Orchestra di Padova e del Veneto Marco Angius Direttore Ludwig Van Festival Le 9 Sinfonie di Beethoven a Padova Giugno – Agosto 2016 Orchestra di Padova e del Veneto Marco Angius Direttore Fondazione Orchestra di Padova e del Veneto Via Marsilio da Padova 19 35139 Padova T 049 656848 · 656626 [email protected] www.opvorchestra.it facebook.com/opvorchestra twitter.com/opvorchestra instagram.com/opvorchestra youtube.com/opvorchestra In collaborazione e con il contributo di Ludwig Van Festival Le 9 Sinfonie di Beethoven a Padova Giugno – Agosto 2016 2 — 3 Orchestra Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Indice 5 Presentazione — Vittorio Trolese 6 Beethoven letto da Marco Angius. La drammatica necessità del comporre 10 intervista — Leonardo Mezzalira Le Nove Sinfonie di Beethoven — Giorgio Pestelli 16 Le Nove Sinfonie in disco con Peter Maag 20 Fra Sette e Ottocento, fra Tartini e Beethoven — Angelo Foletto — Sergio Durante 26 Ludwig Van Festival — Redazione Quanto affermava Italo Calvino a proposito dei libri può essere applicato, e senza bisogno di alcun aggiustamento, anche alla grande musica. Un classico in musica ha in realtà un potere ancora più grande: riuscire a parlare a tutti, evocare suggestioni in maniera indistinta e senza bisogno di mediazioni, lasciando ad ogni ascolto un piccolo ‘dono’ che ciascuno di noi – adulto o bambino, esperto o neofita che sia – può cogliere e mettere a frutto a proprio modo. Pensate alle Sinfonie di Beethoven, che dopo più di due secoli non smettono di conquistare generazioni di ascoltatori, frequentate assiduamente dal vivo o intercettate in maniera più o meno casuale, in disco o magari attraverso la pubblicità: chi non conosce le celebri quattro note di apertura della Quinta, o l’immortale tema dell’Inno alla Gioia della Nona? Le 9 Sinfonie hanno sempre rappresentato un punto di riferimento assoluto per la nostra Orchestra, a partire dalla storica integrale diretta da Peter Maag e immortalata in una memorabile incisione discografica per l’etichetta ARTS, ancora oggi in catalogo. A più di 20 anni da quell’impresa, le 9 Sinfonie tornano per la prima volta ad essere interpretate da un solo direttore d’orchestra: oggi tocca a Marco Angius, alla vigilia della sua seconda Stagione in qualità di Direttore musicale e artistico di OPV. Se l’integrale di Maag – che crebbe sotto il segno di Furtwängler – segnò irreversibilmente il passaggio da orchestra da camera a compagine sinfonica, sono certo che l’integrale di Angius – il cui sguardo parte dal Novecento – saprà traghettarci oltre il 50° anniversario della nostra Istituzione (costituita il 22 ottobre 1966), verso un nuovo modello di interpretazione e, perché no, una nuova idea di classico. Buon ascolto a tutti! Vittorio Trolese Vicepresidente Fondazione OPV Beethoven letto da Marco Angius La drammatica necessità del comporre intervista Leonardo Mezzalira Da quando è divenuto Direttore musicale e artistico dell'OPV, Marco Angius ha iniziato un percorso di rinnovamento che, nell'ambiente musicale cittadino, risulta in una sorta di piccolo ciclone. L'atteggiamento che sta alla base di questi cambiamenti non dovrebbe, in realtà, risultare rivoluzionario: consiste in differenziazione dei repertori, attenzione alla musica contemporanea, messa in rete del lavoro dell'OPV con quello delle altre realtà musicali italiane, cura nello studio dei brani. Insomma, ciò che ogni orchestra dovrebbe fare: ma, poiché è inconsueto, fa notizia. L’intervista che segue nasce come riflessione intorno all'esecuzione integrale delle sinfonie di Beethoven proposta da Angius, con l’OPV, nell’ambito del festival Ludwig Van. Il festival prende il nome da un lavoro pungente e dissacratorio del compositore contemporaneo Mauricio Kagel, divenuto anche un film in cui si metteva in luce la trasformazione di Beethoven in un’icona culturale, nel prototipo del “genio”. Dal dialogo, che è presto scivolato su altri temi che vanno dal senso della storia della musica in generale alle articolazioni del ruolo dell’interprete, emerge chiaramente uno dei motivi per cui Angius riesce a proporre questi cambiamenti e a portarli a buon fine. è il suo impulso inesauribile a mettersi in gioco, a mettere in discussione sé e le idee preconcette che trova nel mondo, e ad esplorare con entusiasmo le linee di ricerca che gli sembrano più fertili, ancorché meno battute. creatività contemporanea, quello della sperimentazione che proviene dalle avanguardie post-weberniane. Il passato stesso mi interessa in quanto osservato dall’ottica del presente. In verità, il passato è irraggiungibile: non è certo la volontà testamentaria del compositore, fissata sulla partitura, a restituircene l’autenticità, come credono gli adepti della filologia ortodossa. Tra il segno/partitura e il suono/gesto corre un abisso incolmabile. L’Autore si distacca definitivamente dalla sua opera compiendola. L’opera vive nell’aria e cambia a seconda dell’acustica, dei musicisti, della serata: è incompiuta per definizione e si realizza solo parzialmente durante l’atto interpretativo. La musica è immanente, avviene negli attimi concatenati della performance, vive negli sguardi tra i musicisti, nella concentrazione del pubblico, nei respiri, nella tensione che s’instaura o s’allenta. La scelta di proporre una lettura integrale delle Sinfonie di Beethoven, che non veniva affidata a un unico direttore dai tempi di Peter Maag, mi è sembrato un modo di ricollegarmi al repertorio elettivo dell’OPV e di dialogare direttamente col pubblico. Mentre in Stagione ho proposto all’Orchestra di affrontare lavori nuovi e inconsueti per la loro storia, ora sarà proprio l’Orchestra, con Beethoven, a condurmi nel proprio repertorio. Ha scritto che Beethoven oggi è “semplicemente necessario”. Si tratta di una necessità estetica, legata al ruolo che ha avuto nello sviluppo della musica, o anche umana, esistenziale, filosofica? Da quando è il Direttore musicale e artistico dell’OPV, lei fra l’altro ha portato la compagine a un maggior contatto con la musica contemporanea. Che ruolo ha, nel nuovo corso da lei inaugurato, questo studio estensivo su Beethoven? Risponde, oltre che a un bisogno del pubblico, anche a un bisogno suo e dell’orchestra? È vero, ho sempre seguito un percorso di esplorazione della 6 — 7 Questa frase è dettata innanzitutto da una profonda esigenza personale e artistica, quella di confrontarmi in modo continuativo con un compositore che è la quintessenza stessa della modernità. Beethoven è un ciclone che è riuscito a condurre la musica fuori dei propri confini di genere facendone un fenomeno universale, assoluto, fuori della storia. Mi ha colpito leggere di come l’autografo della fuga doppia della Nona, completato nel febbraio 1824, sia stato smembrato dopo la Seconda Guerra Mondiale in due tronconi, conservati a est e ovest del muro di Berlino, prima di essere riunito definitivamente alla Staatsbibliothek in più faldoni. Una specie di reliquia sacra, come è comprensibile fosse per il popolo tedesco, e non solo. in un’atmosfera percorsa da segnali ornitologici stilizzati che anticipano i richiami della Prima di Mahler. E si pensi alla nuova concezione degli Scherzi in dialettica con i Trii annessi: anche qui molti ascoltatori arriveranno al concerto con Marco Angius dirige l’OPV all’Orto Botanico di Padova. La musica di Beethoven si muove strettamente Soprattutto, tra le varie innovazioni e rivoluzioni della sua musica, c’è quella d’introdurre il concetto di urgenza, di necessità del comporre come fenomeno esistenziale, drammatico e irreversibile. all’interno del sistema tonale codificato nel secolo precedente: i suoi “temi”, molto spesso, sono incisi di carattere prevalentemente ritmico che combinano gli elementi costitutivi stessi del linguaggio tonale. In cosa Beethoven forza i limiti del linguaggio ereditato dal precedente classicismo? Direi in tutto e costantemente. Beethoven è un anti-classicista convinto: usa il lessico del classicismo, ma nella sintassi la sua preferenza va da subito a procedimenti neo-barocchi come la scrittura contrappuntistica e la fuga, e con il suo ultimo stile, com’è stato notato, fa esplodere il linguaggio classico anticipando la Seconda Scuola di Vienna. Soprattutto, tra le varie innovazioni e rivoluzioni della sua musica, c’è quella d’introdurre il concetto di urgenza, di necessità del comporre come fenomeno esistenziale, drammatico e irreversibile. Il rovello del singolo artista si trasmette all’intera società e da questa a tutto il genere umano, alla natura, all’universo circostante. Con Beethoven la musica non parla più di se stessa ma abbraccia il creato. Anche in questo senso Beethoven è un anti-classico. Le sinfonie di Beethoven sono il trionfo della forma-sonata: una sorta di ciclo dialettico basato su una coppia di temi di carattere diverso che vengono contrapposti e in qualche modo ricomposti. È d’accordo? Direi piuttosto che le Sinfonie, come altri rami della produzione beethoveniana, rappresentano il tramonto della forma classica. Si pensi al finale aperto della scena al ruscello nella Pastorale in cui, di fatto, il brano non finisce ma si disperde Beethoven va oltre la forma-sonata per delineare una forma a finestre, come l’ha felicemente definita Sciarrino nel suo volume Le figure della musica. In essa la tensione tra micro e macro-forma viene fatta saltare da un bombardamento a catena di incisi ritmici in costante bilico tra arsi e tesi, che prefigura un montaggio compositivo da epoca del computer. Lo stesso che si può individuare anche nel finale della Quinta Sinfonia (quando, con una brusca frenata, riappare il precedente Scherzo) e soprattutto in quello della Nona, in cui la sequenza genetica dell’intera sinfonia viene ripercorsa a balzi vertiginosi. A Beethoven interessa esplorare il modo in cui un conflitto di principi compositivi possa far scaturire un’innovazione concettuale della forma; da questa angolazione, il vero erede di Beethoven nel Novecento è Stockhausen. #Beethoven9 di @OpvOrchestra: la migliore “consacrazione della casa” per il Castello dei #Carraresi, luogo millenario finalmente restituito a #Padova #LudwigVanFestival Matteo Cavatton, Assessore alla Cultura del Comune di Padova Presentare in concerto brani molto noti, come le sinfonie di Beethoven, può essere rischioso: Beethoven letto da Marco Angius. La drammatica necessità del comporre 8 — 9 delle idee già formate di quello che li aspetta. È possibile che il concerto venga investito di un carattere quasi rituale. Ci sarà invece una dimensione di novità? In realtà dirigere Beethoven, per me, richiede lo stesso approccio di quando presento pezzi in prima esecuzione assoluta. La mia lettura si concentrerà su due aspetti principali: una propensione per l’assetto cameristico degli organici, e alcune scelte di tempi che, a catena, influenzano il fraseggio, il suono e tutti i parametri del far musica. Dal mio punto di vista, l’aggiunta dei metronomi operata da Beethoven successivamente alla composizione delle sinfonie è senza dubbio indicativa, ma non esclusiva. Noi guardiamo a Beethoven dopo il passaggio della poetica stravinskiana e delle avanguardie, in cui il tempo viene cristallizzato a fini strutturali; ma nella prassi musicale non c’è mai una battuta veramente uguale all’altra a causa di un’infinità di variabili localizzate. Esiste una netta contrapposizione tra una concezione astratta del tempo, concepito come entità esterna alla musica e scandito da un tactus costante e immutabile sancito dall’indicazione del metronomo (Stravinsky), e una concezione del tempo secondo cui questo si dipana a partire dal suono, dall’intervallo necessario perché un suono viva o scompaia (ipoteticamente, Wagner e Mahler). In fin dei conti, il lavoro dell’interprete è questo: carpire il senso latente e la logica del comporre insite in un’opera attraverso il sistema semiotico che la rappresenta, poi scegliere ascoltando e procedere per esperienza e intuito. Il resto lo giudicherà il nostro pubblico. Ai discorsi sulla sazietà per il già noto, il già acquisito, che sempre si sentono fare ogni volta che le Nove Sinfonie di Beethoven si ripresentano in blocco alle orecchie piú sapute, non resta che rispondere con le parole di Gide (Le traité du Narcisse): «Tutte le cose son state già dette; ma siccome nessuno ascolta, bisogna sempre ricominciare da capo» Monumento piú perenne di qualunque metallo, da circa due secoli le Nove Conviene quindi ascoltare e riascoltare umilmente le Nove Sinfonie: ripartono sempre da capo, perché sempre toccano la nostra coscienza in qualcosa di profondo, fuori dal variare dei tempi e dei gusti. Le Nove Sinfonie di Beethoven Giorgio Pestelli Ludwig van Beethoven nel ritratto (1820) di Joseph Karl Stieler (1781-1858). Il compositore tiene in mano l’autografo della Missa Solemnis op. 123. Bonn, Beethoven-Haus a destra R. Schmidt (1894-1980), Eroica, Medaglia in bronzo, fusione, 1946 (opera ispirata al dipinto di Franz von Stuck Amazzone ferita, 1904). Muggia, Biblioteca Beethoveniana Sinfonie sono presenti alla mente e al cuore di tutte le generazioni nella singolarità delle loro fisionomie: presenti come individui precisi, compagni di strada, proverbi dell’anima; ma il modo in cui pervengono a rappresentarsi come tali, ogni volta che si considerino da capo, resta misterioso come un evento naturale, terribilmente semplice e tuttavia insondabile. Conviene quindi ascoltare e riascoltare umilmente le Nove Sinfonie: ripartono sempre da capo, perché sempre toccano la nostra coscienza in qualcosa di profondo, fuori dal variare dei tempi e dei gusti. Salvo la Nona Sinfonia, tutte le altre otto sono venute alla luce nello spazio fra il 1800 e il 1812: rispetto ai valori messi in gioco e all’influenza esercitata, 10 — 11 si tratta quindi di un corso creativo veloce, rapinoso, quasi incredibile per le forze di un solo artista. Storicamente muovono dalla perfezione delle ultime sinfonie di Mozart e di Haydn, in sostanza ignorando il pigro districarsi della sinfonia precedente dal concerto e dalla serenata: arte quindi che tende all’immediato presente, che assume una sintassi e uno stile già compiuti e a portata di mano. Per contro, il contraccolpo sulle successive stagioni fu pervasivo e condizionante; in qualche modo le sinfonie ‘romantiche’ di Schubert, Weber, Mendelssohn e Schumann, quasi aggirando il modello, prendono le mosse da prima di Beethoven, e il confronto diventa diretto, tanti anni dopo, solo con Brahms; l’eredità di Beethoven, intendendo specialmente delle Sinfonie di Beethoven, costituisce un laborioso capitolo della storia musicale dell’Ottocento; un capitolo pieno di passioni e di polemiche, in cui Wagner, Berlioz, Brahms, Bruckner, Čajkovskij, per non citare che i massimi, scriveranno le loro deduzioni, stenderanno i loro paragrafi e le loro chiose. Intanto le Nove Sinfonie restano là: separate dai flutti della storia, da cui tuttavia traggono alimento e in cui sempre si addentrano. Tutti siamo d’accordo che considerazioni solo formali, analitiche, che pure hanno riempito volumi e sono importantissime a stringere obiettivi specifici, non saprebbero rendere giustizia all’intera portata dell’edificio; Mozart e Haydn, in quanto a maestria combinatoria e sottigliezze formali, avevano già esaurito il campo; il fattore nuovo introdottovi da Beethoven è la capacità di saturare di vita la sintassi sinfonica, di attirare dentro la sfera della musica concetti, idee e sentimenti che non le appartengono direttamente, come la Storia, o la Natura, soggetti che lungi dal limitare l’invenzione diventano moltiplicatori di energia creativa. La teoria della ‘musica pura’, idoleggiata dai primi romantici come una metafisica dei suoni, non basta a Beethoven, che sempre, ma nelle Sinfonie in modo tutto particolare, vuole essere eloquente e rappresentare situazioni e caratteri drammaticamente precisi; e se usiamo il termine ‘drammatico’ nelle Sinfonie non solo perché apre prospettive e pone interrogativi, ma perché dopo aver posto gli interrogativi fornisce anche le soluzioni: alla sua arte, pur cosí radicata nel suo tempo, il pubblico di ogni età chiede appunto di realizzare ogni volta le proprie aspirazioni, tensioni e incertezze. Ma il tema ‘Beethoven oggi’ presenta forse qualche componente particolare. Un #festival dall’alto profilo #scientifico e #culturale, che accomuna @OpvOrchestra e @UniPadova nell’estate all’ @OrtoBotanicoPd #LudwigVanFestival Vienna, K.K. Hoftheater, nach dem Kærnthnerthor, litografia a colori (1820 circa). In questo famoso teatro, oggi non piú esistente, venne eseguita per la prima volta la Nona Sinfonia. Muggia, Biblioteca Beethoveniana a destra H. Delacroix, Danza antica ispirata alla Settima Sinfonia, Cartolina (inizio ‘900). Muggia, Biblioteca Beethoveniana Non si scopre nulla di nuovo dicendo che il temperamento moderno è lontano da Beethoven: basta pensare come sia raro imbattersi in interpreti beethoveniani intimamente solidali con quel mondo espressivo: esecuzioni tecnicamente perfette certo, rifinite, piene di buone intenzioni; tuttavia, rispetto a un modello ideale che ci portiamo dentro Annalisa Oboe, Prorettore alle Relazioni culturali Università degli Studi di Padova di Beethoven, è perché una dialettica di opposti dà luogo a una sorta di azione, e perciò a un ‘dramma’; di cui però i personaggi sono soltanto dei ‘moti affettivi’, che non potremmo definire a parole se non per metafore; di qui deriva quell’ansia di saltare il fosso della ‘musica pura’ che Beethoven ha provocato in misura sconosciuta a qualunque musicista del passato; sempre si cerca oltre le note, e anche se non si trova che musica, non si può concepire di non cercare ancora. Le Nove Sinfonie sono sempre pronte a ricominciare, «perché nessuno ascolta», o meglio perché tutti ci accorgiamo che a ogni ascolto sono cambiate e ci dicono sempre qualcosa di nuovo. A distanza di due secoli, la presenza e l’incidenza di Beethoven nel mondo moderno, in una parola la sua ‘attualità’, non si esaurisce nell’ovvia constatazione del suo valore universale; come tutti i massimi creatori, Beethoven è attuale Le Nove Sinfonie di Beethoven R.A. Höger (1876-1928), Beethoven passeggia lungo il ruscello dove compose la Sesta Sinfonia (Heiligenstadt, Beethovengang), olio su tela (fine ‘800). Muggia, Biblioteca Beethoveniana a destra Frontespizio della Sinfonia n. 5 in un’edizione d’epoca Breitkopf&Härtel. Muggia, Biblioteca Beethoveniana Beethoven è attuale non solo perché apre prospettive e pone interrogativi, ma perché dopo aver posti gli interrogativi fornisce anche le soluzioni. Eppure, la società di massa, dei consumi, della tecnologia è assetata di musica di Beethoven tale e quale, se non di piú, di quella dell’età precedente. 12 — 13 manca sempre qualcosa, qualcosa di temperamentale che non si trova nelle parti, ma riguarda il legame spirituale dell’insieme. E in realtà, dov’è nel mondo contemporaneo quella eticità che è tanta parte del carattere beethoveniano? Quali sono i valori della vita d’oggi che possono aderire a quelli di Beethoven, anzi dov’è, oggi, la stessa nozione di valore? Dopo il vangelo dell’arte moderna: «prendi l’eloquenza e tirale il collo», ogni atteggiamento eroico o titanico non può che suonare stilizzato; la lotta contro il destino risulta chimerica nell’era del progresso tecnico e scientifico; l’ecologia ha sterilizzato quella Natura in cui Beethoven s’immergeva, Prometeo non ha piú nulla da offrire all’uomo della società dei consumi e la fratellanza universale cantata nella Nona Sinfonia ha imboccato la via dei grandi viaggi organizzati. Eppure, la società di massa, dei consumi, della tecnologia è assetata di musica di Beethoven tale e quale, se non di piú, di quella dell’età precedente: basta vedere la mobilitazione del pubblico al solo apparire del nome di Beethoven in cartellone; e tutto ciò perché quella musica prospetta un insieme di valori, un mondo che qualcuno ha conosciuto e fermato in forme salde e reali, che sono lí presenti e tangibili, eppure sono infinitamente distanti per la nostra inadeguatezza a quel mondo e a quei valori. Certo, l’uomo moderno preferirà accompagnarsi a Mahler, Kafka, Proust, Alban Berg e Musil, e chiamandoli ‘moderni’ e parlando di ‘crisi’ cercherà di annetterli alla nostra sfera del moderno, di farli partecipi della nostra sorte e di capire e curare tramite loro anche le nostre crisi; e lodandoli l’uomo moderno loderà un po’ anche se stesso. Con Beethoven non corriamo di questi rischi; le Nove Sinfonie sono opere ormai troppo lontane dalla nostra condizione quotidiana: per questo le possiamo esaltare con la coscienza tranquilla, ammirandole nella loro vergine distanza; per questo le continuiamo a rincorrere: per riportare nella nostra vita quei valori che non ci sono piú e di cui tuttavia sentiamo sempre di piú il bisogno. K.E. Hirt, (1866-1963), cartolina (inizio ‘900), Terza Sinfonia. Eroica. Muggia, Biblioteca Beethoveniana sotto A. Paunzen (1890-1940), Quinta Sinfonia, Allegoria, acquaforte (1918). È una delle opere grafiche ispirate dalla musica di Beethoven piú rilevanti del '900, tratta dalla cartella Phantasien Über J. Thorak, (1889-1952), Beethoven e la Quinta Sinfonia. Placca in bronzo, fusione, 1930 circa. Nell’indistinto turbinio di fondo si scorgono le note della Quinta Sinfonia sparse sul capo (e nella mente) del compositore. Muggia, Biblioteca Beethoveniana La Biblioteca Beethoveniana di Muggia Nel 1967, in un ristorante di Trieste, un giovane «Pensiamo che queste testimonianze, che avventore venne colpito da una musica che in nessun museo è possibile vedere, nei loro proveniva dal fondo del locale, dove un vecchio molteplici percorsi tra passato e presente pianista suonava per i clienti. La musica era di contribuiranno a suscitare, in un’epoca Ludwig van Beethoven e per Sergio Carrino – sempre piú virtuale, sensazioni di interesse, questo il nome del giovane – fu un autentico apprezzamento ed entusiasmo non solo per il grande Artista di Bonn e per la sua musica ma anche per tutte le altre forme d’arte», commentano i Carrino. «Si riscopre cosí il fascino del libro, degli oggetti artistici, delle medaglie, degli ex libris, il mondo delle cartoline e delle figurine… ne scaturisce anche a destra Incipit della Sinfonia n. 5 in un’edizione d’epoca Breitkopf&Härtel. Muggia, Biblioteca Beethoveniana colpo di fulmine. Ne seguirono dischi, concerti, e nel 1971 il primo libro sul compositore (la biografia di Giovanni Carli Ballola). Alcuni anni dopo, un’amica gli regalò la bella placchetta in bronzo del primo Novecento firmata dal grande medaglista Stiasny raffigurante Beethoven. Iniziò cosí la collezione che oggi, grazie all’aiuto della moglie Giuliana Beethoven Symphonien con 6 incisioni (Vienna, Lanyí, 1918). Il tragico confronto tra Uomo e Fato è rappresentato dalla gigantesca mano del Destino che batte le fatidiche quattro note iniziali della Sinfonia contro un imponente e altissimo campanile di una cattedrale gotica. Muggia, Biblioteca Beethoveniana Le Nove Sinfonie di Beethoven e del figlio Ludovico, conta oltre 9.000 pezzi organizzati nelle 12 collezioni della Biblioteca Beethoveniana di Muggia. un’inedita e sorprendente visione globale della Nell’atmosfera unica e coinvolgente di personalità artistica di Beethoven e del mito Casa Carrino si possono ammirare un gran del suo genio ponendo cosí una base diversa numero di busti, dipinti, grafica d’arte, edizioni, per la ricerca, lo studio, la conoscenza del sculture, medaglie, ex-libris, cartoline, figurine, Compositore.» oggetti d’arte, francobolli, documenti, curiosità storiche, senza tralasciare le réclame e il kitsch. 14 — 15 www.bibliotecabeethoveniana.it Le Nove Sinfonie in disco con Quando Peter Maag, a metà degli anni novanta decise di registrare con l’OPV l’integrale sinfonica beethoveniana dopo averla piú volte proposta dal vivo, la disponibilità fonografica specifica era già un monumento della discografia. Dal 1927, anno della prima serie completa, con diversi complessi ma con un direttore unico (Felix Weingartner), al 1995 non meno di un’ottantina di maestri – alcuni già piú d’una volta – si erano confrontati Peter Maag Angelo Foletto Nel 1996 era la prima volta che un’orchestra italiana affrontava un’impresa del genere e resta ancora tra le poche che l’hanno intrapresa. Peter Maag Archivio Famiglia Maag con il corpus sinfonico per antonomasia. Oggi, a vent’anni, la contabilità è quasi raddoppiata. Nel 1996 era la prima volta che un’orchestra italiana affrontava un’impresa del genere: era la seconda orchestra da camera con strumenti moderni che lo faceva – dopo la Mahler Chamber Orchestra con Nikolaus Harnoncourt, qualche anno prima – e resta ancora tra le poche che l'hanno intrapresa. Tanto per far capire di che decenni sinfonico-beethoveniani parliamo, a metà degli anni novanta Herbert von Karajan aveva già licenziato la sua quarta integrale (oltre alla versione video con le regia di Henri Clouzot degli anni sessanta), Leonard Bernstein, George Solti, Bernard Haitink e Claudio Abbado (quasi) la seconda; e gli apostoli delle esecuzioni con strumenti ‘antichi’ e con piccoli ensemble (Christopher Hogwood e John Eliot Gardiner, Roger Norrington e Frans Brüggen eccetera) stavano occupando spazi critici e commerciali sempre piú consistenti. In Italia s’era fermato a tre quarti il ciclo programmato con la 16 — 17 Filarmonica della Scala e Carlo Maria Giulini, lasciando la primogenitura di un progetto completo italiano sulle “Nove” per definizione ai complessi veneti di cui Maag era direttore musicale da piú di un decennio. Il primato è rimasto ineguagliato per vent’anni: fino all’integrale del cugini altoatesini della Haydn di Bolzano e Trento (2008). La coraggiosa impresa della casa discografica ARTS e la sfida bell’e buona dei musicisti – le sinfonie di Beethoven sono una prova iniziatica e una sorta di consacrazione artistica per qualsiasi orchestra (forse piú ancora che per il direttore) – in realtà era un azzardo non avventato. Lo confortavano preventivamente l’aristocratica e solidissima storia beethoveniana di Maag – cresciuto musicalmente sotto l’ala di Wilhelm Furtwängler, cioè il primo interprete moderno delle Sinfonie – e la tradizione nazionale abbastanza diffusa in Italia, stante la scarsa presenza di grandi orchestre sinfoniche stabili, di eseguire Beethoven in formazione ridotta. Una terza concomitanza fu la pubblicazione in quel decennio dell’edizione critica delle Sinfonie curata da Jonathan Del Mar per l’editore Bärenreiter che costrinse gli interpreti non pigri a rivedere molte delle proprie idee sull’esecuzione beethoveniana: Abbado fu il primo direttore per cosí dire ‘tradizionale’ a dissociarsi da se stesso, nella seconda integrale con i Berliner di quegli anni. A Maag il nuovo testo ‘critico’, che in realtà riapriva un’antica e vana questione (Beeethoven è classico o romantico?), offrí ulteriori conferme filologiche a un disegno già maturo. Cioè a una visione critica e stilistica, prima che esecutiva, dell’universo sinfonico beethoveniano come sviluppo di un processo evolutivo metodico, di volta in volta estremizzato nei parametri (tematico, ritmico, sonatistico, armonico, formale, strumentale e via dicendo) ma pur sempre ‘classici’. Un Beethoven sinfonico piú storicizzato: temerario e sperimentatore ma pur sempre figlio dell’illuminismo, sistematico rivoluzionario piú che sovvertitore radicale di un sistema musicale al quale comunque era riconoscente e sentiva ancora di potersi affidare. Affrontare Beethoven con un’orchestra da camera, peraltro di lunga assiduità e rassicuranti esiti col repertorio setteottocentesco, fu probabilmente l’atto che a Maag occorreva per esorcizzare la figura del maestro Furtwängler, di cui aveva seguito da vicino il lavoro proprio sulla Sinfonie. L’organico raccolto, la rinuncia al tradizione raddoppio dei legni, l’adozione di un criterio esecutivo d’istinto (e per la lunga e mirata storia dell’OPV) che Maag ebbe a ventura di crescere tra la modernità romantica di Furtwängler la modernità novecentesca di Ernest Ansermet, forse il primo direttore che affrontò con adeguati sistemi critici l’avanguardia a lui contemporanea: con capacità di sintesi e di razionalità analitica tipicamente francese, costruendo uno strumento-orchestra ancor oggi esemplare. Logica stilistica, pratica dialettica quotidianamente esercitata sui testi, Maag le materializzano in un Beethoven fatto non di dettagli e di respiro sinfonico ma che dalla cura e dal bilanciamento dei dettagli – non dogmaticamente usati come rivelazione del tutto, né innalzati a Peter Maag dirige l’OPV nel Concerto di Capodanno del 2000. @OpvOrchestra e Marco #Angius ambasciatori culturali della @RegioneVeneto sotto il segno di #Beethoven #LudwigVanFestival Cristiano Corazzari, Assessore alla Cultura Regione del Veneto riconoscibile e carsicamente richiamata al di là delle ovvie distinzioni di carattere dei singoli movimenti. E nel disegno macrostrutturale pare ritrovare l’anima d’autore che si trasmette, e si rigenera, da una Sinfonia all’altra. Come dire che certi tempi, serrati o stupendamente distesi (l’Adagio della Nona è una ‘cantabile’ perfettamente gestito, ad esempio: avere pochi violini ma che suonano con calibrata espansività, e senza ubbie filologiche è un privilegio che Maag sfrutta al meglio; il recitativo dell’ultimo movimento è un altro modello), obbediscono a una logica e a un equilibrio ‘retorico’ che si riconosce fin dalle prime Sinfonie. Emblematico del peso della tradizione mediato dall’urgenza in un’esecuzione ispirata dalla perspicacia della lettura e poi abbandonata agli umori e agli affetti, è la Quinta. il celebre attacco è corto e snello ma l’evidente appoggio sul ‘battere’ bilancia l’agile frugalità Di corsa con Ludwig “Allegro con moto” è l’originale playlist ideata appositamente per chi corre, che OPV rinnova ogni anno in occasione della Maratona di Padova: una selezione di alcuni tra i più famosi capolavori del repertorio classico, tratta dagli archivi sonori dell’orchestra e scaricabile gratuitamente dall’account SoundCloud opvorchestra. portato all’ascoltare, e ascoltarsi, prima ancora del suonare bene, corrispondeva all’indole caratteristica di un direttore cosí attento al valore del far musica insieme. A ciò si può aggiungere un elemento squisitamente personale: le circostanze culturali formative familiari e il non comune tirocinio professionale del maestro svizzero. Analizzando un episodio cosí sfacciatamente riepilogativo, e (involontariamente) autodimostrativo del proprio tragitto interpretativo come il confronto ordinato con le Sinfonie di Beethoven, è impossibile dimenticare Le Nove Sinfonie in disco con Peter Maag virtuosistico ornamento orchestrale fine a se stesso o isolato – desume una profonda ragione d’essere sinfonica: rivelatori, in questo senso, i due movimenti estremi della Nona che suonano coerenti, anzi consequenziali, anche nella loro peculiare eterogeneità. Colpisce ancora la facilità – apparentemente istintiva ma frutto di consumata perizia poetica e stilistica – con cui Maag conferí a ogni partitura uno ‘tinta’ sinfonica specifica (anche con la scelta metronomica, vedi l’avviamento della Pastorale, o di tono espressivo, come nell’introduzione della Quarta); In occasione del “Ludwig Van Festival”, OPV ha confezionato una compilation speciale a partire dalla storica integrale delle 9 Sinfonie di Beethoven, eseguita e registrata negli anni novanta sotto la direzione di Peter Maag. Grazie alla collaborazione con l’etichetta ARTS, che ancora oggi pubblica il cofanetto, in corrispondenza dei 5 concerti nei quali verrà presentata la nuova integrale delle Sinfonie, sarà possibile ascoltare o scaricare gratuitamente una selezione di movimenti di quella incisione dal proprio tablet o smartphone. 18 — 19 dello scatto iniziale. E cosí è per tutto il movimento: si alternano allusioni alla monumentalità storicizzata e verticale del ‘motto’ ma il progetto interpretativo è orizzontalizzato, sospinto sempre avanti verso la risoluzione del movimento stesso; e di lí verso il precipitante e clamoroso finale. In generale, queste Nove sono dotate di freschezza intatta. Intelligenti, trasparenti eppure dense, lievi ma con gli spigoli costruttivi al punto giusto, apollinee ma con scatti dioniasici (come nella vertiginosa, quasi rabbiosa, cavalcata conclusiva della Settima) ma anche con vivacità posthaydniana in altri finali, in cui pare di vedere brillare il caratteristico sorriso sornione e saggio, elficamente birichino e severo, di Peter Maag. Fra Sette e Ottocento, fra Il 30 luglio del 1770 entrava in una torrida Padova il musicografo inglese Charles Burney, in viaggio per documentare lo stato attuale della musica in Europa. Ne sarebbero uscite delle memorie di viaggio rimaste famose. Annotava in quella data che «in questi ultimi anni il soggiorno del celebre compositore e violinista Giuseppe Tartini ha reso questa città non meno famosa che nell’antichità per essere stata il luogo natale del grande Tartini e Beethoven Sergio Durante Mentre Tartini rappresenta una delle più alte espressioni della musica strumentale settecentesca nelle forme del concerto solistico e della sonata, con Beethoven viene portata ad un nuovo vertice la forma sinfonica ed il suo strumento principale, l’orchestra moderna. A. Tosini, Le loggette settentrionali dalla «strada così-detta Turchia» [Stabilimento Pedrocchi]. Padova, Museo Civico storico Tito Livio». Tartini era morto nel febbraio precedente e l’inglese si dovette limitare nel suo pellegrinaggio musicale a visitarne la sepoltura (nella chiesa di S. Caterina d’Alessandria) e a raccogliere testimonianze dagli amici; ma la sua narrazione restituisce il senso della fine di un’epoca in cui la città era divenuta un centro di interesse musicale continentale. Intanto, in altra parte d’Europa, Maria Magdalena Keverich, sposa ventunenne di Johann van Beethoven stava portando avanti la sua seconda gravidanza, dopo aver perso l’anno prima un bimbo di nome Ludwig Maria al suo sesto giorno di vita: questa sarebbe andata a miglior fine con la nascita di un altro Ludwig, il nostro, battezzato il 17 dicembre dello stesso anno. Una morte e una nascita che segnano due epoche molto diverse, e non solo dal punto di vista musicale. Mentre Tartini rappresenta una delle più alte espressioni 20 — 21 della musica strumentale settecentesca nelle forme del concerto solistico e della sonata, con Beethoven viene portata ad un nuovo vertice la forma sinfonica ed il suo strumento principale, l’orchestra moderna. Mentre in Tartini l’espressione musicale tende all’imitazione di quella letteraria (sono noti i ‘motti’ poetici coi quali intestava i suoi manoscritti di composizione), si afferma con la generazione a cavallo fra i due secoli l’idea che l’arte dei suoni abbia una sua completa autonomia e superi addirittura la letteratura nella capacità di attingere alla sfera di ciò che è indicibile con i soli mezzi verbali. Due mondi ben lontani fra loro anche nel rapporto del compositore con la propria opera, se si considera che mentre Tartini scrisse circa 140 concerti per il proprio strumento, Beethoven si limitò a 5 per il suo pianoforte; il che segnala un passaggio epocale da un concetto primariamente quantitativo del lusso (e la musica, prima dell’avvento della riproduzione tecnica, è indubitabilmente un articolo di lusso) a quello qualitativo. è singolare che lo stesso Burney sia autore, 34 anni dopo la visita a Padova, di un commento sul musicista di Bonn che fa simbolicamente da ponte fra le due epoche: «Baythoven (sic), un discepolo d Mozart, sta ora conquistandosi una così rapida notorietà che non si rischia molto pronosticando che, se vivrà, sarà il più grande musicista di questo secolo, così come Haydn e Mozart lo sono stati sullo scorcio di quello passato. Si dice che sia giovane; eppure scrive con la libertà e l’audacia che derivano da una lunga esperienza, e con una ricchezza inventiva che lascia supporre risorse inesauribili». Una previsione che si sarebbe avverata oltre le aspettative, in quanto con Beethoven viene in luce non solo una produzione musicale di straordinario valore, ma l’idea stessa della monumentalità autoriale, del genio musicale romantico. Una rappresentazione che ha avuto effetti duraturi non solo rispetto a Beethoven ma in generale, nel modo stesso di raccontare la Storia della musica in Occidente. In pratica, ancora oggi e a dispetto dei tempi cambiati, la storia è immaginata prevalentemente come una lunga processione di personaggi ‘geniali’ che passano il testimone del progresso musicale di generazione in generazione. Questa rappresentazione, non interamente falsa ma troppo semplice per essere vera, è sopravvissuta ben oltre la fine del Romanticismo eroico che l’aveva generata, e prospera ancora oggi nell’ambito della musica commerciale di grande distribuzione con la messa a punto ‘scientifica’ di personaggi-feticcio, sempre più grandi del vero (si chiama marketing). Se la grandezza si misura anche con l’effetto nel tempo, non c’è dubbio che Tartini e Beethoven abbiano lasciato un segno permanente (almeno quanto la tradizione della musica d’arte), ma la Storia può essere raccontata anche in termini diversi e non meno interessanti. Per esempio, come è cambiato il modo di concepire la musica nei quarant’anni che separano la morte di Tartini dall’affermarsi – non incontrastato al suo tempo, come si vedrà più sotto – di Beethoven? E in che modo questi cambiamenti toccarono la Repubblica Veneta, di cui Tartini Francesco I d’Asburgo Lorena, 1 lira, Milano, 1822. Padova, Musei Civici, Museo Bottacin, inv. 281a non avrebbe potuto immaginare la fine imminente ma che nel 1827 obbediva allo stesso sovrano di Beethoven? La circostanza più evidente è che Venezia e il suo territorio passarono dalla condizione di centro a quello di periferia del mondo musicale, con tutte le implicazioni di ordine economico e culturale che il tormentato periodo napoleonico portò con sé. Se ai tempi di Tartini accorrevano a Padova allievi da tutta Europa, nel primo Ottocento i musicisti locali cercavano modelli in altre direzioni: soprattutto Vienna, la capitale. La grande tradizione strumentale italiana che aveva primeggiato da Vivaldi a Tartini esaurì la sua funzione storica così come declinò la forza economica delle istituzioni di riferimento: i grandi santuari come quello antoniano e i conservatori, che patirono gravemente le devoluzioni napoleoniche; i teatri, indeboliti dal policentrismo caratteristico della penisola. è ben vero che l’Italia continuò a produrre melodramma più di Fra Sette e Ottocento, fra Tartini e Beethoven ogni altro paese d’Europa ma la qualità fu sempre più raramente all’altezza della quantità perché ogni città piccola o grande che sia esigeva il suo melodramma, a dispetto dei mezzi insufficienti. La musica strumentale in particolare soffrì da un lato il declino economico della classe sociale di riferimento, l’aristocrazia, mentre non guadagnò un nuovo pubblico a causa del relativo ritardo – rispetto ad altri paesi d’Europa – dell’accumulazione V. Rota, Ritratto di Giuseppe Tartini inciso da Carlo Calcinato. Padova, Museo Antoniano sopra G. Pividor, Interno della sala del Teatro La Fenice nel 1837 con la tendina di Giovanni Busato raffigurante Enrico Dandolo che rinuncia alla corona d’Oriente. Venezia, Archivio Storico del Teatro La Fenice a destra Francesco Giuseppe I d’Asburgo Lorena Imperatore d'Austria, Mezza sovrana, Milano, 1856. Padova, Musei Civici, Museo Bottacin, inv. 300a #LudwigVanFestival: di @OpvOrchestra: a Padova una integrale delle Sinfonie. Fanno sentire a casa e pensare di dove veniamo Paolo Possamai, Direttore Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso, La Nuova di Venezia e Mestre, Il Corriere delle Alpi di Belluno capitalistica nostrana. E tuttavia la musica strumentale nel Veneto non scomparve del tutto sebbene sia oggi ignorata dai manuali di Storia della musica: resta confinata in un’area marginale rispetto alla ‘grande musica’ continentale. Qualche anno fa si tenne proprio a Padova un convegno sulla musica strumentale nel Veneto fra Settecento e Ottocento che intendeva illuminare le profonde radici storiche di un’istituzione come OPV 1. Le ricerche portarono in luce un mondo musicale di ricchezza insospettata fino ad allora e poco visibile perché collegato soprattutto al consumo privato. Famiglie dell’aristocrazia che si riconobbero nel nuovo ordine austriaco (almeno fino agli anni ‘40 dell’Ottocento) e che certamente ne apprezzavano i portati culturali, con speciale riferimento alla musica. L’astro principale, nel Veneto come nel resto d’Europa, non fu Mozart (né Beethoven), ma soprattutto Haydn, diffuso grazie all’industria della stampa 1 La musica strumentale nel Veneto fra Settecento e Ottocento (Atti del convegno internazionale di studi, 22 — 23 musicale viennese. Mentre si compera musica da consumare nelle occasioni domestiche, se ne compone anche, ad imitazione dei modelli settentrionali (ma fino ad un certo punto). Un musicista oggi pressoché dimenticato ma degno di attenzione, Marco Antonio Sumàn, scrive nel 1801 una serie di sei quartetti per archi che insieme a quelli di Gaetano Valeri, organista al Duomo, rappresenta il contributo locale più significativo al rito musicale e sociale insieme del quartettismo. Certo la cifra stilistica è diversa: i temi e gli intrecci contrappuntistici più semplici assomigliano a quelli settentrionali, finché poi non si arriva al cuore della composizione cioè agli sviluppi caratteristici della forma-sonata. Qui le strade si separano; forse, si può malignare, per una insufficienza tecnica dei compositori nostrani ma probabilmente anche per ragioni più profonde, vale a dire il rifiuto estetico di una costruzione che va oltre la trasparenza delle strutture fraseologiche semplici per inoltrarsi, nelle espressioni più mature, in strutture compositive di profondità abissale. In altre parole, il quartettismo di Haydn e Mozart, che venne successivamente definito ‘esoterico’ viene sì praticato nelle sale da musica del Veneto, ma per i compositori locali l’imitazione si restringe al suonare insieme a quattro, senza attingere agli strati più essenziali delle musizieren Padova 4-6 novembre 1996), a cura di L. Boscolo e S. Durante, Padova, Cleup 1998. viennese. Insomma, il quartetto ‘veneto’ (che poteva vantare come predecessore, certamente dimenticato, le sonate a quattro del vecchio Tartini) è piacevole, scritto competentemente, ma non vuole essere ‘troppo’ impegnativo, né per chi lo suona, né per chi lo ascolta. Se al quartetto bastava per l’esecuzione un gruppo di amici (non essendo destinato al concerto pubblico, almeno fino a tutto il Settecento), la penetrazione in Italia della musica sinfonica pose qualche problema in più perché richiedeva una costosa, valida orchestra, e un direttore (figura quest’ultima che nemmeno esisteva al tempo di Tartini o Vivaldi quando il primo violino reggeva le sorti dell’insieme come semplice ‘capo di concerto’). Le ricerche sulle fonti padovane (in particolare sull’importante fondo di manoscritti del “Teatro nuovo”, oggi al Conservatorio “Pollini”) hanno dimostrato che più di un movimento sinfonico viennese è stato ascoltato per la prima volta nei panni di sinfonia d’apertura per un ballo teatrale. è questo il caso dell’Ouverture del Flauto magico di Mozart ascoltato a Padova in apertura di un ballo nel 1809; quello che i manoscritti non dicono (e la stampa del tempo tace) è se il pubblico locale sapesse chi era l’autore di quella musica straordinaria. Anche le sinfonie di Beethoven arrivarono ‘travestite’ nelle riduzioni per pianoforte o pianoforte a quattro mani e solo successivamente nella veste orchestrale. La prima esecuzione nota del Beethoven sinfonico risale al 28 gennaio del 1816 con l’esecuzione della Seconda sinfonia al Teatro La Fenice. La Gazzetta privilegiata (portavoce del governo ormai austriaco) ne riferiva in questi termini: «Gli applausi vivissimi […] furono in parte accordati anche agli altri accessorj dell’Accademia [cioè: concerto] meritevoli pure di non volgar lode, essendo essa composta dei più scielti professori di musica tutt’ora esistenti in questa nostra città. Basta indicare come direttore d’orchestra il sig. Camerra, Fra Sette e Ottocento, fra Tartini e Beethoven per violoncello il sig. Bertoja, per primo contrabbasso il sig. Forlico padre, che senza andar più oltre, s’avvede ognuno con quanta esattezza e spirito musicale doveva essere eseguita una quanto difficile altrettanto superba gran sinfonia del maestro Beethoven. Questo magnifico pezzo di musica, composto sullo stile delle grandi sinfonie d’accademia di Haydn, non poteva essere meglio eseguito; poteva però essere meglio gustato, ove il gusto generale meno delicato del nostro Non è un caso che sia la musica di #Beethoven a celebrare l'#Europa unita. L'Inno alla Gioia esprime l'ideale di fratellanza fra gli uomini. #LudwigVanFestival Flavio Zanonato, Parlamentare Europeo Le ricerche sulle fonti padovane hanno dimostrato che più di un movimento sinfonico viennese è stato ascoltato per la prima volta nei panni di sinfonia d’apertura per un ballo teatrale. è questo il caso dell’Ouverture del Flauto magico di Mozart ascoltato a Padova in apertura di un ballo nel 1809. A. Tosini, La Sala Rossini nel ridotto [Stabilimento Pedrocchi]. Padova, Museo Civico A. Putti, Veduta prospettica di Padova, 1850 ca. Padova, Museo Civico preferisse alla dolce melodia d’un ritmo facile e blando, il robusto ed energico scrivere dei compositori oltremontani. Se il gusto universale però non trovò tutto il suo pascolo nella sinfonia di Beethoven, lo trovò bensì la ragione degli intelligenti, di cui abbonda questo paese». 2 Gia in questa prima comparsa di un brano complessivamente tradizionale (che si sarebbe detto dell’Eroica?) si delinea una contrapposizione di gusto divenuta col tempo luogo comune: musica per ‘intelligenti’ (cioè esperti) rispetto a musica ‘facile’. Di lì a vent’anni un sensibile osservatore, Giuseppe Mazzini, avrebbe caratterizzato con maggiore acume le differenze fra cultura musicale Italiana e tedesca nella sua Filosofia della musica, pubblicata a Parigi nel 1836: «[…] mentre la melodia italiana definisce, esaurisce, e t’impone un affetto, essa [la tedesca] lo affaccia velato, misterioso, appena tanto che basti a lasciarti una memoria e il bisogno di ricrearlo, di ricomporre da per te quella immagine. L’una ti trascina a forza fino agli ultimi termini della passione, l’altra t’accenna la via e poi ti lascia». Un’astrazione, certo, ma anche un tentativo di cogliere aspetti culturali profondi. Per Mazzini le due culture musicali principali d’Europa dovevano tendere necessariamente alla sintesi in una musica “europea” presagita nel futuro. A quel momento, la musica di Tartini non era più eseguita nel continente, fatta eccezione per le variazioni didattiche dell’Arte dell’arco o per la sonata in Sol minore Trillo del diavolo (non la sua migliore). Tanto più significativo che quel nostro padre della patria ricordi il nome del grande piranese, unico con Pergolesi e Porpora, come simbolo dei più alti traguardi musicali italiani del secolo trascorso. Cit dal saggio di M. Girardi, Musica strumentale e fortuna degli autori classici nell’editoria veneziana fra Settecento e Ottocento, in La musica strumentale cit., pp. 479-526: 513. 2 24 — 25 Ludwig Van Festival Redazione Le nove #Sinfonie di #Beethoven: un #patrimonio da custodire gelosamente che è parte fondamentale delle nostre #radici e della nostra #identità. #LudwigVanFestival Ines Lanfranchi Thomas, Presidente regionale FAI Veneto 24 giugno 2016, ore 21 Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann 6 luglio 2016, ore 21 Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann Orchestra di Padova e del Veneto Orchestra di Padova e del Veneto Marco Angius Direttore Marco Angius Direttore Programma Programma Ludwig van Beethoven (1770-1827) Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sinfonia n. 1 in do maggiore op. 21 Adagio molto, Allegro con brio Andante cantabile con moto Menuetto (Allegro molto e vivace) Adagio, Allegro molto vivace Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60 Adagio, Allegro vivace Adagio Allegro molto e vivace, Un poco meno allegro Allegro ma non troppo prima esecuzione Vienna, Burgtheater, 2 Aprile 1800 prima esecuzione Vienna, Burgtheater, 5 Marzo 1807 dedica Barone Gottfried van Swieten Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 Allegro con brio Andante con moto Allegro Allegro, Presto prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien, 22 Dicembre 1808 dedica Principe Joseph Max von Lobkowitz e Conte Andreas Razumovsky — Prova generale aperta al pubblico dedica Conte Franz Von Oppersdorf Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale” Allegro ma non troppo Andante molto mosso Allegro Allegro Allegretto prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien, 22 Dicembre 1808 dedica Principe Joseph Max von Lobkowitz e Conte Andreas Razumovsky alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico alle ore 10.30 — Prova generale aperta al pubblico alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico L’OPV e Marco Angius al Teatro Verdi di Padova alle ore 10.30 26 — 27 20 luglio 2016, ore 21 Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann 27 luglio 2016, ore 21 Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann 4 agosto 2016, ore 21 Castello Carrarese Biglietti Orchestra di Padova e del Veneto Orchestra di Padova e del Veneto Orchestra di Padova e del Veneto — Concerti Interi € 10 Marco Angius Direttore Marco Angius Direttore Marco Angius Direttore Ridotti € 7 (abbonati 50a Stagione OPV e under35) Bambini e ragazzi € 3 Coro del Friuli Venezia Giulia Programma Programma Ludwig van Beethoven (1770-1827) Ludwig van Beethoven (1770-1827) (under14) In vendita su www.opvorchestra.it Cristiano Dell'Oste Maestro del coro (solo biglietti interi) e al botteghino di ciascuna sede il giorno del concerto a partire dalle ore 20. Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 Adagio molto, Allegro con brio Larghetto Scherzo, Trio (Allegro) Allegro molto prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien, 5 Aprile 1803 dedica Principe Karl von Lichnowsky Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 Poco sostenuto, Vivace Allegretto Scherzo (Presto), Trio (Assai meno presto) Allegro con brio prima esecuzione Vienna, Sala dell’Università, 8 Dicembre 1813 dedica Conte Moritz von Fries Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93 Allegro vivace e con brio Allegretto scherzando Tempo di menuetto Allegro vivace prima esecuzione Vienna, Burgtheater, 27 Febbraio 1814 Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica” Allegro con brio Marcia funebre (Adagio assai) Scherzo (Allegro vivace), Trio (Alla breve) Finale (Allegro molto) La potenza delle 9 #Sinfonie di #Beethoven ben si accorda con il rinnovato slancio esecutivo di @OpvOrchestra e #Angius #LudwigVanFestival Bruno Bianchi, Direttore Generale Fondazione Antonveneta Programma Ludwig van Beethoven (1770-1827) Biglietto unico € 8 #LudwigVanFestival: con @OpvOrchestra e #Angius in scena il teatro strumentale di #Beethoven Massimo Ongaro, Direttore artistico Teatro Stabile del Veneto Sinfonia n. 9 in re minore op. 123 per soli, coro e orchestra Allegro ma non troppo, un poco maestoso Molto vivace Adagio molto e cantabile, Andante moderato, Adagio Finale: Presto, Recitativo, Allegro assai, Allegro assai vivace alla marcia, Andante maestoso, Allegro energico sempre ben marcato, Allegro ma non tanto, Poco adagio, Prestissimo prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien, 7 Aprile 1805 prima esecuzione dedica dedica Principe Max von Lobkowitz Vienna, Kärntnertortheater, 7 Maggio 1824 Federico Guglielmo III Re di Prussia — Prova generale aperta al pubblico — alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico Prova generale aperta al pubblico alle ore 10.30 alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico alle ore 10.30 Ludwig Van Festival — Prove generali 28 — 29 In vendita al botteghino dell’Orto Botanico il giorno della prova generale dalle ore 9.30. In caso di maltempo i concerti avranno luogo alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico (24 giugno, 6-20-27 luglio) o all’Auditorium Pollini (4 agosto). Le biografie degli artisti e i testi sono disponibili sul sito www.opvorchestra.it progettazione e coordinamento redazionale Alberto Castelli design Bunker illustrazioni Julia Binfield ufficio stampa Alessandra Canella / Studio Pierrepi [email protected] la fondazione opv ringrazia Leonardo Mezzalira Giorgio Pestelli Angelo Foletto Sergio Durante crediti fotografici 5 | 26 Alessandra Lazzarotto © Fondazione OPV 6 © Silvia Lelli 8|9 Massimo Pistore © Università di Padova 18 Antonio Bortolami © Fondazione OPV www.opvorchestra.it