Edizioni Simone - Vol. 1/2 Compendio di diritto del lavoro Z lavoro Capitolo 2 Il subordinato Sommario Z 1. Le caratteristiche del lavoro subordinato. - 2. Il lavoro autonomo e le differenze con il lavoro subordinato. - 3. La parasubordinazione e il lavoro a progetto. - 4. La compatibilità tra rapporto associativo e lavoro subordinato. - 5. Il lavoro gratuito. - 6. Il lavoro nell’impresa sociale. - 7. Il lavoro accessorio. 1.Le caratteristiche del lavoro subordinato A) Il lavoratore subordinato La disciplina garantista, contenuta nel codice civile e soprattutto nella legislazione speciale, si applica esclusivamente al lavoro subordinato. Nasce quindi l’esigenza di definire il campo di applicazione di tale disciplina, operazione da svolgere in via interpretativa poiché il codice civile non detta una nozione di lavoro subordinato, ma si limita ad individuare una delle parti — il lavoratore — di tale rapporto. L’art. 2094 c.c. qualifica come prestatore di lavoro subordinato colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore». Il codice civile individua, quindi, nella collaborazione, nell’onerosità e soprattutto nella subordinazione i caratteri costitutivi del rapporto di lavoro subordinato. La collaborazione descrive semplicemente il fenomeno della partecipazione di un soggetto all’attività lavorativa di un altro: tale elemento tuttavia non qualifica soltanto il lavoro subordinato, ma anche altre forme di lavoro (lavoro associativo, lavoro autonomo, lavoro parasubordinato, volontariato). Il carattere dell’onerosità si desume direttamente dallo stesso art. 2094 c.c., il quale recita che l’obbligazione lavorativa è assunta dal prestatore «mediante retribuzione»: pertanto, ove si sia in presenza di lavoro subordinato vale una presunzione di onerosità (v. succ. par. 5). Nelle successive lett. B e C, si analizzerà l’elemento fondamentale del lavoro subordinato secondo un’impostazione sia tradizionale che più moderna, cioè la subordinazione intesa come assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporre secondo le mutevoli esigenze di tempo e di luogo e di controllarne lo svolgimento attraverso direttive alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, così come è obbligato a mantenere nel tempo la messa a disposizione delle proprie energie lavorative per il raggiungimento degli scopi produttivi dell’impresa (Cass. 14723/2007). In sostanza, il tratto tipico del rapporto di lavoro subordinato è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore, con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di 26 Z Capitolo 2 lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (Cass. 19-4-2010, n. 9251). Chi è il lavoratore subordinato? Il lavoratore subordinato, secondo la definizione del legislatore, è un soggetto che presta la propria attività lavorativa personalmente, seguendo le istruzioni impartite dal datore di lavoro circa il contenuto e le modalità di svolgimento della prestazione, soggiacendo anche ad eventuali sanzioni disciplinari nell’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni ricevute. Il lavoratore si trova in una posizione di debolezza rispetto al datore di lavoro, ecco perché la legislazione lavoristica ha costruito un vero e proprio impianto di garanzie in suo favore. B) La subordinazione (concezione tradizionale) Il vincolo di subordinazione è la caratteristica fondamentale che individua il contratto di lavoro che ha ad oggetto tale prestazione. Esso è stato variamente individuato a seconda del diverso rilievo assegnato agli elementi indicati dal legislatore nel descrivere la prestazione di lavoro subordinato nell’art. 2094 c.c. In particolare, tradizionalmente, si distingue tra: — subordinazione tecnico-funzionale, che fa riferimento al carattere dell’eterodeterminazione della prestazione, nel senso che il lavoratore subordinato esegue la prestazione dedotta in contratto secondo ordini, direttive ed impostazioni impartite dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori gerarchici. La subordinazione consisterebbe proprio nell’eterodirezione, cioè nella sottoposizione del lavoratore alle direttive del datore di lavoro con cui si determina in concreto l’attività che il lavoratore deve svolgere; — subordinazione socio-economica, imperniata sulla dipendenza o inferiorità economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro. Tale nozione di subordinazione conferisce maggiore rilievo al fatto che la capacità produttiva del lavoratore dipende dall’inserimento nell’organizzazione dell’imprenditore rispetto al quale si trova in una situazione di inferiorità mettendo a disposizione le proprie energie e competenze. C) La subordinazione in senso stretto (concezione moderna) Le nuove modalità di lavoro connesse all’evoluzione della realtà economico-produttiva hanno messo in luce i limiti dei criteri tradizionali utilizzati per ricostruire la nozione di subordinazione. Si è infatti evidenziato, da un lato, che l’eterodeterminazione non qualifica più la prestazione del lavoratore subordinato, in quanto è sempre più caratterizzata da margini di autonomia. Infatti, l’evolversi dei processi produttivi, grazie anche all’applicazione delle tecnologie telematiche ed informatiche, i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e la diffusione in tutte le categorie di competenze specialistiche hanno reso le mansioni del lavoratore sempre meno esecutive, con la conseguenza di una maggiore sfera di autonomia del prestatore nella esecuzione delle stesse. Il lavoro subordinato Z 27 Dall’altro lato, neanche la dipendenza economica può dirsi carattere esclusivo del lavoro subordinato. Tale elemento, infatti, appartiene anche a forme di lavoro che, pur qualificandosi come autonome, sono tuttavia connotate da alti livelli di precarietà e di sfruttamento (es. collaborazioni continuative e coordinate). È stato quindi individuato un nuovo criterio che fa riferimento all’elemento dell’estraneità del lavoratore, sia rispetto all’organizzazione produttiva in cui è inserita la prestazione che dal risultato della stessa (cd. doppia alienità): in tal caso si parla di subordinazione in senso stretto. Si distingue così tra autonomia tecnico-esecutiva, che può riscontrarsi anche nei rapporti di lavoro subordinato, e autonomia economico-organizzativa che, invece, non è mai riscontrabile nell’ambito della subordinazione (i lavoratori subordinati non sono titolari di alcuna organizzazione di mezzi che invece, ancorché minima, si riscontra sempre nel prestatore d’opera). ⎢Dottrina e giurisprudenza Va detto, però, che non tutta la dottrina ritiene superato il criterio della subordinazione in senso tecnico-funzionale, in quanto sebbene il lavoratore subordinato goda oggi di una maggiore autonomia rispetto al passato, è comunque assoggettato alle direttive del datore, indipendentemente dalla necessità o meno di esse ai fini dell’esecuzione del lavoro e dal fatto che esse siano o meno effettivamente impartite (MAZZIOTTI). Anche la giurisprudenza continua ad intendere la subordinazione (requisito fondamentale del lavoro subordinato) come il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (Cass. 13884/2004). D)La disciplina garantista del lavoro subordinato Il lavoro subordinato, come si è già detto, costituisce l’oggetto della disciplina garantista del diritto del lavoro. Tale sistema di garanzie si sostanzia in una disciplina caratterizzata da una marcata finalità protettiva costituita in gran parte da norme inderogabili che regolano tutti i principali eventi ed aspetti del rapporto di lavoro (inquadramento del lavoratore, retribuzione, orario di lavoro, diritti del lavoratore, sospensioni, estinzione del rapporto etc.). Tra le principali norme di favore previste per il lavoro subordinato, si segnalano le seguenti in materia di: — assunzione dei lavoratori, è stabilito l’obbligo del datore di lavoro di comunicarla agli uffici competenti e di registrare i lavoratori assunti nei libri obbligatori; — retribuzione che non deve essere inferiore agli importi previsti dal contratto collettivo di categoria in base alla qualifica del lavoratore e alle mansioni svolte e comunque deve essere proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato; — estinzione del rapporto di lavoro. Si tratta di un complesso normativo costituito da disposizioni che regolano in modo preciso ed inderogabile il recesso dal rapporto di lavoro. In particolare, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo in presenza di una giusta causa e di un giustificato motivo (L. 604/1966, art. 18 L. 300/1970); 28 Z Capitolo 2 — controversie di lavoro (artt. 409 ss. c.p.c.), volte a garantire una celere risoluzione delle stesse per dare ai lavoratori una più immediata soddisfazione dei loro diritti e crediti; — tutela previdenziale e assicurativa, diretta a sollevare i lavoratori dipendenti dal rischio di eventi che, connessi o meno con l’attività lavorativa, possono incidere sulla capacità di lavoro o di guadagno (malattia, infortunio sul lavoro, disoccupazione, invalidità, vecchiaia etc.). In proposito, è posto in capo al datore di lavoro l’obbligo di provvedere al pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla normativa vigente. 2.Il lavoro autonomo e le differenze con il lavoro subordinato A) Il lavoro autonomo Il lavoro autonomo consiste nel compimento di un’opera o di un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, che il lavoratore svolge senza vincolo di subordinazione, verso un corrispettivo, nei confronti del committente. Tale definizione discende dall’art. 2222 c.c. che disciplina il contratto d’opera cui si applicano le disposizioni successive, artt. 2223-2228, riguardanti: l’esecuzione dell’opera, le modalità di determinazione del corrispettivo, le conseguenze nel caso in cui l’opera non sia stata eseguita in modo esatto (difformità e vizi), il recesso unilaterale dal contratto, l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera. Il lavoro autonomo si pone in linea di principio agli antipodi del lavoro subordinato (il primo «senza», il secondo «con» vincolo di subordinazione). Tuttavia, nella pratica non sempre è facile differenziare le due fattispecie: infatti, accade spesso che il rapporto di lavoro si svolge con modalità tali da rendere difficile una netta distinzione, inoltre esistono forme di lavoro che hanno natura autonoma ma, realizzandosi un coordinamento con il committente, fuoriescono dall’ambito di applicazione dell’art. 2222 c.c. per entrare in quello della parasubordinazione (v. par. 3). ⎢Dottrina e giurisprudenza Tradizionalmente, guardando all’oggetto della prestazione, si riteneva che nel lavoro autonomo esso fosse costituito dal risultato finale dell’attività del prestatore (locatio operis), mentre nel lavoro subordinato dalle stesse energie lavorative del prestatore (locatio operarum). In base a tale distinzione si parlava, nel primo caso, di obbligazione di risultato, nel secondo, di obbligazione di mezzi. Questo criterio distintivo non ha ormai rilevanza: infatti, anche per talune categorie di lavoratori autonomi può essere esclusa la responsabilità per un certo risultato (come accade, ad esempio, per gli avvocati o i medici), in quanto oggetto del rapporto è soltanto la prestazione di un’attività, mentre, per converso, nello schema causale del contratto di lavoro subordinato ben può rientrare la prestazione di un risultato utile per il datore di lavoro (Ghera). È altresì escluso che la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo possa basarsi sul tipo di attività dedotta nel contratto, posto che qualsiasi attività può essere indifferentemente oggetto dell’uno o Il lavoro subordinato Z 29 dell’altro tipo di rapporto (infatti, ciò che ha importanza, è la modalità con cui viene svolta). Secondo la giurisprudenza «ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere espletata nelle forme del rapporto di lavoro subordinato ovvero di quello autonomo, in relazione alla scelta liberamente compiuta dalle parti circa lo schema maggiormente idoneo a soddisfare i loro rispettivi interessi» (Cass. 23-11-1998, n. 11885; Cass. 28-7-1999, n. 8187) B) I criteri di distinzione elaborati dalla giurisprudenza Per distinguere tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, occorre verificare se in base alle modalità di svolgimento della prestazione, esista o meno il vincolo di subordinazione. Per facilitare questa operazione, la giurisprudenza ha individuato nel corso degli anni una serie di indici che, se riscontrati nello svolgimento del rapporto di lavoro ne rivelano la natura subordinata, quali: — l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato; — la collaborazione; — l’assenza del rischio in capo al lavoratore; — la natura della prestazione; — la continuità della prestazione; — il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita; — l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva; — il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro. Tali indici sono però solo elementi sussidiari, con un rilievo cioè secondario rispetto all’unico elemento avente valore determinante per la dimostrazione dell’esistenza del vincolo di subordinazione: l’assoggettamento del lavoratore al potere di direzione e di controllo del datore di lavoro. Infine, per determinare la natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è di per sé irrilevante la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto (cd. nomen iuris), in ossequio al principio generale in base al quale si deve privilegiare il comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento del rapporto stesso rispetto alla volontà che avevano manifestato al momento della stipulazione del contratto. 3.La parasubordinazione e il lavoro a progetto A) La parasubordinazione In alcuni casi, il lavoro autonomo può svolgersi con modalità analoghe a quelle rinvenibili nel lavoro subordinato. La collaborazione nell’attività produttiva, che si realizza attraverso forme di lavoro autonomo caratterizzate dalla natura prevalentemente personale della prestazione, 30 Z Capitolo 2 dalla continuatività e dalla coordinazione, è stata infatti tradizionalmente inquadrata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella cd. parasubordinazione. Il primo riconoscimento giuridico di tale categoria è avvenuto con la L. 533/1973 che, modificando l’art. 409 c.p.c., ha esteso l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro anche ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, nonché a tutti gli «altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato» qualificati come rapporti parasubordinati e denominati anche collaborazioni coordinate e continuative (cd. co.co.co.). Il coordinamento dell’attività lavorativa L’elemento che maggiormente differenzia la parasubordinazione dal lavoro autonomo e che invece la avvicina al lavoro subordinato è il coordinamento dell’attività lavorativa. Nel lavoro subordinato, la prestazione svolta dal lavoratore, in quanto inserita nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro, deve necessariamente essere coordinata e collegata all’attività produttiva dell’azienda stessa. La prestazione di lavoro, infatti, si svolge secondo le modalità e le direttive del datore di lavoro in virtù delle mutevoli esigenze organizzative e mediante l’esercizio del potere direttivo. Nel lavoro autonomo, non esiste una vera e propria coordinazione della prestazione, nel senso che l’attività svolta dal lavoratore autonomo anche se è predeterminata contrattualmente, deve essere adempiuta in totale autonomia, potendo il datore di lavoro intervenire solo per controllare la sua rispondenza a quanto pattuito. Nella parasubordinazione, invece, è richiesta la coordinazione dell’attività del lavoratore con quella del committente, come accade nel lavoro subordinato, ma a differenza di quest’ultimo non è connessa al potere direttivo del committente. Ai rapporti di lavoro parasubordinato sono state successivamente estese anche altre norme applicate al rapporto di lavoro subordinato: l’art. 2113 c.c., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni del lavoratore, e l’art. 429 c.p.c., che prevede, in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento di crediti di lavoro, anche quella al risarcimento del danno da svalutazione monetaria e agli interessi nella misura legale. Alle suddette prime misure di tutela dei lavoratori parasubordinati ne sono state aggiunte progressivamente altre. Sotto il profilo della tutela previdenziale, al lavoro parasubordinato si applica l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali (D.P.R. 1124/1965 e D.Lgs. 38/2000), mentre presso l’INPS è stata istituita (L. 335/1995) un’apposita gestione (cd. Gestione separata) per garantire anche ai co.co.co. le prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti e prestazioni non pensionistiche come l’assegno per il nucleo familiare, l’indennità di maternità e di paternità e l’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera. Ulteriori prestazioni sono state riconosciute dalla L. 296/2006 ai collaboratori coordinati e continuativi in quanto categoria assimilata ai collaboratori a progetto (v. succ. lett. B): si tratta dell’indennità di malattia giornaliera erogata per eventi morbosi non inferiori ai 4 giorni e del trattamento economico per congedo parentale. B) Il lavoro a progetto Nel concreto svolgimento dei rapporti di lavoro, spesso lo strumento delle collaborazioni coordinate e continuative è stato utilizzato per eludere la normativa sul lavoro subordinato. Il lavoro subordinato Z 31 Per evitare ciò, il D.Lgs. 10-9-2003, n. 276 ha previsto che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici e programmi di lavoro o fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione (cd. co.co.pro.) (art. 61). Il progetto consiste in «un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale», mentre il programma di lavoro consiste in un’attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale ma che è destinata ad essere integrata con altre prestazioni o collaborazioni parziali (circ. Min. Lav. 1/2004). Il progetto o il programma di lavoro devono essere ben determinati e specificati per iscritto e sono parte integrante del contratto di lavoro (circ. Min. Lav. 4/2008). Una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata è compatibile con la natura progettuale dell’attività dedotta in un contratto di lavoro a progetto? Ad esempio il lavoro di barista o di cameriere può essere svolto nella forma di lavoro a progetto? La finalità dell’art. 61 D.Lgs. 276/2003 è di delimitare l’utilizzo del lavoro coordinato e continuativo a quelle sole prestazioni che siano genuinamente autonome, perché effettivamente riconducibili alla realizzazione di un progetto o programma (o fase di esso), gestite dal lavoratore in funzione del risultato. Su tale presupposto si ritiene che una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata «è assai difficilmente compatibile con un’attività di carattere progettuale, suscettibile di una valutazione in termini di risultato tipica della collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto» (circ. Min. Lav. 4/2008). Pertanto, determinate attività, come quelle svolte da baristi, camerieri, custodi e portieri, commessi e addetti alle vendite etc., per le modalità di esecuzione, non possono inquadrarsi nel lavoro a progetto in quanto incompatibili con un’attività progettuale tendente ad un risultato predeterminato e identificabile da realizzare in modo autonomo ed in base soltanto ad un mero coordinamento con il committente. C) Divieto di co.co.co. atipiche e sanzioni Con la disciplina introdotta dal D.Lgs. 276/2003 scatta il divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici, cioè senza la definizione di un progetto o programma di lavoro: ne conseguono l’illegittimità di rapporti di co.co.co. al di fuori dello schema negoziale tipico e l’applicazione delle sanzioni previste. In difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro del collaboratore si trasforma in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla origine (art. 69, co. 1). La mancanza del progetto opera come una presunzione legale circa la natura subordinata del rapporto. Sulla natura della presunzione vi è divergenza di opinioni. Per chi sostiene (gran parte della giurisprudenza) che si tratta di presunzione assoluta, il datore di lavoro/committente non può dimostrare che il rapporto di lavoro si è svolto (realmente) con modalità (comunque) diverse dal lavoro subordinato; per chi sostiene (parte della giurisprudenza e Ministero del Lavoro con circ. 1/2004) che si tratta di presunzione relativa, la dimostrazione della natura comunque autonoma del rapporto è consentita. In caso di accertamento giudiziale di un rapporto di natura subordinata, il rapporto di lavoro a progetto (simulato) si trasforma in un rapporto di lavoro su- 32 Z Capitolo 2 bordinato «corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti» (art. 69, co. 2). Per consentire il corretto utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, e la trasformazione di tali rapporti in contratti di lavoro subordinato, la L. 296/2006 (art. 1, co. 1202-1210) aveva previsto una procedura cd. di stabilizzazione in favore dei committenti che, entro e non oltre il 30-9-2008 avessero stipulato accordi con le organizzazioni sindacali (la scadenza originaria del 30-4-2007 è stata così prorogata dal D.L. 248/2008 conv. in L. 31/2008). Fra l’altro, in rapporti di lavoro la trasformazione dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro a tempo indeterminato comportava il godimento dei benefìci previsti dalla legge. D)Il campo di applicazione Tra il lavoro a progetto e la parasubordinazione non esiste una perfetta coincidenza, poiché esistono rapporti di co.co.co. che, non presentando particolari rischi di elusione della normativa inderogabile del diritto del lavoro, non devono essere ricondotti alla disciplina del lavoro a progetto. Ne risultano infatti esclusi (art. 61, co. 3, D.Lgs. 276/2003): — l’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi; — i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, quelli degli amministratori e sindaci e dei partecipanti a collegi e commissioni, nonché dei titolari di pensione di vecchiaia; — i rapporti di co.co.co. stipulati con la P.A. Sono altresì esclusi i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale cui si applica la disciplina specifica prevista dal codice civile e dalla legge. Sono, inoltre, escluse dalla disciplina del lavoro a progetto le collaborazioni occa­ sionali (cd. mini co.co.co.). Si tratta di collaborazioni di portata limitata (circ. Min. Lav. 1/2004), in quanto la durata complessiva del rapporto non è superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente ed il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare non superiore a 5.000 euro (art. 61 co. 2 del D.Lgs. 276/2003). I parametri della durata e del compenso si intendono riferiti ad uno stesso committente, pertanto ben possono susseguirsi nello stesso anno più collaborazioni occasionali con diversi committenti e se ciascuna rientra in detti limiti temporali ed economici, non è necessario inquadrare il rapporto nel contratto di lavoro a progetto. Le mini co.co.co. si distinguono sia dalle prestazioni occasionali di tipo accessorio (v. infra par. 7) che non costituiscono un vero e proprio rapporto di lavoro, sia dal lavoro autonomo occasionale ex art. 2222 c.c. in cui manca il coordinamento. Il lavoro subordinato Z 33 E) Disciplina del lavoro a progetto Il contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta ed indicare (ai soli fini della prova) specificamente il progetto o il programma di lavoro, le modalità del coordinamento, la durata della prestazione di lavoro, il corrispettivo e le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del lavoratore (artt. 66, co. 4, D.Lgs. 276/2003 e 3, co. 7, D.Lgs. 81/2008). Il necessario coordinamento tra committente e collaboratore non può essere comunque tale da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa (art. 62 D.Lgs. 276/2003). È inoltre consentita una forma di coordinamento anche temporale con il committente, purchè il lavoratore a progetto possa autodeterminare il proprio ritmo di lavoro e stabilire le modalità temporali di svolgimento dell’attività. Per quanto concerne la disciplina del rapporto, ferma restando la legittimità di clausole del contratto individuale o collettivo più favorevoli al collaboratore a progetto, è previsto che (artt. 63 ss. D.Lgs. 276/2003): — il corrispettivo della prestazione deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito. Per determinare il compenso si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (art. 63 D.Lgs. 276/2003). È inoltre previsto e specificato che occorre tener conto «dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento» (art. 1, co. 772, L. 296/2006); — il collaboratore a progetto non è vincolato da obblighi di esclusiva (può infatti svolgere la sua attività a favore di più committenti), salvo diverso accordo tra le parti e fermo il divieto di svolgere attività in concorrenza con i committenti (art. 64); — il collaboratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto (art. 65). Al lavoratore a progetto si applicano tutte le tutele già previste per i rapporti di co.co.co. È stato inoltre previsto che, in caso di fine lavoro, i lavoratori a progetto possano beneficiare di una somma una tantum pari al 30% del reddito percepito l’anno precedente e comunque non superiore a e 4.000 (art. 19, co. 2, D.L. 185/2008 conv. in L. 2/2009, modif. dall’art. 2, co. 130, L. 191/2009) (v. Cap. 11). Il contratto di lavoro a progetto si risolve al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso. Il recesso prima della scadenza del termine è ammesso solo per giusta causa e per altre causali stabilite dalle parti nel contratto di lavoro (art. 67) (la violazione di questa regola comporta soltanto un obbligo di risarcimento del danno). Il recesso del committente può comunque essere impugnato dal lavoratore ex art. 32 L. 183/2010 (v. amplius Cap. 12). 34 Z Capitolo 2 Il lavoro a progetto può essere stipulato a tempo indeterminato? Il contratto di lavoro a progetto deve essere necessariamente a termine in quanto la sua durata è in funzione dei tempi di esecuzione del progetto (o del programma di lavoro) che costituisce l’oggetto dell’attività del collaboratore. È legittimo il rinnovo di un contratto di lavoro a progetto tra le medesime parti, anche quando abbia ad oggetto lo svolgimento del medesimo lavoro del precedente contratto, salvo che il rinnovo abbia finalità elusive della disciplina vigente (circ. Min. Lav. 1/2004). Il verificarsi di eventi come gravidanza, malattia e infortunio determina una sospensione del rapporto per un periodo non superiore ai limiti previsti dal legislatore, durante il quale nessuna delle obbligazioni principali è adempiuta (il collaboratore non lavora e il committente non paga alcun compenso). Solo in caso di gravidanza però la durata del rapporto è prorogata (art. 66), per un periodo di 180 giorni, salva migliore disposizione del contratto individuale. Il diritto alla proroga del rapporto spetta alle lavoratrici tenute ad astenersi dall’attività lavorativa in caso di gravidanza, sia per il periodo obbligatorio di 5 mesi (art. 16 D.Lgs. 151/2001), sia per i periodi di interdizione al lavoro disposti dai servizi ispettivi (art. 17 D.Lgs. 151/2001) (D.M. 12-7-2007). 4.La compatibilità tra rapporto associativo e lavoro subordinato A) Il rapporto di lavoro subordinato ed il vincolo associativo In alcuni rapporti associativi è rinvenibile la situazione in cui il socio o l’associato si trovano ad eseguire un’attività di lavoro: è il caso del socio d’opera nelle società di persone, dell’associato nell’associazione in partecipazione e del socio lavoratore nelle cooperative di lavoro. La peculiarità di tali ipotesi è che, mentre nel rapporto di lavoro subordinato l’attività lavorativa è eseguita in ragione di un contratto di scambio, articolato in due obbligazioni principali o controprestazioni (la prestazione del lavoratore e la corresponsione della retribuzione del datore), nei rapporti di tipo associativo lo svolgimento di un’attività lavorativa è di regola una conseguenza stessa del vincolo associativo. Le caratteristiche del rapporto associativo fanno sì che vengano a mancare quegli elementi indispensabili per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (eterodirezione ed estraneità all’organizzazione e al profitto derivante dall’attività) e per l’applicazione della relativa disciplina. B) Il socio d’opera e l’associazione in partecipazione Il socio d’opera è colui che nella società di persone conferisce, anziché beni, la propria opera lavorativa. Egli si obbliga a prestare lavoro in favore della società, non per ricevere in cambio la retribuzione, ma perché partecipa allo scopo societario ed è titolare degli stessi poteri di amministrazione e decisione degli altri soci. In tal caso, il rapporto di lavoro del socio ha fondamento nel contratto di società e non in un contratto di lavoro subordinato di cui mancano gli elementi qualificanti. Il rapporto di lavoro subordinato è considerato compatibile con quello associativo, se l’attività lavorativa del socio, svolta in forma subordinata, non costituisce oggetto del conferimento per partecipare alla società. Il lavoro subordinato Z 35 Nell’associazione in partecipazione (artt. 2549-2554 c.c.), invece, l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di singoli affari, come corrispettivo di un certo apporto che può consistere (in una somma di danaro, nel godimento di un bene, ma) anche nello svolgimento di una prestazione di lavoro. Tale apporto lavorativo non ha però natura subordinata, poiché anche in questo caso non si rinvengono gli elementi propri della subordinazione. L’associato, infatti, non è obbligato a prestare la propria collaborazione sotto la direzione dell’associante. Inoltre egli, anche se non ha la titolarità dell’affare, che resta in capo esclusivamente all’associante (art. 2552, co. 1, c.c.), può esercitare un controllo circa il suo andamento e partecipa ai risultati dell’attività svolta (Cass. 12-1-2000, n. 290). Ciò non impedisce però che l’attività lavorativa venga svolta nei fatti con vincolo di subordinazione: è così previsto che se manca una effettiva partecipazione e non vengono corrisposte adeguate erogazioni all’associato che presti la propria attività, quest’ultimo ha diritto «ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato» (art. 86, co. 2, D.Lgs. 276/2003). Per ricondurre il rapporto di lavoro tra associante e associato nel contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato o nel contratto di lavoro subordinato, è necessario svolgere un’indagine diretta a cogliere «la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell’associante d’impartire direttive ed istruzioni al cointeressato» (Cass. 26-1-2010, n. 1584). È possibile configurare come lavoro subordinato il rapporto di lavoro svolto dal socio? Nelle società di persone (società semplice, ex artt. 2251-2290 c.c., società in nome collettivo, ex artt. 22912312 c.c., società in accomandita semplice, ex artt. 2313-2324 c.c.) il rapporto di lavoro subordinato è incompatibile con quello associativo, salvo quando l’attività lavorativa del socio, svolta in forma subordinata, non costituisce oggetto del conferimento per partecipare alla società. Ad analoga conclusione si giunge anche nel caso in cui il socio rivesta una carica sociale, in quanto il rapporto di immedesimazione del socio con l’organo sociale esclude la sussistenza degli elementi qualificanti la subordinazione, ed in particolare quello della eterodirezione della prestazione lavorativa, come ad esempio nel caso dell’amministratore unico (che accentrando in sé la volontà sociale non può «controllare se stesso»). Può invece esistere un rapporto di lavoro subordinato nel caso di amministratori delegati, purché essi operino sotto il diretto controllo del Consiglio di amministrazione o di altro amministratore delegato (Cass. 24-1-1981, n. 565 e 12-4-1980, n. 2361). C) Il socio lavoratore nelle cooperative Le società cooperative sono costituite allo scopo di svolgere un’attività economica organizzata in impresa attraverso l’utilizzazione del lavoro dei soci. Con la loro attività lavorativa i soci contribuiscono al raggiungimento degli scopi sociali, ma nel contempo sono titolari del diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa. 36 Z Capitolo 2 Il socio ha poteri gestionali, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, alla definizione della struttura di direzione e conduzione della cooperativa, alle decisioni concernenti le scelte strategiche, deve contribuire alla formazione del capitale sociale, partecipando al rischio d’impresa, e deve mettere a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa. Tale fattispecie è disciplinata dalla L. 3-4-2001, n. 142 con cui si è provveduto alla «revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore», poi modificata ed integrata dalla L. 30/2003. Tra socio lavoratore e cooperativa si instaura un rapporto di tipo associativo dal quale deriva, tuttavia, un ulteriore rapporto, connesso all’attività prestata dal socio e con cui egli contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1 L. 142/2001). Il rapporto di lavoro tra socio lavoratore e cooperativa deve essere concordato e formalizzato all’atto dell’adesione, o successivamente, e può assumere la forma della subordinazione o del lavoro autonomo, compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale. Il rapporto di lavoro sarà quindi disciplinato dalla normativa applicabile alla tipologia (autonoma, subordinata, di collaborazione) prescelta, secondo una valutazione di compatibilità con la posizione di socio che il lavoratore riveste. Si configurano infatti due tipi di rapporti, quello associativo e quello di lavoro che è strumentale rispetto al primo. Dal rapporto associativo derivano poi, al socio lavoratore, i tipici poteri e doveri dello status di socio di cooperativa: es. potere gestionale, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, conduzione dell’impresa, partecipazione al rischio di impresa, obbligo di mettere a disposizione le proprie capacità professionali etc. Quando il rapporto di lavoro tra il socio lavoratore e la cooperativa ha natura subordinata si applica, anche se non integralmente, la disciplina propria del lavoro subordinato di cui al codice civile e alla legislazione sociale. In particolare ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato: — si applica lo Statuto dei Lavoratori, ma l’esercizio dei diritti sindacali (Titolo III St.Lav.) deve avvenire con le modalità individuate in sede di appositi accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori che tengano conto del suddetto principio di compatibilità (circ. Min. Lav. 10/2004); — le società cooperative sono tenute a corrispondere un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine; — si applicano anche tutte le disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e altri istituti quali TFR, ferie etc. Il regolamento interno della cooperativa può stabilire però anche deroghe peggiorative rispetto alle condizioni di lavoro spettanti in base alla disciplina legislativa (con l’unica eccezione dei trattamenti economici minimi) (art. 6 L. 142/2001). La parziale applicazione degli istituti del lavoro subordinato deriva dall’esigenza di salvaguardare la posizione di «socio» del lavoratore. Ciò è evidente se si considera che in materia di estinzione del rapporto di lavoro è previsto che: — se si ha recesso o esclusione del socio dalla cooperativa (deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e delle disposizioni del codice civile), si estingue Il lavoro subordinato Z 37 anche il rapporto di lavoro, sia esso di natura subordinata, autonoma o di collaborazione. La preminenza del vincolo associativo, nel caso in cui si tratti di lavoro subordinato, esclude la tutela dell’art. 18 St. Lav. (diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di illegittimità del licenziamento); — se si estingue il rapporto di lavoro con il socio, il rapporto associativo invece non decade automaticamente. In tal caso, se il rapporto di lavoro ha natura subordinata, all’eventuale atto di licenziamento da parte della cooperativa potranno applicarsi le garanzie dell’art. 18 St. Lav. Qual è la ratio della tutela del socio lavoratore di cooperativa? L’esigenza di fornire una tutela ai soci lavoratori ha come fondamento il mutamento di funzione del fenomeno cooperativo. In origine, esso rappresentava, un «aspetto importante della vicenda storica del movimento operaio (…) con l’obiettivo di emancipare i lavoratori dai vincoli del lavoro salariato, offrendo occasioni di lavoro a condizioni possibilmente migliori di quelle conseguibili presso un’impresa privata» (ROCCELLA). Successivamente, l’affermarsi delle cooperative di grandi dimensioni ha determinato una scarsa partecipazione del socio alla gestione dell’ente mutualistico assimilandolo per molti versi ad un vero e proprio lavoratore subordinato. Pertanto, in considerazione dell’evoluzione del fenomeno cooperativo, la L. 142/2001, nella sua formulazione originaria, perseguiva la finalità di distinguere il rapporto associativo da quello di lavoro, con conseguente applicazione a quest’ultimo della disciplina propria della specie che le parti, cooperativa e socio lavoratore, intendessero realizzare, ed estendendo gran parte degli istituti protettivi del lavoro subordinato ove vi fossero i presupposti della subordinazione. Senonché, la L. 30/2003, nel modificare la predetta legge n. 142, ha ridimensionato tale finalità, riconducendo l’attività prestata dal socio lavoratore nell’ambito del rapporto mutualistico e affermando la netta prevalenza di quest’ultimo sul rapporto di lavoro. 5.Il lavoro gratuito In generale è esclusa l’ammissibilità del lavoro gratuito, poiché l’eventuale accordo volto a eliminare qualsiasi tipo di compenso per l’attività prestata dal lavoratore subordinato è invalido, e viene automaticamente sostituito con la previsione del diritto alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro. Un accordo del genere è legittimo solo se l’attività viene svolta gratuitamente in virtù di un vincolo di cortesia, affetto o compiacenza (affectionis causa) o anche perché vi è un rilevante interesse del prestatore, che può consistere nello scopo di solidarietà per cui è svolto il lavoro. L’esempio tipico sotto il primo aspetto è il lavoro familiare instaurato tra soggetti che sono legati da un vincolo di parentela o di affinità e si presume gratuito, salvo prova contraria, poiché si ritiene che venga prestato affectionis causa, cioè quale corrispettivo dell’assistenza ricevuta o come attività dovuta nell’interesse della famiglia. Il lavoro familiare è quindi escluso non solo dall’ambito del lavoro subordinato, ma anche da quello del lavoro in genere. 38 Z Capitolo 2 Il lavoro familiare può essere effettuato nell’ambito della impresa familiare (art. 230bis c.c.), in cui collaborano con il titolare il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. In questo caso il legislatore ha predisposto, a tutela del familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare, il riconoscimento di determinati diritti anche di natura economica (es. al mantenimento). Tale disciplina si applica salvo che sia configurabile un diverso rapporto; è quindi possibile che il lavoro svolto nell’impresa familiare assuma natura subordinata con l’applicazione della relativa normativa. Un ulteriore esempio di lavoro svolto gratuitamente, perché a titolo di solidarietà, dal singolo individuo, è l’attività di volontariato, definita come quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà (art. 2 L. 266/1991). Tale attività non può essere retribuita (sono ammessi i rimborsi spese) ed è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, con l’organizzazione di appartenenza. 6.Il lavoro nell’impresa sociale Nell’ambito dell’impresa sociale sono ricomprese tutte le organizzazioni private, le imprese e le società commerciali che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale (es. settore assistenza sociale), diretta a realizzare finalità di interesse generale, purché in possesso dei requisiti prescritti. Ai lavoratori che prestano attività lavorativa nell’ambito dell’impresa sociale non può essere corrisposto un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti e accordi collettivi applicabili (art. 14 D.Lgs. 155/2006). In particolare, a qualunque titolo prestino la loro opera, hanno il diritto di informazione, consultazione e partecipazione nei termini e con le modalità specificate nei regolamenti aziendali o concordati dagli organi di amministrazione dell’impresa sociale con i loro rappresentanti. 7.Il lavoro accessorio Il lavoro occasionale di tipo accessorio è una particolare modalità lavorativa che può essere attuata esclusivamente per l’esecuzione delle attività previste dalla legge e da parte di specifiche categorie di soggetti. Si tratta di una fattispecie non riconducibile alle tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo ed è Il lavoro subordinato Z 39 caratterizzata da prestazioni «di natura meramente occasionale e saltuaria» (Min. Lav. risposta a interpello 14-4-2010, n. 16) «avente la sola finalità di assicurare le tutele minime previdenziali e assicurative in funzione di contrasto a forme di lavoro nero e irregolare» (circ. INPS 17/2010). Le prestazioni occasionali accessorie sono state introdotte dal D.Lgs. 276/2003 (artt. 70 e ss.), ma l’originaria disciplina è stata già più volte modificata per incentivarne e promuoverne la diffusione, ampliandone l’ambito di applicazione. Le prestazioni possono essere rese nell’ambito (art. 70 D.Lgs. 276/2003): a) di lavori domestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, anche nel caso in cui il committente sia un ente locale; c) dell’insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico; e) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università; f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e dai giovani alle condizioni suddette ovvero delle attività agricole svolte a favore dei produttori agricoli con volume d’affari inferiore a 7.000 euro (art. 34, co. 6, D.P.R. 633/1972); g) dell’impresa familiare (art. 230bis c.c.); h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica; i) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, da parte di pensionati; l) di attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie. Per tali attività il rapporto di lavoro deve svolgersi direttamente tra chi utilizza la prestazione e chi la fornisce, senza il tramite di intermediari, escludendosi pertanto che un’impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di terzi come nel caso dell’appalto o della somministrazione (circ. INPS 88/2009). È altresì possibile utilizzare lavoro accessorio: — nelle attività di stewarding nelle manifestazioni sportive, sia direttamente che in regime di appalto o somministrazione di lavoro, derogando, in tale ultima ipotesi al divieto generale (D.M. 24-2-2010, msg. INPS 9999/2010); — anche nei parchi divertimento (acquatici, tematici, naturalistici e parchi avventura), purchè sussistano le condizioni per il lavoro accessorio (Min. Lav. interpello 21/2010). 40 Z Capitolo 2 In via sperimentale, è stata prevista la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio in tutti i settori produttivi da parte dei lavoratori con contratto a tempo parziale (purchè le prestazioni non siano rese a favore del datore di lavoro titolare del contratto stesso) e dei percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (in tal caso nell’ambito applicativo rientrano anche gli enti locali). La sperimentazione, prevista inizialmente per gli anni 2009 e 2010, è stata prorogata, da ultimo, fino al 31-12-2011 (D.L. 29-12-2011, n. 216, d. mille proroghe). Il compenso del lavoratore viene corrisposto attraverso il meccanismo dei buoni lavoro o voucher, che il committente deve acquistare (attivando una procedura cartacea o telematica) e poi consegnare al termine della prestazione lavorativa al lavoratore che li consegnerà ad un soggetto terzo – il concessionario – che gli pagherà effettivamente la retribuzione. Ogni buono ha un valore nominale di e 10 dal quale il concessionario deve detrarre gli importi per la contribuzione previdenziale e assicurativa e per la gestione del servizio, calcolati applicando, sul valore nominale, il 13% per i contributi INPS, il 7% per l’assicurazione INAIL ed 5% per le spese di gestione del servizio. Con riferimento all’impresa familiare (art. 70, co. 1, lett. g), trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato (art. 72, co. 4bis, D.Lgs. 276/2003). Le attività di lavoro accessorio non devono dare luogo, complessivamente e con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a € 5.000 nel corso dell’anno solare, che si riduce a € 3.000 per i percettori di prestazioni a sostegno del reddito; nel caso di imprese familiari, il limite è elevato a € 10.000, nel corso di ciascun anno fiscale. Questionario 1.Esiste nel codice civile una nozione di lavoro subordinato? (par. 1) 2.Qual è la natura delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro subordinato? (par. 1) 3.Qual è l’efficacia degli indici di subordinazione elaborati dalla giurisprudenza? (par. 2) 4.Indicare le principali differenze tra il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato. (par. 2) 5.Quali sono i caratteri essenziali del lavoro parasubordinato? (par. 3) Il lavoro subordinato Z 41 6.Come si può definire il lavoro a progetto? (par. 3) 7.Cosa si intende per divieto di rapporti di collaborazione atipici e quale sanzione si applica per la sua violazione? (par. 3) 8.Come viene determinato il compenso del lavoratore a progetto? (par. 3) 9.Cosa sono le cd. mini co.co.co.? Vi possono rientrare anche le prestazioni svolte nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona? (par. 3) 10. È possibile la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato nell’associazione in partecipazione? (par. 4) 11. Se viene deliberata l’esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa, il rapporto di lavoro tra questi e la cooperativa stessa si estingue? (par. 4) 12. Si possono avere rapporti di lavoro in cui vi sia un vincolo di subordinazione ma non sia prevista l’erogazione di un compenso al lavoratore? (par. 5) 13. Cos’è l’impresa sociale? (par. 6) 14. Come viene corrisposto il compenso al lavoratore che rende prestazioni di lavoro accessorio? Esiste un limite economico? (par. 7)