PIETRO CAMPANILE L’ILLECITO ENDO-FAMILIARE : CASISTICA ED ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI 1.1 Il principio di immunità – 1.2 Evoluzioni sul piano sociologico e mutamenti nel quadro normativo – 1.3 Orientamenti della dottrina – 1.4 Crisi del principio di immunità – 1.5 Nuove prospettive della responsabilità civile e rapporti familiari – 1.6 Valorizzazione dell’individuo e del minore e tutela aquiliana – 1.7 – Natura degli obblighi e responsabilità endo-familiare – 2.1 La giurisprudenza di merito 2.2 Inadeguatezza dell’esclusività della disciplina specifica e suo superamento - 2.3 Affermazione del danno esistenziale – 2.4 La responsabilità endo-familiare nella giurisprudenza di legittimità – 3.1 La giurisprudenza recente – 3.2 Cass. 10 maggio 2005, n. 9801. – 3.3 Illeciti tra coniugi - 4.1 Addebito della separazione e tutela aquiliana – 7.4.2 Il fondamento dell’autonomia della responsabilità fra coniugi – 4.3 L’elemento psicologico – 4.4 Rapporti fra rimedi propri della disciplina e tutela aquiliana – 4.5 Violazione dei doveri coniugali - 4.6 Individuazione dei doveri coniugali – 4.7 Autonomia del giudizio di responsabilità rispetto alla crisi familiare – 4.8 Dovere di solidarietà fra i coniugi – 4.9 Il dovere di assistenza morale – 4.10 Mutua assistenza e rapporti sessuali – 4.11 Il dovere di fedeltà – 4.12 Infedeltà e responsabilità nella giurisprudenza di merito – 4.13 Il dovere di fedeltà nella separazione personale – 4.14 – L’abbandono della casa familiare – 4.15 comportamenti non integranti violazione dei doveri coniugali – 4.16 Interessi familiari e diritti della persona. La libertà religiosa – 4.17 L’interruzione della gravidanza – 4.18 Sistema di vita concordato e responsabilità – 5.1 La fattispecie della condotta lesiva anteriore al matrimonio 5.2 La seduzione con promessa di matrimonio – 5.3 Rottura della promessa e natura della responsabilità - 6 Illeciti fra (ex) conviventi - 7 Illeciti genitoriali - 7.1 Inadempimento del dovere di mantenimento – 7.2 La procreazione come momento genetico del dovere – 7.3 Contenuto del dovere – 7.4 Ingiustizia e connotati del pregiudizio – 7.5 Autonomia del danno non patrimoniale - 7.6 Inadempimento del dovere educativo. L’assenteismo genitoriale - 8 I maltrattamenti - 8.1 Comportamenti omissivi e connivenze - 8.2 Pregiudizi arrecati ai minori – 9 La mancata frequentazione del figlio da parte del genitore non convivente - 10 Illecito del figlio nei confronti del genitore - 11 Altre fattispecie di illecito - 12 Il mobbing - 13 Lo stalking - 14 I danni risarcibili 15 Allegazione e prova del danno - 16 Valutazione e liquidazione SOMMARIO 1 1.1 Il principio di immunità. Nell’Italia repubblicana del ventesimo secolo i valori dominanti nei rapporti eticosociali, non privi di riflessi in campo giuridico, hanno per vari lustri reso in genere i rapporti endo-familiari - escluse le ipotesi di rilevanza penalistica, per altro applicate in maniera riduttiva - insensibili ai rigori della lex Aquilia. La responsabilità derivante da illecite condotte esercitate nei confronti di prossimi congiunti veniva normalmente esclusa, o relegata in ambito residuale, in considerazione della preminenza accordata agli strumenti di tutela legale previsti dalla disciplina specifica 1 , e, più in generale, in funzione del principio di immunità 2 . Si riteneva, infatti, nell’alveo di una concezione pluralistica di ampio respiro, intesa a neutralizzare gli aspetti del totalitarismo statuale 3 , che l’individuo potesse ricevere maggiore tutela, ancorché indiretta, attraverso le società intermedie in cui era inserito. Queste ultime – prima fra tutte, la famiglia, considerata nella tradizione del pensiero cristiano come una societas naturalis 4 - venivano quindi a conseguire una sorta di impermeabilità al diritto comune, che comportava conseguentemente l’esclusione, ovvero un marcato affievolimento, dell’ingerenza esterna, anche ai fini della verifica di eventuali responsabilità di natura aquiliana, cui si sopperiva mediante il richiamo ai principi della coesione della società intermedia stessa, ai forti valori etici nella stessa presenti, e, comunque, all’autosufficienza dei rimedi specifici della disciplina. Per altro verso, la struttura gerarchica della famiglia, caratterizzata dal dominio del pater familias, funzionale ai rapporti di tipo economico di una società preindustriale, determinava la dissolvenza in tale tipo di autorità di varie forme di abuso e di prevaricazione esercitate nei confronti dei soggetti sottoposti a tale munus, mediante un’esasperazione della nozione del potere disciplinare, che diveniva illegittimo soltan- 1 2 Cass. Roma, 27 maggio 1921, in Foro it., 1921, 778 ss. CARBONE E., La giuridificazione delle relazioni domestiche e i suoi riflessi aquiliani, in Familia, 2006, 83 ss . 3 BOBBIO N., Teoria della Norma giuridica, Torino, Giappichelli, 1958, 13. 4 BOBBIO, Op. cit., p. 2 to in casi eccezionali, “oltrepassati i limiti fissati dal codice penale, ed in questo caso spesso soltanto astrattamente” 5 . La sostanziale refrattarietà alla funzionalità del binomio famiglia-responsabilità civile non riguardava, del resto, soltanto l’Italia: la differenza con altri ordinamenti era costituita dal fatto che altrove, soprattutto nei Paesi di common law, si ricercava, in modo da renderla del tutto esplicita, una giustificazione teorica della interspousual immunity, per lo più individuata nella sostanziale identità legale fra gli sposi: unity of spouses, o comunque, nella tutela dell’armonia familiare e della pace domestica 6 . Nel nostro Paese l’immunità si esprimeva per lo più attraverso un orientamento di natura pregiudiziale secondo cui l’istituzione familiare si riteneva sottoposta esclusivamente a regole proprie: i principi di diritto comune, pur in assenza di una norma specifica che disponesse al riguardo, rimanevano ad essa sostanzialmente estranei, in maniera talmente ovvia che, come evidenziato in ambito giurisprudenziale dall’assoluta rarità di pronunce significative, la famiglia veniva con elegante metafora descritta come “un’isola che è solo lambita dalle onde del mare del diritto” 7 . La concezione della famiglia come ordinamento chiuso, nel cui ambito dovevano trovare soluzione tutti i conflitti ad essa interni, si è per lungo tempo tradotta in una sorta di ritegno a dare veste giuridica alle posizioni conflittuali dei componenti di uno stesso nucleo familiare, se non in vista della sua disgregazione 8 . 1.2 Evoluzioni sul piano sociologico e mutamenti nel quadro normativo. Il processo di trasformazione della famiglia da patriarcale in nucleare e la crescente affermazione del ruolo femminile nella società determinavano una diversa coscienza sociale e, quindi, un significativo mutamento del quadro normativo, segnato, oltre che dall’introduzione del divorzio, dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, con la qua- 5 PATTI S., Famiglia e responsabilità civile, Giuffré. Milano, 1984, 20. PATTI, Op. cit, 51 ss. – MOROZZO DELLA ROCCA P., Violazione dei doveri coniugali, immunità o responsabilità? , in RCDP, 1988, 605 ss.. 7 JEMOLO A. C., La famiglia e il diritto, Jovene, Napoli, 1949, 57. 8 MOROZZO DELLA ROCCA, op. cit., 608. 6 3 le – anche in virtù di una nuova lettura dell’art. 29 Cost. 9 - alla struttura gerarchica subentrava una vera comunità, precipuamente dedita, in virtù di principi solidaristici e democratici, alla valorizzazione delle istanze dell’individuo, che proprio nell’ambito della famiglia, intesa come primaria formazione sociale, doveva trovare il luogo deputato alla propria realizzazione non solo come genitore o figlio, ma anche e soprattutto come cives 10 . La sottrazione al diritto comune, anche per quanto riguardava le conseguenze dell’illecito, non appariva più giustificata: venti dell’ovest ormai battevano l’isola, diffondendo (grazie alla meritoria opera di valorosi giuristi) le modalità e le ragioni in base alle quali prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti d’America si era affievolito il principio dell’ interspousual immunity 11 ; contro di essa si infrangevano le onde di una ormai rinnovata responsabilità civile, sempre più sensibile alle esigenze dei soggetti deboli e aperta alla ricerca di nuove soluzioni sul fronte del ristoro del pregiudizio non patrimoniale. Va al riguardo sottolineato come le poche pronunce che negli anni precedenti avevano ammesso il concorso della responsabilità extracontrattuale con le conseguenze di natura personale proprie del diritto di famiglia, per violazione, ad esempio, dell’obbligo di fedeltà, erano focalizzate esclusivamente sugli aspetti di natura patrimoniale, esigendo, a tal fine, “anche la prova delle circostanze che abbiano determinato, nel caso specifico, l’incidenza patrimoniale concreta, o quanto meno potenziale, di quell’illecito” 12 . 1.3 Orientamenti della dottrina. Il processo di coniugazione dei rapporti familiari con la lex Aquilia non è stato privo di contrasti: ancora in epoca abbastanza recente si ribadiva in giurisprudenza (con si- 9 FRACCON A, Relazioni familiari e responsabilità civile, Giuffré, Milano, 2003, 32 e ss. CARBONE E, Op. cit, 83 ss; PATTI S., op. cit. passim. 11 PATTI S., op. cit., 61 12 Cass., 19 giugno 1975, n. 2468. 10 4 gnificativi echi in dottrina 13 ) la sufficienza, in via esclusiva, dei rimedi offerti dalla disciplina del diritto di famiglia 14 . Il tema dei rapporti fra responsabilità extracontrattuale e violazione dei doveri familiari aveva, infatti, per lungo tempo risentito delle conseguenze della ritenuta alternatività fra sanzioni adottabili su piani in realtà diversi, a sua volta ingenerata, come posto in evidenza da attenta dottrina 15 , dall’accentuazione posta sul ruolo della vittima in relazione allo status familiae, e non già sull’interesse della persona in quanto tale. Le progressive affermazioni delle opinioni orientate a non più attribuire prevalenza all’interesse della famiglia su quello del singolo 16 , cui si sarebbero in seguito associate, sul piano normativo, specifiche disposizioni dettate, per l’appunto, a tutela della persona dalla violenza in ambito endo-familiare (v., per tutte, la l. 4 aprile 2001, n. 154) costituivano il segno di un mutamento del clima culturale, nel quale la responsabilità civile, a sua volta arricchita della prospettiva intesa a valorizzare gli aspetti esistenziali della persona, trovava un terreno fertile per radicarsi. Può quindi affermarsi che, una volta posto l’accento sulla preminenza dei diritti della personalità anche nell’ambito familiare, la lesione dell'identità − spostando l'attenzione dell'interprete dal piano del dovere non rispettato a quello dell'interesse leso − consente al danneggiato di azionare rimedi di carattere risarcitorio e, dunque, di ottenere una tutela tendenzialmente completa e sostanziale delle sue ragioni 17 . La prevalenza della prospettiva individualistica, certamente agevolata dall’introduzione nel nostro ordinamento del divorzio e dalla successiva riduzione, con la l. n. 74 del 13 FINOCCHIARO M., La ricerca della tutela per la parte più debole non deve generare diritti al di là della legge, in G. Dir 2002, n. 24, p. 49. 14 Si affermava, ad esempio, in giurisprudenza che “ ..costituendo la separazione personale un diritto inquadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona (cioè un bene di altissima rilevanza costituzionale) ed avendone il legislatore specificato analiticamente le conseguenze nella disciplina del diritto di famiglia (cioè nella sede sua propria), deve escludersi, - proprio in omaggio al principio secondo cui " inclusio unius, exclusio alterius" - che a tali conseguenze si possano aggiungere anche quelle proprie della responsabilità aquilana ex art. 2043 c.c., che, pur senza citare espressamente, la ricorrente sembra chiaramente voler porre a fondamento della sua pretesa risarcitoria per la perdita dei vantaggi insiti in qualsiasi convivenza coniugale" (Cass., 6 aprile 1993, n. 4108). 15 CENDON P – SEBASTIO G., Lei, lui e il danno. La responsabilità civile tra coniugi, in RCP, 2002, 1257 ss. FRACCON A, Op. cit., 31. 17 MESSINETTI D, Diritti della famiglia e identità della persona, in RDC 2005, I, 137 ss. 16 5 1987, dei termini per ottenerlo 18 , e, con esse, il radicale superamento della visione pubblicistica del diritto di famiglia, hanno determinato il venir meno di quel superiore interesse che per lungo tempo aveva oscurato il principio, in sé abbastanza ovvio, secondo cui “ lo status di familiare non deve comportare una riduzione ed una limitazione delle prerogative della persona, ma semmai un aggravamento delle conseguenze a carico del (familiare) responsabile” 19 . 1.4 Crisi del principio di immunità. Il processo inerente all’estensione della responsabilità civile ai rapporti familiari, ricco di risvolti di natura sociologica, economica e religiosa, non può considerarsi omogeneo, a causa della relatività del concetto di famiglia 20 e dei molteplici aspetti che la stessa, nei diversi periodi storici, ha assunto e continuerà ad assumere: dalla coesistenza di famiglie nucleari, determinate dal fenomeno di contrazione descritto dalla scienza sociologica 21 con famiglie estese, ancora presenti nelle zone meno industrializzate, si è passati all’attuale realtà molto più composita ed eterogenea, caratterizzata dalla compresenza di famiglie coniugali con formazioni ad essa analoghe, ma non prive di aspetti peculiari, come le famiglie ricomposte e le mere convivenze, anche fra persone dello stesso sesso 22 . Va tuttavia rimarcata una profonda differenza fra la situazione ormai storicamente superata e quella presente: mentre lo scontro fra famiglia estesa e nucleare si proiettava, sul piano giuridico, nell’antitesi fra preminenza dell’interesse della coesione familiare e tutela dei diritti del singolo, oggi il principio della responsabilità in ambito endofamiliare, a tutela degli interessi della persona indipendentemente dallo status familiare, è affermato in maniera quasi unanime. Cioè a dire che il principio di immunità, basato sulla risalente presunzione di completezza delle norme specifiche in tema di famiglia, ha rivelato la propria intrinseca debolezza a fronte di gravi aggressioni ai diritti della personalità, meritevoli di tutela sia 18 SESTA M., Introduzione a “I nuovi danni nella famiglia che cambia” di G. FACCI, Ipsoa, Milano, 2004. PATTI S., op. cit., 33. 20 BARCELLONA P, Voce “Famiglia”, in EdD, XVI, 779 21 DURKEHEIM E, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunita, Milano, 1962, 700 ss. 22 SESTA M., Diritto di famiglia, Cedam, Padova, 2003, 24. 19 6 fuori della famiglia, sia all’interno della medesima, soprattutto sotto il profilo del ristoro del danno non patrimoniale. Non mancano invero eccezioni, anche autorevoli: ancora di recente si affermava, in tema di responsabilità per gli atti dannosi non commessi nell’esercizio di ius corrigendi, che la conclusione nel senso dell’immunità, più che nell’esigenza di tutelare la pace familiare, può fondarsi sul dovere reciproco di contribuzione dei coniugi, e sul dovere di mantenimento in confronto dei figli, con la conseguenza che “normalmente, il risarcimento del danno si realizzerà nell’ambito del dovere di mantenimento, che si estenderà alle cure, all’assistenza, alla degenza in clinica ove si tratti di una lesione all’integrità fisica” 23 . 1.5 Nuove prospettive della responsabilità civile e rapporti familiari. Va tuttavia osservato che la progressiva valorizzazione dei diritti della personalità ha ormai permeato ogni settore del diritto, compreso quello inerente ai rapporti familiari: la nuova visione del danno ingiusto, in quanto arrecato non iure 24 ; la lettura “costituzionalmente orientata” dell’art. 2059 c.c., che ha consentito il ristoro del pregiudizio non patrimoniale in relazione alla lesione di interessi costituzionalmente garantiti 25 ; l’evoluzione giurisprudenziale in materia di danni, anche non patrimoniali, arrecati da terzi a congiunti, costituiscono fattori che non potevano non convergere verso l’affermazione, in via generale, della responsabilità in ambito familiare 26 . Necessaria, a tal fine, la verifica della sussistenza dell’ingiustizia del danno, la quale non andrà automaticamente correlata, come si vedrà, alla violazione dei doveri nascenti dalle relazioni interpersonali di natura familiare, bensì alla concreta lesione, come ulteriore conseguenza della violazione stessa, di interessi del soggetto meritevoli di tutela. Ben si comprende come il ristoro di tali pregiudizi debba avvenire ex lege Aquilia, la cui acquisita maggiore capacità di rispondere, in maniera ampia e flessibile, alle esigenze di 23 RESCIGNO P., Manuale di diritto privato, Ipsoa, Milano, 2000, 139. Cass., Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500, DResp. 1999, 965 25 Cass., 31maggio 2003, n. 8827, in Foro It., 2003, I, 2273; Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, Giur. It., 2003, 1777 26 FACCI G., I nuovi danni nella famiglia che cambia, Ispoa, Milano, 2004, 4 ss. 24 7 tutela degli interessi costituzionalmente protetti, fa premio sulle difficoltà di inquadramento, sul piano giuridico, delle obbligazioni inerenti al diritto familiare. Ove si ponga mente, invero, alle risalenti dispute fondate sull’incoercibilità delle obbligazioni di natura personale nascenti da vincoli familiari, nonché alla maggiore protezione accordata alle prestazioni aventi un contenuto più marcatamente patrimoniale, appare evidente - pur dovendosi segnalare interessanti tentativi di ricondurre nella disciplina dell’art. 1218 c.c. determinate violazioni di obblighi familiari 27 - come la responsabilità extracontrattuale costituisca un rimedio di carattere generale per ogni tipo di condotta illecita nella quale alla violazione del dovere in sé, quale determinato dalla relazione di tipo familiare, si associno pregiudizi rilevanti sul piano esistenziale, biologico e morale derivanti da lesioni a fondamentali interessi della persona in quanto tale. In altri termini, appare sempre più indubbio che nell’ambito familiare, in cui entrano in gioco aspetti di notevole rilievo, quali la personalità dell’individuo e la possibilità per lo stesso di realizzarsi giovandosi dei contributi che derivano dalla solidarietà fra congiunti e che riverberano tali effetti positivi sul modo di proiettarsi dell’individuo stesso nei rapporti sociali, la comparazione degli interessi in conflitto debba risolversi a favore dei portatori di tali situazioni soggettive, nel senso della piena ammissibilità della tutela aquiliana 28 . 1.6 Valorizzazione dell’individuo e del minore e tutela aquiliana. Non va sottaciuto il fecondo apporto, per quanto attiene alla tutela della prole, derivante alla valorizzazione, in ambito internazionale (Conv. New York 20 novembre 1989, ratificata con l. 27 maggio 1991, n. 176; Conv. Strasburgo, 25 gennaio 1996, rat. con l. 20 marzo 2003, n. 77) della centralità dei diritti del fanciullo, non più mero destinatario di protezione, ma individuo titolare di diritti soggettivi che l’ordinamento 27 OBERTO G., La responsabilità contrattuale nei rapporti familiari, Milano, 2006; Id., I rimedi all’inadempimento degli obblighi di mantenimento nell’ambito della crisi della famiglia, in F. e Dir., 2008, I, 77 ss. 28 GABRIELLI A, Mantenimento e Alimenti, la violazione degli obblighi, in Trattato breve dei nuovi danni, a cura di P. CENDON, Cedam, Padova, 1395 e ss; ROSSI R., Il mantenimento dei figli, Giuffrè, Milano, 2005, 209 ss. 8 deve non solo riconoscere, ma anche garantire e promuovere 29 (Sesta, 2004, VII) : le ricadute sul piano risarcitorio appaiono evidenti. Del resto, anche la recente introduzione dell’art. 709-ter c.p.c. dimostra come il legislatore abbia avvertito l’esigenza di individuare rimedi di carattere sanzionatorio, ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla previgente disciplina, e in taluni casi ritenuti come veri e propri punitive damages 30 , allo scopo di rafforzare la tutela dei rilevanti interessi in parola. In definitiva, sembra ormai assolutamente minoritario l’orientamento secondo cui, in considerazione di un’asserita riferibilità della tutela aquiliana ai soli rapporti tra estranei, sarebbe inopportuno il ricorso allo strumento risarcitorio tra persone legate da vincoli affettivi, tale da determinare un turbamento dell’armonia della famiglia 31 . Appare, al contrario, evidente che, quando i contrasti e le condotte prevaricatrici abbiano aggredito diritti inviolabili della persona, l’armonia familiare si sia da tempo dissolta. Deve invero condividersi il rilievo secondo cui “la crisi della famiglia può derivare più facilmente dalla tolleranza della sopraffazione del singolo piuttosto che da una equilibrata risoluzione di un conflitto secondo le regole che in ipotesi analoghe dettano un adeguato contemperamento degli interessi per tutti i consociati. Come avviene all’interno di ogni comunità sociale, è la mancata sanzione del comportamento illecito che favorisce il suo ripetersi e con esso la distruzione dei legami esistenti fra i membri del gruppo” 32 . 29 SESTA M. Introduzione .. cit., VII NAPOLITANO L, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di divorzio, Giappichelli, Torino, 206; Trib. Messina, 5 aprile 2007, in DFP, 2007, 4, 1795 ss; contra, ARCERI A, L’affidamento condiviso. Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Ipsoa, Milano, 2007, 297; di recente, DI GIROLAMO A., Art. 709 ter c.p.c.: indirizzi giurisprudenziali a tre anni dalla riforma, in Giur. Mer., 2009, 10, 2366. Attribuisce alla misura in esame la funzione propria delle astreintes Trib. Napoli, 27 febbraio 2007, in Foro it. 2007, I, 1610. Vien fatto di osservare come anche la recente introduzione dell’art. 614 bis c.p.c., a tutela degli obblighi infungibili di fare, confermi la tendenza al ricorso a forme di coercizione non compensative. 30 31 RAMACCIONI G, “I c.d. danni intrafamiliari: osservazioni critiche sul recente dibattito giurisprudenziale”, in RCDP, 2006, 179; nel commentare Trib. Monza, 2 dic. 2004 ( in DResp., 2005, 859), lo stesso A. paventa il rischio che il ricorso alla disciplina di cui agli artt. 2043 e ss. possa “spezzare il principio di solidarietà ed assistenza reciproca che ispira il rapporto matrimoniale, in nome della tutela dei diritti fondamentali e delle libertà individuali della persona”. 32 PATTI S., Op. cit., 34. 9 1.7 Natura degli obblighi e responsabilità endo-familiare. Come sopra accennato, un aspetto di natura teorica, fondato sulla natura incoercibile delle obbligazioni familiari, è tuttora considerato da una parte della dottrina ostativo alla configurabilità della responsabilità in ambito familiare 33 . Deve tuttavia ritenersi che tale ostacolo sia soltanto apparente, in quanto derivante dall’equivoco di fondo secondo cui la responsabilità scaturirebbe dalla lesione dell’obbligazione di natura familiare in sé e per sé considerata. Una volta stabilito che l’obbligazione risarcitoria non deriva dalla violazione in sé, ma dall’ulteriore vulnus arrecato alla dignità della persona, indipendentemente dal profilo illecito eventualmente assunto in relazione agli obblighi familiari, non vengono più in rilievo la lesione del rapporto obbligatorio, e con essa, la natura, coercibile o meno, dell’obbligazione, bensì l’offesa arrecata a fondamentali diritti dell’individuo, costituzionalmente garantiti. Il dibattito attuale non attiene più, quindi, alla compatibilità in astratto fra responsabilità civile e violazione degli obblighi familiari, bensì alle modalità di accertamento del requisito dell’ingiustizia, non potendosi escludere, in linea di massima, e proprio in virtù della negazione di qualsiasi automatismo fra inadempimento e responsabilità 34 , una sfera interamente regolata dalla disciplina propria del rapporto familiare. E’ stata all’uopo descritta “un’area di irresponsabilità”, nella quale sono state ricondotte le “azioni/omissioni del defendant corrispondenti all’esercizio di una prerogativa costituzionalmente tutelata, o tale da mettere in questione libertà fondamentali dell’individuo” 35 . La stessa Corte di cassazione ha precisato che “ …non vengono qui in rilievo i comportamenti di minima efficacia lesiva, suscettibili di trovare composizione all’interno della famiglia in forza di quello spirito di comprensione e tolleranza che è parte del dovere di reciproca assistenza, ma unicamente quelle condotte che per la loro intrinseca gravità si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona” 36 . 33 FRANZONI M., Fatti illeciti (artt. 2043, 2056-2059), in Comm, Scialoja-Branca, Zanichelli, 2004, 240; FACCI G., Op. cit., 17 35 CENDON P. – SEBASTIO G., Lei, lui e il danno.La responsabilità civile tra coniugi., in RCP, 2002, 1307. 36 Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, GC 2006, I, 93 ss 34 10 Tale impostazione, del resto, risulta confermate nelle più recenti pronunce delle SS.UU. della Corte di cassazione, laddove, nell’ambito di una più vasta definizione del danno non patrimoniale, si precisa che non sono meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale 37 . 7.2 La giurisprudenza di merito Come già evidenziato, il lungo periodo di silente vigenza del principio di immunità non consentiva ampi margini per l’elaborazione e l’affermazione, nella giurisprudenza di merito, dei principi sottesi alla responsabilità civile endo-familiare. Un’ulteriore, significativa remora era costituita dalla difficoltà di individuare, nei pochi casi in concreto esaminati, la prova del danno patrimoniale, essendo quello non patrimoniale – prima della rilettura dell’art. 2059 c.c. ad opera delle cc.dd. “sentenze gemelle” del 2003 - ristretto in ambiti veramente angusti. Non può escludersi, per altro, una sorta di condizionamento culturale degli stessi giudicanti, nel quale gli anticorpi costituiti dal principio di immunità si alimentavano di “valori” ben lontani da una concezione egualitaria e solidaristica dei rapporti familiari , e “suggeriti da esigenze di vita proprie di quel tempo” 38 . La specificità del rapporto obbligatorio fra i coniugi, soprattutto per quanto attiene agli aspetti di natura non patrimoniale, veniva sottolineata, e ribadita anche in epoca recente, da varie pronunce di merito che escludevano la responsabilità del terzo nella violazione dell’obbligo di fedeltà da parte di uno dei coniugi 39 . Ma già in precedenza il Tribunale di Roma aveva sostenuto, pur con motivazione non esente da rilievi critici 40 , la configurabilità della responsabilità aquiliana come conseguenza della violazione del dovere di fedeltà, rilevando come l’adulterio (della moglie) 37 Cass., SS.UU, 11 novembre 2008, n. 26972. MOROZZO DELLA ROCCA, Op. cit., 609. 39 Trib. Monza, 15 marzo 1997, FD, 1997, 462; Trib. Milano, 22 novembre 2002, GM, 2003, 1371. 38 40 CENDON P., Non desiderare la donna d’altri, ora in Persona e danno, III, Milano, 2004, 3125 ss. 11 potesse, nel particolare ambiente in cui vivono i coniugi essere causa di tanto discredito per il marito da costituire fonte di danno nella vita di relazione, danno di cui si affermava il carattere patrimoniale 41 . Non erano per altro mancate, in passato, isolate decisioni che avevano risolto in termini positivi il problema della responsabilità endo-familiare, sia pure in relazione a fattispecie alquanto particolari, come il danno da procreazione 42 2.1 Inadeguatezza dell’esclusività della disciplina specifica e suo superamento. L’affermazione della compatibilità fra responsabilità civile e rapporti coniugali viene delineandosi, nella giurisprudenza di merito, attraverso la presa di coscienza della inadeguatezza dei rimedi specifici della disciplina del diritto di famiglia, compreso l’addebito della separazione, rispetto al ristoro dei pregiudizi complessivamente arrecati ai diritti del coniuge in quanto persona. Si giunge, quindi, ad affermare che i danni derivanti da violazione dei doveri coniugali sono risarcibili, non sussistendo, al riguardo, deroga alcuna alla clausola generale di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c.: difatti, ai doveri derivanti dal matrimonio si deve riconoscere natura sicuramente giuridica e non soltanto morale, con la conseguenza che può affermarsi come da essi discenda un diritto soggettivo di un coniuge nei confronti dell’altro a comportamenti corrispondenti a tali obblighi. Si precisa, inoltre, che le sanzioni specifiche, quali l’addebito, non esauriscono i rimedi posti a tutela del coniuge in quanto persona, per il quale la famiglia può e deve costituire un ambito di autorealizzazione e non di compressione dei diritti irrinunciabili, quali quello alla salute, all’incolumità personale, all’onore e agli altri diritti personalissimi dell’individuo43 . Un vero e proprio segno di discontinuità, mediante una motivazione nitida e consapevole degli aspetti di natura aquiliana presenti in ambito familiare, è costituito da 41 Trib. Roma, 17 settembre 1988, in NGCC, 1989, I, 559 ss. Trib. Piacenza, 31 luglio 1950, FI, 1951, I, 987. 43 Trib. Milano, 1° febbraio 1999, Fam dir, 2001, 185. 42 12 un’importante decisione in tema di violazione del dovere di assistenza morale e materiale da parte di uno dei coniugi in danno dell’altro 44 . Secondo il Tribunale di Firenze, la contrarietà della condotta tenuta dal convenuto ai doveri derivanti dal matrimonio, configurabile come omissione, quale inadempimento dell’obbligo di assistenza morale e materiale derivante dal matrimonio, è idonea a fondare sia la pronuncia di addebito della separazione, sia la declaratoria di responsabilità del medesimo per i danni derivanti all’attrice sul piano dell’integrità psicofisica, con la conseguente condanna al risarcimento del c.d. danno biologico. Viene in proposito va rilevato che – se è pur vero che l’addebito della separazione non rientra, per sé considerato, tra i criteri di imputazione della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., comportando semplicemente il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, nel concorso della altre circostanze previste dalla legge45 – può peraltro configurarsi la risarcibilità di ulteriori danni nel caso in cui i fatti che hanno dato luogo alla dichiarazione di addebito integrino gli estremi dell’illecito extracontrattuale di cui alla norma citata 46 . 2.2 Affermazione del danno esistenziale. Una vera e propria fioritura di pronunce di accoglimento di pretese risarcitorie concernenti rapporti familiari si verificava parallelamente all’affermazione della figura del danno esistenziale, dal momento che “famiglia e danno esistenziale mostrano, in sostanza, di trarre linfa da matrici simili e di fare capo, sui rispettivi terreni a lemmari non molto distanti fra loro” 47 . Ove si consideri che l’essenza del danno esistenziale 48 è costituita da ogni pregiudizio, oggettivamente accertabile, correlato ad un’alterazione delle abitudini di vita, agli assetti relazionali ed alla capacità di realizzazione del danneggiato 49 , non mancano pro44 Trib. Firenze, 13 giugno 2000, DResp. 2001, 741. 45 Cass., 4108/93, Cass. 3367/93. Nello stesso senso, v. Cass., 26 maggio 1995, n. 5866, richiamata anche in seguito. 47 CENDON P., Dov’è che si sta meglio che in famiglia?, in Persona e Danno, Giuffrè Milano, 2004, 2746. 48 Oggi, secondo Cass. S.U., 16 febbraio 2009, n. 3677 (in RCP, 2009, 4, 754, con nota di P. Ziviz), privo di autonomia e rientrante nel danno morale. 49 Cass., S. U., 24 marzo 2006, n. 6572. 46 13 nunce in cui il riferimento a tali aspetti, pur senza evocare espressamente la figura in esame, costituiscono in ogni caso delle ipotesi di applicazioni della stessa. Così, ad esempio, in relazione a una condotta di un marito altamente lesiva delle esigenze affettive e psicologiche di una giovane moglie, vilipesa e abbandonata in un momento delicato come la gravidanza e il puerperio, il danno viene qualificato “quale modificazione peggiorativa della sfera personale del soggetto, intesa come il complesso di attività, ma anche di vissuti affettivi, emozionali e relazionali, in cui il soggetto esplica la sua personalità, ben più grave del mero disagio comunque conseguente alla frattura dell’unione coniugale 50 7.3 La responsabilità endo-familiare nella giurisprudenza di legittimità Dopo la timida apertura di Cass. n. 2468 del 1975, la S. C., come già ricordato, operava una sostanziale adesione al principio immunitario con la decisione n. 4108 del 1993, fondata sul convincimento che le regole che disciplinano la materia familiare costituiscano un sistema chiuso. Da tale orientamento si discostava la successiva sentenza n. 5866 del 1995, la quale, pur affermando che l'addebito della separazione non costituisce di per sé fonte di responsabilità extracontrattuale, ammetteva in linea teorica la risarcibilità del danno, oltre l'eventuale diritto all' assegno, ove i fatti che hanno dato luogo all' addebito integrino gli estremi dell' illecito ipotizzato dall' art. 2043 c.c.. Si è già posto in evidenza come con la decisione n. 500 del 1999 delle Sezioni unite della S. C. si approdasse a una nuova nozione di danno ingiusto e ad una più ampia rappresentazione dell’interesse meritevole di tutela: oltre all’affermazione inerente alla risarcibilità degli interessi legittimi, la pronuncia catalizzava un processo di riscoperta dell’esigenza di tutela, anche sul piano aquiliano, ed indipendentemente dal danno alla salute, di quelle modificazioni peggiorative della sfera personale del soggetto, nel cui ambito si delineavano, anche nei rapporti tra familiari, nuove figure di danno 51 . 50 Trib. Milano, 4 giugno 2002, RCP, 2002, 1440. 51 FACCI G., Op. cit. 5. 14 Con la sentenza n. 7713 del 2000 la Corte di cassazione perviene per la prima volta all’affermazione del danno esistenziale in un’ipotesi di versamento con ritardo, da parte di un genitore, di quanto dovuto a titolo di concorso per il mantenimento della figlia minore affidata alla madre. Si afferma che, a prescindere dalla considerazione che il pagamento, pacificamente effettuato a molti anni di distanza dalla nascita del minore, sia pur di tutti gli arretrati dovuti dal C., a titolo di mantenimento secondo le prescrizione del giudice civile, non esclude residuali profili di danno patrimoniale (conseguenti proprio al rilevante ritardo della erogazione), è assorbente comunque il rilievo da attribuirsi alla lesione – di per sé considerata - di fondamentali diritti della persona, in particolare inerenti alla qualità di figlio e di minore, scaturita dal comportamento del padre di iniziale ostinato rifiuto di corrispondere al figlio i mezzi di sussistenza. E, in questa prospettiva – si aggiunge - non v'è dubbio che il comportamento sanzionato dall'articolo 570 del codice penale - sia pur costituito nella sua materialità dalla mancata corresponsione di mezzi di sussistenza – rilevi, sul piano civile, in termini di violazione non di un mero diritto di contenuto patrimoniale, ma di sottesi e più pregnanti diritti fondamentali della persona, in quanto figlio e in quanto minore. Si ritiene, quindi, come non possa negarsi che la lesione di diritti siffatti, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti, vada incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sè della lesione (danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare (danno conseguenza), come, del resto, già ben posto in luce dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 184 del 1986, relativa al danno - evento da lesione del diritto alla salute (cd. danno biologico) ma riferibile (per la latitudine dei suoi enunciati) ad ogni analoga lesione di diritti comunque fondamentali della persona, risolventesi in un danno esistenziale ad alla vita di relazione. La vigente Costituzione, garantendo principalmente e primariamente valori personali impone, infatti una lettura costituzionalmente orientata dell'articolo 2043 Cc. (che non si sottrarrebbe altrimenti ad esiti di incostituzionalità) "in correlazione agli articoli della Carta che tutelano i predetti valori", nel senso appunto che quella norma sia "idonea a compensare il sacrificio che gli stessi valori subiscono a 15 causa dell'illecito", attraverso "il risarcimento del danno che! è sanzione esecutiva del precetto primario ed è la minima delle sanzioni che l'ordinamento appresta per la tutela di un interesse". L’art. 2043 Cc, correlato agli articoli 2 e ss. Costituzione, va così "necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana" 52 . La decisione, ancorché criticata per aver recepito una nozione di danno-evento considerata confliggente con la figura del danno esistenziale 53 , per aver rievocato anche l’obsoleta figura del danno alla vita di relazione 54 , assume un significativo rilievo per aver posto in evidenza come la violazione dell’obbligo di mantenimento comporti la lesione di diritti fondamentali della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori costituzionalmente garantiti. 7.3.1 La giurisprudenza recente Successivamente la S. C. acquisiva una maggiore consapevolezza degli aspetti di natura probatoria e della necessità di privilegiare la nozione di danno-conseguenza, nonché della problematica correlata all’autonomia del danno esistenziale, soprattutto con riferimento alla tutela costituzionale della persona umana nel suo sviluppo e nelle sue manifestazioni, con relativa esclusione dei limiti alla risarcibilità del danno non patrimoniale risultanti dall’art. 2059 c.c. 55 . Con le sentenze nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 (seguite dopo poco tempo e, in buona parte, convalidate da Corte Cost. 11 luglio 2003, n. 233), la Corte di cassazione portava poi a compimento un vasto ed elaborato processo di razionalizzazione degli orientamenti interpretativi in materia di risarcimento del danno alla persona, affer52 Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, DResp., 2000, 835 ss. 53 ZANINI N, Il maltrattamento dei minori, in Trattato breve dei nuovi danni, II, a cura di P. Cendon, Cedam, Padova, 2002, 1464. Giova precisare che attualmente la natura consequenziale del danno non patrimoniale è unanimamente riconosciuta. 54 FRACCON A., Op. cit., 303. 55 Cass., 3 luglio 2001, n. 9009 in RCP, 2001, 1177 ss. 16 mando principi che tuttora costituiscono imprescindibili punti di riferimento, sia nel dibattito dottrinale che nella quotidiana prassi giudiziaria. I capisaldi del nuovo corso consistono nella riaffermazione di una netta bipartizione fra danni patrimoniali e non patrimoniali; nella riconduzione in quest’ultimo ambito anche del danno biologico; nella precisazione della risarcibilità, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c. c., del danno non patrimoniale, inteso come “ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica”, e tale da ricomprendere, senza in esso esaurirsi, il danno morale soggettivo. Siffatto pregiudizio non patrimoniale, collocato nella prospettiva del danno-conseguenza (e considerato come danno subito in via diretta ed immediata anche da parte dei soggetti diversi dalla vittima c.d. “primaria”), nei casi in cui la lesione abbia riguardato “valori della persona costituzionalmente garantiti” deve essere risarcito indipendentemente dal limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c. p.. 3.2 Cass. 10 maggio 2005, n. 9801. Ben si comprende come tale processo dovesse determinare il completo superamento di qualsiasi ostacolo alla configurabilità della responsabilità extracontrattuale nelle relazioni familiari, anche riguardo a violazioni specifiche della relativa disciplina. In una successiva decisione della S. C., viene nitidamente tratteggiato il percorso evolutivo che determina l’affermazione della responsabilità endo-familiare, soprattutto in ordine al danno non patrimoniale. Si afferma, nella prospettiva delineata dalle pronunce sopra indicate, che nell’ambito dell' art. 2059 c.c. debbano trovare collocazione e protezione tutte quelle situazioni soggettive relative a perdite non patrimoniali subite dalla persona, per fatti illeciti determinanti un danno ingiusto e per la lesione di valori costituzionalmente protetti o specificamente tutelati da leggi speciali. In altri termini, il rinvio recettizio dell' art. 2059 c.c. ai casi determinati dalla legge non riguarda le sole ipotesi del danno morale soggettivo derivante da reato, ma vale ad assicurare la tutela anche alla lesione di diritti fondamentali della persona, atteso che in forza del rilievo co- 17 stituzionale di tali diritti il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla loro lesione non è soggetto alla riserva di legge posta dalla norma richiamata. Si osserva, quindi, che il principio di indefettibilità della tutela risarcitoria per violazione di diritti fondamentali non può non applicarsi all' interno dell' istituto familiare, in ragione di una presunta completezza della relativa disciplina, tale da imporre di reperire unicamente al suo interno la regolamentazione dei rapporti familiari, anche in contrasto con le norme di altri rami del diritto o con i principi generali dell' ordinamento. Secondo la S.C., “costituisce acquisizione da tempo condivisa dalla giurisprudenza e dalla dottrina che nel sistema delineato dal legislatore del 1975 il modello di famiglia-istituzione, al quale il codice civile del 1942 era rimasto ancorato, è stato superato da quello di famiglia-comunità, i cui interessi non si pongono su un piano sovraordinato, ma si identificano con quelli solidali dei suoi componenti. La famiglia si configura ora come il luogo di incontro e di vita comune dei suoi membri, tra i quali si stabiliscono relazioni di affetto e di solidarietà riferibili a ciascuno di essi. Come si è osservato da alcuni Autori, di tale processo di valorizzazione della sfera individuale dei singoli componenti del nucleo costituisce emblematica espressione la recente legge n. 154 del 2001 sulla violenza familiare, che prevede l'allontanamento per ordine del giudice dalla casa familiare dell' autore della violenza, nell' implicita attribuzione di prevalenza alla tutela della persona che ne sia stata vittima rispetto alle ragioni dell' unità della famiglia”. Viene altresì richiamato l'art. 29 Cost., che, se da un lato giustifica l'articolata previsione di diritti ed obblighi derivanti dal matrimonio, dall' altro lato garantisce una eguaglianza fondata sui vincoli della responsabilità e della solidarietà: “il principio di eguaglianza tra i coniugi costituisce mera specificazione del principio generale di eguaglianza dettato dall' art. 3 Cost., e comporta il riconoscimento di uguali responsabilità dei coniugi nello svolgimento dei rapporti familiari e pari diritti di sviluppo e di arricchimento della loro personalità sia all' interno del nucleo che nella vita di relazione. La famiglia si configura quindi non già come un luogo di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili, ma come sede di autorealizzazione e di crescita, segnata dal reciproco rispetto ed immune da ogni distinzione di ruoli, nell' ambito della quali i singoli componenti conservano le loro essenziali connotazioni e ricevono riconoscimento e tutela, prima ancora che come coniugi, come persone, in adesione al disposto dell' art. 2 Cost., che nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell' uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua per18 sonalità delinea un sistema pluralistico ispirato al rispetto di tutte le aggregazioni sociali nelle quali la personalità di ogni individuo si esprime e si sviluppa”. Si conclude, pertanto, osservandosi che “il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, così come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all' interno di un contesto familiare”. L’iter argomentativo è arricchito da rilievi concernenti la natura giuridica dei doveri che scaturiscono dal matrimonio, nonché dalla constatata inadeguatezza degli strumenti offerti dalla disciplina specifica (come ad esempio, la natura assistenziale dell’assegno di divorzio, il collegamento, anche in caso di addebito, fra diritto all’assegno e condizioni economiche). Si perviene, quindi, alla conclusione secondo cui “la natura, la funzione ed i limiti di ciascuno degli istituti innanzi richiamati rendono evidente che essi non sono strutturalmente incompatibili con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, non escludendo la rilevanza che un determinato comportamento può rivestire ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle conseguenti statuizioni di natura patrimoniale la concorrente rilevanza dello stesso comportamento quale fatto generatore di responsabilità aquiliana” 56 . 3.3 Illeciti fra coniugi All’esito del processo di affrancamento della responsabilità endo-familiare dal principio di immunità, dottrina e giurisprudenza hanno indirizzato la ricerca verso l’individuazione di un’area di responsabilità tra membri della famiglia che trovasse il proprio fondamento nel principio del neminem laedere, indipendentemente dagli stru- 56 Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, GC 2006, I, 93 ss. 19 menti specifici della disciplina familiare, in alcuni casi inadeguati rispetto alle finalità proprie della lex Aquilia. Ed invero, persino con riferimento alle ipotesi previste dalla legge penale maltrattamenti in famiglia, si è posto in evidenza come il reato concernente la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.) non tuteli in coniuge incolpevole da ogni violazione dei doveri nascenti dal matrimonio 57 . In relazione al reato di maltrattamenti in famiglia, si osserva che il carattere abituale ed i relativi aspetti inerenti alla struttura dell’elemento psicologico 58 , di fatto ostacolano le persone offese nel perseguire in maniera fruttuosa l’esercizio dell’azione civile in sede penale 59 . D’altra parte, gli strumenti propri della disciplina del diritto di famiglia - tenuto anche conto dell’ordine di protezione contro gli abusi previsto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, che tuttavia assume notevole importanza sotto il profilo della prevenzione 60 – appaiono inadeguati rispetto all’esigenza di assicurare il dovuto ristoro a coloro che abbiano subito le conseguenze pregiudizievoli di condotte illecite nell’ambito della propria famiglia. Sotto tale profilo appare doveroso sottolineare come, in casi del genere, il risarcimento del danno, oltre ad assolvere le normali funzioni di carattere generale, consenta alla vittima – soprattutto laddove siano state sconvolte le normali attività quotidiane – di rinvenire nuovi interessi, “di crearsi quante più occasioni e opportunità possibili” 61 , onde ripristinare decorose ed accettabili condizioni esistenziali. 4.1 Addebito della separazione e tutela aquiliana. Appare evidente, d’altra parte, la diversa funzione dell’addebito della separazione rispetto alla tutela aquiliana: a prescindere dalla cessazione degli effetti della pronuncia di addebito con la successiva e non infrequente sentenza di divorzio, mette conto di rilevare come lo stesso assegno di separazione è determinato in base a una pluralità di 57 Cfr., quanto all’obbligo di fedeltà, Cass. pen. 12 aprile 1983, Vargiu, Giust. pen. 1984, II, 230; Pret. Pescia, 9 gennaio 1989, Ansaldi, FI, 1989, II, 494; Trib. Massa, 22 agosto 2000, Riv. pen., 2001, 402. 58 Cass. pen., 11 gennaio 2007, n. 3139; Cass. pen., 12 aprile 2006, n. 26235 59 FACCI G, Op, cit., 17; FRACCON A., Op. cit., 163. 60 CIARONI L., Le forme di tutela contro la violenza domestica, in G.M., 2006, 1840 ss; FRACCON, Op.cit. 160 ss. 61 BILOTTA F – CENDON P., Infedeltà coniugale e danno esistenziale, in RCP, 2007, I, 85. 20 criteri, prettamente assistenziali, ragion per cui non possono incidere in maniera significativa (maxime nell’ipotesi in cui il coniuge autore dell’illecito sia quello economicamente più debole) valutazioni di natura sanzionatoria o risarcitoria 62 . La questione appare lucidamente affrontata dalla giurisprudenza di merito, che, movendo dal riconoscimento della “natura pienamente giuridica e non soltanto morale» dei doveri scaturiti dal matrimonio, rileva come da essi discenda una posizione giuridica tutelata o addirittura un diritto soggettivo di un coniuge nei confronti dell'altro a comportamenti rispondenti a tali obblighi, nei cui confronti, in ipotesi di lesione, è configurabile responsabilità aquiliana e darsi, conseguentemente, risarcibilità del danno, anche in relazione all'atipicità dell'illecito extracontrattuale e al collegamento fra l'art. 2043 c.c. e il dovere di solidarietà proclamato dall'art. 2 Cost. 63 . Come si afferma in una nota decisione del Tribunale di Milano, “non varrebbe invocare, per escludere la configurabilità di una responsabilità extracontrattuale di un coniuge nei confronti dell'altro per lesione di alcuno dei doveri nascenti dal matrimonio, l'assunto pure tralatizio a lungo ribadito in materia secondo cui, sulla base del principio lex specialis derogat legis generalis: il fatto stesso che i doveri coniugali e la loro violazione siano specificamente disciplinati nell'ambito del diritto di famiglia, imporrebbe di ritenere inapplicabile in specie la normativa generale ed in particolare il disposto normativo ex art. 2043 c.c. E’ di tutta evidenza, infatti, che da un lato le sanzioni specificamente previste nel diritto di famiglia per la violazione di tali doveri sono strettamente settoriali, solo eventuali ed ormai di ben limitata portata anche sul piano giuridico, almeno a seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento dell'istituto del divorzio, ancor più come disciplinato ex lege 6 marzo 1987, n. 74, con la riduzione del termine triennale di durata della separazione necessario per la pronuncia divorzile, tanto più che tali sanzioni - ed in specie la declaratoria di addebito della separazione, con conseguente perdita del diritto alla percezione di un contributo di mantenimento per il coniuge responsabile del fallimento dell'unione che vi avrebbe avuto altrimenti diritto e perdita dei diritti successori -, proprio per la loro settorialità , risultano comunque prive di rilevanza pratica a fronte di modeste capacità economiche e finanziarie del coniuge altrimenti obbligato alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore dell'altro e finanche prive di alcun significato anche economico per il coniuge 62 MOROZZO DELLA ROCCA, Op. cit., 619. 63 Trib. Milano, 10 febbraio 1999, in Fam. e dir., 2/2001, 187; v. anche giurisprudenza ivi citata) 21 avente diritto alla contribuzione dell'altro. D'altra parte una lettura siffatta della normativa in tema di diritto di famiglia, quale disciplina anche sanzionatoria esclusiva ed esaustiva nell'ambito dei rapporti fra coniugi, risulterebbe comunque in palese contrasto con il dettato costituzionale, ove valesse a rendere inapplicabile in materia il disposto generale ex art. 2043 c.c. anche in caso di condotte lesive dei diritti inviolabili di ciascuno dei coniugi, tutelati in modo pieno ed assoluto ex art. 2 Cost. anche « nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità » di ogni individuo, e quindi anche nell'ambito familiare, ovvero in caso di comportamenti dei coniugi in contrasto con il principio fondamentale di « uguaglianza morale e giuridica » di essi all'interno della famiglia, laddove manchi un esplicito dettato legislativo a limitare tale uguaglianza « a garanzia dell'unità familiare » (art. 29 Cost.) 64 . 4.2 Il fondamento dell’autonomia della responsabilità fra coniugi. L’autonomia della tutela aquiliana nei rapporti di coppia rispetto agli altri rimedi offerti dall’ordinamento alle conseguenze di condotte, in ambito matrimoniale, lesive della personalità e della capacità di realizzazione di ciascuno dei coniugi si rafforza in considerazione della sempre maggiore tutela accordata ai congiunti di coloro che abbiano subito un danno a causa di fatti illeciti posti in essere da soggetti estranei alla famiglia. Appare evidente come sarebbe assolutamente contraria al principio di uguaglianza la tolleranza, da parte dell’ordinamento, di una condotta lesiva, altrimenti punita, solo perché proveniente da un membro della stessa famiglia. Mette conto di rilevare come, oltre a quanto già rilevato circa il carattere maggiormente riprovevole del comportamento illecito posto in essere da un familiare 65 , anche la legislazione penale sia, in linea generale, orientata ad attribuire maggior disvalore alle condotte illecite realizzate, fra l’altro, con abuso di autorità o di relazioni domestiche (art. 61, n. 11, c.p.). Gli atti illeciti commessi da un coniuge in danno dell’altro non possono sottrarsi, quindi, alla clausola generale di responsabilità, essendo del pari evidente che l’applicazione degli art. 2043 e 2059 c.c., anche in considerazione della nota caratteristica di “atipicità” dell’illecito, dovrà avvenire, in forza dei principi affermati dalla più 64 Trib. Milano, 4 giugno 2002, RCP, 2002, 1440. Nello stesso senso la citata Cass. n. 9801 del 2005. 65 PATTI S., Op. cit., 123; FRACCON A., Op. cit., 67. 22 recente giurisprudenza in tema tutela aquiliana degli interessi, attraverso una verifica dell’ingiustizia del danno, nel senso che la condotta del coniuge che abbia comportato una violazione dei doveri nascenti dal matrimonio può determinare un danno risarcibile autonomamente (vale a dire a prescindere dal ricorso ai rimedi propri del diritto di famiglia), quando lo stesso derivi dalla lesione di interessi fondamentali della persona, sicuramente meritevoli di tutela, quali la salute, l’onore, l’integrità morale, la reputazione, la capacità di realizzarsi 66 . 4.3 L’elemento psicologico. Deve a questo punto sottolinearsi l’importanza che assume, tanto ai fini della rilevanza illecita della condotta, quanto riguardo alla quantificazione del danno, l’elemento psicologico. E’ stato correttamente osservato che nel diritto di famiglia non rileva mai la volontarietà della condotta genitoriale, che viene considerata, invece, obiettivamente, per la sua incidenza sulla personalità del minore. Al contrario, il sistema della responsabilità civile richiede la realizzazione dello schema di cui all'art. 2043 c.c.: comportamento doloso o colposo che cagioni danno ingiusto e dia luogo al risarcimento del danno inferto 67 . In altri termini, l’elemento psicologico del dolo assume, nei rapporti familiari, un rilievo specifico ed autonomo, tanto più che l’equivalenza fra colpa e dolo è stata da tempo sottoposta ad attenta revisione critica 68 : si viene a creare, nel giudizio di bilanciamento fra interessi contrapposti, un’interferenza fra colpevolezza e ingiustizia del danno, e l’ordinamento esprime, attraverso l’elemento soggettivo del dolo, un giudizio di meritevolezza dell’interesse del danneggiato al risarcimento 69 . 66 FACCI G., Op. cit., 23. DOGLIOTTI M, La responsabilità civile entra nel diritto di famiglia, in DFP, 2002, 63. 68 CENDON P., GAUDINO L., Il dolo, in La responsabilità civile, rassegna diretta da Alpa e Bessone, Torino, Utet, 69 FRANZONI M., L’illecito, in Trattato della responsabilità civile, diretto da M. Franzoni, Giuffrè, Milano, 2004, 339 67 23 4.4. Rapporti fra rimedi propri della disciplina e tutela aquiliana. Giova da ultimo precisare come l’esercizio di facoltà espressamente riconosciute dall’ordinamento in relazione al rapporto di coniugio non potrà mai essere considerato come attività illecita: in particolare, proporre domanda di separazione personale o di divorzio costituisce espressione di ineludibili diritti di libertà e non può costituire fonte di responsabilità 70 Negli stessi termini si è espressa la dottrina, secondo cui deve distinguersi la rilevanza del fatto illecito commesso dal coniuge quale causa di separazione personale o di divorzio, dalla rilevanza che comunque esso presenta quale presupposto per l’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno. Invero la circostanza che il fatto dannoso può rilevare, dato il rapporto esistente fra i soggetti, quale causa di cessazione del rapporto stesso, non esclude la sua rilevanza tipica ai fini dell’applicazione della normativa sull’illecito civile. In tale contesto appare del tutto ovvio che anche lo stesso divorzio, in sé e per sé considerato, non costituisce ipotesi da cui possa scaturire risarcimento del danno. Ciò posto, dovrebbe risultare evidente che neanche il superamento del principio della colpa nella materia in esame, esattamente sostituito dall’idea dell’intollerabilità della convivenza, incide sull’applicabilità della normativa sull’illecito, che invece su tale principio si basa. In altri termini, lo stesso fatto – in ipotesi colposo – rileva quale mero indice dell’intollerabilità della convivenza ai fini della separazione personale e del divorzio, ma ben può rilevare quale presupposto del risarcimento del danno ove la parte lesa intenda servirsi di uno strumento di tutela che le spetta nei confronti di tutti i consociati. Si consideri, tra l’altro, che “una soluzione diversa trasformerebbe le disposizioni relative alla separazione personale e al divorzio in norme di favore per il coniuge responsabile, determinando un’immunità per l’illecito eventualmente commesso che non trova alcun fondamento nel sistema né alcuna giustificazione razionale” 71 . 70 Trib. Civitavecchia, 24 novembre 1982, Temi Romana, 1985, 167; Cass., 6 aprile 1993, n. 4108, GCM; 1993, 624. 71 Così già PATTI S. op. cit., 76. 24 In tale ordine di idee è stato opportunamente delineato un rapporto di sussidiarietà fra i diversi rimedi, una sorta di armonizzazione destinata a tradursi nel principio “secondo cui, affinché possa farsi luogo a una condanna riparatoria, occorrerà che i pregiudizi fatti valere (patrimoniali o non patrimoniali) siano tali per cui nessun provvedimento di separazione, di divorzio, di allontanamento, di invalidazione, di modifica della potestà genitoriale, etc., riuscirebbe a neutralizzarli completamente” 72 . 4.5 Violazione dei doveri coniugali Deve ormai ritenersi del tutto superato l’orientamento in base al quale gli obblighi di natura matrimoniale venivano considerati privi di valore giuridico, sulla base della loro incoercibilità 73 ; la dottrina dominante 74 afferma il carattere giuridico degli obblighi nascenti dal rapporto familiare: la necessità di tutela, anche sotto il profilo risarcitorio, dei soggetti che abbiano subito un pregiudizio in conseguenza della violazione degli obblighi medesimi, è di intuitiva evidenza. D’altra parte, la giurisprudenza è da tempo pervenuta all’affermazione del concorso (eventuale) fra i rimedi privatistici, compreso il ricorso alla lex Aquilia, Si è al riguardo affermato che la netta barriera che separava i due ridetti ambiti normativi, sì da determinare la non interferenza in caso di violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, fatta eccezione per il caso della commissione di specifici fatti di reato, è stata superata dalla giurisprudenza tanto di merito 75 , quanto di legittimità 76 (Vale bene riportare i passi salienti di una decisione di merito 77 che contiene una lucida analisi della problematica. “In particolare, è stato ritenuto che ai fini del riscontro di una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 c.c. a carico del coniuge inadempiente ai doveri coniugali, il giudice deve accertare, anzitutto, la 72 CENDON, SEBASTIO, Op. cit., 1300. DE PAOLA V., Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, Giuffrè, Milano, 1991, 117. 74 BIANCA C.M., Diritto civile, II, Giuffré, Milano, 2001, 66; ZATTI 9, I diritti e i doveri che nascono dal matrimonio e la separazione dei coniugi, in Tratt. Dir. Priv. diretto da P. Rescigno, Utet, Torino, 1996, 10. 75 Trib. Monza 5.11.2004; Trib. Milano 24.9.2002; 4-6-2002; 7.3.2002; Trib. Firenze 13.6.2000. 76 V. la già richiamata Cass. 10.5.2005, n. 9801. 77 Trib. Venezia, 3 luglio 2006, in GM 2006, 2178. 73 25 obiettiva gravità della condotta assunta dall'agente in violazione di uno o più dei doveri nascenti dal matrimonio, pur nel contesto di una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i coniugi nel contesto familiare, ed in secondo luogo verificare con speciale rigore la sussistenza di un danno oggettivo conseguente a carico dell'altro coniuge e la sua riconducibilità in sede eziologica non già alla crisi coniugale in quanto tale, per sé di norma produttiva di uno stato di sofferenza psico-emotiva, affettiva e relazionale, oltre che talora di disagio economico e comportamentale a carico di almeno una delle parti, ma alla condotta trasgressiva, e perciò lesiva, dell'agente, proprio in quanto posta in essere in aperta e grave violazione di uno o più dei doveri coniugali (cfr. Trib. Milano 7.3.2002). In altri termini, non ogni violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio può essere fonte di un danno risarcibile in via aquiliana, né il mero addebito della separazione, ossia la consapevole violazione di tali obblighi causalmente ricollegabile al fallimento dell'unione può essere sanzionata ex art. 2043 c.c., pena lo stravolgimento della funzione propria della responsabilità civile quale strumento volto a riallocare le esternalità negative in un'ottica non solo compensatrice, ma di deterrenza adeguata. Diversamente opinando si rischierebbe di fare opera di banalizzazione dell'istituto, trasformandolo in uno strumento indiretto di coazione rispetto al rapporto di coppia, tradendo il senso della vigente disciplina in materia di separazione basato sull'oggettiva rilevazione di una situazione ostativa alla prosecuzione della convivenza o di pregiudizio alla prole dal suo protrarsi. Non senza considerare che, in assenza di una regolazione delle unioni di fatto, un eccessivo ricorso allo strumento della responsabilità civile finirebbe per sortire un esito di deterrenza tale da dissuadere dal ricorso all'istituto del matrimonio con esiti controintutivi sul piano della tutela dei soggetti deboli. Occorre allora mantenersi nel solco della differenziazione remediale, mantenendo nell'alveo di quelli tipici della crisi dell'unione anche condotte tali da legittimare una pronuncia di addebito e limitando il ricorso al presidio della responsabilità civile al cospetto di condotte dolosamente, anche in termini di dolo eventuale, o gravemente colpose, eziologicamente ricollegabili alla lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela nell'ambito del consueto giudizio di bilanciamento proprio del settore in questione. La Cassazione (sentenza 26-05-1995, n. 5866) aveva già precisato che l'addebito della separazione, di per sé considerato, non è fonte di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., determinando, nel concorso delle altre circostanze specificamente previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento. Per converso, la risarcibilità dei danni ulteriori è configurabile solo se i 26 fatti che hanno dato luogo all'addebito integrano gli estremi dell'illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata. Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art. 2043 c.c. anche nell'ambito dei rapporti tra coniugi, occorre vagliare in concreto se la condotta assunta da uno di essi in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio sia anzitutto soggettivamente imputabile al suo autore, in quanto sorretta da dolo o colpa, se essa sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva giuridicamente tutelata dell'altro e produttiva di danno perciò ingiusto e se fra la condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di causalità giuridicamente apprezzabile. Più di recente, in un'ottica incentrata sulla tutela dei diritti della personalità, la cui tutela non può subire discontinuità in funzione del soggetto autore dell'aggressione, ritenuta la piena sovrapponibilità fra i rimedi predisposti dal diritto di famiglia a presidio delle situazioni di crisi e quello della responsabilità civile, la Suprema corte ha dato rilievo alla dignità dei coniugi come diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile (Cass. 9801/2005). Se non ogni violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, e neppure la pronuncia di addebito, permettono di fondare una valutazione in termini di ingiustizia del danno, deve valere anche la proposizione inversa: la mancanza di addebito della separazione di per sé non esclude il ricorso alla strumento risarcitorio. Occorre allora guardare più nel concreto se ed in quale misura la condotta di un coniuge, dolosa o gravemente colposa, possa essere ritenuta fonte di un danno in quanto lesiva di una situazione soggettiva di rango costituzionale (secondo la tassonomia consegnata da Cass. 8827/8828-2003), sempre che sia accertato il nesso di causa. Per cercare di concretizzare la nozione di quid pluris portata in esponente dalla giurisprudenza (cfr. Trib. Milano 24.9.2002) pare miglior partito guardare all'agente, finendo per dar rilievo a condotte apertamente contrarie ai doveri nascenti dal matrimonio poste in essere pur nella consapevolezza della loro attitudine a recare pregiudizio alla sfera dell'altro coniuge”. 4.6 Individuazione dei doveri coniugali. L’individuazione dei doveri coniugali deve avvenire nell’ambito del principio di uguaglianza ribadito nel primo comma dell’art. 143 c.c.; non può escludersi, tuttavia, che la valorizzazione dell’accordo, che disciplina non solo la formazione dell’atto di matri27 monio, ma anche il rapporto 78 , possa implicare la possibilità di collegare ai coniugi comportamenti diversificati, ma purché conseguenza di un accordo reputato meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, perché attuativo del dovere di collaborare nell’interesse della famiglia e di contribuire ai suoi bisogni e, per ciò stesso e a un tempo, finalizzato alla sviluppo e alla realizzazione della personalità dei singoli membri della comunità familiare 79 . L’individuazione e l’enumerazione degli obblighi in esame prescinde, quindi, dal mero dato normativo e richiede un’attenta e complessiva valutazione dell’istituto del matrimonio, alla luce dei principi costituzionali e dei connotati che gli stessi obblighi assumono in considerazione dei mutamenti di natura sociale, economica e religiosa che si verificano nella società. E’ pacifico che l’elencazione di cui all’art. 143 c.c. non esaurisce i doveri derivanti dal matrimonio. Altri doveri discendono e sono connaturati al rapporto coniugale, come il rispetto della personalità del coniuge, in applicazione del principio di uguaglianza morale, oltre che giuridica 80 , come la ricerca dell’accordo quale metodo di esercizio della parità coniugale e di salvaguardia della comunione spirituale e materiale della coppia, dovere che si desume dall’art. 144. In particolare, il dovere di concordare l’indirizzo della vita familiare, che è stato definito “ il primo dei doveri in quanto, data la sua natura strumentale, l’accordo va costantemente ricercato in tutti gli affari, essenziali e non, della famiglia”, riscontra una larga convergenza in dottrina ed affermazioni anche giurisprudenziali 81 . Non manca chi individua in una serie differenziata di fonti (gli artt. 143, 160 c.c.; le norme sull’addebito della separazione e sulle sue conseguenze; i reati previsti dagli artt. 570, 571, 573 e 574 c.p.) gli indici di giuridicità dei doveri coniugali, con la precisazione che, nonostante la loro natura squisitamente relazionale li renda sostanzialmen78 FERRANDO G., Il Matrimonio, Tratt. Dir. civ. e comm. Cicu e Messineo, Milano, 2002, 163. In termini, RUSCELLO F., I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in Tratt. Dir. Fam. diretto da Zatti, Milano, 2002, 731. 80 Cass., civ., sez. I, 19.5.1978, n. 2470, GI, 1978, I, 1398 81 Cass., sez. I, 9.5.1985, n. 2882, GI, 1985,I, 2535. 79 28 te incoercibili laddove non abbiano un franco contenuto economico, cioè di mantenimento, questo aspetto non ne diminuisce il valore giuridicamente vincolante 82 . 4.7 Autonomia del giudizio di responsabilità rispetto alla crisi familiare. Mette conto di sottolineare come, ai fini del giudizio di responsabilità a carico di un coniuge, il campo d’indagine, ancorché focalizzato, come dato di partenza, sulla violazione di un obbligo familiare, non deve necessariamente estendersi alla verifica del nesso di causalità con l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, potendo la lesione di diritti della personalità di uno dei coniugi aver luogo indipendentemente dalla crisi familiare. Del pari irrilevante appare un’eventuale compensazione fra violazione reciproche, la quale – essendo funzionale soltanto nei rapporti meramente obbligatori e non in quelli familiari - non può aver luogo neppure ai fini dell’addebito della separazione 83 . Sempre con riferimento a violazioni commesse da entrambi i coniugi, è opportuno precisare che, mentre potranno considerarsi scriminate eventuali condotte trasmodanti, sempre che si configurino come una reazione immediata e proporzionata ad un torto ricevuto e non si traducano in una violazione nell'ambito familiare di regole di condotta imperative ed inderogabili o di norme morali di particolare rilevanza, una trasgressione grave dei doveri coniugali, pur se determinata dal comportamento dell'altro coniuge, dovrà dal giudice essere valutata come autonoma violazione dei doveri e causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, con conseguente dichiarazione di addebito (se richiesto) a carico di entrambi 84 82 83 84 FRACCON A, Op. cit., 93. Cass., sez. I, 9 giugno 2000, n. 7859, GI, 2001, 239. Cass., 12 gennaio 2000, n. 279, in FD, 2000, 471. 29 4.8 Obbligo di solidarietà fra i coniugi. Passando all’esame degli aspetti illeciti correlati a specifiche violazioni, va ricordato, con riferimento all’obbligo di assistenza fra i coniugi, che i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell'art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch'esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale 85 . Conseguentemente, gli atti dispositivi compiuti da un coniuge, ancorché riguardanti beni non appartenenti alla comunione legale, non potranno essere sindacati, né prima, né dopo, dall’altro coniuge che non li condivida, a meno che non si dimostri che tali atti comportino la concreta violazione degli obblighi di assistenza economico materiale della famiglia incombenti sul coniuge proprietario 86 . Il tema della violazione di obblighi di solidarietà in relazione all’amministrazione di beni suscettibili di rientrare (al momento dello scioglimento) nella comunione de residuo è stato al centro di un vivace dibattito. A fronte della posizione tradizionale secondo cui il coniuge non titolare sarebbe titolare di una mera aspettativa, si rinvengono arresti giurisprudenziali in cui si afferma che costituiscono oggetto della comunione "de residuo", ai sensi dell'articolo 177 lett. c) c.c., non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione 87 . 85 86 87 Cass., sez. I, 17 settembre 2004, n. 18749, GCM, 2004, 9. Cass., 15 aprile 2002, n. 5420, VN, 2002, 1532. Cass. 17 novembre 2000, n. 14897, GCM, 2000, 2357. 30 Appare evidente come in tal modo, sia pure in via indiretta, si pervenga all’affermazione di una responsabilità del coniuge che abbia “consumato” beni personali non solo in maniera palesamente contraria al dovere di solidarietà coniugale, ma anche per ragioni di carattere personale, non necessariamente in contrasto con tale dovere. Un punto di equilibrio è stato individuato nella possibilità per il coniuge titolare di disporre dei propri beni, salvo che si dimostri un vero e proprio animus nocendi, vale a dire la volontà di sottrarre i beni, in vista dello scioglimento della comunione, alla comunione de residuo, sperperandoli o occultandoli 88 . Nessun dubbio, per contro, ricorre in merito alla responsabilità del coniuge per cattiva amministrazione di beni appartenenti alla comunione : la pretesa risarcitoria, considerata di natura contrattuale dalla prevalente dottrina 89 , potrà essere esercitata indipendentemente dall’azione prevista dall’art. 193 c.c. 90 . Carattere prettamente aquiliano, viceversa, va attribuito all’azione prevista dall’art. 217, c. 4. c.c., per i danni e la mancata percezione dei frutti dei beni dell’altro coniuge, amministrati nonostante la sua opposizione. 4.9 Il dovere di assistenza morale. Le istanze riparatorie assumono diverso spessore allorché i pregiudizi, di natura prettamente non patrimoniale, attengano a violazioni del dovere di assistenza morale. Significativa, al riguardo, appare la seguente pronuncia di merito: “Posta, dunque, la sicura applicabilità del disposto normativo ex art. 2043 c.c. anche nell'ambito dei rapporti tra coniugi, occorre peraltro vagliare in concreto se la condotta assunta da uno di essi in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio sia anzitutto soggettivamente imputabile al suo autore, in quanto sorretta da dolo o colpa, se essa sia in concreto lesiva di una posizione soggettiva giuridicamen88 GIUSTI A., L’amministrazione dei beni della comunione legale, Giuffré. Milano, 1989, 34. FACCI G., Op. cit, 42. 90 FRACCON A., Op. cit, , 208. 89 31 te tutelato dell'altro e produttiva di danno perciò ingiusto e se fra la condotta stessa ed il danno accertato sussista in effetti un nesso di causalità giuridicamente apprezzabile nei termini innanzi precisati. Considerata, dunque, in tale prospettiva la condotta assunta dal sig. (...) nell'ultimo periodo della convivenza matrimoniale, ed in specie dall'inizio della gravidanza della moglie e sino all'instaurazione del presente giudizio, in violazione dei doveri di solidarietà , di collaborazione, di assistenza morale e materiale tra coniugi e del diritto stesso di fedeltà, inteso quest'ultimo in senso ampio, quale dovere di lealtà verso l'altro coniuge ed anche come capacità di « sacrificare gli interessi e le scelte individuali che si rivelino in contrasto con gli impegni e le prospettive della vita comune » (v. Cass. civ., 18 settembre 1997,n. 9287), non vi è dubbio anzitutto che si tratti di un comportamento non certamente episodico ed occasionale, ma protrattosi per mesi ed accompagnato da esplicite affermazioni dell'agente di aperto disinteresse per le sorti ed i bisogni della moglie e del figlio nascituro, come risulta dal tenore dei laconici biglietti da questi lasciati alla sig.ra (...) in concomitanza con i suoi frequentissimi allontanamenti da casa (v. documenti sub n. 19 nel fascicolo della parte convenuta) e soprattutto nella dichiarazione scritta senza data sottoscritta dal sig. (...) e prodotta dalla controparte sub documento n. 1, sicchè trattasi di condotta certamente dolosa dell'agente, perchè pienamente consapevole e volontaria. Si tratta del resto di condotta trasgressiva dei doveri coniugali specialmente grave, in quanto attuata dall'agente con modalità sprezzanti, apertamente e finanche platealmente abbandoniche nei riguardi del coniuge in condizione di particolare fragilità e bisognoso di assistenza e sostegno morale ed affettivo per via del suo stato di gravidanza, peraltro dapprima voluto e ricercato da entrambi i coniugi, tanto da risultare persino ingiurioso per la sig.ra (...). Ritiene peraltro il Tribunale, alla luce delle risultanze emerse dall'istruttoria processuale e dalla documentazione prodotta dalla parte convenuta, che sia in concreto ravvisabile in specie, quale conseguenza della condotta così assunta dal sig. (...), un danno apprezzabile e rilevante a carico della sig.ra (...), non già nei termini solo genericamente prospettati dalla convenuta di un danno economico in correlazione agli esami medici cui ella ebbe a sottoporsi in corso di gravidanza, quali in effetti documentati sub nn. 4 e 5 nel fascicolo di parte convenuta, trattandosi, come si evince dalle ricevute relative al pagamento delle spese per tali esami, di accertamenti clinici che d'ordinario vengono comunque effettuati, secondo normale diligenza, in corso di gravidanza (ecografia ostetrica e studio morfologico, esame del liquido amniotico), quanto piuttosto quale modificazione peggiorativa della sfera personale del soggetto, intesa come il complesso di attività , ma anche di vissuti affettivi, emozionali e relazionali, in 32 cui il soggetto esplica la sua personalità , ben più grave del mero disagio comunque conseguente alla frattura dell'unione coniugale. Si evince infatti dall'unica certificazione medica prodotta dalla convenuta a riprova delle sue condizioni psico-fisiche nel corso della gravidanza (v. documento n. 4 nel fascicolo di parte convenuta) che ella si presentò sempre da sola in occasione delle visite ostetriche cui ebbe a sottoporsi in corso di gestazione, « riferendo problemi nella relazione di coppia iniziati contemporaneamente alla diagnosi di gravidanza » e che « per tutta la durata della gestazione la paziente ha manifestato sindrome depressiva reattiva alle difficoltà relazionali col partner », sicché , a fronte della constatata « crescita fetale rallentata e asimmetrica », « per tale iposviluppo e per la sindrome depressiva » venne eseguito infine taglio cesareo conservatore » per il parto. Trattasi, come evidente, di stati di sofferenza psico-emozionale a carico dell'odierna convenuta, più che di patologie in senso proprio, laddove la sindrome depressiva del soggetto può ritenersi in via presuntiva almeno in parte correlabile al mero fatto del constatato deterioramento della sua relazione complessiva con il coniuge, nel contesto di una crisi coniugale come tale non addebitabile a responsabilità dell'altro coniuge, ed il vero principale effetto patologico constatato in sede clinica - la rallentata ed asimmetrica crescita fetale - non può invece con certezza ascriversi eziologicamente alla condotta del marito. Nondimeno tale diagnosi clinica evidenzia comunque uno stato di mancata serenità , inquietudine, senso di abbandono specificamente riferibile alla gravidanza del soggetto in atto, che non può non aver pregiudicato la qualità complessiva dello stato di vita del soggetto in un periodo di particolare rilevanza sul piano emotivo, affettivo, relazionale e progettuale quale è quello della gestazione, come del resto è emerso con chiarezza dal tenore delle deposizioni testimoniali rese in giudizio dalle persone che furono vicine alla sig.ra (...) nel periodo della gravidanza, ed in specie dei sigg. (...) e (...). Né può dubitarsi che tale stato di sofferenza abbia nella specie pregiudicato un'aspettativa del soggetto leso riconducibile ad una posizione giuridicamente tutelata, giacché la condotta censurata del marito ebbe proprio a manifestarsi e dispiegarsi, in costanza di matrimonio, in vista della preannunciata maternità della moglie, sicché, alla luce del chiaro disposto costituzionale ex artt. 29, commi 1 e 2, e 31, comma 2, Cost., essa risulta posta in essere in violazione dei principi fondamentali di necessaria tutela della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, da intendersi quale legittima aspettativa dei coniugi ad un pari benessere e ad una pari realizzazione personale nella vita coniugale pure in relazione alle diverse prerogative ed esperienze correlate alla specialità di genere di ciascuno, e di necessaria tutela della maternità . 33 Peraltro « la norma di cui all'art. 2043 c.c., ponendo il principio della risarcibilità del danno ingiusto, senza alcun riferimento alla natura patrimoniale dello stesso, stabilisce in via immediata la risarcibilità del complessivo valore della persona, nella sua proiezione non solo economica, ma anche soggettiva, e, quindi, della lesione di diritti primari, in quanto inerenti alla persona umana » (Cass. civ., 21 maggio 1996, n. 4671)” 91 . Va altresì rimarcata l’importanza della seguente sentenza del Tribunale di Firenze, in cui gli aspetti inerenti alla violazione del dovere di assistenza – che hanno nella specie condotto applicazione della clausola generale di responsabilità, oltre ai rimedi propri del diritto familiare – riguardano il disinteresse del coniuge per una moglie affetta da disturbi psichici, le cui conseguenze, in presenza di cure adeguate, si sarebbero potute quanto meno attenuare. “Osserva il Collegio che l' iter della vicenda coniugale tra le parti e l'esito al quale la stessa è pervenuta, per quanto emerso dalle complessive risultanze di causa, dimostra inequivocabilmente la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 151 c.c. per la pronuncia della separazione dei coniugi. Deve infatti ritenersi che la prosecuzione ( rectius la ripresa) della convivenza sia ormai definitivamente divenuta impossibile, oltre che intollerabile, dato che da tempo è venuta meno ogni intesa tra i coniugi. Lo stesso iter , come ricostruibile alla luce dei fatti ammessi in causa dalle parti, dalle deposizioni dei testi e dalle risultanze della C.T.U. della Dr.ssa A. M., dimostra, pure inequivocabilmente, che il comportamento del marito A.M. integra gli estremi per pronunciare la separazione con addebito a costui, come richiesto dall'attrice, in particolare sotto il profilo della violazione dell'obbligo di assistenza morale e materiale previsto dall'art. 143, comma 2 c.c.: è infatti risultato che, pur essendosi manifestata la malattia della moglie inizialmente solo in modo episodico ed occasionale nei primi anni del matrimonio, progressivamente si sviluppò sino a portarla ad isolarsi via via dal mondo esterno e dai contatti sociali e con la famiglia di origine, nonché dalla stessa vita coniugale e familiare, quindi si aggravò in modo estremo dalla fine del 1992, quando l'attrice si chiuse nel salotto di casa, sola, al buio e in uno stato di totale incuria per la propria persona, e qui rimase per quasi quattro anni completamente isolata dalla famiglia e dal mondo, sino al trattamento sanitario obbligatorio attuato nell'ago91 Trib. Milano, 4 giugno 2002, RCP, 2002, 1440. 34 sto del 1996 su iniziativa del M., e che a fronte (quantomeno) di tale situazione estrema il marito si disinteressò completamente della consorte, mantenendo una condotta di passività e accettazione, se si esclude qualche isolata iniziativa peraltro naufragata di cui si dirà, si decise ad intervenire attivando i servizi pubblici per il t.s.o. solo per motivi di utilità pratica, quando la necessità di rilasciare l'abitazione familiare detenuta per ragioni di servizio gli impose di far uscire la moglie dal suo "nido" e infine, ricoverata la stessa in ospedale per più di quaranta giorni, nel corso dei quali si recò a visitarla solo un paio di volte, al momento delle dimissioni ancora non se ne fece carico, non manifestando la minima disponibilità a riaccoglierla presso la nuova abitazione, ciò che sarebbe stata la migliore soluzione dal punto di vista terapeutico, così che andò a vivere presso i genitori a Bologna. La C.T.U., in primo luogo, dopo l'analisi dell'obiettività clinica dell'attrice e le considerazioni cliniche e medico legali circa la natura e le cause della patologia dalla quale la stessa è risultata affetta trattasi di "schizofrenia paranoide", in fase attualmente remissiva, disturbo le cui cause si rinvengono nella struttura della personalità, come formatasi nei primissimi mesi di vita, in relazione all'ambiente familiare, quindi di origine processuale endogena, non reattivo a situazioni esterne (nella specie manifestatosi lentamente, con inizio larvato e insidioso, e innestatosi su una personalità premorbosa caratterizzata da diffidenza e sospettosità), con decorso variabile, spesso subcontinuo o cronico progressivo, suscettibile di completa remissione solo nel 25% dei casi, per lo più invece soggetto a remissione solo parziale e cronicizzazione, con diversi gradi di compromissione della personalità (nella specie si rileva una riduzione complessiva delle attività psichiche e un certo ottundimento affettivo-emotivo, con restringimento degli interessi, apatia, abulia, inaridimento e irrigidimento della personalità) - ha sì rilevato che il contrasto di coppia non ha certamente avuto efficacia causale o concausale nell'insorgere della patologia, avendo semmai giocato solo il ruolo di momento sciogliente o liberatore della stessa, segnalando altresì quali fattori prognostici sfavorevoli l'esordio lento e insidioso e la personalità premorbosa della paziente, ma ha poi evidenziato senza mezzi termini che a partire dal 1992-93, in concomitanza con l'autoreclusione nel salotto di casa, il comportamento dell'attrice ha avuto connotati di tale abnormità e incongruità da essere giocoforza considerato patologico, anche da persone non esperte, in particolare in relazione all'abbandono dei figli, così da doversi concludere che "vi sia stato, nel caso della periziata, un inescusabile ritardo nel fornire gli adeguati e necessari sussidi terapeutici, dal momento che la situazione di crisi si era già delineata molto chiaramente almeno fin da tre anni prima che venisse attivato il Servizio Psichiatrico Territoriale" e che, potendo favorevolmente incidere sulla 35 patologia un approccio terapeutico idoneo e tempestivo (quantomeno parzialmente nelle forme a decorso larvato, quale quella dell'attrice), "un tempestivo ausilio psichico, dato da disponibilità terapeutica continuativa e da adeguate misure assistenziali, avrebbe tuttavia consentito alla paziente di ottenere un recupero in tempi molto più precoci e presumibilmente avrebbe anche preservato una quota di quel potenziale psichico che la malattia trascurata ha completamente distrutto". Né può valere a giustificare il convenuto, al quale è senz'altro indirizzata la censura dell'inescusabile ritardo - al di là delle eventuali colpe ascrivibili ai genitori della moglie e alla psichiatra alla quale il marito si rivolse, le cui condotte non sono peraltro oggetto del presente giudizio né nel medesimo sono state compiutamente indagate - la circostanza di essersi, appunto, rivolto ad una psichiatra, la Dr.ssa G.M. di Firenze, nel 1993 per ottenere un consulto sulle condizioni della moglie e un consiglio sul da farsi e avere allora ricevuto solo il suggerimento di un intervento di tipo farmacologico (il "Serenase", effettivamente somministrato di nascosto alla moglie per un certo tempo) ma non di un ricovero coatto, posto che il M. contattò la Dr.ssa M. nel 1993, presumibilmente dopo il primo manifestarsi della condotta di autoreclusione della consorte in salotto alla fine del 1992, ricevette allora in un paio di colloqui chiarimenti diffusi sulla necessità di cura della moglie (v. teste M.: "confermo che dissi al M. che a mio avviso la moglie aveva bisogno di cure. Parlammo a lungo dei farmaci che ora ci sono, per aiutare le persone in difficoltà, di possibilità di ricovero nelle case di cura e del trattamento sanitario obbligatorio in certe situazioni"), per qualche tempo le somministrò di nascosto il "Serenase", ma poi, salvo qualche telefonata successiva alla psichiatra (v. teste M.), pur perdurando la condizione di autoisolamento ed anzi sempre più aggravandosi e facendosi preoccupante con il passare dei mesi e poi degli anni, rimase del tutto inerte e passivo e si decise infine a contattare nuovamente la psichiatra solo nel 1996, per la necessità di abbandonare l'abitazione di servizio e far uscire la moglie dal suo "nido", ricevendone il consiglio di rivolgersi al servizio pubblico per un t.s.o.: si è trattato infatti di un interessamento del tutto episodico, ben poca cosa invero di fronte alla gravità delle condizioni della moglie e al loro perdurare e radicalizzarsi nel tempo, di un'iniziativa rimasta isolata in un quadro generale nel quale il marito si era abituato ad ignorare la moglie e aveva riorganizzato la propria vita e quella dei figli prescindendo dalla stessa 92 ”. 92 Trib. Firenze, 13giugno 2000, in DResp., 2001, 741. 36 4.10 Mutua assistenza e rapporti sessuali. Anche la S.C. pone in rilievo come la reiterata e consapevole violazione del dovere di mutua assistenza, anche attraverso il mancato assolvimento, in maniera pervicace e intenzionale 93 , degli obblighi coniugali che attengono alla vita sessuale della coppia, si collochi su un versante che travalica la disciplina, anche sul piano patologico, del rapporto matrimoniale, e attinge in maniera profonda la dignità e la personalità dell’altro coniuge. Vale bene riportare la seguente decisione della S.C.. “Con l'unico motivo del ricorso, denunziando la violazione degli artt. 143 e 151 c.c., il G. lamenta che la corte palermitana, al pari del tribunale, ha omesso di valutare comparativamente i comportamenti dei coniugi ai fini della dichiarazione di addebito e valorizzato soltanto alcuna delle affermazioni da lui fatte in sede di interrogatorio formale. Da quelle pretermesse si sarebbe potuto evincere che la decisione di interrompere ogni rapporto, anche di natura sessuale, con la moglie, pur continuando i coniugi a vivere sotto lo stesso tetto, era stata determinata dalla condotta di quest'ultima. Facendo venire meno l'affectio maritalis, la consorte aveva, infatti, preso le difese del fratello, che, per difendersi dalle proprie responsabilità gestionali, lo aveva ingiustamente accusato di essersi appropriato di somme appartenenti alla cooperativa edilizia che aveva costruito la casa coniugale. Da nessun atto del giudizio, soggiunge il G., era lecito inferire che l'interruzione dei rapporti sessuali fosse stata frutto di una determinazione unilaterale, e ancor meno da ricollegare a una intrapresa relazione adulterina. Il ricorrente imputa, infine, alla corte territoriale di avere ritenuto offensivo per la moglie l'atteggiamento affettuoso da lui tenuto verso una collega d'ufficio, laddove null'altro era emerso in corso di causa se non che egli era solito viaggiare con la donna per recarsi al posto di lavoro e che in un'occasione aveva ritirato presso l'ufficio postale una raccomandata a lei diretta. Il motivo appare inammissibile nella sua formulazione, in quanto, nonostante il richiamo formale a vizi di violazione di legge, si risolve in una serie di censure di mero fatto, dirette a contrastare le valutazioni compiute nella sentenza impugnata e a proporre una diversa ricostruzione dei fatti ed una di- 93 ROSSI R., La responsabilità civile fra coniugi, in La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale, Torino, 2008, 967. 37 versa lettura del materiale probatorio acquisito, del quale si sostiene la idoneità a dimostrare la responsabilità del G. nel fallimento dell'unione coniugale. In particolare, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la corte di merito non ha affatto disatteso il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l'indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e comparativa dei comportamenti di entrambi i coniugi, dacché la condotta dell'uno non può essere giudicata senza un raffronto con quella dell'altro, e solo tale comparazione consente di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (vedi, tra le altre, Cass. nn. 14162/2001, 279/2000, 2444/1999, 7817/1997, 3511/1994, 961/1992). Per vero, il giudice a quo ha avviato e condotto la sua indagine proprio seguendo questa prospettiva. Sennonché egli è arrivato alla ineccepibile conclusione che il comportamento provatamente mantenuto dal G., costituendo lesione alla dignità, di donna e di moglie, della N., e non potendo giustificarsi, per l'evidente sproporzione, come atto di ritorsione alla dedotta provocazione dell'altro coniuge, era tale da rendere di per sé addebitabile la separazione, sottraendosi, quindi, al giudizio comparativo. Ciò in applicazione di altro principio su cui questa Suprema Corte è uniformemente orientata. È stato infatti più volte affermato che nell'ipotesi in cui i fatti accertati a carico di un coniuge integrino violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, in quanto si traducano nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale e la dignità dell'altro coniuge, così superando la soglia minima di solidarietà e di rispetto per la personalità del partner, essi sfuggono ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificati come atti di reazione o ritorsione rispetto al comportamento dell'altro (Cass. nn. 15101/2004, 5397/1989, 6256/1987, 2809/1978). Quindi, la valutazione dei comportamenti dei coniugi effettuata dal giudice a quo è conforme a diritto non potendosi dubitare che il rifiuto, protrattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con il coniuge costituisca gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa, per come è notorio, di irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico. Consimile contegno, pertanto, configura e integra violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall'art.143 c.c., nella cui nozione sono da ricomprendere tutti gli aspetti di sostegno nei quali, con riferimento anche alla sfera af38 fettiva, si estrinseca il concetto di comunione; si tratta, peraltro, di un dovere che non può non essere il riflesso precettivo di quel legame sentimentale sul quale realmente può reggersi e prosperare il rapporto di coppia. Ove volontariamente posto in essere, il rifiuto alla assistenza affettiva ovvero alla prestazione sessuale non può che costituire addebitamento della separazione, rendendo impossibile all'altro il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita dal punto di vista affettivo e l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato” 94 . 4.11 Il dovere di fedeltà. Le implicazioni della violazione del dovere di fedeltà, sia per la sua frequenza e nella vita quotidiana e nei casi giudiziari, risultano particolarmente approfondite sia da parte della dottrina, sia in giurisprudenza. E’ stata condivisibilmente posta in evidenza l’erronea “lettura” della riforma del 1975 in termini di degradazione dei doveri coniugali a momento morale, riducendoli a “impegno squisitamente privatistico”, così determinando una compressione dei diritti della persona, ponendo in un cono d’ombra i pregiudizi da questa subiti 95 . Alla valorizzazione degli aspetti risarcitori della violazione del dovere di fedeltà ha sicuramente contribuito l’ampliamento della relativa nozione, non più limitata alla sfera sessuale, ma inserita in una prospettiva che colloca i rapporti coniugali in una comunione di vita che non è soltanto materiale, ma è soprattutto spirituale 96 . Conseguenza di codesta sostanziale assimilazione della fedeltà alla lealtà, è la sua autonoma rilevanza, quale condotta lesiva della sensibilità e della dignità dell’altro coniuge. 94 Cass., Sez. I, 23 marzo 2005, n. 6276, FI 2005, I, 2994. 95 PORRECA P, Danno alla persona nel rapporto fra coniugi, in La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale, Torino, 2008, 993. 96 FACCI G, Op. cit, , 23. 39 E’ stato osservato che l’indagine diretta ad accertare le circostanze nelle quali la violazione del dovere di fedeltà può provocare un danno ingiusto e quindi essere fonte dell’obbligo di risarcire il danno, deve muovere, necessariamente, dal significato che si attribuisce al dovere di fedeltà. “Tale significato, infatti, non si identifica più con la concezione tradizionale, secondo la quale la fedeltà consiste in un dovere positivo ed uno negativo: in senso negativo, vieta ai coniugi di intraprendere rapporti sessuali con i terzi; in senso positivo, impone di prestarsi all’attività sessuale richiesta dal partner, in quanto ciascun coniuge è titolare di uno ius in corpus nei confronti dell’altro. L’identificazione del dovere di fedeltà con l’esclusiva sessuale, appare inadeguata rispetto ad una prospettiva che configura i rapporti fra coniugi sulla base di una comunione di vita che non è solo materiale ma è anche e principalmente spirituale. Nel contesto attuale, pertanto, la nozione di fedeltà viene avvicinata a quella di « lealtà », in quanto essa consiste nell’impegno dei coniugi di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale, impegno che deve essere attuato, mediante il sacrificio degli interessi e delle scelte individuali di ciascun coniuge, che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. La fedeltà, quindi, viene tradotta in un dovere, essenzialmente interno alla coppia, di dedizione reciproca che include anche l’esclusiva sessuale, ma non si riduce ad essa. Si tenga, però, in considerazione che se l’obbligo di fedeltà non investe soltanto la sfera dei rapporti sessuali, tuttavia, le violazioni che vengono proposte in sede giudiziaria riguardano, in modo praticamente esclusivo, tale sfera, ed in particolare la violazione dell’obbligo di fedeltà sessuale. Tuttavia, come si è già esaminato in precedenza, ai fini del giudizio di addebito, la relazione extraconiugale non può mai rilevare come autonoma causa di addebitabilità, ma soltanto quanto, unitamente ad altre circostanze oppure da sola, sia stata la causa determinante della frattura del rapporto coniugale e quindi dell’intollerabilità della convivenza. E’ evidente, quindi, che la semplice relazione extraconiugale non possa configurare gli estremi del danno ingiusto, così come la crisi coniugale non è in grado, in sè e per sè , per i motivi già esposti, di integrare gli estremi dell’ingiustizia danno. 40 Infatti, nel giudizio di comparazione che deve essere effettuato al fine di valutare l’esistenza della clausola generale del danno ingiusto, il dovere di fedeltà viene inevitabilmente a scontrarsi con il diritto del coniuge ad autodeterminarsi, ad avere rapporti interpersonali, a porre fine ad essi, eventualmente, anche in vista della formazione di un nuovo nucleo familiare” 97 . In altri termini, la contrapposizione fra il diritto di un coniuge all’osservanza, da parte dell’altro, del dovere di fedeltà, e la libertà dell’altro di autodeterminarsi nelle proprie relazioni incontra, ai fini dell’addebito della separazione, il limite dell’incidenza causale rispetto al determinarsi dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza; nell’ambito della responsabilità aquiliana (che, in virtù di quanto finora evidenziato, può sussistere indipendentemente da una pronuncia di addebito) determina la necessità di procedere a una comparazione degli interessi, che normalmente conduce all’affermazione di responsabilità quando vengano lese, in maniera grave, la dignità del coniuge tradito, ovvero la proprie aspettative di realizzarsi nell’ambito di un rapporto ritenuto affidabile e prodigo di gioia e di serenità. Viene posta in evidenza, sotto tale profilo, l’incidenza del fattore cronologico, nel senso che la disponibilità a perdonare una relazione adulterina estemporanea e di breve durata può legittimamente venir meno quando la stessa si protragga in maniera tale da incidere sul rapporto di fiducia 98 ; viene altresì rimarcata l’importanza delle intese fra i coniugi in merito alla fiducia reciproca e ai limiti posti (anche tacitamente) alla libertà individuale, dovendosi in ogni caso tener conto della sensibilità della vittima anche in relazione all’ambiente sociale in cui è collocata. Deve quindi condividersi il rilievo secondo cui, affinché si abbia violazione del dovere di fedeltà, il comportamento deve essere volontariamente lesivo dell’onore e della dignità altrui: “dalla condotta del coniuge deve essere derivato un pregiudizio alla dignità personale dell’altro coniuge” 99 . In tale prospettiva si sottolinea l’esigenza di valutare le specifiche circostanze, le singolarità della famiglia, l’ambiente e la sensibilità dei soggetti nonché il tipo di intesa esistente fra i coniugi, osservandosi come potrebbe esse97 Così FACCI G., L’infedeltà coniugale e l’ingiustizia del danno, in RCP, 2003, 481. Cass. n. 10273 del 2004, PORRECA, Op. cit, , 997. 99 RUSCELLO F. Op. cit, , 747. 98 41 re rilevante anche la sola infedeltà sentimentale o, addirittura, una infedeltà apparente. Anche il comportamento del coniuge idoneo a evidenziare agli occhi dei terzi la sua infedeltà costituisce di per sé, a prescindere dall’effettiva ricorrenza dell’adulterio, causa di menomazione della dignità dell’altro coniuge, quindi violazione dei doveri derivanti dal matrimonio. Si richiede, in ogni caso, che la condotta del coniuge infedele sia tale da ingenerare nell’altro coniuge e nei terzi il fondato sospetto del tradimento; che il comportamento sia animato dalla consapevolezza e dalla volontà di commettere un fatto lesivo dell’altrui onore e dignità e, infine, che dalla condotta come sopra delineata sia derivato un pregiudizio per la dignità personale dell’altro coniuge, tenuto conto della propria sensibilità e dell’ambiente in cui vive. 4.12 Infedeltà e responsabilità nella giurisprudenza di merito. Dall’esame della giurisprudenza in materia di responsabilità aquiliana derivante da violazione del dovere di fedeltà, emerge tuttavia come, paradossalmente, le ipotesi di accoglimento delle pretese di ristoro del relativo pregiudizio siano abbastanza rare rispetto all’indicata frequenza statistica dell’adulterio come causa della crisi coniugale. La ragione non risiede tanto in una non ancora completa assimilazione, da parte degli operatori giuridici, dei complessivi aspetti della responsabilità endo-familiare, quanto nella diffusa presa di coscienza del carattere sussidiario della responsabilità civile, e, quindi, dell’insussistenza di qualsiasi equivalenza fra crisi coniugale – in sé e per sé considerata – e lex Aquilia. Significativa, al riguardo, la seguente pronuncia di merito. Osserva il Tribunale che il riferimento alla « concorrente » responsabilità pone un preliminare problema teorico — che dovrebbe rappresentare un passaggio necessario all’affermazione di responsabilità del G. — e cioè se sia possibile configurare una responsabilità ex articolo 2043 c.c. del coniuge A. P., ritenendo che la sua condotta in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, oltre ad essere valutabile ai fini della declaratoria di addebito, possa anche essere ritenuta produttiva di responsabilità extracontrattuale. 42 Senza ripercorrere l’iter del complesso dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, sull’argomento, è sufficiente qui sottolineare che, anche secondo l’indirizzo giurisprudenziale favorevole all’applicabilità della norma generale del 2043 c.c. (in aggiunta alla disciplina sanzionatoria propria del diritto di famiglia) nell’ambito dei rapporti fra coniugi in caso di condotte lesive dei loro diritti inviolabili, non può definirsi illecita, e quindi fonte di responsabilità anche risarcitoria, « ... qualsiasi violazione dei doveri nascenti dal matrimonio... », pur legittimante la declaratoria di addebito (cosı` come può talora legittimarla la violazione dell’obbligo di fedeltà). E’ richiesto, infatti, ai fini del riconoscimento di una responsabilità risarcitoria a carico del coniuge inadempiente, innanzitutto, una particolare e « ... obiettiva gravità ... » della condotta violatrice e, inoltre, che il danno a carico dell’altro coniuge sia riconducibile non alla frattura coniugale in sé, ma proprio alla condotta trasgressiva posta in essere in « ... aperta e grave violazione... » di uno o più doveri coniugali (cfr. Tribunale Milano 24/10/20017/3/2002, nel procedimento RG 240/1996). Questo giudice condivide tale orientamento che, per quanto ritenga applicabile il disposto normativo ex articolo 2043 c.c. all’ambito del rapporto tra coniugi, esclude qualsiasi automatismo tra « addebito » e responsabilità risarcitoria, richiedendo, per la configurabilità dell’illecito civile, un quid pluris che, nel caso in questione, senza nulla togliere alle sofferenze morali ed ai disagi economici subiti dal N., non appare ravvisabile. Non risulta dalla sentenze prodotte dall’attore — né da questi è in fatto dedotta — una condotta della P. ulteriore, per cosı dire, rispetto alla comprovata infedeltà, con riferimento a modalità di gestione della relazione extraconiugale o al comportamento tenuto col marito o con i figli: emerge dagli atti una vicenda di « ordinaria » infedeltà, clandestina e negata, che seppure ritenuta idonea a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, non si connota per specifica gravità e per peculiare lesività della personalità del coniuge tradito. Né, peraltro, dagli atti di causa emerge che i danni, patrimoniali e non, fatti valere dal N siano causalmente collegabili a specifiche condotte trasgressive della moglie, anziché al fallimento del rapporto matrimoniale, sia pure per affermata colpa della P., di per sé evento produttivo di sofferenze e disagi 100 . 100 Trib. Milano, 24 settembre 2002, RCP 2003, 465. 43 Appare in un certo senso emblematica, sia pure in negativo, la seguente decisione, che pure ha avuto vasta risonanza, in cui il pregiudizio sembra, per altro in maniera criptica, desunto direttamente dalla violazione del dovere di fedeltà. Certo non ogni violazione di obbligo coniugale comporta il diritto al risarcimento del danno ma solo quella posta in essere attraverso condotte che, per la loro intrinseca gravità, si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona e che, pertanto, comporta una grave lesione dell’esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana ossia quella lesione che in un certo senso va a toccare proprio l’in sé della persona e non aspetti marginali della stessa: il tutto ovviamente all’interno di un bilanciamento delle posizioni dei coniugi volto ad accordare tutela all’interesse costituzionalmente prevalente. Ora se prendendo le mosse dai principi sopra enunziati si va a scrutinare il caso oggetto di controversia appare agevole osservare come la condotta infedele del sig. B. laddove ha cagionato la definitiva rottura di una comunione di vita che durava da circa 14 anni ha vulnerato gravemente la personalità della sig.ra C. non solo nell’aspetto della sua dignità (art. 2 Cost.) ma anche nella dimensione familiare-sponsale della sua personalità frustrando ogni possibile e legittima aspettativa in ordine alla piena esplicazione della stessa. Sicché, anche alla luce dell’id quod plerumque accidit e di presunzioni derivanti dalla comune esperienza quotidiana, può concludersi per la sussistenza del danno non patrimoniale denunziato dalla sig.ra C 101 . Nel caso testé richiamato la relazione extraconiugale era di natura omosessuale 102 , ragion per cui non è mancata la denuncia di un atteggiamento pregiudizialmente omofobico; al di là di tale aspetto, le critiche di buona parte della dottrina si sono accentrate sulla mancanza di qualsiasi riferimento al rapporto fra la violazione del dovere di fedeltà e responsabilità civile. E’ stato rilevato che “dalla considerazione in astratto circa la risarcibilità del pregiudizio conseguente all'infedeltà coniugale, si trascorre (fin troppo disinvoltamente) alla condanna aquiliana del 101 Trib. Brescia, 14 ottobre 2006, GC, 2007, 987). 102 Per un caso analogo, di tradimento commesso dalla moglie con altra donna, cfr. la citata Cass. n. 4290/2005; in generale, PILLA V. Gli obblighi coniugali e la responsabilità civile, in Persona e danno, 2004, 2926). 44 "traditore" − senza passaggi intermedi che chiariscano al lettore se esistano, quali siano, quanto valgano o incidano, fino a che punto risulterebbero provati i presupposti della condanna” 103 . Il giudice di appello, nel riformare tale decisione, ha posto in evidenza la necessità della dimostrazione in concreto della lesione alla dignità del coniuge indipendentemente dalla natura della relazione intrattenuta, aderendo, per altro, al dominante orientamento che esclude, con riferimento al danno non patrimoniale e, in particolare, esistenziale, qualsiasi immanenza del pregiudizio nella lesione 104 . La Corte bresciana così si esprime: “Pur condividendo, in linea di principio, l’insegnamento della suprema Corte, fatto proprio dal tribunale, (Corte cost. n. 223/2003, Cass. n. 8828/2003) – a tenore del quale è risarcibile anche il danno esistenziale derivante alla persona a causa della lesione del diritto inviolabile e costituzionalmente garantito della dignità e della personalità -correlato all’altro assunto – in base al quale la disciplina generale che tutela il danno aquiliano trova generale applicazione anche qualora la lesione (non patrimoniale) del diritto derivi dalla violazione degli obblighi nascenti dall’istituto del matrimonio (non essendo concepibile una tutela differenziata a seconda che i titolari si pongano o meno all’interno della famiglia) – ritiene la Corte che la loro applicazione non possa essere aprioristica e non possa quindi prescindere dalla dimostrazione effettiva dell’esistenza del danno e della sua entità. Nel caso in esame la particolarità dell’infedeltà, concretatasi in una relazione di tipo omosessuale, differentemente da quanto ritenuto dal tribunale, non può essere considerata intrinsecamente grave e tale da far ritenere presunta la lesione del diritto all’intergità personale dell’altro coniuge. Non esistono – infatti - criteri oggettivi di riferimento in base ai quali si possa ritenere che l’infedeltà sia più grave se si concretizza in una relazione omosessuale piuttosto che eterosessuale. L’entità del danno che ne deriva dipende, infatti, dalla reattività soggettiva del coniuge offeso, come condizionata dalle concezioni personali che questi ha maturato nel corso della propria esistenza, in base alla propria sensibilità ed esperienza di vita (culturale, etica, ambientale), di modo che il para103 BILOTTA CENDON, Infedeltà…, cit, . 104 Su tale aspetto, sempre in riferimento alle decisione in esame, ROSSI R., Op. cit, 946; MASCIA A, Tra omosessualità e matrimonio: i danni non patrimoniali al coniuge tradito, in GC, 2007, 996; sulla prospettiva consequenzialista, cfr, in generale, CENDON P., Esistere o non esistere, in Persona e danno, a cura di P. Cendon, Giuffré, Milano, 1723; Cass., sez. III, 8 ottobre 2007, 20987, in GCM, 2007, 10. 45 metro di valutazione risulta estremamente soggettivo e può portare facilmente a valutazioni opposte e tali da far ritenere che una relazione omosessuale possa rivelarsi anche meno dolorosa e dannosa dell’altra, stante l’impossibilità di un confronto omogeneo tra il terzo partecipe del tradimento e il coniuge che lo subisce” 105 . Il carattere residuale della responsabilità endo-familiare si manifesta appieno, dunque, nella violazione del dovere di fedeltà: molto spesso, tuttavia, il giudizio in merito alla fondatezza della pretesa risarcitoria discende dall’associazione della violazione in esame con la trasgressione di altri doveri, come quello di assistenza. Va sottolineato, al riguardo, che fra i doveri coniugali “impliciti”, cioè non espressamente indicati dall’art. 143 c.c., assume particolare rilievo, nella misura in cui si ricollega al disposto dell’art. 2 Cost., che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo “anche nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, quello di rispettare la personalità del coniuge e degli altri membri della comunità familiare 106 . E’ stato condivisibilmente osservato 107 che il danno da risarcire deve essere una realtà attuale e che il venir meno all'obbligo di fedeltà di cui all'art. 143 c.c. dovrà essere stato tale, in particolare, da aver compromesso la vita dell'altro coniuge a prescindere dalla decisione di separazione. Viene posto in evidenza, per altro, sia l’aspetto più evidente della fattispecie (pluri)offensiva, nel senso che l'infedeltà, oltre ad urtare contro il dovere di cui all'art. 143 c.c., può ledere una diversa posizione giuridica soggettiva, come nell’ipotesi della trasmissione di una malattia venerea. In tal caso non si dubita che, oltre al dovere di fedeltà, risulta violato anche il diritto all'integrità fisica del soggetto: coniuge tradito, nonché leso nella propria salute, può legittimamente agire, oltre che per l'addebito della separazione, anche per il risarcimento del danno 108 . 105 Corte App. Brescia, 5 giugno 2007, in personaedanno.it. 106 RUSCELLO, Op. cit, 728. CENDON – BILOTTA, Op. cit, 86. 108 CENDON – BILOTTA, Op. cit, ivi. 107 46 Si osserva per altro, nell’ambito di una prospettiva più innovativa, che al tradimento potrebbe accompagnarsi una marcata trascuratezza nei confronti del coniuge, versante magari in situazioni di particolare vulnerabilità (come una malattia, fisica o psichica); oppure all'infedeltà potrebbero aggiungersi lo scherno e l'umiliazione nei riguardi dell'altro coniuge, in forza delle modalità con cui è stata condotta la relazione adulterina, e con l'effetto di ledere i diritti della personalità del consorte. Solo in casi del genere – si sostiene 109 - potrà residuare un qualche spazio (rispetto alla pronuncia di addebito) per l'azione di risarcimento del danno; altrimenti è indubbio che le misure del primo libro appaiono destinate a esaurire i rimedi privatistici a disposizione dell'offeso. 4.13 Il dovere di fedeltà nella separazione personale. Si discute circa la permanenza del dovere di fedeltà anche durante il giudizio di separazione personale e nel periodo successivo alla sentenza di separazione 110 . Quanto al primo quesito, la risposta positiva 111 veniva in genere ricollegata alla permanenza del vincolo; la tesi opposta, tuttora dominante, si fonda sull’attenuazione dell’obbligo in esame, derivante dalla cessazione della coabitazione, e, in ogni caso, sull’irrilevanza rispetto alla pronuncia di addebito della relativa violazione, in quanto priva di incidenza causale rispetto al determinarsi dell’intollerabilità della convivenza 112 . E’ del tutto evidente come il problema si ponga in termini completamente diversi allorché non venga in discussione l’addebito della separazione, ma un comportamento illecito, tale da arrecare un pregiudizio alla personalità e alla dignità dell’altro coniuge. Al riguardo appare preferibile la tesi secondo cui, a fronte del principio di inderogabilità dei doveri coniugali (art. 160 c.c.), e in assenza di una disposizione che preveda – come pure si sostiene – un’attenuazione del dovere di fedeltà (tradotta, sul piano se109 BILOTTA – CENDON, Op. cit, . SCARANO L. A., Crisi coniugale oe obbligo di fedeltà, in FD, 2007, 3, 253. 111 Cass., 6612/1994. 112 Cass., 8512/2006: Cass., 13747/2003; Cass., 7859/2000. 110 47 mantico, nella trasformazione dello stesso in “dovere di rispetto”) dopo la comparizione davanti al Presidente del Tribunale che abbia autorizzato i coniugi a vivere separati, dovrebbe ritenersi ancora operante il dovere in esame, con la conseguente applicazione della clausola generale di responsabilità quando la violazione avvenga in maniera odiosamente ostentata, tale, cioè, da arrecare volontariamente un vulnus alla dignità dell’altro coniuge. Dopo la sentenza di separazione, secondo la giurisprudenza prevalente e parte della dottrina 113 , l’efficacia giuridica degli obblighi di fedeltà e di collaborazione, strettamente legati alla coabitazione, dovrebbe ritenersi - a differenza di quanto avviene per quelli di assistenza morale e materiale - sospesa. Da parte di altri si afferma che l’obbligo di fedeltà persisterebbe anche dopo la separazione, osservandosi in ogni caso, per i fini che qui interessano, che andrebbero comunque considerati lesivi solamente comportamenti violativi dell’onore e del decoro dell’altro coniuge, in ragione della pubblica ostentazione del rapporto 114 . 4.14 L’abbandono della casa familiare. Per quanto attiene all’abbandono della casa familiare – indipendentemente dalla violazione dell’obbligo di fedeltà - esso costituisce, di regola, violazione dei doveri coniugali, salvo che sia giustificato da una crisi ormai in atto o dal comportamento dell’altro coniuge. Secondo la S.C., “l'abbandono della casa familiare, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l' abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel mo- 113 114 Cass., 6566/1997; BIANCA C..M., Op. cit, 187. SCARANO, Op. cit, 264. 48 mento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto” 115 . Anche sotto il profilo della violazione dell’art. 570 c.p. si ritiene che l’abbandono possa essere giustificato da una situazione di intollerabilità della convivenza : “L'abbandono della casa coniugale è giustificato - e, quindi, non idoneo ad integrare la fattispecie criminosa di cui all'art. 570 c.p. - non soltanto quando segua la proposizione della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (considerate dall'art. 146 c.c. come giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare), ma anche quando esistano - a prescindere dalla proposizione di una delle dette domande giudiziali - ragioni di carattere interpersonale che non consentano la prosecuzione della vita in comune. Ciò in quanto le ipotesi espressamente considerate dal citato art. 146 c.c. non sono tassative e ben possono essere integrate mutuando dalle disposizioni in tema di separazione (art. 151 c.c.) le ulteriori previsioni della "intollerabilità della prosecuzione della convivenza" e del "grave pregiudizio per l'educazione della prole” 116 . 4.15 Comportamenti non integranti violazione dei doveri coniugali Il modello di famiglia risultante dalla riforma del 1975, fortemente ispirato ai valori costituzionali, costituisce altresì un portato dell’ emancipazione femminile e del superamento del principio gerarchico, così realizzando una comunità nella quale il rapporto fra le esigenze collettive e quelle individuali non è disciplinato solo in base a regole che stabiliscano la prevalenza di determinate posizioni e il sacrificio di altre. E’ stato acutamente individuato e descritto un rapporto di implicazione, in virtù del quale gli interessi della famiglia e quelli di ciascun componente, i diritti e i doveri reciproci, si intersecano, si implicano, per l’appunto, fino a raggiungere un punto di equilibrio in virtù del quale il rispetto verso l’altro, lo spirito di collaborazione, la ricerca dell’accordo, l’assistenza morale e materiale e la stessa fedeltà costituiscono forme di 115 Cass., Sez. I, 3 agosto 2007, n. 17056, in GCM, 2007, 7-8. 116 Uff. Indagini preliminari Bari, 15 maggio 2006, Giurisprudenzabarese.it. 49 salvaguardia delle prerogative individuali e, nello stesso tempo, elementi di coesione del gruppo 117 . I valori individuali, tuttavia, non sempre si conciliano con gli interessi familiari, soprattutto quando entrano in gioco le esigenze della prole : nelle ipotesi di conflitto si ritiene che debba assumere carattere di preminenza il principio di solidarietà. L’eventuale prevalenza dei motivi egoistici potrà determinare la crisi della famiglia, e, quindi, la separazione dei coniugi, con la pronuncia di addebito, nel caso vi siano state violazioni dei doveri familiari che abbiano assunto un ruolo determinante, nonché nell’ipotesi di compromissione della personalità della vittima – la responsabilità civile del familiare che abbia tenuto la condotta illecita 118 . 4.16 Interessi familiari e diritti della persona. La libertà religiosa. Non è possibile, però, richiedere sempre e comunque il sacrificio delle esigenze individuali: il limite è costituito dal nucleo essenziale dei diritti della persona. E’ stato osservato che nessuna esigenza collettiva consente di spogliare uno dei coniugi dei diritti fondamentali: alla riservatezza, all’uso del proprio corpo, alle relazioni sociali ed affettive, al lavoro, alla libertà di manifestare il proprio pensiero e di associarsi, alla libertà religiosa,eccetera. Per contro, nessuna esigenza individuale è totalmente salva dal sacrificio in favore dell’interesse collettivo: ad esempio, le prospettive di carriera professionale debbono conciliarsi con l’interesse della famiglia, con il principio della parità e con la regola dell’accordo; chi le facesse valere oltre questi limiti, si esporrebbe all’addebitamento della separazione. Vengono così a meglio delinearsi i confini di “quell’area di irresponsabilità” alla quale si è già accennato in precedenza: in essa confluisce in primo luogo l’esercizio di diritti di libertà costituzionalmente garantiti, come la facoltà di chiedere la separazione o il 117 ZATTI P. Introduzione al Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, Milano, 2002, 26. SEBASTIO G., Responsabilità endo-familiare e danno esistenziale, in Illeciti fra familiari, violenza domestica e risarcimento del danno, Milano, 2006, 75. 118 50 divorzio 119 , di esprimere il proprio pensiero, di professare la propria fede religiosa (salvo che l’esercizio del culto non comporti una violazione dei doveri coniugali). Sotto quest’ultimo profilo, in una fattispecie caratterizzata dalla scelta di appartenenza ad una confessione religiosa tale da determinare l'allontanamento dalla casa coniugale e la rinuncia alla convivenza, è stato affermato che “il mutamento di fede religiosa - e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto - connettendosi all'esercizio dei diritti garantiti dall'art. 19 cost., non può, di per sè solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli art. 143, 147 c.c., determinandosi, per l'effetto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio della prole” 120 . 4.17 L’interruzione della gravidanza. Particolare rilievo assume la scelta della moglie di interrompere la gravidanza, indipendentemente dal consenso del coniuge. In una nota vicenda giudiziaria, nell’ambito della quale è stata anche sollevata eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della l. 194/1978 (Corte Cost. n. 389/1988), la S. C. si è espressa nei seguenti termini. “L'attore chiede, quindi, il risarcimento di un danno "ingiusto" cagionato, nei suoi confronti, dalla lesione del diritto alla paternità e, nei confronti del figlio, dalla lesione del diritto alla vita del concepito: il tutto in virtù del comportamento definito "illecito" della moglie, la quale aveva interrotto la gravidanza senza il consenso del marito, e senza che vi fosse pericolo alcuno per la propria salute. Prendendo atto che il comportamento della moglie era stato conforme a quanto disposto dall'art. 5 della legge 22.5.1978 n. 194, l'attore solleva nuovamente l'eccezione d'illegittimità costituzionale di detta norma, in quanto, non prevedendo alcun controllo sulle ragioni (economiche, sociali, familiari, di salute fisica e psichica) addotte dalla donna a sostegno della richiesta di interruzione della gravidanza 119 SEBASTIO G., Responsabilità endofamiliare e danno esistenziale, in Illeciti fra familiari, violenza domestica e risarcimento del danno, Giuffrè, Milano, 2006, 77; SERRAO E., La responsabilità endo-familiare: gli illeciti fra coniugi, ivi, 54. 120 Cass., Sez. I, 6 agosto 2004, n. 15241, D&G, 2004, 37, 39. 51 entro i primi novanta giorni, lascia sostanzialmente la decisione circa tale interruzione all'arbitrio della donna stessa, senza considerare sia il diritto alla paternità del padre del concepito, che il diritto alla vita del concepito stesso. Rilevato, poi, che la questione di legittimità costituzionale era già stata dichiarata manifestamente inammissibile con l'ordinanza 31.3.1988 della Corte costituzionale, l'attuale ricorrente ripropone la questione sotto altro profilo, in relazione agli artt. 2, 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (che rispettivamente proteggono il diritto alla vita, il diritto al rispetto della vita privata e familiare, senza ingerenza della pubblica autorità, ed il diritto di uomini e donne alla formazione della propria famiglia), da ritenersi recepiti dalla Costituzione in virtù dell'art. 2 (che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo), dell'art. 10 (secondo cui l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute), dell'art. 11 (secondo cui l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). Va, dunque, chiaramente puntualizzato che il problema da risolvere in questa sede riguarda esclusivamente la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale nuovamente proposta, atteso che, nella vigenza dell'art. 5 della legge n. 194-78, il comportamento della donna non poteva in alcun modo considerarsi "illecito", essendosi del tutto conformato alle disposizioni della norma. E di "illecito" il B ha sempre parlato, ancorando la sua azione al risarcimento del danno "ingiusto": pretesa manifestamente incompatibile con un comportamento "lecito" per definizione, essendosi la donna avvalsa di un diritto riconosciutole dalla legge, nell'osservanza delle modalità prescritte. Come s'è detto, la Corte costituzionale ha già dichiarato manifestamente inammissibile la questione, sollevata dal Pretore di San Donà di Piave con riferimento agli artt. 29 e 30 Cost., con la seguente motivazione: "Considerato che la norma impugnata è frutto della scelta politico-legislativa - insindacabile da parte di questa Corte - di lasciare la donna unica responsabile della decisione di interrompere la gravidanza; che tale scelta non può considerarsi irrazionale in quanto è coerente al disegno dell'intera normativa e, in particolare, all'incidenza, se non esclusiva sicuramente prevalente, dello stato gravidico sulla 52 salute sia fisica che psichica della donna." Affinché questa Corte possa nuovamente sollevare la questione di legittimità costituzionale, occorre che tale questione appaia non soltanto non manifestamente infondata, in relazione ai nuovi profili di incostituzionalità prospettati, ma, preliminarmente, che sia "rilevante" per la soluzione di questo processo, nel senso che - ove accolta - possa incidere sulla decisione. Posta cioè l'eventualità che l'art. 5 della legge n. 194-78, alle cui prescrizioni il comportamento della donna si è all'epoca uniformato, sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, occorre chiedersi se tale eventuale dichiarazione di incostituzionalità possa avere, o meno, incidenza sulla decisione del presente procedimento La risposta deve necessariamente essere negativa. L'azione proposta si richiama infatti all'art. 2043 c.c., i cui presupposti sono un comportamento "doloso o colposo", che abbia cagionato un danno "ingiusto". Ora: a) il carattere "ingiusto" del danno deriverebbe sicuramente dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma, che, con effetto "ex tunc", verrebbe ad eliminare dall'ordinamento giuridico la disposizione di legge, in virtù della quale il comporta mento della donna si era qualificato "lecito"; b) ma non verrebbe toccato l'elemento soggettivo dell'art. 2043 c.c. Ed invero, non si potrebbe in alcun caso sostenere che l'effetto "ex tunc" della dichiarazione di incostituzionalità valga a mutare retroattivamente lo stato psicologico della gestante al momento dell'interruzione della gravidanza. Qualora - sempre nell'ipotesi dell'eventuale dichiarazione di incostituzionalità - auspicata dal ricorrente - l'abolizione dell'art. 5 della legge n. 194-178 rendesse oggettivamente illecita l'interruzione della gravidanza, per la valutazione dell'elemento soggettivo occorrerebbe, comunque, sempre fare riferimento al momento in cui l'atto del l'interruzione della gravidanza si è compiuto, trattandosi nella specie, evidentemente, non di un illecito permanente, ma di un illecito istantaneo con effetti permanenti. La valutazione, quindi, dell'elemento psicologico della parte che abbia compiuto l'atto, divenuto illecito a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della norma che lo consentiva, non potrebbe che riferirsi - vertendosi nella fattispecie di illecito istantaneo - se non al momento in cui l'atto stesso 53 venne compiuto: ed in tale momento l'atto era sicuramente e totalmente lecito, e, come tale, esente da qualsiasi ipotizzabile profilo di colpa” 121 . 4.18 Sistema di vita concordato e responsabilità. Altra ipotesi di esclusione di un danno risarcibile, per essersi creato nella coppia, attraverso un rapporto pluriennale, un sistema di vita, evidentemente accettato - sia pure tacitamente - dalla moglie deprivata di qualsiasi attività sessuale, a causa di una patologia del marito, è stata ravvisata dalla giurisprudenza di merito, in una delle prime importanti decisioni che hanno affermato, in astratto, la configurabilità della responsabilità fra coniugi 122 . Per vero, l’inderogabilità dei doveri coniugali e l’insussistenza di una sorte di scriminante oggettiva del consenso dell’avente diritto nella materia in esame, inducono ad affermare che l’acquiescenza non acquisti di per se stessa rilievo sul piano giuridico 123 , salvo a ritenere che nella citata fattispecie il rimedio della separazione personale - al quale la moglie per lungo tempo non aveva fatto ricorso - sarebbe stato di per sé idoneo a scongiurare il pregiudizio 124 . La scelta di uno dei coniugi di svolgere attività lavorativa costituisce del pari un fondamentale diritto della persona, tale da non comportare, di per sé, violazione degli obblighi familiari, salva la violazione del principio della ricerca dell’accordo. Potrà comunque determinarsi una crisi familiare in cui, nonostante il ricorso al metodo della ricerca dell’accordo, non sia riscontrabile (ove non siano violate le prerogative della prole) la trasgressione di doveri specifici 125 . Significativa, al riguardo, è una pronuncia della S.C. in cui il giudizio di addebito è formulato proprio in relazione all’art. 144 c.c.. 121 Cass, Sez. I, 5 novembre 1998, in FD 1999, 2, 125. 122 Trib. Milano, 1° febbraio 1999, Fam dir, 2001, 185 In tal senso, v. Cass. n. 19450/2007. 124 SEBASTIO G., Op. cit, , 77. 125 FRACCON A, Op. cit, , 101. 123 54 L'attività lavorativa, che venga espletata da uno dei coniugi (nella specie, la moglie) senza il gradimento dell'altro, non può di per sé costituire motivo di addebito della separazione, quando oggettivamente non contrasti con i fondamentali obblighi coniugali e familiari, ma può essere valutata al fine della suddetta addebitabilità solo ove sia stata intrapresa con il rifiuto di sottostare al metodo dell'accordo, fissato dall'art. 144 c.c. in tema d'indirizzo della vita familiare, in relazione cioè alla violazione dell'ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi 126 . 5.1 La fattispecie della condotta lesiva anteriore al matrimonio Si danno casi in cui la lesione dei diritti della personalità di uno dei coniugi deriva da comportamenti tenuti dall’altro ancor prima della celebrazione del matrimonio. La S.C. ha affermato tale principio nella già richiamata decisione n. 9801 del 2005, la quale, oltre a rivestire fondamentale importanza in merito alla definitiva confutazione del dogma della completezza dei rimedi offerti dal diritto di famiglia (v. par. 7.3), assume particolare rilievo anche sotto codesto profilo. La pretesa della moglie, avanzata congiuntamente alla domanda di divorzio per inconsumazione, riguardava il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito a causa della condotta del marito, ritenuta illecita e contraria ai canoni di lealtà, correttezza e buona fede, per non averla informata prima delle nozze delle sue condizioni fisico-psichiche o della sua incapacità coeundi, e per aver omesso dopo il matrimonio, onde evitare che le sue condizioni di salute fossero conosciute da terzi, di sottoporsi alle opportune cure. Osservava la S. C. : L'intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro - pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva della costituzione di tale vincolo un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, che si sostanzia anche in un obbligo di informa- 126 Cass. , sez. I, 09 maggio 1985, n. 2882, GC, 1985, I, 2535. 55 zione di ogni circostanza inerente le proprie condizioni psicofisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto 127 . Il dovere di informazione, che, in qualche modo, è assimilabile alla previsione contenuta nell’art. 1338 c.c., pur riguardando una patologia del vincolo matrimoniale (nel caso di specie le parti avevano ottenuto anche la dispensa dall’autorità ecclesiastica e la moglie avrebbe potuto comunque impugnare il matrimonio ai sensi dell’art. 122, c. 3, n. 1 c.c.), si ricollega direttamente alla lesione di un diritto della personalità, quale quello della donna di ottenere una vita sessuale sana ed appagante, anche ai fini, attraverso la procreazione, di realizzarsi come madre. La corte, infatti, afferma quanto segue: Applicando i richiamati principi alla fattispecie in esame, osserva la Corte che il diritto del quale la ricorrente assume la lesione assurge certamente al rango di diritto fondamentale della persona. È qui in discussione il diritto alla sessualità, che la dottrina costituzionalistica degli anni ottanta annoverava tra i nuovi diritti, e che certamente si sostanzia in una posizione soggettiva tutelata dalla Costituzione. Va al riguardo richiamata la sentenza n. 561 del 1987 della Corte Costituzionale, la quale affermò che la sessualità costituisce uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire. Soccorre ancora la sentenza n. 6607 del 1986 di questa Suprema Corte, che nell' esaminare la pretesa risarcitoria di un coniuge nei confronti del terzo che aveva cagionato alla moglie l'impossibilità di rapporti, qualificò il diritto reciproco di ciascun coniuge ai rapporti sessuali con l'altro coniuge come un diritto inerente alla persona, che ha per contenuto un modo di essere, un aspetto dello svolgimento della persona di ciascun coniuge nell' ambito della famiglia, e precisò che la sua lesione è di per sé risarcibile, quale danno che non è né patrimoniale, né non patrimoniale, ma comunque rientra nella previsione dell' art. 2043 c.c. Viene ancora in discussione il diritto alla sessualità nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità del matrimonio. 127 Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, GC 2006, I, 93 ss. 56 Viene insomma in rilievo una violazione della persona umana intesa nella sua totalità, nella sua libertà - dignità, nella sua autonoma determinazione al matrimonio, nelle sue aspettative di armonica vita sessuale, nei suoi progetti di maternità, nella sua fiducia in una vita coniugale fondata sulla comunità, sulla solidarietà e sulla piena esplicazione delle proprie potenzialità nell' ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela risiede negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. Né può validamente sostenersi che il mancato ricorso da parte della S. alla tutela concessa dall' art. 129 bis c.c. al coniuge di buona fede, per avere la medesima optato per la domanda di divorzio piuttosto che per l'azione di impugnazione del matrimonio ai sensi dell' art. 122 c.c., le precluda di avvalersi di uno strumento di tutela che le spetta nei confronti di tutti i consociati: ed invero l'indennità prevista dall' art. 129 bis c.c. - della quale è generalmente affermata la natura risarcitoria (v. sul punto Cass. 1990 n. 8703), pur non disgiunta da profili a carattere sanzionatorio, in quanto spettante anche in difetto di prova del danno sofferto e facente carico al coniuge in mala fede - costituisce misura specifica, conseguente alla pronuncia di nullità del vincolo, che per la sua precisa funzione ed il suo limitato ambito di applicazione non si pone in termini di esclusione. Ancora di recente, una corte di merito ha affermato l’illiceità della condotta di una ragazza che aveva indotto il proprio fidanzato a contrarre matrimonio, inducendolo in errore sulla qualità di futuro padre del nascituro che recava in grembo, mentre la gravidanza era, viceversa, il frutto di una relazione intr1089.attenuta all’insaputa dell’ignaro sposo. La decisione, contenente rilievi non esenti da critica in merito alla qualificazione e alla determinazione delle voci di danno 128 , e nella quale si afferma anche il diritto, in astratto, dei presunti nonni ad ottenere un risarcimento per la “privazione affettiva” dopo il disconoscimento del nipote, prende in considerazione la pretesa risarcitoria del marito derivante dalla violazione, da parte della donna, del dovere di lealtà, tale da incidere sulla libera determinazione al matrimonio. Il secondo profilo di danno (“esistenziale”) dedotto: • è ravvisabile in capo al solo P. M. in quanto viene prospettato come sofferenza determinata dal comportamento della F. che, contravvenendo ai doveri di lealtà nei confronti del futuro coniuge, ha in128 MASCIA A., Nonni e altri parenti, in La prova e il quantum, Utet, 2008, 1089. 57 ciso sulla libera determinazione al matrimonio, evento quest’ultimo a cui all’evidenza sono estranei i genitori del P. • si configura – secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione – come danno in re ipsa (c.d. danno-evento) che, prescindendo in quanto tale da qualsivoglia onere probatorio, può essere concretamente quantificato dal giudice facendo ricorso al criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c. c. Tenuto conto pertanto della indubbia gravità della condotta della F., della breve durata della convivenza matrimoniale (circa due mesi) e del fatto che il P. non ha addotto alcun elemento ulteriore a cui possa correlarsi in concreto il danno subito, esso si liquida in euro 10.000,00 129 . 5.2 La seduzione con promessa di matrimonio. Un altro aspetto relativo alla responsabilità per condotte anteriori al matrimonio riguarda le ipotesi in cui la relativa promessa non sia stata mantenuta da uno dei nubendi. Viene in considerazione, in particolare, l’ipotesi, ormai desueta, della seduzione con promessa di matrimonio 130 . L’abrogazione della norma (art. 526 c.p.) che sanzionava penalmente la condotta di chi, otteneva con l’inganno del celebrando matrimonio i favori di una minorenne, non solo lascia delle ipotesi residue di punibilità ad altro titolo 131 , ma, pur costituendo il segno di un radicale mutamento sociale, non esclude - come non escludeva nella vigenza della norma testé citata - la tutela aquiliana di chi abbia subito un’offesa alla libertà sessuale, nella ricorrenza dei presupposti oggettivi (avuto riguardo anche al nesso di causalità fra la promessa di matrimonio e la traditio corporis) e soggettivi. La S. C., al riguardo, affermava quanto segue. 129 App. Milano, 12 aprile 2006, in www.personaedanno.it. 130 DI MARZIO M, La seduzione con promessa di matrimonio, in La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale, Utet, Torino, 2008, 885 ss; CARBONE V., Seduzione con promessa di matrimonio: continua il contrasto tra giudici di merito e di legittimità, Corr. Giur. 1993, I, 23; FIANDACA G., Seduzione con promessa di matrimonio, in EdD, 1989, XLI, 933 ss. 131 ROMANO B., Il rinnovato volto delle norme contro la violenza sessuale : una timida riforma dopo una lunga attesa, in DFP, 1996, 1610 ss. 58 Passando all'esame delle altre questioni sollevate dalla D S, va osservato che secondo la dottrina in materia la responsabilità civile del seduttore nasce dalla mancata osservanza della promessa di matrimonio. Nessun dubbio generico sul dovere di risarcimento da parte del seduttore, configurandosi, qui, un atto doloso (o, sia pure colposo) ingiusto e causa di danno. Soltanto sono da prendere in considerazione i ragionevoli limiti di tale dovere, con riguardo al mezzo adoperato dall'uomo, per ottenere l'assenso della donna all'amplesso, tenuto conto dell'età, della condizione sociale, del grado di moralità, sensibilità intelligenza e cultura della donna che assume di essere stata sedotta. In ordine al primo punto, si ritiene che occorra una vera e propria attività dolosa, nel senso contrattualistico del termine, da parte dell'uomo, intesa a far credere alla serietà della promessa di matrimonio o a vincere la ritrosia o il pudore della donna e a determinarne la volontà; e, inoltre, tale da stabilire un nesso di causalità fra la promessa e la c.d. traditio corporis, da parte della donna. Ne consegue che varie circostanze, come l'eventuale scienza della donna sulla non-serietà della promessa; ovvero il fatto che la donna, per la sua età non più giovanile, o per particolare avvedutezza e intelligenza, era in grado di rendersi conto dell'inattendibilità della promessa di matrimonio; tolgono efficienza al mezzo di seduzione e fanno venir meno l'anzidetto nesso di causalità. Invece, un fidanzamento ufficiale prima della seduzione, ma predisposto quale mezzo per ottenere dalla donna l'assenso all'amplesso, è fatto da ritenersi, di regola, idoneo agli effetti della serietà della promessa, dell'efficienza del mezzo usato e dell'illiceità del comportamento dell'uomo 132 . Non mancano spunti polemici: si è osservato che nel precedente orientamento, in base al quale la seduzione con promessa di matrimonio era sanzionata con il risarcimento del danno anche a prescindere dal dolo dell’uomo, la donna era considerata “alla stregua di una minorata psichica, incapace di formare liberamente la propria volontà, anche sessuale” 133 , aggiungendosi che tale idea sarebbe stata riesumata (nella nota decisione della S.C. n. 9801 del 2005) con l’affermazione della violazione del dovere di informazione circa la propria impotentia coeundi da parte del futuro marito, “anche superficialmente accertabile da chi voglie evitare sorprese” 134 . 132 Cass., 8 luglio 1993, n. 7493, FI, 1994, I, 1878. GAZZONI F., Manuale di diritto privato, Esi, Napoli, 2007, 338. 134 Ibidem, 367. 133 59 5.3 Rottura della promessa e natura della responsabilità. Prescindendo dall’ipotesi della seduzione, che si inserisce in maniera affatto peculiare nella tematica della responsabilità fra fidanzati (in quanto, a ben vedere, una seria promessa, nelle intenzioni del seduttore, non vi è mai stata), mette conto di puntualizzare, quanto alla promessa di matrimonio in generale, che la stessa è caratterizzata dal principio della incoercibilità (art. 79 cc ; liberas nuptias esse placuit) : il vincolo derivante dal fidanzamento sarebbe privo dei connotati di giuridicità, costituendo la promessa reciproca di matrimonio “un atto sociale di esternazione della seria intenzione di contrarre matrimonio, dalla quale scaturisce il dovere, morale e sociale, di comportarsi conformemente a tale seria intenzione” 135 . Ben si comprende, quindi, come le conseguenze stabilite dagli artt. 80 e 81 c.c. (restituzione dei doni e risarcimento del danno “cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte”) non rivestano, secondo la prevalente dottrina, natura extracontrattuale, concretando, piuttosto, delle obbligazioni ex lege 136 . La dottrina e la giurisprudenza sono quindi orientate ad affermare la natura speciale ed esclusiva dei rimedi offerti dalle norme in esame, osservandosi, in generale, come la risarcibilità di danni ulteriori venga esclusa in considerazione dell’esigenza di evitare che il timore di essere esposto al pagamento di una somma rilevante agisca sull’animo del promettente, determinandolo, contro la sua volontà, a contrarre un legame preordinato a durare tutta la vita. La giurisprudenza di merito si è così pronunciata. Non spetta invece all'attrice il risarcimento del danno alla salute e del danno morale. Unici effetti della rottura della promessa di matrimonio previsti dall'art. 81 c.c. sono quelli di cui si è fin qui detto; tale previsione normativa verrebbe assolutamente vanificata e privata di senso se si ammettesse incondizionatamente la risarcibilità di danni ulteriori, pur se esistenti e comunque collegati alla rottura della promessa di matrimonio; risarcibilità, che, peraltro, sarebbe in contrasto anche con la portata che tale istituto ha ormai nel nostro ordinamento giuridico. 135 BIANCA C.M., Op. cit, , 56. LOI M.L. Promessa di matrimonio (dir. civ), in EdD, 1988, XXXVIII, 89; Trib. Bari, 28 settembre 2006, NGCC, 2007, 580. 136 60 Non è questa la sede per dibattere della natura giuridica della promessa di matrimonio, variamente configurata dalla dottrina che se ne è occupata. Piuttosto, deve escludersi che l'obbligo di risarcimento ex art. 81 c.c. abbia fondamento in un illecito contrattuale o extracontrattuale. Si è già detto che la promessa di matrimonio è destituita di qualsiasi effetto vincolante, essendo inconcepibile, prima ancora che nel diritto, nella coscienza sociale, un vincolo a contrarre matrimonio ed essendo la libertà matrimoniale diritto fondamentale della persona, per come si ricava anche da previsioni costituzionali, tra cui gli artt. 29 e 30 Cost.: ne consegue l'impossibilità di attribuire ad essa natura negoziale e, quindi, di ritenere che il risarcimento ex art. 81 c.c. sia conseguenza di un inadempimento contrattuale. Per le medesime ragioni, peraltro, il comportamento del nubendo promittente che si scioglie dalla promessa, essendo espressione di quel diritto personale fondamentale che è la libertà matrimoniale, non può mai essere qualificato in termini di illiceità ex art. 2043 c.c., vale a dire che di per sé la rottura della promessa di matrimonio, anche se fatta senza "giusto motivo", non è mai antigiuridica, perché non è non iure, e quindi non è mai produttiva di danni ingiusti. Piuttosto -qualificata la previsione dell'art. 81 c.c. come applicazione del principio, che governa la responsabilità precontrattuale, per il quale chi ha dato causa alla mancata stipulazione di un negozio deve rimborsare all'altra parte le spese per questo affrontate, ovvero come ipotesi di responsabilità ex lege, quale conseguenza di un atto giuridico in senso stretto, rilevante solo nelle limitatissime ipotesi previste- non vi è dubbio che proprio tale rigorosa previsione normativa e l'impossibilità di ricondurre l'obbligo di risarcimento ai principi generali dell'illecito contrattuale o aquiliano facciano sì che i danni ulteriori siano risarcibili esclusivamente quando non siano conseguenza (soltanto) della rottura della promessa, ma abbiano (anche) fonte diversa; in particolare, siano conseguenza di un comportamento doloso o colposo produttivo di un danno ingiusto. Nel caso di specie, nessun altro addebito risulta mosso al convenuto se non quello di essersi sottratto, senza giusto motivo ed all'ultimo momento, alla promessa di matrimonio: tale comportamento, pur se produttivo di danni (intesi come lesioni di diritti fondamentali, quale è il diritto alla salute, quindi contra ius), non è tuttavia contrario ad una norma giuridica (costituendo espressione di un diritto, a sua volta fondamentale), quindi detti danni non sono risarcibili, a prescindere dalla sussistenza di eventuali profili colposi della condotta (rinvenibili, per ipotesi, nei tempi e nelle modalità in cui e con cui il C. è giunto alla determinazione di non sposarsi e ne ha dato comunicazione all'altra parte) 137 . 137 (Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003, in Juris data; nello stesso senso, Trib. Monza, 6 giugno 2006, ibidem). 61 6 Illeciti fra (ex) conviventi Con la cessazione dei rapporti di convivenza, come pure con lo scioglimento del vincolo coniugale, non si determina il venir meno di una serie di vincoli ispirati al rispetto reciproco e alla solidarietà. Tipica espressione della solidarietà post-coniugale, e, ad esempio, il contributo per il mantenimento del coniuge privo di mezzi adeguati 138 . A tacere della valenza (anche) risarcitoria dell’assegno divorzile 139 , non può sottacersi come l’inadempimento dei dovere di contribuzione, sanzionato dall’art. 570 c.p. e dall’art. 12 sexies l. n. 898 del 1970, determini la responsabilità civile del soggetto che si sia sottratto a tale obbligo, anche in relazione ai danni non patrimoniali 140 . Altra fonte di responsabilità civile, sotto il profilo del pregiudizio di natura non patrimoniale, è costituita dall’abuso del cognome del marito da parte di donna separata (quando le sia stato interdetto ai sensi dell’art. 156 bis cc), ovvero dall’uso illegittimo del cognome del marito da parte di donna divorziata 141 . Un ulteriore aspetto di natura aquiliana fra coniugi separati o divorziati, di significativa frequenza giudiziaria, concerne la violazione dei doveri, da parte di uno dei genitori, nei riguardi della prole, tale da incidere negativamente sul benessere psichico e sulla qualità della vita dell’altro. Oltre alle ipotesi in cui la pretesa risarcitoria è stata avanzata nell’ambito del giudizio penale avente ad oggetto l’imputazione concernente il reato di cui all’art. 338 c.p. 142 , vengono in rilievo domande di risarcimento del danno avanzate in relazione alla violazione del diritto di visita 143 . Vanno richiamate, inoltre, le situazioni derivanti dalla pronuncia di nullità del matrimonio. Viene in considerazione, in particolare, l’ipotesi prevista dall’art. 129 bis c.c., 138 Cass., 2 marzo 1990, n. 1652, FI, 1990, I, 1165. FRACCON A, Op. cit, , 227 ss. 140 Trib. Rovereto, 18 dicembre 2001, GM, 2002, 1363. 139 141 Cass., 8081/1994, la quale tuttavia postula la configurabilità di un illecito penalmente sanzionato, non più necessaria dopo Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003; FRACCON A., Op. cit, , 234 ss. 142 (Cass. pen., 1° luglio 1997, n. 9441, CP, 1998, 2934; Cass. pen., 3 marzo 1989, QUERCI A, Responsabilità per violazione dei diritti familiari, in Dir. Resp., 2007, 16) 143 Trib. Monza, 2 dicembre 2004, DResp., 2005, 851; Trib. Roma, 13 giugno 2000, in DFP, 2001, 209 62 concernente il coniuge in male fede, al quale sia imputabile la nullità, tenuto – in solido con eventuali terzi che abbiano con lui concorso, al pagamento di una congrua indennità “anche in mancanza di prova del danno sofferto”. Si ritiene che, a fronte della natura genericamente sanzionatoria di tale indennità, il coniuge in buona fede possa esperire l’azione aquiliana per ottenere il maggior danno eventualmente sofferto 144 . 7 Illeciti genitoriali Il principio di immunità, per quanto concerneva i rapporti fra genitori e figli, assumeva contorni diversi rispetto alle relazioni coniugali, essendo essenzialmente fondato sulla patria potestà e sullo ius corrigendi ad essa correlato: si riteneva che l’esigenza di frenare la cattiva condotta del figlio, anche attraverso una violenta reazione, costituisse legittimo esercizio della potestà e non determinasse alcuna responsabilità 145 . Ulteriori giustificazioni, genericamente fondate sull’assolvimento del dovere di mantenimento (da cui sarebbe derivata una sorta di compensazione, ovvero di reintegrazione attraverso le spese sostenute in seguito alle lesioni subite dal minore), venivano accampate per sostenere l’applicabilità del principio di immunità anche nelle ipotesi in cui non era ipotizzabile l’esercizio dello ius corrigendi. L’abrogazione della patria potestà e delle altre norme fondate sul principio di autorità ha determinato in maniera decisiva la dissolvenza della teoria dell’immunità anche nei rapporti con la prole. Ove si ponga mente alla disciplina positiva dei rapporti, nell’ambito della famiglia, fra genitori e figli, viene fatto di considerare come il displuvio costituito dalla riforma del 1975 possa essere considerato maggiormente significativo di un passaggio all’attuazione di valori costituzionali, a condizione che questi ultimi, anche con riferimento ai rapporti di filiazione, non si intendano disegnati esclusivamente dall’art. 30 Cost., bensì complessivamente ispirati da fondamentali principi, come quello di eguaglianza e, soprattutto, di quello personalista di cui all’art. 2 Cost., in virtù del quale 144 145 FRACCON A, Op. cit, 246. PATTI S., Op. cit, 102. 63 l’individuo viene posto al centro non solo dell’ordinamento generale, ma anche di quello familiare. Appare allora evidente come l’attuazione dei doveri fondamentali di “mantenere, istruire ed educare la prole” non sia funzionale soltanto alla realizzazione di interessi propri dell’organismo familiare, ma debba essere intesa, anche in armonia con i principi dettati dalle convenzioni internazionali, come l’estrinsecazione di quei legami di natura solidaristica, nel cui ambito il rispetto delle istanze di libertà dell’individuo, e, ancor più, del “supremo interesse del minore”, svolge un ruolo preminente. Ben si comprende, quindi, come la violazione di quei doveri non arrechi semplicemente un’offesa all’unità o all’armonia familiare, ma possa determinare una compromissione di quei valori individuali assolutamente meritevoli di tutela, così determinando un pregiudizio altamente sensibile all’applicazione della lex Aquilia. Non va inoltre trascurata, soprattutto ai fini delle conseguenze di natura non patrimoniale che è in grado di produrre, la violazione del dovere di assistenza morale, che si pone accanto a quelli di istruzione, educazione e mantenimento, e che trova il fondamento giuridico nella norma contenuta nell’art. 12 della l. n. 184 del 1983, che, ancorché non espressamente enunciato nell’art. 147 c.c., si ritiene applicabile non solo in materia di adozione, ma anche nell’ambito della famiglia di origine 146 . Come più volte in precedenza rilevato, la violazione dei doveri in ambito familiare non comporta, in sé considerata, responsabilità aquiliana: la violazione costituisce il presupposto per la verifica del connotato dell’ingiustizia, quando ci si trovi in presenza di un danno che, riguardando diritti inviolabili della persona, è considerato meritevole di tutela, anche dal punto di vista risarcitorio. Appare quindi evidente, per quanto attiene alla prole, come qualsiasi significativa violazione degli obblighi di assistenza morale, di educazione, di istruzione e di mantenimento posti a carico dei genitori sia in grado di provocare dei danni destinati a ripercuotersi nell’arco dell’intera esistenza del figlio, deprivato, ora per allora, di quel baga146 CASSANO G., Rapporti tra genitori e figli, illecito civile e responsabilità: la rivoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni alla luce Del danno esistenziale, in Dir. Fam, 1987. 64 glio di valori positivi, soprattutto sul piano psicologico ed etico, che avrebbe potuto consentire di realizzarsi in maniera adeguata nella società come nei nuovi rapporti, di natura affettiva e familiare, che andrà a costituire. La famiglia, intesa come “luogo di realizzazione e di crescita” 147 , deve assicurare alla prole, nell’ambito di una cornice statuale di intervento e di garanzia, quei diritti fondamentali di solidarietà che rispondono all’interesse essenziale dell’essere umano a ricevere l’aiuto e la guida necessari per la sua formazione 148 . Non possono non evidenziarsi le dolorose conseguenze delle violazioni degli obblighi di solidarietà nei confronti del bambino, in sé considerato, e, in prospettiva, dell’essere adulto, del cittadino, che porta le stimmate di un’infanzia oltraggiata da una condotta genitoriale a volte caratterizzata da colpose omissioni o “distrazioni”, ma, nei casi più gravi - purtroppo non infrequenti - da violenze, prevaricazioni, e persino abusi di natura sessuale. Sul punto, va richiamata la denuncia, da parte di avvertita, dottrina, della sottovalutazione, anche in ambito giurisprudenziale, dei problemi endo-familiari che riguardano bambini e adolescenti, con riferimento al problema degli abusi sessuali, dentro e fuori casa; al trattamento da riservare al genitore ostacolante, e, soprattutto, ai cc.dd. “maltrattamenti invisibili”, vale a dire le tipologie dei comportamenti meno clamorosi, caratterizzati da indifferenza ed assenteismo 149 . 7.1 Inadempimento del dovere di mantenimento La nozione stessa di “mantenimento” rimanda inevitabilmente a un rapporto fra situazioni giuridiche, in cui quella del beneficiario, ovvero del soggetto che ha diritto alla prestazione, è intrinsecamente connotata da un generico stato di bisogno, da mancanza di autonomia, da necessità, quindi, di tutela in senso ampio, la quale non potrà non implicare, pertanto, aspetti risarcitori. 147 Cfr. la citata Cass. n. 9801/2005. 148 Così BIANCA C.M., Op. cit, 279. CENDON P., I diritti delle persone deboli, in Persona e danno, III, 2004, 2770. 149 65 L’art 30 Cost., nel definire contemporaneamente come “dovere e diritto” il compito dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, e nello specificare che, in caso di “incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”, disegna una quadro particolarmente complesso, in cui, anche alla luce delle disposizioni correlate (artt. 29 e 31, ma anche 2, 8, 19, 21 e 49 Cost.), il ruolo centrale della famiglia nella formazione della personalità del minore si colloca in un ambito ispirato ai principi della responsabilità e della solidarietà, nel rispetto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle capacità del minore stesso (art. 147 c.c.), in un contesto pubblicistico di formazione del cittadino tendenzialmente alieno da vocazioni autoritarie o paternalistiche e parimenti ispirato a principi di solidarietà e di eguaglianza. Non può sfuggire, sotto l’aspetto testé evidenziato, il superamento dell’inserimento del munus in esame nella prospettiva della famiglia fondata sul matrimonio, vale a dire la sostanziale equiparazione (effettuata nel citato art. 30 Cost. con la congiunzione “anche”), dei figli naturali a quelli legittimi, ormai quasi pienamente realizzata, salve le residuali ipotesi del diritto di veto di cui all’art. 252 c.c. e delle particolare disciplina in materia successoria, concernente il c.d. potere di commutazione di cui agli artt. 537, c. 3, 542, c. 3 e 566, c. 2, c.c.. 7.2 La procreazione come momento genetico del dovere. Appare quindi chiaro come il diritto al mantenimento, unitamente alle altre prestazioni inerenti al rapporto di filiazione, trovi il suo momento genetico non già negli aspetti formali correlati all’accertamento del rapporto (vale a dire lo status di figlio legittimo o il riconoscimento del figlio naturale), bensì direttamente nella procreazione, e ciò anche ai fini dell’individuazione dell’inizio della decorrenza dei suoi effetti. Si tratta, evidentemente, della prevalenza, con tutte le sue implicazioni di natura sociologica oltre che giuridica – e salve le ipotesi di filiazione adottiva - dell’evento naturalistico della procreazione sugli aspetti formali del riconoscimento, che non a caso può essere impugnato per difetto di veridicità. Non può sottacersi, inoltre, la rilevanza dell’accertamento incidentale della filiazione naturale, nell’azione prevista – ai fini del 66 mantenimento - dall’art. 279 c.c., cioè nei casi in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità. La retroattività degli effetti del riconoscimento al momento della procreazione si fonda sul rilievo attribuito alla natura dello stato biologico di procreazione e all’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima sancita dall’art. 261 c.c. 150 . 7.3 Contenuto del dovere. Il contenuto del diritto al mantenimento è senz’altro più ampio dell’obbligazione alimentare : esso si estende alla sfera della vita di relazione e alle esigenze di sviluppo della personalità del figlio, comprendendo, quindi, l’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale. Ben si intende, pertanto, come tale obbligazione, a differenza di quella alimentare, vada determinata, in concreto, in relazione alla posizione sociale della famiglia e al suo tenore di vita, alle capacità economiche di ciascun genitore 151 . Deve quindi affermarsi l’entità del diritto a un mantenimento – nell’ampia accezione ora richiamata – direttamente proporzionale alla situazione patrimoniale della famiglia : si ritiene, pertanto, che i genitori abbiano il dovere di garantire alla prole un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia La necessità di assecondare, ex art. 147 c.c., le aspirazioni della prole, deve evidentemente essere ricollegata alla loro concreta realizzabilità, che non può prescindere dalla situazione economica e sociale di appartenenza e dalle reali attitudini del minore. Tale giudizio di adeguatezza concerne anche le ipotesi di superamento della maggiore età del figlio, ormai sempre più frequenti in virtù di obiettive ragioni economiche e sociali, salve le ipotesi di colpevole inerzia ovvero di rifiuto di un lavoro compatibile con le proprie attitudini 152 . 150 Cass., 3 aprile 2002, n. 4765; Cass., 13 luglio 1995, n. 7644; Cass., 22 marzo 1993, n. 3363. ROSSI R. Op. cit, , 7 ss. 152 Cass., 16 febbraio 2001, n. 2289. 151 67 7.4 Ingiustizia e connotati del pregiudizio. Ben si vede come qui il tema della responsabilità si incentra essenzialmente nell’individuazione dell’ingiustizia del danno, nel senso che la selezione dell’interesse giuridicamente rilevante è inscindibilmente connessa a un fatto di per sé in grado di determinare un’apprezzabile compromissione di un diritto inviolabile, meritevole di tutela indipendentemente dai rimedi propri della disciplina della famiglia. Cioè a dire che il principio di immunità, basato sulla risalente presunzione di completezza delle norme specifiche in tema di famiglia, rivela la propria intrinseca debolezza a fronte di gravi aggressioni ai diritti della personalità, meritevoli di tutela sia fuori della famiglia, sia all’interno della medesima. La violazione dell’obbligo di mantenimento, da intendersi nel senso ampio sopra delineato, è in grado di arrecare, quando non sia meramente sporadica, un grave vulnus alla sopravvivenza della vittima non solo sul piano patrimoniale, ma anche, e soprattutto, a livello morale ed esistenziale. È stato correttamente osservato che l’inadempimento minaccia in chi lo subisce serie cadute di identità familiare, nonché un senso tendenziale di ostracismo – tanto maggiore, quanto più debole sia il creditore della prestazione. Naturale, perciò, il favor verso una regola intonata alla sufficienza tendenziale della colpa; intesa, quest’ultima, non tanto, s’intende, come difficoltà contingente a produrre reddito, bensì come “menefreghismo” o anche solo dimenticanza cronica, rispetto a esborsi alla portata delle risorse dell’obbligato (e magari già definiti dal giudice) 153 . Il pregiudizio subito dal minore in conseguenza della privazione degli apporti provenienti da uno degli obbligati si realizza, invero, oltre che nell’immediato, anche in relazione allo stato d’inferiorità provato rispetto ai compagni 154 , nonché nella vita da adulto, a seguito delle occasioni mancate e delle forzate rinunce incidenti sui vari campi in cui si proietta la propria esistenza. 153 CENDON P- SEBASTIO G., Op. cit, , 2857. BALDASSARI S., La violazione dell’obbligo di contribuzione al mantenimento, in Persona e danno, Milano, 2004, 3069. 154 68 In applicazione di tale principio, è stata accolta la pretesa risarcitoria di un figlio naturale che per anni era stato completamente negletto dal padre, che, per altro, rivestiva, quale imprenditore, un importante ruolo economico e sociale. In tal senso, la seguente decisione di merito. L’obbligo in esame non assume un contenuto fisso e invariabile, come potrebbe dirsi per gli alimenti, in quanto non può essere individuato soltanto in relazione alle esigenze del suo destinatario, ma va determinato tenendo conto delle condizioni patrimoniali e sociali di ciascuno dei genitori, di talché la prole, come ha correttamente affermato il tribunale (mutuando tale principio dalla motivazione della sentenza della S.C. n. 3363 del 22 marzo 1993), “ha diritto a un livello di vita correlato alle possibilità economiche dei genitori”. In relazione a quest’ultimo profilo va ricordato che si tratta di un principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, con particolare riferimento all’ipotesi, più frequente, dei rapporti patrimoniali inerenti ai figli nella separazione o nel divorzio, i quali hanno diritto a un mantenimento tale da garantire loro un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza(v. Cass., 3 aprile 2002, n. 4765; Cass. 2000 n. 15065). Applicando, mutatis mutandis, tale principio al mantenimento e all’educazione dei figli naturali, appare evidente come l’obbligo facente capo al genitore deve intendersi soddisfatto soltanto allorché la prole abbia ricevuto, tenuto conto della posizione sociale ed economica dell’onerato, quegli stessi vantaggi che tale posizione gli assicurava. Vale bene ricordare che la sentenza di accertamento della filiazione naturale, in quanto ha natura dichiarativa dello stato biologico di procreazione, fa sorgere a carico del genitore tutti i doveri di cui all'art. 147 c.c. propri della procreazione legittima, compreso quello di mantenimento che, unitamente ai doveri di educare ed istruire i figli, obbliga i genitori ex art. 148 c.c. a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale (Cass., 14 febbraio 2003, n. 2196). Prescindendo, per ora, dall’esame dei criteri che, in via equitativa, sono stati adottati per la determinazione del pregiudizio subito dall’attore, mette conto di evidenziare come la ricorrenza di un danno risarcibile, avuto riguardo all’accertata modestia delle condizioni di vita del giovane C., ove rapportata alle cospicue risorse del facoltosissimo padre naturale, inserito nei vertici imprenditoriali della pro69 pria città, sia innegabile, derivando detto pregiudizio dall’inadempimento dell’obbligo di consentire a quel figlio un tenore di vita e un grado d’istruzione adeguati. Avanti di esaminare partitamente le censure avanzate in relazione ai criteri adoperati in prime cure per la valutazione del pregiudizio riportato dall’attore, mette conto di evidenziare come la bipartizione effettuata dal tribunale sia assolutamente condivisibile, in quanto, se da un lato appare evidente il danno che scaturisce dalla mancata percezione di quanto l’appellante, tenuto conto della sua elevata posizione sociale ed economica, avrebbe dovuto corrispondere ai figlio per adempiere compiutamente ai propri doveri di genitore, non meno significativa è la proiezione, su un piano probabilistico, delle possibilità esistenziali dell’attore, in senso lato, ma estremamente significative (attività professionale, inserimento sociale, livello di vita, capacità economiche), se avesse potuto giovarsi degli apporti, non solo di natura finanziaria, del proprio genitore. Il pregiudizio relativo alla frustrazione di tali aspirazioni appare direttamente correlato all’inadempimento degli obblighi di cui agli artt. 147 e 148 c..c., di talché, avuto riguardo anche alla notevole sproporzione fra la condizione esistenziale in cui il C. avrebbe dovuto versare, e quelle reale, di gran lunga deteriore (per il vero nobilitata, come si dirà, da ammirevole costanza e da innegabili capacità), appare senz’altro configurabile un danno, di notevoli proporzioni, ai fondamentali diritti della persona, così come garantiti dagli artt. 2 e segg. Cost., cui va necessariamente posto in relazione, proprio ai fini di una lettura costituzionalmente orientata, l’art. 2043 c.c. (v. Cass. I, 7 giugno 2000, n. 7713, DR. 2000, pagg. 835 e segg). Vengono in considerazione, indipendentemente dagli aspetti morali (dei quali si dirà in seguito), i pregiudizi relativi alla perdita della prospettiva di un inserimento sociale e lavorativo adeguato alla classe socio-economica di appartenenza del padre, perdita direttamente ricollegabile a quel deficit non solo di quegli apporti finanziari tali da consentire un livello d’istruzione di alto livello e l’intrapresa di attività professionali o imprenditoriali consone alla famiglia, ma anche di quei consigli, di quei suggerimenti, di quel sostentamento morale tali da favorire – in assenza di fattori ostativi – la formazione di una personalità, di una cultura, di una capacità di intrattenere relazioni sociali di alto livello, direttamente ricollegabili al patrimonio morale e culturale della famiglia paterna 155 . 155 App. Bologna, 10 febbraio 2004, Fam. e dir. 2006, 511. 70 7.5 Autonomia del danno non patrimoniale. Non vi è dubbio che il risarcimento del pregiudizio non patrimoniale non esclude il ristoro dei danni patrimoniali (distinguendosi dalla c.d. perdita di chance proprio per la sua attinenza all’ambito non reddituale), e al c.d. danno morale soggettivo, in relazione al quale, in virtù dei principi affermati dalle note decisioni della S.C. nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 (seguite dopo poco tempo e, in buona parte, convalidate da Corte Cost. 11 luglio 2003, n. 233), non operano i limiti di esclusione di cui all’art. 2059 c.c.. La liquidazione del danno esistenziale nel caso testé esaminato è stata effettuata anche in base alle aspirazioni e alla reale capacità dell’attore di realizzarsi in diversi ambiti sociali e culturali con modalità assolutamente non paragonabili a quelle effettive, sulla base di un raffronto con le posizioni conseguite dai fratelli legittimi. Al riguardo la Corte affermava quanto segue. Al fine di porre in evidenza il pregiudizio “esistenziale” e, al contempo, la personalità dell’attore, la sua capacità di raggiungere, laddove confortato dagli aiuti paterni, importanti traguardi, va ricordato che il C., costretto, per ragioni economiche, ad abbandonare gli studi, svolse qualsiasi tipo di attività manuale (pizzaiolo, cameriere, facchino, operaio agricolo). Assunto nell’anno 1990 come operaio dalla S.r.l. C. di X, si distinse per le sue capacità, e venne proposto come agente venditore per la zona dell’Emilia Romagna. Deve ritenersi, pertanto, che anche il C., se solo avesse potuto beneficiare degli apporti di varia natura, ma soprattutto finanziari, provenienti dal padre naturale (della cui esistenza è stato per lungo tempo all’oscuro), avrebbe potuto conseguire risultati apprezzabili sul piano sociale ed economico, non dissimili da quelli relativi ai figli legittimi del G.. Risulta tuttavia provato che anche la moglie del G. godesse di una posizione patrimoniale di significativo rilievo, ragion per cui, nel raffronto con le posizioni dei figli legittimi (le quali, nel complesso della valutazione complessiva del danno, assumono un valore meramente indicativo), non si può prescindere dai vantaggi derivanti dal presumibile concorso, anche di natura economica, della loro madre. Tenuto conto, da un lato, di tale aspetto, e, dall’altro, dei rilevanti pregiudizi arrecati alla personalità dell’attore, che trascendono la sfera meramente economica (ed in tale misura deve intendersi accolto 71 quanto dedotto dall’appellato in via incidentale in relazione al danno esistenziale) appare congrua, per il ristoro complessivo delle voci di danno in esame, la somma di quattro miliardi di lire (pari ad euro 2.065.827,60) determinata nell’impugnata decisione. Cioè a dire che la somma di un miliardo di lire che, considerati gli aspetti inerenti ai benefici che i figli legittimi del G. hanno ricevuto non dallo stesso, ma dalla madre, andrebbe virtualmente detratta dall’importo complessivo determinato in prime cure, va viceversa attribuita per il ristoro dei rimarchevoli danni arrecati ai diritti fondamentali della persona, per aver condotto – come si dirà appresso – un’esistenza, dal punto di vista sociale e lavorativo, del tutto diversa, e assolutamente deteriore, rispetto a quella che il rapporto di filiazione in esame avrebbe consentito 156 . La verifica dell’ingiustizia del danno non può prescindere, come già evidenziato, dalla consapevolezza dell’obbligato di agire in pregiudizio dell’interesse altrui : tale esigenza viene particolarmente avvertita in materia di illecito endo-familiare 157 . Anche in dottrina è stato posto in evidenza come l’elemento soggettivo, oltre a fungere da criterio di imputazione della responsabilità, incide anche sulla determinazione del quantum del risarcimento 158 . Il dovere di mantenimento non si sottrae a tale regola, imponendo, anzi, ai genitori condotte doverosamente orientate ad acquisire una posizione reddituale tale da soddisfare le esigenze della prole. Invero la disposizione contenuta nell'art. 148 c.c., nell'assumere quale parametro di riferimento ai fini della misura del concorso dei coniugi negli oneri verso i figli non soltanto le "rispettive sostanze", ma anche "la loro capacità di lavoro professionale o casalingo", intende chiaramente valorizzare ai fini in discorso non soltanto le risorse economiche, di qualunque natura, ma anche le potenzialità reddituali e funzionali dei coniugi stessi 159 . Giova ancora rimarcare come la prima affermazione del danno esistenziale ad opera della S.C. sia avvenuta proprio in relazione ad un’ipotesi di versamento tardivo dei contributi, da parte di un genitore, per il mantenimento della prole 160 . 156 App. Bologna, 10.2.2004, cit. Cass., n. 9801 del 2005, citata. 158 CENDON P., I problemi del dolo, in La responsabilità civile, Utet, Torino, 1987, 91; FACCI G., L’illecito endofamiliare fra danno in re ipsa e risarcimenti ultramilionari, in DResp, 2006, 5, 519. 159 Cass., 8 novembre 1997, n. 11025 160 Cass., n. 7713 del 2000, cit., 157 72 7.6 Inadempimento del dovere educativo. L’assenteismo genitoriale I doveri genitoriali sono fra loro intimamente connessi, costituendo, complessivamente considerati, l’espressione della solidarietà familiare e, in definitiva, dell’affetto per i propri congiunti: non di rado la violazione di uno specifico obbligo si associa a un più completo disinteresse per la famiglia. Il Tribunale di Venezia ha ravvisato la prova del pregiudizio non patrimoniale, nel caso di sottrazione, da parte di un padre naturale, al complesso dei propri doveri, nel pluriennale disagio provocato, nella figlia minorenne, dall’assenza della figura paterna, non omettendo di sottolineare la “pervicace” condotta del responsabile, evidentemente rilevante anche ai fini della liquidazione del risarcimento. Date le predette coordinate (il dovere genitoriale di essere in qualche modo presente; nella specie la totale immotivata reiterata e perdurante assenza del padre quivi convenuto), ebbene F.V. ha sofferto conseguenze lesive, manifeste e apprezzabili, nel suo percorso di maturazione e crescita evolutiva, fossero anche esse, come è ovvio nella specie, fortemente legate alle stesse valutazioni soggettive dell'interessata? Come riferito al c.t.u., e non v'è ragione di non credere alla interessata, (d'altra parte il convenuto contumace nulla ci dice in merito), la bambina conosceva sin dall'età di tre anni l'esistenza di un padre naturale che non viveva con la famiglia; a tutt'oggi, su domanda del perito, indica nella madre la persona di riferimento, con la quale sostituì, in sostanza, il padre; nega di avere maturato, ma sarebbe strano il contrario, sentimenti affettivi negativi verso la figura assente; ricorda, con senso critico, osserva il c.t.u. sufficientemente elaborato, un senso di diversità rispetto ai compagni ai tempi della frequentazione delle scuole elementari, un qual certo disagio ovvero disorientamento nel dover riferire il cognome della madre; l'attrice, F., è, a tutt'oggi, a conoscenza del tentativo del padre naturale di inviare, senza successo, la madre ad una interruzione della gravidanza; ricorda di avere sostanzialmente fantasticato sulla figura paterna, non avendo altri dati a disposizione, sino, tuttavia, alla maturata e determinata decisione di rintracciarlo; descrive, e si tratta di fatti interessanti ai fini di causa, l'ansia che ha accompagnato la ricerca, la brevità del colloquio infine ottenuto; la maturazione di aspettative per altri incontri costruttivi, sino allo scambio dei rispettivi numeri di telefono; l'esito sostanzialmente 73 negativo di tale tentato contatto, sino all'abbandono del relativo disegno; la delusione provata nella constatazione, affatto scontata, a ben vedere, del detto esito così deludente. Quanto al resto, la perizianda vive con serenità, oggi, un proprio autonomo rapporto affettivo. Non ha sviluppato, come già osservato, alcuna apprezzabile patologia, non emergendo elemento alcuno dal punto di vista di alterazione psicopatologicamente apprezzabile, data l'assenza, appunto, di sintomi di disturbi comportamentali. (F.V. è consapevolmente cresciuta nella consapevolezza di avere un padre (quello vero) completamente assente; ritiene dunque provato il Tribunale che la totale assenza della figura paterna sia stata avvertita e sofferta, seppur con la fortunata esistenza di strumenti compensativi che hanno consentito alla giovane di sviluppare con sostanziale equilibrio la propria personalità. Ciò detto, malgrado l'assenza di esiti apprezzabili sul piano psicopatologico, nonché valutato, anche sulla base della c.t.u., il relativo predetto equilibrio complessivo e l'assenza di turbe comportamentali, vi è stata e v'è lesione del diritto fondamentale dell'attrice all'apporto anche morale ed assistenziale chiaramente mancato. Trattasi di un coacervo di situazioni e fatti, apporti concreti, i quali, a prescindere dalla qualità del loro contenuto, certo non giudicabile dallo scrivente, non sono stati forniti, malgrado l'obbligo di legge relativo. L'effetto privativo, tanto premesso, è eclatante. La violazione del detto diritto fondamentale - il diritto alla educazione, alla assistenza non solo economica, comunque mancata - è stato in effetti reiteratamente violato: in effetti ne perdura, senza nessuna giustificazione, la violazione. La consapevolezza, infine raggiunta, dalla attrice di essere stata trattata come il figlio di un mammifero di specie diversa da quella umana (sebbene molti mammiferi, a ben vedere, pongono a lungo cura alla prole), è in sé una conseguenza lesiva della altrui condotta illecita e merita un risarcimento riequilibratorio. Tutto ciò premesso, con riferimento alla sola posizione processuale dell'attrice F.V., si liquida, al titolo in esame, danno non patrimoniale non coincidente con il mero danno morale come già entificato, l'ulteriore importo di Euro 50.000,00, somma anche in questo caso espressa in valori attualizzati e comprensiva degli interessi compensativi maturati e scaduti 161 . Gli obblighi di educazione e di istruzione della prole sono fra loro correlati, distinguendosi non solo per la diversa incidenza (il primo sulla capacità del figlio di relazio- 161 Trib. Venezia, 30 giugno 2004, DResp, 2005, 584. 74 narsi con gli altri, il secondo sullo sviluppo psicofisico) 162 , bensì sulle modalità di realizzazione, non essendo concepibile “istruzione” disgiunta dall’intervento degli organi statuali, soprattutto scolastici. Sotto tale profilo l’assolvimento dell’obbligo di istruzione da parte dei genitori concerne non solo nell’introdurre il figlio nelle strutture a tal fine predisposte (anche private, purché idonee), ma anche nel collaborare in maniera efficace con gli organi scolastici. L’educazione, viceversa, viene impartita per lo più direttamente, ragion per cui costituisce il presupposto della responsabilità dei genitori verso i terzi ai sensi dell’art. 2048 c.c. 163 . Una recente pronuncia consente di focalizzare, sotto il profilo della violazione della lex Aquilia, il dovere, facente capo ad entrambi i genitori, anche a quello non affidatario, di contribuire, al di là degli aspetti di natura economica, all’educazione della prole. Questo collegio ritiene che tale domanda concreti la richiesta di liquidazione del danno esistenziale subito dal minore per il mancato apporto educativo e economico del padre naturale. Va al riguardo richiamato il pacifico orientamento (dottrinario e giurisprudenziale) secondo il quale ogni minore vanta il diritto assoluto ed inviolabile (artt. 2, 3, 29, 30 e 31 Cost,) a ricevere la “educazione” in una propria famiglia, accogliente ed affettuosa, che promuova e favorisca il pieno sviluppo della sua personalità. Il diritto alla “educazione” e il diritto alla propria famiglia sono due diritti distinti, ma collegati fra loro. Il diritto alla “educazione” che trova la sua matrice costituzionale nell’art. 30 Cost., riceve una sua concreta attuazione negli art. 147, 261 c.c., nonché nell’art. 1, comma 1, della l. 28 marzo 2001, n. 149, secondo cui “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”. La nozione di “educazione “ non può essere intesa nel ristretto senso di ammaestramento, ma deve essere interpretata nella sua più ampia accezione di complesso di condizioni che favoriscano il pieno sviluppo della personalità del minore, di un adeguato processo di formazione di una personalità matura ed integrata nella sua più ampia società. “L’attività o funzione educativa (formazione della personalità socio culturale dell’individuo) consiste, in linea di massima, nel far progredire i membri dallo 162 163 ANCESCHI A. Rapporti fra genitori e figli.Profili di responsabilità. Giuffrè, Milano, 2007, 135. ANCESCHI A, Op. cit, , 136. 75 stato di passività infantile a quello di attività adulta, farli procedere dallo stadio di necessaria dipendenza a quello di indipendenza, farli passare da un’assoluta mancanza di conoscenza all’acquisizione di nozioni indispensabili per esercitare un controllo sempre più efficiente. E’ chiaro che trattando di una situazione evolutiva, la realizzazione del diritto del minore si attuerà con connotati diversi man mano che la necessaria protezione dovrà gradatamente attenuarsi, per agevolare il processo di autonomia.” 164 . Vengono quindi analizzate le conseguenze di una carenza educativa, sotto il profilo della bigenitorialità, nei riguardi della formazione della personalità del minore come individuo e come cittadino. Trattasi, per altro, di un principio affermato nella Convenzione di New York del 1989, che all’art, 18 prevede espressamente che entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo. Chiarite le nozioni di educazione e di propria famiglia, occorre sottolineare che, per un corretta evoluzione della personalità e per una normale socializzazione, il minore ha bisogno di validi modelli genitoriali di riferimento, della necessaria compresenza di una figura educatrice materna e paterna. Solo una vera famiglia, e cioè una famiglia completa formata da una coppia di genitori ( e non pure una famiglia incompleta, monca, monoparentale) può promuovere ed assicurare il pieno sviluppo della personalità, perché per raggiungere una vera maturazione psichica, il minore ha bisogno di avere validi modelli educativi, di identificarsi in una figura materna e paterna. Non a caso l’art. 30 Cost. una il plurale dicendo che “nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti: tale dizione prefigura ed implica necessariamente una coppia educatrice, formata da una madre e da un padre (i genitori), onde una famiglia monoparentale si pone contro la lettera e lo spirito degli art. 29 e 30 Cost.. Ogni contraria opinione non solo non tiene conto del principio generale del preminente interesse del minore, ma si pone in irriducibile contrasto con i precetti costituzionali sanciti negli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost, che tutelano tale preminente interesse al pieno ed armonico sviluppo della personalità: si può dire senza tema di smentita che, come per nascere fisicamente il minore ha bisogno di un padre e di una madre, così per nascere socialmente, per inserirsi pienamente e responsabilmente 164 Tribunale per i minorenni l’Aquila, 8 luglio 2005, in DFP, 2006, 191 ss. 76 nella società e per partecipare attivamente all’organizzazione, politica, economica e sociale del Paese, ha bisogno dell’ “educazione” da parte di entrambi i genitori (altrimenti riceverebbe un’educazione incompleta, non piena ed armonica, parziale, disturbata e disturbante, asociale e deviante” 165 . Sulla base di tali premesse vengono fatte discendere, per il vero in virtù di un ormai desueto approccio di tipo eventistico, le conseguenze sul piano della responsabilità, con liquidazione equitativa dell’unico pregiudizio, di natura esistenziale, ritenuto sussistente. La violazione in sé del dovere di assistere ed educare i figli costituisce una voce autonoma di danno risarcibile (cfr., in tal senso, Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Dir. fam., 1986, 854; Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in Dir. fam., 2001, 934). … Tanto premesso in diritto, indubbia appare l’esistenza del danno esistenziale causato in concreto al piccolo Andrea dal padre naturale, il quale non solo insisteva affinché l’attrice abortisse, ma sinora non si è mai occupato dell’educazione del figlio, col quale non ha sino ad oggi avuto alcun contatto. Ciò detto, resta da risolvere un ultimo problema, e cioè se per la sussistenza del lamentato danno o per la sua configurabilità occorra la punibilità in concreto, cioè la condanna penale (essendo noto che il danno non patrimoniale è risarcibile solo quando derivi da un reato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.), oppure se sia sufficiente l’astratta configurabilità di un reato. Tale dubbio sorge dal fatto che, pur essendo in astratto configurabile nella condotta del signor F. il reato (continuato) p. e p., dagli artt. 81 cpv. e 570 c.p., l’azione penale non risulta essere stata in concreto promossa. Ritiene il Collegio che tale dubbio debba essere risolto nel senso che per la sussistenza del danno in esame non occorra la punibilità in concreto, ma sia sufficiente l’astratta punibilità (cfr., in tal senso, Cass., 28 aprile 1977, n. 1623) .. (. ..). Va, per completezza, sottolineato che la S.C. ha ritenuto risarcibili i danni derivanti dalla lesione in sé dei diritti fondamentali della persona, indipendentemente dal fatto che tale lesione integri o meno un illecito penale (cfr., Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, in Dir. fam., 2001, 938; Corte cost. sentenza 233 del 2003 e ordinanza n. 59 del 2005). Quanto alla non semplice quantificazione del danno, soccorre, nell’economia di una liquidazione necessariamente equitativa, la considerazione della totale assenza o latitanza della figura paterna nella 165 Trib. min, L’Aquila, 8.7.2005, cit. 77 vita di Andrea per i primi nove anni (che sono gli anni fondamentali per lo sviluppo del carattere), la intensità del dolo e la sua protrazione, nonché il rilievo che il bimbo, per l’assenza del padre e per le ristrettezze economiche della madre, è stato costretto a vivere per alcuni anni in Istituto (e cioè in ambiente spersonalizzato e spersonalizzante), e, quindi, è stato privato d’un accogliente ambiente familiare, cioè della propria “famiglia”, alla quale aveva diritto. Alla luce di tali rilievi appare congruo il ristoro dei danni partiti dal minore nella misura di euro 20.0000 166 . 8 I maltrattamenti Non mancano in dottrina i richiami alla difficoltà di addivenire a una chiara definizione, in sede normativa, del complesso fenomeno della violenza domestica, fenomeno spesso sommerso, a volte attuato con forme subdole e sfuggenti, di talché il dato criminologico non sempre trova puntuale riscontro in quello normativo. In linea generale, si suole riferire l’espressione “violenza domestica” alle varie forme di violenza verbale, psicologica, fisica, sessuale ed economica esercitate da un membro della famiglia ai danni di un altro, e accomunate tutte quante dal fatto di rappresentare la “perfetta antitesi in sé e per sé del valore della persona”, la “precisa negazione dei suoi diritti inviolabili”, anzi la negazione della loro tutela proprio nell’ambito della prima formazione sociale nella quale si dovrebbe svolgere la personalità del singolo. Nelle sue differenti modalità di realizzazione, dunque, la violenza che si sviluppa in seno alla famiglia equivale alla compressione degli spazi fisici, biologici e psicologici inviolabili di un individuo che, per età, condizioni fisiche o mentali o, comunque, per particolari condizioni di bisogno, non è in grado di difenderli; compressione attuata da parte di chi avrebbe, nei confronti di tale individuo, compiti di tutela e protezione 167 . Per quanto attiene alla tutela penalistica delle esigenze formative e della personalità dei figli, vengono in rilievo soprattutto (oltre alle norme specificamente dettate a tutela dell’incolumità fisica e morale, nonché della libertà sessuale), gli artt. 571 e 572 c.c. (abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia), in relazione ai quali si pone il problema di una rilettura alla luce delle successive disposizioni costituzionali e dei 166 167 Trib. min, L’Aquila, 8.7.2005, cit. Così SILVANI S, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Tratt. Dir. Famiglia, Aggiorn., 2006, 154. 78 principi affermati nelle varie convenzioni internazionali intese alla salvaguardia degli interessi dei minori 168 . In particolare, è stato posto in evidenza, anche dalla giurisprudenza di legittimità, che qualsiasi violenza, fisica o psichica, è assolutamente ingiustificata anche in presenza di un fine educativo 169 . Ne è conseguita una progressiva erosione del reato previsto dall’art. 571 c.p., nel senso della progressiva ed ormai estrema riduzione del suo campo di applicazione 170 . La S.C. ha ormai tracciato la distinzione fra i due delitti, espungendo il criterio discretivo fondato sulla finalità educativa. Residua il problema della qualificazione giuridica del fatto, avendo il ricorrente insistito, con riferimento all'ipotesi contestata di maltrattamenti, nella tesi, già sostenuta in sede di merito, dell'abuso di mezzi di correzione, essendo stata la sua azione ispirata esclusivamente da finalità educative. Osserva la Corte che l'intenzione soggettiva dell'agente non è elemento dirimente per fare rientrare gli abituali atti di violenza posti in essere ai danni dei figli minori nella previsione dell'abuso di cui all'art. 571 c.p., considerato che tali atti devono ritenersi oggettivamente esclusi dalla medesima previsione. È vero che, in passato, la dottrina prevalente e la giurisprudenza erano concordi nell'individuare il criterio discretivo tra il delitto di maltrattamenti e quello di cui all'art. 571 c.p. nell'animus corrigendi, vale a dire nel fine educativo che contraddistinguerebbe il secondo e sarebbe estraneo al primo, ma tale impostazione deve ritenersi superata, alla luce dell'evoluzione culturale in tema di metodi educativi da adottare nei confronti dei minori e del nuovo assetto normativo che, a seguito della riforma del 1975, regola i rapporti familiari, in coerenza con i principi costituzionali e con le Convenzioni internazionali (Convenzione di New York del 1989, ratificata in Italia con legge n. 176/91), da cui risulta che il minore "non è più considerato oggetto di protezione e tutela, ma un soggetto di diritto, che va aiutato a crescere, assecondato nelle sue inclinazioni, rispettato, vedendo in lui una persona in formazione, che ha bisogno di una guida", che lo aiuti a superare la naturale fragilità e vulnerabilità e ne rispetti la dignità di persona. La nuova formulazione dell'art. 147 c.c. si muove in questa ottica, prevedendo che i genitori, nell'ambito del loro obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, deb168 DI FLORIO A., L’abuso della potestà genitoriale, in Persona e danno, Milano, 2004, 2576. Cass. pen, 7 febbraio 2005, n. 16491. 170 ZANINI N, Op. cit, 1458. 169 79 bono tenere conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli, con conseguente attenuazione dello ius corrigendi così come in passato inteso e con l'effetto naturale ed ulteriore che dalle relazioni familiari deve ritenersi bandita ogni forma di violenza, quale legittimo strumento al quale fare ricorso a fini educativi, potendosi tollerare, solo eccezionalmente e in casi estremi, una vis modicissima nei confronti dei figli minori, la quale sia compatibile con la finalità di "correzione", termine quest'ultimo che va inteso come sinonimo di "educazione", il che implica che il minore deve avvertire l'intervento genitoriale come adeguato e proporzionato alla manchevolezza commessa, sì da non reiterarla nel futuro, e non già come ingiustificata o immotivata mortificazione del proprio modo naturale di essere bambino, con una personalità in corso di formazione. Non può ritenersi che costituiscano mezzi educativi tutti quei mezzi, di qualunque specie, che vengano usati a tale fine, ma soltanto quelli per loro natura a ciò deputati. Il ricorso ad un mezzo oggettivamente non consentito, anche se utilizzato con scopo emendativo, non rientra neppure nella previsione dell'art. 571 c.p., ma integra, a seconda degli effetti che produce, altre ipotesi incriminatici. L'abuso di cui parla l'art. 571 c.p. implica, infatti, il tradimento della importante e delicata funzione educativa e presuppone l'uso consentito e legittimo di mezzi correttivi, con l'effetto che l'esercizio del potere di correzione fuori dei casi consentiti o con mezzi di per sé illeciti o contrari allo scopo fa venire meno la stessa materialità del reato in questione e va inquadrato in altro paradigma criminoso. Conclusivamente, l'animus corrigendi va concettualmente tenuto distinto dalla materialità del delitto di cui all'art. 571 c.p., dovendosi definitivamente ripudiare la tesi che individua nella proiezione soggettiva dell'agente una sorta di legittimazione del mezzo usato, quale che esso sia. È pure vero che il concetto di liceità di un mezzo di correzione porta in sé un certo lasso di relatività, ma questa non può essere ancorata all'intenzione soggettiva dell'agente, bensì al dato oggettivo del complesso normativo del nostro ordinamento giuridico, così come evolutosi nel corso degli anni, il quale ha bandito ogni forma di violenza fisica o psichica quale legittimo mezzo di correzione o di disciplina. Quando il ricorso alla violenza, poi, come nel caso in esame, è sistematico, tanto da imporre al minore un regime di vita pesante, doloroso ed insopportabile e da determinare in lui un vero e proprio stato di terrore, è fin troppo evidente che, al di là delle soggettive intenzioni dell'agente, si versa nell'ambito del delitto di maltrattamenti. La presenza del fine educativo, infatti, non può di per sé comportare l'inquadrabilità della detta condotta nella fattispecie di cui all'art. 571 c.p., proprio perché la natura del mezzo di correzione prescel80 to è la negazione della stessa finalità perseguita, considerato che l'esercizio della funzione correttiva con modalità particolarmente affettive o mortificanti della personalità stride "con la pratica pedagogica e con la finalità di promozione dell'uomo ad un grado di maturità tale da renderlo capace, nel contesto di solidarietà dell'organizzazione statuale, di integrale e libera espressione delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni", contraddice i valori di pacifica convivenza, di tolleranza, di solidarietà e di rispetto della dignità umana, che devono presiedere all'armonico sviluppo di una personalità in formazione 171 . 8.1 Comportamenti omissivi e connivenze. Oltre alle forme di violenza direttamente poste in essere dai genitori, i cui vertici sono attinti dalle aggressioni alla sfera sessuale, si danno casi in cui il minore non sia adeguatamente tutelato dagli attacchi esterni ad opera dei propri familiari, che si rendono così responsabili delle conseguenze di tali colpevoli omissioni. Ovviamente la responsabilità del genitore si configurerà tanto nel caso in cui egli sia diretto autore della violenza nei confronti del figlio, quanto nel caso in cui il medesimo non procuri di difendere adeguatamente il bambino da aggressioni che possono provenire dall’esterno. Sono state, invero, perspicuamente evidenziate forme di violenze diretta contro i bambini e forme di violenza indiretta, come nel caso appunto di condotta omissiva da parte dei genitori 172 . Purtroppo, vengono spesso in considerazione comportamenti omissivi, riguardo alla tutela dell’incolumità psico-fisica dei genitori, che assumono, per violazione della posizione di garanzia che fa capo ad ogni genitore, natura illecita, anche in ipotesi di aggressioni poste in essere non solo da terzi, ma anche dall’altro genitore. La S.C. ha confermato la condanna inflitta a una madre quale concorrente, per non averli impediti, in gravi reati di violenza sessuale commessi dal marito nei confronti della prole. 171 Cass. pen., 22 settembre 2005, n. 39927. 172 ZANINI N, Op. cit, 1460. 81 L'imputata, proprio in ragione di una situazione professionale ed economica sicuramente privilegiata, avrebbe avuto ogni possibilità - quanto meno una volta venuta "ufficialmente" a conoscenza degli abusi - di evitare il ripetersi di tali gravissimi fatti. La prevenuta, compreso, per quanto sopra affermato, che la "ritrattazione" delle figlie non era affatto veritiera, ma dettata soltanto da ragioni di opportunità (la stessa sentenza di primo grado riferisce, a pag. 23, un passo della deposizione di V., secondo cui la madre non aveva affatto creduto alla ritrattazione delle ragazze, ma l'aveva quasi assecondata in modo liberatorio "Va bene, non è successo e basta"), constatate de visu, ripetutamente, le tracce evidenti di quei turpi rituali (sangue e liquido seminale rinvenuti nel letto matrimoniale), non si sarebbe dovuta accontentare - come esattamente rilevato dai Giudici del merito, con motivazione non censurabile in quanto del tutto logica e coerente - dei banali "accorgimenti domestici" posti in essere, non solo sperimentatisi del tutto inutili ed insufficienti, ma ancor più percepiti dalle figlie come frustranti, proprio in ragione della loro acclarata inutilità. Per contro, la posizione di garanzia verso i propri figli, costituita dall'art. 147 c.c., in capo al genitore, comporta l'obbligo per costui di tutelare la vita, l'incolumità e la moralità sessuale dei minori contro altrui aggressioni, anche endofamiliari, adottando anche le misure più drastiche in vista del raggiungimento di tale scopo. Tra i suddetti "doverosi" interventi rientrano anche i rimedi estremi, quali la denuncia dell'autore del reato ed il suo allontanamento dall'abitazione coniugale. La posizione di "garanzia" del genitore impone, infatti, a questi di porre in essere tutti gli interventi concretamente idonei a far cessare l'attività delittuosa, posto che quell'obbligo di tutela del minore, che la legge affida al genitore, ha natura assolutamente prioritaria rispetto a qualsivoglia altra esigenza. Del resto, una corretta interpretazione esegetica del secondo comma dell'art. 40 c.p., laddove recita che "non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo", non indulge a considerazioni meno rigorose, posto che il principio della causalità equivalente - che grava sul soggetto "garante" - fa discendere la sua responsabilità penale non da qualsiasi omissione, ma solo dalla mancata adozione di comportamenti in grado di assicurare (in modo efficace) il rispetto del bene giuridicamente protetto 173 . 173 Cass. pen., 14 dicembre 2007, n. 4730, in D&G, 2008. 82 8.2 Pregiudizi arrecati ai minori. Le conseguenze di natura fisica, psichica, affittiva ed esistenziale delle violenze di ogni genere perpetrate nei confronti dei minori sono gravissime, e si manifestano tanto nell’immediato, quanto nella vita adulta, tanto che vengono descritti danni, anche esistenziali, “contingenti” e danni “permanenti” 174 . Trattasi di pregiudizi che, in quanto attinenti a diritti inviolabili della persona, non possono non trovare, in virtù dei principi più volte richiamati e indipendentemente dall’applicazione della legge penale, un’adeguata risposta in sede risarcitoria. Deve in ogni caso essere sottolineata l’efficacia delle misure contenute nelle leggi n. 149 e 154 del 2001, con le quali sono stati introdotti dell’ordinamento dei rimedi utili a fronteggiare la violenza, in maniera rapida ed incisiva 175 . Oltre alla violenza “diretta”, può costituire causa di gravi turbamenti per il minore quella “indiretta”, costituita dal riverberarsi nella sfera psichica della prole di una condotta aggressiva e violenta, posta in essere da un genitore nei confronti dell’altro. Significativa, la riguardo, la seguente pronuncia. Alla stregua di tali circostanze fondata e meritevole di accoglimento si appalesa, anzitutto, la domanda di decadenza del V. dalla potestà genitoriale, in quanto dagli atti processuali è emerso in modo inequivocabile una condotta gravemente pregiudizievole del padre ai danni dei figli. Egli, infatti, in preda ai fumi dell'alcol (e forse anche sotto gli effetti dell'assunzione di stupefacenti) ha sempre, nel corso di tredici anni, ingiuriato e maltrattato la convivente Se. E. anche in presenza dei minori, i quali apparivano spaventati ed impauriti per il comportamento violento ed aggressivo del padre contro la loro madre. È pacifico in dottrina e giurisprudenza che costituiscono maltrattamenti dei minori non solo le violenze poste in essere direttamente contro i minori, ma anche quelle c.d. assistite o indirette, usate contro il coniuge o il convivente alla presenza dei figli, i quali risentono gravi danni dall'assistere a tali episodi di violenza 176 . 174 ZANINI, Op. cit, , 1455. CIARONI L. Op. cit, , 1853 ss. 176 Trib. Minorenni L’aquila, 15 giugno 2007, in Juris data. 175 83 9 La mancata frequentazione del figlio da parte del genitore non convivente Con specifico riferimento alle condotte di taluno dei genitori in costanza di separazione e di divorzio, vengono in considerazione le obbligazioni inerenti al diritto di visita, sia sotto il profilo del dovere di esercitarlo, sia in relazione all’obbligo, per il coniuge affidatario, di non ostacolarlo. Per il vero, la recente introduzione dell’istituto dell’affidamento condiviso rende l’espressione “diritto di visita”, almeno in parte qua, assolutamente inadeguata 177 , essendo preferibile far riferimento ai periodi di permanenza di ciascun genitore con la prole, ed ai relativi doveri, la cui violazione senz’altro può determinare responsabilità extracontrattuale. La costante condotta tenuta da una madre divorziata, la quale in maniera del tutto ingiustificata impediva all’altro coniuge ogni rapporto con il figlio a lei affidato, è stata ritenuta fonte di responsabilità aquiliana. Valutati, quindi, tutti i fatti di cui sopra e le relative prove, per cio` che in questa sede civilistica spetta e rileva in relazione a quanto stabiliscono gli artt. 2043 e segg. c.c., in tema di risarcimento del danno da fatto illecito, questo giudicante ritiene accertato che, nel caso di specie, è configurabile astrattamente l’ipotesi del fatto-reato, ex art. 388, comma 2 c.p., di elusione dell’esecuzione di sentenza del giudice civile, avente efficacia di cosa giudicata, non avendo la P.R. inteso adempiere all’obbligo di consentire gli statuiti incontri padre-figlio. Invero, è ben evidente il ruolo centrale che, di fatto, assume il genitore affidatario nel consentire il rapporto familiare tra il figlio minorenne e l’altro genitore, e tale rapporto peraltro dovrebbe essere consentito (o, meglio ancora, favorito) nel preminente interesse del minorenne, al fine di far conseguire a questi — mediante la conoscenza, la vicinanza e la vigilanza dello altro genitore (nella specie, il B.A.) — la necessaria completezza della formazione sociale, istruttiva ed educativa (art. 30 Cost.; artt. 147 e 148 c.c.). D’altra parte, il diritto di visita del genitore non affidatario costituisce per lui anche un vero e proprio dovere verso il figlio, soprattutto di ordine interiore e morale, nella consapevolezza degli oneri e dei vincoli che a questi lo legano, dei compi- 177 ARCERI A, Op. cit, 117. 84 ti socioeducativi da assolvere e dei gravi pregiudizi che allo stesso, in caso di inadempimento (incolpevole, come nella specie, per il B.A.), possono derivare 178 . L’aspetto rimarchevole, per quanto riguarda la responsabilità in merito alle conseguenze dannose riferibili al figlio, è che la stessa - nella pronuncia in esame - non è stata assolutamente esclusa, potendosi anzi ritenere, dal tenore della motivazione, che sia stata implicitamente affermata, in quanto il merito della relativa domanda non è stato esaminato solo perché la stessa non è stata considerata ammissibile, per difetto di legittimazione del padre, il quale avrebbe dovuto proporre istanza (ex art. 320 c.c. e 78 c.p.c.; v. anche la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del minore, Strasburgo 1996, ratificata in Italia con l. n. 77 del 2003) per la nomina di un curatore speciale 179 . Trattasi di un orientamento giurisprudenziale ormai abbastanza diffuso, anche in sede penale 180 , nel cui ambito la fonte della responsabilità viene individuata (sulla scorta dell’insegnamento di Cass., n. 8827 del 2003), nella privazione delle positività derivanti dal rapporto parentale. Significativa, al riguardo, la seguente pronuncia. Il riconoscimento dei diritti della famiglia, di cui all'articolo 29 della Costituzione, va inteso nel più ampio senso di modalità di realizzazione della vita stessa dell'individuo alla stregua dei valori e dei sentimenti che il rapporto genitoriale ispira generando bisogni e doveri, ma anche dando luogo a gratificazioni, supporti, affrancazioni e significati. Allorché un fatto lesivo abbia profondamente alterato quel complessivo assetto provocando una determinante riduzione, se non un annullamento delle positività che - dal rapporto parentale derivano il danno non patrimoniale consistente nello sconvolgimento delle abitudini di vita... deve trovare ristoro nella tutela apprestata dall'articolo 2059 Cc in caso di lesioni di un interesse costituzionalmente protetto 181 . 178 Trib. Roma, 13 giugno 2000, in DFP, 2001, 209. 179 cfr. Anceschi, 2007, cap. XI, §§ 8 e ss. Tribunale Massa, 27 gennaio 2005, A.T. in Riv. pen., 2005, 589. 181 Trib. Monza, 2 dicembre 2004, in D. & G., 2005, 13, 31. 180 85 E’ stato in proposito perspicuamente osservato che la compromissione del rapporto con il figlio - attribuibile, sia pure non in via esclusiva, al padre - è destinata a ledere un diritto della personalità della madre costituzionalmente garantito; e la ferita è tale da determinare una significativa ripercussione a livello aquiliano, per la quale dovrà apprestarsi adeguata consapevolezza e tutela risarcitoria. La prerogativa individuale colpita viene ravvisata, più precisamente, nel diritto personale della madre alla piena realizzazione del rapporto genitoriale con il figlio, diritto soggettivo il quale trova garanzia costituzionale negli articoli 2, 29 e 30 della Costituzione. È subito palese come le tradizionali modulazioni risarcitorie del repertorio extracontrattuale non consentano - non avrebbero consentito in questo caso - un'adeguata riparazione del danno. Non siamo dinanzi, in effetti, a una mera lesione dell'integrità psico-fisica, né a un patema d'animo puro e semplice; di talché il pregiudizio non sarebbe, in un caso simile, compensabile con l'attribuzione di un risarcimento a puro titolo di danno biologico e di danno morale 182 . Ove si ponga mente al carattere plurioffensivo, come sopra evidenziato, della condotta in esame, non possono sottovalutarsi, anche sotto il profilo risarcitorio, le conseguenze dannose subite dal figlio, il quale, oltre alla privazione (temporanea) del rapporto con la madre, subisce evidentemente un vulnus destinato a incidere sulla propria vita futura. E significativo che il tribunale, pur non essendosi pronunciato al riguardo - evidentemente a cagione della mancata proposizione della relativa domanda, si sia così espresso in un obiter dictum: In conclusione, il Tribunale ritiene che il sig. R, nella sua veste di genitore affidatario, sia venuto meno al fondamentale dovere, morale a giuridico, di non ostacolare, ma anzi di favorire la partecipazione dell'altro genitore alla crescita e alla vita affettiva del figlio, e che tale condotta antigiuridica abbia provocato un grave pregiudizio al diritto personale delle sig.ra F alla piena realizzazione del rapporto parentale con N, senza contare il danno che ne risulta inferto al medesimo minore per la perdita dell'insostituibile relazione affettiva con la madre. 182 Così ROSSI R., Il mantenimento… cit, 31. 86 L'annullamento delle funzione genitoriale materna, oggi ancora in atto, porta al riconoscimento ai un grave danno morale ed esistenziale per la titolare del diritto, per il cui risarcimento a carico del R il Tribunale, pur tenendo conto del concorso di responsabilità della stessa parte lesa, ritiene congruo l'importo di Euro 50.000, avuto riguardo ai parametri oggi utilizzati nel distretto di Milano per la liquidazione dei danni per la perdita o le gravi lesioni del congiunti 183 . In assenza di precedenti specifici in relazione a pregiudizi direttamente riferibili alla prole, le pronunce testè richiamate assumono quindi al riguardo una rimarchevole importanza, essendo evidente come anche in tale caso venga leso un interesse fondamentale del minore, consistente nel diritto a svolgere un armonico rapporto affettivo con il proprio padre ed a ricevere dallo stesso la necessaria formazione sociale, istruttiva ed educativa, così come previsto dall'art. 30 cost. e dagli artt. 147 e 148 c.c. 184 . Quanto ai doveri del coniuge non affidatario o comunque, non convivente, la posizione del genitore affidatario, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale e dottrinale, si configura, piuttosto che come un diritto, come un munus, con la conseguenza che il correlativo e corrispondente diritto di visita del genitore non affidatario si qualifica come strumento, in forma affievolita o ridotta, per l'esercizio del fondamentale diritto e/o dovere di entrambi i genitori solennemente affermato dall'art. 30, comma 1 Cost. 185 . Una volta specificato che “l'esercizio del diritto di visita del genitore non affidatario non è solo facoltà ma anche dovere, da inquadrare nella "solidarietà degli oneri verso i figli" degli ex-coniugi 186 , è agevole considerare come la violazione di tale diritto/dovere sia generatrice di conseguenze dannose per la prole, per le quali la tutela aquiliana non potrà di certo escludersi. E’ stato correttamente affermato che la condotta del coniuge non affidatario che, sistematicamente, trascuri di adempiere tale dovere, possa comportare un danno ingiusto per il figlio, ogniqualvolta siano lesi diritti fondamentali dello stesso, come ad e183 Trib. Monza, 2 dicembre 2004, in D. & G., 2005, 13, 31. 184 FACCI G., Op. cit, , 189. GIACOBBE G., Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, in DFP, 2006, 709; Cass., 19 aprile 2002, n. 5714. 186 Cass., 8 febbraio 2000, n. 1365. 185 87 sempio, il diritto a ricevere, da entrambi i genitori, l'educazione e l'assistenza morale. In particolare, ai fini del risarcimento del danno al minore, si dovrà accertare se la condotta del genitore ha determinato in capo a quest'ultimo un pregiudizio consistente, ad esempio, in una lesione della serenità personale, in un pregiudizio allo sviluppo della personalità o alla capacità di relazionarsi con gli estranei, o con gli altri familiari; più in generale, si dovrà verificare se tale comportamento ha inciso negativamente sul corretto sviluppo della personalità del figlio 187 . L’entità del pregiudizio, sia per la prole che per il genitore affidatario, aumenta in presenza di violazioni attuate in presenza di condizioni precarie di salute dei figli, che richiedono un impegno maggiore anche sotto il profilo assistenziale 188 10 Illecito del figlio nei confronti del genitore Nel nostro ordinamento non è mai stata sancita alcuna immunità in relazione ad eventuali attività illecite commesse da un figlio nei confronti dei genitori. Negli Stati Uniti d’America, al contrario, l’esigenza di non turbare l’armonia domestica veniva invocata dalla giurisprudenza per giustificare l’immunità dei figli minorenni in merito a lesioni personali arrecate a taluno dei genitori 189 . Un discorso sulla responsabilità dei figli deve necessariamente prescindere dalla norme di diritto comune che potranno essere violate ed in relazione alle quali, soprattutto in relazione alla maggiore età o, comunque, a una situazione di imputabilità, non possono essere ipotizzate sanzioni, anche sul piano risarcitorio, difformi rispetto ad analoghe condotte poste in essere nei confronti di soggetti estranei alla famiglia. Di certo, dovrà tenersi conto di specifiche norme, che, proprio in considerazione del rapporto di filiazione, aggravano determinati reati (si pensi alla circostanza prevista dall’art. 576 n. 2 c.p. per l’omicidio in danno degli ascendenti), ovvero prevedono la non punibilità di fatti costituenti altrimenti reati contro il patrimonio, se commessi, fra gli altri, contro un ascendente (art. 649 c.p.). 187 188 189 FACCI G., Op. cit, 185. cfr. Trib. Brindisi, 30 ottobre 2001, in GM, 2002, 391, in tema di minore portatrice di handicap, PATTI S. , Op. cit, , 110. 88 Riportando il tema nell’ambito della responsabilità aquiliana nelle relazioni endofamiliari, riaffiora l’esigenza di collegare l’eventuale pregiudizio a un interesse meritevole di tutela inerente alla personalità del genitore alla violazione, da parte del figlio, di un proprio specifico dovere. Viene quindi in considerazione la norma contenuta nell’art. 315 c.c., che, in luogo della prescrizione - anteriore alla novella del 1975 - di “onorare e rispettare i genitori”, prevede che il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire al mantenimento della famiglia. Non manca chi 190 considera tale norma priva del carattere di giuridicità, in quanto sfornita di sanzione. Come è stato perspicuamente osservato 191 , il significato dell’espressione non muta tanto in funzione della differente terminologia, quanto in relazione alla moderna concezione dell’istituzione familiare, avulsa da autoritarismo e ispirata ai principi della solidarietà e del dialogo. In tale quadro, se il genitore è obbligato a prendersi cura del minore, tenendo conto dei suoi interessi materiali e morali, delle sue capacità e inclinazioni, il figlio deve offrire la propria collaborazione attiva, anche ai fini dell’individuazione dei propri reali interessi. Quanto alla contribuzione al mantenimento della famiglia, un limite è sicuramente costituito dalle preminenti esigenze di studio che siano incompatibili con altre occupazioni, dovendosi in ogni caso rilevare che, l’omissione nella nuova formulazione dell’art. 315 c.c. a “qualunque età” del figlio, non esclude, in ogni caso, la sussistenza del dovere in esame a prescindere dall’età minore. L’individuazione della responsabilità civile, per quanto attiene agli aspetti soggettivi, appare agevolmente mutuabile dall’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi in merito alla disposizione contenuta dall’art. 2048 c.c.. Tale norma, per altro, descrive un’ipotesi particolare di responsabilità civile del minore capace di intendere e di volere verso i propri genitori, in quanto, essendo quella di costoro cumulativa e non sostitutiva rispetto a quella del figlio, oltre all’astratta, quanto infrequente, possibilità 190 191 BIANCA C.M., Op. cit, 283. PALAZZO A, La filiazione, Giuffrè, Milano, 2007, 610. 89 per il terzo danneggiato di convenire in giudizio anche l’autore del fatto illecito, si associa il diritto di regresso spettante ai genitori che abbiano risarcito il danno 192 . Si esclude che i criteri di ripartizione possano essere rinvenuti nell’art. 2055, c. 2, c.c., in quanto la condotta del genitore, salvo che abbia concorso nella produzione dell’evento, non rileva sul piano della causalità del fatto 193 . Allorché la vittima del fatto illecito commesso dal minore sia uno dei genitori, si osserva che non in ogni caso – ai sensi dell’art. 2048 c.c. – vi è confusione fra soggetto obbligato e obbligante – sia perché il genitore danneggiato potrà ottenere dall’altro genitore una quota del risarcimento, sia perché, in assenza di profili di colpa “in educando”, è ravvisabile la responsabilità esclusiva del figlio minorenne 194 . 11 Altre fattispecie di illecito I genitori rispondono della cattiva amministrazione del patrimonio dei figlio minore. Si ritiene che, oltre ai rimedi offerti dall’art. 334 c.c., che il relativo pregiudizio possa essere risarcito ai sensi dell’art. 2043, nella ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito aquiliano 195 . Deve altresì rimarcarsi come l’ipotesi maggiormente grave della malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore da parte del genitore sia espressamente prevista come reato (art. 570, c. 2, n. 1 c.p.). Vanno altresì richiamati gli aspetti attinenti alla veridicità del riconoscimento del figlio naturale, la cui violazione può dar luogo a responsabilità civile nei confronti del soggetto falsamente riconosciuto 196 . Nel giudizio promosso dal preteso padre per la declaratoria di nullità, per difetto di veridicità, del riconoscimento di figlio naturale, deve considerarsi ammissibile e può nel merito essere accolta la domanda, del curatore speciale del minore, diretta ad otte192 PALAZZO, Op. cit, 607; Trib. Roma, 28 maggio 1987, RGCT, 1988, 635. FRANZONI M., Fatti illeciti, In Comm Scialoja-Branca, Zanichelli, Bologna-Roma, 1993, 354. 194 ANCESCHI A., Op. cit, , 589. 195 FACCI G, Op. cit, 88. 196 Su tale problematica, amplius, FRACCON A, Op. cit, 294. 193 90 nere il risarcimento del danno non patrimoniale causato al minore dal riconoscimento falso, danno psicofisico e di carattere anche sociale inevitabilmente inferto; il danno non patrimoniale è risarcibile perché il falso riconoscimento integra il reato di falso ideologico 197 . 12 Il mobbing L’intreccio fra i contrapposti interessi una condotta rispettosa degli altrui diritti della personalità, anche nell’ambito della crisi familiare, determina l’insorgenza di delicate situazioni di conflitto che possono dar luogo a indebite pressioni: si parla ormai di mobbing anche in seno alla famiglia, distinguendo quello “orizzontale” - fra i coniugi – dal “verticale”, concernente i rapporti con la prole, con il richiamo alle ipotesi, più diffuse, del c.d. mobbing genitoriale. In tali casi, la condotta vessatoria mira a “punire” l’ex coniuge (dando così luogo al fenomeno del “mobbing orizzontale”), ma ne risultano coinvolti, in funzione strumentale, i figli della coppia (risolvendosi dunque nell’accennato “mobbing verticale”), in quanto la strategia persecutoria si manifesta in un’ostilità cronica finalizzata a delegittimare il partner in riferimento al suo status di genitore, tramite la sua esclusione dai processi decisionali riguardanti i figli, frequenti sabotaggi delle visite familiari, aperte campagne di denigrazione del suo ruolo genitoriale. In tali casi appare evidente la complessità, ma, soprattutto, la plurioffensività della fattispecie: infatti, se bersaglio diretto delle azioni è il coniuge, leso nel valore fondamentale della genitorialità, nondimeno la condotta illecita violerà diritti essenziali dei minori coinvolti 198 . Codesta figura veniva – nei rapporti tra coniugi – nei seguenti termini espressamente qualificata e stigmatizzata, sia pure ai fini della pronuncia di addebito della separazione, dalla Corte d’appello di Torino. 197 198 Tribunale Torino, 31 marzo 1992, D. c. M., DF 1993, 193. MARIGGIO’ G., Interessi esistenziali e mobbing, in DResp, 2007, 3, 241. 91 La violazione dei doveri derivanti da norme imperative ed inderogabili , traducendosi nell’aggressione ai diritti fondamentali della persona ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità della partner, unitamente alla violazione dell’ampio dovere di collaborazione nell’ambito del nucleo familiare gravante su entrambi i coniugi, per essere ivi tutte le incombenze state affidate alla moglie … , ha reso intollerabile la prosecuzione della convivenza, tenuto conto delle modalità e della frequenza dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità morale del soggetto interessato (..), avuto riguardo al rifiuto, da parte del marito, di ogni cooperazione, accompagnato dalla esternazione reiterata di giudizi offensivi, ingiustamente denigratori e svalutanti nell’ambito del nucleo parentale ed amicale, nonché delle insistenti pressioni – fenomeno oramai internazionalmente noto come mobbing – con cui lo S. invitava reiteratamente la moglie ad andarsene 199 . In siffatte situazioni, per quanto attiene ai rapporti fra genitori e figli, viene a determinarsi nei confronti della prole uno stato di profondo disagio, che non raramente sfocia in condizioni psichiche ed esistenziali assolutamente deteriori, per le quali la tutela aquiliana potrà costituire un rimedio giuridicamente valido non solo sotto il profilo compensativo, ma anche dal punto di vista della deterrenza (essendo tuttora vivo il dibattito su una concorrente funzione punitiva del risarcimento) 200 . Anche in relazione alla figura del mobbing, di matrice chiaramente giuslavoristica, le perplessità circa la sua estensione ai rapporti familiari discendono dalla ritenuta completezza delle specifiche sanzioni ivi previste. Si è quindi affermato, da parte della dottrina, che non possa essere condivisa l’opinione favorevole ad estendere la figura del mobbing nell’ambito del rapporto coniugale, ove, oltretutto, alla violazione degli obblighi di assistenza morale corrisponde una particolare sanzione funzionale ed esclusiva alla logica del diritto di famiglia, quale 199 Corte d’appello Torino, 21 febbraio 2000, in FI, 2001, I, c. 1579 ss. 200 In senso negativo, v. la recente Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183. Sul rapporto fra responsabilità e risarcimento, per approfondire, FANZONI M., Fatti illeciti, 2004, 663 ss. 92 é l’addebito della separazione, da cui derivano talune conseguenze sfavorevoli all’addebitato sul piano dei rapporti patrimoniali tra i coniugi 201 . Altri autori sottolineano l’inadeguatezza delle sanzioni proprie del diritto di famiglia, così come di quelle penali, ponendo in evidenza come, in relazione alle modalità e al grado di compromissione dei diritti inviolabili del minore, sia possibile rinvenire, nel nuovo profilo sistematico dei danni non patrimoniali conseguente alla nota svolta del 2003, una tutela di natura aquiliana adeguata e flessibile 202 . Appartiene alla comune esperienza il dato secondo cui in tutte le situazioni di conflitto che degenerano nella violazione di specifiche regole di condotta, così come risultanti da norme o determinate in sede giudiziali, il pregiudizio maggiore si produce in capo ai soggetti più deboli, quali, nel caso in esame, i figli. Il dato maggiormente allarmante è costituito dalla profonda sofferenza dei figli, coinvolti in prima persona in questi conflitti degli adulti ed utilizzati come arma psicologica contro ora l’una ora l’altra figura parentale. Questa sofferenza, accertata ed anche accertabile attraverso le relazioni dei servizi sociali, o vere e proprie consulenze tecniche d’ufficio, è meritevole di riconoscimento e, quindi, di risarcimento, in quanto integra gli estremi del danno non patrimoniale. Non si può negare, infatti, quel plus di disagio minorile, quel vissuto di lacerazione interiore conseguente al conflitto parentale sulle modalità di relazione e, talora, sulla stessa possibilità di incontri con l’altro genitore, conflitto e disagio che si protraggono spesso per anni dopo il naufragio della coppia e condizionano pesantemente la crescita dei figli, che segnano la loro personalità e ne faranno degli adulti potenzialmente problematici 203 . Le ipotesi finora riscontrate in giurisprudenza pongono in evidenza la responsabilità di un solo genitore nei confronti dell’altro e/o della prole. Non può tuttavia escludersi come l’accanimento reciproco e dissennato dei coniugi possa comportare un comune disinteresse per la cura e l’educazione dei figli, con evidente imputabilità ad entrambi delle relative conseguenze dannose. 201 MOROZZO DELLA ROCCA P, Responsabilità civile e mobbbing, in DFP, 2001, 1111. CENDON P., Danni non patrimoniali, verso dove stiamo andando, in La nuova disciplina del danno non patrimniale, Giuffrè, Milano, 2005, 92; FACCI G, Op. cit, , 69. 203 In questi termini FRACCON A, Op. cit, , 283. 202 93 13 Lo stalking Il fenomeno dello stalking, con il quale si designa, utilizzando un termine mutuato dal linguaggio della caccia (da to stalk, fare la posta), la condotta di molestia per intrusione, ha apparentemente pochi punti di contatto con la violenza in famiglia e, quindi, con la responsabilità endo-familiare, in quanto i comportamenti ossessivi e persecutori possono provenire - come di regola provengono - da parte di sconosciuti 204 . In realtà, sempre più frequentemente si verificano ipotesi di comportamenti intrusivi da parte di coniugi separati o divorziati, come di ex fidanzati, che non si rassegnano alla perdita della persona amata (evidentemente nell’ambito di un rapporto già segnato da attenzioni morbose se non da veri e propri atteggiamenti psicotici) e costringono la vittima a subire un clima di vessazioni e di panico. Il rischio, poi, di una escalation che ponga in pericolo l’incolumità o la stessa vita della vittima, pone in evidenza come in relazione a tali fenomeni sia necessario approntare, sul piano normativo, delle risposte specifiche. Indubbia la compressione di primari diritti della personalità, quale la riservatezza, così come frequente la ricorrenza di un danno esistenziale, in relazione allo sconvolgimento delle abitudini di vita della persona danneggiata, a causa delle assillanti e perturbanti “attenzioni” subite. 14 danni risarcibili Il fenomeno della responsabilità endo-familiare, nella misura in cui si intreccia, specialmente nei rapporti fra coniugi, con la crisi della famiglia, si manifesta in concreto allorquando la stessa avrà assunto dimensioni tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Cioè a dire che, da un lato, le lesioni di trascurabile entità non formeranno oggetto di azioni giudiziarie fin tanto che l’armonia familiare, ancorché minata, potrà trovare un nuovo punto di equilibrio; dall’altro, il carattere residuale della tutela aquiliana farà sì 204 ZANASI F.M., Violenza in famiglia e stalking, in Prova e quantum, Giuffrè, Milano, 2006, 1035. 94 che le pretese risarcitorie contempleranno violazioni di significativo spessore, in relazione alle quali i rimedi propri del diritto familiare – eventualmente invocati contestualmente – si riveleranno insufficienti. Non sono ipotizzabili limitazioni alla configurabilità delle voci di danno così come risultanti dalla recente elaborazione dottrinale e giurisprudenziale: da un lato, il danno alla sfera patrimoniale, dall’altro, le figure del pregiudizio non patrimoniale, inerenti alla sfera biologica, esistenziale morale e morale. L’analisi dei criteri di attribuzione e di liquidazione anche alla luce dei nuovi approdi dottrinali e giurisprudenziali, merita di essere approfondito in altra sede, esulando dai limiti del presente intervento. 95