LA TEORIA COSPIRATORIA DELLA SOCIETA Un altro punto, toccato in questo capitolo è quello dell’autonomia e del compito della sociologia. Come già sappiamo, le filosofie e teologie della storia ci danno interpretazioni totalizzanti delle vicende umane; ma queste interpretazioni, nonostante i loro eventuali meriti (per es. la fecondità nel suggerire ipotesi controllabili) e malgrado gli eventuali danni da esse prodotti (per es. la legittimazione di crudeltà e sofferenze), non costituiscono spiegazioni scientifiche di fatti sociali. Né offre una spiegazione di fatti sociali l'altra teoria, emotivamente accattivante, che Popper chiama la teoria cospiratoria della società (sezione 9). E proprio in connessione con la critica alla teoria cospiratoria della società, Popper delinea in diversi suoi scritti quello che, a suo avviso, è il compito principale delle scienze sociali teoriche, il quale compito consisterebbe nell'analisi delle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali. La questione è troppo importante perché non venga discussa un po' in dettaglio. “Vi è una credenza filosofica della vita molto influente, secondo cui tutte le volte che accade qualcosa di veramente negativo in questo mondo (o che non ci piace) vi deve essere qualcuno che ne sia intenzionalmente responsabile". Questa è, appunto, la teoria cospiratoria della società: dietro un evento indesiderato c'è sempre qualcuno che lo ha voluto; dietro ad ogni evento negativo (povertà, disoccupazione, disastri, guerre, ecc.) c'è sicuramente qualcuno che ha cospirato. La teoria cospiratoria della società è molto comune ed anche molto antica. “In Omero - dice Popper l'invidia e l'ira degli dei erano responsabili per la maggior parte delle terribili cose avvenute nella pianura davanti a Troia e in Troia stessa, e Poseidone fu tenuto responsabile per le disavventure di Odisseo. Nel pensiero cristiano, più tardi, il Diavolo è responsabile dei male, nel marxismo volgare è il complotto di avidi capitalisti ad impedire, avvento del socialismo e l’attuazione del paradiso in terra” La teoria cospiratoria della società - aggiunge sempre Popper - “si potrebbe chiamare la teoria cospiratoria dei mondo. E largamente condivisa e sotto forma della ricerca di capri espiatori ha ispirato molti conflitti politici procurando molte sofferenze evitabili”". La teoria cospiratoria della società è una teoria che, per quanto possa accarezzare i nostri istinti di vendetta, e sebbene ampiamente diffusa ed accettata da tutti i “dietrologi”, è acritica. Con ciò non si vuol dire che congiure non siano esistite nel passato o che oggi esse non vengano mai ordite o che non lo saranno domani. Congiure sono esistite, esistono ed esisteranno. Quel che piuttosto si vuol dire è che non tutti gli eventi e gli istituti sociali sono il frutto intenzionale delle azioni degli uomini; e che, d'altra parte, “le cospirazioni non raggiungono quasi mai i loro scopi”. Insomma, esistono eventi ed istituti sociali di fondamentale importanza la cui genesi non è affatto dovuta ai programmi (e quindi, neanche a congiure) intenzionali di singoli o di gruppi; ed esistono sviluppi di azioni intenzionali (e quindi anche di congiure) che non costituiscono affatto la realizzazione degli scopi intenzionali. Ebbene, se questa tesi è giusta, allora da essa, come vedremo, seguono due conseguenze, di grande rilievo per la teoria delle scienze sociali. La prima di queste due conseguenze è la distruzione dello psicologismo, cioè della pretesa teorica di poter (e dover) spiegare la genesi e tutti gli sviluppi degli eventi e delle istituzioni sociali sulla base di intenzioni psicologiche. La seconda conseguenza - strettamente connessa alla prima - è la riaffermazione deu'autonomia della sociologia; questa non si riduce alla psicologia ed ha compiti propri, come per esempio “quello della scoperta ed esplicazione delle meno ovvie dipendenze che si riscontrano nell'ambito della sfera sociale […] quello della scoperta delle difficoltà che si pongono lungo la vita dell'azione sociale - lo studio, per così dire, della pesantezza, dell'elasticità o della fragilità della materia sociale, della sua resistenza ai nostri tentativi di modellarla e di manipolarla”. La tesi che esistono conseguenze inintenzionali di azioni intenzionali non vuole affatto reintrodurre i “misteri” nella comprensione e spiegazione della vita sociale. Intende piuttosto eliminarli facendoci capire, per dirla con Ferguson, che eventi di importanza vitale per la consistenza umana e lo sviluppo della società sono sempre “risultati dell'azione umana”, sebbene non siano esiti “dell'umano progettare”. IL COMPITO PRINCIPALE DELLE SCIENZE SOCIALI La tesi di fondo della Miseria dello storicismo è che “la credenza diffusa nel determiniamo storico e nella possibilità di predire il corso storico razionalmente o "scientificamente" è una credenza errata”. A siffatta conclusione Popper pervenne fin dall'inverno dei 1919-1920, “dopo la prima guerra mondiale, attraverso una disamina critica del mitico, impellente avvento della Rivoluzione comunista mondiale”. Ma “la tesi circa il carattere pseudoscientifico, pseudostorico e mitico delle filosofie profetiche della storia, come quelle di Hegel o Marx o Spengler, maturò lentamente attraverso gli anni”. Questo ci racconta Popper, il quale aggiunge che con il 1935 tale tesi divenne approssimativamente la traccia di quel lavoro che poi sarebbe apparso con il titolo Miseria dello storicismo. Ebbene, nella sezione 21 della Miseria dello storicismo, Popper sostiene che “il tecnologo o meccanico a spizzico riconosce che solo una minoranza delle istituzioni sociali sono volutamente progettate mentre la gran maggioranza di esse sono venute su, "cresciute" come risultato non premeditato di azioni umane”. Questa tesi, accennata in Miseria dello storicismo, era destinata ad assumere successivamente un posto sempre più centrale nella riflessione popperiana sulla società e il suo funzionamento e soprattutto sul compito delle scienze sociali teoriche. Così, per esempio, nel primo volume de La società aperta e i suoi nemici, allo storicista - preoccupato di scoprire il destino o il vero ruolo svolto dalle istituzioni nello sviluppo della storia, nel senso che esse vengono viste come “volute da Dio” o come “volute dal Fato” o come “obbedienti a importanti tendenze storiche”, ecc. - Popper contrappone il tecnologo sociale gradualista il quale, tra l'altro, “non dimenticherà, per esempio, che esse [le istituzioni] “crescono" in un modo che è simile (benché non assolutamente eguale) alla crescita degli organismi e che questo fatto è di grande importanza per l’ingegneria sociale”. E su questo argomento Popper insiste nel capitolo XIV del secondo volume de La società aperta e i suoi nemici, capitolo in cui egli sferra un attacco a fondo contro lo psicologismo, argomentando a favore dell'autonomia della sociologia. Certo, scrive Popper, “bisogna riconoscere che la struttura del nostro ambiente sociale è, in un certo senso, fatta dall'uomo, che le sue istituzioni e tradizioni umane non sono il lavoro né di Dio né della natura ma, i risultati di azioni e decisioni umane, ed alterabili da azioni e decisioni umane”. Tuttavia, “ciò non significa che esse siano tutte coscientemente progettate e spiegabili in termini di bisogno, speranze e moventi. Al contrario, anche quelle che sorgono come risultato di azioni umane coscienti e intenzionali sono, di regola, i sottoprodotti indiretti, inintenzionali e spesso non voluti di tali azioni”. Quindi: soltanto un piccolo numero di istituzioni sociali sono state o vengono intenzionalmente progettate, mentre la maggioranza di esse è semplicemente cresciuta, venuta su, come risultato imprevisto di azioni intenzionali". E le cose non si fermano qui, giacché, afferma Popper “possiamo aggiungere che anche la maggior parte delle poche istituzioni che sono state progettate coscientemente ed hanno successo (per esempio, una Università di nuova fondazione o un sindacato) non risultano pienamente conformi al progetto: anche in questo caso a causa delle inintenzionali ripercussioni sociali risultanti dalla loro creazione intenzionale. Infatti, la loro creazione non influenza soltanto inoltre altre istituzioni sociali, ma anche la "natura umana": speranze, paure e ambizioni, dapprima di coloro che sono più immediatamente coinvolti e poi spesso di tutti i membri della società”. IL METODO NELLE SCIENZE NATURALI E NELLE SCIENZE SOCIALI E’ UNICO Come tutte le altre scienze, anche le scienze sociali danno o non danno utili risultati, sono interessanti o insulse, fertili o sterili, in diretto rapporto con l'importanza o l'interesse dei problemi di cui si tratta; e naturalmente anche in diretto rapporto con l'onestà e sincerità, la linearità e la semplicità con cui questi problemi vengono affrontati. Non è detto che debba sempre trattarsi di problemi teorici. Seri problemi di carattere pratico come il problema della povertà, dell’analfabetismo, della repressione politica e dell'insicurezza giuridica sono stati importanti punti di partenza della ricerca sociale. Ma questi problemi pratici inducono a riflettere, a teorizzare, e quindi danno luogo a problemi teorici. In tutti i casi, senza eccezione, è il carattere e la qualità del problema (insieme naturalmente al coraggio e all'originalità della soluzione proposta) che determina il valore o meno della prestazione scientifica. Il punto di partenza è dunque sempre il problema; e la osservazione diventa punto di partenza solo se scopre un problema; o, in altre parole, se ci sorprende, se ci mostra che nel nostro sapere - nelle nostre attese, nelle nostre teorie - c'è qualcosa che non torna. Le osservazioni quindi danno luogo a problemi solo se contraddicono a certe attese, coscienti o inconsapevoli. E ciò che poi diventa il punto di partenza del lavoro scientifico non è tanto l'osservazione in quanto tale, quanto l'osservazione in senso peculiare - e cioè l'osservazione che genera problemi. A questo punto sono in grado di formulare la mia tesi principale:[…]. a) Il metodo delle scienze sociali, come anche quello delle scienze naturali, consiste nella sperimentazione di tentativi di soluzione per i loro problemi - i problemi da cui prendono le mosse. Si propongono e criticano soluzioni. Se un tentativo di soluzione non è accessibile alla critica oggettiva, viene scartato appunto per questo come non scientifico, anche se, forse, solo provvisoriamente. b) Se esso è accessibile ad una critica oggettiva, cerchiamo di confutarlo; poiché ogni critica consiste di tentativi di confutazione. c) Se un tentativo di soluzione è confutato dalla nostra critica, proviamo con un altro. d) Se resiste alla nostra critica, lo accettiamo provvisoriamente; lo accettiamo soprattutto come degno di essere ulteriormente discusso o criticato. e) Il metodo della scienza è dunque quello del tentativo (o idea) di soluzione, che viene controllato dalla critica più severa. t una prosecuzione critica del procedimento per tentativi ed errori (“trial and error”. f) La cosiddetta oggettività della scienza consiste nell'oggettività del metodo critico; ma ciò significa, anzitutto, che nessuna teoria si può sottrarre alla critica, e anche che gli strumenti logici della critica (la categoria della contraddizione logica) sono oggettivi.