizzato a Vallo della Lucania nel 2008. La soluzione ottima e intelligente
di recuperare l’edificio esistente con un progetto “low cost” (gli interni
sono stati allestiti con mobili di una nota ditta svedese) e con un colore
bianco sulla facciata ha permesso la decontestualizzazione della forma e
dell’estetica dell’edificio per introdurre in un contesto stanco e fatiscente
un elemento alieno piacevolmente visibile e di ottima qualità estetica,
che denuncia la staticità del contesto storico ed incita al rinnovamento.
Di questi progetti, che vi invito a visitare se non dal vero almeno sul internet all’indirizzo http://www.ghigos.com/wp/?p=495, hanno necessità
e urgenza i nostri centri storici. Avanti quindi cittadini, amministratori,
sovrintendenti commissionate e richiedete progetti contemporanei per
voi e per le generazioni future perché se questi progetti non arriveranno…assisteremo ad un impoverimento generale ed alla riscoperta delle
campagne e della vita agreste.
Appello alle amministrazioni pubbliche: a.A.A. Cercasi normativa tecnica urbanistica e/o edilizia a livello regionale e/o comunale che elimini
i limiti esistenti alla trasformazione. Si richiede: consapevolezza nelle
scelte, coraggio, onestà intellettuale, creatività.
Progetti: Ghigos Ideas Milano; architetti Davide Crippa, Barbara Di Prete, Francesco Tosi
Museo delle Arti Femminili-20078-Vallo della Lucania
Bioarchitettura
Il recupero di un borgo di Sergio Alabiso
Nel 2009 in Italia si annoverano ben
5.838 “paesi abbandonati”, una cifra
che rappresenta il 72% di tutti i comuni
italiani. Una città viene abbandonata,
solitamente perché l’attività economica
che la teneva in vita è fallita, per cause
provocate da guerre o terremoti (rischia
di diventarlo la stessa Aquila come già
Salemi e Gibellina) o per la sistematica
migrazione di una popolazione verso
zone economicamente più favorevoli.
La desertificazione sociale colpisce soprattutto i piccoli abitati di montagna dove i cittadini si sono spostati verso residenze in
pianura. La situazione più grave si registra in Basilicata dove ben 97 centri sono a rischio
estinzione, nelle parti montuose della Sicilia e della Sardegna, nelle aree interne di Marche
e Toscana e su tutto l’arco dell’Appennino Meridionale, dall’Abruzzo alla Calabria, passando
per il Molise. L’inurbamento massivo che ha svuotato interi paesi dagli anni ‘60 a oggi, ha
avuto pesanti ricadute: con l’abbandono di case e di coltivi è scomparso per sempre anche un
patrimonio storico, culturale, sociale e ambientale che difficilmente potrà essere recuperato.
Chi riesce a industrializzarsi e a creare attrattive per i giovani, spesso nelle aree limitrofe
alle città, sopravvive, altri diventano paesi dormitorio, mentre gli altri sono destinati ad un
progressivo spopolamento. Questo fenomeno è in realtà ormai diffuso dal sud al nord, specie
nelle aree montane. Ma se è vero che tanta gente si trasferisce verso le “zone calde” del pianeta, è anche vero che ci sono tanti altri che ricercano un po’ di pace e tranquillità, allontanandosi dalle aree sempre più sovrappopolate e stressanti per riscoprire il piacere di un modo
alternativo di vita. Uno di questi è Daniele Kihlgren, imprenditore di origine italo-svedese,
che si è comprato un borgo in Abruzzo,Santo Stefano di Sessanio, e ne ha fatto un albergo
diffuso, ossia un albergo fatto dalle vecchie dimore degli abitanti del luogo. La superficie
acquistata è un patrimonio immobiliare di circa 3500 mq, posto all’interno del centro storico
di S. Stefano di Sessanio e sono state recuperate 50 stanze, botteghe d’artigianato, cantine
e una locanda. Gli abitanti stabili sono circa 120, una trentina le attività commerciali mentre
l’albergo conta circa 7300 presenze l’anno. Nuovi mercati, nuove materie prime ed infine le
politiche agricole del nuovo stato unitario, a scapito dell’industria armentizia hanno segnato
il destino di questo borgo, costringendo le popolazioni del posto ad una vita di stenti e di
miseria che si sarebbe infine conclusa con l’emigrazione e con il quasi totale spopolamento.
Di questo mondo e di questa civiltà sono rimasti pienamente “leggibili” i segni, caratterizzati
da una conservazione del patrimonio storico-architettonico originario che si fonde, senza interruzione e senza i consueti sviluppi urbani più recenti, con l’integro e peculiare patrimonio
ambientale circostante. Lo Studio Associato degli architetti Di Zio-Di Clemente, ha definito le
caratteristiche tipologiche e stilistiche degli elementi architettonici diffusi nel borgo per una
corretta riproposizione nei singoli immobili oggetto di restauro. La riproposizione è avvenuta,
in maniera abbastanza inedita, con elementi di recupero autentici e secolari provenienti da
aree limitrofe, con le definite caratteristiche stilistico tipologiche. La filosofia di fondo del
progetto di recupero è stato il restauro e la riproposizione delle particolari caratteristiche
del borgo, del territorio e delle culture che questo territorio ha conservato. Sembra così che
il tempo si sia fermato e che siano rimaste come erano le case di questo borgo di pastori,
case in pietra di cui non è stata alterata la cubatura, dalle finestre piccole, dai soffitti bassi,
recuperate con le tecniche di bioedilizia con cui erano state costruite, recuperate con l’uso
dei materiali naturali tradizionali, usando soprattutto materiali di recupero secolare autoctono. Oltre alla riproposizione dei materiali e delle tecniche tradizionali, degli arredi interni
autoctoni e la riproposizione in quasi tutte le stanze da letto e negli spazi di uso conviviale
di camini secolari, sono state adottate tecniche avanzate, quali l’impiego di un sistema di
ultima generazione di teleriscaldamento e telegestione con impianto radiante sottopavimento
per non compromettere l’integrità stilistica degli immobili e per la contemporanea esaltazione
del confort degli ambienti. La dotazione domotica con la distribuzione dell’impianto elettrico
con un sistema di segnale a bassa tensione, ha evitato la presenza diffusa degli elementi
costitutivi degli impianti comunemente utilizzati, non compromettendo l’integrità degli spazi
e riducendo i campi elettromagnetici a vantaggio della qualità ambientale. Ogni stanza è
stata dotata di rete internet ed intranet in modo discreto e non direttamente visibile in questi
ambienti che hanno mantenuto l’ascetico rigore degli arredamenti tradizionali dell’arte povera
della montagna abruzzese. Tutte queste dotazioni oltre a permettere integralmente la conservazione dell’ Architettura e degli arredi interni garantiscono confort e servizi a livello delle
migliori strutture ricettive.
Siti web
di Sandro Ghezzani
Archphoto è una webzine tematica di approfondimento dei legami tra l’architettura e le
altre discipline che indagano il contemporaneo. Il cuore dell’iniziativa Archphoto risiede
in una associazione culturale volta a “promuovere e diffondere la cultura architettonica
attraverso uno sguardo multiplo e trasversale rivolto sia ad una pluralità di discipline teoriche, sia alle arti visive e multimediali”. Costantemente in aggiornamento il sito propone
articoli e interviste, files audio e video, progetti e concorsi, segnala iniziative culturali
legate all’architettura, alla fotografia ed all’arte contemporanea.
www.architettura.it
Rivista digitale di architettura e
molto altro. Un portale che indirizza la navigazione in svariate direzioni, tutte comunque orientate al rapporto tra
l’architettura, il contesto in cui si inserisce e le arti ad essa afferenti. Propone una serie
di letture tematiche in aggiornamento periodico ed una sezione “Files” in cui sono raccolti testi, annotazioni, idee per un’esplorazione a tutto campo o per l’approfondimento
di ambiti specifici relativi ad architettura contemporanea, arte e design. Interessanti le
pagine dedicate alla catalogazione di studi di architettura presenti in rete, nelle quali si
affiancano i più celebri della scena internazionale a progettisti che si distinguono per la
qualità nella ricerca e nella sperimentazione sui mezzi digitali e per strutture allestite online. Di sicuro interesse la sezione “Movies” dove è possibile trovare episodi significativi
che indagano il rapporto cinema-architettura.
settembre / ottobre 2010
www.skyscrapercity.com
Non un sito dedicato all’architettura, piuttosto un forum nel quale dibattere, indagare
i temi che più stanno a cuore al singolo visitatore, turista o cittadino. Skyscrapercity contrariamente a quanto potrebbe suggerire il nome, tratta non solo di architetture
“eclatanti” o di enorme visibilità ma configurandosi come una tavola rotonda consente
l’approfondimento di ogni aspetto legato alla progettazione e realizzazione di opere che
modificano la realtà che ci circonda. è possibile imbattersi in discussioni circa la bellezza
dei nuovi grattacieli a Dubai, così come in un dibattito sulle soluzioni impiegate nella
pavimentazione di una strada secondaria del proprio paese. Il sito è indubbiamente una
ricca fonte di informazioni e garantisce una navigazione interessante ad ogni visita.
www.urbanreinventors.net
Urban reinventors è un online-journal concepito come raccolta di gallerie fotografiche,
scritti, reportage, film e video su temi di carattere urbano. I vari numeri guidano il lettore attraverso le implicazioni delle trasformazioni architettoniche nella vita urbana,
focalizzando principalmente sulle strategie di riqualificazione urbana registrate in epoca
contemporanea, inquadrandole sotto vari aspetti e punti di vista, tra cui il rapporto con
le preesistenze storiche.
13
Le rubriche
Concorsi a cura di Ilaria Fruzzetti e Elio Bedarida
M9: un nuovo concetto di museo nella terraferma veneziana
Concorso a inviti: M9 A New Museum for a New City
Ente banditore: Fondazione Venezia
promosso: dicembre 2009 - scadenza: 15,06,2010
Architetti invitati, 6 studi di architettura: Massimo Carmassi,
David Chipperfield, Pierre-Louise Faloci, Luis Mansilla ed Emilio Tunon,
Mathias Sauerbruch e Louissa Hutton, Edoardo Souto de Moura
Commissione tecnica coordinata dal Prof. Francesco Dal Co
Vincitore: Mathias Sauerbruch e Louissa Hutton
ricerca per e sulla modernità contenente un museo sui grandi
mutamenti sociali ed economici del XX secolo, spazi didattici,
archivi, mediateca, spazi espositivi e auditorium: ovvero, un
articolato complesso di funzioni all’interno di un progetto
integrato di riqualificazione urbanistica. L’esito del concorso
a inviti, cui oltre ai vincitori erano stati chiamati a partecipare Massimo Carmassi, David Chipperfield, Pierre-Louis Faloci,
Luis Mansilla ed Emilio Tuňon, e Eduardo Souto de Moura, ha
premiato la “felice sintesi tra esigenze di un museo moderno, i vincoli tecnici e le caratteristiche urbane di Mestre. [Il
progetto] Crea un rapporto nuovo con la città, disegnando
nuovi spazi pubblici e nuovi accessi, per una piena permeabilità e fruibilità dell’area. Grazie a una concezione strutturale
Rendering di studio, Pierre Louise Faloci
attraversare tutto il complesso di M9. Il museo e l’edificio
di servizio si attestano l’uno di fronte all’altro sulla diagonale del lotto risultando ben riconoscibili e denunciando ai
visitatori le proprie funzioni: nell’aspetto l’M9 si caratterizza
per un’immagine dinamica quasi “futuristica” a denunciare
la velocità come componente intrinseca della vita odierna.
Dal punto di vista urbanistico Sauerbruch & Hutton hanno
inserito perfettamente il nuovo intervento nel tessuto di Mestre con evidenti miglioramenti per la rete di collegamenti
pedonali e la creazione di nuovi spazi – uno costituisce la
piazza del museo - che rivitalizzano il centro e valorizzano il
contesto esistente collocandosi in quella cerchia di interventi
che tramite l’impegno delle istituzioni contribuiscono fattiva-
Rendering di studio, Sauerbruch&Hutton
È stato Sauerbruch & Hutton, lo studio anglo-tedesco con
sede a Berlino, ad aggiudicarsi la vittoria per il concorso
internazionale per M9, il museo voluto dalla Fondazione di
Venezia per rilanciare la terraferma lagunare. L’idea della fondazione nasce dalle considerazioni sul ruolo del Veneto e del
suo esagono geografico orientale, una regione che in pochi
decenni è passata dall’essere una delle più povere della penisola ad una delle più dinamiche in Europa. M9 (il nome raccoglie le 9 parole che iniziano per M: modernità, museo, mostre,
Rendering di studio, Souto de Moura
Rendering di studio, Carmassi
mediateca, multimediale, multisensoriale, Mestre, Marghera e
metropoli) sarà quindi un centro multifunzione di studio e di
e impiantistica all’avanguardia, attenta ai temi dell’ecocompatibilità e del risparmio energetico, propone una soluzione
progettuale di alto livello ed estremamente flessibile negli
utilizzi”.
Il bando, redatto da una apposita commissione tecnica presieduta da Francesco dal Co, chiedeva ai progettisti di riconfigurare una porzione del tessuto mestrino riprogettandone gli
accessi e migliorandone la vivibilità e la funzionalità. Accanto
al nuovo museo, un edificio da costruire ex novo, il bando
chiedeva quindi di ristrutturare un convento la cui immagine
risultava compromessa dall’incuria e dalla stratificazione di
numerosi interventi succedutisi negli anni. Sauerbruch & Hutton hanno creato un collegamento pedonale che l’ex caserma Matter, rivitalizzata da spazi commerciali, unisce all’area
pedonale di piazza Ferretto – una delle più importanti della
città – con l’asse di via Cappuccina – la strada che conduce
alla stazione – in modo da creare una piazza che inviti ad
Architettura della tranquillità
Complesso edilizio ad uso residenziale, ispirato ai principi di bioarchitettura nel Comune di Perugia
Ente banditore: Regione umbra
Promosso: 22 marzo 2009 - Scadenza: 21 luglio 2009
Vincitore: OPERASTUDIO - Architetti Associati
Capogruppo: Arch. Camillo Magni; Arch. Lucia Paci
con Arch. Giovanni Buzzi; Arch. Salvatore Guzzo; Arch. Pietro Pusceddu; Ing. Mara Berardi;
Ing. Raffaele Bertona; Ing. Fulvio Bettinelli; Ing. Pietro Paolo Fontana; Ing. Gabriele Perucci
www.operastudioarchitetti.it
In Italia è possibile progettare un complesso residenziale sostenibile in armonia con il contesto, in un luogo in cui l’ambiente è ancora dominato dalla natura? E qui si possono conciliare
bella architettura residenziale e soluzioni per il risparmio energetico?
A giudicare dal risultato del concorso per una serie di appartamenti nel quartiere di Lacugnano a Perugia la risposta è certamente sì.
Il gruppo vincitore - formato da Operastudio di Milano con Giovanni Buzzi, Salvatore Guzzo,
Pietro Pusceddu, Mara Berardi, Raffaele Bertona, Fulvio Bettinelli, Pietro Paolo Fontana e
Gabriele Perucci - è riuscito a aggiudicarsi il bando del Comune proponendo un’ architettura
moderna nella concezione, sobria e discreta nell’immagine ma attenta all’ambiente nelle
scelte energetiche e progettuali. Il bando chiedeva di progettare un complesso edilizio ad
uso residenziale ispirato ai principi della bioarchitettura e del risparmio energetico ponendo
come condizione il contenimento dei costi dell’intervento entro i 3 milioni di euro. Il lotto in
questione era situato in una
ex cava dominante una vallata e protetta a nord dalla
parete rocciosa della collina
soprastante per un’altezza di
circa 40 metri. Operastudio e
il suo gruppo hanno situato
due distinti blocchi a nord del
sito disponendoli lungo un
percorso a ‘L’ in cima al quale è stato dislocato l’accesso
pedonale al terreno: questa
scelta ha permesso ai progettisti di sfruttare al meglio le
caratteristiche del lotto laRendering di studio
14
Rendering di studio, Luis Mansilla ed emilio Tu on
mente allo sviluppo economico e sociale del territorio. L’area
di progetto, compresa fra le vie Poerio, Brenta Vecchia e Pascoli, si estende per 8000 mq e a intervento ultimato restituirà alla collettività una porzione importante del centro storico
inserendovi nuove attività di pregio che offrano possibilità
di incontro, di dibattito, di aggregazione e che costituiranno
nuovi luoghi di identificazione civica all’interno di un polo
culturale che, analogamente alle migliori esperienze di altri
paesi, intende porsi all’avanguardia per qualità architettonica, servizi offerti e articolazione delle funzioni.
sciando in piena luce il giardino, davanti
agli appartamenti, e valorizzando la vista
panoramica. La divisione in due edifici di
quattro piani – sotto il cui basamento si
collocano i parcheggi interrati – in alternativa ad un unico corpo di fabbrica ha poi
consentito di evitare una costruzione massiva di maggior impatto visivo che avrebbe
compromesso l’integrazione del progetto
con le caratteristiche naturali del sito. Posizionati al centro delle rispettive planimetrie a corte, gli ingressi ai due edifici sono
stati connessi e posti in rapporto diretto
tramite un percorso “esclusivo” rispetto
al quale la prima palazzina si dispone a
“ponte” mentre la seconda ne costituisce
il termine. Le due corti diventano un tratto
fondante della strategia insediativa fungendo non solo da soluzione distributiva
ma anche da dispositivo termico passivo
che mantiene l’aria fresca durante i mesi
estivi e compensa gli sbalzi di temperatura
tra gli appartamenti e l’esterno nel periodo
invernale. Sul fronte sud - inclinato di 28° Planimetria del complesso
in senso orario per favorire le zone giorno
di alcuni alloggi attestate sul lato est - i due corpi di fabbrica sono stati muniti di un dispositivo termico passivo composto da una serie di serre con la doppia funzione sia di contribuire al risparmio energetico dell’edificio sia di costituire un ambito privato al servizio degli
alloggi completamente orientato verso il parco. Mirando ad una alta qualità architettonica
il progetto del gruppo capeggiato da Operastudio presenta un’immagine delle facciate sobria
ed elegante, risultato dell’attento studio compositivo ottenuto giostrando sapientemente
pochi e semplici elementi, modulati di volta in volta, distribuendo i pieni e i vuoti a seconda
dell’orientamento dei quattro fronti e ricavando per entrambe le palazzine una varietà di
soluzioni sempre differenti fra loro.
settembre / ottobre 2010
Le rubriche
Materie e tecno
Cor-Ten di Gerardo Masiello
L’acciaio COR-TEN ha fatto ingresso nel panorama dei materiali utilizzati in architettura per
le sue caratteristiche estetiche in quanto l’ossidazione prodotta dall’esposizione agli agenti
atmosferici gli conferisce una gradevole colorazione ferrosa, che ben si presta all’impiego in
interventi edilizi inseriti in contesti storici. Viene prodotto per la prima volta negli Stati Uniti
dalla United States Steel Corporation già dal 1933 e trova una vasta applicazione nel campo
delle opere d’arte stradali per le sue caratteristiche peculiari: elevata resistenza alla corrosione
(CORrosion resistance) ed elevata resistenza meccanica (TENsile strength). La prima deriva dal
contenuto in rame della composizione chimica (0,15÷0,55%) mentre la seconda è dovuta alla
presenza di altri elementi sotto forma di ferroleghe quali Manganese, Nikel, Cromo e Vanadio,
che gli conferiscono una resistenza meccanica pari a quella dell’acciaio S355 (Fe 510). L’esposizione alle diverse condizioni atmosferiche produce la formazione di una patina più o meno
uniforme di prodotti dell’ossidazione delle leghe ferrose, caratterizzata da elevata resistenza
ed in grado di proteggere il materiale dall’ulteriore avanzamento dell’ossidazione; il processo
può avere durata da uno a quattro anni a seconda della tipologia dell’ambiente di esposizione.
Tuttavia, l’ossidazione naturale è soggetta al dilavamento, che può causare la sgradevole formazione di colature color ruggine; per questo motivo alcune applicazioni prevedono l’impiego
di elementi pre-trattati in stabilimento mediante processi elettrochimici di tipo galvanico; in
alternativa è possibile sottoporre l’elemento a cicli di trattamento con ossidante (es.: Deox
Extra) e successiva soluzione passivante (es.: Gardolene D6870). L’acciaio COR-TEN è prodotto
in tre tipologie che differiscono per la composizione chimica: il COR-TEN A, caratterizzato da
una percentuale elevata di fosforo (0,07÷0,15%), è il più comunemente usato per applicazioni
architettoniche; è facilmente reperibile in lamiere e piatti sottili (fino a 12,5 mm); per spes-
Giochi
sori superiori occorre tener conto di una riduzione
della resistenza meccanica. Il COR-TEN B è quello
più utilizzato in ambito strutturale perché caratterizzato da elevati valori della resistenza meccanica
anche per elevati spessori (fino a 100 mm); questa
particolare caratteristica è conferita dalla presenza
di Vanadio in percentuale 0,02÷0,10%. Il panorama
si conclude con il COR-TEN C che per le sua elevata resistenza meccanica (limite di snervamento
superiore a 430 N/mm2) viene utilizzato per applicazioni speciali. Benché nei cataloghi dei produttori siano presenti anche i profili laminati, l’acciaio
COR-TEN è reperibile prevalentemente sotto forma
di lamiere; per questo motivo nelle comuni applicazioni è sovente sottoposto a processi di saldatura,
che tuttavia non presentano particolari prescrizioni
rispetto agli acciai normali, fatta salva la necessità
utilizzare elettrodi speciali, quali quelli al Nikel, al
fine di ottenere cordoni di saldatura di colorazione
simile a quella del materiale base.
Fulcrum, di Richard Serra, 1987
di Agnese Bramanti
Soluzione nel prossimo numero
Libri
a cura di Stefania Franceschi e Leonardo Germani
M. Boriani (a cura di), Progettare per il costruito. Dibattito teorico e progetti in Italia nella seconda metà
del XX secolo, CittàStudi Edizioni, Novara 2008
Il volume affronta, sia dal punto di vista teorico sia
attraverso l’analisi di casi-studio significativi, il problema progettuale del fare architettura nei contesti
storici. Il tema di riflessione scelto è quello del rapporto tra le “preesistenze” e gli elementi architettonici di nuova realizzazione inseriti sull’esistente
o al suo interno per scopi legati alla conservazione
o all’utilizzazione della fabbrica. Lo studio affronta il tema “Antico e Nuovo”, individuando l’ambito
di interesse lungo la linea di demarcazione tra due
discipline: la composizione e la progettazione del nuovo da un lato, il “restauro” o la conservazione dell’esistente dall’altro, ponendo attenzione ai caratteri e ai modi dell’accostamento e dell’inserimento del “nuovo nell’antico”.
La finalità è l’individuazione di un insieme di riferimenti critici e progettuali,
utili per affrontare in maniera consapevole il progetto del nuovo nell’ambito
degli interventi sul patrimonio edilizio esistente. Particolare attenzione è
stata dedicata alla definizione di criteri interpretativi: il rapporto tra teoria
e prassi nella disciplina del restauro; la questione della nuova utilizzazione
della preesistenza; la soggettività, almeno parziale, dell’atto progettuale; il
rapporto tra mondo della conservazione e mondo progettuale.
B.P. Torsello, Figure di pietra. L’architettura e il
restauro, Marsilio Editori, Venezia 2006
La lettura offre la possibilità di compiere riflessioni su che cosa, perché e come si restaura ponendo una serie di domande come
spunto critico per la trattazione di tali argomentazioni. Come possiamo definire un metodo per questa “speciale” attività? Il restauro
è destinato a restare estraneo ai linguaggi
dell’attualità o invece riesce a stabilire fertili
legami fra le regioni del conservare e dell’innovare? Di fatto qual’è la parte assegnata al
restauro nelle vertenze sull’architettura e nelle politiche della cultura?
Leggerlo, lasciandosi guidare lungo il percorso che esso propone ci offre
la possibilità di scoprire scenari inconsueti, riprendendo confidenza con
argomenti che sembrerebbero ormai logori, come quelli che attengono
alla “conoscenza” dell’opera, al valore del “tempo” e della “storia”, al
controverso tema della “bellezza”, agli enigmi del “progetto”, ai compiti della “scienza” e delle “tecniche”. È un viaggio che al suo termine
approda alla spinosa questione del come si restaura, suggerendo una
chiave metodologica del tutto nuova.
G. Ciotta, (a cura di), Archeologia e architettura tutela e valorizzazione. Progetti recenti in aree antiche e medievali,
Aiòn Edizioni, Firenze 2009
Il volume, pubblicato in occasione della omonima mostra, è stato mosso dall’intento di aprire una finestra sul rapporto tra architettura e archeologia mettendo in risalto la collaborazione tra le due categorie, da una parte il lavoro
degli archeologi (scavo e studio) dall’altro gli architetti (recupero e valorizzazione). Il volume non si dilunga in saggi teorici su l’indubbio dualismo archeologo-architetto ma piuttosto affronta il “problema” direttamente mettendo
a confronto differenti interventi e proposte progettuali relative a siti di rilevanza internazionale trovando riscontro
nella recente crescita di interesse verso le testimonianze della cultura antica e medievale e verso gli aspetti significativi che collegano tali vestigia con il paesaggio contemporaneo.
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www.arknews.it
settembre/ottobre 2010
Bimestrale
Anno I numero 4
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Baldassari, Federico Bracaloni, Agnese Bramanti,
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Luca Difonzo, Massimo Dringoli, Laura Fiaschi,
Stefania Franceschi, Ilaria Fruzzetti, Massimo
Gasperini, Leonardo Germani, Barbara Gori, Andrea
Iacomoni, Albertino Linciano, Ilario Luperini, Andrea
Mannocci, Sandro Ghezzani, Gerardo Masiello,
Alessandro Melis, Gabriele Pardi, Marco Petrini,
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15
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