Da: Peretz Lavie, Il meraviglioso mondo del sonno, Einaudi, Torino, 1996, cap. 4 e 5. Il ritmo del sonno La comparsa dei vari stadi del sonno durante la notte non è un processo casuale, bensì organizzato e definito. Questo facilita abbastanza la vita dello studioso. La sequenza del sonno si può descrivere nel modo migliore utilizzando un ipnogramma della registrazione del sonno. Poiché vi sono variazioni notevoli nella sequenza del sonno e nell'organizzazione dei suoi stadi a seconda dell'età, descriverò per prima la sequenza del sonno tipica di un uomo tra i venti e i trent'anni. Cominciamo il nostro viaggio notturno nel momento in cui si spengono le luci. Appena il soggetto chiude gli occhi e mette in atto il suo modo di prepararsi al sonno, alcune onde alfa indicano la comparsa del rilassamento e qualche minuto dopo il soggetto passa dalla veglia tranquilla allo stadio i del sonno. Se non soffre di eccessivi disturbi del sonno, dai due ai cinque minuti più tardi, dopo la comparsa sul tracciato di fusi del sonno e complessi K sullo sfondo regolare di onde teta, il soggetto passa allo stadio 2del sonno. All'inizio della notte, anche questo stadio finirà alla svelta e dopo circa dieci minuti sul foglio di registrazione si dovrebbe vedere la prima incursione di onde delta, alte e lente. Benché le onde delta incidano ancora per meno del 50% sulla registrazione, si tratta dello stadio 3, una fase temporanea tra il sonno leggero dello stadi02e il sonno profondo dello stadio 4. Al pari dello stadio i, cioè della transizione dalla veglia al sonno, lo stadio 3 è di breve durata. Alla comparsa dello stadio 4, d'un tratto le uniche onde visibili nella registrazione sono onde delta. A quel punto segue una certa stabilizzazione dell'attività elettrica e per i trenta-quaranta minuti che seguono non vi sono cambiamenti nelle onde cerebrali né movimenti plateali del tronco o degli arti; in questo intervallo, 1 sarebbe molto difficile svegliare il soggetto. Di solito, questo è il momento in cui il ricercatore può lasciare il suo posto per qualche minuto e godersi una tazza di caffè. Un movimento del corpo, o diversi movimenti di una certa entità, sono la prima indicazione che nella sequenza del sonno sta per avvenire un cambiamento. Il dormiente muta posizione, si volta da un fianco all'altro, oppure da prono si mette supino. Lo stadio 4 si è interrotto. Questi movimenti notevoli di solito producono una registrazione irregolare, che poi si placa e mostra che il soggetto è tornato a una fase non di sonno profondo, ma di sonno più leggero - allo stadio 3 o anche allo stadio 2. Nuovi movimenti compaiono soltanto dopo altri cinque-sei minuti, annunciando proprio quel che il ricercatore e stato ad aspettare speranzoso: la comparsa del sonno Rem. I fusi del sonno e i complessi K scompaiono all'improvviso, come pure il tono muscolare. Il tracciato che registra il movimento degli occhi comincia una «danza» frenetica e gli occhi saltano da un lato all'altro per parecchi minuti. Di solito, la durata del primo periodo di sogno è breve - non dura più di cinque-dieci minuti e, come lo stadio 4, si conclude con movimenti marcati. La loro 2 comparsa alla fine di certi stadi del sonno funge un po' da segno di interpunzione - o, più precisamente, da punto esclamativo inserito dal cervello in questa particolare «f rase ». I movimenti del corpo generano un cambiamento di stadio: il sonno Rem è finito e riappare per un minuto o due lo stadio 1, di transizione, seguito immediatamente dallo stadio 2, di sonno leggero, e cosi ha inizio un nuovo ciclo. Il soggetto passerà di nuovo attraverso gli stadi 2, 3 e 4, e poi comparirà nuovamente il sonno Rem. Tra il primo ciclo di sonno e il secondo, tuttavia, vi sono parecchie differenze, che si possono osservare anche nei cicli successivi. La durata del sonno profondo degli stadi 3 e 4 diminuisce poiché aumenta la durata del sonno leggero dello stadio 2; inoltre, il secondo sonno Rem dura più a lungo del primo: dodici-quindici minuti, invece di cinque-sette. A parte le variazioni della durata relativa degli stadi del sonno, il secondo ciclo non presenta cambiamenti per quanto riguarda le caratteristiche delle onde cerebrali né la comparsa di movimenti di una certa entità. Il primo ciclo del sonno, che inizia con l'addormentamento e va fino alla comparsa del primo periodo di sonno Rem, si indica anche con l'espressione «latenza del sonno Rem» e dura all'incirca un'ora e mezzo. Anche i cicli seguenti, che vanno dall'inizio di un periodo di sonno Rem all'inizio del successivo, durano circa novanta minuti. La cosa è di grande interesse perché in certi tipi di disturbi del sonno la latenza del sonno Rem si riduce, il che facilita la diagnosi del disturbo. Il terzo ciclo di sonno, che inizia una volta finito il secondo periodo Rem, comprende una fase ancora più breve di sonno profondo e un periodo più lungo di sonno leggero. Il terzo periodo Rem è relativamente lungo - dura all'incirca venti-venticinque minuti - mentre il quarto ciclo contiene una quantità ancor più esigua di sonno profondo e chi fa la parte del leone è lo stadio 2. Il quarto sonno Rem dura all'incirca quanto il terzo, fino a venti minuti e a volte anche un poco di più. Dato che i cicli di sonno durano grossomodo novanta minuti, il loro numero per notte dipende da quanto si dorme; di solito il sonno di una persona giovane è composto da quattro o cinque cicli, mentre in età più avanzata il numero si riduce. 3 Il sonno dall'infanzia alla veccbiaia. L'esperienza ci ha insegnato che il sonno varia con l'età. Mentre i neonati trascorrono una gran parte del tempo dormendo, gli anziani di solito soffrono di sonno interrotto e di conseguenza si appisolano diverse volte durante il giorno. Come varia il ritmo del sonno con l'età? Uno dei risultati di laboratorio meno previsti dagli studiosi riguarda il sonno dei neonati. Quando un adulto afferma di « aver dormito come un bambino », si pensa automaticamente che abbia avuto un sonno particolarmente tranquillo. Ma è poi cosi sereno il sonno dei neonati? L'osservazione meticolosa di un bambino che dorme, specie durante i suoi primi giorni di vita, rivela che il neonato gode di due tipi di sonno completamente diversi, uno dei quali fu osservato per la prima volta da Aserinsky e Kleitman nel 1953 Sebbene questo sonno sia accompagnato da movimenti oculari rapidi, la loro comparsa non segnala il sopraggiungere della completa paralisi motoria, come nel caso degli adulti. In questo tipo di sonno, al contrario, il bambino è in uno stato di spiccata attività motoria. Non si tratta di movimenti accentuati, bensì di piccoli, e spesso spasmodici, movimenti di tutte le dita, delle mani, dei piedi e dei muscoli facciali. Di tanto in tanto, i movimenti comprendono le espressioni del viso associate al pianto, alla rabbia e al rifiuto. Inoltre, il primo sorriso nella vita del bambino compare durante il sonno Rem e per tale motivo il sonno Rem dei neonati è detto anche «sonno attivo». In questo stadio del sonno dei neonati, le onde cerebrali sono per la maggior parte onde teta, proprio come nel sonno Rem di un adulto. Il secondo tipo di sonno è effettivamente quieto e tranquillo, senza movimenti del corpo, né grossi né piccoli proprio quel che si definisce come il «sonno di un bimbo ». Durante i primi giorni o le prime settimane di vita del bambino non si vedono onde delta sviluppate e fusi del sonno: l'attività elettrica del cervello è irregolare e disorganizzata. 4 Che cosa rivelano questi due tipi di sonno? Com'era prevedibile, in effetti il sonno attivo del neonato è analogo al sonno Rem dell'adulto. I meccanismi cerebrali inibitori che bloccano la trasmissione degli impulsi nervosi ai muscoli scheletrici sono ancora immaturi e di conseguenza si ha una maggior quantità di piccoli movimenti. Tali meccanismi, comunque, maturano durante il primo anno di vita; nello stesso periodo, spariscono i movimenti agitati evidenti durante il sonno Rem, lasciando soltanto i movimenti oculari rapidi. Gli stadi 2, 3 e 4 si sviluppano invece dal sonno tranquillo «non attivo ». Comunque non fu soltanto il sonno Rem a sorprendere i ricercatori, ma anche la sua durata relativa. Nelle prime settimane di vita, il neonato trascorre all'incirca metà dell'intervallo di sonno nello stadio di sonno attivo, la cui durata diminuisce gradualmente durante i primi dodici mesi, stabilizzandosi all'incirca Sul 25-3o% del totale a un anno di età. Il ritmo del sonno di un neonato è anche più veloce di quello di un adulto. Il tempo che passa tra un sonno attivo e il successivo è soltanto di sessanta minuti circa, a differenza dei novanta minuti di ciclo Rem dell'adulto. Quando comincia a funzionare l'« orologio » del cervello che controlla il sonno attivo? Alcuni, sulla base delle osservazioni dei movimenti fetali, sostengono che è possibile individuare il sonno attivo anche prima della nascita, dal sesto mese di gravidanza in avanti, e una ricerca condotta al Laboratorio del sonno del Technion ha corroborato tale tesi. Lo studio comprendeva la registrazione continua per un periodo di diverse ore dei movimenti di feti di sei e sette mesi. Abbiamo rilevato che tali movimenti variano ciclicamente, con intervalli di circa sessanta minuti tra un picco di attività e l'altro, che è lo stesso valore che si ha nei primi giorni dopo la nascita. I risultati stimolano numerosi interrogativi. Perché il neonato trascorre cosi tanto tempo nel sonno attivo ? Questo tipo di sonno è particolarmente importante durante l'infanzia? t più importante del sonno tranquillo? Nel capitolo 12, esaminando i possibili ruoli giocati dal sonno Rem, cercherò di rispondere a questi sconcertanti interrogativi. 5 Il ritmo del sonno di un adulto si consolida approssimativamente tra il decimo e il ventesimo anno di vita e a quel punto il sonno si divide, all'incirca, in un 20-25% di sonno Rem, in un 20-25% di sonno profondo degli stadi 3 e 4 e nel sonno leggero dello stadio 2 per la parte che resta. L'intero intervallo comprende anche una certa percentuale di veglia e di sonno di transizione, in genere connessi ai movimenti che punteggiano il periodo di passaggio da uno stadio del sonno all'altro. L'invecchiamento è legato a cambiamenti sostanziali della qualità del sonno. La maggior parte delle persone anziane si lamenta moltissimo delle frequenti interruzioni del sonno notturno, dei risvegli al mattino presto e della tendenza a sonnecchiare durante il giorno. Tutti questi disturbi hanno una solida base fisiologica. Le registrazioni elettrofisiologiche del sonno degli anziani mostrano alcune variazioni caratteristiche che spiegano i disturbi soggettivi. Il dato più pronunciato della struttura del sonno degli anziani è una diminuzione della durata del sonno profondo. Mentre nei trentenni la durata del sonno profondo varia tra il 2 o e il 25% dell'intervallo di sonno, nei settantenni o negli ottantenni corrisponde soltanto a un 5-10%. A causa di questa considerevole diminuzione della durata del sonno profondo, il sonno degli anziani è per lo più composto di sonno Rem, che continua a corrispondere al 10-20% del sonno totale, e di sonno leggero dello stadio 2. Il cambiamento più importante nel sonno degli anziani, però, non riguarda la composizione dei suoi stadi, ma il suo consolidamento. Come si esaminerà in seguito, un aumento del numero di risvegli è di frequente un segnale di invecchiamento, proprio come le rughe e i capelli che diventano grigi. Dormire per crescere. Per centinaia d'anni la gente ha creduto che, al pari di altre caratteristiche della razza umana, la malattia e la salute dipendessero da misteriosi umori che scorrono nel corpo e quindi attribuiva la causa principale della condizione di malattia a una mancanza di equilibrio fra tali umori. 6 Analogamente, si supponeva che la quantità relativa di ogni umore presente nel corpo determinasse la personalità dell'individuo e ancora oggi l'aggettivo flemmatico serve a descrivere una persona apatica, lenta e noiosa; il termine, naturalmente, deriva dalla parola phlegma, che era uno dei quattro umori principali dell'antica medicina greca. Né Ippocrate né Galeno, i padri della teoria degli umori, avevano idea dell'esistenza degli ormoni, i prodotti di secrezioni interne che viaggiano nel circolo sanguigno. In questo secolo, lo sviluppo dell'endocrinologia, che si occupa dello studio degli ormoni e della loro azione, ha rilanciato l'antico concetto dell'importanza degli umori corporei e dei loro effetti, piuttosto rilevanti, sulla salute e sulla malattia. Non è affatto sorprendente, quindi, che la scoperta delle variazioni dell'attività del sistema nervoso durante la transizione dalla veglia al sonno abbia portato molti ricercatori a chiedersi se anche la secrezione ormonale subisca allo stesso tempo qualche cambiamento. Come nel caso del sistema nervoso, anche gli ormoni secreti dalle ghiandole situate in tutto il corpo giocano una parte nella coordinazione e nel controllo di numerosi sistemi fisiologici. Ve ne sono alcuni, come gli ormoni sessuali, che influiscono sul funzionamento di molti organi specifici e anche di sistemi generali, compreso il cervello. Alcuni agiscono su tutti i sistemi del corpo e determinano il tasso di accrescimento e la velocità di metabolismo degli organi. La secrezione dell'ormone della crescita fu la prima a essere presa in considerazione nell'ambito dello studio del sonno. La scoperta che l'ormone della crescita è secreto dalla ghiandola pituitaria (ipofisi) avvenne nel 945 e di li a poco si comprese anche l'importante ruolo dell'ormone nello sviluppo dei tessuti molli e delle ossa. A quel tempo si credeva che venisse secreto durante il giorno dopo i pasti, durante gli sforzi fisici e in condizioni di stress mentale. Fu quindi una grande sorpresa quando, nel 1968, Takahashi e i suoi colleghi segnalarono che la secrezione quotidiana dell'ormone raggiunge il picco, tanto nei bambini quanto negli adulti, appena dopo l'addormentamento, durante il sonno profondo degli stadi 3 e 4. Allo scopo di 7 esaminarne la possibile connessione causale con i meccanismi del sonno, si è studiata la secrezione dell'ormone della crescita al variare degli orari del sonno. Se il sonno viene ritardato di dodici ore, il picco della secrezione dell'ormone in effetti ritarda di conseguenza, e se viene disturbato per più di due-tre ore, occorre ottenere che torni tranquillo perché compaia un altro picco di secrezione. Se ne può quindi concludere che il processo che fa addormentare ed entrare negli stadi 3 e 4 di sonno profondo causa la secrezione dell'ormone della crescita da parte della ghiandola pituitaria. Altri studi hanno mostrato che la secrezione dell'ormone della crescita non è correlata al processo dell'addormentamento, bensì alla comparsa delle onde delta, alte e lente, che indicano il sonno profondo. Tuttavia è assodato che il meccanismo responsabile della secrezione dell'ormone durante il sonno non è identico a quello responsabile del sonno profondo, e i due fenomeni si possono separare mediante la somministrazione di alcuni farmaci. E possibile sopprimere del tutto la secrezione dell'ormone della crescita senza alterare il corso normale del sonno e, allo stesso tempo, si può impedire la comparsa del sonno profondo senza influenzare la secrezione dell'ormone. Si Può pertanto supporre che esistano due meccanismi distinti che sono strettamente collegati. La secrezione di altri ormoni non presenta una corrispondenza ugualmente precisa con il ritmo degli stadi del sonno. Il cortisolo, per esempio, è un ormone secreto dalla ghiandola surrenale che influisce sulla velocità di metabolismo. In una situazione di stress, viene secreto in grandi quantità; una delle sue funzioni primarie e la mobilitazione dell'energia in condizioni di emergenza. Non sorprende affatto, quindi, che il processo di risveglio sia accompagnato da un aumento della secrezione di cortisolo allo scopo di «preparare » l'organismo a far fronte alle esigenze fisiche della veglia. La secrezione di cortisolo inizia a crescere a metà dell'intervallo di sonno, poi sale gradualmente, presentando una serie di oscillazioni, fino a raggiungere il picco al momento del risveglio. La differenza tra il livello di cortisolo nel sangue quando ci si addormenta e 8 quando ci si sveglia è cosi grande che la misura è priva di significato se non è accompagnata dall'ora esatta in cui è stata effettuata. Poiché la secrezione del cortisolo non è continua, ma raggiunge picchi sempre più alti, alcuni sostengono che il fattore responsabile del suo aumento sia il sonno Rem, che compare per lo piU nella seconda parte del sonno. Quando il sonno viene posticipato di alcune ore, tuttavia, non vi sono cambiamenti immediati; prima che si manifesti qualche mutamento, devono passare parecchi giorni. Ciò significa che, a differenza dell'ormone della crescita, la secrezione del cortisolo è controllata da un orologio biologico indipendente, di solito non strettamente coordinato a quello del sonno. Comunque, vi sono altri ormoni la cui secrezione è coordinata al sonno, specie durante alcuni periodi critici della vita. Gli ormoni gonadotropi, per esempio, anch'essi prodotti dalla ghiandola pituitaria, regolano la secrezione degli ormoni sessuali da parte delle gonadi e quindi lo sviluppo degli organi sessuali e la comparsa delle caratteristiche sessuali secondarie nella pubertà. Proprio nel periodo puberale, vengono secreti per lo più durante il sonno. La misurazione del livello degli ormoni gonadotropi prima della pubertà e al suo termine non rivela variazioni tra lo stato di sonno e quello di veglia. Come il cortisolo, gli ormoni gonadotropi non vengono rilasciati in maniera continua, ma sono pulsatili: la ghiandola pituitaria immette gli ormoni nel circolo sanguigno ogni novanta minuti. Si è scoperto che tale metodo di secrezione è critico per quanto riguarda gli effetti degli ormoni gonadotropi sugli organi sessuali: questi ultimi paiono incapaci di «decodificare» i segnali ormonali provenienti dalla pituitaria, a meno che gli ormoni non siano secreti a impulsi che si succedono ogni novanta minuti. Una secrezione durevole e continua degli ormoni gonadotropi ha un effetto inibitorio anziché stimolante sul funzionamento delle gonadi. Pare quindi che il sonno giochi un ruolo importante nella regolazione delle secrezioni ormonali. Durante il sonno, gli 9 organi endocrini si attivano e secernono nel circolo sanguigno ormoni che influiscono su tutto il corpo. 10 La giornata di venticinque ore Dopo aver esaminato il ritmo degli stadi del sonno in tutta la sua complessità, si può ora passare al ritmo sonno-veglia. Benché gli adulti tendano a dare per scontata la regolarità delle ore di sonno, nei primi anni di vita le cose stanno altrimenti. In una famiglia, la nascita di un bambino e legata a sentimenti di gioia e di realizzazione, ma è anche accompagnata da un prolungato periodo di cambiamenti nel modo di dormire dei genitori, che vengono obbligati a fare a meno del loro sonno abituale, ininterrotto per tutta la notte, e a svegliarsi a intervalli di poche ore per dedicarsi ai bisogni del nuovo arrivato. Il modo di dormire del neonato fa sempre parte delle conversazioni che si svolgono nelle sale d'attesa dei pediatri, dove si possono incontrare genitori completamente esausti, specie se reduci dalla nascita del primo figlio, i quali hanno perso le speranze che il loro bambino cominci a dormire in maniera normale. A volte i genitori chiamano in soccorso i nonni e spostano le tende nell'albergo più vicino per dormire un paio di notti, allo scopo di ricaricare le batterie ormai esaurite. Presto o tardi, comunque, quasi tutti i bambini si adattano ai desideri dei genitori e cominciano a dormire di notte e a stare svegli di giorno. Nella maggior parte dei casi, il processo di adattamento al mondo esterno è graduale e si realizza nel corso dei primi sei mesi di vita. Nel primo mese, il bambino si addormenta e si sveglia ogni quattro ore e alcuni genitori e pediatri raccomandano di pianificare questo ritmo allattando il bambino ogni quattro ore, che è il ritmo di sonno «naturale». Con l'andare del tempo, tuttavia, il numero di risvegli notturni diminuisce gradualmente da due-tre per notte a uno-due, e al contempo cala il numero dei periodi di sonno diurni. All'incirca a sei mesi, con grande sollievo dei genitori, il bambino inizia a dormire per quasi tutta la notte e il ritmo sonno-veglia si stabilizza su ventiquattro ore. E’ dall'ambiente che il neonato acquisisce le abitudini relative al sonno e alla veglia, o anche il ritmo sonno-veglia è controllato da un «orologio biologico » interno? Uno dei primi 11 ricercatori a studiare la questione fu Nathaniel Kleitman, il quale riteneva che tale ritmo fosse acquisito. Al fine di indagare lo sviluppo del ritmo nei neonati, Kleitman tenne traccia del sonno di un gruppo di bambini che stabilivano da soli quando dormire, essendo loro consentito di dormire e risvegliarsi naturalmente e di essere nutriti quando, col pianto o l'irrequietezza, mostravano di avere fame. Il libro di Kleitman, Sleep and Wakefulness, uscito nel 1939 e ristampato nel 1963, riassume tutte le conoscenze del tempo riguardo al sonno (sono citate più di quattromila fonti scientifiche). La copertina della seconda edizione riporta fedelmente l'andamento del ritmo del sonno di ventiquattro ore di uno dei soggetti di Kleitman. Come si può vedere nella figura io, a partire dal quarto mese di vita i periodi di sonno notturno si allungano mentre quelli di sonno diurno si fanno più brevi. Ma chi gode di una vista acuta può individuare qualcos'altro: le configurazioni diagonali che indicano il continuo spostamento dell'ora del risveglio da un giorno al successivo. Se un certo giorno il neonato si era svegliato e aveva mangiato alle 2 di notte, l'indomani si svegliava alle 2 e 15, il giorno dopo ancora alle 2 e 3 o, e cosi via. Le configurazioni diagonali si possono mettere in rilievo ancora di più affiancando due fogli della stessa registrazione. Kleitman era a conoscenza delle configurazioni e le attribuiva al ciclo lunare. Per molti anni dopo la pubblicazione del libro di Kleitman, queste «Vie Lattee» non attrassero l'attenzione degli studiosi del sonno. Il fenomeno trovò una spiegazione soltanto quando si chiarirono le caratteristiche dell'orologio biologico che controlla l'alternanza di sonno e veglia. Durante i primi mesi di vita, il sonno e la veglia sono controllati dall'orologio biologico, la cui periodicità in ore non è un sottomultiplo di 24 - in altre parole, la durata del ciclo non è di tre, quattro o sei ore. Se cosi fosse, l'addormentamento e il risveglio si verificherebbero alle stesse ore tutti i giorni. Se, per esempio, il neonato ha un ciclo di tre ore e mezzo e un certo giorno si sveglia alle 7 del mattino, allora l'indomani si sveglierà alle 7 e 30, il giorno dopo ancora alle 8 e cosi via. Vi saranno anche fluttuazioni in più e in meno di circa mezz'ora in corrispondenza di tutti gli altri momenti di risveglio 12 e di addormentamento, e nella registrazione il fenomeno si manifesterà come una linea diagonale. Bernie Webb e io conducemmo uno studio simile a quello di Kleitman, esaminando il ritmo sonno-veglia di un folto gruppo di neonati a cui si era concessa la stessa libertà. Sulle prime, dubitammo fortemente di trovare madri disposte a partecipare all'esperimento, ma i dubbi si dissiparono alla svelta. Infatti molte madri si offrirono volontarie e cooperarono con entusiasmo; alcune raccontarono perfino di aver avuto la vita molto facilitata dalla liberta di sonno e di veglia data ai loro bambini. Le madri tennero una registrazione precisa di tutti i periodi di sonno e dei pasti del loro bambino nell'arco di un intervallo di almeno due mesi e l'analisi di tali registrazioni indicò che il ritmo sonno-veglia era molto simile a quello descritto nella copertina del libro di Kleitman. Nessuno dei bambini che parteciparono allo studio aveva un ritmo di quattro ore: tutti i ritrai erano un poco più brevi o più lunghi - tre ore e mezzo o quattro ore e mezzo. Alcune madri avevano notato la cosa ed erano riuscite a pianificare le giornate in base al ritmo previsto dei sonni e dei pasti. Nel primo anno di vita del bambino si realizzano due cambiamenti importanti nel ritmo sonno-veglia. Cominciano a emergere un periodo di sonno unico e continuo e un periodo di veglia continua e, allo stesso tempo, inizia lentamente a svilupparsi uno schema di coordinazione tra il ritmo sonno-veglia e le richieste dell'ambiente esterno. La velocità di questo cambiamento varia da bambino a bambino. Nel nostro studio, riscontrammo grandi differenze nell'età in cui il ritmo veloce viene rimpiazzato dal ritmo sonno-veglia dell'adulto. Alcuni bambini si erano adattati alle abitudini imposte dall'ambiente nel giro di due-tre mesi, mentre altri non erano riusciti a farlo neanche alla fine del primo anno di vita. La nostra esperienza nel trattamento dei disturbi del sonno nei bambini ha mostrato che un piccolo numero di soggetti non si adatta neanche a due-tre anni di età. In seguito, si vedrà che cosa si può fare nel caso di questi bambini ostinati. 13 Qual è la ragione che soggiace al ritmo sonno-veglia dei neonati, la cui durata in ore non è un sottomultiplo di 2 4 ? E’ possibile che anche l'« orologio del sonno » degli adulti non sia regolato su ventiquattro ore? Le caratteristiche di questo orologio del sonno vanno esaminate in una condizione di isolamento totale da tutti i fattori ambientali che regolano il tempo. Nel corso delle ventiquattro ore siamo esposti a innumerevoli stimoli. Il suono insistente della sveglia interrompe il nostro sonno al mattino poiché sappiamo che se non ci alziamo in tempo faremo tardi a scuola o al lavoro. La campanella della scuola e la sirena della fabbrica annunciano l'inizio o la fine della giornata, i pasti, gli intervalli per il caffè e le pause. Molte persone che si assopiscono davanti alla televisione descrivono questo addormentamento come una reazione riflessa subordinata a una gamma di stimoli che sono collegati alla posizione seduta e alle note familiari della sigla del telegiornale della sera. Vi sono alcuni che dichiarano di svegliarsi al mattino «esattamente un minuto prima che suoni la sveglia », un'abitudine formatasi nel corso di molti anni. Dato che è possibile imparare ad aumentare l'attività delle onde cerebrali con l'aiuto del biofeedback, non sorprende che sia possibile imparare ad addormentarsi e a risvegliarsi a ore prestabilite. Ma queste nostre abitudini si formano soltanto per apprendimento e condizionamento? Se si, allora perché è cosi difficile adattarsi a nuove abitudini, come quando ci si reca in un paese che ha un fuso orario molto diverso o quando si deve lavorare durante la notte e dormire durante il giorno? L'unico modo di indagare sull'origine del ritmo sonno-veglia si ha isolando i soggetti dal mondo esterno ed esaminando in che modo organizzano i periodi di veglia e di sonno. In un ambiente « indipendente dal tempo », come viene chiamato nella letteratura scientifica, i soggetti decidono da soli quando e per quanto tempo dormire. Per un periodo limitato godono della più totale libertà; non più soggetti alla tirannia della sveglia, dell'agenda e della tabella di marcia, diventano «padroni del tempo». Decidono quando accendere le luci e creare il giorno e quando spegnerle, dando inizio alla notte. 14 Il sonno in un ambiente indipendente dal tempo Le prime ricerche sugli effetti dell'eliminazione degli « indizi temporali » sul ritmo sonno-veglia furono condotte isolando i soggetti in profonde caverne, in cui era possibile eliminare del tutto gli effetti dell'alternanza di luce e oscurita, le conseguenti variazioni di temperatura e umidità e l'ampia gamma di stimoli cui gli esseri umani sono esposti nell'arco delle ventiquattro ore. Per la prima volta, lo studio del sonno dei soggetti fu effettuato grazie all'annotazione su un diario dei tempi di addormentamento e di risveglio, oltre che dei cambiamenti quotidiani della temperatura del corpo, della pressione sanguigna e della velocità del polso. I soggetti furono isolati per intervalli di tempo variabili tra alcune settimane e alcuni mesi, durante i quali non ricevevano alcuna informazione relativa all'ora. Benché i ricercatori potessero supporre che il ritmo sonno-veglia in condizioni di isolamento fosse diverso da quello che si ha in un ambiente naturale, il cambiamento degli orari del sonno risultò assai sorprendente. Il ritmo sonno-veglia dei soggetti isolati si conservava, ma la durata del ciclo - l'intervallo tra un addormentamento e il successivo – era invariabilmente più lunga di 24 ore e il nuovo ciclo variava da un soggetto all'altro. In alcuni, il ciclo diventò di25 ore, mentre altri adottarono un ciclo di27-28 ore e anche di più. Poiché il sole si leva all'incirca ogni 24 ore, una persona che ha un ciclo di 27 ore posticiperà il momento del sonno di tre ore a ogni nuova giornata geofisica. Quindi, se il primo giorno di isolamento ha deciso di andare a dormire a mezzanotte, il secondo vi andrà alle 3 del mattino, il terzo alle 6, il quarto alle 9 e cosi via. Dopo otto cicli sonno-veglia, tornerà al punto di partenza e andrà a dormire un'altra volta a mezzanotte. Questa variazione è simile a quella osservata nei neonati che scelgono da soli quando dormire e quando mangiare. Il ritmo che non dipende dall'ambiente esterno e che devia dal ritmo di 24 ore è detto «ritmo circadiano», vale a dire ritmo di circa un giorno. E possibile che questo fenomeno caratterizzi un piccolo gruppo di persone che non è rappresentativo dell'intera po- 15 polazione ? Questa fu una delle prime questioni che emersero in merito all'allungamento del ritmo sonno-veglia in condizioni di isolamento. Quanti acconsentono a essere isolati per settimane e mesi probabilmente non sono affatto persone ordinarie, cosi i primi esperimenti riguardarono soltanto pochi soggetti, alcuni dei quali avevano già partecipato a molti studi. Il più famoso è Michel Siffre, uno speleologo francese che trascorse un certo periodo nella Midnight Cave, in Texas, rimanendo a circa trenta metri al disotto della superficie terrestre. Siffre entrò nella caverna il 14 febbraio, con un insieme di elettrodi attaccati al corpo per registrare i parametri fisiologici necessari per determinare l'andamento del sonno, e vi rimase per cento giorni consecutivi. Il suo ritmo sonno-veglia si allungò fino a 26 ore, benché la periodicità del ciclo variasse durante l'isolamento, a volte in modo drastico, fino a giorni di 3o e 32 ore. Siffre ha documentato la sua esperienza di lunghi periodi di isolamento nel libro Beyond Time. In tempi recenti, si sono accumulati molti altri risultati che corroborano l'ipotesi dell'allungamento del ritmo sonnoveglia negli esseri umani, allungamento che rappresenta l'espressione della proprietà fondamentale dell'orologio biologico che controlla il sonno e la veglia. A partire dagli anni Settanta, decine se non centinaia di persone sono state isolate in ambienti indipendenti dal tempo dando luogo ai medesimi risultati: quasi subito dopo il primo giorno di isolamento dall'ambiente, il ritmo sonno-veglia diventa più lungo di 24 ore. Molti studi sul ritmo sonno-veglia in ambienti indipendenti dal tempo sono stati condotti in Germania, nella pittoresca cittadina di Erling-Andachs - che, per inciso, è famosa anche per la sua fabbrica di birra. In questa sede, il fisiologo tedesco jùrgen Aschoff fondò un istituto per lo studio degli «orologi biologici» che è stato, sino alla chiusura avvenuta alla fine degli anni Ottanta, la meta del pellegrinaggio di studiosi del sonno provenienti da tutto il mondo. Anche Aschoff iniziò le sue ricerche sui ritmi biologici per puro caso. Da studente, esaminò i meccanismi della resistenza umana al freddo e, poiché i suoi esperimenti si protraevano nel tempo, cominciò a osservare più 16 attentamente i cambiamenti quotidiani della temperatura corporea che non erano correlati alle condizioni dell'esperimento. Nel tentativo di capire le variazioni spontanee della temperatura, studiò metodicamente tutta la letteratura del settore della fisiologia, senza peraltro riuscire a trovare una spiegazione ragionevole. Nei libri che dedicavano poche righe ai cambiamenti periodici della temperatura corporea, scopri che vi era un certo contrasto tra coloro che sostenevano che la fonte del ritmo sonno-veglia è interna e altri che la giudicavano esterna. Dopo avere letto tutto ciò che riuscì a trovare sugli «orologi biologici », concluse che la verifica dell'esistenza di un ritmo interno indipendente dall'ambiente esterno avrebbe potuto essere soltanto una: se, in condizioni costanti, il ritmo fosse rimasto invariato anche in presenza di uno scostamento della periodicità del ciclo dalle 24 ore, allora sarebbe stato indubbio che l'ambiente esterno non ha alcun effetto sull'orologio biologico. Tale ipotesi lo portò a cercare di isolare gli animali dall'alternanza di luce e oscurità allo scopo di studiarne il ritmo attività-riposo. Aschoff e i suoi colleghi condussero per la prima volta esperimenti sull'isolamento di esseri umani nel 1962. Seguirono più di duecento esperimenti simili, condotti all'istituto in alloggi sotterranei costruiti appositamente per l'occasione. Gli appartamentini erano completamente attrezzati per lunghi soggiorni ip condizioni di totale isolamento dall'ambiente esterno: uno era addirittura isolato dal campo magnetico terrestre. Ciascun appartamento poteva ospitare un gruppo di soggetti in isolamento per esaminare le reciproche influenze tra gli esseri umani sui ritmi sonno-veglia. Soltanto sette dei duecentotrentadue soggetti che parteciparono agli studi di Erling-Andachs chiesero di terminare l'esperimento prima della sua conclusione e, di questi, soltanto tre avanzarono la richiesta perché incapaci di sopportare la pressione causata dall'isolamento. Alla fine del periodo di isolamento, molti soggetti chiesero di partecipare ad altri esperimenti - una chiara indicazione del fatto che il tempo trascorso in isolamento non li aveva danneggiati in alcun modo. 17 Durante le mie ricerche sul sonno all'Università della Florida, partecipai a uno dei primi studi condotti negli Stati Uniti sul ritmo sonno-veglia in condizioni di isolamento. Nel periodo in cui mi unii al suo gruppo come assistente di ricerca, Bernie Webb stava studiando il ritmo del sonno in un ambiente indipendente dal tempo. A differenza degli esperimenti in cui il personale di ricerca trascriveva i dati relativi ai soggetti per mezzo di sensori posti sotto il pavimento o di diari, lo studio della Florida usava una registrazione continua delle onde cerebrali, dei movimenti oculari e del tono muscolare lungo tutto il periodo di isolamento. Poiché in Florida vi sono poche caverne, l'esperimento si conduceva in stanze completamente isolate dal mondo esterno. Ogni stanza conteneva un angolo cottura, un bagno chimico e un lavabo. 1 soggetti comunicavano con gli sperimentatori che sorvegliavano gli strumenti di registrazione nella stanza di controllo passando loro delle note scritte. Ordinavano la colazione, il pranzo o la cena ogniqualvolta provavano fame: un ristorante nelle vicinanze del campus era in stato d'allerta ventiquattr'ore su ventiquattro per fornire i pasti a qualsiasi ora del giorno o della notte. Ricordo che nella fase di pianificazione manifestai seri dubbi sulla risposta di potenziali soggetti all'ipotesi di un soggiorno di « almeno un mese » in una stanza grande come una cella, poco meno di due metri quadri. Ma con mia grande sorpresa, una volta annunciati l'esperimento e le sue condizioni sul bollettino del campus, il telefono del laboratorio cominciò a suonare ininterrottamente. L'esperimento, che era stato programmato per dodici soggetti, attrasse decine di studenti: i volontari stavano in riga fuori dal laboratorio per cercare di persuadere il professor Webb ad accettarli. Un attento esame e una serie di interviste rivelarono che tutti i candidati erano completamente normali e che non si trattava di un gruppo di bizzarri eremiti. Come previsto, dopo uno o due periodi di sonno, ogni studente passò a un ritmo sonno-veglia più lungo di 24 ore. Lo studio esaminò anche l'ipotesi che l'allungamento del ritmo sonno-veglia in isolamento fosse il risultato di un cam- 18 biamento nell'equilibrio energetico dei soggetti. Poiché la stanza di isolamento non offriva alcuna possibilità di praticare una vigorosa attività fisica, l'esercizio dei soggetti subiva un grosso calo e questo avrebbe potuto influenzare il loro «orologio» del sonno. A metà dei soggetti fu quindi chiesto di impegnarsi in una dura attività fisica sulla cyclette in modo che il consumo quotidiano di energia fosse simile a quello di una giornata media di lavoro. Il ritmo sonno-veglia di questi soggetti non si rivelò significativamente diverso da quello dei soggetti cui non era stato imposto un programma di attività fisica. Il ritmo si allungò della stessa misura in entrambi i gruppi, invalidando la spiegazione basata sull'energia. La mia parte nel programma di ricerca era centrata su un altro fenomeno che preoccupava molti studiosi: il cambiamento del senso del tempo che si manifesta nei soggetti in isolamento. In tutte le ricerche sull'isolamento in un ambiente indipendente dal tempo, i soggetti sottovalutano di molto la durata dell'esperimento. Quando riemergono dopo un mese di isolamento, sono invariabilmente convinti che siano passate soltanto tre settimane dall'inizio dell'esperimento. Più la periodicità del ciclo sonno-veglia si allunga, più il tempo «perso» nell'isolamento cresce. Il mio compito fu la conduzione di un esame controllato del senso del tempo nei soggetti in isolamento. A intervalli di qualche ora, si chiedeva ai soggetti di consegnare gli appunti con le stime del giorno della settimana e dell'ora correnti; dovevano determinare il giorno della settimana anche al momento di andare a dormire e al risveglio., inoltre ogni giorno dovevano valutare intervalli di tempo dell'ordine di pochi minuti. Per evitare di fornir loro qualsiasi genere di indizio da cui potessero ricavare l'ora, gli intervalli fra una richiesta e l'altra erano variabili. L'analisi dei risultati mostrò che i soggetti erano del tutto inconsapevoli di qualsiasi cambiamento del ritmo sonnoveglia. I soggetti che spegnevano le luci per dormire alle prime ore del mattino o durante il giorno stimavano che fosse « all'incirca mezzanotte », vale a dire il momento in cui erano abituati ad andare a dormire nel loro ambiente naturale. Quando si 19 svegliavano, quale che fosse l'ora, nella loro stima erano sempre « all'incirca le 7 del mattino », l'ora abituale del risveglio. Quando valutavano intervalli di tempo molto piccoli, tuttavia, non si manifestava alcun cambiamento di capacità. Perché, allora, le stime del tempo trascorso in isolamento erano tanto sbagliate? Perché per stimare l'ora facevano assegnamento su quelle che erano le loro abitudini prima dell'esperimento. Quando un soggetto decide di andare a dormire alle 6 del mattino convinto che sia mezzanotte, sbaglia di sei ore e l'errore peggiora all'aumentare del periodo di isolamento e all'allungarsi del ritmo sonno-veglia. Quindi i soggetti con un ciclo di 27-28 ore che trascorrono circa un mese in isolamento perdono grossomodo una settimana, non essendo consapevoli del cambiamento avvenuto nei propri orari. La conclusione dei numerosi studi sugli ambienti indipendenti dal tempo è che l'origine del ritmo sonno-veglia è il sistema nervoso: non è un ritmo acquisito e non viene alterato dall'ambiente esterno. Poiché il giorno «biologico» è tanto diverso dal giorno «geofisico», i due orologi, l'«orologio del corpo» e l'«orologio solare», devono essere sincronizzati. Orologi lenti e orologi veloci. Deve esistere un meccanismo di coordinazione tra l'ambiente esterno e l'orologio biologico che controlla il sonno e la veglia, e deve essere un meccanismo abbastanza flessibile da consentire deviazioni dalla routine. Le persone che lavorano di notte e dormono di giorno ribaltano il proprio orario nell'arco di alcuni giorni. Una cosa simile accade a coloro che volando da un continente all'altro saltano parecchi fusi orari. Il meccanismo deve essere davvero efficiente perché l'«orologio del corpo» e l'«orologio del sole» devono essere coordinati ogni giorno e qualsiasi alterazione può turbare seriamente il ritmo sonno-veglia. Lo sconvolgimento del meccanismo di coordinazione tra l'orologio che regola il sonno e la veglia e i ritmi imposti dall'ambiente ha come conseguenza che l'orologio 20 del sonno si comporta nell'ambiente naturale come se il soggetto fosse isolato nelle profondità di una caverna. Tale disturbo ha un effetto considerevole sulla vita della persona, come si può capire dall'impressionante esempio che segue. Nel 1981, il responsabile disciplinare degli studenti del Technion indirizzò al Laboratorio del sonno uno studente che stava per essere espulso. La drastica azione era motivata da «una continua assenza dalle lezioni e dagli esami dovuta alla sua incapacità di svegliarsi al mattino». Intervistando lo studente, scoprii che, sebbene il suo problema principale fosse la difficoltà a svegliarsi, soffriva anche di un'estrema irregolarità negli orari abituali del sonno. Il giovane mi raccontò che vi erano giorni in cui andava a dormire la sera, proprio come tutti gli altri, e si svegliava la mattina successiva in tempo per la prima ora di corso; ma vi erano anche notti in cui non riusciva affatto a prendere sonno e di conseguenza si assopiva poi durante le lezioni. Quando si addormentava di mattina, in classe, dormiva per ore e ore di seguito senza neanche rendersi conto di quanti insegnanti si avvicendassero. Lo studente aggiunse che per quanto riguardava il sonno i suoi orari non avevano alcuna regolarità e che quando si addormentava durante il giorno non si trattava semplicemente di un sonnellino, bensì di un sonno lungo e continuo che a volte proseguiva per ore. Dopo aver rilevato dagli esami di laboratorio che il suo sonno era normale, gli chiedemmo di tenere un diario giornaliero del ritmo sonno-veglia. La ragione che stava dietro al suo disturbo si chiari dopo i primi dieci giorni: scoprimmo che il suo ritmo sonno-veglia si comportava come se egli non ricevesse dall'ambiente alcun indizio temporale. Giorno per giorno, lo studente «rimandava» l'ora dell'addormentamento e quella del risveglio di tre-quattro ore. Benché i cambiamenti da un giorno all'altro fossero meno regolari di quelli osservati negli esperimenti sull'isolamento, fu facile identificare le configurazioni diagonali che caratterizzano i soggetti isolati. La spiegazione del suo disturbo era lo squilibrio del ritmo sonno-veglia. Nei giorni in cui il suo ritmo era coordinato con l'ambiente, riusciva ad addormentarsi alla sera 21 come chiunque altro, ma dopo alcuni giorni, una volta che il sonno si era spostato nelle ore del giorno e la coordinazione era andata persa, si addormentava inevitabilmente durante le lezioni ed era incapace di svegliarsi. Una volta diagnosticato il disturbo del ritmo sonno-veglia, raccomandammo al responsabile disciplinare di permettere allo studente di osservare una sua personale tabella di marcia per lezioni ed esami, da determinare in base al suo particolare «orologio del sonno ». La conseguenza fu che lo studente riuscì a completare con successo gli studi al Technion. Con l'aiuto del «diario del sonno» dello studente, seguimmo l'andamento del suo ritmo sonno-veglia per quattro anni interi, scoprendo in tal modo che il suo orologio sonno-veglia funzionava in modo quanto mai irregolare. Vi erano periodi in cui il ciclo aveva una periodicità di 26 ore (e quindi il ritardo nel sonno quotidiano era soltanto di due ore), ma ve ne erano anche altri in cui la periodicità saltava a 29 ore - con un ritardo giornaliero di cinque ore! A causa dei frequenti cambiamenti del ritmo del sonno, lo studente era incapace di osservare non soltanto un orario regolare, ma anche una tabella di marcia giornaliera prestabilita. Dopo quattro anni, decidemmo di verificare se esistesse una qualche regolarità in ciò che sulle prime era sembrato il caos totale. Con un programma di analisi statistica, esaminammo nei particolari le ore del giorno in cui lo studente decideva di dormire. Poiché il suo orologio del sonno pareva del tutto incostante, ci aspettavamo che la scelta dell'ora di inizio del sonno fosse casuale. Il lettore immagini la nostra sorpresa quando scoprimmo che in mezzo al «caos» vi era una chiara regolarità nella sua routine giornaliera: lo studente tendeva ad andare a dormire in due precisi intervalli temporali, o dalle 16 alle 18 o dalle 4 alle 6. Durante l'intero periodo di osservazione, che durò quattro anni, il giovane andò a dormire all'ora « normale », tra le 22 e le 23, soltanto in quattro occasioni. Nello stesso periodo, stavamo studiando anche a quali ore sono piú frequenti gli incidenti stradali dovuti alla sonnolenza dei conducenti. Trovammo per caso altre prove del fatto che il 22 forte desiderio di dormire aumenta drasticamente durante gli stessi intervalli temporali. In Israele avvengono ogni anno piú di diecimila incidenti stradali gravi. Benché in questi casi soltanto lo o,6-o,8% sia dovuto all'addormentamento del conducente, i danni alle persone e alle cose sono tre volte piú gravi di quelli associati a incidenti che non sono causati dal sonno. Per esaminare se esistono ore «ad alto rischio» per gli incidenti provocati dalla sonnolenza di chi guida, controllammo i dati raccolti dalla polizia. L'analisi mostrò che la maggior parte degli incidenti avviene tra le 3 e le 6 e tra le 15 e le 18, due intervalli molto simili alle finestre temporali dello studente con l'orologio del sonno mal funzionante. Non sorprende che il rischio di addormentarsi al volante e causare un incidente aumenti di molto nelle prime ore del mattino. L'esperienza personale di molte persone indica che in quelle ore il bisogno di dormire aumenta, mettendo cosí in pericolo il conducente; comunque, noi avevamo la sensazione che in quelle ore succedesse qualcosa al meccanismo sonno-veglia e il fatto che le probabilità di addormentarsi al volante fossero piú alte nel pomeriggio rispetto alle prime ore delle sera non fece che rafforzarla. Il «qualcosa» in questione acuisce il bisogno di dormire. Formulammo allora l'ipotesi che l'attivazione dei meccanismi del sonno durante queste ore non fosse dipendente dal livello di fatica o dalla mancanza di sonno, ma che esprimesse in tutta probabilità un cambiamento interno nel funzionamento dell'orologio del sonno. Tale conclusione sembra essere confermata dall'usanza, ben radicata in molti paesi, della siesta, vale a dire di schiacciare un pisolino nel pomeriggio. 23 24 «Cancelli del sonno » e «zone interdette al sonno ». Come dimostrare che la propensione al sonno varia in maniera regolare nell'arco della giornata? Un modo possibile consiste nel permettere ai soggetti di addormentarsi molte volte nel corso delle ventiquattr'ore, misurando ogni volta quanto tempo impiegano per addormentarsi. Il primo ricercatore che ha usato l'esame della velocità di addormentamento per determinare la propensione al sonno è stata la professoressa Mary Carskadon della Brown University, che, come discepola di Dement, il successore di Kleitman, è una studiosa del sonno di terza generazione. La Carskadon ha esaminato i livelli giornalieri di sonnolenza in soggetti che, sistemati in una stanza buia e isolata dai rumori, provavano ad addormentarsi ogni due ore tra le io e le 20. Il test è noto nella letteratura come test multiplo della latenza del sonno, o Mslt (acronimo di Multiple Sleep Latency Test). Dopo un sonno notturno di sette ore, il tempo impiegato in media per addormentarsi era di circa quindici-diciassette minuti e in molti casi i soggetti non riuscivano affatto ad addormentarsi. Di contro, i soggetti privati della possibilità di dormire si addormentavano molto velocemente, nell'arco di cinque-sette minuti, come pure le persone affette da un bisogno di dormire piú forte della norma e da altri disturbi. Secondo quanto riporta la Carskadon, i soggetti tendevano ad addormentarsi più alla svelta durante il pomeriggio e incontravano difficoltà nelle ore serali. Tuttavia la misurazione della latenza del sonno ogni due ore non basta a garantire una descrizione precisa dei cambiamenti che si hanno nella propensione al sonno nell'arco della giornata. Per tale ragione, al Technion abbiamo sviluppato una tecnica di ricerca alquanto innovativa, che ci è stata di grande aiuto per riuscire a stabilire come cambia la propensione al sonno nel corso della giornata. In un esperimento tipico, i soggetti arrivavano al laboratorio di sera e passavano la notte svegli, sotto lo stretto e costante 25 controllo degli sperimentatori, che non concedevano loro alcuna possibilità di addormentarsi. Alle 7 del mattino successivo, venivano condotti nelle camere da letto, dove dovevano cercare di addormentarsi nel giro di sette minuti. Durante questo intervallo, si procedeva alla registrazione completa delle onde cerebrali, dei movimenti oculari e del tono muscolare. Alla fine dell'intervallo, i soggetti dovevano lasciare la stanza per tredici minuti, qualunque esito avesse avuto il tentativo addormentarsi. Alle 7 e 20, si ripeteva la prova e cosí ogni venti minuti fino alle 7 del mattino successivo. In tal modo venivano concessi settantadue tentativi di addormentarsi nell'arco di ventiquattro ore, cosí da poter delineare l'andamento della sonnolenza quotidiana di ognuno dei soggetti in base alla latenza individuale del sonno in ciascuno dei settantadue tentativi. 26 27 Benché non fossimo andati alla ricerca di volontari, agli esperimenti «7/13» non mancarono i candidati. Le voci di un esperimento imminente si sparsero per tutto il Technion in un batter d'occhio e il laboratorio fu invaso da studenti speranzosi di essere accettati per una ricerca in cui sarebbero stati pagati per dormire I. Alcuni si soprannominarono « cavie da sonno » e parteciparono all'esperimento quattro o cinque volte nel corso degli studi. Poiché i soggetti trascorrevano insonni la notte che precedeva l'esperimento, sarebbe stato ragionevole prevedere che il giorno dopo si sarebbero addormentati con facilità. 1 risultati degli esperimenti 7/ 13, tuttavia, furono piú complessi e presentarono grandi variazioni nella capacità di prendere sonno dei soggetti. Scoprimmo che in una giornata vi erano tre intervalli in cui la latenza del sonno presentava cambiamenti spontanei: uno nel pomeriggio, uno alla sera e uno di notte. Era prevedibile che i soggetti si sarebbero addormentati alla svelta di notte e nelle prime ore del mattino e, in effetti, a volte in quei momenti era davvero molto difficile farli alzare dal letto alla fine dei sette minuti stabiliti come intervallo di sonno. Ancora piú difficile era tenerli svegli per i tredici minuti che precedevano il tentativo seguente. Inoltre, alla luce di quanto già sapevamo sull'addormentamento pomeridiano e in base ai dati sugli incidenti stradali legati al sonno, non ci meravigliò scoprire che la sonnolenza manifestava un aumento nel pomeriggio, anche in soggetti che non erano soliti dormire in quelle ore. La sorpresa più grossa, comunque, fu il cambiamento del livello di sonnolenza alla sera. Nonostante la fatica e l'accumulo di mancanza di sonno, i nostri soggetti trovavano difficile addormentarsi di sera. Per alcuni era impossibile prendere sonno tra le 18 e le 20,ma alle22 si addormentavano nell'attimo stesso in cui chiudevamo la porta della loro stanza e da quel momento in poi riuscivano a farlo rapidamente ogni volta. Era come se d'un tratto si fosse aperto un «cancello del sonno » che era rimasto chiuso per tutta la sera. Di fatto, questa è l'espressione che usiamo per descrivere il repentino cambiamento da un livello 28 elevato di vigilanza a uno di estrema sonnolenza. Il periodo che precede l'apertura del cancello, durante il quale i soggetti incontrano molte difficoltà ad addormentarsi, è detto «zona interdetta al sonno»; tale periodo è correlato esattamente non soltanto con le ore in cui lo studente del Technion evitava di andare a dormire, ma anche con le ore in cui si ha un minimo di incidenti stradali legati al sonno. Vi è qualche prova di una correlazione tra l'apertura del cancello del sonno e un concomitante cambiamento dell'attività cerebrale? E possibile che alcuni risultati ottenuti di recente a Harvard lo dimostrino. Nel numero del 12gennaio 1996 di « Science», un gruppo di ricerca guidato da Clifford Saper ha riferito di aver individuato un meccanismo nell'ipotalamo del ratto che è una sorta di interruttore principale per il sonno. Quando l'interruttore - un minuscolo aggregato di cellule nervose nell'ipotalamo anteriore - è acceso, tutte. Di contro, quando l'interruttore è spento, il cervello si sveglia. Tale meccanismo, tuttavia, non è responsabile della sonnolenza e della sensazione di torpore. Il meccanismo appena scoperto funziona come un fenomeno « tutto o niente ». E allettante l'ipotesi che l'apertura del cancello del sonno, così come la rivela il paradigma 7/13, derivi da un cambiamento dell'attività del meccanismointerruttore che ha sede nell'ipotalamo. In quel momento particolare, forse sotto l'influsso dell'orologio del sonno, la soglia di attivazione si abbassa, consentendo in tal modo una transizione veloce e agevole dalla veglia al sonno. 29 30