Capitolo 2 Z Il lavoro subordinato

Edizioni Simone - Vol. 1/2 Compendio di diritto del lavoro
Z lavoro
Capitolo 2 Il
subordinato
Sommario Z 1. Le caratteristiche del lavoro subordinato. - 2. Il lavoro autonomo e le
differenze con il lavoro subordinato. - 3. La parasubordinazione e il lavoro a progetto. - 4. La compatibilità tra rapporto associativo e lavoro subordinato. - 5. Il lavoro gratuito. - 6. Il lavoro nell’impresa sociale. - 7.
Il lavoro accessorio.
1.Le caratteristiche del lavoro subordinato
A) Il lavoratore subordinato
La disciplina garantista, contenuta nel codice civile e soprattutto nella legislazione
speciale, si applica esclusivamente al lavoro subordinato.
Nasce quindi l’esigenza di definire il campo di applicazione di tale disciplina, operazione da svolgere in via interpretativa poiché il codice civile non detta una nozione di
lavoro subordinato, ma si limita ad individuare una delle parti — il lavoratore — di
tale rapporto.
L’art. 2094 c.c. qualifica come prestatore di lavoro subordinato colui che «si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
Il codice civile individua, quindi, nella collaborazione, nell’onerosità e soprattutto
nella subordinazione i caratteri costitutivi del rapporto di lavoro subordinato.
La collaborazione descrive semplicemente il fenomeno della partecipazione di un soggetto all’attività
lavorativa di un altro: tale elemento tuttavia non qualifica soltanto il lavoro subordinato, ma anche
altre forme di lavoro (lavoro associativo, lavoro autonomo, lavoro parasubordinato, volontariato).
Il carattere dell’onerosità si desume direttamente dallo stesso art. 2094 c.c., il quale recita che
l’obbligazione lavorativa è assunta dal prestatore «mediante retribuzione»: pertanto, ove si sia in
presenza di lavoro subordinato vale una presunzione di onerosità (v. succ. par. 5).
Nelle successive lett. B e C, si analizzerà l’elemento fondamentale del lavoro subordinato secondo un’impostazione sia tradizionale che più moderna, cioè la subordinazione intesa come
assoggettamento della prestazione lavorativa al potere del datore di lavoro di disporre secondo
le mutevoli esigenze di tempo e di luogo e di controllarne lo svolgimento attraverso direttive
alle quali il lavoratore è obbligato ad attenersi, così come è obbligato a mantenere nel tempo la
messa a disposizione delle proprie energie lavorative per il raggiungimento degli scopi produttivi
dell’impresa (Cass. 14723/2007). In sostanza, il tratto tipico del rapporto di lavoro subordinato è
costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore,
con assoggettamento del prestatore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di
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lavoro, ed al conseguente inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale con prestazione delle sole energie lavorative corrispondenti all’attività di impresa (Cass. 19-4-2010, n. 9251).
Chi è il lavoratore subordinato?
Il lavoratore subordinato, secondo la definizione del legislatore, è un soggetto che presta la propria attività
lavorativa personalmente, seguendo le istruzioni impartite dal datore di lavoro circa il contenuto e le modalità di svolgimento della prestazione, soggiacendo anche ad eventuali sanzioni disciplinari nell’ipotesi
di inosservanza delle prescrizioni ricevute. Il lavoratore si trova in una posizione di debolezza rispetto al
datore di lavoro, ecco perché la legislazione lavoristica ha costruito un vero e proprio impianto di garanzie
in suo favore.
B) La subordinazione (concezione tradizionale)
Il vincolo di subordinazione è la caratteristica fondamentale che individua il contratto
di lavoro che ha ad oggetto tale prestazione. Esso è stato variamente individuato a seconda del diverso rilievo assegnato agli elementi indicati dal legislatore nel descrivere
la prestazione di lavoro subordinato nell’art. 2094 c.c. In particolare, tradizionalmente,
si distingue tra:
— subordinazione tecnico-funzionale, che fa riferimento al carattere dell’eterodeterminazione della prestazione, nel senso che il lavoratore subordinato esegue la
prestazione dedotta in contratto secondo ordini, direttive ed impostazioni impartite
dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori gerarchici.
La subordinazione consisterebbe proprio nell’eterodirezione, cioè nella sottoposizione del lavoratore alle direttive del datore di lavoro con cui si determina in concreto
l’attività che il lavoratore deve svolgere;
— subordinazione socio-economica, imperniata sulla dipendenza o inferiorità
economica del lavoratore rispetto al datore di lavoro.
Tale nozione di subordinazione conferisce maggiore rilievo al fatto che la capacità
produttiva del lavoratore dipende dall’inserimento nell’organizzazione dell’imprenditore rispetto al quale si trova in una situazione di inferiorità mettendo a
disposizione le proprie energie e competenze.
C) La subordinazione in senso stretto (concezione moderna)
Le nuove modalità di lavoro connesse all’evoluzione della realtà economico-produttiva
hanno messo in luce i limiti dei criteri tradizionali utilizzati per ricostruire la nozione
di subordinazione.
Si è infatti evidenziato, da un lato, che l’eterodeterminazione non qualifica più la prestazione del lavoratore subordinato, in quanto è sempre più caratterizzata da margini
di autonomia.
Infatti, l’evolversi dei processi produttivi, grazie anche all’applicazione delle tecnologie telematiche
ed informatiche, i cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e la diffusione in tutte le categorie
di competenze specialistiche hanno reso le mansioni del lavoratore sempre meno esecutive, con
la conseguenza di una maggiore sfera di autonomia del prestatore nella esecuzione delle stesse.
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Dall’altro lato, neanche la dipendenza economica può dirsi carattere esclusivo del
lavoro subordinato. Tale elemento, infatti, appartiene anche a forme di lavoro che, pur
qualificandosi come autonome, sono tuttavia connotate da alti livelli di precarietà e di
sfruttamento (es. collaborazioni continuative e coordinate).
È stato quindi individuato un nuovo criterio che fa riferimento all’elemento dell’estraneità del lavoratore, sia rispetto all’organizzazione produttiva in cui è inserita la
prestazione che dal risultato della stessa (cd. doppia alienità): in tal caso si parla di
subordinazione in senso stretto.
Si distingue così tra autonomia tecnico-esecutiva, che può riscontrarsi anche nei rapporti di lavoro
subordinato, e autonomia economico-organizzativa che, invece, non è mai riscontrabile nell’ambito
della subordinazione (i lavoratori subordinati non sono titolari di alcuna organizzazione di mezzi
che invece, ancorché minima, si riscontra sempre nel prestatore d’opera).
⎢Dottrina e giurisprudenza
Va detto, però, che non tutta la dottrina ritiene superato il criterio della subordinazione in senso
tecnico-funzionale, in quanto sebbene il lavoratore subordinato goda oggi di una maggiore autonomia
rispetto al passato, è comunque assoggettato alle direttive del datore, indipendentemente dalla necessità o meno di esse ai fini dell’esecuzione del lavoro e dal fatto che esse siano o meno effettivamente
impartite (MAZZIOTTI).
Anche la giurisprudenza continua ad intendere la subordinazione (requisito fondamentale del lavoro
subordinato) come il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (Cass. 13884/2004).
D)La disciplina garantista del lavoro subordinato
Il lavoro subordinato, come si è già detto, costituisce l’oggetto della disciplina garantista del diritto del lavoro.
Tale sistema di garanzie si sostanzia in una disciplina caratterizzata da una marcata
finalità protettiva costituita in gran parte da norme inderogabili che regolano tutti i
principali eventi ed aspetti del rapporto di lavoro (inquadramento del lavoratore, retribuzione, orario di lavoro, diritti del lavoratore, sospensioni, estinzione del rapporto etc.).
Tra le principali norme di favore previste per il lavoro subordinato, si segnalano le
seguenti in materia di:
— assunzione dei lavoratori, è stabilito l’obbligo del datore di lavoro di comunicarla
agli uffici competenti e di registrare i lavoratori assunti nei libri obbligatori;
— retribuzione che non deve essere inferiore agli importi previsti dal contratto
collettivo di categoria in base alla qualifica del lavoratore e alle mansioni svolte e
comunque deve essere proporzionata alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato;
— estinzione del rapporto di lavoro. Si tratta di un complesso normativo costituito da
disposizioni che regolano in modo preciso ed inderogabile il recesso dal rapporto di
lavoro. In particolare, il datore di lavoro può licenziare il lavoratore solo in presenza
di una giusta causa e di un giustificato motivo (L. 604/1966, art. 18 L. 300/1970);
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— controversie di lavoro (artt. 409 ss. c.p.c.), volte a garantire una celere risoluzione
delle stesse per dare ai lavoratori una più immediata soddisfazione dei loro diritti
e crediti;
— tutela previdenziale e assicurativa, diretta a sollevare i lavoratori dipendenti dal
rischio di eventi che, connessi o meno con l’attività lavorativa, possono incidere
sulla capacità di lavoro o di guadagno (malattia, infortunio sul lavoro, disoccupazione, invalidità, vecchiaia etc.).
In proposito, è posto in capo al datore di lavoro l’obbligo di provvedere al pagamento dei
contributi previdenziali e dei premi assicurativi previsti dalla normativa vigente.
2.Il lavoro autonomo e le differenze con il lavoro subordinato
A) Il lavoro autonomo
Il lavoro autonomo consiste nel compimento di un’opera o di un servizio, con lavoro
prevalentemente proprio, che il lavoratore svolge senza vincolo di subordinazione,
verso un corrispettivo, nei confronti del committente.
Tale definizione discende dall’art. 2222 c.c. che disciplina il contratto d’opera cui
si applicano le disposizioni successive, artt. 2223-2228, riguardanti: l’esecuzione
dell’opera, le modalità di determinazione del corrispettivo, le conseguenze nel caso in
cui l’opera non sia stata eseguita in modo esatto (difformità e vizi), il recesso unilaterale
dal contratto, l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera.
Il lavoro autonomo si pone in linea di principio agli antipodi del lavoro subordinato
(il primo «senza», il secondo «con» vincolo di subordinazione).
Tuttavia, nella pratica non sempre è facile differenziare le due fattispecie: infatti,
accade spesso che il rapporto di lavoro si svolge con modalità tali da rendere difficile
una netta distinzione, inoltre esistono forme di lavoro che hanno natura autonoma ma,
realizzandosi un coordinamento con il committente, fuoriescono dall’ambito di applicazione dell’art. 2222 c.c. per entrare in quello della parasubordinazione (v. par. 3).
⎢Dottrina e giurisprudenza
Tradizionalmente, guardando all’oggetto della prestazione, si riteneva che nel lavoro autonomo esso
fosse costituito dal risultato finale dell’attività del prestatore (locatio operis), mentre nel lavoro subordinato dalle stesse energie lavorative del prestatore (locatio operarum). In base a tale distinzione
si parlava, nel primo caso, di obbligazione di risultato, nel secondo, di obbligazione di mezzi. Questo
criterio distintivo non ha ormai rilevanza: infatti, anche per talune categorie di lavoratori autonomi
può essere esclusa la responsabilità per un certo risultato (come accade, ad esempio, per gli avvocati o
i medici), in quanto oggetto del rapporto è soltanto la prestazione di un’attività, mentre, per converso,
nello schema causale del contratto di lavoro subordinato ben può rientrare la prestazione di un risultato
utile per il datore di lavoro (Ghera).
È altresì escluso che la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo possa basarsi sul tipo di attività
dedotta nel contratto, posto che qualsiasi attività può essere indifferentemente oggetto dell’uno o
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dell’altro tipo di rapporto (infatti, ciò che ha importanza, è la modalità con cui viene svolta).
Secondo la giurisprudenza «ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere espletata
nelle forme del rapporto di lavoro subordinato ovvero di quello autonomo, in relazione alla scelta
liberamente compiuta dalle parti circa lo schema maggiormente idoneo a soddisfare i loro rispettivi
interessi» (Cass. 23-11-1998, n. 11885; Cass. 28-7-1999, n. 8187)
B) I criteri di distinzione elaborati dalla giurisprudenza
Per distinguere tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, occorre verificare se in base
alle modalità di svolgimento della prestazione, esista o meno il vincolo di subordinazione.
Per facilitare questa operazione, la giurisprudenza ha individuato nel corso degli anni
una serie di indici che, se riscontrati nello svolgimento del rapporto di lavoro ne rivelano la natura subordinata, quali:
— l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato;
— la collaborazione;
— l’assenza del rischio in capo al lavoratore;
— la natura della prestazione;
— la continuità della prestazione;
— il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita;
— l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva;
— il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa
dal datore di lavoro.
Tali indici sono però solo elementi sussidiari, con un rilievo cioè secondario rispetto
all’unico elemento avente valore determinante per la dimostrazione dell’esistenza del
vincolo di subordinazione: l’assoggettamento del lavoratore al potere di direzione
e di controllo del datore di lavoro.
Infine, per determinare la natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è
di per sé irrilevante la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto
(cd. nomen iuris), in ossequio al principio generale in base al quale si deve privilegiare il comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento del rapporto
stesso rispetto alla volontà che avevano manifestato al momento della stipulazione
del contratto.
3.La parasubordinazione e il lavoro a progetto
A) La parasubordinazione
In alcuni casi, il lavoro autonomo può svolgersi con modalità analoghe a quelle rinvenibili nel lavoro subordinato.
La collaborazione nell’attività produttiva, che si realizza attraverso forme di lavoro
autonomo caratterizzate dalla natura prevalentemente personale della prestazione,
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dalla continuatività e dalla coordinazione, è stata infatti tradizionalmente inquadrata
dalla dottrina e dalla giurisprudenza nella cd. parasubordinazione.
Il primo riconoscimento giuridico di tale categoria è avvenuto con la L. 533/1973 che, modificando l’art. 409 c.p.c., ha esteso l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro
anche ai rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale, nonché a tutti gli «altri rapporti
di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata,
prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato» qualificati come rapporti
parasubordinati e denominati anche collaborazioni coordinate e continuative (cd. co.co.co.).
Il coordinamento dell’attività lavorativa
L’elemento che maggiormente differenzia la parasubordinazione dal lavoro autonomo e che
invece la avvicina al lavoro subordinato è il coordinamento dell’attività lavorativa.
Nel lavoro subordinato, la prestazione svolta dal lavoratore, in quanto inserita nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro, deve necessariamente essere coordinata e collegata
all’attività produttiva dell’azienda stessa. La prestazione di lavoro, infatti, si svolge secondo
le modalità e le direttive del datore di lavoro in virtù delle mutevoli esigenze organizzative e
mediante l’esercizio del potere direttivo.
Nel lavoro autonomo, non esiste una vera e propria coordinazione della prestazione, nel senso
che l’attività svolta dal lavoratore autonomo anche se è predeterminata contrattualmente, deve
essere adempiuta in totale autonomia, potendo il datore di lavoro intervenire solo per controllare
la sua rispondenza a quanto pattuito.
Nella parasubordinazione, invece, è richiesta la coordinazione dell’attività del lavoratore con
quella del committente, come accade nel lavoro subordinato, ma a differenza di quest’ultimo
non è connessa al potere direttivo del committente.
Ai rapporti di lavoro parasubordinato sono state successivamente estese anche altre
norme applicate al rapporto di lavoro subordinato: l’art. 2113 c.c., che stabilisce l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni del lavoratore, e l’art. 429 c.p.c., che prevede, in
caso di condanna del datore di lavoro al pagamento di crediti di lavoro, anche quella al
risarcimento del danno da svalutazione monetaria e agli interessi nella misura legale.
Alle suddette prime misure di tutela dei lavoratori parasubordinati ne sono state aggiunte progressivamente altre.
Sotto il profilo della tutela previdenziale, al lavoro parasubordinato si applica l’assicurazione
contro gli infortuni e le malattie professionali (D.P.R. 1124/1965 e D.Lgs. 38/2000), mentre
presso l’INPS è stata istituita (L. 335/1995) un’apposita gestione (cd. Gestione separata) per
garantire anche ai co.co.co. le prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti e prestazioni
non pensionistiche come l’assegno per il nucleo familiare, l’indennità di maternità e di paternità e
l’indennità di malattia in caso di degenza ospedaliera.
Ulteriori prestazioni sono state riconosciute dalla L. 296/2006 ai collaboratori coordinati e continuativi
in quanto categoria assimilata ai collaboratori a progetto (v. succ. lett. B): si tratta dell’indennità di
malattia giornaliera erogata per eventi morbosi non inferiori ai 4 giorni e del trattamento economico
per congedo parentale.
B) Il lavoro a progetto
Nel concreto svolgimento dei rapporti di lavoro, spesso lo strumento delle collaborazioni
coordinate e continuative è stato utilizzato per eludere la normativa sul lavoro subordinato.
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Per evitare ciò, il D.Lgs. 10-9-2003, n. 276 ha previsto che i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione,
devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici e programmi di lavoro o
fasi di esso, determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in
funzione del risultato, indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della
prestazione (cd. co.co.pro.) (art. 61).
Il progetto consiste in «un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad
un determinato risultato finale», mentre il programma di lavoro consiste in un’attività cui non
è direttamente riconducibile un risultato finale ma che è destinata ad essere integrata con altre
prestazioni o collaborazioni parziali (circ. Min. Lav. 1/2004). Il progetto o il programma di lavoro
devono essere ben determinati e specificati per iscritto e sono parte integrante del contratto di
lavoro (circ. Min. Lav. 4/2008).
Una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata è compatibile con la natura
progettuale dell’attività dedotta in un contratto di lavoro a progetto? Ad esempio il
lavoro di barista o di cameriere può essere svolto nella forma di lavoro a progetto?
La finalità dell’art. 61 D.Lgs. 276/2003 è di delimitare l’utilizzo del lavoro coordinato e continuativo a quelle
sole prestazioni che siano genuinamente autonome, perché effettivamente riconducibili alla realizzazione di
un progetto o programma (o fase di esso), gestite dal lavoratore in funzione del risultato.
Su tale presupposto si ritiene che una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata «è assai difficilmente
compatibile con un’attività di carattere progettuale, suscettibile di una valutazione in termini di risultato
tipica della collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto» (circ. Min. Lav. 4/2008).
Pertanto, determinate attività, come quelle svolte da baristi, camerieri, custodi e portieri, commessi e addetti
alle vendite etc., per le modalità di esecuzione, non possono inquadrarsi nel lavoro a progetto in quanto
incompatibili con un’attività progettuale tendente ad un risultato predeterminato e identificabile da realizzare
in modo autonomo ed in base soltanto ad un mero coordinamento con il committente.
C) Divieto di co.co.co. atipiche e sanzioni
Con la disciplina introdotta dal D.Lgs. 276/2003 scatta il divieto di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici, cioè senza la definizione di un progetto
o programma di lavoro: ne conseguono l’illegittimità di rapporti di co.co.co. al di fuori
dello schema negoziale tipico e l’applicazione delle sanzioni previste.
In difetto di uno specifico progetto, il rapporto di lavoro del collaboratore si trasforma
in lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla origine (art. 69, co. 1).
La mancanza del progetto opera come una presunzione legale circa la natura subordinata del
rapporto. Sulla natura della presunzione vi è divergenza di opinioni. Per chi sostiene (gran parte
della giurisprudenza) che si tratta di presunzione assoluta, il datore di lavoro/committente non può
dimostrare che il rapporto di lavoro si è svolto (realmente) con modalità (comunque) diverse dal
lavoro subordinato; per chi sostiene (parte della giurisprudenza e Ministero del Lavoro con circ.
1/2004) che si tratta di presunzione relativa, la dimostrazione della natura comunque autonoma
del rapporto è consentita.
In caso di accertamento giudiziale di un rapporto di natura subordinata, il
rapporto di lavoro a progetto (simulato) si trasforma in un rapporto di lavoro su-
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bordinato «corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti»
(art. 69, co. 2).
Per consentire il corretto utilizzo dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, e la trasformazione di tali rapporti in contratti di lavoro
subordinato, la L. 296/2006 (art. 1, co. 1202-1210) aveva previsto una procedura cd.
di stabilizzazione in favore dei committenti che, entro e non oltre il 30-9-2008 avessero
stipulato accordi con le organizzazioni sindacali (la scadenza originaria del 30-4-2007
è stata così prorogata dal D.L. 248/2008 conv. in L. 31/2008).
Fra l’altro, in rapporti di lavoro la trasformazione dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro
a tempo indeterminato comportava il godimento dei benefìci previsti dalla legge.
D)Il campo di applicazione
Tra il lavoro a progetto e la parasubordinazione non esiste una perfetta coincidenza,
poiché esistono rapporti di co.co.co. che, non presentando particolari rischi di elusione
della normativa inderogabile del diritto del lavoro, non devono essere ricondotti alla
disciplina del lavoro a progetto.
Ne risultano infatti esclusi (art. 61, co. 3, D.Lgs. 276/2003):
— l’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi
albi;
— i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa in favore di
associazioni e società sportive dilettantistiche, quelli degli amministratori e
sindaci e dei partecipanti a collegi e commissioni, nonché dei titolari di pensione
di vecchiaia;
— i rapporti di co.co.co. stipulati con la P.A.
Sono altresì esclusi i rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale cui si applica la disciplina
specifica prevista dal codice civile e dalla legge.
Sono, inoltre, escluse dalla disciplina del lavoro a progetto le collaborazioni occa­
sionali (cd. mini co.co.co.). Si tratta di collaborazioni di portata limitata (circ. Min.
Lav. 1/2004), in quanto la durata complessiva del rapporto non è superiore a 30 giorni
nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla
persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente ed il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare non superiore a 5.000 euro (art. 61 co.
2 del D.Lgs. 276/2003).
I parametri della durata e del compenso si intendono riferiti ad uno stesso committente,
pertanto ben possono susseguirsi nello stesso anno più collaborazioni occasionali con
diversi committenti e se ciascuna rientra in detti limiti temporali ed economici, non è
necessario inquadrare il rapporto nel contratto di lavoro a progetto.
Le mini co.co.co. si distinguono sia dalle prestazioni occasionali di tipo accessorio (v. infra par. 7)
che non costituiscono un vero e proprio rapporto di lavoro, sia dal lavoro autonomo occasionale
ex art. 2222 c.c. in cui manca il coordinamento.
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E) Disciplina del lavoro a progetto
Il contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato in forma scritta ed indicare (ai
soli fini della prova) specificamente il progetto o il programma di lavoro, le modalità
del coordinamento, la durata della prestazione di lavoro, il corrispettivo e le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del lavoratore (artt. 66, co. 4, D.Lgs.
276/2003 e 3, co. 7, D.Lgs. 81/2008).
Il necessario coordinamento tra committente e collaboratore non può essere comunque tale da
pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa (art. 62 D.Lgs. 276/2003).
È inoltre consentita una forma di coordinamento anche temporale con il committente, purchè il
lavoratore a progetto possa autodeterminare il proprio ritmo di lavoro e stabilire le modalità temporali di svolgimento dell’attività.
Per quanto concerne la disciplina del rapporto, ferma restando la legittimità di clausole del contratto individuale o collettivo più favorevoli al collaboratore a progetto, è
previsto che (artt. 63 ss. D.Lgs. 276/2003):
— il corrispettivo della prestazione deve essere proporzionato alla quantità e qualità
del lavoro eseguito.
Per determinare il compenso si deve tener conto dei compensi normalmente corrisposti per
analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto (art. 63 D.Lgs.
276/2003). È inoltre previsto e specificato che occorre tener conto «dei compensi normalmente
corrisposti per prestazioni di analoga professionalità, anche sulla base dei contratti collettivi
nazionali di riferimento» (art. 1, co. 772, L. 296/2006);
— il collaboratore a progetto non è vincolato da obblighi di esclusiva (può infatti
svolgere la sua attività a favore di più committenti), salvo diverso accordo tra le
parti e fermo il divieto di svolgere attività in concorrenza con i committenti (art.
64);
— il collaboratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione
fatta nello svolgimento del rapporto (art. 65).
Al lavoratore a progetto si applicano tutte le tutele già previste per i rapporti di
co.co.co.
È stato inoltre previsto che, in caso di fine lavoro, i lavoratori a progetto possano beneficiare di
una somma una tantum pari al 30% del reddito percepito l’anno precedente e comunque non
superiore a e 4.000 (art. 19, co. 2, D.L. 185/2008 conv. in L. 2/2009, modif. dall’art. 2, co. 130, L.
191/2009) (v. Cap. 11).
Il contratto di lavoro a progetto si risolve al momento della realizzazione del progetto
o del programma o della fase di esso. Il recesso prima della scadenza del termine è
ammesso solo per giusta causa e per altre causali stabilite dalle parti nel contratto di
lavoro (art. 67) (la violazione di questa regola comporta soltanto un obbligo di risarcimento del danno).
Il recesso del committente può comunque essere impugnato dal lavoratore ex art. 32 L. 183/2010
(v. amplius Cap. 12).
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Il lavoro a progetto può essere stipulato a tempo indeterminato?
Il contratto di lavoro a progetto deve essere necessariamente a termine in quanto la sua durata è in funzione
dei tempi di esecuzione del progetto (o del programma di lavoro) che costituisce l’oggetto dell’attività del
collaboratore. È legittimo il rinnovo di un contratto di lavoro a progetto tra le medesime parti, anche quando
abbia ad oggetto lo svolgimento del medesimo lavoro del precedente contratto, salvo che il rinnovo abbia
finalità elusive della disciplina vigente (circ. Min. Lav. 1/2004).
Il verificarsi di eventi come gravidanza, malattia e infortunio determina una sospensione del rapporto per un
periodo non superiore ai limiti previsti dal legislatore, durante il quale nessuna delle obbligazioni principali
è adempiuta (il collaboratore non lavora e il committente non paga alcun compenso).
Solo in caso di gravidanza però la durata del rapporto è prorogata (art. 66), per un periodo di 180 giorni,
salva migliore disposizione del contratto individuale.
Il diritto alla proroga del rapporto spetta alle lavoratrici tenute ad astenersi dall’attività lavorativa in caso di
gravidanza, sia per il periodo obbligatorio di 5 mesi (art. 16 D.Lgs. 151/2001), sia per i periodi di interdizione
al lavoro disposti dai servizi ispettivi (art. 17 D.Lgs. 151/2001) (D.M. 12-7-2007).
4.La compatibilità tra rapporto associativo e lavoro subordinato
A) Il rapporto di lavoro subordinato ed il vincolo associativo
In alcuni rapporti associativi è rinvenibile la situazione in cui il socio o l’associato
si trovano ad eseguire un’attività di lavoro: è il caso del socio d’opera nelle società
di persone, dell’associato nell’associazione in partecipazione e del socio lavoratore
nelle cooperative di lavoro.
La peculiarità di tali ipotesi è che, mentre nel rapporto di lavoro subordinato l’attività
lavorativa è eseguita in ragione di un contratto di scambio, articolato in due obbligazioni
principali o controprestazioni (la prestazione del lavoratore e la corresponsione della
retribuzione del datore), nei rapporti di tipo associativo lo svolgimento di un’attività
lavorativa è di regola una conseguenza stessa del vincolo associativo.
Le caratteristiche del rapporto associativo fanno sì che vengano a mancare quegli elementi indispensabili per l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (eterodirezione
ed estraneità all’organizzazione e al profitto derivante dall’attività) e per l’applicazione
della relativa disciplina.
B) Il socio d’opera e l’associazione in partecipazione
Il socio d’opera è colui che nella società di persone conferisce, anziché beni, la propria
opera lavorativa. Egli si obbliga a prestare lavoro in favore della società, non per ricevere in cambio la retribuzione, ma perché partecipa allo scopo societario ed è titolare
degli stessi poteri di amministrazione e decisione degli altri soci.
In tal caso, il rapporto di lavoro del socio ha fondamento nel contratto di società e non
in un contratto di lavoro subordinato di cui mancano gli elementi qualificanti.
Il rapporto di lavoro subordinato è considerato compatibile con quello associativo, se l’attività
lavorativa del socio, svolta in forma subordinata, non costituisce oggetto del conferimento per
partecipare alla società.
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Nell’associazione in partecipazione (artt. 2549-2554 c.c.), invece, l’associante
attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di singoli affari,
come corrispettivo di un certo apporto che può consistere (in una somma di danaro,
nel godimento di un bene, ma) anche nello svolgimento di una prestazione di lavoro.
Tale apporto lavorativo non ha però natura subordinata, poiché anche in questo caso
non si rinvengono gli elementi propri della subordinazione.
L’associato, infatti, non è obbligato a prestare la propria collaborazione sotto la direzione dell’associante. Inoltre egli, anche se non ha la titolarità dell’affare, che resta in capo esclusivamente
all’associante (art. 2552, co. 1, c.c.), può esercitare un controllo circa il suo andamento e partecipa
ai risultati dell’attività svolta (Cass. 12-1-2000, n. 290).
Ciò non impedisce però che l’attività lavorativa venga svolta nei fatti con vincolo di
subordinazione: è così previsto che se manca una effettiva partecipazione e non vengono
corrisposte adeguate erogazioni all’associato che presti la propria attività, quest’ultimo
ha diritto «ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai
contratti collettivi per il lavoro subordinato» (art. 86, co. 2, D.Lgs. 276/2003).
Per ricondurre il rapporto di lavoro tra associante e associato nel contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato o nel contratto di lavoro
subordinato, è necessario svolgere un’indagine diretta a cogliere «la prevalenza, alla stregua
delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico
dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere dell’associante
d’impartire direttive ed istruzioni al cointeressato» (Cass. 26-1-2010, n. 1584).
È possibile configurare come lavoro subordinato il rapporto di lavoro svolto dal
socio?
Nelle società di persone (società semplice, ex artt. 2251-2290 c.c., società in nome collettivo, ex artt. 22912312 c.c., società in accomandita semplice, ex artt. 2313-2324 c.c.) il rapporto di lavoro subordinato è incompatibile con quello associativo, salvo quando l’attività lavorativa del socio, svolta in forma subordinata,
non costituisce oggetto del conferimento per partecipare alla società.
Ad analoga conclusione si giunge anche nel caso in cui il socio rivesta una carica sociale, in quanto il rapporto di immedesimazione del socio con l’organo sociale esclude la sussistenza degli elementi qualificanti
la subordinazione, ed in particolare quello della eterodirezione della prestazione lavorativa, come ad esempio nel caso dell’amministratore unico (che accentrando in sé la volontà sociale non può «controllare se
stesso»). Può invece esistere un rapporto di lavoro subordinato nel caso di amministratori delegati, purché
essi operino sotto il diretto controllo del Consiglio di amministrazione o di altro amministratore delegato
(Cass. 24-1-1981, n. 565 e 12-4-1980, n. 2361).
C) Il socio lavoratore nelle cooperative
Le società cooperative sono costituite allo scopo di svolgere un’attività economica
organizzata in impresa attraverso l’utilizzazione del lavoro dei soci.
Con la loro attività lavorativa i soci contribuiscono al raggiungimento degli scopi sociali, ma nel contempo sono titolari del diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa.
36
Z
Capitolo 2
Il socio ha poteri gestionali, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, alla definizione della struttura di direzione e conduzione della cooperativa, alle decisioni concernenti le scelte
strategiche, deve contribuire alla formazione del capitale sociale, partecipando al rischio d’impresa,
e deve mettere a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato
dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa.
Tale fattispecie è disciplinata dalla L. 3-4-2001, n. 142 con cui si è provveduto alla
«revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento
alla posizione del socio lavoratore», poi modificata ed integrata dalla L. 30/2003.
Tra socio lavoratore e cooperativa si instaura un rapporto di tipo associativo dal
quale deriva, tuttavia, un ulteriore rapporto, connesso all’attività prestata dal socio
e con cui egli contribuisce al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1 L. 142/2001).
Il rapporto di lavoro tra socio lavoratore e cooperativa deve essere concordato e
formalizzato all’atto dell’adesione, o successivamente, e può assumere la forma
della subordinazione o del lavoro autonomo, compresi i rapporti di collaborazione
coordinata non occasionale.
Il rapporto di lavoro sarà quindi disciplinato dalla normativa applicabile alla tipologia (autonoma, subordinata, di collaborazione) prescelta, secondo una valutazione di
compatibilità con la posizione di socio che il lavoratore riveste.
Si configurano infatti due tipi di rapporti, quello associativo e quello di lavoro che è strumentale
rispetto al primo. Dal rapporto associativo derivano poi, al socio lavoratore, i tipici poteri e doveri
dello status di socio di cooperativa: es. potere gestionale, mediante la partecipazione alla formazione degli organi sociali, conduzione dell’impresa, partecipazione al rischio di impresa, obbligo
di mettere a disposizione le proprie capacità professionali etc.
Quando il rapporto di lavoro tra il socio lavoratore e la cooperativa ha natura subordinata si applica, anche se non integralmente, la disciplina propria del lavoro subordinato
di cui al codice civile e alla legislazione sociale.
In particolare ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato:
— si applica lo Statuto dei Lavoratori, ma l’esercizio dei diritti sindacali (Titolo III St.Lav.) deve
avvenire con le modalità individuate in sede di appositi accordi collettivi tra le associazioni
nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori che tengano
conto del suddetto principio di compatibilità (circ. Min. Lav. 10/2004);
— le società cooperative sono tenute a corrispondere un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per
prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine;
— si applicano anche tutte le disposizioni in materia di igiene e sicurezza del lavoro e altri istituti
quali TFR, ferie etc. Il regolamento interno della cooperativa può stabilire però anche deroghe
peggiorative rispetto alle condizioni di lavoro spettanti in base alla disciplina legislativa (con
l’unica eccezione dei trattamenti economici minimi) (art. 6 L. 142/2001).
La parziale applicazione degli istituti del lavoro subordinato deriva dall’esigenza di
salvaguardare la posizione di «socio» del lavoratore. Ciò è evidente se si considera che
in materia di estinzione del rapporto di lavoro è previsto che:
— se si ha recesso o esclusione del socio dalla cooperativa (deliberati nel rispetto
delle previsioni statutarie e delle disposizioni del codice civile), si estingue
Il lavoro subordinato
Z 37
anche il rapporto di lavoro, sia esso di natura subordinata, autonoma o di collaborazione.
La preminenza del vincolo associativo, nel caso in cui si tratti di lavoro subordinato, esclude
la tutela dell’art. 18 St. Lav. (diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di illegittimità
del licenziamento);
— se si estingue il rapporto di lavoro con il socio, il rapporto associativo invece non
decade automaticamente.
In tal caso, se il rapporto di lavoro ha natura subordinata, all’eventuale atto di licenziamento
da parte della cooperativa potranno applicarsi le garanzie dell’art. 18 St. Lav.
Qual è la ratio della tutela del socio lavoratore di cooperativa?
L’esigenza di fornire una tutela ai soci lavoratori ha come fondamento il mutamento di funzione del fenomeno
cooperativo. In origine, esso rappresentava, un «aspetto importante della vicenda storica del movimento operaio
(…) con l’obiettivo di emancipare i lavoratori dai vincoli del lavoro salariato, offrendo occasioni di lavoro a
condizioni possibilmente migliori di quelle conseguibili presso un’impresa privata» (ROCCELLA). Successivamente, l’affermarsi delle cooperative di grandi dimensioni ha determinato una scarsa partecipazione del socio
alla gestione dell’ente mutualistico assimilandolo per molti versi ad un vero e proprio lavoratore subordinato.
Pertanto, in considerazione dell’evoluzione del fenomeno cooperativo, la L. 142/2001, nella sua formulazione originaria, perseguiva la finalità di distinguere il rapporto associativo da quello di lavoro, con
conseguente applicazione a quest’ultimo della disciplina propria della specie che le parti, cooperativa e socio
lavoratore, intendessero realizzare, ed estendendo gran parte degli istituti protettivi del lavoro subordinato
ove vi fossero i presupposti della subordinazione.
Senonché, la L. 30/2003, nel modificare la predetta legge n. 142, ha ridimensionato tale finalità, riconducendo l’attività prestata dal socio lavoratore nell’ambito del rapporto mutualistico e affermando la netta
prevalenza di quest’ultimo sul rapporto di lavoro.
5.Il lavoro gratuito
In generale è esclusa l’ammissibilità del lavoro gratuito, poiché l’eventuale accordo
volto a eliminare qualsiasi tipo di compenso per l’attività prestata dal lavoratore subordinato è invalido, e viene automaticamente sostituito con la previsione del diritto alla
retribuzione minima prevista dal contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro.
Un accordo del genere è legittimo solo se l’attività viene svolta gratuitamente in virtù
di un vincolo di cortesia, affetto o compiacenza (affectionis causa) o anche perché vi
è un rilevante interesse del prestatore, che può consistere nello scopo di solidarietà
per cui è svolto il lavoro.
L’esempio tipico sotto il primo aspetto è il lavoro familiare instaurato tra soggetti che
sono legati da un vincolo di parentela o di affinità e si presume gratuito, salvo prova
contraria, poiché si ritiene che venga prestato affectionis causa, cioè quale corrispettivo
dell’assistenza ricevuta o come attività dovuta nell’interesse della famiglia. Il lavoro
familiare è quindi escluso non solo dall’ambito del lavoro subordinato, ma anche da
quello del lavoro in genere.
38
Z
Capitolo 2
Il lavoro familiare può essere effettuato nell’ambito della impresa familiare (art.
230bis c.c.), in cui collaborano con il titolare il coniuge, i parenti entro il terzo grado
e gli affini entro il secondo grado. In questo caso il legislatore ha predisposto, a tutela
del familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o
nell’impresa familiare, il riconoscimento di determinati diritti anche di natura economica (es. al mantenimento).
Tale disciplina si applica salvo che sia configurabile un diverso rapporto; è quindi possibile che il
lavoro svolto nell’impresa familiare assuma natura subordinata con l’applicazione della relativa
normativa.
Un ulteriore esempio di lavoro svolto gratuitamente, perché a titolo di solidarietà, dal
singolo individuo, è l’attività di volontariato, definita come quella prestata in modo
personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte,
senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà (art. 2 L.
266/1991).
Tale attività non può essere retribuita (sono ammessi i rimborsi spese) ed è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, con l’organizzazione di appartenenza.
6.Il lavoro nell’impresa sociale
Nell’ambito dell’impresa sociale sono ricomprese tutte le organizzazioni private, le
imprese e le società commerciali che esercitano in via stabile e principale un’attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di
utilità sociale (es. settore assistenza sociale), diretta a realizzare finalità di interesse
generale, purché in possesso dei requisiti prescritti.
Ai lavoratori che prestano attività lavorativa nell’ambito dell’impresa sociale non può
essere corrisposto un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto
dai contratti e accordi collettivi applicabili (art. 14 D.Lgs. 155/2006).
In particolare, a qualunque titolo prestino la loro opera, hanno il diritto di informazione,
consultazione e partecipazione nei termini e con le modalità specificate nei regolamenti
aziendali o concordati dagli organi di amministrazione dell’impresa sociale con i loro
rappresentanti.
7.Il lavoro accessorio
Il lavoro occasionale di tipo accessorio è una particolare modalità lavorativa che può
essere attuata esclusivamente per l’esecuzione delle attività previste dalla legge e da
parte di specifiche categorie di soggetti. Si tratta di una fattispecie non riconducibile
alle tipologie contrattuali tipiche di lavoro subordinato o di lavoro autonomo ed è
Il lavoro subordinato
Z 39
caratterizzata da prestazioni «di natura meramente occasionale e saltuaria» (Min. Lav.
risposta a interpello 14-4-2010, n. 16) «avente la sola finalità di assicurare le tutele
minime previdenziali e assicurative in funzione di contrasto a forme di lavoro nero e
irregolare» (circ. INPS 17/2010).
Le prestazioni occasionali accessorie sono state introdotte dal D.Lgs. 276/2003 (artt.
70 e ss.), ma l’originaria disciplina è stata già più volte modificata per incentivarne e
promuoverne la diffusione, ampliandone l’ambito di applicazione.
Le prestazioni possono essere rese nell’ambito (art. 70 D.Lgs. 276/2003):
a) di lavori domestici;
b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, anche nel caso in cui il committente sia un ente locale;
c) dell’insegnamento privato supplementare;
d) di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza
o di solidarietà anche in caso di committente pubblico;
e) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il
sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di
venticinque anni di età, se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto
scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici,
ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi
presso l’università;
f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe
e dai giovani alle condizioni suddette ovvero delle attività agricole svolte a favore
dei produttori agricoli con volume d’affari inferiore a 7.000 euro (art. 34, co. 6,
D.P.R. 633/1972);
g) dell’impresa familiare (art. 230bis c.c.);
h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e
periodica;
i) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, da parte di pensionati;
l) di attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie.
Per tali attività il rapporto di lavoro deve svolgersi direttamente tra chi utilizza la prestazione e chi la fornisce, senza il tramite di intermediari, escludendosi pertanto che
un’impresa possa reclutare e retribuire lavoratori per svolgere prestazioni a favore di
terzi come nel caso dell’appalto o della somministrazione (circ. INPS 88/2009).
È altresì possibile utilizzare lavoro accessorio:
— nelle attività di stewarding nelle manifestazioni sportive, sia direttamente che in
regime di appalto o somministrazione di lavoro, derogando, in tale ultima ipotesi
al divieto generale (D.M. 24-2-2010, msg. INPS 9999/2010);
— anche nei parchi divertimento (acquatici, tematici, naturalistici e parchi avventura), purchè sussistano le condizioni per il lavoro accessorio (Min. Lav. interpello
21/2010).
40
Z
Capitolo 2
In via sperimentale, è stata prevista la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio in
tutti i settori produttivi da parte dei lavoratori con contratto a tempo parziale (purchè
le prestazioni non siano rese a favore del datore di lavoro titolare del contratto stesso)
e dei percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (in tal
caso nell’ambito applicativo rientrano anche gli enti locali).
La sperimentazione, prevista inizialmente per gli anni 2009 e 2010, è stata prorogata, da ultimo,
fino al 31-12-2011 (D.L. 29-12-2011, n. 216, d. mille proroghe).
Il compenso del lavoratore viene corrisposto attraverso il meccanismo dei buoni lavoro
o voucher, che il committente deve acquistare (attivando una procedura cartacea o
telematica) e poi consegnare al termine della prestazione lavorativa al lavoratore che
li consegnerà ad un soggetto terzo – il concessionario – che gli pagherà effettivamente
la retribuzione.
Ogni buono ha un valore nominale di e 10 dal quale il concessionario deve detrarre gli importi
per la contribuzione previdenziale e assicurativa e per la gestione del servizio, calcolati applicando, sul valore nominale, il 13% per i contributi INPS, il 7% per l’assicurazione INAIL ed 5%
per le spese di gestione del servizio.
Con riferimento all’impresa familiare (art. 70, co. 1, lett. g), trova applicazione la
normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato (art. 72, co.
4bis, D.Lgs. 276/2003).
Le attività di lavoro accessorio non devono dare luogo, complessivamente e con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a € 5.000 nel corso dell’anno
solare, che si riduce a € 3.000 per i percettori di prestazioni a sostegno del reddito; nel
caso di imprese familiari, il limite è elevato a € 10.000, nel corso di ciascun anno fiscale.
Questionario
1.Esiste nel codice civile una nozione di lavoro subordinato?
(par. 1)
2.Qual è la natura delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro subordinato?
(par. 1)
3.Qual è l’efficacia degli indici di subordinazione elaborati dalla giurisprudenza?
(par. 2)
4.Indicare le principali differenze tra il lavoro autonomo ed il lavoro subordinato.
(par. 2)
5.Quali sono i caratteri essenziali del lavoro parasubordinato?
(par. 3)
Il lavoro subordinato
Z 41
6.Come si può definire il lavoro a progetto?
(par. 3)
7.Cosa si intende per divieto di rapporti di collaborazione atipici e quale sanzione
si applica per la sua violazione?
(par. 3)
8.Come viene determinato il compenso del lavoratore a progetto?
(par. 3)
9.Cosa sono le cd. mini co.co.co.? Vi possono rientrare anche le prestazioni svolte
nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona?
(par. 3)
10. È possibile la configurazione di un rapporto di lavoro subordinato nell’associazione
in partecipazione?
(par. 4)
11. Se viene deliberata l’esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa, il rapporto
di lavoro tra questi e la cooperativa stessa si estingue?
(par. 4)
12. Si possono avere rapporti di lavoro in cui vi sia un vincolo di subordinazione ma
non sia prevista l’erogazione di un compenso al lavoratore?
(par. 5)
13. Cos’è l’impresa sociale?
(par. 6)
14. Come viene corrisposto il compenso al lavoratore che rende prestazioni di lavoro
accessorio? Esiste un limite economico?
(par. 7)