Dipartimento di Impresa e management Cattedra Metodologia delle scienze sociali
POPPER
CONTRO LO
STORICISMO
RELATORE
CANDIDATO
Mattia “Anzoletti” Boscolo
Prof. Lorenzo Infantino
Matr.174101
A.A.
2014/2015
1
Indice
Introduzione ………………………………………………………………..4
I. Background storico ……………………………………………………....6
1.1. La figura di Popper……………………………………………..…….6
1.2. L’Anschluss…………………………………………………………..7
II. Miseria dello storicismo………………………………..………………..11
2.1 Il concetto di storicismo…………………… ………….…………….11
2.2. I tre mondi e l’epistemologia pessimistica………………………......12
2.3. L’olismo………………………………………………..…………....15
2.4. I pericoli dello storicismo e le due forme di meccanica sociale.........16
III. I totalitarismi come attentato alla società aperta.....................................19
3.1. Società aperta e chiusa......................................................................19
3.2. Le radici del totalitarismo………………………………....……….23
IV. Il collettivismo metodologico………………………………………..…29
2
4.1. Collettivismo e individualismo metodologico…………………….29
4.2. Il principio di “falsificazione” e la critica a Karl Marx……………31
Conclusione………………………………….…………………….………46
Bibliografia………………………………………………………………...48
Sitografia………………………………………………………………...…49
3
Introduzione
Scopo di questo elaborato è quello di tracciare, percorrendo alcune tra le più
importanti opere di Karl Raimund Popper e di alcuni tra i suoi sostenitori, un
quadro generale di che cosa si intende con il termine “storicismo” secondo il
filosofo, capire il motivo per cui Popper ne è avverso, quali sono le sue
implicazioni e quindi in quali forme di errori si rischia di affondare. La scelta
di trattare questo argomento risale a una particolare ammirazione per il filosofo
già dal liceo, confermatasi con lo studio delle scienze sociali all’università.
Sebbene Popper abbia vissuto nel secolo scorso, le tematiche di cui egli si
occupa non sono collocabili in un preciso momento poiché è sorprendente
come il suo pensiero sia malleabile in qualsiasi momento. Per comprendere al
meglio il suo pensiero, è fondamentale capire il contesto storico e sociale in cui
Popper ha vissuto; ossia il Novecento, il cosiddetto “Secolo Breve” come lo
appella lo storico Hobsbawn. L’analisi di alcune note biografiche del filosofo
vengono trattate nel primo capitolo dell’elaborato, sarà così
possibile
comprendere come il suo pensiero sia influenzato dai grandi marasmi politici,
sociali del secolo scorso. Il secondo capitolo è dedicato ad una delle maggiori
opere di Popper, ovvero “Miseria dello storicismo” in cui si delinea il concetto
di storicismo, discordante dalle teorie di Popper secondo le quali non è
possibile stabilire un senso di marcia della storia confutando in questo modo le
4
tesi di quanti sostengono di poterne determinare il corso. Il filosofo, quindi,
vuole dare ai suoi ascoltatori una chiave di lettura ad ampio raggio, e cioè un
invito a combattere l’oppressione con umiltà, con la consapevolezza che non ci
sia una legge che determina le nostre azioni.
Nel capitolo secondo, invece, si analizzano gli incipit dei totalitarismi, che
ancora
una
volta
vengono
individuate
nello
storicismo,
prendendo
maggiormente in considerazione “l’opera di guerra” del filosofo, ossia
“La
società aperta e i suoi nemici”e “Potere” di L. Infantino, analizzando colui il
quale, secondo Popper, ne sarebbe stato il precursore: Platone e
successivamente Hegel che, con le sue profezie totalitariste, avrebbe dato vita
al fascismo e al nazismo.
Il terzo capitolo, infine, è dedicato alla contrapposizione fra l’individualismo
metodologico (di cui Popper ne è un convinto sostenitore) e il collettivismo
metodologico in cui spicca la critica al marxismo. Con questa critica, Popper
spiega il principio di falsificazione , essenziale per lo scienziato sociale, e
conduce una contestazione alla società chiusa, propria di un regime totalitario,
tracciando una linea di demarcazione tra totalitarismo e libertà che si esprime
in una netta distinzione tra dittatura e democrazia.
5
I.
Background storico
1.1. La figura di Popper
Ventuno anni fa, a Londra, si spegneva uno dei massimi filosofi del XX secolo,
Karl Raimund Popper.
Epistemologo, logico, filosofo politico, Popper ha incarnato meglio di
chiunque altro la figura dello scienziato sociale che riesce a prendere elementi
dai più svariati ambiti per tentare di risolvere i problemi che gli si presentavano
di fronte. Questo perché asseriva che non studiamo solamente certe materie,
bensì i problemi (collegati a queste). Nella sua visione le discipline non
esistono e i problemi trascendono i confini di qualsiasi materia.1
Karl Raimund Popper nasce a Vienna nel 1902 da una famiglia di origini
ebraiche, intraprende studi di fisica all'università dove viene a contatto con le
teorie di Albert Einstein dalla quale rimane affascinato. Lo scienziato infatti
era riuscito a mettere in discussione le ormai consolidate teorie di Newton e
Maxwell, l'atteggiamento di Einstein era critico, non cercava conferme ma
prove cruciali al contrario di Marx e Freud i quali invece cercavano verifiche
alle loro teorie. In questi stessi anni si avvicina al socialismo e si considera
comunista anche se ben presto rivedrà la sua posizione fino a diventare un
1
MARCO SCHITO, Karl Popper, Scienziato sociale, 2014, http://www.rethinkecon.it/tag/karlpopper/
6
critico del marxismo ritenuto pericoloso. Si laurea nel 1928 con una tesi dalla
quale si allontanerà definitivamente dalla psicologia, intraprende così il
cammino filosofico. Nel 1937, quando l'intolleranza nei confronti degli ebrei
inizia a delinearsi, emigra in Nuova Zelanda dove insegna filosofia; durante
questi anni scrive alcune tra le sue opere maggiori: "Miseria dello storicismo"
e "La società aperta e i suoi nemici" . Resta in Nuova Zelanda fino al 1946,
quando viene chiamato ad insegnare alla London School of Economics. Nel
1949 dopo aver ricevuto i primi apprezzamenti su "La società aperta e i suoi
nemici" riceve una prestigiosa cattedra ad Harvard, continua i suoi studi e le
sue conferenze sono sempre più seguite. Dopo il 1961 inizia il dibattito con la
scuola di Francoforte, due anni dopo esce "Congetture e confutazioni" che
raccoglie alcune delle sue conferenze precedenti. Nel 1985 ormai abbandonata
la carica d'insegnante scrive "Il futuro è aperto" al quale seguiranno numerose
interviste ai giornali e alla televisione nelle quali non si stancherà mai di lottare
contro l'irrazionalismo. Negli ultimi anni egli attaccherà il potere illimitato e
irresponsabile dei media pubblicando"Cattiva maestra televisione”. Popper,
implacabile difensore della società aperta cioè della democrazia si spegne il
diciassette settembre 1994, ancora in piena attività.
1.2. L’Anschluss
Popper dichiara che i suoi libri, quindi il suo pensiero, si presentano come
“strumento di libertà”.
Risulta Tuttavia semplice comprendere come le dinamiche di quegli anni
marcarono profondamente le riflessioni dell’autore. E’ importante sottolineare
7
che “alla fine del primo conflitto mondiale crollò l’impero asburgico. Quel che
rimase del glorioso passato era una piccola repubblica geograficamente
corrispondente all’Austria di oggi. Questo nuovo stato, però, non era molto
amato dai suoi abitanti. Tra i primi progetti del governo dell'Austria
repubblicana e democratica ci fu la richiesta che "l’Austria tedesca" dovesse
essere annessa alla Germania. Tuttavia codesto fu un progetto vano poiché i
vincitori della guerra lo proibirono categoricamente. Due referendum
successivi portarono a più di novantanove per cento a favore dell'unità, ma
anche il voto popolare non servì a niente. Dunque, i motivi per essere
orgogliosi del nuovo stato non erano molteplici. Infatti, i diciannove anni tra la
fine della guerra e il famigerato anno 1938 furono abbondanti di lotte politiche
sanguinose tra socialdemocratici, austro-fascisti, cattolici e nazisti, talvolta
vicine al limite della guerra civile. In modo particolare dal 1933, anno
dell’ascesa al potere di Hitler, la pressione del nazisti sul governo austriaco si
fece ancor più preponderante. Per contrastare il potere dei nazisti austriaci, che
pretendevano, con crescente violenza, l'unione con la Germania, il Cancelliere
austriaco Dollfuss nel 1932 installò un regime autoritario, mettendo così fine
alla democrazia parlamentare. Ma con questo passo si scavò la propria tomba.
L’assassinio del suddetto cancelliere e di molti suoi sostenitori aggravò
ulteriormente la situazione in Austria. Dopo una lunga e durissima campagna
politica, che comprese anche minacce di guerra da parte di Hitler, Arthur
Seyss-Inquart, un avvocato nazista e fanatico seguace di Hitler, fu nominato
Cancelliere d'Austria. Ma soltanto per un giorno: il suo unico atto da
governatore fu quello di invitare l'esercito tedesco ad invadere l'Austria e a
indire un plebiscito per confermare l'annessione del suo paese alla Germania
nazista. Il 12 marzo 1938 le truppe naziste invasero l’Austria e giunsero nella
8
capitale senza incontrare alcun tipo di resistenza. Poco dopo, in Austria si
verificò una vera e propria propaganda nazista;vennero affissi slogan e
striscioni in ogni angolo delle città austriache. I giornali e le radio che erano
fermamente in mano nazista martellavano la popolazione austriaca con una
continua propaganda per il "sì" e non vi fu nessuno spazio ufficiale per il "no".
Infatti, alle elezioni del dieci aprile vinse, con larga maggioranza il “si”.
Questo plebiscito violò i più basilari concetti di democrazia e legalità del voto:
la domanda a cui si doveva rispondere suggeriva già fortemente la risposta
positiva. Tuttavia, c’è da sottolineare che le persone di “sangue misto”, gli
ebrei, tutti quelli incarcerati (l’8% circa della popolazione) non poterono
partecipare al voto.
Per Hitler il nuovo Reich non rappresentava affatto l’inizio di un periodo di
pace. Questo fu soltanto l’inizio di una scalata che continuo,nello stesso anno,
con l’annessione della Cecoslovacchia e, l’anno successivo, con l’attacco della
Polonia.
L’intento dei nazisti in Austria,era quello di trasformare il paese in una
provincia subordinata della Germania, cancellandone i segni distintivi della
stessa Austria proprio per coronare il sogno pan-germanico. Tant’e vero che lo
storico austriaco Stephan
Vajda scrive:
“La prassi
quotidiana del
nazionalsocialismo si abbatté sull'Austria in tutta la sua cruda rozzezza. Il
regime di Hitler, visto da vicino, non si rivelò né ricco di beni materiali o
spirituali, né progressista e promettente. Il duro ordine militare tedesco era
esattamente l'opposto della mentalità austriaca che per giunta veniva
apertamente derisa dai superuomini germanici."
9
Di fatto, quando gli austriaci furono trascinati nella seconda guerra mondiale la
loro iniziale euforia per l'annessione alla Germania era già svanita”.2
2
VIAGGIO IN AUSTRIA, 1938:”Anschluss”- l’annessione dell’Austria alla Germania,
http://www.viaggio-in-austria.it/anschluss-1938.html
10
II.
Miseria dello storicismo
2.1. Il concetto di storicismo
Con il polivalente termine “storicismo” l’autore non intende lo storicismo
propriamente tedesco, contemporaneo o neoidealistico (quell’insieme di
dottrine da Dilthey a Croce) con le quali egli condivide di fatto la tesi della non
esistenza di leggi dello sviluppo storico; bensì tutte le molteplici concezioni
della storia che pensano di riuscire a comprendere l’oggettivo corso del mondo
in maniera fondata,cioè di poter determinare delle “leggi universali” che
guidano l’evoluzione della storia umana e dunque avanzare anche delle
previsioni (certe) sul futuro corso del mondo. Come afferma Andrea Borghini
“in Miseria Dello Storicismo troviamo infatti la confutazione, condotta sul
versante
metodologico,
delle pretese
predittive dello storicismo,
la
riaffermazione dell’unità di metodo tra scienze naturali e scienze sociali, la
conseguente indicazione del nuovo ruolo e della nuova funzione di queste
ultime,i primi riferimenti espliciti al tema del totalitarismo.”3
Nella prefazione de “La Miseria Dello Storicismo” Popper infatti scrive: “Per
informare il lettore dei miei risultati più recenti, mi propongo di fornire, in
poche parole,una traccia di questa confutazione dello storicismo:
3
DARIO ANTISERI, La Sfida Di Popper, Armando Editore, Roma 1981
11
a) Il corso della storia umana e’ fortemente influenzato dal sorgere della
conoscenza umana. (La verità di questa premessa deve essere ammessa anche
da coloro che nelle nostre idee, comprese quelle scientifiche, altro non vedono
se non il sottoprodotto di sviluppi materiali di questo o quel genere).
b) Noi non possiamo predire, mediante metodi razionali o scientifici, lo sviluppo
futuro della conoscenza scientifica. […]
c) Perciò, non possiamo predire il corso futuro della storia umana.
d) Ciò significa che dobbiamo escludere la possibilità di una storia teorica; cioè,
di una scienza sociale storica che corrisponda alla fisica teorica. Non vi può
essere alcuna teoria scientifica dello sviluppo storico che possa servire di base
per la previsione storica.
e) Lo scopo fondamentale dello storicismo e’ quindi infondato. E lo storicismo
crolla […].”4
2.2. I tre mondi e l’epistemologia pessimistica
Prima di analizzare le critiche che Popper rivolge allo storicismo è necessario
illustrarne i suoi caratteri generali. Il filosofo sostiene che, oltre a oggetti e stati
fisici vi siano degli “stati mentali” e che questi possano interagire con il nostro
corpo. Popper,allora,elabora la concezione dei tre mondi. Il primo è il mondo
fisico, l’universo delle entità fisiche; in secondo luogo c 'è il mondo degli stati
mentali, comprendente gli stati di coscienza, le disposizioni psicologiche; in
4
KARL RAIMUND POPPER, Miseria dello storicismo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
2013, p. 17
12
ultimo il mondo dei contenuti di pensiero, dei prodotti della mente umana. Gli
oggetti del mondo tre sono costruzioni dell’uomo, alcuni sono materiali e
appartengono sia al mondo uno sia al mondo tre. Gli oggetti del mondo tre
possono essere reali non solo nelle loro materializzazioni del mondo uno, ma
anche nei loro aspetti del mondo tre. Come oggetti del mondo tre possono
indurre gli uomini a produrre altri oggetti del mondo tre e, tramite questi, ad
agire sul mondo uno, per questo si può definire reale una cosa. Molti oggetti
del mondo tre sono incarnati in oggetti del mondo uno, altri possono esistere
anche come oggetti del mondo due. Vi sono oggetti del mondo tre incorporei
cioè oggetti che non sono incarnati. Una delle congetture centrali avanzate da
Popper è quella che la considerazione del mondo tre potrebbe risolvere il
problema mente-corpo. Gli oggetti del mondo tre hanno un effetto sul mondo
uno
solo attraverso l'intervento umano, poiché sono astratti ma reali. Gli
oggetti del mondo tre hanno un effetto sul mondo uno attraverso il loro essere
afferrati, che è un processo del mondo due, un processo mentale in cui il
mondo due e il mondo tre interagiscono. E' quindi ammissibile che tanto gli
oggetti del mondo tre quanto i processi del mondo due
sono reali.
L'interazione fra i mondi due e tre può essere interpretato come un costruire
oggetti del mondo tre e un metterli in confronto attraverso una selezione. Il
mondo due può essere considerato attivo e produttivo.
Se usiamo “i tre mondi” come esempio;l’ottimismo epistemologico ritiene che
vi sia la conoscenza disponibile su tutti e tre i mondi. Il pessimismo
epistemologico, invece, non crede nella conoscenza disponibile nei mondi
ontologici e normativi e talvolta ci si chiede se le idee testate in modo
popperiano mediante esperimenti, possono contare conoscenza oggettiva.
13
Il contrasto tra ottimismo e pessimismo epistemologico può essere reso ancora
più chiaro distinguendo sei tipi di argomenti che potrebbero servire come
oggetti di conoscenza. Il primo è il mondo tre, il regno dei prodotti della mente
umana. Il secondo è costituito dai contorni di coscienza introspettivamente
osservabili discussi da filosofi come Hume, Kant e Husserl. Il terzo, invece,
consiste in alcune caratteristiche umane che possono essere considerate come
parte integrante della natura umana universale, come il desiderio di salute
fisica e di benessere materiale (forse anche alcune tendenze elencate dagli
psicologi Freud e Maslow). Il quarto è il regno di questioni morali o normative
più sostanziali e specifiche,come ad esempio la scelta tra egoismo e le scelte
politiche specifiche. Il quinto è il regno delle relazioni significative tra tutte le
proposizioni vere. Infine, il sesto argomento è quello della unicità di tutti gli
aspetti dell’esistenza.
Popper, quindi, nega “l’ottimismo epistemologico” cioè
l’infallibilità
dell’uomo nella conoscenza della realtà oggettiva nel suo insieme e propone,
al contrario, una epistemologia “pessimistica”, la sola capace di mantenere un
atteggiamento critico nei confronti delle ipotesi formulate. “pessimistica” nel
senso che Popper non crede alla possibilità di giungere ad una verità ultima e
certa, con la quale la ricerca trovai l suo punto di arrivo. 5
5
INDIRE.IT, I tre mondi di Popper, http://ospitiweb.indire.it/~mipm0001/ms/prog5l/900/elisa2.htm
14
2.3. L’olismo
Popper sostiene che vi sia un’ ambiguità
basilare nell’uso del
sostantivo “intero” nella letteratura olistica recente. Infatti, la parola viene
adoperata per denotare a) la totalità delle parti e l’insieme dei rapporti esistenti
tra di esse e b) una scelta di certi suoi attributi o aspetti che conferiscono alla
cosa l’aspetto di una struttura organizzata invece che una “accozzaglia
disordinata”. Il filosofo, infatti, porta l’esempio della Gestalt Psychologie.
Qualsiasi esempio di questa teoria può servire a dimostrare che gli interi nel
senso b) sono molto diversi dagli interi del senso a). Se si considera il fatto che
una melodia è qualcosa di più di una raccolta di suoni musicali e che nella
stessa melodia il ritmo può essere diverso, allora, essendo basato su una
selezione, lo studio di una Gestalt, e perciò di qualsiasi intero nel senso b), è
nettamente distinto dallo studio di una tonalità , cioè di un intero nel senso a).
Popper infatti afferma che non sia possibile osservare o descrivere una parte
intera del mondo, o una parte intera della natura, anzi, nemmeno il minimo
pezzo intero, poiché la descrizione è sempre selettiva e si può perfino dire
che gli interi nel senso a) non potranno mai essere oggetto di una qualsiasi
attività , scientifica o no.
Popper sostiene che gli olisti storicisti fanno spesso intendere che il metodo
storico è adeguato per trattare gli interi nel senso della totalità . Questo fatto
nasce dalla combinazione della giusta opinione (secondo cui la storia,
contrariamente alle scienze teoretiche, si occupa di eventi individuali e concreti
e di personalità individuali, piuttosto che di leggi generali e astratte) con
l’opinione sbagliata secondo cui gli individui “concreti” di cui si occupa la
storia possono essere identificati con interi “concreti” nel senso a). Di fatto è
15
sbagliato credere che vi possa essere una storia in senso olistico, una storia
degli “stati della società” che rappresenti “l’intero organismo sociale”, ovvero
“tutti gli eventi sociali e storici di un’epoca”. Il filosofo afferma che una simile
storia non può
essere riscritta, ogni storia scritta è la storia di un certo
strettissimo aspetto di questo sviluppo totale, ed è una storia molto incompleta
perfino del particolare aspetto incompleto che è stato scelto.6
2.4. I pericoli dello storicismo e le due forme di meccanica sociale
“L’ottimismo epistemologico”, ovvero l’enfatizzazione della capacità umana e
l’atteggiamento “totalizzante”, caratteristiche dello storicismo, custodiscono
molti pericoli:ad esempio questa tentazione di ristrutturare, rammodernare in
maniera profonda l’intera società, secondo le leggi proprie della storia che si
sono individuate, quale il caso estremamente drammatico del nazismo (di cui
ne discuteremo successivamente) che ha operato lo sterminio di innumerevoli
Ebrei, ma non solo, in vista del trionfo della razza migliore,quella ariana;e
anche il caso del marxismo (anche di esso ne discuteremo) che aveva previsto
lo sfacelo del capitalismo,una fase di dittatura del proletariato per giungere
infine ad una società socialista , senza la presenza di classi. I regimi comunisti,
di fatto , hanno tentato di mettere in atto questa “profezia”.
Popper intende dire che gli storicismi, tuttavia, si prestano molto bene a venire
usati o a tramutarsi in vere e proprie ideologie e a diventare funzionali
nell’accumulazione del potere, sino a giungere ai totalitarismi o comunque in
6
KARL RAIMUND POPPER, Miseria dello storicismo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
2013
16
società ove non vi è democrazia. Pertanto è tipico dei regimi totalitari il voler
plasmare la “società nuova” e costruire “l’uomo nuovo” sulla base del destino
storico o delle leggi storiche.
Di fatto, il filosofo propone la necessaria distinzione tra meccanica sociale a
spizzico “per esprimere la mia convinzione che il lavorare sulle cose
saltuariamente o a spizzico (“piecemeal tinkering”, come talvolta lo si
definisce), purché sia unito all’analisi critica, è il modo principale di
raggiungere risultati pratici nelle scienze sociali oltre che in quelle naturali.”7 e
meccanica o ingegneria sociale,tipica dello storicismo. Ora, per il meccanico
sociale i fini ultimi della società sono aldilà della sua portata, mentre per lo
storicista essi dipendono da forze storiche e quindi sono di suo dominio. Il
primo opera come un ingegnere che applica dispositivi o costruisce macchine,
le progetta , le modifica e ne cura la manutenzione. Questo però, deve esser
fatto per settori circoscritti e per piccoli passi (come fa effettivamente
l’ingegnere), a differenza dell’olismo e del suo atteggiamento totalizzante.
Di fatto, Popper esplicita che “il meccanico a spizzico riconosce che solo una
minoranza delle istituzioni sociali è volutamente progettata, mentre la gran
maggioranza di esse è semplicemente venuta su, “cresciuta” come risultato non
predeterminato di azioni umane” 8 ; pertanto, il tipico atteggiamento del
meccanico a spizzico è questo e cioè capire che non è possibile riplasmare una
società nella sua totalità: “Non si possono costruire istituzioni infallibili, cioè
istituzioni il cui funzionamento non dipenda in grandissima parte dalle persone
che vi sono preposte, o che comunque vi partecipano; nella migliore delle
ipotesi, si potrà ridurre l’incerto rappresentato dall’elemento umano prestando
7
KARL RAIMUND POPPER, Miseria dello storicismo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
2013, p. 71, 72
8
Ivi, p. 77
17
aiuto a coloro che lavorano per gli scopi per i quali furono progettate le
istituzioni; è dalla loro iniziativa personale e dalle loro conoscenze che
dipenderà in larga misura il successo. (Le istituzioni sono come le fortezze:
raggiungono lo scopo solo se è buona la guarnigione, cioè l’elemento
umano)”.9
A questo atteggiamento si contrappone quello
della meccanica sociale
utopistica e olistica: “Essa mira a riplasmare l’intera società secondo un piano
regolatore preciso, mira ad “impadronirsi delle posizioni chiave” (secondo
l’espressione di Karl Mannheim), ad espandere “il potere dello Stato, finché
Stato e società non siano diventati quasi identici”10. Ora, la differenza tra i due
metodi, avverte Popper, “è di accuratezza e di preparazione di far fronte alla
inevitabili scoperte. Quanto più grandi sono i cambiamenti olistici tentati,tanto
maggiori sono le ripercussioni non premeditate e per molta parte inattese, che
costringono
il
meccanico
sociale
a
ricorrere
all’espediente
dell’improvvisazione”. Inoltre, un’altra importante differenza tra i due
atteggiamenti, nota il filosofo:”Mentre il meccanico a spizzico affronta i
problemi senza prevenzioni riguardo alla portata delle riforme di costruzione
completa è possibile e necessaria[…]. Col rifiutare a priori tali ipotesi,
l’utopismo viola i principi del metodo scientifico”.11
9
Ivi, p. 78
Ivi, p. 79
11
Ivi, p. 81
10
18
III.
I totalitarismi come attentato alla società aperta
3.1. Società aperta e chiusa
Secondo il sociologo Simmel l’uomo è un animale sociale pertanto la società è
un sistema di cooperazione sociale tra gli uomini: “L’uomo nasce, cresce e si
sviluppa dentro la società, attraverso il rapporto intersoggettivo . Il controllo
degli istinti e il linguaggio,per dire delle prime cose che caratterizzano la vita
propriamente umana, sono generati dalla convivenza e dalla conseguente
cooperazione”.12 Una società di tipo aperto è caratterizzata dalla cooperazione
volontaria. Qui si afferma la volontà di scelta; questa società è articolata in
base al principio competitivo ove tutti gli individui tendono a fare sempre
meglio. Questo principio è, senza dubbio, un procedimento di scontro dove la
concorrenza è un elemento imprescindibile per individuare delle soluzioni e
per correggere i nostri errori. L’economista scozzese Adam Smith (sostenitore
della società aperta e dell’economia di mercato) infatti afferma che se tutti
sapessero tutto, non ci sarebbe bisogno della concorrenza, ma siccome le
conoscenze sono disperse, l’uomo ha bisogno di accendere un grandioso
procedimento di scoperta,di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli
errori. In questo modo la concorrenza va a vantaggio di ambedue le parti.
12
L. INFANTINO, Potere, La Dimensione politica dell’azione umana, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 2013, p. 173
19
In codesta società non vi è un gruppo monopolistico che detiene il potere o i
ruoli autoritativi
i quali si conquistano in base alla logica competitiva. Vi è
inoltre l’assenza di un monopolio dei mezzi di produzione ma vige la proprietà
privata: essa è necessaria per aversi libertà in quanto,qualsiasi siano i fini
umani,non li si possono raggiungere
finché
non si hanno delle risorse
privatamente risparmiate. Al contrario, se lo Stato disponesse di tutte le
risorse,non si sarebbe liberi di compiere volontariamente determinate azioni.
A questa tipologia di società di distingue quella chiusa. Quest’ultima è
caratterizzata da una cooperazione non volontaria ma coercitiva. Della società
chiusa sono propri tre tipi di monopoli: il primo è quello della verità, in quanto,
il “grande legislatore” ne detiene il monopolio:egli è la verità e dice agli
uomini che cosa fare e come lo si deve fare; quello dei ruoli autoritativi in
quanto il potere pubblico non viene attribuito in base ad una logica competitiva
ma al potere è presente un unico gruppo quindi non è contemplato il dissenso;
e infine quello dei mezzi di produzione: se non esiste questo tipo di monopolio ,
la proprietà privata esiste solo formalmente in quanto nei fatti viene soppressa.
L’abbattimento del “mito del grande legislatore” lo si deve, come afferma
Duncan Forbes , agli illuministi scozzesi. Per affrancarsi da quelle condizioni
“è infatti necessario fare propria una teoria fallibilistica della conoscenza,
sradicare l’habitat dentro cui quei miti attecchiscono e prosperano.”13 In primo
luogo la Legge di Hume: “Il primo attacco è stato sferrato contro la pretesa di
disporre una scienza del Bene e del Male, di possedere una conoscenza della
Virtù. Mandeville ha scritto: “Spingiamo la nostra ragione là dove sentiamo
che la passione trascina; l’amore in sé giustifica tutti gli uomini, quali che sono
i loro scopi, fornendo a ogni individuo gli argomenti per giustificare” le proprie
13
Ivi, pp. 175, 176
20
scelte. Hume ha sostenuto che “la moralità non consiste in alcun dato di fatto
che si possa scoprire con l’intelletto […], la morale non è oggetto della
ragione”. E ha aggiunto: “In qualsiasi maniera la prendiate, troverete solo certe
passioni, motivi, volizioni e pensieri; non vi sono altri dati di fatto. Il vizio
sfuggirà completamente fino a quando considerate l’oggetto. Non potrete mai
scoprirlo fino a che non volgerete la vostra riflessione al vostro cuore,in cui
troverete che è sorto un sentimento di disapprovazione nei confronti di questa
azione. Ecco allora un dato di fatto, ma oggetto del sentimento e non della
ragione”. A sua volta Smith ha affermato: “la ragione non può rendere alcun
oggetto particolare di per sé gradevole o sgradevole alla mente. La ragione può
dimostrare che questo oggetto è il mezzo per ottenere qualche altro oggetto
[…] e in questo modo può rendere il primo oggetto gradevole o sgradevole per
qualcos’altro. Ma non può essere gradevole o sgradevole per sé nulla che non
sia reso tale dal senso o dalla sensazione immediati. Se quindi la virtù, in ogni
caso particolare, piace necessariamente per sé alla mente, e se il vizio
altrettanto certamente dispiace, non può essere la ragione, ma il senso e la
sensazione immediati.” Mandeville, Hume e Smith concordano perciò nel
separare i fatti dai valori. E’ questa una posizione nota come legge di Hume
che caratterizza la teoria di tutt’e tre questi autori. Da tale legge consegue, non
essendoci scienza del Bene e del Male, non può esserci alcuna verità incarnata
da un qualche Legislatore o manifesta a tutti. E discende che nessuna credenza ,
religiosa, filosofica, può essere imposta in forza di una conoscenza “superiore”
o di per sé evidente.”14
14
L. INFANTINO, Potere, La dimensione politica dell’azione umana, Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 2013, pp. 176, 177
21
La Dispersione della conoscenza,teoria elaborata da Adam Smith, rappresenta
un secondo fronte d’attacco, in quanto egli ha obiettato che “ognuno, nella sua
condizione locale, può giudicare molto meglio di qualsiasi uomo di Stato o
legislatore quale sia la specie di industria interna che il suo capitale può
impiegare”. E “l’uomo di Stato che dovesse tentare di indirizzare i privati
relativamente al modo in cui dovrebbero impiegare i loro capitali non soltanto
si addosserebbe una cura non necessaria,ma assumerebbe,un’autorità che non
si può tranquillamente affidare non solo a una singola persona, ma nemmeno
ad alcun consiglio o senato, e che in nessun luogo potrebbe essere più
pericolosa che in mani di un uomo tanto folle e presuntuoso da ritenersi capace
di esercitarla”.
15
Questo evidenzia il fatto che nessun uomo possa essere
onnisciente, giacché le conoscenze sparse all’interno della società sono infinite.
Il terzo fronte d’attacco è infine “Contro l’aristocratismo morale dell’uomo
virtuoso”: “La legge di Hume e il teorema di Smith colpiscono
irrimediabilmente il mito del Grande Legislatore. Accade però che l’idea di
questo “punto di vista privilegiato sul mondo” possa essere richiamata in vita
attraverso la figura dell’uomo “virtuoso”, “buono”, o “santo” della tradizione
platonico-cristiana . Proprio qui si trova il terzo fronte di “attacco”. Mandeville
ha squarciato energicamente il velo di quell’aristocratismo morale. Non ha
infatti esitato a porre la questione nei suoi più crudi termini “ciò mi ha fatto
spesso paragonare le virtù di quegli uomini a grandi vasi cinesi: fanno una
bella figura, e possono anche onorare un camino; a giudicare dalle dimensioni
e dal valore che è a essi attribuito, si penserebbe che siano molto utili; e
tuttavia, se guardiamo dentro mille di essi, non troverete che polvere e
ragnatele”. C’è quindi un problema. E la soluzione consiste nel “convertire” gli
15
Ibidem.
22
altri a qualche presunta virtù, perché ciò conduce sempre alla riduzione dei
gradi di libertà dell’Altro: l’etica diviene un mezzo di sopraffazione.
Mandeville ha ovviamente riconosciuto che, “se la virtù, la religione, la felicità
futura fossero ricercate dai più con la stessa sollecitudine con la quale si
cercano [… gli altri] piaceri […], sarebbe senza dubbio preferibile che solo
uomini probi e di provata capacità occupassero i posti in qualsivoglia governo
[…]”. Quale conclusione trarre? Seguendo quanto fatto da Burke, possiamo
collocare tutti i limiti della condotta umana sotto le categorie dell’ “ignoranza e
fallibilità”. E’ una situazione che nessuna causa può modificare. E ciò pone in
chiaro che, quale che sia il raggruppamento sociale dentro cui viviamo, “la
principale caratteristica della gerarchia dominante non è la conoscenza ma
l’ignoranza […]”. Quindi Mandeville e i moralisti scozzesi non hanno pensato
di “prescrivere” la virtù o di dire in positivo quale contenuto gli uomini
debbano dare alle loro azioni. Hanno invece cercato di individuare le
condizioni che impediscono a ciascuno di danneggiare l’altro. E’ il completo
abbandono dell’idea di “perfezione umana”.16
3.2. Le radici dei totalitarismi
“La società aperta e i suoi nemici” fu pubblicata nel 1945. Quest’opera,
considerata come “capolavoro” di filosofia politica,definita dal filosofo stesso
“opera di guerra”. maturò durante il lungo periodo di esilio di Popper in Nuova
Zelanda.
16
L. INFANTINO, Potere, La dimensione politica dell’azione umana ,Rubbettino Editore, Soveria
Mannelli 2013,pp. 176, 177, 178, 179, 180
23
Le radici del totalitarismo sono individuate dal filosofo già a partire da Platone
nella teorizzazione della “città ideale”, grande utopia autoritaria.
Tuttavia “Platone e Agostino hanno affermato, anche se in modo differenziato,
l’esistenza di una conoscenza privilegiata, che è posseduta del Redentore (il
filosofo o cristo) e che si diffonde agli altri tramite la conversione. E’ la verità
religiosa. Essa è connotata da una ben precisa certezza:quella di riplasmare
l’uomo e il mondo.[…]. Tramite la conversione o la rivelazione, l’uomo
diviene in tal modo partecipe di una verità che salva,cioè a dire una verità
salvifica.”.
17
Platone ha fra l’altro scritto che il legislatore “non deve
assolutamente risparmiarsi,deve utilizzare tutte le proprie risorse per
convincere che “gli dei esistono”, persuadere che, “ da parte di colui il quale ha
cura dell’universo, tutto è stato coordinato per la conservazione e il bene
dell’insieme, e che è perfino ogni singola parte di esso, entro i limiti del
possibile, subisce e fa ciò che deve subire e fare”, perché “ciascuna di tali parti
è stata posta sotto il comando di capi,che,stando momento per momento attenti
alla pur minima affezione ed azione, fanno si che il tutto perfettamente si
compia, sin nelle ultime suddivisioni di esse”. Il politico è il “pastore divino”
che deve allevare e guidare il “gregge”. Depositario della “scienza del bene e
del male” , il legislatore deve decretare: “A chiunque è vietato avere santuari in
casa propria, e se risulta che qualcuno ne possieda, o compia sacre cerimonie al
di fuori di quelle pubbliche […] venga denunciato ai custodi delle leggi […], i
quali, dopo aver tradotto il colpevole in tribunale, lo processeranno per
empietà”. E’ così che la religione giustifica il potere pubblico e diviene la fonte
17
Ivi, p. 86
24
esclusiva e obbligatoria della verità. Non c’è alcuna possibilità di scelta”.18 A
questo punto, dato che il “male” coincide con l’autonomia individuale, può
essere sradicato: “il filosofo prenderà lo Stato e i caratteri degli uomini come
fossero una tela, cercando innanzi tutto di renderla il più possibile
pulita,procedendo alla selezione purificatrice […]. E se la conversione non si
realizza, se non si riesce a trasformare interiormente l’uomo, si agisce sulle
condizioni esterne: s’impone la verità obbligatoria e si procede alla “selezione
purificatrice”.19
Lo stato perfetto di Platone, infatti, è fondato su distinzioni di classe
estremamente rigide è uno stato di casta. Il problema della eliminazione della
lotta di classe è risolto conferendo alla classe dirigente una superiorità che non
può essere contestata (si veda Sparta). Custodi, guerrieri e classe lavoratrice.
Le caratteristiche del mondo di Platone sono quindi definite da due mondi: uno
terreno e uno dell’aldilà. Su questa terra coesistono virtuosi e malvagi. Platone
quindi sostiene che fin quando la repubblica non sarà progettata non ci sarà una
sola città , bensì due che vivono sullo stesso suolo: quella dei ricchi e quella
dei poveri, questi soggetti sono in continua disparità. Popper quindi accusa
Platone di essere nostalgico della società chiusa, sebbene fosse un grande
uomo, commise proprio questo errore e cioè di aver “teorizzato” la società
chiusa. Popper infatti scrive: “Platone fu costretto a combattere il libero
pensiero e il perseguimento della verità; fu indotto a difendere la menzogna, i
miracoli politici, la superstizione dei tabù, la soppressione della verità e, alla
fine, la violenza brutale”. Quindi: “La lezione che noi […] dovremmo
apprendere da Platone è esattamente l’opposto di quanto egli vorrebbe
19
L. INFANTINO, Potere, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2013, p. 88
25
insegnarci. E’ una lezione che non deve essere dimenticata. Per quanto
eccellente fosse la sua diagnosi sociologica, lo sviluppo stesso di Platone
dimostra che la terapia che raccomandava è peggiore del male che tentava di
combattere”. 20 Ora, l’individualismo ha come base la proprietà privata. Se
questa viene meno, o sottoposta a stretto controllo, perisce così non solo il
processo economico-sociale, ma anche il dialogo politico. “L’abolizione o il
controllo della proprietà privata sono quindi uno dei mezzi attraverso cui
sopprimere l’individualismo e la cooperazione volontaria. Occorre colpire
anche la proprietà personale, che è la base materiale della scelta.
Irriducibilmente ostile all’autonomia individuale, Platone ha attribuito a se
stesso il monopolio della conoscenza e ha invocato la soppressione della
proprietà privata. Ha presentato gli attori della democrazia ateniese come dei
“faziosi” che “si fan guida da di grandiosissime, false immagini”, come
“insigni mimi e ciarlatani” che “divengono fra i sofisti i sofisti più grandi”.21
Sulla scia di Platone, anche Hegel sarebbe stato, secondo Popper, un nemico
della società aperta e un teorizzatore del totalitarismo, in quanto difensore del
carattere assoluto dello stato. Infatti “"L'universale va creato nello stato" scrive Hegel - lo Stato è l'Idea Divina quale esiste in terra… Deve onorarsi lo
Stato come un che di mondano - divino e ritenere che, se è difficile intendere la
natura, è anche infinitamente più ostico comprendere lo Stato…L'ingresso di
Dio nel mondo è lo Stato…Si cade facilmente nell'errore di dimenticare…
l'organismo interiore dello Stato stesso…Allo stato compiuto appartiene
essenzialmente la coscienza, il pensiero, pertanto lo Stato sa ciò che vuole…Lo
20
21
KARL RAIMUND POPPER, La società aperta e i suoi nemici, ArmandoEditore, Roma 2002, p. 8
L. INFANTINO, Potere, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2013, p. 100
26
stato è reale… la vera realtà è necessità: ciò che è reale è necessario in sé…Lo
Stato… esiste per sé stesso…Lo Stato è la vita morale concretamente esistente,
effettivamente realizzata. Questa selezione di affermazioni basta a dimostrare il
platonismo di Hegel e la sua insistenza sull'assoluta autorità morale dello stato,
che sopravanza ogni moralità personale, ogni coscienza. Si tratta, naturalmente,
di un enfatico e isterico platonismo, ma ciò non fa che rendere più evidente il
collegamento del platonismo con il totalitarismo moderno. Ci si potrebbe
chiedere se, con questi servigi e con la sua influenza sulla storia, Hegel non
abbia provato il suo genio. Io non ritengo che questa domanda sia molto
importante, dal momento che è soltanto conseguenza del nostro romanticismo
il fatto che noi pensiamo tanto in termini di "genio"; e, a parte ciò, non credo
che il successo provi alcunché o che la storia sia il nostro giudice; questi dogmi
fanno piuttosto parte dell'hegelismo. Ma, per quanto riguarda Hegel, non penso
neppure che fosse un uomo di talento. Egli è uno scrittore indigeribile e, come
anche i suoi più ardenti apologisti devono ammettere, il suo stile è
"indiscutibilmente scandaloso". E, per quanto riguarda il contenuto dei suoi
scritti, egli è eccelso solo nella sua eccezionale mancanza di originalità. Non
c'è nulla negli scritti di Hegel che non sia stato detto meglio prima di lui. Non
c'è nulla nel suo metodo apologetico che non sia stato preso a prestito dai suoi
predecessori apologetici. Ma questi pensieri e metodi presi a prestito da altri
egli li consacrò, con convergenza di intenti, ma senza particolare brillantezza, a
un solo scopo: combattere contro la società aperta e così servire il suo datore di
lavoro, Federico Guglielmo di Prussia. La confusione e lo scardinamento della
ragione operati da Hegel in parte risultano necessari come mezzi a questo fine,
in parte invece sono una più accidentale ma naturalissima espressione del suo
stato d'animo. E tutta la vicenda di Hegel non sarebbe certo degna di essere
27
riferita, se non fosse per le sue più sinistre conseguenze, che mostrano quanto
facilmente un clown possa diventare un "creatore di storia". La tragicommedia
della nascita "dell'idealismo tedesco", nonostante gli orrendi crimini ai quali ha
portato, assomiglia, più di qualunque altra, a un'opera buffa, e questi inizi
possono aiutarci a spiegare perché è così difficile decidere, a proposito dei suoi
più tardi eroi, se sono fuggiti dalla scena delle grandi opere teutoniche di
Wangner o dalle farse di Offenbach”.22
Secondo Popper, quindi, l’hegelismo è l’arsenale dei movimenti totalitari da
cui hanno tratto le loro armi concettuali il nazismo e il fascismo. Queste due
tipologie di totalitarismi “sono completamente sconfitti, ma devo riconoscere
che la loro caduta non significa la sconfitta delle barbarie e delle brutalità. Al
contrario, è inutile chiudere gli occhi di fronte al fatto che queste due odiose
ideologie conseguirono una specie di vittoria nella sconfitta. Si deve
riconoscere che Hitler è riuscito a degradare i criteri morali dell’Occidente, e
che nel mondo d’oggi c’è più violenza e forza bruta di quanta sarebbe stata
tollerata perfino nella decade successiva alla prima guerra mondiale”.23
22
KARL RAIMUND POPPER, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma 2002, pp.
282, 283
23
M. BALDINI, Introduzione a Karl Raimund Popper, Armando Editore, Roma 2002, p. 15
28
IV.
Il collettivismo metodologico
4.1. Collettivismo e individualismo metodologico
Popper in “miseria dello storicismo” scrive: “[…] la maggior parte degli
oggetti della scienza sociale , se non tutti, sono astratti; sono costruzioni
teoretiche. (Ad alcuni sembrerà strano, ma perfino la “guerra” e “l’esercito”
sono concetti astratti. Uomini uccisi, uomini in divisa ecc. - ecco ciò che è
concreto). Questi oggetti, queste costruzioni teoretiche di cui ci serviamo per
interpretare le nostre esperienze, risultano dalla costruzione di certi modelli
(specialmente di istituzioni), per spiegare certe esperienze […]. E’ vero che
spessissimo non ci rendiamo conto che stiamo adoperando delle teorie, e che ci
illudiamo che i nostri modelli teorici siano delle “cose”, ma questo è un genere
di errore comunissimo”. In realtà, - prosegue Popper – “il compito di una teoria
sociale è di costruire ed analizzare i nostri modelli sociologici attentamente in
termini descrittivi e
nominalistici, cioè in termini di individui, dei loro
atteggiamenti, delle loro speranze, dei loro rapporti, ecc. – postulato che
possiamo chiamare individualismo metodologico”.24
“All’individualismo metodologico, come ormai sappiamo, si oppone il
collettivismo metodologico. E tipica del collettivismo metodologico è la sua
tendenza a trattare certi “insiemi” quali “società” o “economia” o “capitalismo”
24
D. ANTISERI, L. Pellicani, L’individualismo metodologico:una polemica sul mestiere dello
scienziato, Franco Angeli Editore, Milano 1995, p. 41
29
(come “fase” storica determinata) o una particolare “industria” o “classe” o
“nazione” come oggetti dati, in se stessi compiuti, le cui leggi possiamo
scoprire osservando il loro comportamento come “insiemi”. Una convinzione
del genere, tanto diffusa e tanto radicata, è dovuta anche al fatto che
“l’esistenza, nell’uso corrente, di termini come “società” o “economia” è
ingenuamente considerata come prova evidente dell’effettiva esistenza di
determinati “oggetti” che a quei termini concretamente corrispondono. il fatto
che tutti parlino di “ nazione” o di “capitalismo” porta a credere che il primo
passo nello studio di quei fenomeni, debba consistere nell’andarne a verificarne
l’aspetto, esattamente come ci si comporterebbe nei confronti di una certa
roccia o di un certo animale”.25
Infatti “ Alla base di tutta la costruzione umana c’è quindi un collettivismo
politico, generato dalla paura della “grande società”. Il collettivismo ontologico,
L’affermazione cioè che non esiste l’individuo,è allora la semplice
giustificazione di un programma politico totalizzante. A sua volta, il
collettivismo metodologico, ossia la pretesa di annullare le preferenze
individuali e di dare una “organizzazione” unitaria alla società, è il mezzo
attraverso cui mettere in pratica quel programma politico; ecco perché Hayek
ha scritto che, senza il collettivismo metodologico, il collettivismo politico è
“completamente privo della sua base intellettuale”; se infatti “manca la
presunzione che la ragione […] cosciente possa comprendere tutti i fini e tutto
il sapere della “società” o dell’ “umanità, resta senza fondamento la
25
Ibidem.
30
convinzione che questi fini si possano conseguire meglio per mezzo di una
direzione centrale cosciente”.26
4.2. Il principio di “falsificazione” e la critica a Karl Marx
Karl Marx, secondo Popper, fu un teorico del collettivismo totalitario. Ne “La
società aperta e i suoi nemici” Popper infatti afferma: “Marx fu, a mio avviso,
un falso profeta. […]. Marx è responsabile della rovinosa influenza del metodo
di pensiero storicista tra i ranghi di quanti vogliono far avanzare la causa della
società aperta”27
Ora,
la
difesa
della
democrazia
comporta
per
Popper
la
critica
dell’atteggiamento rivoluzionario.
“Esso sorge, secondo Popper, da un sogno utopistico di perfezione e di
armonia che non può fare e meno di generare violenza: l’idea di una società
che deve essere necessariamente bella come un’opera d’arte, porta
inevitabilmente ad adottare misure violente, in quanto il politico, in virtù di
questo ideale estetico, si sente portato a liquidare e ad eliminare le istituzioni
esistenti. Al metodo rivoluzionario Popper, che è dichiaratamente e
manifestamente contrario all’uso della violenza, ritenuta dal suo punto di vista
ammissibile soltanto per abbattere la tirannide ed instaurare la democrazia,
contrappone un riformismo gradualista, basato cioè sull’attuazione di interventi
limitati e graduali e sul confronto dei risultati previsti con quelli effettivamente
26
L. INFANTINO, L’oridine senza piano. Le ragioni dell’individualismo metodologico, Armando
Editore, Roma 2011, p. 85
27
KARL RAIMUND POPPER, La società aperta e i suoi nemici, Armando Editore, Roma 2002, p.
338
31
raggiunti, prestando inoltre sempre molta attenzione ad individuare le
conseguenze di ogni riforma adottata. Il metodo riformista dei “piccoli passi”
di Popper presenta dal suo punto di vista, rispetto al metodo rivoluzionario,
alcuni evidenti vantaggi:
-
non promette “paradisi” che poi alla fine dei fatti si trasformano in inferni;
-
non pone fini assoluti tali da giustificare l’impiego dei mezzi più ripugnanti
per il loro raggiungimento;
-
procede per via sperimentale ed è pronto a correggere mezzi e fini in base
alle circostanze concrete;
-
riesce e dominare meglio i mutamenti sociali, senza cadere in situazioni
difficili ed impreviste, tali da facilitare l’avvento di dittature.”28
Per quanto concerne la posizione di Popper circa il marxismo, egli elabora, in
prima battuta, un giudizio positivo nei confronti del pensiero di Marx, che
apprezza per la sua onestà intellettuale. Il valore del pensiero marxiano a suo
avviso risiede nel tentativo di applicare metodi razionali ai problemi più
urgenti della vita sociale del suo tempo: l’interesse che Marx evidenzia nei
confronti della società è di ordine pratico e Popper giudica positivamente lo
sforzo compiuto da Marx stesso di utilizzare la conoscenza quale mezzo per
promuovere il progresso dell’uomo. Ma a questo giudizio positivo fanno
seguito numerose critiche, che possono essere ricondotte a due aspetti, la
critica al metodo e la critica ai contenuti.
“Prima di affrontare in dettaglio le critiche che Popper rivolge a Marx rispetto
al metodo, è opportuno far riferimento alle principali dottrine epistemologiche
28
ROBERTA MUSOLESI, Le critiche al marxismo di Karl Popper,
http://www.filosofico.net/poppercriticamarx.htm
32
di Popper, che rappresentano sicuramente il contributo più significativo del suo
pensiero. Le sue riflessioni in questo ambito prendono l’avvio con la critica
dell’idea secondo la quale le teorie scientifiche debbono essere viste come
costruibili esclusivamente su base fattuale e secondo un procedimento
induttivo che va appunto dai fatti alle generalizzazioni.
Popper focalizza l’attenzione, in primo luogo, sul momento della produzione di
una nuova teoria. La comparsa di una congettura o di una teoria è a suo avviso
accompagnata da elementi intuitivi e fantastici che non è possibile analizzare
razionalmente: questo processo non può essere riprodotto artificialmente e non
esistono macchine che, anche se opportunamente programmate dall’uomo,
siano in grado di sostituire la funzione generativa del genio. D’altra parte, però,
secondo Popper, la genesi di una congettura non ha alcun peso per il giudizio
che di questa verrà formulato, giudizio che è invece la sola cosa che conta in
riferimento alla razionalità. Bisogna quindi operare una distinzione netta fra
contesto della scoperta, che è di pertinenza della psicologia della conoscenza, e
contesto della giustificazione, in cui, mediante un procedimento di
ricostruzione razionale, è possibile vagliare le ipotesi e le congetture,
qualunque sia stata la loro genesi. Secondo Popper, sulla base di un luogo
comune profondamente radicato, una teoria risulta scientifica nella misura in
cui può essere verificata dall’esperienza; il verificazionismo, in realtà, dal suo
punto di vista, non è altro che una pura e semplice utopia perché, per verificare
completamente una teoria o una legge, occorrerebbe aver presenti tutti i
possibili casi, cosa che in concreto non è possibile: da una collezione, per
quanto ampia, di casi particolari non potrà mai scaturire una legge universale.
La verificazione non è quindi in grado, secondo Popper, di delineare lo status
giuridico di una teoria e il modello di verifica che egli elabora e definisce è
33
basato, al contrario, sul principio di falsificabilità: una teoria è scientifica
quando può essere smentita dall’esperienza e quando i suoi enunciati possono
risultare in potenziale conflitto con eventuali osservazioni. Una teoria che
quindi non possa venir contraddetta da nessuna osservazione non è per Popper
in grado di affermare nulla di scientificamente valido sul mondo; al contrario,
più numerose sono le possibili esperienze falsificanti, cioè i falsificatori
potenziali cui una teoria può far riferimento, più ricco apparirà il suo contenuto
empirico e scientifico. Il principio di falsificabilità è il criterio in base al quale
Popper separa le scienze dalle pseudoscienze: queste ultime, come il marxismo
e la psicanalisi, escono indenni dall’applicazione di ogni forma di verificazione
poiché ogni loro tesi, anche la più bizzarra e insolita, viene fatta accordare con
i fatti attraverso ragionamenti più o meno sottili. Le pseudoscienze quindi sono
sempre verificabili e mai falsificabili e confutabili, mentre, al contrario, le
scienze possono essere certamente verificabili, ma saranno vere scienze se
saranno anche e soprattutto falsificabili o confutabili. L’inconfutabilità di una
scienza non è, per Popper, una virtù di quella scienza, bensì un vizio e il
criterio dello stato scientifico di una teoria è pertanto la sua confutabilità.
Relativamente invece alle critiche nei confronti del pensiero marxiano, Marx
stesso, afferma Popper, propone il suo pensiero prima di tutto come un metodo,
il cui fine sarebbe quello di studiare le cause e gli effetti storici e, sulla base di
questi, cercare di formulare una profezia circa l’avvento del socialismo. Il
metodo marxiano, quel materialismo storico che, secondo Popper, esprime la
più totale fiducia nella predizione scientifica, è caratterizzato da due
fondamentali vizi di forma:
-
determinismo ( influenza di Laplace): secondo Marx, che per Popper in
queste sue affermazioni dimostra di non aver letto correttamente Laplace, la
34
scienza può predire il futuro solo se questo è rigidamente predeterminato; il
metodo scientifico quindi, basandosi su un rigido determinismo, può
individuare le cause che determinano gli sviluppi sociali. Secondo Popper,
invece, scientifico e deterministico non sono sinonimi e non è vero che
l’adozione di un metodo scientifico debba necessariamente favorire
l’assunzione di una prospettiva di rigido determinismo: è possibile infatti
utilizzare un metodo scientifico ed approdare ad un sapere indeterminato;
-
confusione fra predizione scientifica (dall’inglese prediction), che indica in
effetti la previsione propria della scienza, e profezia storica generale, che
indica le linee di sviluppo complessivo della società, ma che non assume, a
differenza della prima, carattere scientifico.
Il materialismo storico di Marx, secondo Popper, in quanto storicismo, quindi
convinto della possibilità di prevedere il corso degli eventi storici, e
economicismo, fondato cioè sulla convinzione che l’organizzazione economica
della società sia fondamentale per tutte le formazioni sociali, presenta alcuni
aspetti contraddittori, che lo portano ad essere smentito storicamente e che
sono in particolare rappresentati da: a) incongruenza fra l’evoluzione
effettiva della rivoluzione russa e la teoria marxiana del rapporto tra
rivoluzione politica e rivoluzione sociale: secondo Marx, la rivoluzione sociale
si evolve secondo le seguenti tappe:
-
le condizioni materiali di produzione crescono fino a generare una
condizione di conflitto insanabile fra i soggetti che producono e le stesse
condizioni materiali;
-
comincia la rivoluzione sociale che sconvolge la base economica e con essa
quella sociale, politica e culturale, cioè la sovrastruttura;
-
si innestano nuovi rapporti di produzione.
35
Secondo Popper, questa evoluzione non è in alcun modo identificabile e
riconducibile agli esiti della rivoluzione russa, cosa che mette in discussione il
carattere
predittivo
di
tutta
l’impalcatura
metodologica
di
Marx;
b) sopravvalutazione delle condizioni materiali: secondo Popper, l’interazione
fra condizioni economiche ed idee non è sempre unidirezionale, nel senso di
una dipendenza stretta delle seconde dalle prime, in quanto esistono idee che
sono più forti dei mezzi di produzione: se si ammette, per assurdo, che possa
essere interamente distrutto un sistema economico, la conoscenza scientifica
che permane e sopravvive sarebbe in grado di consentire la completa
ricostruzione del sistema economico stesso, ma non vale certamente il percorso
contrario;
c) l’economicismo radicale viene smentito dagli stessi sviluppi del marxismo:
secondo Popper, infatti, proprio dopo la rivoluzione russa, Lenin si trovò privo
di idee veramente valide su cui costruire l’impalcatura economia sovietica e
realizzare concretamente la rivoluzione, segno questo che l’abbattimento delle
vecchie forme di produzione non conduce necessariamente all’instaurazione di
nuove forme e che la struttura economica non è prioritaria rispetto alle idee, ma
che sono queste invece ad assumere una posizione di maggiore rilevanza”.29
Come affermato sopra, Marx, secondo Popper, fu un falso profeta perché
nessuna delle sue profezie si è rivelata.
“Le critiche popperiane alla dottrina di Marx sono riconducibili a:
a)
critica alla dottrina marxiana delle classi
b) critica alla dottrina marxiana dello stato
c)
29
critica alla profezia finale dell’avvento del socialismo.
Ibidem.
36
a)
critica alla dottrina marxiana delle classi
Secondo Marx, la storia di ogni società è una storia di classi e tutta la storia è
storia di lotta di classe. Ciò significa che il destino dell’uomo non è il prodotto
della guerra delle nazioni, come affermava anche Hegel, ma è determinato
dalla guerra fra le classi sociali. Secondo Marx, che parte dal presupposto che
in nessuna società si è mai stati o si è liberi, ci si può liberare ed emancipare
dal lavoro produttivo solo facendo fare ad altri, al posto nostro, il lavoro
faticoso, rendendo quindi alcuni nostri simili schiavi e dividendo il genere
umano in:
-
classe dirigente à si libera da vincolo che la lega al lavoro produttivo ed
ottiene libertà
-
governati à divengono schiavi e la classe dirigente è costretta a combatterli e
a reprimerli
I governanti e i governati si trovano quindi, socialmente e storicamente, a
combattere gli uni contro gli altri.
Dal punto di vista storico, inoltre, secondo Marx, i sistemi sociali sono poi
soggetti a variare col mutare delle condizioni di produzione e pertanto ad ogni
periodo di sviluppo economico corrisponde uno specifico sistema sociale. Le
relazioni di classe, nell’ottica marxiana, sono indipendenti dalla volontà degli
individui: essi sono come “ciechi” perché è il sistema di classe che induce ogni
individuo a credere che gli interessi di classe siano i suoi propri interessi;
quindi, da questo punto di vista, né l’operaio, né il capitalista hanno colpe e si
comportano pertanto così come il sistema li obbliga a comportarsi. Secondo
Marx tuttavia, nonostante le classi non possano modificare volontariamente il
sistema, tutte contribuiscono alla sua trasformazione: il capitalista, infatti,
37
spingendo l’umanità alla produzione per la produzione, costringe il sistema
sociale alla creazione di condizioni materiali di produzione che possono
costituire la base reale di una forma superiore di società, il cui principio sia lo
sviluppo pieno e libero di ogni individuo. Queste condizioni si raggiungono,
secondo Marx, attraverso l’autocoscienza, attraverso cioè quel percorso
mediante il quale la classe operaia giunge ad acquistare consapevolezza della
propria situazione oggettiva di classe e della lotta di classe.
Popper, pur apprezzando Marx per il suo tentativo di usare la logica della
situazione di classe per spiegare il funzionamento delle istituzioni proprie del
sistema industriale, ritiene la dottrina delle classi sociali una semplificazione:
-
eccessiva, in quanto viene interpretata da Marx stesso come “meccanismo
inevitabile” di spiegazione delle trasformazioni della società nel suo
complesso, in ogni tempo e in ogni luogo, mentre dovrebbe semplicemente
porsi come una delle possibili angolazioni da cui spiegare l’evoluzione della
società;
-
pericolosa, perché porta ad interpretare tutti i conflitti politici in termini di
lotta fra sfruttati e sfruttatori
b) critica alla dottrina marxiana dello Stato
Marx non ha scritto nessuna opera di teoria dello Stato in senso stretto, ma ha
presentato in tutti i suoi scritti più importanti riflessioni ed annotazioni
sull’argomento, riprese nel Novecento dai sostenitori del pensiero marxista.
Nella prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859, Marx
afferma molto chiaramente che le diverse forme dello stato non possono essere
comprese per se stesse o sulla base dell’evoluzione generale dello spirito
umano, ma possono essere effettivamente chiarite solo nel momento in cui
vengono ricondotte alle loro radici economiche, cioè ai rapporti materiali di
38
esistenza. Rovesciando pertanto una lunga tradizione culturale, politica e
filosofica (si veda Hegel) che vedeva nello stato il punto di arrivo e il pieno
compimento di tutte le forme di società pre-statali, Marx considera lo stato
come sovrastruttura rispetto alla società civile, che è invece il luogo vero in cui
si svolgono e si concretizzano i rapporti materiali di esistenza. Nel Capitale
Marx definisce pertanto lo stato come il luogo della violenza concentrata ed
organizzata nei confronti della società civile e prospetta un processo che deve
necessariamente condurre all’estinzione dello stato stesso e alla sua riduzione a
quella che è la sua vera radice, appunto la società civile: è la vita materiale
degli individui, cioè il modo di produzione e la forma delle relazioni, che
costituisce la base reale dello stato, quindi non è il potere dello stato che crea
questi rapporti, ma sono i rapporti stessi che creano lo stato. Lo stato cui si
riferisce Marx è ovviamente lo stato moderno, sovrastruttura di una società
civile dominata dagli interessi della borghesia. Lo stato borghese, quindi,
compresa la democrazia rappresentativa, è per Marx un insieme di apparati
istituzionali ed ideologici che sono funzionali alla borghesia stessa per
esercitare il suo dominio di classe. Visti in questo modo, lo stato e i suoi
meccanismi non possono tuttavia essere considerati strumenti tecnici neutrali,
tali cioè da poter essere utilizzati anche a vantaggio del proletariato: lo stato,
per Marx, è certamente una macchina, ma non tale da poter essere utilizzata da
ognuno (dove “ognuno” si intende ogni classe sociale) a proprio arbitrio, ma
risponde sempre e comunque alle necessità della classe dominante, che è
portata a forgiare una macchina statale adattata alle proprie esigenze.
Popper cerca, in primo luogo, di individuare le conseguenze della dottrina dello
stato di Marx, che sono riconducibili a:
39
-
impotenza della politica nel determinare la realtà economica à tale
conseguenza è per Popper paradossale rispetto all’importanza storica che il
marxismo ha assunto proprio come stimolatore delle masse nei confronti della
partecipazione politica. Secondo Popper, i marxisti potrebbero obiettare a Marx
che l’azione politica, lungi dall’essere ininfluente, ha avuto la funzione di:
risvegliare la coscienza di classe ed ottenere migliori condizioni per i
lavoratori.[…].
Per Popper, quindi, l’ordine proposto da Marx, potere reale economico –
rapporti economici fra le classi – potere politico, deve essere invertito, in
quanto il potere politico può e deve controllare il potere economico; quella che
secondo Marx è mera libertà formale, cioè la democrazia, diviene in Popper la
base di ogni altra libertà, poiché sancisce il diritto di un popolo di giudicare e
far cadere il proprio governo. Le proposte che Popper avanza pertanto dal
punto di vista politico sono:
-
riformismo gradualista: per evitare gli abusi di qualsiasi potere statale
occorrono istituzioni che siano in grado di proteggere i cittadini dagli abusi di
una libertà illimitata, che distrugge se stessa in quanto implica ed ammette il
potere e la supremazia del forte sul debole. I cittadini hanno quindi il diritto di
esigere dallo stato protezione dalla violenza fisica e dagli abusi di potere
economico;
-
interventismo economico: il capitalismo sfrenato deve essere, secondo
Popper, pianificato e controllato, sempre nel rispetto della libertà; l’intervento
dello stato deve limitarsi perciò a quanto strettamente necessario per la
protezione della libertà stessa.
c) critica alla profezia finale dell’avvento del socialismo
40
Quella che Popper definisce “profezia di Marx” è riconducibile a tre
argomentazioni marxiane sviluppate nel Capitale:
I.
il metodo di produzione capitalistico, che porta progressivamente ad un
incremento della produttività del lavoro connesso con i miglioramenti tecnici e
con il moltiplicarsi dei mezzi di produzione, ha come tendenza generale quella
di determinare un accumulo di ricchezza sempre maggiore nelle mani di un
numero sempre minore di persone, con conseguente aumento della miseria da
un lato e della ricchezza dall’altro;
II.
tutte le classi intermedie scompaiono, ad eccezione della borghesia
dirigente e di una vastissima classe di lavoratori sfruttati; la tensione fra queste
due classi porta inevitabilmente alla rivoluzione sociale;
l’esito della rivoluzione sociale, la vittoria dei lavoratori sulla borghesia,
III.
sarà seguito dall’affermazione di una società senza classi, perché costituita in
effetti da una sola classe, il proletariato; in questa società, la società socialista,
non vi sarà alcuna forma di sfruttamento.
Popper riprende queste tre argomentazioni, rovesciandone l’ordine, per poter
comprendere meglio se le conclusioni derivino effettivamente dalle premesse.
Il suo ragionamento si sviluppa nel seguente modo:
I argomentazione
premesse:
1)
lo sviluppo del capitalismo porta all’eliminazione di tutte le classi, eccettuate
la borghesia ed un immenso proletariato;
2)
la miseria in cui versa il proletariato lo induce a rivoltarsi contro la borghesia
sfruttatrice
conclusioni:
41
a)
i lavoratori devono vincere la lotta
b) la borghesia viene eliminata
c)
si instaura una società senza classi
Secondo Popper le conclusioni a) e b) discendono dalle premesse 1) e 2)
perché, senza più una classe di sfruttati che garantiscono la sua sussistenza
materiale, lo sfruttatore scompare e muore, mentre lo stesso non accade allo
sfruttato, che quindi da questo conflitto esce vincitore. La conclusione c)
invece, secondo Popper, non discende necessariamente da nessuna delle
premesse perché, anche qualora si ammetta la permanenza di una sola classe, il
proletariato, ciò non implica assolutamente che poi questo, vinto il nemico
comune rappresentato dal capitalismo, non giunga a dividersi nuovamente in
classi.
In definitiva, gli sviluppi storici possibili di una rivoluzione vittoriosa del
proletariato possono, per Popper, essere molteplici e il fatto di credere
intensamente in uno non significa che questo poi effettivamente e
necessariamente si verificherà.
II argomentazione
premessa: il capitalismo porta ad un aumento della ricchezza e della miseria
conclusioni:
a)
scompaiono tutte le classi, eccetto la borghesia e il proletariato, il quale
acquisterà sempre maggiore consapevolezza e sarà quindi sempre più unito
b)
la tensione fra borghesia e proletariato porterà inevitabilmente ad una
rivoluzione proletaria.
Secondo Popper, né la conclusione a), né la b) discendono dalla premessa e
Marx non tiene conto di molti altri possibili sviluppi. In particolare, rispetto
alla questione della scomparsa di tutte le classi, eccetto borghesia e
42
proletariato, Popper obietta che tale considerazione può essere valida se
applicata alla situazione storica che Marx aveva in mente, cioè il capitalismo e
il proletariato industriali, ma non tiene conto degli orientamenti del mondo
rurale, che non è detto che debba condividere le scelte del proletariato
industriale, di quelli di alcuni settori del proletariato (quella che Marx definiva
“plebaglia” perché disposta a vendersi al nemico di classe), che non
condividono la coscienza di classe degli stessi proletari, e del fatto che la stessa
comune condizione di miseria dei proletari non è detto che debba condurre
necessariamente alla fiducia nel successo della rivoluzione.
In conclusione Popper, rispetto alla possibilità della permanenza di due sole
classi, borghesia e proletariato, afferma appunto che si tratta di una possibilità
fra molte altre e che, come tale, può verificarsi, ma potrebbe anche non darsi.
Rispetto alla conclusione b), che fa riferimento all’inevitabilità della
rivoluzione data la crescente tensione fra borghesia e proletariato, Popper
critica in primo luogo l’idea della rivoluzione sociale elevata a “concetto
storico”, cioè a inevitabile fase di passaggio dal capitalismo al socialismo, che
non è detto, tuttavia, come Popper sostiene, che debba darsi necessariamente, e
secondariamente la componente violenta legata al concetto di rivoluzione
sociale. Popper, che non è contrario alla violenza in senso assoluto, ritiene che
qualsiasi rivoluzione debba portare solo all’affermazione della democrazia,
intesa, dal punto di vista popperiano, come insieme di istituzioni che
permettono il controllo pubblico dei governanti e la loro destituzione da parte
dei governati, i quali, a loro volta, attraverso le suddette istituzioni, debbono
poter ottenere riforme senza ricorrere alla violenza.
Popper parla, a proposito dell’atteggiamento del marxismo nei confronti della
violenza, di “sistematica ambiguità”, aspetto che rappresenta, a suo avviso,
43
l’elemento più dannoso del pensiero marxista stesso; tale ambiguità si
manifesta sia nell’atteggiamento generale nei confronti della violenza, che
diviene categoria storica dotata del carattere dell’ineludibilità (se lo stato è
tirannide esercitata dalla borghesia, la violenza è consentita e pienamente
giustificata e tutto ciò che si può e si deve fare è sostituire alla dittatura della
borghesia quella del proletariato), sia nel suo possibile impiego: il proletariato,
infatti, secondo Popper, potrà servirsi della violenza non solo nella fase di
conquista del potere politico, ma anche per la sua conservazione, impedendo,
appunto con la violenza, ogni possibile futura trasformazione in senso
democratico.
L’ambiguità che si evidenzia nel modo di intendere la violenza ha una
corrispondenza storica, secondo Popper, con le posizioni delle diverse correnti
del marxismo, riconducibili a:
-
ala radicale: ogni governo di classe è necessariamente una dittatura che va
rovesciata, anche con la violenza se necessario, per instaurare la dittatura del
proletariato;
-
ala moderata: i governi controllati dalla borghesia capitalistica possono
essere rovesciati pacificamente mediante una politica di riforme pacifiche e
graduali.
Secondo Popper, ambedue le posizioni sono contenute e teorizzate nel
Capitale, anche se la seconda, quella che prospetta una riforma graduale del
capitalismo, è in netta contraddizione con la prima, che prospetta invece la
totale distruzione del capitalismo stesso. Alla possibilità di concepire una
riforma del capitalismo Marx pare sia giunto, in età matura, in seguito
all’analisi e alla valutazione delle riforme sociali in Inghilterra, che riconobbe
44
come l’unico paese in cui la rivoluzione avrebbe potuto essere attuata per
intero con mezzi pacifici e legali.
In conclusione, secondo Popper, gli argomenti su cui si basa la profezia
marxiana sono validi: se si constata, infatti, in un determinato momento
storico, il manifestarsi di una certa tendenza o direzione storica, non è possibile
sapere quale aspetto essa potrà assumere in futuro. Secondo Popper, pertanto,
ogni cosa è possibile negli affari umani e non si può escludere alcuno sviluppo,
anche quelli in contrasto con la tendenza al progresso umano o con altre
presunte leggi della natura umana”.30
30
Ibidem.
45
Conclusioni
Giunti all’epilogo di questa trattazione, senza alcun dubbio complessa, notiamo
come il concetto di storicismo faccia da filo conduttore lungo questo percorso.
Come afferma Popper: “lo storicismo è una teoria antichissima”31. Da quanto
insegna il filosofo, coloro i quali si approcciano a questa tematica devono
avere una visione assolutamente “dinamica” della storia, degli eventi, non
“stazionaria”. Questa visione deve essere accompagnata dalla consapevolezza
che nell’operare umano c’è sempre il rischio di fare degli errori, ma con spirito
autocritico bisogna fare attenzione a correggerli in tempo ed , eventualmente, a
cambiare direzione. Popper infatti lancia questo grido di necessità di società
aperta, di democrazia rammentando la condizione di fallibilità in cui versa
l’uomo, senza la presenza di enti che guidino, dettino le leggi, pianifichino il
corso della storia, sfociando poi in orrori e disastri umani. Popper non è di
certo l’unico a sostenere l’individualismo metodologico e la società aperta. E’
pertanto doveroso annoverare figure di spicco nelle scienze sociali come
Ludwig von Mises, Carl Menger, Friedrich von Hayek, carissimo amico di
Popper al quale riconosce proprio l’apprendimento e la condivisione di molte
delle sue teorie e ne dedicò l’opera “Congetture e confutazioni” ( tra l’altro lo
stesso Hayek pubblicò alcune tra le maggiori opere di Popper). Sebbene Karl
Raimund Popper sia scomparso da ventuno anni, il suo pensiero ed il suo
carisma rimangono vivi nelle nostre menti:
31
KARL RAIMUND POPPER, Miseria dello storicismo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano
2013, p. 158
46
“La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve
essere necessariamente infinita”.32
32
BATTAGLIA MARTINO M, Storia e cultura in Karl Raimund Popper, Pellegrini Editore,
Cosenza 2005, p.16
47
Bibliografia:
-
D. ANTISERI, La Sfida Di Popper, Armando Editore, Roma 1981
-
D. ANTISERI, Karl Popper, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2011
-
D. ANTISERI, Karl Popper;protagonista del secolo XX, Rubbettino Editore,
Soveria Mannelli 2002
-
D. ANTISERI, L. Pellicani, L’individualismo metodologico. Una polemica sul
mestiere dello scienziato, Franco Angeli Editore, Milano 1995
-
M. BALDINI, Introduzione a Karl Raimund Popper, Armando Editore, Roma
2002
-
BATTAGLIA MARTINO M, Storia e cultura in Karl Raimund Popper,
Pellegrini Editore, Cosenza 2005, p.16
-
ACHILLE COLUCCI, Popper a confronto. Una lezione di civiltà umana,
Armando Editore, Roma 2013
-
M. DE BARTOLOMEI, V. Magni, I sentieri della ragione, Istituto italiano
Edizioni Atlas, Bergamo 2002
-
L. INFANTINO,
Potere, La dimensione umana dell’azione politica
Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2013
-
L. INFANTINO, L’ordine senza piano. Le ragioni dell’individualismo
metodologico, Armando Editore, Roma 2011
-
KARL RAIMUND POPPER, Miseria dello storicismo, Giangiacomo
Feltrinelli Editore, Milano 2013
-
KARL RAIMUND POPPER, La società aperta e i suoi nemici, Armando
Editore, Roma 2002
48
-
KARL RAIMUND POPPER, Contro Marx, Armando Editore, Roma
2000
Sitografia
-
http://www.emsf.rai.it/
-
http://www.filosofico.net/
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http://www.ilgiardinodeipensieri.eu/
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http://www.indire.it/
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http://www.rethinkecon.it/
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http://www.viaggio-in-austria.it/
49