IL TRAVESTIMENTO E L’ANDROGINO
Largo uso della convenzione comica del travestimento si riscontra nelle opere di
Shakespeare commediografo. Si tratta di una convenzione di antica e gloriosa tradizione,
basti pensare a Plauto, Terenzio ed Aristofane, ma che sulla scena elisabettiana e
giacomiana assunse nuovo slancio e importanza per il fatto che il cross dressing era
istituzionalizzato nella recitazione dei ruoli femminili da parte di attori maschi.
Shakespeare vi fa frequente ricorso nelle sue commedie:
Giulia travestita in The Two Gentlemen Of Verona (1594)
Portia in The Merchant of Venice (1596)
Rosalynde in As you Like It (1599)
Viola in Twelfth Night or What You Will (1601)
Si tratta sempre di donne innamorate travestite da ragazze, con l’unica parziale eccezione
di Flastaff mascherato, suo malgrado, da vecchia grassa in The Merry Wives of Windsor
(1600-1).
Questa stessa convenzione del travestimento la troviamo utilizzata anche dal famoso
commediografo contemporaneo di Shakespeare, Ben Jonson, come si vede nell’Epicoene
or The Silent Woman1. Credo possa essere interessante mettere a confronto la commedia
di Jonson con l’ultima opera teatrale di Shakespeare in cui utilizza l’espediente del
travestimento, Twelfth Night or What You Will, e trarre, della loro divergenza prospettica,
un’indicazione sulle loro rispettive utilizzazioni della medesima convenzione.
Le trame di entrambe queste opere derivano dalle commedie del travestimento di Plauto
e Terenzio, e in particolar modo dalla commedia Eunuchus2 di Terenzio, tramite la
mediazione della commedia erudita italiana: da Gl’ingannati3, lavoro collettivo
dell’Accademia degli Intronati di Siena, nel caso Di Shakespeare, e da Il marescalco4 di
Pietro Aretino nel caso di Jonson.
Shakespeare impiega il dispositivo scenico tematico del travestitismo per dare vita alla
sua commedia, ambientata in un’Illiria più mitica che geografica, mentre Jonson ricorre
1
Commedia in cinque atti, scritta e rappresentata nel 1609 e pubblicata nel 1616.
L'opera, rappresentata nel 161 a.C., è una contaminazione di due opere di Menandro, l’Eunuchus e il
Colax.
3
Commedia di autore anonimo del 1531, anno precedente alla sua prima rappresentazione (12 febbraio 1532
ultimo giorno di Carnevale), avvenuta nella città di Siena all'interno del Palazzo Comunale.
4
Commedia composta a cavallo tra 1526-27.
2
alla medesima trovata drammaturgica per creare una delle sue più spietate satire ai
costumi, una city comedy ambientata nella decadente Londra a lui contemporanea.
Essenziale nella commedia di Shakespeare è la costante complicità dello spettatore nei
confronti delle vicissitudini della protagonista travestita Viola, che fin dalla prima
comparsa ci rivela le proprie ansie e i propri piani tra cui quello di presentarsi travestita
alla corte del duca Orsino nei panni di un inquietante servitore castrato (con omaggio
all’Eunuchus5 di Terenzio) e non con quelli consueti del giovane paggio. Il travestimento
da eunuco di Viola-Cesario raffigura la rinuncia ad una sessualità pienamente agita, ma la
forza attrattiva dell’androgino le permette di catturare su di sé sia le attenzioni non
dichiarate del duca Orsino che quelle più esplicite della contessa Olivia. Va però precisato
che né Shakespeare né i suoi contemporanei hanno mai utilizzato direttamente il termine
“androgino” e che anzi, la stessa parola “sessualità” ha fatto la sua prima comparsa in
Europa soltanto nel XIX secolo6. È comunque la convenzione dell’ambiguità sessuale che
garantisce a Viola la riuscita del suo piano per scongiurare la morte del fratello gemello. In
sostanza Viola diventa essa stessa il fratello Sebastian per farlo rivivere. Viola, nei
dialoghi con Orsino e Olivia, rivela con la complicità del pubblico ciò che apparentemente
cela, confessando al Duca il suo amore per lui con un’autodescrizione obliqua che Orsino,
a differenza del pubblico, non è in grado di decifrare.
VIOLA Too well what love women to men may owe:
In faith, they are as true of heart as we.
My father had a daughter loved a man,
As it might be, perhaps, were I a woman,
I should your lordship.
DUKE ORSINO And what’s her history?
VIOLA A blank, my lord. She never told her love,
But let concealment, like a worm i’ the bud,
Feed on her damask cheek: she pined in thought,
And with a green and yellow melancholy
She sat like patience on a monument,
Smiling at grief. Was not this love indeed?
We men may say more, swear more: but indeed
Our shows are more than will; for still we prove
Much in our vows, but little in our love.
DUKE ORSINO But died thy sister of her love, my boy?
VIOLA I am all the daughters of my father’s house,
And all the brothers too: and yet I know not.
(II,4: 108-122)7
Questa commedia non presenta travestimento nel senso stretto, perché non c’è passaggio di genere, ma c’è
una simbolica castrazione: il protagonista, per realizzare il proprio desiderio amoroso, si fa introdurre in
casa dell’amata presentandosi come eunuco. Con questo espediente nessuno può sospettare di luie gli
viene concesso di fare da guardia alla signora, anche durante la toletta. L’ironia paradossale è che il
protagonista in realtà non si traveste da donna ma nel suo opposto.
6
Come si apprende da Focault (1984).
7
VIOLA: So anche troppo bene/ di che amore le donne sanno amare./ Hanno un cuore sincero come il
nostro./ Mio padre aveva una figlia; ella amava/ un uomo come, foss’io donna, avrei/ potuto amare Vostra
Signoria. ORSINO: E la tua storia? VIOLA: Storia, monsignore!/ Pagine bianche. Non si svelò mai,/ il verme
del segreto lo consume/ le rose del bel viso. Illanguidì,/ malinconicamente rassegnata,/ come la statua a
guardia di una tomba, sorridendo al dolore. Che cos’era/ questo, se non vero amore? Noi uomini/ parliamo
5
Viola fornisce tutta una serie di indizi sulla propria identità, ammette ad esempio di
essere l’unica figlia di suo padre e il timore di essere ormai l’ultimo figlio. Anche con le
conversazioni con la contessa Olivia, Viola manda molti segnali del suo recitare una parte
falsa, doppiamente falsa sulla scena elisabettiana uomo-donna-uomo, e ironizza sulla
speculare posizione di Olivia che si è infatuata di un finto uomo.
OLIVIA I prithee, tell me what thou thinkest of me.
VIOLA That you do think you are not what you are.
OLIVIA If I think so, I think the same of you.
VIOLA Then think you right: I am not what I am.
OLIVIA I would you were as I would have you be!
VIOLA Would it be better, madam, than I am?
I wish it might, for now I am your fool.
(III,1: 140-146)8
Anche in questo passo, come nel precedente, le verità celate di Viola-Cesario possono
essere intese solamente dallo spettatore che è, tra l’altro, l’unico ad essere a conoscenza
della sopravvivenza del gemello di Viola, Sebastian, che la stessa protagonista ignora.
Questo infatti verrà rivelato a tutti gli altri alla fine, grazie ad uno spettacolare
smascheramento attraverso un gioco apparentemente magico-illusionistico che crea una
doppia immagine scenica di Viola-Cesario/Sebastian finalmente congiunti.
In Shakespeare abbiamo quindi uno spettatore privilegiato e lusingato nell’essere messo
al corrente dei vari inganni messi in gioco nella commedia. In Jonson invece lo spettatore
viene trattato malissimo. In Epicoene il travestimento veicola infatti, non la sofferta
soggettività di una giovane androgina, ma l’avidità e l’avarizia che caratterizzano i
rapporti familiari e più in generale l’anarchia sessuale e morale che governa la comunità9.
Il travestimento del giovane Epicoene non è una scelta volontaria ma gli è imposto dal suo
padrone teatrale, Dauphine, per ingannare il ricco zio Morose e accedere al suo patrimonio
dal quale è stato diseredato. Epicoene si traveste quindi per impersonare una donna del
tutto chimerica in una società come quella, ma moglie perfetta per Morose, maniacalmente
intollerante verso le forme di convivenza sociale e i rumori. Questo travestimento diventa
sintomo di un morbo che affligge tutti i rapporti di coppia. Nella Londra della commedia,
assistiamo infatti alla perdita da parte del maschio del tradizionale predominio sulle donne
trasformatesi in incontrollabili virago. In Jonson la metafora della castrazione ha infatti
implicazioni ben più forti che nella Twelfh Night in quanto segna la rinuncia dell’uomo al
suo ruolo di comando. Vediamo infatti come subito dopo il matrimonio Epicoene inizia a
tormentare il marito rivelandosi una loquacissima bisbetica, al che lo zio Morose per
sbarazzarsene accetterà l’offerta del nipote Dauphine di 500 sterline l’anno e la
reversibilità delle sue proprietà.
Per virago si intende generalmente una donna che, nell’aspetto fisico e soprattutto nel
pensare e nell’agire, ha tratti significativi del sesso maschile. Il termine deriva dal latino
tanto, spergiuriamo tanto,/ ma è più una mostra che un sentire. Siamo/ grandi in promesse ma meschini in
amore. ORSINO: E morì del suo amore tua sorella? VIOLA: Io della mia famiglia sono tutte/ le figlie e tutti i
figli. Eppure ignoro… (Trad. it. Giorgio Melchiori).
8
OLIVIA: Sta’. Ti prego dimmi che pensi di me. VIOLA: Che voi non siete quella che pensate. OLIVIA: Penso
di te la stessa cosa anch’io. VIOLA: Ed è giusto, non sono quello che sono. OLIVIA: Vorrei che foste quello
ch’io vorrei. VIOLA: Forse sarei meglio di quel che sono:/ giacché non sono che il vostro zimbello. (Trad.
it. Giorgio Melchiori).
9
ANSELMI GIAN MARIO, Mappe della letteratura europea e mediterranea: II Dal Barocco all’Ottocento, p.
50.
virago-gĭnis, derivato di vir «uomo, maschio». Nel contesto mitologico, in cui venivano
descritte delle donne eroiche, la parola aveva connotazione positiva10. In antropologia, il
termine, ha invece una connotazione neutra e indica donne androgine in generale. A
seconda della lingua e del contesto, il termine può comunque anche essere usato con
accezione negativa (persona aggressiva, rumorosa o comunque sgradevole).
Nel saggio dedicato a “Crossdressing, the Theatre and Gender and Struggle in the Early
Modern England”11, Jean Howard apporta un contributo molto ben documentato sui
rapporti tra cultura, costume, società e teatro. Howard pone l’accento sul fenomeno del
travestitismo nell’Inghilterra rinascimentale, facendo riferimento al divieto biblico del
Deuteronomio12 di indossare panni del sesso opposto, ribadito con forza dalla Chiesa e dai
testi prescrittivi dell’epoca.
La donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una
veste da donna, perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore, tuo
Dio.
(Deut. 22:5- CEI 2008)
Per il periodo tra il 1580 e il 1620 il rumorio crescente delle polemiche relative alla
pratica del travestitismo testimonia una progressiva ed ormai avanzata erosione del
sistema di divisione sessuale e di un ordine sociale fondato sui rigidi principi di gerarchia
e subordinazione.
Intorno al 1620 Giacomo I assegnò ai predicatori il compito di condannare il
travestitismo femminile che acquistava sempre più seguaci. Questo per noi è interessante,
non tanto per conoscere quali fossero le motivazioni che spingevano a tali manifestazioni
esteriori, quanto riscontrare che all’epoca il cross dressing costituiva una argomento
ampliamente dibattuto.
I medesimi pregiudizi e sospetti relativi ai casi di travestitismo sociale riguardavano
anche il mondo del teatro e gli attori con imprescindibile esigenza in una società che
negava alle donne il diritto di salire sul palco per recitare. Secondo Jean Howard il teatro
era appunto la naturale estensione di un sistema che contemplava come unico sesso quello
maschile.
Stephen Orgel13 tenta di far luce sul motivo per il quale l’Inghilterra fu l’unico paese in
Europa a mantenere un teatro esclusivamente maschile. La rigidità della situazione inglese
costituisce infatti un’anomalia anche se in altri paesi le attrici venivano generalmente
considerate delle poco di buono e anche nelle aree a maggioranza protestante di Paesi
Bassi e Germania erano bandite dal palco. La ragione principale di questa proibizione
sarebbe da ricondursi infatti alla convinzione che la presenza delle donne sul palco ne
compromettesse le virtù. In realtà però la consuetudine del travestimento a teatro era
relativamente recente anche in Inghilterra, considerando che nei Moralia e nei Myracle
plays medievali era ancora prevista la partecipazione delle donne senza destare scandalo,
almeno fino al 1530 circa.
Una prova delle contraddizioni della società del tempo di Shakespeare è fornito anche
dal fatto che alle donne veniva negato il ruolo di attrici ma non quello di spettatrici, al
A conferma di questi connotati, si ricordino i latinismi ‘vergine’ e ‘virtù’ in lingua italiana.
JEAN E. HOWARD, Shakespeare Quarterly, Vol. 39, N.4 (Winter, 1988), pp. 418-440 in
http://www.jstor.org/discover/10.2307/2870706?uid=3738296&uid=2&uid=4&sid=21106809100793.
12
Siamo nella seconda parte 12-26, nel cosiddetto Codice Deuteronomico, formato da una serie di mitzvot
(“dettami”). Questa sezione è costituita in gran parte da leggi, ammonizioni ed ingiunzioni relative alla
condotta che il popolo eletto deve osservare per entrare in Canaan, la terra promessa da Dio.
13
ORGEL STEPHEN, Impersonations: The Performance of Gender in Shakespeare’s England, Cambridge
University Press, 1996.
10
11
punto che la maggior parte del pubblico era femminile. Ma come sostiene Orgel “The
theatre was a place of unusual freedom for women in the period” 14, poiché per loro che
appartenevano principalmente alla classe media anche il semplice recarsi a teatro
implicava una trasgressione e il superamento del confine fisico e simboliche che ne
segregava l’esistenza.
A questo proposito è a mio parere molto interessante notare come la convenzione vigente
di interpretare ruoli femminili degli uomini entri a far parte dello stesso testo teatrale. La
si trova infatti con chiarezza citata nelle parole di Cleopatra:
CLEOPATRA: […] Extemporally will stage us and present
Our Alexandrian revels. Antony
Shall be brought drunken forth, and I shall see
Some squeaking Cleopatra boy15 my greatness
I’ the posture of a whore.
(V,2: 216-220)16
Questo passo è interessante per più aspetti. Conferma innanzitutto che quello che da
questo momento vedremo è una consapevole messinscena e come tale anche l’unica
autentica. Ma se la sola dimensione possibile è quella teatrale ci troviamo di fronte ad una
sorta di finzione elevata al quadrato17. È però Cleopatra a permetterci, con le sue parole,
di vedere oltre la sua finzione. Il boy actor che sul palcoscenico elisabettiano recita,
secondo l’uso, il ruolo di Cleopatra, quando irride al ragazzino imberbe che un giorno
potrà rappresentarla, indica in realtà sé stesso, esce insomma dalla sua stessa finzione. La
breccia che si è aperta è così visibile da lasciare percepire un preciso segno
drammaturgico: ciò che è stato ricercato attraverso Cleopatra è una fuoriuscita dallo spazio
tragico attraverso la fusione fra realtà, finzione e recitazione18.
Come abbiamo visto nei passi precedenti il rapporto tra il cross dressing e l’androgino è
molto stretto. Andando ad indagare la letteratura sull’androgino, il primo testo in cui
figura è legato ad un racconto sull’origine dell’eros. Nel Simposio di Platone troviamo
trattato il tema dell’Eros da sette diversi personaggi. Come quarto interviene Aristofane, il
quale spiega la sua devozione verso Amore per mezzo di un fantasioso, ma significativo
mito. Racconta che tempo addietro, non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il
maschile e il femminile), bensì tre, tra cui, oltre a quelli già citati, il sesso androgino,
proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili. In quel
tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro
gambe e due organi sessuali ed erano tondi19 . Per via della loro potenza, gli esseri umani
erano superbi e tentarono la scalata all’Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non
14
ivi p. 20.
L’allusione ironica di Shakespeare è resa ancora più forte dalla scelta di utilizzare boy come verbo.
16
CLEOPATRA: Subito, improvvisando, i commedianti/ ci metteranno in scena rappresentando/ le nostre
orge alessandrine./ Antonio verrà fatto comparire ubriaco/ alla ribalta, e io vedrò qualche Cleopatra
starnazzante recitata da un ragazzo/ ridurre la mia grandezza in pose da una puttana. Trad. it. Sergio
Perosa.
17
Analogamente anche Julius Caesar la realtà teatrale elisabettiana entra nel dramma: How many ages
hence shall this our lofty scene be acted over/ in states unborn, and accents yet unknown [In quante epoche
a partire da ora questa nobile scena sarà recitata in stati non ancora nati, e in accenti ancor sconosciuti.]
(III, 1: 111-113).
18
AMUROSO VITO, Nel cuore immobile del tempo, in Il personaggio nelle arti della narrazione a cura di
Franco Marenco, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2007, pp. 201-202.
19
“E i sessi erano tre, in quanto il maschio ebbe origine dal sole, la femmina dalla terra, e il terzo sesso,
che aveva elementi in comune con gli altri due, dalla luna, che partecipa appunto della natura del sole e
della terra. Ed essi erano tondi e tondo il loro modo di procedere [...] Così erano terribili per forza e per
vigore [...].” (Platone, Simposio, Fabbri editore, 2007, p. 141, trad. it. Franco Ferrari).
15
poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e divise, a colpi di saetta, gli
aggressori.
« Finalmente Zeus ebbe un’idea e disse: “Credo di aver trovato il modo perché
gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati
più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si
indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più
utili a noi.” »
(Platone, Simposio, 190c-d, trad. it. Franco Ferrari)
In questo modo gli esseri umani furono divisi e s’indebolirono. Ed è da quel momento,
spiega Aristofane, che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza
che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti,
nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno
altro che stringersi l’una all’altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più
separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros
affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente”
l’unità perduta, così da provare piacere, riprodursi e potersi poi dedicare alle altre
incombenze cui devono attendere.
« Dunque al desiderio e alla ricerca dell’intero si dà nome amore »
(Platone, Simposio, 192e-193a, trad. it. Franco Ferrari)
La caratteristica interessante del discorso di Aristofane risiede nel fatto che la relazione
erotica fra due esseri umani non è messa in atto per giungere a un fine quale potrebbe
essere la procreazione, ma ha valore per sé stessa, prescindendo così dalle conseguenze.
Questo mito di Aristofane sembrerebbe essere citato da Shakespeare ne La dodicesima
notte, nell’ultimo atto, quando i due gemelli maschio e femmina si riuniscono alla fine
magicamente, Antonio, il capitano di mare amico di Sebastian li guarda e dice:
ANTONIO: How have you made division of yourself?
An apple cleft in two is not more twin
Than these two creatures. Which is Sebastian?
(V,1: 123-125)20
È poi proprio in Aristofane che troviamo il primo esempio di commedia del
travestimento. Ne Le donne alle Tesmoforie (411 a.C) si assiste al travestimento di un
uomo in donna. La commedia mette in scena un conflitto tra uomini e donne sullo sfondo
di una festa dedicata alla donna. Durante questa festa si tiene un’assemblea a cui sono
ammesse le sole donne di Atene che mettono sotto accusa Euripide per il modo in cui
nelle sue opere egli tratta le donne. Euripide, non potendo prender parte all’assemblea in
quanto uomo, invia un attore, Mnesiloco, che viene ritualmente femminizzato attraverso il
taglio dei capelli e poi vestito da donna e mandato a difendere Euripide anche se con scarsi
risultati.
In questo caso il travestimento coincide con un attore stesso che per Aristofane è colui
che si sacrifica, venendo meno della propria identità: il suo dovere è castrarsi, nel senso di
essere il meno possibile sé stesso. Si delinea quindi un’allegoria dell’attore per il quale il
travestitismo è emblema del mestiere e della sua bravura.
20
ANTONIO: Come ti sei così diviso in due?/ Una mela spaccata fa due parti/ meno uguali di queste due
creature: ma chi è Sebastian?
Sin dalle commedie di Aristofane il travestimento rappresenta quindi un momento di
sospensione dell’identità, ma proprio grazie a questo si riesce a scoprire l’altro. La
maturazione dei suoi personaggi passa infatti attraverso una fase androgina. A tale
riguardo è da tenere in conto anche che nell’epoca elisabettiana e anche nei tempi antichi
questo mito aveva un forte fascino sull’immaginario letterario, come anche in quello
popolare. Nell’epoca elisabettiana era un verbo di culto, soprattutto come categoria
filosofica. Uno degli ambiti in cui l’androgina era coltivata nel rinascimento era infatti
l’alchimia, in cui la figura dell’androgeno rappresentava la perfezione.
In conclusione si può leggere il mito dell’androgino come origine dell’umanità degli
essere umani, in principio completi e autosufficienti, la cui divisione è una cosa accaduta
dopo, contro la quale vivono in eterna lotta. Ed è queste la stessa lotta combattuta
dall’Eros per riportare all’unità i suoi elementi, per ritrovare la propria identità ricucendo
insieme le proprie parti con la sintesi degli opposti.
Giulia Tiozzo
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