‘MICROCREDITO A WALL STREET’ La Grameen Bank, la banca creata da Muhammad Yunus, economista-banchiere del Bangladesh e Nobel per la pace nel 2006 per la sua attività di microcredito, arriva a New York. Nel Queens, a poca distanza dalla 5th avenue di Manhattan, dai grattacieli e dal lusso sbarca la “banca del villaggio”. In un quartiere povero e complesso dove, nei piccoli negozi che ne costituiscono l’ossatura economica, clienti e commercianti sono tutti immigrati appena arrivati negli States, soprattutto dall’Equador e dall’India. Il microcredito a due passi da Wall Street! E non solo, la Grameen Bank ha ricevuto, inoltre, diverse richieste per l’apertura di filiali in altre città degli Stati Uniti, inclusa New Orleans, città che fatica a riprendersi dalle conseguenze dell’uragano Katrina del 2005. Nell’immaginario collettivo, il microcredito è un fenomeno economico proprio delle aree più povere della terra, strumento di emancipazione per gruppi e forme sociali di povertà assai lontane dallo sviluppato occidente. Il Queens come il Bangladesh e non lo sapevamo? Più semplicemente, ci troviamo di fronte ad uno di quei segnali che ci mostrano con dirompenza i lati oscuri del nostro modello socio-economico, capace di “creare” nuove categorie umane, come i bancabili e i non-bancabili. È, inoltre, una conferma dell’efficacia dello strumento del microcredito e il segnale del progressivo impoverimento di fasce sempre più ampie della popolazione mondiale, fino nel cuore simbolico della società dell’abbondanza: New York. Il Financial Times del 6 Maggio ci aggiorna con alcune informazioni: l’iniziativa va abbastanza bene, almeno per quanto riguarda questo periodo di avviamento. Da Gennaio ad oggi sono stati concessi 170 prestiti, per un totale di più di 390.000 dollari, con una media di circa 2.300 dollari per prestito. «Il momento è giusto» dice Yunus al Financial Times: «la crisi dei mutui subprime ha dimostrato la fragilità di un sistema finanziario tutt’altro che perfetto». Uno dei nemici del microcredito negli Usa però, secondo il premio Nobel, sarebbe il sistema di welfare: ogni dollaro guadagnato viene dedotto dall’assegno di sussistenza; un grande ostacolo, se si pensa che rinunciando al welfare si perde anche l’assistenza sanitaria. «Una rete che imprigiona i beneficiari» commenta Yunus. E anche nel Queens, come nel resto del mondo, il microcredito è prevalentemente femminile. Abituati a valutare ROE e profitti con parecchi zeri queste cifre possono sembrare irrisorie, ma dietro i numeri c’è una filosofia dell’uso del denaro che ne capovolge il valore assoluto: l’idea che i soldi vengano raccolti tra i poveri per tornare ai poveri e non come elargizione una tantum ed unilaterale, ma con l’investimento sulla fiducia e sulla persona. Perché questo è il microcredito: un sistema basato sulla fiducia, sulla responsabilità collettiva, sull’idea di comunità, sulla partecipazione e sulla creatività di ogni essere umano! L’idea, semplice ma rivoluzionaria, è quella di concedere piccoli prestiti a persone, riunite in gruppi di solidarietà, che non offrono alcuna garanzia di tipo patrimoniale e che, quindi, sono escluse dal sistema di credito tradizionale. I prestiti devono essere restituiti nei termini stabiliti, con modalità concordate in base alle possibilità reddituali di chi ne beneficia, pagando un tasso di interesse. La filosofia del microcredito sta nel rendere il denaro strumento di solidarietà e giustizia. Non viene fatta beneficenza, ma viene concesso un credito, cioè fiducia; la responsabilità di chi investe il denaro e di chi ne usufruisce sono alla base di un rapporto economico semplice, tra soggetti di pari dignità. Principi cardine sono la trasparenza dell’attività svolta e la partecipazione attiva e comunitaria. La comunità è alla base della filosofia del microcredito: all’interno di essa si svolge l’attività di raccolta e impiego del denaro per consentire una responsabilizzazione solidale del gruppo che interviene nell’attività economica. Chi riceve il denaro è responsabile verso la comunità che glielo ha prestato, ma, contemporaneamente, sa che la comunità è parte solidale dei suoi bisogni. Chi riceve credito non viene lasciato solo. Si vede bene come ciò stravolga il concetto di bancabilità del debitore, ribaltando l’approccio tradizionale al credito: finanzia coloro che non sono in grado di offrire garanzie patrimoniali, smantella il tabù bancario della concessione di soldi a chi ne ha già. Il tasso di insolvenza è bassissimo: il 3%. Ciò dimostra che l’effetto psicologico di dover rispettare i termini in virtù della fiducia accordata al gruppo di cui si fa parte (enforcement) è più potente della solvibilità patrimoniale. Il finanziamento può essere concesso a gruppi o a persone singole, comunque legate ad una comunità. La collettività è il collante ideologico del microcredito: la coesione sociale crea grossi vincoli di pressione all’interno dei gruppi, sia come incentivo per le quote da rimborsare, che come elemento di solidarietà e aiuto in caso di difficoltà. I finanziamenti, in netta maggioranza, sono destinati a piccole attività produttive che diventano strumento di emancipazione del singolo e del nucleo (spesso la famiglia) che vi partecipa. Spesso sono nuove attività che rappresentano il motore dello sviluppo economico potenziale della comunità di riferimento. E quindi al prestito si accompagna il sostegno reale per il successo delle iniziative: una sorta di “vivaio d’impresa” attraverso anche la condivisone delle competenze presenti nella comunità per garantire il supporto necessario alla vita dell’attività. Lo sviluppo economico passa attraverso la responsabilizzazione dei microimprenditori, protagonisti della propria crescita, anche attraverso “l’educazione” all’uso del denaro. Non solo si elimina la dipendenza dalla “compassione”, creando un rapporto di pari dignità tra le parti, ma si contribuisce alla giustizia sociale attraverso l’indipendenza economica che è uno dei principali elementi di prevenzione della criminalità organizzata, dell’usura, contro il traffico di migranti, contro lo sfruttamento. Rafforza il senso di radicamento in una comunità e in un territorio specifico: e questo elemento nel Queens, come in molte parti del nostro “civile occidente”, ha un senso sociologico speciale. Spesso le nostre “comunità”, quando esistono, sono entità costruite sull’appartenenza ad un gruppo (etnico, sociale, di interesse), ma che non passa attraverso la condivisione e lo scambio. Possono diventare un ulteriore elemento di isolamento e solitudine. Parlare di microcredito, quindi, significa pensare ad uno strumento sociale che non riguarda solo il terzo mondo, un mondo di povertà lontana, ma che riguarda anche il nostro modello sociale disturbato. Parlare di Microcredito a New York, per il suo valore simbolico oltre che sociale, significa guardare all’economia, al credito e alla società da un’ottica diversa. Come se, invece del denaro, fossero le persone a contare davvero.