6.2 CRISTALLIZZAZIONE DA SOLUZIONE
La cristallizzazione è l'operazione attraverso cui si ottiene una fase solida cristallina a partire da una
fase liquida, costituita da una soluzione o da un fuso. Questa operazione può essere utilizzata sia per
separare un solido da un liquido che per preparare dei prodotti finiti.
La fase che interessa recuperare può essere quella liquida, quella solida, oppure può essere costituita
direttamente dalla sospensione liquido-solido formatasi: nei primi due casi occorre far seguire alla
cristallizzazione una separazione liquido-solido, spesso effettuata mediante centrifughe filtranti.
Le problematiche da affrontare sono diverse dipendentemente dallo scopo dell'operazione: se interessa
purificare al massimo la fase liquida, non ci si cura delle caratteristiche dei cristalli ottenuti, purché
essi siano facilmente separabili, mentre, se il prodotto è costituito dalla fase solida, sono importanti
aspetto, distribuzione granulometrica e purezza dei cristalli. Se il prodotto desiderato è invece
costituito dalla sospensione liquido-solido interessa essenzialmente l'omogeneità della sospensione
stessa, che è funzione della granulometria dei cristalli e del rapporto solido-liquido: casi di questo
genere si presentano soprattutto nell'industria alimentare (margarina, impasti per gelati).
Sarà trattata prima la cristallizzazione da soluzione e successivamente quella da fuso.
6.2.1 Solubilità e sovrassaturazione
La grandezza termodinamica fondamentale nella cristallizzazione da soluzione è la solubilità, definita
come la concentrazione di solido che è presente nella soluzione satura, ossia in condizioni di equilibrio
alla temperatura considerata. La concentrazione del solido può essere espressa come percento in peso o
in volume, grammi di solido per litro di soluzione, molarità, molalità, ecc.: le unità di misura più
utilizzate sono, tuttavia, la massa di solido disciolto per unità di massa di solvente.
La solubilità è funzione della
temperatura ed aumenta o diminuisce
con essa a seconda dell'effetto termico
che accompagna la dissoluzione del
solido cristallino. La solubilizzazione è
frequentemente accompagnata da un
assorbimento di calore e quindi la
solubilità aumenta generalmente con la
temperatura, anche se sono presenti
diverse eccezioni.
L'andamento della solubilità, c*, in
funzione della temperatura, T, è di
norma curvilineo anche se spesso, per
piccoli intervalli di temperatura, può
Figura 6.2.1: Andamento della solubilità in funzione della
essere considerato lineare.
La curva di solubilità divide il campo temperatura
temperatura-concentrazione in due
zone (fig.6.2.1): i punti situati al di sotto rappresentano soluzioni insature, la cui concentrazione in
solido è inferiore a quella di equilibrio, mentre quelli al di sopra rappresentano soluzioni sovrassature,
ossia la cui concentrazione in solido è superiore a quella di equilibrio. La condizione di
sovrassaturazione è metastabile: trascorso un certo tempo, detto di induzione, si ristabilisce l'equilibrio
termodinamico attraverso la precipitazione del solido in eccesso e la soluzione si riporta nella
condizione (stabile) di saturazione. Il campo di esistenza delle soluzioni sovrassature, tuttavia, non si
estende in tutta la zona al di sopra della curva di solubilità, ma è limitato alla regione più vicina alla
curva stessa. Esistono infatti dei limiti di concentrazione e temperatura al di sopra dei quali la
soluzione non può più essere mantenuta sovrassatura ma dà luogo istantaneamente alla precipitazione
del soluto in eccesso.
Questi limiti, a cui corrisponde un tempo di induzione pari a zero, possono essere riportati sul
diagramma temperatura-concentrazione sotto forma di una curva, detta limite di metastabilità o di
1
inizio nucleazione, perché corrisponde alle condizioni di precipitazione istantanea del solido. La zona
compresa tra le due curve (zona di metastabilità), è il campo di esistenza delle soluzioni sovrassature.
La curva di solubilità dipende
unicamente dalla termodinamica ed è
quindi univoca per un dato sistema,
mentre la curva limite di metastabilità
dipende anche da numerosi altri fattori,
tra cui il più importante è il grado di
agitazione. All'aumentare dell'intensità
del mescolamento l'ampiezza della
zona di metastabilità si riduce
(fig.6.2.2), poiché l'agitazione facilita
l'omogeneizzazione delle condizioni
nella
soluzione
e
quindi
il
raggiungimento di condizioni di
equilibrio. Le curve di metastabilità e
Figura 6.2.2: Ampiezza della zona di metastabilità in di solubilità non sono generalmente
parallele
tra
loro.
L'ampiezza
funzione del grado di agitazione
dell'intervallo di metastabilità è di
solito tanto più bassa quanto maggiore è la solubilità del solido cristallino: i valori usuali sono
compresi tra 1 e 20 °C.
Sovrassaturazione
La definizione rigorosa della sovrassaturazione, forza spingente della cristallizzazione, fa riferimento
alla differenza di potenziale chimico tra la soluzione ed il cristallo:
 γ ⋅x 
 a


ln
=

 γ * ⋅ x* 
 a* 


σ a = ln
(6.2.1)
dove a, γ e x, sono, rispettivamente, attività, coefficienti di attività e concentrazione, espressa in
termini di frazione molare, nella soluzione sovrassatura, ed a*, γ* e x*, le stesse grandezze
all'equilibrio. I coefficienti di attività sono di difficile determinazione: assumendo che, in un campo
limitato di valori di concentrazioni, essi siano indipendenti dalla concentrazione stessa si può porre γ
= γ* ottenendo:
 x − x*  
 x 
 + 1
=
ln



 x* 
 x  
σ a = ln
(6.2.2)
Solitamente il termine (x-x*)/x* è molto inferiore all'unità, per cui si può semplificare ottenendo per la
forza spingente:
x − x*
σa ≅ *
x
(6.2.3)
Occorre tuttavia rilevare che nella trattazione dei fenomeni di cristallizzazione non viene generalmente
utilizzata la definizione di forza spingente a cui si perviene con le relazioni precedenti. Infatti, nelle
operazioni di cristallizzazione le concentrazioni non vengono quasi mai espresse in termini di frazioni
molari, bensì in termini di massa di soluto per unità di massa di solvente, per cui risulta più comodo
nella pratica fra ricorso ad altre definizioni di forza spingente, anche se esse sono meno rigorose delle
precedenti.
Due grandezze largamente impiegate sono la sovrassaturazione, ∆c, ed il rapporto di
2
sovrassaturazione, S, rispettivamente pari alla differenza ed al rapporto tra le concentrazioni della
soluzione sovrassatura e quella della soluzione all'equilibrio:
∆c = c - c*
S=
c
c*
(6.2.4)
(6.2.5)
Il rapporto di sovrassaturazione, pur essendo adimensionale, dipende dalle unità di misura della
concentrazione; la sovrassaturazione è comunque la grandezza più comunemente impiegata.
6.2.2 Cinetiche di cristallizzazione
Come visto in precedenza, una soluzione sovrassatura tende a riportarsi all'equilibrio attraverso la
precipitazione del soluto in eccesso: ciò può avvenire attraverso la generazione di di nuovi cristalli
(nucleazione) oppure attraverso un aumento della massa dei cristalli esistenti (accrescimento).
Nucleazione
La nucleazione, ossia la formazione di nuovi nuclei cristallini all'interno di una soluzione, viene
distinta in primaria e secondaria, a seconda che la soluzione sia priva di cristalli o ne contenga già
altri. La nucleazione primaria viene poi ulteriormente suddivisa in omogenea ed eterogenea, a seconda
se la soluzione sia perfettamente limpida, oppure contenga qualche forma di impurezza (pulviscolo
atmosferico, ecc.).
Il meccanismo proposto per la nucleazione primaria omogenea, che è dovuta unicamente alla
sovrassaturazione della soluzione, è quello di addizione bimolecolare. Si ipotizza che microscopici
aggregati cristallini, presenti nella soluzione sovrassatura, possano unirsi a due a due tra di loro,
accrescendo progressivamente la loro dimensione, fino a raggiungere una dimensione critica, come
pure scindersi in aggregati più piccoli. Tuttavia, una volta che l'aggregato ha raggiunto la dimensione
critica, esso forma un nucleo cristallino stabile, che non è più soggetto a scissioni ed inizia
immediatamente ad accrescersi.
L'equazione cinetica che consegue da questo meccanismo è del tipo di quella di Arrhenius: la sua
utilità pratica è piuttosto scarsa, dato che contiene grandezze (come la tensione all'interfaccia
liquido-solido) che non possono essere valutate con la necessaria precisione. Inoltre, nella pratica
industriale la nucleazione primaria avviene sempre in condizioni eterogenee, dato che non è possibile
assicurare che la soluzione sia perfettamente limpida, cioè completamente priva di impurezze in
sospensione.
Il meccanismo della nucleazione primaria eterogenea non è ancora chiaro: la cinetica di nucleazione
viene solitamente espressa mediante relazioni empiriche molto semplificate del tipo a potenza, come
la:
B0 = kn ∆cm
(6.2.6)
dove kn è la costante di nucleazione, funzione principalmente della temperatura e del tenore di
impurezze. L'esponente m, denominato, in modo piuttosto improprio, ordine di nucleazione, assume
generalmente valori compresi tra 2 e 9.
La nucleazione primaria è favorita da aumenti localizzati della sovrassaturazione, come avviene, ad
esempio in prossimità delle superfici di scambio termico, e dalla presenza in soluzione di corpi
estranei che agiscono da punti di innesco, come polveri, pulviscolo atmosferico, ecc. Valori usuali
della velocità di nucleazione sono dell'ordine di 108 - 1015 nuclei generati per ora e metro cubo di
soluzione: ciò significa che la nucleazione primaria, anche se si protrae per un tempo limitato, genera
una miriade di minutissimi cristalli. Nella maggior parte dei casi la nucleazione primaria è un
fenomeno indesiderato, perché i nuclei che si formano sono tanto numerosi da accrescersi con grande
difficoltà: si può immaginare infatti che la massa cristallina che precipita venga suddivisa tra di essi. In
3
alcuni casi, tuttavia, in particolare quando il prodotto desiderato sia costituito dalla sospensione
liquido-solido, la nucleazione primaria viene espressamente ricercata per ottenere un prodotto a
granulometria fine e con dimensioni omogenee.
La nucleazione secondaria ha luogo quando nella soluzione sono presenti dei cristalli: essa si può
esplicare secondo diversi meccanismi, spesso tra loro concomitanti, legati a gradienti di
concentrazione, presenza di impurezze, attrito da parte del fluido ed al distacco di frammenti dai
cristalli.
Il meccanismo che ha maggiore rilevanza nelle operazioni industriali è probabilmente più importante è
il collision breeding (generazione per collisione), in cui i nuclei si formano per la frammentazione dei
cristalli negli urti tra loro, con le pareti del cristallizzatore o con il sistema di agitazione. Generalmente
si distingue tra rottura ed abrasione a seconda che le dimensioni dei frammenti siano simili a quelle dei
cristalli originari, oppure molto minori.
La velocità di nucleazione secondaria assume espressioni diverse, generalmente piuttosto complesse, a
seconda del meccanismo predominante. Riferendosi al collision breeding, la velocità di nucleazione
aumenta all'aumentare della densità della sospensione, poichè sono più probabili le collisioni,
all'aumentare della potenza dispersa dal sistema di agitazione e della velocità di agitazione, poichè
sono più frequenti e più intensi gli urti, all'aumentare delle dimensioni dei cristalli, poichè l'energia di
collisione aumenta, ed all'aumentare della sovrassaturazione, poichè i cristalli che si accrescono più
velocemente hanno forme meno regolari e sono meno resistenti.
Molto spesso, tuttavia, si considerano esplicitamente solo gli effetti della densità della sospensione e
della sovrassaturazione, mentre gli altri termini sono inglobati in una costante; l'espressione finale che
si ottiene per la velocità di nucleazione secondaria è assai simile a quella ottenuta in precedenza per la
nucleazione primaria:
i
B0 = kn M ,T ∆cm
(6.2.7)
dove MT è la concentrazione di cristalli nella sospensione, detta anche densità del magma. A rigore,
la relazione sopra riportata fa riferimento alla formazione di nuclei infinitesimi, come quelli primari
(minori di 0.1 µm), mentre quelli formati per nucleazione secondaria, specie nel caso del collision
breeding, possono raggiungere dimensioni confrontabili con quelle dei cristalli. Occorre, tuttavia, tener
presente che la velocità di nucleazione B0 è espressa in termini di numero e non di massa, e che i
nuclei di dimensioni molto piccole sono sicuramente generati in numero assai più elevato rispetto a
quelli di dimensioni maggiori.
La costante di nucleazione kn dipende principalmente dall'intensità di agitazione e della temperatura
mentre l'esponente i della densità del magma viene spesso assunto unitario. L'ordine di nucleazione m
ha, generalmente,
valori più bassi di quelli caratteristici della nucleazione primaria e,
complessivamente, in condizioni operative normali, la velocità di nucleazione secondaria è di solito
notevolmente inferiore a quella di nucleazione primaria. Si può quindi concludere che la nucleazione
secondaria modifica la granulometria del prodotto in modo meno marcato di quella primaria, tuttavia,
a differenza di quest'ultima non può essere completamente eliminata.
Accrescimento
L'accrescimento dei cristalli nella soluzione sovrassatura inizia non appena si formano i nuclei, ossia
gli aggregati raggiungono la dimensione critica. I due meccanismi che meglio interpretano il fenomeno
sono quello diffusivo e quello dello strato preferenziale.
Secondo il modello diffusivo si assume che l'accrescimento avvenga in due stadi in serie tra loro e,
precisamente, uno di diffusione, in cui il soluto attraversa il film di soluzione aderente al cristallo e
giunge all'interfaccia sulla superficie del cristallo, ed uno di reazione superficiale, in cui il soluto viene
inglobato nella struttura cristallina.
Indicando con RG la velocità di accrescimento, espressa in termini di massa cristallina precipitata per
unità di tempo e di superficie, si possono scrivere le seguenti relazioni:
4
(stadio diffusivo)
(6.2.8)
(stadio di reazione superficiale)
(6.2.9)
RG = kd ( c − ci )
RG = k r ( ci − c* )r
dove c, ci e c* sono le concentrazioni del soluto, rispettivamente nella massa della soluzione, nella
soluzione all'interfacies sulla superficie cristallina ed in condizioni di saturazione; kd è la costante
diffusiva, kr è la costante della reazione superficiale ed r è l'ordine della reazione superficiale stessa.
La costante diffusiva dipende principalmente da parametri fluidodinamici (ad esempio il grado di
mescolamento), mentre quella di reazione superficiale dalla temperatura; la reazione superficiale può
essere del primo o del secondo ordine.
Combinando le relazioni precedenti si può esprimere la velocità di accrescimento in funzione della
sovrassaturazione ∆c, che, in base alla sua definizione, è pari alla differenza c - c*:
RG = kG ∆cn
(6.2.10)
dove kG e n sono la costante di accrescimento e l'ordine di accrescimento: quest'ultimo può assumere
solo valori compresi tra 1 e 2, dato che la reazione superficiale è del primo o del secondo ordine.
Confrontando la velocità dello stadio diffusivo con quella dello stadio di reazione superficiale è
possibile stabilire quale sia quello più lento, e di conseguenza su quali variabili operative occorre agire
per aumentare la velocità di accrescimento. Se, ad esempio, lo stadio diffusivo è quello controllante, si
possono ottenere miglioramenti aumentando la turbolenza, mentre, se è controllante la reazione
superficiale, può risultare conveniente un aumento della temperatura operativa.
Il modello di accrescimento detto dello strato preferenziale ipotizza, invece, che abbia luogo un
adsorbimento superficiale del soluto, secondo meccanismi diversi che dipendono principalmente dalla
presenza di difetti (dislocazioni, gradini, ecc.) sulla superficie del cristallo. Quando sono presenti
numerose disomogeneità il soluto ha a disposizione numerosi punti di aggancio e prevale
l'accrescimento continuo; quando i difetti superficiali sono meno pronunciati l'accrescimento avviene
attraverso la formazione di nuclei bidimensionali; quando la superficie presenta poche disomogeneità
l'accrescimento procede attraverso la formazione di spirali autoperpetuantesi.
La velocità di accrescimento lineare del cristallo, G, che rappresenta l'incremento della dimensione
media del cristallo nell'unità di tempo, viene quindi espressa in forme diverse a seconda del
meccanismo di accrescimento prevalente.
A titolo di esempio si riporta l'espressione BCF (Burton-Cabrera- Frank) proposta nel caso di
accrescimento per spirali autoperpetuantesi:
(
)2
G = K' c − c* tanh
K"
c − c*
(6.2.11)
dove G è la velocità di accrescimento lineare del cristallo, incremento della dimensione media del
cristallo nell'unità di tempo e K' e K" sono parametri complessi, funzioni principalmente della
temperatura.
L'espressione precedente, piuttosto complessa, può tuttavia essere sostituita, con buona
approssimazione dalla relazione seguente:
G = kL ∆cn
(6.2.12)
con kL costante di accrescimento ed n ordine di accrescimento, circa pari ad 1 per sistemi in cui la
velocità di accrescimento è elevata, e circa pari a 2 per quelli in cui essa è modesta. Questa relazione
è dello stesso tipo di quella ottenuta applicando il modello diffusivo: l'ordine di accrescimento è lo
stesso e le costanti di accrescimento sono tra loro proporzionali, dato che tra la velocità di
accrescimento in massa, RG, e quella lineare, G, sussiste la relazione:
5
RG = 3 ρ G
kV
kA
(6.2.13)
dove ρ è la densità del cristallo, e kA e kV sono i fattori di forma, rispettivamente relativi alla superficie
ed al volume del cristallo, definiti nel primo capitolo; si ricorda che il rapporto kA /kV è circa pari a 6
per particelle di forma regolare.
Valori tipici della velocità di accrescimento lineare di cristalli si aggirano intorno a 0.1 mm/h.
Molto spesso è possibile assumere che tutti i cristalli presenti in sospensione si accrescano della stessa
misura, indipendentemente dalle loro dimensioni iniziali, e che mantengano costante la loro forma
durante l'accrescimento. Quando queste ipotesi, che vanno sotto il nome di legge del ∆L di McCabe,
sono rispettate, la costante di accrescimento risulta indipendente dalla dimensione dei cristalli, mentre,
in caso contrario, la costante di accrescimento risulta funzione della dimensione dei cristalli.
6.2.3 Bilancio di popolazione cristallina
Per valutare la distribuzione granulometrica dei cristalli che si ottengono da un'operazione di
cristallizzazione non sono sufficienti i bilanci di massa e di calore, ma occorre scrivere anche il
bilancio di popolazione cristallina. Con questo termine si intende la variazione del numero di cristalli
per unità di volume della sospensione che abbiano dimensioni comprese nell’intervallo L - L+dL.
La formulazione generale del bilancio di
popolazione cristallina risulta molto complessa, per cui si rende necessario il ricorso ad
alcune ipotesi semplificative, di cui la più
importante è che l'apparecchio sia del tipo
MSMPR (mixed-suspension mixed-product
removal), cioè che la sospensione sia perfettamente mescolata (distribuzione uni-forme dei
cristalli nel volume) e che le caratteristiche
della sospensione uscente dal cristallizzatore
coincidano perfettamente con quelle della
sospensione contenuta al suo interno.
Riferendosi ad un apparecchio MSMPR che
operi in condizioni stazionarie ed assumendo
Figura 6.2.3: Schema del bilancio della che la soluzione alimentata sia priva di cristalli,
popolazione cristallina compresa in una classe le variazioni del numero di cristalli compresi
nella classe dimensionale L - L+dL
dimensionale fissata
considerata, come mostra la fig.6.2.3, possono
essere dovute a (i segni + e - indicano, rispettivamente un aumento e una diminuzione nel numero di
cristalli appartenenti alla classe dimensionale considerata):
a) accrescimento, con ingresso di cristalli accresciutisi dalle classi dimensionali inferiori (+) e uscita di
cristalli accresciutisi nelle classi dimensionali superiori (-);
b) nucleazione secondaria, con formazione di nuovi cristalli a partire da cristalli delle classi
dimensionali superiori (+);
c) nucleazione secondaria per abrasione, con scomparsa di cristalli verso le classi dimensionali
inferiori in conseguenza alla riduzione delle loro dimensioni (-);
d) agglomerazione, con scomparsa dei cristalli che si agglomerano passando nelle classi dimensionali
superiori (-) ed ingresso di agglomerati provenienti dalle classi dimensionali inferiori (+);
e) fuoriuscita dei cristalli insieme alla sospensione scaricata (-).
Le espressioni relative al numero di cristalli di dimensioni comprese tra L e L+dL, che si formano o
vengono rimossi per nucleazione secondaria ed agglomerazione non sono univocamente definite e
risultano sempre piuttosto complesse. D'altra parte, quando il cristallizzatore funziona correttamente,
questi fenomeni non influenzano in modo troppo sensibile la distribuzione granulometrica del
6
prodotto. Assumendo che gli effetti della nucleazione secondaria e dell'agglomerazione sulla
popolazione cristallina siano trascurabili, il bilancio di popolazione cristallina si scrive:
d (n G ) n
+ =0
dL
τ
(6.2.14)
dove n è la densità di popolazione cristallina, definita come il numero di cristalli per unità di volume
con dimensioni comprese nell'intervallo infinitesimo dL considerato e τ è il tempo di residenza della
soluzione nel cristallizzatore, pari al rapporto tra il volume occupato dalla soluzione nell'apparecchio e
la portata volumetrica di soluzione entrante.
Questa relazione viene quindi integrata, fissato il legame tra la velocità di accrescimento lineare G e la
dimensione del cristallo L. Quando la velocità di accrescimento è indipendente dalle dimensioni dei
cristalli si ottiene:
 L
n = n0 exp  −
 Gτ



(6.2.15)
dove n0 è la densità di popolazione dei nuclei infinitesimi (dimensioni L tendenti a zero). I valori della
densità di popolazione dei nuclei infinitesimi, n0, e della velocità di accrescimento, G, si ottengono da
prove sperimentali in cristallizzatori MSMPR, ricavando la densità di popolazione cristallina dalla
distribuzione granulometrica dei cristalli prodotti.
La conoscenza dei valori di n0 e G consente pure di valutare la velocità di nucleazione, B0. Infatti, in
base alla definizione della velocità di nucleazione si può scrivere:
B0 =
dN  dL   dN 
=  
= G n0

dt  dt   dL  L =0
(6.2.16)
Dall'espressione della densità di popolazione cristallina è possibile derivare la distribuzione
granulometrica del prodotto ed altre proprietà caratteristiche della sospensione.
A tale scopo occorre introdurre delle grandezze dette momenti della distribuzione della densità di
popolazione cristallina.
Il momento i-esimo di questa distribuzione, Mi, è definito come:
Mi =
∫
∞
n ( L ) Li dL
(6.2.17)
0
Ognuno dei momenti della distribuzione cristallina presenta un preciso significato fisico: in
particolare, il momento di ordine zero fornisce il numero dei cristalli, quello di ordine 1 la loro
lunghezza, quello di ordine 2 la loro superficie e quello di ordine 3 il loro volume, dove tutte queste
grandezze sono sempre riferite all'unità di volume di sospensione.
Quando la densità di popolazione cristallina, n, è espressa dalla relazione 6.2.15, si ottiene, ad
esempio, per la densità del magma, MT:
MT = ρ kV M3 = 6 ρ kV n0 ( G τ)4
(6.2.18)
e per la dimensione dominante, Ld, definita come quella corrispondente al 50 % della distribuzione
granulometrica cumulativa:
Ld =
M4
= 3.67 (G τ )
M3
(6.2.19)
Si possono valutare anche la moda della distribuzione granulometrica e la dimensione media
7
ponderale; queste risultano pure proporzionali al gruppo (G τ), ma tramite un coefficiente pari a 3 per
la moda ed a 4 per la dimensione media ponderale.
6.2.4 Modalità operative
La individuazione delle modalità operative ottimali per realizzare una data cristallizzazione da
soluzione richiede la conoscenza di informazioni sulle proprietà chimico-fisiche del sistema e sulle
caratteristiche della produzione. In particolare, occorre conoscere la solubilità del prodotto da
cristallizzare, la dipendenza di questa dalla temperatura, l'ampiezza dell'intervallo di metastabilità e il
calore di cristallizzazione. Se nella soluzione sono presenti altri composti, impurezze o additivi,
occorre pure valutare la loro influenza su solubilità, intervallo di metastabilità e, eventualmente, sulle
cinetiche di nucleazione e di accrescimento, e sull'abito cristallino del prodotto.
Vanno quindi fissate la potenzialità dell'impianto e la granulometria del prodotto (eventualmente
anche il suo abito cristallino); infine occorre conoscere i materiali da costruzione compatibili con la
soluzione e con i cristalli, le disponibilità e le caratteristiche dei servizi di stabilimento (acqua di
raffreddamento, vapore, fluidi termici) e, eventualmente, gli spazi a disposizione per installare
l'apparecchio principale e per i suoi accessori.
Le modalità operative da stabilire riguardano principalmente l'ottenimento della sovrassaturazione, la
fluidodinamica, ed il tipo di funzionamento discontinuo o continuo; occorre infine tener presente la
qualità del prodotto.
Modalità di ottenimento della soprassaturazione
La modalità di ottenimento della sovrassaturazione viene fissata essenzialmente in base all'andamento
della solubilità in funzione della temperatura.
Generalmente
conviene
operare
per
raffreddamento (fig.6.2.4.a) quando la solubilità
aumenta sensibilmente con la temperatura e per
evaporazione del solvente mediante somministrazione di calore (fig.6.2.4.b) quando la
solubilità diminuisce con la temperatura, oppure
aumenta ma in modo poco sensibile.
L'evaporazione può essere effettuata a pressione
atmosferica o sotto vuoto: questo metodo viene
pure adottato quando la soluzione alimentata al
cristallizzatore sia molto diluita.
Figura 6.2.4: Modalità operative per ottenere
Quando il calore da scambiare non è molto
la sovrassaturazione: a) raffreddamento;
elevato si può adottare un serpentino o un fascio
b) evaporazione; c) evaporazione adiabatica
tubiero interno all'apparecchio, oppure una
camicia posta esternamente, mentre se è richiesto un maggiore scambio termico si utilizza uno
scambiatore di calore esterno al cristallizzatore ed attraverso il quale viene fatta circolare la soluzione.
L'evaporazione adiabatica sotto vuoto, ossia l'evaporazione di parte del solvente ed il simultaneo
raffreddamento della soluzione rimanente per effetto del flash (fig.6.2.4.c), si pone come soluzione
intermedia utilizzabile con qualunque andamento della solubilità. Nel caso in cui la solubilità
diminuisca con la temperatura occorre tuttavia verificare che l'effetto del raffreddamento (che in
questo caso sarebbe negativo) non sia superiore a quello dovuto all'evaporazione. Questa modalità
operativa risulta consigliabile quando si debba mantenere comunque bassa la temperatura della
soluzione, ad esempio per prodotti termosensibili.
Un altro metodo per l'ottenimento della sovrassaturazione è la precipitazione, in cui viene realizzata
una drastica variazione della solubilità aggiungendo sostanze diverse dal soluto o dal solvente, oppure
si realizza direttamente la generazione del soluto a seguito di una reazione chimica nella soluzione. In
questo secondo caso risulta spesso vantaggioso far avvenire la reazione direttamente all'interno del
cristallizzatore, in modo che l'eventuale calore di reazione possa essere asportato per evaporazione del
solvente.
8
Occorre però evidenziare che nella scelta delle modalità operative più opportune gioca un ruolo
fondamentale la tendenza del soluto a formare incrostazioni. Infatti, i nuclei che si formano in
prossimità delle pareti del cristallizzatore tendono a rimanere aderenti alle microirregolarità delle
superfici metalliche e si accrescono con continuità formando un aggregato compatto di spessore
crescente. Le incrostazioni si possono formare su tutte le parti dell'apparecchio immerse nella
soluzione, riducendo le sezioni di passaggio ed alterando la fluidodinamica, ma si depositano di
preferenza sulle superfici di scambio termico dove è più elevata la sovrassaturazione: in questo caso si
forma un rivestimento caratterizzato da una conducibilità termica piuttosto bassa che riduce
progressivamente il coefficiente di scambio di calore. Nel caso di operazione in continuo, il processo
diviene prima o poi incontrollabile e costringe alla fermata per effettuare un lavaggio completo
dell'apparecchiatura.
Quando il prodotto presenta una marcata tendenza a formare incrostazioni risulta spesso consigliabile
l'utilizzo dell'evaporazione adiabatica sotto vuoto, che non richiede la presenza di superfici di scambio
termico, e, inoltre, va evitata l'adozione di apparecchi in cui la fluodinamica sia critica.
Fluidodinamica del cristallizzatore
La fluidodinamica del cristallizzatore governa la distribuzione delle condizioni operative (in
particolare della sovrassaturazione) all'interno dell'apparecchio, e la velocità di trasferimento di calore,
nonché quella di trasferimento di materia, nel caso che sia controllante la diffusione. Inoltre, regolando
opportunamente la fluidodinamica, si può controllare efficacemente la dimensione dei cristalli prodotti
in cristallizzatori funzionanti in continuo. I cristallizzatori sono generalmente a simmetria cilindrica,
ad asse orizzontale o verticale. La prima disposizione è più rara e si adotta soprattutto nel caso di
soluzioni viscose in cui l'agitazione, piuttosto blanda, è accompagnata da un'azione raschiante sulle
pareti per limitare lo spessore delle incrostazioni. La disposizione ad asse verticale, molto più
frequente, deve essere forzatamente adottata nel caso in cui sia richiesta la classificazione del prodotto.
Gli apparecchi privi di sistemi di mescolamento hanno scarsa rilevanza industriale: gli unici casi di
interesse sono rappresentati dai bacini ad evaporazione solare (saline). Questi hanno funzionamento
discontinuo, richiedono vaste superfici ma sono di installazione economica: il prodotto ottenuto è
piuttosto grossolano, impuro, e la sua rimozione dalle vasche risulta laboriosa.
Gli apparecchi agitati si possono suddividere in base alle modalità di mescolamento (agitazione
semplice o guidata) ed in base all'azione di classificazione dimensionale del prodotto uscente.
L'agitazione semplice ha lo scopo di omogeneizzare le condizioni operative e di incrementare i
fenomeni diffusivi di trasferimento di calore e di materia. Il mescolamento viene realizzato mediante
un agitatore meccanico immerso nel magma, oppure ricircolando la sospensione mediante una pompa:
nel secondo caso si possono adottare scambiatori di calore esterni, che presentano una superficie di
scambio più elevata, per raffreddare o riscaldare la sospensione. Le rese specifiche degli apparecchi ad
agitazione semplice sono elevate dato che tutto il volume utile è sfruttato per la cristallizzazione.
L'agitazione guidata viene realizzata con un agitatore meccanico munito di girante assiale, oppure
mediante una ricircolazione esterna, in presenza di uno o più tubi di tiraggio centrale (draft-tube) e di
diaframmi di vario tipo che creano condizioni fluidodinamiche diverse nelle varie zone
dell'apparecchio. Nel caso di agitazione guidata si può sia ottenere un migliore rimescolamento interno
(per effetto dei tubi di tiraggio), che realizzare zone di calma relativa, in cui si possa avere la
sedimentazione dei cristalli dalla soluzione (per effetto dei diaframmi). La resa specifica degli
apparecchi ad agitazione guidata è inferiore a quella degli apparecchi ad agitazione semplice, dato che
alcune zone del cristallizzatore sono utilizzate per altre funzioni (come, ad esempio, la decantazione
dei cristalli). La classificazione dimensionale dei cristalli si ottiene ricircolando al fondo
dell'apparecchio un flusso controllato di soluzione limpida, ossia priva di cristalli, prelevata in una
zona di calma del cristallizzatore: la soluzione, nel suo moto ascendente, trascina i cristalli fini nella
zona centrale del cristallizzatore mentre i cristalli di dimensioni maggiori, che riescono a sedimentare,
sono prelevati come prodotto. Ovviamente, questo ricircolo controllato di soluzione limpida non ha
nulla a che vedere con quello della sospensione in cui tutta la massa liquido-solido è sottoposta allo
stesso movimento forzato.
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Funzionamento discontinuo o continuo
Il funzionamento discontinuo o continuo dipende principalmente dalla potenzialità del cristallizzatore.
Di solito l'operazione discontinua risulta generalmente conveniente per potenzialità modeste, in
particolare per prodotti pregiati (ad esempio farmaceutici) o che presentino esigenze operative
particolari (ad esempio condizioni di sterilità).
La soglia di potenzialità al di sopra della quale conviene passare all'operazione continua si aggira
intorno a 30-50 t/giorno di prodotto: una importante eccezione è rappresentata dalla produzione dello
zucchero, che è condotta in discontinuo nonostante le potenzialità molto elevate, data l'elevata
viscosità della soluzione che rende difficile il raggiungimento di condizioni omogenee all'interno
dell'apparecchio.
Nelle operazioni discontinue il cristallizzatore viene riempito con la soluzione sottosatura; si
modificano quindi le condizioni operative (ad esempio si raffredda la soluzione o si fa evaporare il
solvente) fino a raggiungere il livello di sovrassaturazione desiderato. A questo punto è possibile
attendere la nucleazione spontanea delle soluzione oppure effettuare una semina, immettendo nel
cristallizzatore un quantitativo prefissato di cristalli, di dimensioni notevolmente inferiori a quelle
finali del prodotto. L'effettuazione della semina è spesso preferita poiché la quantità di nuclei generati
per nucleazione primaria è scarsamente controllabile. Inoltre, la precipitazione del soluto porta
prevalentemente ad un accrescimento dei cristalli di semina, piuttosto che alla formazione di nuovi
nuclei, per cui il prodotto finale presenta una granulometria piuttosto uniforme.
Una volta che i cristalli si sono formati o sono stati aggiunti alla soluzione, si modificano con
gradualità le condizioni operative in modo da mantenere la sovrassaturazione il più possibile
costante,e comunque a livelli tali da garantire una sufficiente velocità di accrescimento, evitando,
tuttavia, che abbiano luogo rilevanti fenomeni di nucleazione. La sovrassaturazione si crea per effetto
della variazione delle condizioni operative (raffreddamento, evaporazione, grado di vuoto) e viene
consumata per effetto della nucleazione e, soprattutto, dell'accrescimento. Poichè la superficie
cristallina a disposizione per l'accrescimento (e quindi il consumo di sovrassaturazione) aumenta nel
tempo, per mantenere all'incirca costante la sovrassaturazione occorre che anche le condizioni
operative abbiano un andamento analogo, ossia varino più lentamente nella fase iniziale e più
rapidamente in quella finale.
Facendo riferimento, ad esempio, al
caso di cristallizzazione per raffreddamento
del solfato di potassio, l'andamento ottimale
della temperatura nel tempo per mantenere
costante la sovrassaturazione è rappresentato
in fig. 6.2.5 (curva a). Ciò comporta, ad
esempio, una variazione della portata del
fluido refrigerante nel tempo. Se, invece,
questa portata venisse mantenuta costante, la
temperatura nel cristallizzatore presenterebbe
l'andamento rappresentato in fig.6.2.5 (curva
b), completamente opposto al precedente.
Infatti, il raffreddamento risulterebbe maggiore all'inizio della marcia quando è
maggiore la differenza di temperatura tra
soluzione e fluido refrigerante.
Per potenzialità di produzione medio-alte Figura 6.2.5: Andamento della temperatura per la
diviene preferibile la conduzione in continuo, cristallizzazione discontinua di solfato di potassio per
in cui le caratteristiche del prodotto ed il raffreddamento: a) ottimale; b) spontaneo
consumo dei fluidi di servizio si mantengono
stabili nel tempo. Inoltre, a parità di potenzialità, la marcia continua comporta l'utilizzo di
apparecchiature di dimensioni inferiori, non solo per la cristallizzazione, ma anche per le operazioni ad
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essa collegate (serbatoi di stoccaggio, recipienti per la preparazione della soluzione, apparecchi per la
separazione liquido-solido e per l'essiccamento dei cristalli).
Nelle operazioni continue le portate di soluzione alimentata e di sospensione prelevata sono costanti:
la sospensione scaricata può essere omogenea con quella contenuta nel cristallizzatore, oppure
classificata in base alle dimensioni dei cristalli.
Quando si debba operare per evaporazione sotto vuoto può risultare conveniente frazionare la
cristallizzazione in più stadi: in tal modo il volume di ciascuno stadio risulta più piccolo con vantaggi
in termini di omogeneità della sospensione e in termini energetici, adottando gradi di vuoto
differenziati in ogni stadio.
Qualità del prodotto
La qualità del prodotto di un'operazione di cristallizzazione viene caratterizzata da parametri quali la
purezza chimica, la distribuzione granulometrica e l'abito cristallino, tenendo conto sia della forma
delle particelle (sferoidale, lamellare, aghiforme) che del loro aspetto (ad esempio aggregato,
dendritico, ecc.). Questi fattori assumono un peso diverso a seconda che la cristallizzazione sia lo
stadio intermedio di un processo, o che da essa si ottenga il prodotto finito.
Nel primo caso la qualità del prodotto non è molto importante e si può far ricorso alle apparecchiature
che garantiscano la massima resa in cristalli per unità di volume, ossia ad agitazione semplice. Quando
invece i cristalli costituiscono direttamente il prodotto desiderato, occorre adottare cristallizzatori che
garantiscano una buona omogeneità delle condizioni operative e, spesso, dotati anche di azione
classificante. In ogni caso occorre fissare con attenzione il grado di agitazione nell'apparecchio: un
mescolamento troppo intenso incrementa sia i consumi energetici che la nucleazione secondaria,
dando luogo ad un prodotto piuttosto fine, mentre un mescolamento troppo blando riduce la velocità di
cristallizzazione e può portare alla formazione di cristalli grandi ma irregolari, che spesso presentano
inclusioni di acqua madre.
In linea di massima, all'aumentare della purezza ed allo stringersi della distribuzione granulometrica
attorno al valor medio desiderato, si abbassa la resa specifica dell'operazione.
6.2.5 Dimensionamento di un cristallizzatore
Una volta fissate le modalità operative di un'operazione di cristallizzazione si può procedere al
dimensionamento dell'apparecchio, ossia a determinarne il volume, la potenze del sistema di
mescolamento, la superficie di scambio termico o le caratteristiche del sistema di vuoto; nel caso di
marcia discontinua andranno anche definite le modalità temporali dell'operazione. Preliminarmente
occorre conoscere la dipendenza della solubilità del prodotto dalla temperatura, l'ampiezza della zona
di metastabilità, la cinetica di accrescimento e quelle di nucleazione primaria e secondaria: le
indicazioni riguardo l'ampiezza della zona di metastabilità ed alle cinetiche di nucleazione vanno prese
con particolare cautela, dato che dipendono fortemente dalle condizioni fluidodinamiche in cui sono
state determinate.
Come dati di progetto si possono considerare note concentrazione e temperatura della soluzione
entrante, potenzialità dell'impianto, in termini di portata di prodotto solido ottenuto nell'unità di tempo
o per ogni marcia dell'apparecchio, e dimensione media richiesta per i cristalli. Si considerano pure
note le caratteristiche dei fluidi di servizio e/o degli apparecchi ausiliari (ad esempio pompe da vuoto):
una volta stabilite le modalità di ottenimento della sovrassaturazione è quindi possibile valutare i limiti
operativi imposti alla marcia dell'apparecchio, ossia i valori di temperatura e pressione che non
possono essere superati.
Ad esempio, operando per raffreddamento, la soluzione potrà essere raffreddata fino ad una
temperatura superiore di 10-20°C a quella del fluido refrigerante disponibile. Analogamente, operando
per evaporazione, la temperatura di ebollizione della soluzione sarà di 5-10°C inferiore a quella del
fluido riscaldante: nota la temperatura di ebollizione e l'entità dell'innalzamento ebullioscopico, è
possibile valutare la massima pressione operativa in base alla tensione di vapore della soluzione.
Operando per evaporazione adiabatica le caratteristiche del sistema di vuoto stabiliscono il minimo
valore della pressione operativa e quindi anche la temperatura finale della soluzione ed il grado di
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vaporizzazione, assumendo che la soluzione subisca un'espansione isoentalpica.
Esistono anche dei limiti pratici per la densità del magma, dato che all'aumentare del suo valore
aumenta la potenza richiesta dal sistema di agitazione per garantire un efficace mescolamento e
possono verificarsi problemi nella fase di scarico dell'apparecchio: generalmente la densità del magma
viene mantenuta inferiore a 200 kg/m3.
La potenza del sistema di agitazione viene stabilita ad un valore sufficiente a garantire la sospensione
dei cristalli dal fondo; occorre infatti evitare un'agitazione eccessiva che incrementerebbe la
nucleazione secondaria.
Per una stima di prima approssimazione delle superfici necessarie per lo scambio di calore si possono
adottare valori dei coefficienti di scambio termico compresi tra 100 e 800 W/m2°C per i cristallizzatori
funzionanti per raffreddamento e tra 250 e 600 W/m2°C per quelli evaporativi: i valori inferiori sono
tipici dei recipienti incamiciati o muniti di serpentino, mentre quelli superiori si riferiscono all'utilizzo
di scambiatori di calore esterni al cristallizzatore. Per quanto riguarda gli apparecchi funzionanti sotto
vuoto la pressione assoluta residua viene generalmente mantenuta intorno a 5-15 mm Hg.
Saranno ora presi in esame separatamente i casi di dimensionamento di un cristallizzatore discontinuo
e continuo.
Cristallizzatori discontinui
Per i cristallizzatori discontinui si farà riferimento al caso, molto frequente nella pratica, in cui venga
effettuato un accrescimento controllato di cristalli di semina.
La dimensione dei cristalli di semina, Ls, è alquanto inferiore (5-100 volte) a quella Lf finale del
prodotto. L'entità della semina, Ms, necessaria per ottenere la quantità Mf di prodotto finale, può essere
valutata in base ad un bilancio di numero di cristalli. Infatti, nell'ipotesi che tanto la nucleazione
primaria che quella secondaria siano trascurabili, il numero di cristalli presenti nell'apparecchio nel
corso della cristallizzazione non varia, ossia la precipitazione del soluto si traduce semplicemente in
un aumento delle dimensioni dei cristalli di semina. Assumendo, inoltre, che la forma dei cristalli non
vari nel corso dell'accrescimento si può scrivere la relazione seguente:
Ms M f
≅ 3
L3s
Lf
(6.2.20)
da cui si può calcolare immediatamente il quantitativo, Ms, di cristalli di semina necessario.
La semina viene generalmente effettuata dopo aver portato la soluzione a condizioni di
sovrassaturazione pari al 25-50 % del valore limite. Successivamente occorre variare con continuità le
condizioni operative in modo da mantener la sovrassaturazione il più possibile costante o, comunque,
impedire che il punto rappresentativo della concentrazione della soluzione esca dalla di metastabilità,
per evitare la nucleazione primaria. Gli andamenti ottimali della temperatura, della pressione, o del
grado di vaporizzazione della soluzione (dipendentemente dalle modalità operative utilizzate) possono
essere valutati in base al bilancio della sovrassaturazione. Essa, infatti, viene creata dalla variazione
delle condizioni operative (ad esempio raffreddando la soluzione), mentre viene consumata attraverso
la precipitazione del soluto che va a formare nuclei o ad accrescere i cristalli.
Il quantitativo di soluzione necessario per ottenere il prodotto desiderato si calcola dai bilanci di
materia del soluto e del solvente tra le condizioni iniziali e quelle finali della marcia:
Wi ci + Ms = Wf cf + Mf
(6.2.21)
Wi = Wf + V
(6.2.22)
dove Wi e Wf sono i quantitativi di solvente presenti nell'apparecchio all'inizio ed alla fine della
cristallizzazione (kg), V è il solvente evaporato (kg), Ms è Mf sono le quantità di cristalli di semina e di
prodotto finale (kg), e ci e cf sono le concentrazioni iniziali e finali della soluzione (kg solido/kg
solvente).
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Nelle relazioni di bilancio si possono considerare noti i valori di ci, Mf ed Ms. Nota la pressione e la
temperatura finale è pure possibile valutare, in prima approssimazione cf, supponendo che la soluzione
uscente si trovi all'incirca in condizioni di saturazione.
Nel caso di cristallizzazione per raffreddamento, V è pari a zero, per cui si ha Wi = Wf: il valore di Wi
si calcola perciò direttamente dalla prima equazione di bilancio. Nel caso di cristallizzazione
evaporativa sono invece incogniti i valori di Wi, Wf e V: occorre quindi stabilire a priori il grado di
vaporizzazione finale V/Wi, oppure la densità del magma finale, funzione di Mf e Wf, e quindi valutare
Wi dal bilancio. Nel caso di cristallizzazione per evaporazione sotto vuoto il valore di V può esser
calcolato dal bilancio entalpico, e quindi si possono calcolare i valori di Wi e Wf dal bilancio di
materia.
In ogni caso è buona norma controllare il valore finale della densità del magma: se esso risulta troppo
elevato (MT > 200 kg/m3) occorre modificare le condizioni operative.
Una volta noto il volume di soluzione caricata nell'apparecchio si fissa un grado di riempimento per
quest'ultimo e se ne calcola il volume. Il grado di riempimento è piuttosto elevato (75-85 %) nei
cristallizzatori funzionanti per raffreddamento e più basso (30-60 %) in quelli evaporativi. In questo
caso, infatti, occorre garantire che le goccioline di soluzione eventualmente trascinate dal vapore
abbiano modo di separarsi, fissando opportuni valori per la sezione trasversale dell'apparecchio, da cui
dipende la velocità ascensionale del vapore. Questa deve essere mantenuta al di sotto del valore limite,
vmax, per cui iniziano a verificarsi i trascinamenti del liquido:
ρ s − ρv
ρv
vmax = 0.035
(6.2.23)
dove vmax è espressa in m/s e ρs e ρv sono le densità della soluzione e del vapore (kg/m3).
Una volta dimensionato il cristallizzatore si passa a valutare la superficie necessaria al trasferimento
del calore: se il valore ottenuto è modesto lo scambio potrà essere realizzato mediante un serpentino
immerso nella soluzione o una camicia esterna all'apparecchio, che sarà agitato meccanicamente; in
caso contrario si farà ricircolare la sospensione attraverso uno scambiatore di calore esterno ed il
ricircolo avrà anche la funzione di garantire il mescolamento.
Cristallizzatori continui
I cristallizzatori continui in condizioni stazionarie marciano a temperatura e pressione costante e
vengono generalmente dimensionati in base al tempo di residenza della soluzione al loro interno:
Vs = Q τ
(6.2.24)
dove Vs è il volume occupato dalla soluzione, Q è la sua portata e τ è il tempo di residenza.
Per cristallizzatori del tipo MSMPR, ossia ben mescolati e privi di classificazione del prodotto
uscente, anche la densità del magma, MT, e la dimensione media del prodotto, LM, dipendono dal
tempo di residenza, in base ai momenti del bilancio di popolazione cristallina:
MT = 6 ρ kV n0 ( G τ)4
LM = 3 G τ
(6.2.25)
(6.2.26)
Le cinetiche di nucleazione secondaria, B0, e di accrescimento lineare, G, supposta indipendente dalla
dimensioni del cristallo, sono funzioni della sovrassaturazione, ∆c:
i
B0 = kn M ,T ∆cm
13
(6.2.27)
G = kL ∆cn
(6.2.28)
in cui l'esponente i della densità del magma generalmente assunto unitario. Con questa ipotesi,
ricavando ∆c dall'espressione di G ed inserendolo in quella di B0 si ottiene:
B0 = kn' M Ti ∆c m
(6.2.29)
dove i nuovi coefficienti kn' e m' si calcolano direttamente da quelli precedenti kn, kL, m e n. Le
cinetiche di nucleazione e di accrescimento sono inoltre legate tra loro dalla relazione:
B0 = n0 G
(6.2.30)
Ricavando n0 da quest'ultima, ed inserendolo nell'espressione della densità del magma, MT, si ottiene:
M T = 6 ρ kv B0
(Gτ )4
G
(6.2.31)
Il gruppo (G τ) può essere ricavato dall'espressione della dimensione media, LM, e quindi sostituito
nella precedente:
L4M
M T = 2 ρ kv B0
27 G
(6.2.32)
Questa espressione di MT può essere inserita infine in quella di B0, ricavando l'espressione di G in
funzione di LM:
1
 m −1

27

G = 
' 4 
2
ρ
k
k
L
v
n
M


(6.2.33)
Il dimensionamento del cristallizzatore viene quindi effettuato sulla base della dimensione media del
prodotto. Anzitutto, nota LM, si valuta la velocità di accrescimento necessaria, G, dalla relazione qui
sopra. Determinato il valore di G si calcola direttamente quello di τ:
τ=
LM
3G
(6.2.34)
La conoscenza del valore di G consente di determinare quello di ∆c, mentre quello di MT viene
valutato con i criteri visti in precedenza.
Si possono scrivere quindi le espressioni del bilancio di materia, riferito al soluto ed al solvente, e del
bilancio entalpico:
Wi ci = Wu cu + Pc
(6.2.35)
Wi = Wu + V
(6.2.36)
Wi (1 + ci) Csol Ti = Wu (1 + cu) Csol Tu + Pc λcr + V [λvap + Cvap Tvap]
(6.2.37)
dove Wi e Wu sono le portate di solvente liquido alimentate e prelevate dal cristallizzatore (kg/h), Pc è
la portata di cristalli prodotti (kg/h), V la portata di solvente vaporizzato (kg/h), ci e cu sono le
concentrazioni della soluzione che entra ed esce dall'apparecchio (kg di soluto/ kg di solvente), Csol è il
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calore specifico della soluzione (kJ/kg°C), λcr è il calore di cristallizzazione (kJ/kg), λvap è il calore di
vaporizzazione del solvente (kJ/kg), valutato a 0°C (temperatura di riferimento per il calcolo delle
entalpie), Cvap (kJ/kg°C) il calore specifico e Tvap (°C) è la temperatura del vapore, che è pari a quella
di ebollizione della soluzione a meno dell’innalzamento ebullioscopico. Le proprietà fisiche ed i valori
di ci, Ti e Pc sono noti.
Nel caso di cristallizzazione per raffreddamento, è nota la temperatura a cui opera il cristallizzatore, e
quindi la concentrazione di equilibrio: sommando a quest’ultima il valore della sovrassaturazione, ∆c,
si calcola immediatamente cu. Dalle equazioni di bilancio si può quindi calcolare Wu, che è pari a Wi,
dato che V = 0.
Nel caso di cristallizzazione evaporativa, fissata la pressione, risulta stabilita la temperatura di
ebollizione della soluzione e quindi la solubilità: questa, sommata alla sovrassaturazione, fornisce il
valore della concentrazione cu. Dalle equazioni di bilancio si ricavano quindi i valori delle tre
incognite Wu, V e Wi.
Nel caso di cristallizzazione per evaporazione adiabatica la pressione operativa viene determinata in
base a quella stabilita dal sistema di vuoto a valle del flash. Si valuta la temperatura ed il grado di
vaporizzazione, e quindi, cu, Wu, V e Wi.
Si calcola quindi la densità del magma MT (kg/m3), nota la produzione oraria di cristalli richiesta, Pc
(kg/h), e la portata di soluzione uscente Q (m3/h):
MT =
Pc
Q
(6.2.38)
Si può infine determinare il volume Vs occupato dalla soluzione con la relazione riportata in
precedenza e quindi, definito il grado di riempimento, quello dell’apparecchio.
La potenza del sistema di agitazione e la superficie di scambio termico, se necessaria, si valutano
quindi con gli stessi criteri visti in precedenza per i cristallizzatori discontinui.
6.2.6 Cristallizzatori industriali
I cristallizzatori industriali si possono suddividere in base alla tipologia di funzionamento, discontinua
o continua, ed in base alla fluidodinamica che si stabilisce al loro interno.
Cristallizzatori discontinui
I cristallizzatori discontinui sono generalmente formati da un mantello cilindrico ad asse verticale con
fondo conico. La superficie di scambio termico può essere costituita da una camicia esterna o da un
serpentino interno: in questo caso il mescolamento è realizzato con agitatori di vario tipo, in presenza
o meno di tubo di tiraggio. Quando si rende necessaria una superficie di scambio più estesa si ricorre
alla ricircolazione esterna della sospensione attraverso uno scambiatore a fascio tubiero, realizzando al
tempo stesso il mescolamento. La fig.6.2.6 rappresenta alcuni cristallizzatori discontinui. I tipi in
fig.6.2.6.a e 6.2.6.b funzionano per raffreddamento e sono apparecchi detti multiuso spesso adottati per
produzioni farmaceutiche. Lo scambio termico è realizzato mediante una camicia esterna percorsa da
acqua a portata e/o temperatura controllata in funzione di quella della sospensione, in modo da
ottenere la curva di raffreddamento desiderata. Il mescolamento è ottenuto con agitatori meccanici, nel
primo caso del tipo a girante lenta, nel secondo caso del tipo elica marina con tubo di tiraggio. Il tipo
in fig.6.2.6.c opera per evaporazione sotto vuoto ed è quindi privo di superficie di scambio termico. Il
mescolamento è ottenuto per mezzo di un agitatore veloce del tipo ad elica marina posto nella zona
conica di fondo in posizione trasversale ed eccentrica rispetto all'asse dell'apparecchio. Il tipo
rappresentato in fig.6.2.6.d è invece un cristallizzatore operante per evaporazione a riscaldamento
diretto, tipico dell'industria saccarifera. Il riscaldamento è realizzato con un fascio tubiero corto
immerso verticalmente nella sospensione: la sezione libera centrale funge da tubo di tiraggio con
l'ausilio di un agitatore meccanico coassiale.
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Figura 6.2.6: Cristallizzatori discontinui: a-b) piccola capacità per raffreddamento; c) media capacità
per evaporazione adiabatica; d) grossa capacità per evaporazione
In tutti i casi presi in esame la sospensione nell'apparecchio si può considerare praticamente
omogenea, e l'operazione si controlla variando le condizioni operative (velocità di raffreddamento o di
riscaldamento, grado di vuoto, grado di agitazione, ecc.).
Cristallizzatori continui
I cristallizzatori continui si adottano per potenzialità operative maggiori: di conseguenza si richiedono
forme costruttive differenti, sia per assicurare la distribuzione uniforme del mescolamento, sia per
garantire adeguate superfici di scambio termico. Inoltre, una volta fissato in sede di progetto il tempo
di residenza della soluzione e dei cristalli nell'apparecchio, questo opera in regime stazionario ed il
controllo di qualità sul prodotto è affidato essenzialmente alla fluidodinamica. Per queste ragioni la
configurazione dei cristallizzatori continui prevede apparecchi più complessi, spesso ad agitazione
guidata, ed in cui è frequentemente adottata una ricircolazione esterna.
La fig.6.2.7 mostra alcuni cristallizzatori ad asse orizzontale: questi sono generalmente ad agitazione
semplice.
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Il tipo Swenson-Walker (fig.
6.2.7.a), di concezione piuttosto
vecchia, è costituito da un canale
orizzontale dotato di un agitatore
lento a falci rotanti e di una
camicia per lo scambio termico.
L'apparecchio funziona per raffredamento e viene utilizzato per
trattare soluzioni viscose o incrostanti. L'agitatore assicura un
blando rimescolamento e favorisce l'avanzamento della sospensione: inoltre, può esercitare
un'azione raschiante sulle pareti.
Il tipo Votator (fig.6.2.7.b),
utilizzato per gli impasti dei
gelati, è invece formato da un
doppio tubo: nel cilindro esterno
viene inviato il refrigerante,
Figura 6.2.7: Cristallizzatori continui ad asse orizzontale: a)
mentre in quello interno avviene
Swenson-Walker; b) Votator
la cristallizzazione. Internamente
ruota un albero munito di lame raschianti, mantenute in posizione da molle a contrasto, che eliminano
le incrostazioni dalla parete.
La fig.6.2.8 mostra due cristallizzatori ad agitazione semplice ad asse verticale.
Il tipo di fig.6.2.8.a opera per evaporazione adiabatica sotto vuoto la circolazione esterna assicura
anche un mescolamento della sospensione. Il prodotto viene prelevato dal tubo di ricircolo nel tratto
posto all'uscita dalla zona conica del cristallizzatore, ossia nella zona in cui si ha la massima
omogeneità della sospensione. L'alimentazione è invece introdotta a valle del prelievo, sempre dal lato
di aspirazione della pompa di circolazione.
Figura 6.2.8: Cristallizzatori continui ad asse verticale: a) Swenson a ricircolazione esterna; b)
MSMPR a ricircolazione interna con tubo di tiraggio
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Il tipo di fig.6.2.8.b, munito di tubo di tiraggio, consente un migliore controllo della sovrassaturazione,
accompagnato da modalità di agitazione più delicate nei confronti dei cristalli. In questo caso
l'alimentazione viene introdotta dal basso in modo da essere aspirata per effetto della componente
assiale dell'agitazione.
L'opportunità di creare flussi guidati all'interno o all'esterno dell'apparecchio ha portato allo sviluppo
dei cri-stallizzatori dotati ad azione classificante.
Nel tipo DTB (Draft-Tube Baffled) della Swenson (fig.6.2.9), è presente un tubo di tiraggio, che
aumenta la ricircolazione interna nella parte centrale dell'appa-recchio in cui i cristalli si accrescono,
ed un diaframma anulare, che crea invece una zona di calma nella parte alta dell'app-arecchio. In
questa zona la velocità della soluzione diminuisce, consentendo anche ai cristalli più fini di
sedimentare: la soluzione limpida viene quindi prelevata dall'alto e ricircolata nella parte inferiore del
cristallizzatore.
Il flusso di soluzione ascendente viene dosato in modo da operare la classificazione dimensionale del
prodotto: solo i cristalli più grossi riescono a sedimentare e sono estratti dal fondo, mentre quelli che
non si sono ancora accresciuti a sufficienza sono trascinati nella zona centrale dell'apparecchio.
La classificazione, in alcuni casi, può essere realizzata in una apposita zona di elutriazione (elutriation
leg), costituita da un tronchetto cilindrico aggiuntivo, al fondo del quale viene recuperato il prodotto. È
importante che la soluzione prelevata non contenga i cristalli fini che, altrimenti, continuerebbero a
circolare con la soluzione accrescendosi con difficoltà: per evitare che essi siano presenti si può
riscaldare la soluzione in modo da discioglierli.
Nei cristallizzatori tipo Oslo il ricircolo della soluzione è assicurato da una pompa o da una girante
assiale posta all'interno della tubazione. Nella fig.6.2.10 è riportato lo schema di funzionamento di un
apparecchio evaporativo di questo tipo. La zona di riscaldamento è completamente separata da quella
di cristallizzazione. I cristalli che si formano e si accrescono sono mantenuti fluidizzati nella zona al di
sotto di quella in cui avviene la separazione liquido-vapore.
Figura 6.2.10: Cristallizzatore evaporativo
tipo Oslo: C condensato, F alimentazione, G
sfiato, P prodotto, S vapore riscaldante, V
vapore
Figura 6.2.9: Cristallizzatore DTB
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Il cristallizzatore a turbolenza (fig.6.2.11) della Standard-Messo realizza un'azione classificante,
controllando rigorosamente la granulometria del prodotto, attraverso un doppio circuito di
ricircolazione interna, che prevede la presenza di tubi di tiraggio concentrici.
Nell cristallizzatore DP (double propeller) della Tsukishima l’agitatore a doppia elica mantiene un
flusso stabile, diretto verso l’alto all’interno del draft-tube e verso il basso nella regione anulare,
conferendo caratteristiche di sospensione molto stabili.
Figura
6.2.11:
Cristallizzatore
Standard-Messo a turbolenza
Figura 6.2.12: Cristallizzatore Double Propeller (DP)
In Tabella 6.2.1 è riportato un sommario degli usi più comuni dei cristallizzatori descritti.
Tipo di
apparecchio
Dimensioni
cristalli (mm)
Solubilità
Discontinuo
0.15-0.90
Aumenta con T
MSMPR
evaporativo con
circolazione
esterna
0.09-0.50
DTB per
raffreddamento
0.10-0.80
DTP evaporativo 0.4-3.50
DP evaporativo
0.45-3.20
Oslo
0.25-3.50
Con reazione
0.15-3.50
Prodotti
Sodio solfato decaidrato
Ferro solfato eptaidrato
Basi farmaceutiche
Sodio cloruro
Aumenta con T
Sodio solfato anidro
Varia poco con T Sodio carbonato monoidrato
Diminuisce con T Acido citrico
Lattosio
Potassio cloruro
Aumenta molto
Sodio clorato
con T
Sodio sofato decaidrato
Potassio cloruro
Aumenta con T
Ammonio solfato
Varia poco con T Acido borico
Ammonio fosfato
Ammonio solfato
Acido citrico
Aumenta con T
Acido adipico
Varia poco con T
Acido ftalico
Melammina
Potassio cloruro
Aumenta con T
Ammonio solfato
Varia poco con T
Sodio perborato decaidrato
Aumenta con T
Ammonio solfato
Varia poco con T
Sodio perborato
Diminuisce con T
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Note
Piccola capacità
Strumentazione semplice
Facilità di pulizia
Flessibilità dimensionale
Operazione molto stabile
Scarsa tendenza a incrostasi
Flessibilità dimensionale
Alta concentrazione del magma
Limitato consumo energetico
Alta concentrazione del magma
Elevata distruzione dei fini
Buon controllo della qualità del
prodotto
Alta concentrazione del magma
Elevata distruzione dei fini
Buon controllo della qualità del
prodotto
Flessibilità dimensionale
Alta concentrazione del magma
Tendenza a incrostarsi
Come DTB e DP
Criticita nell’immissione dei
reagenti
Occorre comunque richiamare l'attenzione sul fatto che in molti casi un processo di cristallizzazione
richiede l'utilizzo di più apparecchi in sequenza. Questa esigenza può derivare dall'opportunità di
suddividere la cristallizzazione in più stadi, realizzati con apparecchi distinti, oppure può essere dettata
dalla necessità di recuperare individualmente più componenti presenti contemporaneamente nella
soluzione di partenza. Nella pratica è più frequente l'utilizzo di apparecchi diversi: ad esempio
partendo da una soluzione sottosatura di un composto la cui solubilità aumenti con la temperatura può
risultare conveniente operare un primo stadio evaporativo per rimuovere rapidamente una parte del
solvente e far quindi seguire uno o più stadi per raffreddamento. Quando sia invece necessario
ricuperare i diversi componenti presenti in soluzione (per esempio i sali contenuti in un'acqua
salmastra) sono presenti cristallizzatori di tipo diverso scelti in funzione delle modalità operative
richieste in base alle caratteristiche dei singoli componenti da separare nelle varie fasi del processo.
6.3 CRISTALLIZZAZIONE DA FUSO
La cristallizzazione da fuso consiste nella formazione di una fase solida a partire da una fase liquida,
costituita da un fuso che si trova al suo punto di solidificazione.
I campi di impiego tipici di questa operazione sono la separazione e la purificazione spinta. Nel primo
caso la cristallizzazione da fuso costituisce un'alternativa all'estrazione o alla distillazione, soprattutto
per composti con caratteristiche assai simili (ad esempio isomeri con punti di ebollizione molto vicini
tra loro) la cui separazione richiederebbe un numero di stadi eccessivamente elevato. Nel secondo caso
composti che contengono impurezze possono essere purificati fino ad una purezza anche di molto
superiore al 99%: le applicazioni interessano sia i prodotti organici che quelli inorganici.
e tecniche di cristallizzazione da fuso più comunemente impiegate sono la cristallizzazione frazionata,
adottata sia per la separazione che per la purificazione di prodotti organici, e la fusione a zone,
particolarmente utilizzata nella produzione di semiconduttori.
6.3.1 Cristallizzazione frazionata
Il diagramma di equilibrio liquido-solido per sistemi binari assume frequentemente una delle forme
riportate in fig.6.3.1, a seconda che essi formino (a) oppure no (b) soluzioni solide.
Figura 6.3.1: Diagrammi di equilibrio solido-liquido per sistemi binari: a) che formano soluzioni
solide; b) che non formano soluzioni solide
Nel primo caso (fig.6.3.1.a), partendo da un fuso si origina una fase solida omogenea che contiene
entrambi i componenti, ma si è arricchita in quello altofondente; nel secondo caso (fig.6.3.1.b), invece,
i due componenti formano un eutettico e dal fuso si origina una fase solida che, teoricamente, è
costituita da un solo componente. In pratica, tuttavia, nel precipitato è inevitabilmente presente anche
20
una certa quantità dell'altro componente: ciò è dovuto sia alla solidificazione di piccole quantità di
soluzione fusa (che contiene entrambi i solidi) aderente al precipitato, che ad eventuali inclusioni della
soluzione all'interno del precipitato stesso. Il principio base della cristallizzazione frazionata è quello
di sottoporre il fuso a più cicli di cristallizzazione e fusione finché non si ottenga un prodotto della
purezza desiderata: ciò è evidentemente possibile sia in presenza di soluzioni solide che di eutettici.
Al termine del processo di cristallizzazione frazionata può essere realizzato un trattamento finale, detto
sweating (trasudazione) in cui il solido viene mantenuto ad una temperatura leggermente inferiore a
quella di fusione del prodotto puro, ma sufficiente a fondere le impurezze: queste sono quindi espulse
nel fuso che trasuda dal precipitato. Il sweating viene spesso effettuato realizzando una controcorrente
tra cristalli e liquido fuso: quest'ultimo ha la duplice funzione di fornire il calore necessario alla
fusione parziale del solido e di trascinare con sé le impurezze fuse.
Il processo di cristallizzazione da fuso può essere di tipo adiabatico, o non adiabatica, ossia con
scambio di calore con l'esterno. Nel primo caso il fuso è sottoraffreddato e il calore di solidificazione
viene dissipato soltanto attraverso il fuso: la velocità di deposizione è modesta, ma la purezza del
prodotto è elevata. Nel secondo caso il calore di cristallizzazione viene ceduto ad un refrigerante
esterno, ed i gradienti termici tra liquido fuso, superficie del cristallo e refrigerante sono notevoli: la
velocità di deposizione è elevata, ma sono più frequenti le inclusioni di soluzione, per cui la purezza
del prodotto diminuisce.
Poiché il rapporto tra i valori delle entalpie di vaporizzazione e di solidificazione è alto (ad esempio è
circa pari a 3 per i composti organici), la cristallizzazione da fuso risulta spesso economicamente
conveniente rispetto alla distillazione; inoltre la rimozione di impurezze che si ottiene da uno stadio di
cristallizzazione è di norma superiore a quella che si otterrebbe da uno stadio di distillazione.
I cristallizzatori in cui vengono effettuate operazione di cristallizzazione frazionata da fuso, possono
essere a funzionamento discontinuo o continuo.
Cristallizzatori discontinui
Gli apparecchi funzionanti in discontinuo prevedono solitamente che la cristallizzazione sia effettuata
in una sola apparecchiatura che funge
prima da cristallizzatore e poi da
purificatore.
Nel processo Sulzer (fig. 6.3.2) la
soluzione fusa viene distribuita nel
cristallizzatore, in modo da formare un
film sottile all'interno dei tubi verticali,
mentre all'esterno viene inviato un
refrigerante: la deposizione ha quindi
inizio, mentre il liquido viene ricircolato
con continuità da un serbatoio di
accumulo al cristallizzatore. Il livello nel
serbatoio diminuisce progressivamente in
conseguenza alla deposizione: quando
viene raggiunto un livello minimo prestabilito si interrompe la circolazione del
fuso e la soluzione residua viene inviata a Figura 6.3.2: Processo discontinuo Sulzer
stoccaggio. All'esterno dei tubi viene
quindi inviato un fluido caldo, che provoca la fusione del cristallizzato: il fuso viene avviato nel
serbatoio di accumulo e può quindi essere sottoposto ad un nuovo ciclo di cristallizzazione. Quando il
solido ha raggiunto la purezza desiderata viene sottoposto a sweating inviando all'esterno dei tubi un
fluido a temperatura controllata, che riscalda il precipitato ad una temperatura leggermente inferiore a
quella di fusione del composto puro e provoca la fusione ed il trasudo delle impurezze.
Cristallizzatori continui
21
Un processo di cristallizzazione da fuso in continuo richiede la presenza di uno o più cristallizzatori
che effettuano il frazionamento e di
un'apparecchiatura
per
realizzare
l'ulteriore purificazione del solido
mediante sweating.
L'impianto Tsukishima (fig. 6.3.3)
comprende uno o due cristallizzatori
sulle cui pareti ha luogo la
solidificazione
del
fuso
per
raffreddamento: il deposito formatosi
viene continuamente rimosso mediante
agitatori che raschiano le pareti, in
modo da mantenere una elevata velocità
di scambio termico. La purificazione
finale viene effettuata nella colonna di
sweating in cui il solido che scende
Figura 6.3.3: Processo continuo Tsukishima
viene fuso parzialmente incontrando in
controcorrente la soluzione ascendente: questa trascina con sé le impurezze allo stato fuso.
L'impianto Kureha (fig.6.3.4) prevede,
invece, che il solido percorra la
colonna di sweating dal basso verso
l'alto, trasportato da una coclea, mentre
la soluzione scende dalla testa della
colonna. Per potenzialità non elevate è
possibile
utilizzare
un'unica
apparecchiatura per realizzare sia la
cristallizzazione che la purificazione.
Un esempio è il purificatore Brodie
(fig.6.3.5): esso ha la forma di un
lungo tubo, all'interno del quale
ruotano degli agitatori raschianti,
mentre all'esterno viene inviato il
Figura 6.3.4: Processo continuo Kureha
refrigerante.
Il fuso ed i cristalli si
muovono in controcorrente
tra loro e fuoriescono da
estremità opposte.
L'alimentazione entra più
vicino alla zona di uscita del
prodotto, prima della sezione
di sweating dove si invia in
controcorrente parte del
prodotto più puro allo stato
fuso.
Figura 6.3.5: Purificatore Brodie
22
Esercizio 1: progetto di un cristallizzatore continuo
Una soluzione di acido citrico, a concentrazione 0.7094 kg/kg soluzione e che si trova a 32°C, viene
inviata ad un cristallizzatore che opera per evaporazione adiabatica sotto vuoto a 25°C, per produrre
1 t/h di cristalli di acido citrico monoidrato di dimensioni medie pari a 400 µm. Si richiede di
dimensionare il cristallizzatore.
Le proprietà fisiche e le cinetiche di cristallizzazione dell’acido citrico sono:
c* (25°C) = 0.6765 kg/kg soluzione
∆c
[kg/kg soluzione]
B0 = 2⋅1013⋅MT⋅∆c3.1
[1/m3⋅h]
G = 0.005⋅∆c
[m/h]
kv = 1.2
∆Tebullioscopico = 104.9⋅xs1.14 [°C]
xs
[fraz.molare acido citrico]
PMacido citrico = 210.12 kg/kmole
ρcristalli = 1665 kg/m3
λcristallizzazione = 28 kcal/kg
ρsoluzione = 1310 kg/ m3
csoluzione = 0.76 kcal/kg°C
µsoluzione = 0.021 Pa⋅s
cvapore = 0.45 kcal/kg°C
λvap(0°C) = 598 kcal/kg
Si utilizzano le relazioni, valide per un cristallizzatore MSMPR, che legano tra loro la velocità di
nucleazione B0, quella di accrescimento G, la densità del magma MT e la dimensione media dei
cristalli, LM:
G = 0.005 ⋅ ∆c ⇒
∆c =
G
0.005
 G 
B 0 = 2 ⋅ 1013 ⋅ M T ⋅ ∆c 3.1 = 2 ⋅ 1013 ⋅ M T ⋅ 

 0.005 
B0
MT =
2.72 ⋅ 10 20 ⋅ G 3.1
B
B0 = n 0 ⋅ G ⇒ n 0 = 0
G
3.1
M T = 6 ⋅ ρ cristalli ⋅ k v ⋅ n 0 ⋅ (G ⋅ τ) 4 = 6 ⋅ ρ cristalli ⋅ k v ⋅
6 ⋅ 1665 ⋅ 1.2 ⋅
1
1
( G ⋅ τ) 4 =
G
2.72 ⋅ 10 20 ⋅ G 3.1
LM = 3.67 ⋅ (G ⋅ τ ) = 0.0004 ⇒ (G ⋅ τ ) =
G 2.1 =
τ=
3.07 ⋅10 −25
3.07 ⋅10 −25
=
(G ⋅ τ ) 4
(1.09 ⋅10 −4 ) 4
= 2.72 ⋅ 10 20 ⋅ M T ⋅ G 3.1
B0
B0
⋅ (G ⋅ τ) 4 =
G
2.72 ⋅ 10 20 ⋅ G 3.1
⇒ (G ⋅ τ) 4 ⋅ G 2.1 = 3.07 ⋅ 10 − 25
0.0004
= 1.09 ⋅10 − 4
3.67
⇒ G = 7.50 ⋅10 −5 m / h ≅ 75 µm / h
LM
0.0004
=
= 1.45 h
3.67 ⋅ G 3.67 ⋅ 7.50 ⋅10 −5
∆c =
G
7.50 ⋅10 −5
=
= 0.015 kg / kg soluzione
0.005
0.005
Si può quindi calcolare la concentrazione nel cristallizzatore:
23
c = c*(25°C) + ∆c = 0.6765 + 0.015 = 0.6915 kg/kg soluzione
Si effettua il bilancio di materia e di calore, trascurando il calore sensibile dei cristalli, assumendo
che il calore specifico della soluzione sia costante e fissando come temperatura di riferimento 0°C:
wi = V + wu + wcristalli
ci = 0.7094
Ti = 32
wi
wi ⋅ci = wu ⋅cu + wcristalli
c = 0.6915
T = 25
V = wi – wu – wcristalli
wi =
V
cu = 0.6915
Tu = 25
wu
wcristalli = 1000
w u ⋅ c u + w cristalli
ci
w u ⋅ c u + w cristalli
− w u − w cristalli
ci
wi ⋅csol ⋅(Ti-Trif ) = wu ⋅csol (Tu – Trif) + V [λvap(0°C) + cvap (Tu – Trif)] + wcristalli⋅λcristallizzazione
V=
 w .c + w cristalli

w u .c u + w cristalli
⋅ c sol ⋅ Ti = w u .c sol ⋅ Tu +  u u
− w u − w cristalli  λ vap (0°C) + c vap ⋅ Tu +
ci
ci


+ w cristalli ⋅ λ cristallizzazione
[
]
wu .0.6915 + 1000
 w .0.6915 + 1000

⋅ 0.76 ⋅ 32 = wu ⋅ 0.76 ⋅ 25 +  u
− wu − 1000  (598 + 0.45 ⋅ 25) + 1000 ⋅ 28
0.7094
0.7094


20.08 ⋅ wu = 243292
wu = 12118 kg/h
⇒
wi = 13222
kg/h V = 104 kg/h
Va ora fatta la verifica del valore della densità del magma, che è bene sia compresa tra 50 e 200
kg/m3. La portata volumetrica di soluzione uscente è:
Qu =
wu
ρ soluzione
=
12118
= 9.25 m 3 / h
1310
MT =
w cristalli 1000
=
= 108 kg / m 3
Qu
9.25
Si può procedere al dimensionamento dell’apparecchio, basandosi sul tempo di residenza. Il volume
occupato dalla soluzione è:
w ⋅τ
13222 ⋅1.45
Vsoluzione = Qi ⋅ τ = i
=
= 14.6 m 3
ρ soluzione
1310
Trattandosi di un cristallizzatore evaporativo si può assumere che la soluzione occupi circa il 55%
dell’apparecchio:
V
14.6
Vcristallizzatore = soluzione =
= 26.5 m 3
0.55
0.55
L’apparecchio sarà composto da un mantello cilindrico, chiuso superiormente da un fondo ellittico
ed inferiormente da un fondo conico. Per il mantello cilindrico si può supporre un rapporto H/D =
1.5, per il fondo ellittico un rapporto degli assi 2:1 e per il fondo conico un angolo dell’apice 60°:
24
Vcristallizzatore =
π ⋅ D2
4
14
D D D  1  D2
D 
⋅ H +  ⋅π ⋅ ⋅ ⋅  + ⋅π 
⋅
=
2 3
2 2 4  3  4 2 ⋅ tg (30) 
= 1.178 ⋅ D 3 + 0.131 ⋅ D 3 + 0.227 ⋅ D 3 = 1.536 ⋅ D 3
D=3
Vcristallizzatore 3 26.5
=
= 2 .6 m
1.536
1.536
Il diametro del cristallizzatore è quindi pari a 2.6 m e l’altezza totale a circa 6.5 m.
Occorre effettuare la verifica della sezione trasversale, che deve assicurare che la velocità
ascensionale del vapore sia al di sotto di quella critica per il trascinamento delle goccioline.
∆Teb = 104.9 ⋅ x s
xs =
1.14
c PM ac.citr.
0.6863 210.12
=
= 0.158
c PM ac.citr. + (1 − c) PM H 2O 0.6863 210.12 + (1 − 0.6863) 18
∆Teb = 104.9 ⋅ x s
1.14
= 104.9 ⋅ 0.1581.14 = 12.8 °C
La pressione nel cristallizzatore è quindi pari alla tensione di vapore dell’acqua pura a:
T = 25 - ∆Teb = 25 –12.8 = 12.2 °C
Sul Perry’s Chemical Engineers Handbook si trova ps(12.2°C) = 10.7 mm Hg = 0.0141 atm.
A questa pressione la densità del vapor d’acqua si può calcolare con la legge dei gas perfetti:
ρ vap =
P ⋅ PM H 2O
0.0141 ⋅ 18
=
= 0.0104 kg / m 3
R ⋅T
0.0821 ⋅ (25 + 273.2)
La sezione di passaggio deve essere tale che la velocità di passaggio del vapore deve essere inferiore
al valore massimo (relazione 6.2.23 a pag.195 del testo):
u max = 0.035
u=
Qvap
S
=
wvap
ρ vap
ρL − ρv
1310 − 0.0104
= 0.035
= 12.4 m / s
ρv
0.0104
⋅
4
104
4
=
⋅
= 0.52 m / s
2
π ⋅D
3600 ⋅ 0.0104 3.14 ⋅ 2.6 2
La sezione per il passaggio del vapore è quindi largamente sufficiente ed è giustificato il grado di
riempimento, relativamente alto, fissato in precedenza.
Esercizio 2. Progetto di un cristallizzatore discontinuo
Una soluzione di solfato di potassio, a concentrazione 16.3 g/100 g soluzione e che si trova a 70°C,
viene inviata ad un cristallizzatore che opera per raffreddamento, per produrre 1000 kg di cristalli di
solfato di potassio di dimensioni medie pari a 500 µm. Si richiede di dimensionare il
25
cristallizzatore.
Le proprietà fisiche e le cinetiche di cristallizzazione del solfato di potassio sono:
∆c
G = 2.5⋅∆c2
[kg/kg acqua]
c* (g/100 g soluzione)
T (°C)
11.5
30
12.9
40
[m/h]
14.2
50
15.4
60
16.5
70
Anzitutto conviene convertire le concentrazione a kg/kg acqua, unità in cui è nota la cinetica dio
accrescimento:
c (g / 100 g soluzione)
c (kg / kg acqua ) =
100 − c (g / 100 g soluzione)
Si può ricalcolare la concentrazione iniziale ed i dati di solubilità in funzione della temperatura:
ci = 16.3 g/100 g soluzione = 0.195 kg/kg acqua
c* (kg/kg acqua)
T (°C)
0.130
30
0.148
40
0.166
50
0.182
60
0.198
70
Sulla base dei dati di solubilità si può valutare la temperatura di solubilità della soluzione entrante,
pari a circa 68.1 °C. La soluzione è quindi sottosatura: la temperatura di nucleazione si può ricavare
dal diagramma 6.2.2, in funzione della velocità di agitazione. Per sicurezza ci si mette sulla curva a
600 giri/min, che è quella a cui corrisponde l’intervallo di metastabilità più ristretto e si legge Tnucl ≅
59°C.
Per ottenere la dimensione desiderata occorrerà lavorare effettuando la semina. Si stabilisce di fare
questa operazione dopo aver sottoraffreddato la soluzione entrante di un ∆T pari al 40%
dell’intervallo di metastabilità.
⇒
∆T = 0.4⋅∆Tmetastabilità = 0.4⋅(68.1 - 59) ≅ 3.6
Tsemina = Ti - ∆T = 68.1 – 3.6 = 64.5°C
La temperatura finale della soluzione dipende dalla temperatura a cui è disponibile il fluido
refrigerante. Ipotizzando di avere a disposizione acqua di raffreddamento a 25°C si può fissare la
temperatura finale della soluzione a 35°C. Si può anche pensare di realizzare condizioni di
raffreddamento tali da mantenere costante la sovrassaturazione ∆c.
∆c ≅ cost ≅ ∆ci = ci – c*(64.5°C) = 0.195 – 0.189 = 0.006 kg/kg acqua
cf = c*(35°C) + ∆c = 0.139 +0.006 = 0.145 kg/kg acqua
La massa di solfato di potassio che precipita per ogni kg di acqua presente è pari a:
Massasolfato = ci - cf = 0.195 – 0.145 = 0.05 kg/kg acqua
Quindi, per ottenere la precipitazione di 1000 kg di solfato di potassio occorre una quantità di acqua
pari a:
Massa acqua =
1000
= 20000 kg pari a circa 20 m3
0.05
26
Si può quindi controllare subito la densità del magma:
MT =
Massa solfato
Massa solfato 1000
≅
=
= 50 kg / m 3 , valore modesto, ma accettabile.
Volume soluzione Volume acqua
20
La velocità di accrescimento è costante e pari a:
G = 2.5⋅∆c2.5 = 2.5⋅0.0062.5 = 9⋅10-5 m/h = 90 µm/h
Il tempo necessario all’accrescimento dei cristalli dipende dalle dimensioni dei cristalli di semina
che, comunque, è parecchio più piccola di quella finale:
t=
L f − L se min a
G
La quantità di cristalli di semina, assumendo che non vi sia nucleazione né primaria né secondaria si
può valutare con la relazione 6.2.20:
M se min a
L
≅ M f ⋅  se min a
 Lf



3
Si confrontano ora due diverse dimensioni di cristalli di semina:
Semina 106-125µm
Lsemina = 115.5 µm
Semina 63-75µm
Lsemina = 69 µm
3
 115.5 
M se min a ≅ 1000 ⋅ 
 = 12.3 kg
 500 
500 − 115.5
t=
= 4.27 h ≅ 4 h 15 min
90
3
 69 
M se min a ≅ 1000 ⋅ 
 = 2.6 kg
 500 
500 − 69
t=
= 4.79 h ≅ 4 h 50 min
90
Si nota che la massa dei cristalli di semina sia di molto inferiore a quella finale ed influenzi quindi
poco il bilancio di massa.
Il cristallizzatore contiene circa 20 m3 di soluzione, come calcolato in precedenza. Poiché il
cristallizzatore lavora per raffreddamento si può ipotizzare un grado di riempimento piuttosto
elevato, per esempio 80%:
Vcristallizaztore =
Vsoluzione
= 25 m 3
0 .8
Il cristallizzatore può essere assimilato ad un cilindro con rapporto di snellezza H/D pari a 2. Si ha
quindi:
V
⋅4
π ⋅ D2
π ⋅ D2
25 ⋅ 4
Vcristallizzatore =
⋅H =
⋅2⋅D
⇒
D = 3 cristallizatore
=3
≅ 2.5 m 3
4
4
2⋅π
2 ⋅ 3.14
Il cristallizzatore ha quindi 2.5 m di diametro e 5 m di altezza.
27