Ludwig Van Festival Le 9 Sinfonie di Beethoven a Padova

Orchestra
di Padova
e del Veneto
Marco Angius
Direttore
Ludwig Van
Festival
Le 9 Sinfonie
di Beethoven
a Padova
Giugno – Agosto 2016
Orchestra
di Padova
e del Veneto
Marco Angius
Direttore
Fondazione
Orchestra di Padova
e del Veneto
Via Marsilio da Padova 19
35139 Padova
T 049 656848 · 656626
[email protected]
www.opvorchestra.it
 facebook.com/opvorchestra
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 instagram.com/opvorchestra
 youtube.com/opvorchestra
In collaborazione e con il contributo di
Ludwig Van
Festival
Le 9 Sinfonie
di Beethoven
a Padova
Giugno – Agosto 2016
2 — 3
Orchestra
Un classico è un libro
che non ha mai finito di dire
quel che ha da dire.
Indice
5
Presentazione
— Vittorio Trolese
6
Beethoven letto da Marco Angius. La drammatica necessità
del comporre
10
intervista — Leonardo Mezzalira
Le Nove Sinfonie di Beethoven
— Giorgio Pestelli
16
Le Nove Sinfonie in disco
con Peter Maag
20
Fra Sette e Ottocento,
fra Tartini e Beethoven
— Angelo Foletto
— Sergio Durante
26
Ludwig Van Festival
— Redazione
Quanto affermava Italo Calvino a proposito dei libri può
essere applicato, e senza bisogno di alcun aggiustamento,
anche alla grande musica.
Un classico in musica ha in realtà un potere ancora più
grande: riuscire a parlare a tutti, evocare suggestioni in
maniera indistinta e senza bisogno di mediazioni, lasciando
ad ogni ascolto un piccolo ‘dono’ che ciascuno di noi –
adulto o bambino, esperto o neofita che sia – può cogliere e
mettere a frutto a proprio modo.
Pensate alle Sinfonie di Beethoven, che dopo più di
due secoli non smettono di conquistare generazioni di
ascoltatori, frequentate assiduamente dal vivo o intercettate
in maniera più o meno casuale, in disco o magari attraverso la pubblicità: chi non conosce
le celebri quattro note di apertura della Quinta, o l’immortale tema dell’Inno alla Gioia
della Nona?
Le 9 Sinfonie hanno sempre rappresentato un punto di riferimento assoluto per la
nostra Orchestra, a partire dalla storica integrale diretta da Peter Maag e immortalata in
una memorabile incisione discografica per l’etichetta ARTS, ancora oggi in catalogo.
A più di 20 anni da quell’impresa, le 9 Sinfonie tornano per la prima volta ad essere
interpretate da un solo direttore d’orchestra: oggi tocca a Marco Angius, alla vigilia della
sua seconda Stagione in qualità di Direttore musicale e artistico di OPV.
Se l’integrale di Maag – che crebbe sotto il segno di Furtwängler – segnò
irreversibilmente il passaggio da orchestra da camera a compagine sinfonica, sono certo
che l’integrale di Angius – il cui sguardo parte dal Novecento – saprà traghettarci oltre
il 50° anniversario della nostra Istituzione (costituita il 22 ottobre 1966), verso un nuovo
modello di interpretazione e, perché no, una nuova idea di classico.
Buon ascolto a tutti!
Vittorio Trolese
Vicepresidente Fondazione OPV
Beethoven letto da Marco Angius
La drammatica
necessità
del comporre
intervista
Leonardo Mezzalira
Da quando è divenuto Direttore musicale
e artistico dell'OPV, Marco Angius ha
iniziato un percorso di rinnovamento
che, nell'ambiente musicale cittadino,
risulta in una sorta di piccolo ciclone.
L'atteggiamento che sta alla base di
questi cambiamenti non dovrebbe, in
realtà, risultare rivoluzionario: consiste in
differenziazione dei repertori, attenzione
alla musica contemporanea, messa in rete
del lavoro dell'OPV con quello delle altre
realtà musicali italiane, cura nello studio
dei brani. Insomma, ciò che ogni orchestra
dovrebbe fare: ma, poiché è inconsueto, fa
notizia.
L’intervista che segue nasce come
riflessione intorno all'esecuzione integrale
delle sinfonie di Beethoven proposta da
Angius, con l’OPV, nell’ambito del festival
Ludwig Van. Il festival prende il nome da
un lavoro pungente e dissacratorio del
compositore contemporaneo Mauricio
Kagel, divenuto anche un film in cui
si metteva in luce la trasformazione di
Beethoven in un’icona culturale, nel
prototipo del “genio”. Dal dialogo, che è
presto scivolato su altri temi che vanno dal
senso della storia della musica in generale
alle articolazioni del ruolo dell’interprete,
emerge chiaramente uno dei motivi
per cui Angius riesce a proporre questi
cambiamenti e a portarli a buon fine. è
il suo impulso inesauribile a mettersi in
gioco, a mettere in discussione sé e le
idee preconcette che trova nel mondo,
e ad esplorare con entusiasmo le linee
di ricerca che gli sembrano più fertili,
ancorché meno battute.
creatività contemporanea, quello della
sperimentazione che proviene dalle
avanguardie post-weberniane. Il passato
stesso mi interessa in quanto osservato
dall’ottica del presente. In verità, il passato
è irraggiungibile: non è certo la volontà
testamentaria del compositore, fissata
sulla partitura, a restituircene l’autenticità,
come credono gli adepti della filologia
ortodossa. Tra il segno/partitura e il
suono/gesto corre un abisso incolmabile.
L’Autore si distacca definitivamente
dalla sua opera compiendola. L’opera vive
nell’aria e cambia a seconda dell’acustica,
dei musicisti, della serata: è incompiuta
per definizione e si realizza solo
parzialmente durante l’atto interpretativo.
La musica è immanente, avviene negli
attimi concatenati della performance,
vive negli sguardi tra i musicisti, nella
concentrazione del pubblico, nei respiri,
nella tensione che s’instaura o s’allenta.
La scelta di proporre una lettura
integrale delle Sinfonie di Beethoven, che
non veniva affidata a un unico direttore
dai tempi di Peter Maag, mi è sembrato un
modo di ricollegarmi al repertorio elettivo
dell’OPV e di dialogare direttamente col
pubblico. Mentre in Stagione ho proposto
all’Orchestra di affrontare lavori nuovi
e inconsueti per la loro storia, ora sarà
proprio l’Orchestra, con Beethoven, a
condurmi nel proprio repertorio.
Ha scritto che Beethoven oggi è
“semplicemente necessario”. Si tratta di una
necessità estetica, legata al ruolo che ha avuto
nello sviluppo della musica, o anche umana,
esistenziale, filosofica?
Da quando è il Direttore musicale e artistico
dell’OPV, lei fra l’altro ha portato la compagine
a un maggior contatto con la musica
contemporanea. Che ruolo ha, nel nuovo corso
da lei inaugurato, questo studio estensivo su
Beethoven? Risponde, oltre che a un bisogno
del pubblico, anche a un bisogno suo e
dell’orchestra?
È vero, ho sempre seguito un
percorso di esplorazione della
6 — 7
Questa frase è dettata innanzitutto
da una profonda esigenza personale e
artistica, quella di confrontarmi in modo
continuativo con un compositore che è
la quintessenza stessa della modernità.
Beethoven è un ciclone che è riuscito
a condurre la musica fuori dei propri
confini di genere facendone un fenomeno
universale, assoluto, fuori della storia.
Mi ha colpito leggere di come l’autografo
della fuga doppia della Nona, completato
nel febbraio 1824, sia stato smembrato
dopo la Seconda Guerra Mondiale in
due tronconi, conservati a est e ovest del
muro di Berlino, prima di essere riunito
definitivamente alla Staatsbibliothek in
più faldoni. Una specie di reliquia sacra,
come è comprensibile fosse per il popolo
tedesco, e non solo.
in un’atmosfera percorsa da segnali
ornitologici stilizzati che anticipano i
richiami della Prima di Mahler. E si pensi
alla nuova concezione degli Scherzi in
dialettica con i Trii annessi: anche qui
molti ascoltatori arriveranno al concerto con
Marco Angius dirige
l’OPV all’Orto Botanico
di Padova.
La musica di Beethoven si muove strettamente
Soprattutto, tra le varie innovazioni
e rivoluzioni della sua musica, c’è quella
d’introdurre il concetto di urgenza,
di necessità del comporre come
fenomeno esistenziale,
drammatico e irreversibile.
all’interno del sistema tonale codificato nel
secolo precedente: i suoi “temi”, molto spesso,
sono incisi di carattere prevalentemente
ritmico che combinano gli elementi costitutivi
stessi del linguaggio tonale. In cosa Beethoven
forza i limiti del linguaggio ereditato dal
precedente classicismo?
Direi in tutto e costantemente.
Beethoven è un anti-classicista convinto:
usa il lessico del classicismo, ma nella
sintassi la sua preferenza va da subito
a procedimenti neo-barocchi come la
scrittura contrappuntistica e la fuga,
e con il suo ultimo stile, com’è stato
notato, fa esplodere il linguaggio classico
anticipando la Seconda Scuola di Vienna.
Soprattutto, tra le varie innovazioni
e rivoluzioni della sua musica, c’è quella
d’introdurre il concetto di urgenza, di
necessità del comporre come fenomeno
esistenziale, drammatico e irreversibile.
Il rovello del singolo artista si trasmette
all’intera società e da questa a tutto il
genere umano, alla natura, all’universo
circostante. Con Beethoven la musica
non parla più di se stessa ma abbraccia il
creato. Anche in questo senso Beethoven è
un anti-classico.
Le sinfonie di Beethoven sono il trionfo della
forma-sonata: una sorta di ciclo dialettico
basato su una coppia di temi di carattere
diverso che vengono contrapposti e in qualche
modo ricomposti. È d’accordo?
Direi piuttosto che le Sinfonie, come
altri rami della produzione beethoveniana,
rappresentano il tramonto della forma
classica. Si pensi al finale aperto della
scena al ruscello nella Pastorale in cui, di
fatto, il brano non finisce ma si disperde
Beethoven va oltre la forma-sonata per
delineare una forma a finestre, come l’ha
felicemente definita Sciarrino nel suo
volume Le figure della musica. In essa la
tensione tra micro e macro-forma viene
fatta saltare da un bombardamento a
catena di incisi ritmici in costante bilico
tra arsi e tesi, che prefigura un montaggio
compositivo da epoca del computer. Lo
stesso che si può individuare anche nel
finale della Quinta Sinfonia (quando,
con una brusca frenata, riappare il
precedente Scherzo) e soprattutto in quello
della Nona, in cui la sequenza genetica
dell’intera sinfonia viene ripercorsa a
balzi vertiginosi. A Beethoven interessa
esplorare il modo in cui un conflitto di
principi compositivi possa far scaturire
un’innovazione concettuale della forma;
da questa angolazione, il vero erede di
Beethoven nel Novecento è Stockhausen.
#Beethoven9 di
@OpvOrchestra:
la migliore
“consacrazione della
casa” per il Castello
dei #Carraresi, luogo
millenario finalmente
restituito a #Padova
#LudwigVanFestival

Matteo Cavatton,
Assessore alla Cultura
del Comune di Padova
Presentare in concerto brani molto noti, come
le sinfonie di Beethoven, può essere rischioso:
Beethoven letto da Marco Angius. La drammatica necessità del comporre
8 — 9
delle idee già formate di quello che li aspetta.
È possibile che il concerto venga investito di
un carattere quasi rituale. Ci sarà invece una
dimensione di novità?
In realtà dirigere Beethoven, per me,
richiede lo stesso approccio di quando
presento pezzi in prima esecuzione
assoluta. La mia lettura si concentrerà su
due aspetti principali: una propensione
per l’assetto cameristico degli organici,
e alcune scelte di tempi che, a catena,
influenzano il fraseggio, il suono e tutti
i parametri del far musica. Dal mio
punto di vista, l’aggiunta dei metronomi
operata da Beethoven successivamente
alla composizione delle sinfonie è senza
dubbio indicativa, ma non esclusiva.
Noi guardiamo a Beethoven dopo il
passaggio della poetica stravinskiana e
delle avanguardie, in cui il tempo viene
cristallizzato a fini strutturali; ma nella
prassi musicale non c’è mai una battuta
veramente uguale all’altra a causa di
un’infinità di variabili localizzate. Esiste
una netta contrapposizione tra una
concezione astratta del tempo, concepito
come entità esterna alla musica e scandito
da un tactus costante e immutabile
sancito dall’indicazione del metronomo
(Stravinsky), e una concezione del tempo
secondo cui questo si dipana a partire dal
suono, dall’intervallo necessario perché un
suono viva o scompaia (ipoteticamente,
Wagner e Mahler).
In fin dei conti, il lavoro dell’interprete
è questo: carpire il senso latente e la logica
del comporre insite in un’opera attraverso
il sistema semiotico che la rappresenta,
poi scegliere ascoltando e procedere per
esperienza e intuito. Il resto lo giudicherà
il nostro pubblico.
Ai discorsi sulla sazietà per il già noto,
il già acquisito, che sempre si sentono
fare ogni volta che le Nove Sinfonie di
Beethoven si ripresentano in blocco
alle orecchie piú sapute, non resta che
rispondere con le parole di Gide (Le traité
du Narcisse): «Tutte le cose son state già
dette; ma siccome nessuno ascolta, bisogna
sempre ricominciare da capo»
Monumento piú perenne di qualunque
metallo, da circa due secoli le Nove
Conviene quindi ascoltare
e riascoltare umilmente
le Nove Sinfonie:
ripartono sempre da capo,
perché sempre toccano la nostra
coscienza in qualcosa di profondo,
fuori dal variare dei tempi
e dei gusti.
Le Nove Sinfonie di
Beethoven
Giorgio Pestelli
Ludwig van
Beethoven nel
ritratto (1820) di
Joseph Karl Stieler
(1781-1858).
Il compositore tiene
in mano l’autografo
della Missa Solemnis
op. 123.
Bonn,
Beethoven-Haus
a destra
R. Schmidt
(1894-1980), Eroica,
Medaglia in bronzo,
fusione, 1946 (opera
ispirata al dipinto
di Franz von Stuck
Amazzone ferita,
1904).
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
Sinfonie sono presenti alla mente e
al cuore di tutte le generazioni
nella singolarità delle loro
fisionomie: presenti
come individui precisi,
compagni di strada,
proverbi dell’anima; ma il
modo in cui pervengono
a rappresentarsi come tali,
ogni volta che si considerino
da capo, resta misterioso come
un evento naturale, terribilmente
semplice e tuttavia insondabile. Conviene
quindi ascoltare e riascoltare umilmente le
Nove Sinfonie: ripartono sempre da capo,
perché sempre toccano la nostra coscienza
in qualcosa di profondo, fuori dal variare
dei tempi e dei gusti.
Salvo la Nona Sinfonia, tutte le altre
otto sono venute alla luce nello spazio
fra il 1800 e il 1812: rispetto ai valori
messi in gioco e all’influenza esercitata,
10 — 11
si tratta quindi di un corso creativo
veloce, rapinoso, quasi incredibile per
le forze di un solo artista. Storicamente
muovono dalla perfezione delle ultime
sinfonie di Mozart e di Haydn, in sostanza
ignorando il pigro districarsi della sinfonia
precedente dal concerto e dalla serenata:
arte quindi che tende all’immediato
presente, che assume una sintassi e uno
stile già compiuti e a portata di mano. Per
contro, il contraccolpo sulle successive
stagioni fu pervasivo e condizionante; in
qualche modo le sinfonie ‘romantiche’
di Schubert, Weber, Mendelssohn e
Schumann, quasi aggirando il modello,
prendono le mosse da prima di Beethoven,
e il confronto diventa diretto, tanti
anni dopo, solo con Brahms; l’eredità
di Beethoven, intendendo specialmente
delle Sinfonie di Beethoven, costituisce un
laborioso capitolo della storia musicale
dell’Ottocento; un capitolo pieno di
passioni e di polemiche, in cui Wagner,
Berlioz, Brahms, Bruckner, Čajkovskij,
per non citare che i massimi, scriveranno
le loro deduzioni, stenderanno i loro
paragrafi e le loro chiose.
Intanto le Nove Sinfonie restano là:
separate dai flutti della storia, da cui
tuttavia traggono alimento e in
cui sempre si addentrano.
Tutti siamo d’accordo
che considerazioni solo
formali, analitiche,
che pure hanno
riempito volumi e sono
importantissime a stringere
obiettivi specifici, non
saprebbero rendere giustizia
all’intera portata dell’edificio;
Mozart e Haydn, in quanto a maestria
combinatoria e sottigliezze formali,
avevano già esaurito il campo; il fattore
nuovo introdottovi da Beethoven è la
capacità di saturare di vita la sintassi
sinfonica, di attirare dentro la sfera
della musica concetti, idee e sentimenti
che non le appartengono direttamente,
come la Storia, o la Natura, soggetti che
lungi dal limitare l’invenzione diventano
moltiplicatori di energia creativa. La
teoria della ‘musica pura’, idoleggiata
dai primi romantici come una metafisica
dei suoni, non basta a Beethoven, che
sempre, ma nelle Sinfonie in modo tutto
particolare, vuole essere eloquente e
rappresentare situazioni e caratteri
drammaticamente precisi; e se usiamo
il termine ‘drammatico’ nelle Sinfonie
non solo perché apre prospettive e pone
interrogativi, ma perché dopo aver
posto gli interrogativi fornisce anche le
soluzioni: alla sua arte, pur cosí radicata
nel suo tempo, il pubblico di ogni età
chiede appunto di realizzare ogni volta le
proprie aspirazioni, tensioni e incertezze.
Ma il tema ‘Beethoven oggi’ presenta
forse qualche componente particolare.
Un #festival dall’alto
profilo #scientifico
e #culturale,
che accomuna
@OpvOrchestra e
@UniPadova
nell’estate all’
@OrtoBotanicoPd
#LudwigVanFestival

Vienna, K.K.
Hoftheater, nach
dem Kærnthnerthor,
litografia a colori
(1820 circa). In questo
famoso teatro, oggi
non piú esistente,
venne eseguita per la
prima volta la Nona
Sinfonia.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
a destra
H. Delacroix, Danza
antica ispirata alla
Settima Sinfonia,
Cartolina (inizio ‘900).
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
Non si scopre nulla di nuovo dicendo che
il temperamento moderno è lontano da
Beethoven: basta pensare come sia raro
imbattersi in interpreti beethoveniani
intimamente solidali con quel mondo
espressivo: esecuzioni tecnicamente
perfette certo, rifinite, piene di buone
intenzioni; tuttavia, rispetto a un
modello ideale che ci portiamo dentro
Annalisa Oboe,
Prorettore alle
Relazioni culturali
Università degli Studi
di Padova
di Beethoven, è perché una dialettica di
opposti dà luogo a una sorta di azione,
e perciò a un ‘dramma’; di cui però
i personaggi sono soltanto dei ‘moti
affettivi’, che non potremmo definire a
parole se non per metafore; di qui deriva
quell’ansia di saltare il fosso della ‘musica
pura’ che Beethoven ha provocato in
misura sconosciuta a qualunque musicista
del passato; sempre si cerca oltre le note,
e anche se non si trova che musica, non
si può concepire di non cercare ancora.
Le Nove Sinfonie sono sempre pronte a
ricominciare, «perché nessuno ascolta»,
o meglio perché tutti ci accorgiamo che
a ogni ascolto sono cambiate e ci dicono
sempre qualcosa di nuovo.
A distanza di due secoli, la presenza
e l’incidenza di Beethoven nel mondo
moderno, in una parola la sua ‘attualità’,
non si esaurisce nell’ovvia constatazione
del suo valore universale; come tutti i
massimi creatori, Beethoven è attuale
Le Nove Sinfonie di Beethoven
R.A. Höger
(1876-1928),
Beethoven passeggia
lungo il ruscello dove
compose la Sesta
Sinfonia (Heiligenstadt,
Beethovengang), olio
su tela (fine ‘800).
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
a destra
Frontespizio della
Sinfonia n. 5 in
un’edizione d’epoca
Breitkopf&Härtel.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
Beethoven è attuale
non solo perché apre prospettive
e pone interrogativi, ma perché
dopo aver posti gli interrogativi
fornisce anche le soluzioni.
Eppure, la società di massa,
dei consumi, della tecnologia
è assetata di musica di Beethoven
tale e quale, se non di piú,
di quella dell’età precedente.
12 — 13
manca sempre qualcosa, qualcosa di
temperamentale che non si trova nelle
parti, ma riguarda il legame spirituale
dell’insieme. E in realtà, dov’è nel mondo
contemporaneo quella eticità che è
tanta parte del carattere beethoveniano?
Quali sono i valori della vita d’oggi che
possono aderire a quelli di Beethoven,
anzi dov’è, oggi, la stessa nozione di
valore? Dopo il vangelo dell’arte moderna:
«prendi l’eloquenza e tirale il collo», ogni
atteggiamento eroico o titanico non può
che suonare stilizzato; la lotta contro
il destino risulta chimerica nell’era del
progresso tecnico e scientifico; l’ecologia
ha sterilizzato quella Natura in cui
Beethoven s’immergeva, Prometeo non
ha piú nulla da offrire all’uomo della
società dei consumi e la fratellanza
universale cantata nella Nona Sinfonia
ha imboccato la via dei grandi viaggi
organizzati. Eppure, la società di massa,
dei consumi, della tecnologia è assetata di
musica di Beethoven tale e quale, se non
di piú, di quella dell’età precedente: basta
vedere la mobilitazione del pubblico al
solo apparire del nome di Beethoven in
cartellone; e tutto ciò perché quella musica
prospetta un insieme di valori, un mondo
che qualcuno ha conosciuto e fermato in
forme salde e reali, che sono lí presenti
e tangibili, eppure sono infinitamente
distanti per la nostra inadeguatezza a
quel mondo e a quei valori. Certo, l’uomo
moderno preferirà accompagnarsi a
Mahler, Kafka, Proust, Alban Berg e Musil,
e chiamandoli ‘moderni’ e parlando di
‘crisi’ cercherà di annetterli alla nostra
sfera del moderno, di farli partecipi della
nostra sorte e di capire e curare tramite
loro anche le nostre crisi; e lodandoli
l’uomo moderno loderà un po’ anche
se stesso. Con Beethoven non corriamo
di questi rischi; le Nove Sinfonie sono
opere ormai troppo lontane dalla nostra
condizione quotidiana: per questo le
possiamo esaltare con la coscienza
tranquilla, ammirandole nella loro vergine
distanza; per questo le continuiamo a
rincorrere: per riportare nella nostra vita
quei valori che non ci sono piú e di cui
tuttavia sentiamo sempre di piú il bisogno.
K.E. Hirt, (1866-1963),
cartolina (inizio ‘900),
Terza Sinfonia. Eroica.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
sotto
A. Paunzen
(1890-1940), Quinta
Sinfonia, Allegoria,
acquaforte (1918).
È una delle opere
grafiche ispirate dalla
musica di Beethoven
piú rilevanti del '900,
tratta dalla cartella
Phantasien Über
J. Thorak,
(1889-1952),
Beethoven e la Quinta
Sinfonia. Placca in
bronzo, fusione, 1930
circa.
Nell’indistinto turbinio
di fondo si scorgono
le note della Quinta
Sinfonia sparse sul
capo (e nella mente)
del compositore.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
La Biblioteca Beethoveniana
di Muggia
Nel 1967, in un ristorante di Trieste, un giovane
«Pensiamo che queste testimonianze, che
avventore venne colpito da una musica che
in nessun museo è possibile vedere, nei loro
proveniva dal fondo del locale, dove un vecchio
molteplici percorsi tra passato e presente
pianista suonava per i clienti. La musica era di
contribuiranno a suscitare, in un’epoca
Ludwig van Beethoven e per Sergio Carrino –
sempre piú virtuale, sensazioni di interesse,
questo il nome del giovane – fu un autentico
apprezzamento ed entusiasmo non solo per
il grande Artista di Bonn e per la sua musica
ma anche per tutte le altre forme d’arte»,
commentano i Carrino. «Si riscopre cosí il
fascino del libro, degli oggetti artistici, delle
medaglie, degli ex libris, il mondo delle
cartoline e delle figurine… ne scaturisce anche
a destra
Incipit della
Sinfonia n. 5 in
un’edizione d’epoca
Breitkopf&Härtel.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
colpo di fulmine. Ne seguirono dischi, concerti,
e nel 1971 il primo libro sul compositore (la
biografia di Giovanni Carli Ballola).
Alcuni anni dopo, un’amica gli regalò la
bella placchetta in bronzo del primo Novecento
firmata dal grande medaglista Stiasny
raffigurante Beethoven. Iniziò cosí la collezione
che oggi, grazie all’aiuto della moglie Giuliana
Beethoven Symphonien
con 6 incisioni (Vienna,
Lanyí, 1918). Il tragico
confronto tra Uomo e
Fato è rappresentato
dalla gigantesca mano
del Destino che batte
le fatidiche quattro
note iniziali della
Sinfonia contro un
imponente e altissimo
campanile di una
cattedrale gotica.
Muggia, Biblioteca
Beethoveniana
Le Nove Sinfonie di Beethoven
e del figlio Ludovico, conta oltre 9.000 pezzi
organizzati nelle 12 collezioni della Biblioteca
Beethoveniana di Muggia.
un’inedita e sorprendente visione globale della
Nell’atmosfera unica e coinvolgente di
personalità artistica di Beethoven e del mito
Casa Carrino si possono ammirare un gran
del suo genio ponendo cosí una base diversa
numero di busti, dipinti, grafica d’arte, edizioni,
per la ricerca, lo studio, la conoscenza del
sculture, medaglie, ex-libris, cartoline, figurine,
Compositore.»
oggetti d’arte, francobolli, documenti, curiosità
storiche, senza tralasciare le réclame e il kitsch.
14 — 15
www.bibliotecabeethoveniana.it
Le Nove Sinfonie in disco con
Quando Peter Maag, a metà degli anni
novanta decise di registrare con l’OPV
l’integrale sinfonica beethoveniana dopo
averla piú volte proposta dal vivo, la
disponibilità fonografica specifica era
già un monumento della discografia. Dal
1927, anno della prima serie completa,
con diversi complessi ma con un direttore
unico (Felix Weingartner), al 1995 non
meno di un’ottantina di maestri – alcuni
già piú d’una volta – si erano confrontati
Peter Maag
Angelo Foletto
Nel 1996 era la prima volta
che un’orchestra italiana
affrontava un’impresa del genere
e resta ancora tra le poche
che l’hanno intrapresa.
Peter Maag
Archivio Famiglia
Maag
con il corpus sinfonico per antonomasia.
Oggi, a vent’anni, la contabilità è quasi
raddoppiata. Nel 1996 era la prima volta
che un’orchestra italiana affrontava
un’impresa del genere: era la seconda
orchestra da camera con strumenti
moderni che lo faceva – dopo la Mahler
Chamber Orchestra con Nikolaus
Harnoncourt, qualche anno prima – e
resta ancora tra le poche che l'hanno
intrapresa. Tanto per far capire di che
decenni sinfonico-beethoveniani parliamo,
a metà degli anni novanta Herbert von
Karajan aveva già licenziato la sua quarta
integrale (oltre alla versione video con
le regia di Henri Clouzot degli anni
sessanta), Leonard Bernstein, George Solti,
Bernard Haitink e Claudio Abbado (quasi)
la seconda; e gli apostoli delle esecuzioni
con strumenti ‘antichi’ e con piccoli
ensemble (Christopher Hogwood e John
Eliot Gardiner, Roger Norrington e Frans
Brüggen eccetera) stavano occupando
spazi critici e commerciali sempre piú
consistenti. In Italia s’era fermato a
tre quarti il ciclo programmato con la
16 — 17
Filarmonica della Scala e Carlo Maria
Giulini, lasciando la primogenitura di un
progetto completo italiano sulle “Nove”
per definizione ai complessi veneti di cui
Maag era direttore musicale da piú di un
decennio. Il primato è rimasto ineguagliato
per vent’anni: fino all’integrale del cugini
altoatesini della Haydn di Bolzano e
Trento (2008).
La coraggiosa impresa della casa
discografica ARTS e la sfida bell’e
buona dei musicisti – le sinfonie di
Beethoven sono una prova iniziatica e
una sorta di consacrazione artistica per
qualsiasi orchestra (forse piú ancora
che per il direttore) – in realtà era un
azzardo non avventato. Lo confortavano
preventivamente l’aristocratica e
solidissima storia beethoveniana di Maag
– cresciuto musicalmente sotto l’ala
di Wilhelm Furtwängler, cioè il primo
interprete moderno delle Sinfonie – e la
tradizione nazionale abbastanza diffusa in
Italia, stante la scarsa presenza di grandi
orchestre sinfoniche stabili, di eseguire
Beethoven in formazione ridotta. Una
terza concomitanza fu la pubblicazione in
quel decennio dell’edizione critica delle
Sinfonie curata da Jonathan Del Mar
per l’editore Bärenreiter che costrinse
gli interpreti non pigri a rivedere molte
delle proprie idee sull’esecuzione
beethoveniana: Abbado fu il primo
direttore per cosí dire ‘tradizionale’ a
dissociarsi da se stesso, nella seconda
integrale con i Berliner di quegli anni.
A Maag il nuovo testo ‘critico’, che in
realtà riapriva un’antica e vana questione
(Beeethoven è classico o romantico?),
offrí ulteriori conferme filologiche a un
disegno già maturo. Cioè a una visione
critica e stilistica, prima che esecutiva,
dell’universo sinfonico beethoveniano
come sviluppo di un processo evolutivo
metodico, di volta in volta estremizzato nei
parametri (tematico, ritmico, sonatistico,
armonico, formale, strumentale e via
dicendo) ma pur sempre ‘classici’. Un
Beethoven sinfonico piú storicizzato:
temerario e sperimentatore ma pur
sempre figlio dell’illuminismo, sistematico
rivoluzionario piú che sovvertitore
radicale di un sistema musicale al quale
comunque era riconoscente e sentiva
ancora di potersi affidare.
Affrontare Beethoven con un’orchestra
da camera, peraltro di lunga assiduità
e rassicuranti esiti col repertorio setteottocentesco, fu probabilmente l’atto
che a Maag occorreva per esorcizzare
la figura del maestro Furtwängler, di cui
aveva seguito da vicino il lavoro proprio
sulla Sinfonie. L’organico raccolto, la
rinuncia al tradizione raddoppio dei legni,
l’adozione di un criterio esecutivo d’istinto
(e per la lunga e mirata storia dell’OPV)
che Maag ebbe a ventura di crescere tra
la modernità romantica di Furtwängler
la modernità novecentesca di Ernest
Ansermet, forse il primo direttore che
affrontò con adeguati sistemi critici
l’avanguardia a lui contemporanea: con
capacità di sintesi e di razionalità analitica
tipicamente francese, costruendo uno
strumento-orchestra ancor oggi esemplare.
Logica stilistica, pratica dialettica
quotidianamente esercitata sui testi,
Maag le materializzano in un Beethoven
fatto non di dettagli e di respiro sinfonico
ma che dalla cura e dal bilanciamento
dei dettagli – non dogmaticamente usati
come rivelazione del tutto, né innalzati a
Peter Maag dirige
l’OPV nel Concerto di
Capodanno del 2000.
@OpvOrchestra
e Marco #Angius
ambasciatori culturali
della
@RegioneVeneto sotto
il segno di #Beethoven
#LudwigVanFestival

Cristiano Corazzari,
Assessore alla Cultura
Regione del Veneto
riconoscibile e carsicamente richiamata
al di là delle ovvie distinzioni di carattere
dei singoli movimenti. E nel disegno
macrostrutturale pare ritrovare l’anima
d’autore che si trasmette, e si rigenera, da
una Sinfonia all’altra. Come dire che certi
tempi, serrati o stupendamente distesi
(l’Adagio della Nona è una ‘cantabile’
perfettamente gestito, ad esempio: avere
pochi violini ma che suonano con calibrata
espansività, e senza ubbie filologiche è
un privilegio che Maag sfrutta al meglio;
il recitativo dell’ultimo movimento è un
altro modello), obbediscono a una logica e
a un equilibrio ‘retorico’ che si riconosce
fin dalle prime Sinfonie. Emblematico del
peso della tradizione mediato dall’urgenza
in un’esecuzione ispirata dalla perspicacia
della lettura e poi abbandonata agli umori
e agli affetti, è la Quinta. il celebre attacco
è corto e snello ma l’evidente appoggio
sul ‘battere’ bilancia l’agile frugalità
Di corsa con Ludwig
“Allegro con moto” è l’originale playlist ideata
appositamente per chi corre, che OPV rinnova
ogni anno in occasione della Maratona di
Padova: una selezione di alcuni tra i più
famosi capolavori del repertorio classico,
tratta dagli archivi sonori dell’orchestra
e scaricabile gratuitamente dall’account
SoundCloud opvorchestra.
portato all’ascoltare, e ascoltarsi, prima
ancora del suonare bene, corrispondeva
all’indole caratteristica di un direttore
cosí attento al valore del far musica
insieme. A ciò si può aggiungere un
elemento squisitamente personale: le
circostanze culturali formative familiari
e il non comune tirocinio professionale
del maestro svizzero. Analizzando un
episodio cosí sfacciatamente riepilogativo,
e (involontariamente) autodimostrativo
del proprio tragitto interpretativo come
il confronto ordinato con le Sinfonie di
Beethoven, è impossibile dimenticare
Le Nove Sinfonie in disco con Peter Maag
virtuosistico ornamento orchestrale fine a
se stesso o isolato – desume una profonda
ragione d’essere sinfonica: rivelatori, in
questo senso, i due movimenti estremi
della Nona che suonano coerenti, anzi
consequenziali, anche nella loro peculiare
eterogeneità. Colpisce ancora la facilità
– apparentemente istintiva ma frutto di
consumata perizia poetica e stilistica –
con cui Maag conferí a ogni partitura uno
‘tinta’ sinfonica specifica (anche con la
scelta metronomica, vedi l’avviamento
della Pastorale, o di tono espressivo,
come nell’introduzione della Quarta);
In occasione del “Ludwig Van Festival”, OPV
ha confezionato una compilation speciale a
partire dalla storica integrale delle 9 Sinfonie
di Beethoven, eseguita e registrata negli anni
novanta sotto la direzione di Peter Maag.
Grazie alla collaborazione con l’etichetta
ARTS, che ancora oggi pubblica il cofanetto,
in corrispondenza dei 5 concerti nei quali
verrà presentata la nuova integrale delle
Sinfonie, sarà possibile ascoltare o scaricare
gratuitamente una selezione di movimenti
di quella incisione dal proprio tablet o
smartphone.
18 — 19
dello scatto iniziale. E cosí è per tutto il
movimento: si alternano allusioni alla
monumentalità storicizzata e verticale
del ‘motto’ ma il progetto interpretativo è
orizzontalizzato, sospinto sempre avanti
verso la risoluzione del movimento stesso;
e di lí verso il precipitante e clamoroso
finale. In generale, queste Nove sono
dotate di freschezza intatta. Intelligenti,
trasparenti eppure dense, lievi ma con
gli spigoli costruttivi al punto giusto,
apollinee ma con scatti dioniasici (come
nella vertiginosa, quasi rabbiosa, cavalcata
conclusiva della Settima) ma anche con
vivacità posthaydniana in altri finali, in
cui pare di vedere brillare il caratteristico
sorriso sornione e saggio, elficamente
birichino e severo, di Peter Maag.
Fra Sette e Ottocento, fra
Il 30 luglio del 1770 entrava in una torrida
Padova il musicografo inglese Charles
Burney, in viaggio per documentare lo
stato attuale della musica in Europa. Ne
sarebbero uscite delle memorie di viaggio
rimaste famose. Annotava in quella data
che «in questi ultimi anni il soggiorno
del celebre compositore e violinista
Giuseppe Tartini ha reso questa città
non meno famosa che nell’antichità per
essere stata il luogo natale del grande
Tartini
e Beethoven
Sergio Durante
Mentre Tartini rappresenta una delle
più alte espressioni della musica
strumentale settecentesca nelle forme
del concerto solistico e della sonata,
con Beethoven viene portata
ad un nuovo vertice la forma sinfonica
ed il suo strumento principale,
l’orchestra moderna.
A. Tosini, Le loggette
settentrionali dalla
«strada così-detta
Turchia»
[Stabilimento
Pedrocchi].
Padova, Museo Civico
storico Tito Livio». Tartini era morto nel
febbraio precedente e l’inglese si dovette
limitare nel suo pellegrinaggio musicale
a visitarne la sepoltura (nella chiesa di S.
Caterina d’Alessandria) e a raccogliere
testimonianze dagli amici; ma la sua
narrazione restituisce il senso della fine
di un’epoca in cui la città era divenuta un
centro di interesse musicale continentale.
Intanto, in altra parte d’Europa, Maria
Magdalena Keverich, sposa ventunenne
di Johann van Beethoven stava portando
avanti la sua seconda gravidanza, dopo
aver perso l’anno prima un bimbo di nome
Ludwig Maria al suo sesto giorno di vita:
questa sarebbe andata a miglior fine con
la nascita di un altro Ludwig, il nostro,
battezzato il 17 dicembre dello stesso anno.
Una morte e una nascita che segnano
due epoche molto diverse, e non solo dal
punto di vista musicale. Mentre Tartini
rappresenta una delle più alte espressioni
20 — 21
della musica strumentale settecentesca
nelle forme del concerto solistico e della
sonata, con Beethoven viene portata ad un
nuovo vertice la forma sinfonica ed il suo
strumento principale, l’orchestra moderna.
Mentre in Tartini l’espressione
musicale tende all’imitazione di quella
letteraria (sono noti i ‘motti’ poetici
coi quali intestava i suoi manoscritti
di composizione), si afferma con la
generazione a cavallo fra i due secoli
l’idea che l’arte dei suoni abbia una sua
completa autonomia e superi addirittura
la letteratura nella capacità di attingere
alla sfera di ciò che è indicibile con i soli
mezzi verbali. Due mondi ben lontani fra
loro anche nel rapporto del compositore
con la propria opera, se si considera che
mentre Tartini scrisse circa 140 concerti
per il proprio strumento, Beethoven si
limitò a 5 per il suo pianoforte; il che
segnala un passaggio epocale da un
concetto primariamente quantitativo del
lusso (e la musica, prima dell’avvento della
riproduzione tecnica, è indubitabilmente
un articolo di lusso) a quello qualitativo.
è singolare che lo stesso Burney sia
autore, 34 anni dopo la visita a Padova, di
un commento sul musicista di Bonn che
fa simbolicamente da ponte fra le due
epoche: «Baythoven (sic), un discepolo
d Mozart, sta ora conquistandosi una
così rapida notorietà che non si rischia
molto pronosticando che, se vivrà, sarà
il più grande musicista di questo secolo,
così come Haydn e Mozart lo sono stati
sullo scorcio di quello passato. Si dice che
sia giovane; eppure scrive con la libertà
e l’audacia che derivano da una lunga
esperienza, e con una ricchezza inventiva
che lascia supporre risorse inesauribili».
Una previsione che si sarebbe
avverata oltre le aspettative, in quanto
con Beethoven viene in luce non
solo una produzione musicale di
straordinario valore, ma l’idea stessa
della monumentalità autoriale, del genio
musicale romantico. Una rappresentazione
che ha avuto effetti duraturi non solo
rispetto a Beethoven ma in generale, nel
modo stesso di raccontare la Storia della
musica in Occidente. In pratica, ancora
oggi e a dispetto dei tempi cambiati, la
storia è immaginata prevalentemente
come una lunga processione di personaggi
‘geniali’ che passano il testimone del
progresso musicale di generazione in
generazione. Questa rappresentazione,
non interamente falsa ma troppo semplice
per essere vera, è sopravvissuta ben oltre
la fine del Romanticismo eroico che
l’aveva generata, e prospera ancora oggi
nell’ambito della musica commerciale di
grande distribuzione con la messa a punto
‘scientifica’ di personaggi-feticcio, sempre
più grandi del vero (si chiama marketing).
Se la grandezza si misura anche con
l’effetto nel tempo, non c’è dubbio che
Tartini e Beethoven abbiano lasciato
un segno permanente (almeno quanto
la tradizione della musica d’arte), ma la
Storia può essere raccontata anche in
termini diversi e non meno interessanti.
Per esempio, come è cambiato il modo di
concepire la musica nei quarant’anni che
separano la morte di Tartini dall’affermarsi
– non incontrastato al suo tempo, come
si vedrà più sotto – di Beethoven? E in
che modo questi cambiamenti toccarono
la Repubblica Veneta, di cui Tartini
Francesco I d’Asburgo
Lorena, 1 lira, Milano,
1822.
Padova, Musei Civici,
Museo Bottacin,
inv. 281a
non avrebbe potuto immaginare la fine
imminente ma che nel 1827 obbediva
allo stesso sovrano di Beethoven? La
circostanza più evidente è che Venezia e il
suo territorio passarono dalla condizione
di centro a quello di periferia del mondo
musicale, con tutte le implicazioni di
ordine economico e culturale che il
tormentato periodo napoleonico portò
con sé. Se ai tempi di Tartini accorrevano
a Padova allievi da tutta Europa, nel primo
Ottocento i musicisti locali cercavano
modelli in altre direzioni: soprattutto
Vienna, la capitale. La grande tradizione
strumentale italiana che aveva primeggiato
da Vivaldi a Tartini esaurì la sua funzione
storica così come declinò la forza
economica delle istituzioni di riferimento:
i grandi santuari come quello antoniano
e i conservatori, che patirono gravemente
le devoluzioni napoleoniche; i teatri,
indeboliti dal policentrismo caratteristico
della penisola. è ben vero che l’Italia
continuò a produrre melodramma più di
Fra Sette e Ottocento, fra Tartini e Beethoven
ogni altro paese d’Europa ma la qualità
fu sempre più raramente all’altezza della
quantità perché ogni città piccola o grande
che sia esigeva il suo melodramma, a
dispetto dei mezzi insufficienti.
La musica strumentale in particolare
soffrì da un lato il declino economico della
classe sociale di riferimento, l’aristocrazia,
mentre non guadagnò un nuovo pubblico
a causa del relativo ritardo – rispetto ad
altri paesi d’Europa – dell’accumulazione
V. Rota, Ritratto di
Giuseppe Tartini inciso
da Carlo Calcinato.
Padova, Museo
Antoniano
sopra
G. Pividor, Interno
della sala del Teatro
La Fenice nel 1837 con
la tendina di Giovanni
Busato raffigurante
Enrico Dandolo che
rinuncia alla corona
d’Oriente.
Venezia, Archivio
Storico del Teatro
La Fenice
a destra
Francesco Giuseppe
I d’Asburgo Lorena
Imperatore d'Austria,
Mezza sovrana,
Milano, 1856.
Padova, Musei Civici,
Museo Bottacin,
inv. 300a
#LudwigVanFestival:
di @OpvOrchestra:
a Padova una integrale
delle Sinfonie.
Fanno sentire a casa
e pensare di dove
veniamo

Paolo Possamai,
Direttore
Il Mattino di Padova,
La Tribuna di Treviso,
La Nuova di Venezia e
Mestre, Il Corriere delle
Alpi di Belluno
capitalistica nostrana. E tuttavia la musica
strumentale nel Veneto non scomparve del
tutto sebbene sia oggi ignorata dai manuali
di Storia della musica: resta confinata in
un’area marginale rispetto alla ‘grande
musica’ continentale.
Qualche anno fa si tenne proprio
a Padova un convegno sulla musica
strumentale nel Veneto fra Settecento e
Ottocento che intendeva illuminare le
profonde radici storiche di un’istituzione
come OPV 1. Le ricerche portarono in
luce un mondo musicale di ricchezza
insospettata fino ad allora e poco visibile
perché collegato soprattutto al consumo
privato. Famiglie dell’aristocrazia che si
riconobbero nel nuovo ordine austriaco
(almeno fino agli anni ‘40 dell’Ottocento) e
che certamente ne apprezzavano i portati
culturali, con speciale riferimento alla
musica. L’astro principale, nel Veneto
come nel resto d’Europa, non fu Mozart
(né Beethoven), ma soprattutto Haydn,
diffuso grazie all’industria della stampa
1
La musica strumentale nel Veneto fra Settecento e
Ottocento (Atti del convegno internazionale di studi,
22 — 23
musicale viennese. Mentre si compera
musica da consumare nelle occasioni
domestiche, se ne compone anche, ad
imitazione dei modelli settentrionali
(ma fino ad un certo punto). Un
musicista oggi pressoché dimenticato
ma degno di attenzione, Marco Antonio
Sumàn, scrive nel 1801 una serie di sei
quartetti per archi che insieme a quelli
di Gaetano Valeri, organista al Duomo,
rappresenta il contributo locale più
significativo al rito musicale e sociale
insieme del quartettismo. Certo la
cifra stilistica è diversa: i temi e gli
intrecci contrappuntistici più semplici
assomigliano a quelli settentrionali,
finché poi non si arriva al cuore
della composizione cioè agli sviluppi
caratteristici della forma-sonata. Qui le
strade si separano; forse, si può malignare,
per una insufficienza tecnica dei
compositori nostrani ma probabilmente
anche per ragioni più profonde, vale a
dire il rifiuto estetico di una costruzione
che va oltre la trasparenza delle strutture
fraseologiche semplici per inoltrarsi,
nelle espressioni più mature, in strutture
compositive di profondità abissale. In altre
parole, il quartettismo di Haydn e Mozart,
che venne successivamente definito
‘esoterico’ viene sì praticato nelle sale da
musica del Veneto, ma per i compositori
locali l’imitazione si restringe al suonare
insieme a quattro, senza attingere agli
strati più essenziali delle musizieren
Padova 4-6 novembre 1996), a cura di L. Boscolo e
S. Durante, Padova, Cleup 1998.
viennese. Insomma, il quartetto ‘veneto’
(che poteva vantare come predecessore,
certamente dimenticato, le sonate a
quattro del vecchio Tartini) è piacevole,
scritto competentemente, ma non vuole
essere ‘troppo’ impegnativo, né per chi lo
suona, né per chi lo ascolta.
Se al quartetto bastava per l’esecuzione
un gruppo di amici (non essendo destinato
al concerto pubblico, almeno fino a tutto il
Settecento), la penetrazione in Italia della
musica sinfonica pose qualche problema
in più perché richiedeva una costosa,
valida orchestra, e un direttore (figura
quest’ultima che nemmeno esisteva al
tempo di Tartini o Vivaldi quando il primo
violino reggeva le sorti dell’insieme come
semplice ‘capo di concerto’).
Le ricerche sulle fonti padovane (in
particolare sull’importante fondo di
manoscritti del “Teatro nuovo”, oggi al
Conservatorio “Pollini”) hanno dimostrato
che più di un movimento sinfonico
viennese è stato ascoltato per la prima
volta nei panni di sinfonia d’apertura
per un ballo teatrale. è questo il caso
dell’Ouverture del Flauto magico di Mozart
ascoltato a Padova in apertura di un ballo
nel 1809; quello che i manoscritti non
dicono (e la stampa del tempo tace) è se il
pubblico locale sapesse chi era l’autore di
quella musica straordinaria.
Anche le sinfonie di Beethoven
arrivarono ‘travestite’ nelle riduzioni
per pianoforte o pianoforte a quattro
mani e solo successivamente nella veste
orchestrale. La prima esecuzione nota
del Beethoven sinfonico risale al 28
gennaio del 1816 con l’esecuzione della
Seconda sinfonia al Teatro La Fenice.
La Gazzetta privilegiata (portavoce del
governo ormai austriaco) ne riferiva in
questi termini: «Gli applausi vivissimi
[…] furono in parte accordati anche agli
altri accessorj dell’Accademia [cioè:
concerto] meritevoli pure di non volgar
lode, essendo essa composta dei più scielti
professori di musica tutt’ora esistenti in
questa nostra città. Basta indicare come
direttore d’orchestra il sig. Camerra,
Fra Sette e Ottocento, fra Tartini e Beethoven
per violoncello il sig. Bertoja, per primo
contrabbasso il sig. Forlico padre, che
senza andar più oltre, s’avvede ognuno
con quanta esattezza e spirito musicale
doveva essere eseguita una quanto difficile
altrettanto superba gran sinfonia del
maestro Beethoven. Questo magnifico
pezzo di musica, composto sullo stile
delle grandi sinfonie d’accademia di
Haydn, non poteva essere meglio eseguito;
poteva però essere meglio gustato, ove il
gusto generale meno delicato del nostro
Non è un caso
che sia la musica
di #Beethoven a
celebrare l'#Europa
unita. L'Inno alla
Gioia esprime
l'ideale di fratellanza
fra gli uomini.
#LudwigVanFestival

Flavio Zanonato,
Parlamentare Europeo
Le ricerche sulle fonti padovane hanno
dimostrato che più di un movimento
sinfonico viennese è stato ascoltato
per la prima volta nei panni di sinfonia
d’apertura per un ballo teatrale.
è questo il caso dell’Ouverture del
Flauto magico di Mozart ascoltato a
Padova in apertura di un ballo nel 1809.
A. Tosini, La Sala
Rossini nel ridotto
[Stabilimento
Pedrocchi].
Padova, Museo Civico
A. Putti, Veduta
prospettica di Padova,
1850 ca.
Padova, Museo Civico
preferisse alla dolce melodia d’un ritmo
facile e blando, il robusto ed energico
scrivere dei compositori oltremontani. Se
il gusto universale però non trovò tutto il
suo pascolo nella sinfonia di Beethoven, lo
trovò bensì la ragione degli intelligenti, di
cui abbonda questo paese». 2
Gia in questa prima comparsa di un
brano complessivamente tradizionale
(che si sarebbe detto dell’Eroica?) si
delinea una contrapposizione di gusto
divenuta col tempo luogo comune: musica
per ‘intelligenti’ (cioè esperti) rispetto
a musica ‘facile’. Di lì a vent’anni un
sensibile osservatore, Giuseppe Mazzini,
avrebbe caratterizzato con maggiore
acume le differenze fra cultura musicale
Italiana e tedesca nella sua Filosofia della
musica, pubblicata a Parigi nel 1836: «[…]
mentre la melodia italiana definisce,
esaurisce, e t’impone un affetto, essa [la
tedesca] lo affaccia velato, misterioso,
appena tanto che basti a lasciarti una
memoria e il bisogno di ricrearlo, di
ricomporre da per te quella immagine.
L’una ti trascina a forza fino agli ultimi
termini della passione, l’altra t’accenna la
via e poi ti lascia».
Un’astrazione, certo, ma anche un
tentativo di cogliere aspetti culturali
profondi. Per Mazzini le due culture
musicali principali d’Europa dovevano
tendere necessariamente alla sintesi in una
musica “europea” presagita nel futuro.
A quel momento, la musica di Tartini
non era più eseguita nel continente, fatta
eccezione per le variazioni didattiche
dell’Arte dell’arco o per la sonata in Sol
minore Trillo del diavolo (non la sua
migliore). Tanto più significativo che
quel nostro padre della patria ricordi
il nome del grande piranese, unico con
Pergolesi e Porpora, come simbolo dei più
alti traguardi musicali italiani del secolo
trascorso.
Cit dal saggio di M. Girardi, Musica strumentale e
fortuna degli autori classici nell’editoria veneziana fra
Settecento e Ottocento, in La musica strumentale cit.,
pp. 479-526: 513.
2
24 — 25
Ludwig Van
Festival
Redazione
Le nove #Sinfonie
di #Beethoven:
un #patrimonio
da custodire
gelosamente che è
parte fondamentale
delle nostre #radici e
della nostra #identità.
#LudwigVanFestival

Ines Lanfranchi Thomas,
Presidente regionale
FAI Veneto
24 giugno 2016, ore 21
Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann
6 luglio 2016, ore 21
Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann
Orchestra di Padova
e del Veneto
Orchestra di Padova
e del Veneto
Marco Angius
Direttore
Marco Angius
Direttore
Programma
Programma
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Sinfonia n. 1 in do maggiore op. 21
Adagio molto, Allegro con brio
Andante cantabile con moto
Menuetto (Allegro molto e vivace)
Adagio, Allegro molto vivace
Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60
Adagio, Allegro vivace
Adagio
Allegro molto e vivace, Un poco meno
allegro
Allegro ma non troppo
prima esecuzione
Vienna, Burgtheater, 2 Aprile 1800
prima esecuzione Vienna, Burgtheater, 5 Marzo 1807
dedica
Barone Gottfried van Swieten
Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
Allegro con brio
Andante con moto
Allegro
Allegro, Presto
prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien,
22 Dicembre 1808
dedica
Principe Joseph Max von Lobkowitz
e Conte Andreas Razumovsky
—
Prova generale aperta al pubblico
dedica Conte Franz Von Oppersdorf
Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68
“Pastorale”
Allegro ma non troppo
Andante molto mosso
Allegro
Allegro
Allegretto
prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien,
22 Dicembre 1808
dedica Principe Joseph Max von Lobkowitz
e Conte Andreas Razumovsky
alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico
alle ore 10.30
—
Prova generale aperta al pubblico
alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico
L’OPV e Marco Angius
al Teatro Verdi
di Padova
alle ore 10.30
26 — 27
20 luglio 2016, ore 21
Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann
27 luglio 2016, ore 21
Teatro Giardino di Palazzo Zuckermann
4 agosto 2016, ore 21
Castello Carrarese
Biglietti
Orchestra di Padova
e del Veneto
Orchestra di Padova
e del Veneto
Orchestra di Padova
e del Veneto
— Concerti
Interi € 10
Marco Angius
Direttore
Marco Angius
Direttore
Marco Angius
Direttore
Ridotti € 7
(abbonati 50a Stagione OPV e under35)
Bambini e ragazzi € 3
Coro del Friuli Venezia Giulia
Programma
Programma
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
(under14)
In vendita su www.opvorchestra.it
Cristiano Dell'Oste
Maestro del coro
(solo biglietti interi) e al botteghino
di ciascuna sede il giorno del concerto
a partire dalle ore 20.
Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36
Adagio molto, Allegro con brio
Larghetto
Scherzo, Trio (Allegro)
Allegro molto
prima esecuzione Vienna, Theater an der Wien,
5 Aprile 1803
dedica Principe Karl von Lichnowsky
Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92
Poco sostenuto, Vivace
Allegretto
Scherzo (Presto), Trio (Assai meno presto)
Allegro con brio
prima esecuzione Vienna, Sala dell’Università,
8 Dicembre 1813
dedica Conte Moritz von Fries
Sinfonia n. 8 in fa maggiore op. 93
Allegro vivace e con brio
Allegretto scherzando
Tempo di menuetto
Allegro vivace
prima esecuzione Vienna, Burgtheater, 27 Febbraio 1814
Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore
op. 55 “Eroica”
Allegro con brio
Marcia funebre (Adagio assai)
Scherzo (Allegro vivace), Trio
(Alla breve)
Finale (Allegro molto)
La potenza delle
9 #Sinfonie di
#Beethoven ben
si accorda con il
rinnovato slancio
esecutivo di
@OpvOrchestra
e #Angius
#LudwigVanFestival

Bruno Bianchi,
Direttore Generale
Fondazione Antonveneta
Programma
Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Biglietto unico € 8
#LudwigVanFestival:
con @OpvOrchestra
e #Angius in scena il
teatro strumentale di
#Beethoven

Massimo Ongaro,
Direttore artistico Teatro
Stabile del Veneto
Sinfonia n. 9 in re minore op. 123
per soli, coro e orchestra
Allegro ma non troppo, un poco
maestoso
Molto vivace
Adagio molto e cantabile, Andante
moderato, Adagio
Finale: Presto, Recitativo, Allegro
assai, Allegro assai vivace alla
marcia, Andante maestoso, Allegro
energico sempre ben marcato,
Allegro ma non tanto, Poco adagio,
Prestissimo
prima esecuzione
Vienna, Theater an der Wien,
7 Aprile 1805
prima esecuzione
dedica dedica
Principe Max von Lobkowitz
Vienna, Kärntnertortheater, 7 Maggio 1824
Federico Guglielmo III Re di Prussia
—
Prova generale aperta al pubblico
—
alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico
Prova generale aperta al pubblico
alle ore 10.30
alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico
alle ore 10.30
Ludwig Van Festival
— Prove generali
28 — 29
In vendita al botteghino dell’Orto Botanico
il giorno della prova generale dalle ore 9.30.
In caso di maltempo i concerti avranno luogo
alla Sala delle colonne dell’Orto Botanico
(24 giugno, 6-20-27 luglio) o all’Auditorium
Pollini (4 agosto).
Le biografie degli artisti e i testi sono
disponibili sul sito www.opvorchestra.it
progettazione
e coordinamento redazionale
Alberto Castelli
design
Bunker
illustrazioni
Julia Binfield
ufficio stampa
Alessandra Canella / Studio Pierrepi
[email protected]
la fondazione opv ringrazia
Leonardo Mezzalira
Giorgio Pestelli
Angelo Foletto
Sergio Durante
crediti fotografici
5 | 26
Alessandra Lazzarotto
© Fondazione OPV
6
© Silvia Lelli
8|9
Massimo Pistore
© Università di Padova
18
Antonio Bortolami
© Fondazione OPV
www.opvorchestra.it