EPATITE B: EPIDEMIOLOGIA, EZIOLOGIA E DIAGNOSI
L’Istologia
Michele Pirrelli
Il concetto istologico di epatite cronica è piuttosto recente risalendo alla metà circa del secolo
scorso, allorquando il patologo tedesco Schmid inquadrò nella monografia L’epatite cronica gli
aspetti istologici di una patologia epatica con caratteristiche reattivo/infiammatorie, della quale si
ignorava l’etiologia. Nello stesso periodo la clinica era impegnata a cercare le cause di una malattia
il cui segno più eclatante era tutt’uno con il nome: l’ittero. Buona parte dell’epatologia moderna si è
caratterizzata per lo sforzo di identificare nel mare magnum delle epatiti da causa sconosciuta quelle
riconducibili ad una etiologia nota.
Una classificazione etiologica delle epatiti può essere così schematizzata (e semplificata):
- epatiti infettive
- epatiti autoimmuni
- epatiti da tossici/farmaci
- epatiti associate a malattie metaboliche
- epatiti criptogenetiche
Pur essendo note sin dall’antichità le epidemie di ittero, la consapevolezza che potessero
avere una causa infettiva è un’acquisizione piuttosto recente. Prende corpo durante l’ultimo
conflitto mondiale quando un ciclo di vaccinazioni per la febbre gialla praticato a reclute americane
destinate al fronte asiatico fa scoppiare un’epidemia di ittero che colpisce 50000 soldati.
Ma come spesso succede in Medicina, la scoperta dell’agente causale di questa epidemia fu
abbastanza fortuita, dal momento che Baruch Blumberg, cui si deve la scoperta del virus B, in realtà
stava studiando le reazioni immunitarie dei soggetti politrasfusi. La scoperta che il sangue di un
emofilico reagiva col siero di un aborigeno australiano aprì le porte all’individuazione
dell’Antigene Australia, quindi al suo collegamento con la malattia epatite, infine all’isolamento
definitivo dell’agente causale: il virus B.
Il virus B per lungo tempo ha rappresentato, se non l’unico, il meglio studiato fra gli agenti
etiologici dell’epatite, ed il danno tissutale da esso provocato ne ha rappresentato tout court il
prototipo istologico. Con i virus A e C condivide la maggior responsabilità di infezioni epatitiche,
mentre insieme al solo virus C è capace di persistere nel parenchima epatico e quindi di provocare
una malattia cronica con un danno evolutivo che può tradursi in cirrosi. Inoltre il virus B può
integrarsi nel genoma dell’ospite, sfuggendo così alla risposta immunitaria e potendo avere
implicazioni nella patogenesi del carcinoma epatocellulare.
Il virus B determina nel soggetto infettato una epatite acuta, talvolta clinicamente silente,
generalmente autolimitantesi e che, nella stragrande maggioranza dei casi esita nella guarigione con
clearence virale ed immunizzazione permanente. Una percentuale bassa, stimabile a seconda delle
aree geografiche tra il 5 ed il 15% degli infetti, non riesce ad eliminare il virus che continua quindi a
mantenere livelli più o meno alti di replicazione. Il persistere della replicazione virale nel tessuto è
il prerequisito della cronicizzazione dell’infezione. La cronicizzazione può essere esente (o quasi)
da manifestazioni cliniche o laboratoristiche di malattia (cosiddetto portatore sano di HbsAg)
ovvero caratterizzarsi per l’alternarsi di fasi di più o meno severa acuzie con fasi di relativa
remissione di malattia.
Fin qui le premesse.
Quando viene inviato un prelievo bioptico relativo ad un paziente positivo per l’HbsAg e con
segni clinici di epatite il patologo è chiamato ad esprimersi circa:
- l’esistenza dell’epatite
- la sua cronicità
- i segni di attività e di acuzie
- i segni specifici di HBV infezione
- lo staging
I segni di cronicità sono rappresentati dalla flogosi di tipo cronico eminentemente collocata a
livello dello spazio portale: si tratta prevalentemente di linfociti ma anche di plasmacellule ed
istiociti. I linfociti sono quasi esclusivamente di tipo T e mostrano una zonalità nello spazio portale
dimostrabile con immunocolorazioni per le sottopopolazioni: i T4 sono situati nella parte più
interna dello spazio portale, i T8 in quella più esterna, in prossimità dell’interfaccia con il
parenchima. Le plasmacellule sono scarse, anzi la loro maggior consistenza numerica pone il
sospetto di epatite autoimmune. Gli istiociti nello spazio portale mostrano generalmente
differenziazione macrofagica, funzione evidenziata dalla frequente PAS positività dovuta
all’accumulo al loro interno di pigmenti ceroidi, sottoprodotti digestivi di epatociti danneggiati. La
cronicità dell’epatite è anche evidenziata dal rimodellamento dello spazio portale. Infatti nelle fasi
di attività di malattia fenomeni necro-infiammatorii si svolgono al confine spazio portaleparenchima lobulare, complesso di fenomeni già noto come piecemeal necrosis ed attualmente
definito epatite da interfaccia. Ad ogni avanzata del fronte flogistico consegue una morte (per
apoptosi) di epatociti della lamina limitante e, quindi, un processo riparativo di tipo fibrotico. Il
processo non avviene omogeneamente su tutto il perimetro dello spazio portale per cui si assiste a
profonde distorsioni del suo normale profilo (rotondo o triangolare) che assume una morfologia
festonata per il susseguirsi di fronti di avanzamento ed aree di ritirata del processo infiammatorio.
La necrosi a volte fende profondamente il parenchima, si fonde con altre direttrici autoctone di
necrosi a partenza da altri spazi portali o dal centro del lobulo dando origine alle necrosi a ponte.
Quando il fenomeno tende a spegnersi la deposizione di fibre collagene cicatrizza il campo di
battaglia conferendo una nuova topografia a quello che è il normale, elegante, disegno
dell’architettura acinare epatica. Sarebbero le necrosi a ponte ed i successivi setti fibrosi portocentrali i veri responsabili del maggior disturbo emodinamico, rappresentando precoci esempi di
shunts porto-cavali, presupposto emodinamicamente disfunzionale della cirrosi.
I fenomeni di acuzie non sono una prerogativa della epatite acuta ma frequentemente
compaiono anche nella epatite cronica, talora in modo così eclatante da simulare una forma acuta
(così detta epatite cronica lobulare). Si evidenziano sotto forma di necrosi epatocitaria all’interno
del lobulo e può essere a piccoli focolai (necrosi a spruzzo) ovvero confluente o, addirittura,
coinvolgere l’intero acino o più acini (necrosi panacinare o multiacinare). Quest’ultima è il
corrispettivo istologico della epatite fulminante. La necrosi epatocitaria si manifesta con una
progressiva eosinofilia citoplasmatica accompagnata da fenomeni regressivi nucleari che culminano
con la sua espulsione, residuando piccoli blocchi di materiale acidofilo tipo corpi di Councilman.
Altri fenomeni evocativi di acuzie sono le alterazioni del rapporto nucleo-citoplasmatico, la
comparsa di una discreta attività mitotica, il rigonfiamento balloniforme degli epatociti.
L’infiammazione lobulare consiste di piccoli gruppi di linfociti (T8) e di altri mononucleati (spesso
macrofagi), raramente sono presenti polimorfonucleati.
Accanto a questi aspetti, presschè comuni a tutte le epatiti croniche, l’epatite da virus B si
caratterizza per aspetti morfologici specifici, anche se non patognomonici in senso assoluto, legati
alla presenza tissutale dell’agente virale. Alcune componenti del virione, infatti, accumulandosi
negli epatociti, conferiscono un aspetto a vetro smerigliato (ground glass) ai citoplasmi e sabbiato
(sanded) ai nuclei. Il riconoscimento di questi peculiari aspetti morfologici, la possibilità di
evidenziarli con colorazioni speciali (orceina) e poi con metodiche immunoistochimiche, ha offerto
nuove possibilità di studio alla istopatologia dell’epatite B. Due tipi di anticorpi sono stati nel
tempo testati e poi routinariamente utilizzati nelle biopsie epatiche per la dimostrazione tissutale di
antigeni virali: l’anticorpo per l’HbsAg e quello per l’HbcAg. Il primo viene riconosciuto
esclusivamente nel citoplasma e può interessarlo per intero ovvero per una sottile rima in
corrispondenza della membrana cellulare. L’HbcAg può invece avere espressione sia citoplasmatica
che nucleare. Mentre la dimostrazione dell’HbsAg nel tessuto non va oltre la mera conferma di
infezione, la presenza dell’HbcAg si associa invariabilmente a danno epatico, anche se con diversa
espressività. Dalle diverse combinazioni delle immunoreattività tissutali e sierologiche per antigeni
ed anticorpi virus correlati e del dosaggio dell’HBV-DNA possono essere costruiti precisi profili
clinico-patologici utili ad inquadrare la malattia e la sua possibile evoluzione. Quattro principali
profili sono stati tracciati e ciascuno di questi è espressione del momento che il conflitto virusospite sta attraversando.
Profilo 1
E’ il pattern tipico dell’epatite acuta. Rappresenta il momento in cui esplode la risposta dell’ospite.
Può esitare nell’ eliminazione completa del virus con immunizzazione permanente.
-
HBV-DNA negativo
HbsAg - HbeAg Antigeni virali assenti o minima espressione tissutale
Quadro di epatite acuta
Profilo 2
E’ una fase in cui è scarsa la risposta immunitaria dell’ospite e pertanto il danno tissutale è lieve ma
il virus non trova ostacoli alla sua diffusione. E’ caratterizzata da alta replicazione virale.
-
HBV-DNA fortemente positivo
IgM anti-core negative
HbsAg + e HbeAg + nel siero
HbcAg + nel tessuto, nucleare, per lo più generalizzato
HbsAg nel tessuto, diffuso, con espressione prevalente di membrana
Danno epatico lieve (cosiddetta immunotolleranza)
Profilo 3
E’ la fase in cui la risposta immunitaria oltre che efficiente risulta efficace. Pertanto il danno
tissutale è importamte ma l’eliminazione del virus può avere successo.
-
HBV-DNA debolmente positivo
IgM anti-core positive
HbsAg + HbeAg + nel siero
HbcAg nel tessuto con pattern nucleare focale
HbsAg nel tessuto con prevalente espressione citoplasmatica piena negli epatociti
Danno epatico importante: epatite cronica con attività moderata-severa
Profilo 4
In questa fase la tolleranza immunitaria si realizza per integrazione del DNA virale nel genoma
dell’ospite. Il fenomeno può avvenire anche in fasi evolute (cirrotiche) di malattia. E’
completamente assente la replicazione virale.
-
HBV-DNA assente
IgM anti-core negative
HbsAg + HbeAg - HbeAb+
HbsAg + nel tessuto senza HbcAg, con positività citoplasmatica piena
Attività necro-infiammatoria assente in fegato normale ma talora con fibrosi o addirittura
cirrosi
Non va dimenticato che solo l’epatite B può superinfettarsi con l’agente Delta, un virus
difettivo la cui replicazione e patogenicità necessitano specificamente della funzione helper del
virus B. Istologicamente non esistono aspetti patognomonici di infezione da virus Delta, ma deve
essere sottolineato la costante maggior severità dell’epatite. Talora si può osservare un particolare
tipo di steatosi microvacuolare che può dar luogo alle così dette cellule (epatociti) morula. La
diagnosi di epatite Delta è basata sulla presenza di anticorpi anti-delta e/o HDV-RNA nel siero e
sulla positività tissutale nucleare per l’antigene delta.
Dunque la biopsia epatica è una finestra aperta sul campo di battaglia nel quale si scontrano
l’organismo ospitante ed il virus con esiti differenti:
- il fegato uccide il virus → epatite acuta
- il virus uccide il fegato → epatite fulminante
- assenza di conflitto e/o scaramucce → epatite cronica
- il fegato non vede il virus → portatore sano
E’ una strana battaglia dove il fegato per liberarsi del virus deve far soccombere una parte di
sé, mentre il virus per sopravvivere deve colonizzare gli epatociti e per essere ignorato deve
integrarsi nel loro genoma.
La biopsia epatica ci racconta, ed è tanto, ciò che è successo sino a quel momento e ciò che
sta succedendo, ma può solo fornire indicazioni per quel che riguarda l’esito finale.
Una notevole importanza riveste la gradazione e stadiazione dell’epatite. Già nei tardi anni
sessanta la prima classificazione delle epatiti, distinguendo tra forme persistenti e forme aggressive
e, nell’ambito di queste ultime, tra forme lievi moderate e severe, tentava di identificare quadri
istologici con (possibili) differenti aspetti evolutivi. La necessità poi di dover dare concretezza
oggettiva, misurabile, ripetibile, statisticamente elaborabile, a questi dati osservazionali, creò il
presupposto per la formulazione di una scala di valori con relativo punteggio che aiutasse a
graduare e stadiare il danno epatico. Capostipite di questi sistemi classificativi è l’indice di Knodell
che per lungo tempo ha avuto fortuna, ma che presenta il limite di esprimere con un solo punteggio
finale sia il grading, ovvero la misurazione dell’attività necro-infiammatoria, che lo staging, ovvero
la verifica del danno epatico consolidato, cioè la fibrosi o la cirrosi. Negli anni 90 sono fioriti
numerosi sistemi di grading e staging che hanno corretto questa scarsamente informativa
commistione di parametri. Sono sostanzialmente tutti validi, alcuni più semplici e quindi più
riproducibili da osservatori differenti, altri più accurati e dettagliati ma allo stesso tempo con
problemi di bassa riproducibilità fra diversi osservatori.
Alcune risposte a domande ricorrenti sull’argomento epatite B e biopsia epatica:
D: A quali pazienti infettati dal virus B proporre la biopsia epatica?
R: A quelli che non abbiano sieroconvertito e con movimento di transaminasi.
D: Quando fare la biopsia?
R: Di solito è il paziente che “sceglie” quando sottoporsi al prelievo. E’ importante che la
decisione sia accompagnata dalla disponibilità ad accettare l’eventuale terapia immunomodulante
da iniziare dopo aver valutato il referto istologico.
D: Cosa deve fornire un valido referto istologico?
R: Una diagnosi di tipo etiologico ovvero che l’epatite è da virus B; una descrizione che renda
conto del grading e dello staging; una valutazione immunoistochimica del pattern tissutale
antigenico.
Per concludere: negli anni 2000 rimarrà ancora valida e proponibile la biopsia epatica? e cosa
ci si potrà e dovrà aspettare da questo tipo di indagine?
Certamente la clinica, il laboratorio, le moderne tecniche di diagnostica per immagine molto
hanno sottratto alla biopsia epatica del suo ruolo diagnostico. Tuttavia nessuna tecnica al momento
può sostituirla nel fornire informazioni reali dello stato attuale di malattia. Infine i nuovi
recentissimi concetti sulla possibile reversibilità della fibrosi epatica e forse della cirrosi, dopo
terapia con interferone e nucleosidi, rilancia fortemente il ruolo della biopsia epatica per la
comprensione del meccanismo d’azione delle moderne terapie e per il monitoraggio della loro
efficacia.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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