PRIMO PIANO terapie farmacologiche Ghiandola dalla caratteristica forma di farfalla, presenta due lobi collegati fra loro da un sottile istmo. La tiroide è di colore rosso-bruno, poco consistente alla palpazione in condizioni normali. L’accesso chirurgico è reso difficoltoso da un fitto plesso vascolare peritiroideo di Chiara Chiodini biologa 36 nuovo Collegamento diagnosi e trattamento LE PATOLOGIE TIROIDEE La tiroide è una ghiandola endocrina in grado di produrre diversi ormoni responsabili del metabolismo corporeo. Si tratta dell’unico caso di ghiandola endocrina il cui secreto, prima di essere immesso nel sangue, può accumularsi in sede extracellulare. Gli ormoni tiroidei, infatti, legati alla tireoglobulina, si accumulano nel lume dei follicoli sottoforma di colloide. Gli ormoni prodotti dalla tiroide sono la tiroxina, o tetraiodotironina o T4, e la triiodotironina o T3. La T3 è la forma attiva dell’ormone e costituisce il 20% del prodotto totale della tiroide. L’80% viene mantenuto nella forma T4, pronto ad essere convertito in T3 secondo le necessità dell’organismo. La ghiandola pituitaria, o ipofisi, posizionata alla base del cervello, permette la produzione dell’ormone tireotropo TSH, o thyroid-stimulating hormone, che a sua volta stimola la produzione e il rilascio di tiroxina da parte della tiroide. L’ipofisi è regolata a sua volta da un’altra area cerebrale, l’ipotala- PRIMOPIANO terapie farmacologiche LA TIROIDE La tiroide è posta nella regione antero-inferiore del collo, al di sotto della laringe. Presenta due lobi collegati fra loro da un sottile istmo; ogni lobo è grande circa quanto la falange ungueale del pollice della mano, con lunghezza di circa 4 cm e larghezza di 1-2 centimetri. Il fitto plesso vascolare peritiroideo è caratterizzato dalla presenza di diversi rami arteriosi. Giungono infatti a questa ghiandola le arterie tiroidee inferiori, rami delle succlavie, e le arterie tiroidee superiori, rami delle carotidi esterne. Figura 1 mo, che produce il TRH, o thyrotropin-releasing hormone. Quando la funzione tiroidea è troppo bassa, l’ipofisi aumenta la produzione di TSH per stimolare la tiroide. Per la formazione degli ormoni tiroidei è indispensabile anche la presenza di iodio: tale oligoelemento è presente in natura, introdotto prevalentemente per via alimentare e recuperato dalla quota di iodio endogeno legato al catabolismo. Il significato funzionale degli ormoni tiroidei è di aumentare il consumo di ossigeno cellulare, stimolare la sintesi delle proteine, influenzare l’accrescimento staturale, regolare il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle vitamine. La tiroide elabora, inoltre, un altro ormone, la calcitonina, diversa dagli ormoni iodati, che interviene nel metabolismo del calcio e dei fosfati soprattutto a livello osseo. L’importanza dello iodio La corretta funzione della ghiandola tiroidea viene garantita da un adeguato apporto nutrizionale di iodio. In forma anionica, tale elemento viene assorbito dalla tiroide e combinato chimicamente con l’aminoacido tirosina per sintetizzare l’ormone tiroideo. La presenza dello iodio nell’organismo è di circa 15 mg, e l’apporto necessario è di 150 ug/giorno. Tuttavia, la presenza di questo elemento negli alimenti e nelle acque è molto variabile. La carenza di iodio si traduce nello sviluppo di diverse patologie, più o meno gravi a seconda dell’età e del sesso, come l’iper o l’ipoproduzione di ormone tiroideo da parte della ghiandola, condizioni definite ipoti- roidismo e ipertiroidismo. Una carenza di ormone tiroideo durante la vita fetale e neonatale può avere effetti diversi fino all’arresto irreversibile della maturazione dell’encefalo, comportando gravi conseguenze sullo sviluppo intellettivo. Nel feto si può verificare, di conseguenza, ritardo mentale, sordomutismo e paralisi spastica. Nelle sue forme più gravi, la carenza di iodio può portare a cretinismo. In Europa sono presenti diverse aree con carenza iodica moderata e questa condizione comporta l’instaurarsi di deficit cognitivi e neuropsicologici minori. Figura 1: rappresentazione grafica dell’asse ipotalamo-ipofisario-tiroideo. (JAMA, 2010 Sep 22;304(12):1402) nuovo Collegamento 39 Le malattie della tiroide Le malattie della tiroide comprendono patologie benigne, patologie infiammatorie e patologie neoplastiche. L’ipertiroidismo Nell’ipertiroidismo, la tiroide appare iperattiva e produce una quantità di ormoni tiroidei di molto superiore ai bisogni dell’organismo. I risultati di un recente studio mostrano come tale patologia colpisca maggiormente i giovani e le donne. Più del 70% dei casi di ipertiroidismo è correlato al morbo di Basedow, una malattia autoimmune nella quale gli autoanticorpi sono rivolti contro i recettori del TSH, causando così una continua stimolazione a produrre T3 e T4 da parte della tiroide. Alcuni pazienti colpiti da tale malattia sviluppano una condizione oculare definita “esoftalmo”, nella quale il bulbo oculare appare protrudente, gli occhi sono rossi e acquosi e le palpebre gonfie e parzialmente retratte. Ciò conferisce al paziente uno sguardo attonito. Solitamente questa condizione presenta una moderata gravità. Il fumo di sigaretta è un fattore determinante, comportando un elevato rischio di sviluppare problemi oculari gravi nelle persone colpite da morbo di Basedow. Fra gli altri sintomi si ricordano: perdita di peso, nervosismo, irritabilità, eccessiva sudorazione, tremori e debolezza muscolare. Anche la tachicardia, le palpitazioni, l’apprensione, l’insonnia, la perdita di grasso e di massa muscolare e il gozzo rappresentano una sintomatologia compatibile con l’ipertiroidismo. Tali manifestazioni possono essere di lieve entità o addirittura assenti nei pazienti anziani. Diagnosi. La storia clinica del paziente e un accurato esame fisi- 40 nuovo Collegamento co possono indicare l’eventuale presenza di ipertiroidismo. Un semplice esame del sangue può mostrare la presenza di una quantità troppo elevata di ormoni tiroidei o, al contrario, una bassa quantità di TSH. Ad ulteriore conferma della patologia, è possibile effettuare uno scan tiroideo dopo l’assunzione di un elemento radioattivo. Ciò serve ad evidenziare eventuali aree con funzionalità anomala all’interno della ghiandola tiroidea. Trattamento. Il trattamento dell’ipertiroidismo è finalizzato ad annullare gli effetti che l’eccesso degli ormoni tiroidei provoca nell’organismo. L’uso di farmaci tireostatici appartenenti al gruppo delle tionamidi, in dosi decrescenti, può essere utile proprio allo scopo di regolarizzare la produzione di ormoni. Se la terapia con farmaci risulta inefficace, in caso di recidive o di allergia ai farmaci antitiroidei, è invece necessario ricorrere alla chirurgia. Figura 2: Segni caratteristici dell’ipertiroidismo in paziente affetto da morbo di Basedow (JAMA, 2005 Jul 6;294 (1):146) L’ipotiroidismo L’ipotiroidismo è una condizione determinata da una riduzione nella produzione degli ormoni tiroidei e si associa ad un rallentamento generalizzato delle funzioni corporee. Le conseguenze dell’ipotiroidismo variano in base allo stadio evolutivo durante il quale insorgono. Nella vita fetale si verificano alterazioni gravi ed irreversibili nello sviluppo corporeo e cerebrale. Anche nel bambino si possono verificare alterazioni permanenti dello sviluppo somatico, sessuale ed intellettivo. Se questa condizione si manifestasse in età adulta, è possibile osservare un rallentamento dell’attività fisica e mentale, delle funzioni cardiovascolare, gastrointestinale e neuromuscolare. La sintomatologia correlata all’ipotiroidismo comprende una sensazione generalizzata di freddo, depressione, problemi di sonnolenza diurna, difficoltà a mantenere la concentrazione, perdita della memoria, aumento ponderale, stipsi, cute secca e ruvida e capelli secchi e fragili. I sintomi tendono ad apparire gradualmente, nell’arco di un lungo periodo di tempo. In particolare, un rallentamento del metabolismo negli anziani viene considerato naturale e dovuto all’età; pertanto, una condizione di ipotiroidismo senile risulta spesso misconosciuta. L’ipotiroidismo potrebbe svilupparsi in seguito a malattie metaboliche da accumulo o in presenza di una carenza o di un eccesso di iodio o in seguito a lesioni ipotalamiche. Si tratta di una malattia la cui reale incidenza è difficilmente valutabile poiché influenzata da fattori genetici ed ambientali. Diagnosi. La diagnosi viene solitamente effettuata con un esame del sangue, controllando i valori del TSH e della frazione di T4 libera. Un valore di TSH elevato in modo anormale indica ipotiroidismo: è stato chiesto alla ghiandola di produrre più T4 perché presente in concentrazione insufficiente nel sangue. Trattamento L’ipotiroidismo è una condizione permanente. In quasi tutti i pazienti, tuttavia, l’ipotiroidismo può essere tenuto sotto controllo utilizzando farmaci a base di tiroxina che contengono la quantità di ormoni necessaria al fabbisogno giornaliero del paziente. La tiroidite di Hashimoto Nell’adulto, la forma più comune di ipotiroidismo è la tiroidite di Hashimoto, una malattia autoimmune. Alla base della patologia vi è un processo infiammatorio che porta alla distruzione dei follicoli. Nella patogenesi della malattia sono determinanti sia l’immunità cellulo-mediata che 42 nuovo Collegamento l’immunità anticorpo-mediata. Le cellule infiammatorie predominanti nel tessuto tiroideo sono i linfociti B e T. I linfociti T helper vengono attivati contro le cellule tiroidee attraverso un meccanismo di attivazione non noto. Una volta attivato, il linfocita T helper produce diverse citochine che perpetuano e rendono cronico il processo infiammatorio autoimmune. Diagnosi. La diagnosi si basa sull’anamnesi clinica del paziente, sull’esame obiettivo e su importanti indagini di laboratorio e strumentali, come il dosaggio del TSH e delle frazioni libere degli ormoni tiroidei nel sangue; appare utile anche la ricerca degli anticorpi anti-tireoperossidasi, con una positività nel 95% dei casi, e l’ecografia tiroidea. Talvolta può anche essere necessario il ricorso all’esame citologico o alla scintigrafia. Trattamento. Il trattamento della tiroidite di Hashimoto si basa sulla semplice osservazione, in presenza di eutiroidismo, o sulla terapia ormonale sostitutiva, in presenza di ipotiroidismo. Questa si basa sull’utilizzo di levotiroxina, un analogo sintetico dell’ormone T4 prodotto dalla tiroide. La somministrazione orale quotidiana ristabilisce il normale livello plasmatico di ormoni tiroidei, risolve positivamente eventuali sintomi dell’ipotiroidismo e ne previene le complicanze. Il gozzo tiroideo Ogni aumento di volume della ghiandola tiroidea si definisce gozzo. Il gozzo può presentarsi sia in caso di ipertiroidismo che di ipotiroidismo ed è il risultato dell’aumento di volume della ghiandola tiroidea. Nelle fasi iniziali, l’unico sintomo della malattia è dato dal semplice ingrossamento della ghiandola, in fasi successive è però possibile la formazione di noduli e uno sviluppo di iperfunzioni ghian- dolari. L’aumento di volume può interessare una sola zona della tiroide (gozzo o nodulo uninodulare) o più aree (gozzo multinodulare). Nel 95% dei casi, i noduli tiroidei sono benigni ma nel restante 5% un nodulo, dominante all’interno di un gozzo multinodulare, può essere un tumore maligno. Come le altre malattie tiroidee, il gozzo colpisce in modo prevalente le donne con un rapporto di oltre 15 a 1 rispetto agli uomini. Una delle cause primarie dello sviluppo di gozzo nel mondo è la carenza di iodio nell’alimentazione o nelle acque. In alcune zone, la carenza è tanto accentuata da far diventare il gozzo una malattia endemica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, si può definire endemica una situazione in cui il gozzo si manifesta in più del 5% della popolazione. Trattamento Qualora un nodulo si riveli benigno, è possibile trattarlo farmacologicamente con ormone tiroideo per ridurne il volume. Nei gozzi recidivanti o in caso di noduli iperfunzionanti si applica una terapia con iodio-radioattivo. Tale trattamento, però, potrebbe distruggere LA TIROIDE E IL FETO Gli ormoni della mamma aiutano il feto a nascere “intelligente”: infatti uno studio italiano dimostra che gli ormoni tiroidei della gestante passano al feto e permettono il corretto sviluppo del cervello. La notizia è stata pubblicata sul Journal of Cellular and Molecular Medicine. La scoperta si deve al team di ricercatori guidati da Alfredo Pontecorvi, Ordinario di Endocrinologia all’Università Cattolica di Roma. PRIMOPIANO terapie farmacologiche le cellule della tiroide, causando una ridotta funzionalità della ghiandola. Il paziente dovrà quindi essere trattato con ormone tiroideo per il resto della vita. Se i noduli si rivelano maligni, invece, viene solitamente effettuata una asportazione chirurgica dell’intera ghiandola e dei linfonodi interessati. Il tumore della tiroide Il cancro della tiroide costituisce l’12 per cento di tutti i tumori, con un’incidenza di 4,1 casi ogni 100.000 abitanti per gli uomini e 12,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti per le donne. La sopravvivenza è molto elevata: oltre il 90% a 5 anni dalla diagnosi. I fattori di rischio accertati sono stati identificati nel gozzo e nell’esposizione alle radiazioni: questo tumore è più comune nei pazienti precedentemente trattati per altre forme di cancro con la radioterapia sul collo oppure nei soggetti esposti al materiale radioattivo (è accaduto dopo l’esplosione delle bombe atomiche nella Seconda Guerra Mondiale e dopo il disastro della centrale atomica di Chernobyl). Il sintomo più comune del tumore della tiroide è dato dalla presenza di un nodulo che si sente tra le dita se si tocca il collo in corrispondenza dell’organo. Il tumore potrebbe manifestarsi anche con una massa imponente a livello del collo, in corrispondenza della tiroide o dei relativi linfonodi. Vi sono diverse tipologie di carcinoma tiroideo. Fra queste si ricordano i carcinomi papillari, che riguardano il 6070% dei casi, e i carcinomi follicolari, che rappresentano il 15-20% dei tumori che colpiscono la ghiandola. I primi causano l’insorgenza di metastasi linfonodali a localizzazione limitata ai soli linfonodi del collo; solo dopo molto tempo la neoplasia potrebbe dare luogo a metastasi più lontane; la prognosi appare abbastanza favorevole. Nei carcinomi follicolari, invece, le metastasi si diffondono generalmente per via ematica; le zone di metastatizzazione più interessate sono i polmoni, le ossa e il cervello. Di norma le metastasi si manifestano come noduli solitari di dimensioni superiori rispetto ai carcinomi papillari. Diagnosi. Una volta individuato un nodulo sospetto, viene solitamente prescritto un esame del sangue con dosaggio degli ormoni tiroidei e del TSH. Il corretto funzionamento della tiroide viene successivamente controllato attraverso una scintigrafia tiroidea, effettuata grazie alla somministrazione di iodio radioattivo. Per studiare meglio le caratteristiche del nodulo, della ghiandola e i suoi rapporti con le strutture del collo è possibile anche effettuare un esame citologico eco guidato, una TAC o una risonanza. Trattamento. In presenza di tumore alla tiroide, la chirurgia appare l’intervento terapeutico d’elezione. È possibile effettuare una lobectomia o una istmectomia qualora il tumore sia di piccole dimensioni e ciò per- mette l’asportazione del solo lato coinvolto e del tratto di tiroide che unisce i due lobi. Durante l’intervento vengono asportati anche i linfonodi coinvolti. Dopo l’intervento di tiroidectomia totale vengono somministrati gli ormoni tiroidei in sostituzione di quelli che la ghiandola non può più produrre. Inoltre, nei carcinomi a maggior rischio di metastasi, il paziente viene trattato con iodio radioattivo. Questo trattamento, definito radio metabolico, viene effettuato dal momento che le cellule tiroidee sono avide di iodio perché viene utilizzato per produrre l’ormone tiroideo. Le radiazioni emesse dalle molecole di iodio radioattivo trasportato nel nucleo cellulare distruggono la cellula tiroidea. Figura 3: I noduli tiroidei: solo una piccola percentuale di essi si rivela di natura maligna (JAMA, 2004 Dec 1;292(21):2684) nuovo Collegamento 43