Gli anni della guerra fredda e del boom economico I due decenni

Gli anni della guerra fredda e del boom economico
I due decenni che cambiarono l'Italia
Non c'è stata probabilmente epoca della storia italiana in cui la letteratura e la politica siano state
tanto strettamente intrecciate come negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il mondo si trova diviso in due blocchi : da un parte
gli Stati Uniti, dall'altra l’Unione Sovietica. In questa netta spartizione l'Italia finisce nell'orbita
statunitense. Ma c'è subito un problema: al suo interno è cresciuto, durante gli anni della
Resistenza, il più grande Partito comunista dell'Occidente. Un partito enorme, che è diventato,
insieme alla Democrazia cristiana, uno dei protagonisti della scena politica nazionale. Per un paese
finito sotto l'area di influenza statunitense, la presenza di un Partito comunista così forte è un
problema serio. Almeno fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, l'Italia si troverà così in una
complicata posizione geopolitica.
In un contesto così denso di conflitti e di interessi contrapposti, la politica non può non diventare il
tema centrale del dibattito. Riflettere su presente, prendere posizione in battaglie politiche e
militari combattute anche molto lontano (in Corea, in Vietnam, nelle ex colonie dell'Africa),
diventa una caratteristica del mondo intellettuale italiano del secondo dopoguerra. Un mondo
intellettuale che si schiera per la gran parte su posizioni di sinistra, fiancheggiando il Partito
comunista e osservando la realtà alla luce delle idee di pensatori della tradizione socialista come
Marx, Engels, Lenin, Gramsci. Di conseguenza, accade spesso che la politica invada il campo della
cultura, imponendo scelte poetiche (come nel caso del Neorealismo) o disciplinando posizioni
intellettuali ritenute troppo libere e indipendenti (come nel caso della chiusura della rivista «II
Politecnico» di Elio Vittorini nel 1947).
Gli scrittori più interessanti del secondo dopoguerra possono essere raggruppati in due grandi
famiglie. La prima cerca di fare i conti con la lezione neorealista (e soprattutto con i suoi temi: la
guerra, la resistenza, il mondo popolare, l'universo piccolo-borghese, il lavoro, la provincia),
mantenendo tuttavia un equilibrio stilistico proprio e riconoscibile (come nel caso di Bassani,
Cassola, Parise, D'Arzo, Pratolini). La seconda famiglia, invece, continua a fare letteratura in modo
classico, ora aggredendo, frontalmente le prescrizioni estetiche neorealiste (come nel caso della
scrittura neobarocca di Gadda], ora proseguendo testardamente l'eredità del grande romanzo
europeo, tanto nella sua versione ottocentesca (come nel caso di Elsa Morante), quanto in quella
modernista (come nel caso di Tornasi di Lampedusa).
Uno sviluppo senza progresso»
A partire dalla fine degli anni Cinquanta del XX secolo, due ulteriori elementi di trasformazione
entrano in questo contesto culturale già vivacissimo. Il primo è il boom economico, che travolge
impetuosamente la società italiana e sembra azzerare, in un colpo solo, una continuità millenaria
con un passato fatto di arte, di forme simboliche, di tradizioni popolari e di miseria. I consumi
galoppano, i proletari diventano piccolo-borghesi. Tra il 1956 e il 1963, il PIL italiano cresce in modo
costante attorno al 6%; nel 1961 arriva a superare P8%. Tutto va veloce, la società, come un
serpente, cambia pelle. Ma la politica istituzionale rimane immobile; le ipotesi di riforma del primo
governo di centro-sinistra (1963) naufragano praticamente subito, mentre il Pci sembra quasi
ignorare la radicali-tà della trasformazione sociale in
atto. Sarà uno scrittore come Pier Paolo Pasolini a definire, con lungimiranza, l'effetto combinato
del boom economico e del vuoto di potere istituzionale come «sviluppo senza progresso»: la sua
poesia, i suoi romanzi, il suo cinema, i suoi continui interventi giornalistici possono essere letti
come uno dei tentativi più importanti di decifrare questa grande trasformazione in tempo reale,
mentre stava avendo luogo. Oltre al boom economico, il secondo elemento fondamentale per capire la storia italiana di questo decennio è il formarsi, alla sinistra del Pci, di un possente
movimento di contestazione operaia e studentesca. A partire dalla seconda metà degli anni
Sessanta, questo enorme movimento di contestazione di massa sarà il protagonista politico di una
stagione di lotte studentesche e operaie durata più di dieci anni: il "lungo '68 italiano".
La letteratura nelle società industriali
Se il problema centrale per la letteratura degli anni Cinquanta è stato fare i conti con la lezione
neorealista, con gli anni Sessanta i problemi cambiano radicalmente. Il tema cruciale ora riguarda
la modernizzazione della società e i suoi effetti sulla cultura e sulle forme elementari della vita
quotidiana. Da un lato, attraverso autori come Luciano Bianciardi, Ottiero Ottieri e Paolo Volponi,
la letteratura inizia sempre più a occuparsi del mondo della grande industria, del lavoro in
fabbrica e della nuova società dei consumi: dall'altro, questa profonda trasformazione della vita
sociale sembra mettere in crisi la letteratura stessa come forma d'arte e, soprattutto, come forma di
conoscenza della vita.
Il neorealismo
Per circa un decennio, la scena letteraria italiana è stata occupata da una sola ingombrante parolafeticcio: Neorealismo. Dalla fine della seconda guerra mondiale alla fine degli anni Cinquanta,
questa poetica si trasformò infatti in una vera e propria ossessione: critici e scrittori, nei congressi e
sulle riviste, discussero per anni sulla necessità o meno di assecondarla. Nelle mani di funzionari
comunisti particolarmente dogmatici, come furono ad esempio Carlo Salinari e Mario Alicata, la
poetica si trasformò in prescrizione disciplinare e arma politica.
li cinema neorealista italiano
II Neorealismo, in realtà, era nato durante la seconda guerra mondiale in ambito cinematografico.
Nel 1943 Luchino Visconti gira Ossessione e il film diventa subito un caso: nuovo è il modo di
raccontare la vita dei personaggi, soprattutto per come interpretano le passioni e il sesso; e nuova è
la qualità realistica della messa in scena. Seguirà di lì a poco una serie ininterrotta di capolavori tra cui bisogna almeno ricordare Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini e Ladri di biciclette
(1948) di Vittorio De Sica: quella italiana diventerà, quasi di colpo, una delle scuole
cinematografiche più importanti al mondo.
L'idea fondamentale del Neorealismo è semplice: si riprende la realtà dal vero, così com'è. Questa
idea, in realtà, nasceva da una necessità pratica: la guerra stava distruggendo tutto e non c'erano
più soldi per costruire i set. Gli Studios di Cinecittà erano stati bombardati. Facendo di necessità
virtù, si iniziò a riprendere la vita vera, per strada, in ambienti non ricostruiti. Fu una vera e
propria rivoluzione stilistica: la realtà invase lo schermo.
I romanzi italiani del dopoguerra
Qualcosa di simile accadde nel campo letterario. L'energia popolare un po' selvaggia della
Resistenza espugnò il fortino della letteratura italiana. Molta della narrativa di questi anni è scritta
in presa diretta: lo stile è veloce, ritmato, spesso impastato di oralità. Chi racconta vuoi farsi capire
da tutti. La realtà invade la pagina, anche perché questi anni di distruzione e di riscatto hanno
lasciato dietro di loro una miniera inesauribile di storie realmente vissute, che aspettano soltanto di
essere raccontate. Chi inizia a scrivere adesso cerca modelli nuovi, come la grande letteratura
americana degli anni Trenta (Hemingway su tutti), magari riletta attraverso il gusto di Elio
Vittorini e Cesare Pavese. Molti si scelgono .anche un maestro tra gli scrittori italiani del passato,
che quasi per tutti sarà lo stesso: Giovanni Verga.
Questa voglia di conoscere e di raccontare la vita nell'Italia del dopoguerra, che anche in
letteratura prenderà presto il nome di Neorealismo, si scontrerà quasi subito con eventi storici
traumatici, e in particolare con la guerra fredda. Dopo il 1947, infatti, il conflitto tra il blocco
occidentale e quello sovietico si inasprisce. Le conseguenze si sentono anche all'interno del mondo
della cultura, come ben dimostra la chiusura, in questo stesso anno, del «Politecnico» di Elio
Vittorini. Da corrente vivace, popolare, caotica ed eterogenea, il Neorealismo si trasforma così in
una poetica prescrittiva, una specie di obbligo ideologico. Chi vuole stare dalla parte del popolo
deve scrivere assecondando temi e stili imposti dalla direzione culturale del Partito comunista:
così, a poco a poco, il Neorealismo si trasforma nella variante italiana del Realismo socialista
sovietico. Gli scrittori più importanti di questi anni - come Giorgio Bassani, Carlo Cassola,
Goffredo Parise, Vasco Pratolini, Silvio D'Arzo - troveranno un loro modo personale per
raccontare l'Italia del dopoguerra; alcuni proveranno anche a rispettare le prescrizioni estetiche del
Partito Comunista, ma in questo caso i risultati non saranno quasi mai memorabili. Nasceranno
così dibattiti pubblici infuocati, il più famoso dei quali verrà innescato, nel 1955, dalla
pubblicazione del romanzo Metello di Vasco Pratolini.
II boom economico. La letteratura e il lavoro
La trasformazione dell'Italia
L'Italia della prima metà del Novecento è una nazione essenzialmente agricola. Le industrie si
concentrano nel cosiddetto "triangolo industriale" (Torino-Milano-Genova), mentre nel resto del
Paese la gran parte degli abitanti coltiva i campi o vive di allevamento o di pesca. Al Sud, le
industrie quasi non ci sono, e quelle poche hanno dimensioni molto ridotte. Il romanzo di Carlo
Bernari Tre operai, scritto nei primi anni Trenta, rispecchia questo stato di cose: la «fabbrica» in cui
lavorano i suoi protagonisti non è infatti un'azienda che produce merci, bensì una grossa
lavanderia.
Dopo la seconda guerra mondiale, e in particolare nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, tutto
cambia, e l'Italia vive la più grande e repentina trasformazione della sua storia. È il boom
economico: per farsi un'idea di che cosa sia stato si possono leggere alcuni libri di quel periodo o
vedere alcuni film (come II posto di Ermanno Olmi, II marito di Nanni Loy, Il edovo di Bino Risi, Io la
conoscevo bene di Antonio Pietrangeli), oppure si può dare un'occhiata ai dati economici: nel 1958
vengono prodotte in Italia 10000 lavatrici, nel 1963 diventano 1263000; nel 1958 vengono prodotti
370000 frigoriferi, nel 1963 un milione e mezzo; la produzione di automobili quintuplica; nel 1962
si comincia a costruire l'autostrada del Sole; tra il 1954 e il 1963 il reddito nazionale quasi
raddoppia; nello stesso arco di tempo, tre milioni di persone lasciano le campagne 1.
La nascita dell'Italia industriale
È una rivoluzione. Di più: è un'immane trasformazione socioculturale, sulla quale rifletteranno a
lungo gli intellettuali del secondo Novecento (buona parte dell'opera di Pasolini è, ad esempio, una
meditazione amara su quella che lui chiamerà la «mutazione antropologica» che a quell'epoca ha
travolto gli italiani). Ma al di là del giudizio che si può dare di questa trasformazione, è importante
capire che lì, in quegli anni, nasce l'Italia che ancora oggi abbiamo sotto gli occhi, con le sue
grandezze e le sue miserie. Alcune aziende italiane diventano protagoniste dell'economia
mondiale: la Olivetti, che produce macchine per scrivere e prodotti per l'ufficio; la Fiat, che
produce automobili; la Montecatini, che applica le scoperte in campo chimico di Giulio Natta
(premio Nobel nel 1963) per produrre nuovi materiali come il Moplen e che nel 1966 si fonderà con
la Edison dando vita al colosso Montedison; e soprattutto l'Eni, fondata nel 1953 da Enrico Mattei,
che nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta diventa uno dei protagonisti mondiali nel settore
petrolchimico.
Scrittori che "fotografano" l'Italia
Ma il boom economico ha, com'è inevitabile, dei costi umani che le statistiche economiche non
riescono a vedere. Li vedono invece gli scrittori: ed è per questo che abbiamo voluto antologizzare
pagine esemplari sul tema, pagine non solo letterariamente molto riuscite, ma anche interessanti
come documenti, come fotografie dell'Italia del secondo Novecento. Abbiamo scelto tre classici:
Donnarumma all'assalto di Ottiero Ottieri , Memoriale di Paolo Volponi e La vita agra di Luciano
Bianciardi.