LINFOMA DI HODGKIN
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La malattia di Hodgkin è un linfoma, cioè una neoplasia del sistema linfatico ed è una delle malattie
neoplastiche in cui si è verificato uno dei più significativi miglioramenti in termini di prognosi e
definizione delle strategie terapeutiche..
Il sistema linfatico è costituito da un insieme di sottili vasi che si ramificano in tutto il corpo e da
piccoli organelli più o meno rotondeggianti, chiamati linfonodi, localizzati a diversi livelli del
sistema linfatico. Il sistema linfatico aiuta il corpo a combattere malattie ed infezioni; nei vasi
linfatici scorre la linfa, un fluido incolore contenente linfociti, cellule che, assieme ai granulociti ed
ai monociti costituiscono i globuli bianchi.
Ci sono gruppi di linfonodi a livello cervicale, ascellare, inguinale, nell'addome, nella pelvi. Altri
componenti del sistema linfatico sono:
- la milza, un organo che partecipa alla risposta immunitaria, filtra il sangue e distrugge i
globuli rossi "vecchi";
- il timo, un organo posto sotto lo sterno;
- le tonsille, poste a livello della gola.
Il linfoma di Hodgkin, nella maggior parte dei casi, origina nel collo ( a partenza dai linfonodi
cervicali) o nel mediastino (una zona interposta tra polmoni, sterno e colonna vertebrale). Dato che
c'è tessuto linfatico in molte parti del corpo, il linfoma di Hodgkin potenzialmente può originarsi da
qualsiasi linfonodo. Se la malattia si diffonde al di fuori del sistema linfatico, può coinvolgere i
polmoni, le ossa, il midollo osseo ed il fegato.
EPIDEMIOLOGIA
Il linfoma di Hodgkin non è una neoplasia esclusivamente dell'età pediatrica. Nei paesi
socioeconomicamente avanzati, l'incidenza è bassa nel bambino, per aumentare nel secondo
decennio di vita, e un secondo picco di incidenza lo si ha dopo i 50 anni.
La malattia di Hodgkin è raramente diagnosticata in bambini di età inferiore a 5 anni.
Analogamente a quel che accade nell'adulto sono più colpiti i maschi, ma tale tendenza si attenua
dopo il decimo anno di età. Negli adolescenti, l'incidenza di comparsa tra maschi e femmine è
abbastanza simile.
FATTORI DI RISCHIO
Nonostante la descrizione della malattia di Hodgkin risalga alla prima metà del secolo scorso (1832)
e malgrado gli ottimi risultati terapeutici ottenuti, l'origine di tale patologia resta non ben nota.
L'andamento epidemiologico suggerisce l'intervento di un agente eziologico a bassa infettività,
almeno per quanto riguarda l'età pediatrica ed il giovane adulto, in grado di indurre la comparsa
della malattia. In particolare, numerosi dati inducono a correlare la malattia di Hodgkin con il virus
di Epstein-Barr (EBV). Questo linfoma può rappresentare il risultato comune di multipli processi
patologici che includono l'infezione virale e l'esposizione di un ospite geneticamente suscettibile ad
un agente sensibilizzante.
Il ricorrere di casi di linfoma di Hodgkin all'interno di certi gruppi familiari o in certe etnie sembra
suggerire, in alcuni casi, una predisposizione genetica alla malattia o una comune esposizione ad un
medesimo agente eziologico. Ci sono alcune segnalazioni di casi di malattia di Hodgkin in parenti
di primo grado, soprattutto se dello stesso sesso; i gemelli monozigoti hanno un rischio più elevato,
in età giovane ed adulta, di sviluppare la malattia di Hodgkin. La malattia di Hodgkin è
diagnosticata più frequentemente in persone con alterazioni del sistema immunitario, un dato che
può in parte spiegare il leggero aumento di incidenza a livello di alcune famiglie. Fattori eziologici
sottostanti al difetto immunologico includono fattori genetici, infezioni ed agenti iatrogeni.
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TIPI DI LINFOMA DI HODGKIN
La cellula neoplastica tipica della malattia di Hodgkin è una cellula gigante con tanti nuclei, di
verosimile natura linfocitaria, detta cellula di Reed-Sternberg: essa costituisce normalmente una
minima quota (1-2 %) dell'infiltrato cellulare a carico dei tessuti linfonodali, che è per la maggior
parte composto da cellule infiammatorie e fibrosi.
Esistono quattro tipi di linfoma di Hodgkin:
Varietà sclerosi nodulare: è il più comune tipo di linfoma di Hodgkin, interessando circa il 40%
dei giovani pazienti ed il 70% degli adolescenti.
Varietà cellularità mista: questo sottotipo è comune in pazienti con HIV o con EBV; è più
frequente nei maschi. Colpisce approssimativamente il 30% dei pazienti, frequentemente bambini di
10 anni o meno, e si presenta spesso come malattia avanzata.
Varietà a predominanza linfocitaria: in questo sottotipo, le cellule al microscopio sembrano
linfociti normali. Colpisce dal 10% al 15% dei pazienti, è più comune tra i maschi e spesso si
presenta clinicamente come malattia localizzata. In genere comincia dai linfonodi ascellari,
cervicali ed inguinali; meno frequentemente coinvolge i linfonodi toracici.
Varietà a deplezione linfocitaria: questo sottotipo è veramente raro nel bambino, ma è aggressivo.
Colpisce soprattutto pazienti affetti dal virus dell'immunodeficienza umana.
".
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SINTOMI
Linfoadenopatia
La malattia si manifesta tipicamente con un aumento delle dimensioni dei linfonodi, che si verifica
in genere in modo subdolo, tanto da essere spesso riscontrata casualmente. La presentazione clinica
alla diagnosi è più frequentemente a carico delle stazioni linfonodali del collo, sopraclavicolari e del
mediastino, meno spesso della regione ascellare, inguinale e retroperitoneale. Almeno due terzi dei
pazienti si presentano con vari gradi di coinvolgimento mediastinico: quest'ultimo è per lo più
asintomatico, ma può anche presentarsi con una tosse non produttiva o con altri sintomi di
compressione tracheale o bronchiale. L'interessamento mediastinico è spesso associato al sottotipo
istologico sclerosi nodulare; quando rappresenta l'unica sede di malattia, non di rado viene
riscontrata fortuitamente, con esame radiologico del torace eseguito per altro motivo.
Poco frequentemente, il primo segno di presentazione della malattia è una linfoadenopatia ascellare
o inguinale. L'interessamento della milza può essere focale (cioè interessare solo una parte
dell'organo) e non accompagnata da splenomegalia (aumento delle dimensioni della milza).
Segni sistemici
Possono essere presenti sintomi sistemici aspecifici, quali fatica, anoressia, perdita di peso. Tre
precisi sintomi costituzionali sono correlati con la prognosi:
- febbre inspiegata, con valori di temperatura sopra i 38° C senza causa infettiva in atto
- perdita di peso pari o superiore al 10% nei 6 mesi precedenti la diagnosi
- sudorazione notturna (anche se sembra che questo sintomo sia meno importante, da un
punto di vista prognostico, rispetto agli altri)
La presenza di questi sintomi ha un valore prognostico negativo: i pazienti vengono classificati A o
B in caso di assenza o presenza, al momento della stadiazione, di anche uno solo di tali sintomi.
Il prurito è un altro sintomo sistemico comunemente osservato nei pazienti con malattia di
Hodgkin, che però manca di significato prognostico. In genere si presenta più frequentemente in
pazienti con malattia di stadio avanzato, può accompagnare altri sintomi sistemici, in genere è più
frequente nelle donne ed è spesso generalizzato. Il prurito può essere lieve o talmente intenso da
portare ad escoriazioni da grattamento.
Come per altri tumori del bambino, i genitori spesso si sorprendono che loro stessi o il pediatra non
se ne siano accorti prima, ma bisogna tenere presente che i tumori sono un'evenienza rara nei
bambini. A tutt'oggi, per un pediatra è ancora difficile riconoscere immediatamente un tumore
infantile e questo non per imperizia o disattenzione ma, più semplicemente, perché la maggior parte
delle neoplasie pediatriche si manifesta all'esordio con sintomi vaghi ed aspecifici. Quando un
tumore si presenta con febbre, pallore, perdita di peso e debolezza o con disturbi del
comportamento ed instabilità dell'umore, è difficile pensare ad una neoplasia senza prima passare in
rassegna e poi escludere tutte le più frequenti e banali situazioni morbose che possono presentare lo
stesso quadro.
Non ci si deve, quindi, colpevolizzare, né genitori né pediatri, se non si è riconosciuto subito come
tumore qualcosa che nello stesso bambino, in altre occasioni, era un'indigestione o un'influenza o un
trucco per saltare la scuola. Fortunatamente, poi, nei casi di neoplasia infantile, il fattore "tempo" ha
un'importanza molto minore rispetto alle neoplasie degli adulti, ed una diagnosi più tardiva in
genere non significa maggior estensione di malattia e neppure preclude in maniera sostanziale la
possibilità di guarigione.
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DIAGNOSI
La diagnosi di neoplasia consta di varie tappe: dall'esame clinico del bambino alle indagini
laboratoristiche, fino alle indagini strumentali. Gli specialisti che forniscono all'oncologo i risultati
degli esami sono radiologi, chirurghi, patologi, biologi e microbiologi e lavorano accanto a lui per
tutto il percorso di malattia del bambino, intervenendo anche successivamente alla diagnosi nelle
valutazioni dei risultati delle terapie, che si effettuano ad intervalli previsti per tutto il corso delle
cure.
I bambini tendono ad avere linfonodi di dimensioni maggiori rispetto agli adulti. In genere, un
bambino presenta quest'ingrossamento dei linfonodi anche per molte settimane o mesi prima di
giungere al sospetto di linfoma di Hodgkin. Il pediatra all'inizio si orienta alla ricerca di segni
d'infezione che possono causare questa linfoadenopatia, e prescrive degli antibiotici. Se
l'ingrossamento linfonodale non recede dopo un ciclo di antibiotici, bisogna pensare a qualche
causa diversa da un'infezione.
Il pediatra farà un esame fisico del bambino, esaminando tutte le stazioni linfonodali, fegato e
milza, che possono risultare ingranditi in bambini con malattia di Hodgkin. Bisogno avere un'idea
della misura dell'ingrossamento linfonodale, in modo da verificarne le successive variazioni di
dimensioni.
Se i linfonodi non appaiono normali all'esame fisico e non rispondono agli antibiotici, bisognerà
prelevare del tessuto da questi linfonodi e cercare le eventuali cellule tumorali. La malattia di
Hodgkin si manifesta con un tipo di alterazione cellulare caratteristica, facilmente individuabile al
microscopio; il solo modo di fare diagnosi è proprio osservare al microscopio il tessuto prelevato
dal linfonodo alterato. Quando si preleva tessuto per analizzarlo, si dice che si pratica una biopsia.
Per eseguire la biopsia, il chirurgo incide la cute e rimuove il linfonodo intero o un frammento della
massa linfonodale. Se il linfonodo è superficiale, si può praticare un'anestesia locale, in genere con
una lieve sedazione. Se, invece, la localizzazione è profonda, andrà effettuata un'anestesia generale.
Talvolta, si può prima tentare di prelevare tessuto dal linfonodo facendo un'agoaspirato. In questo
caso, si usa un sottile ago attaccato ad una siringa per rimuovere piccole quantità di liquido e
tessuto dal linfonodo. Questo approccio può, però, non fornire abbastanza materiale per fare
diagnosi di malattia, così si fa ricorso ad essa solo quando una biopsia sembra troppo difficile o
pericolosa da praticare.
Dopo che la biopsia ha confermato la diagnosi di linfoma di Hodgkin, bisogna effettuare diversi
esami per individuare l'eventuale diffusione della malattia in sedi anche extralinfonodali (esami di
stadiazione, vedi sotto).
Non ci sono esami di laboratorio specifici che facciano fare diagnosi, ma nei pazienti con linfoma
di Hodgkin in genere sono presenti alterazioni aspecifiche . Vi può essere un aumento dei globuli
bianchi del tipo granulociti neutrofili, eosinofili e monociti, e diminuzione, invece, dei linfociti.
Nella fase iniziale di malattia, la conta assoluta dei linfociti è in genere normale nei bambini,
sebbene adulti con malattia estesa possano avere linfopenia. La presenza di anemia può indicare la
presenza di una malattia avanzata. I valori di altri esami, come la VES , i livelli ematici di rame (
cupremia) ed i livelli di ferritina possono essere elevati. Questi esami, non specifici, se alterati alla
diagnosi, possono essere utili nella valutazione del follow-up della patologia.
Le indagini strumentali comprendono radiografie (RX), ecografie (ECT), tomografie
computerizzate (TC), risonanza magnetica (RM) e scintigrafie. Questi esami compongono la
"diagnostica per immagini" e consentono di "vedere" all'interno del corpo senza la necessità di
interventi chirurgici esplorativi. Alcuni di questi esami prevedono l'iniezione di un "mezzo di
contrasto", che consente di visualizzare meglio le lesioni; in altri casi, se il bambino è molto piccolo
o poco collaborante, potrà essere necessaria una lieve anestesia generale o una sedazione perché
questi esami richiedono che sia mantenuta l'immobilità anche per un'ora.
La radiografia del torace fornisce informazioni preliminari circa il coinvolgimento mediastinico e
delle strutture toraciche.
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Tra gli esami diagnostici necessari per la stadiazione (vedi sotto) vi è l'ecografia epato-splenica e
la TC di collo, torace, addome e pelvi (TC dell'anello di Waldeyer in presenza di linfonodi
laterocervicali alti).
Per effettuare l'ecografia, si passa una sonda che emette ultrasuoni sul corpo del bambino; il tumore
genera differenti "segnali di risposta" rispetto al tessuto normale. Le onde emesse sono riflesse
indietro ed un computer le traduce in immagini, cosicché il medico può localizzare la posizione
dell'eventuale massa all'interno del corpo. La procedura è indolore.
Per meglio valutare la natura e l'estensione della massa è usata la TC . Con questo esame si creano
immagini tridimensionali usando raggi-x e l'elaborazione al computer; con essa si può evidenziare
se i linfonodi toracici o addominali sono aumentati di dimensioni, segno di possibile interessamento
tumorale.
Il parenchima polmonare, la parete toracica, la pleura e il pericardio sono i siti di malattia
extralinfonodali più coinvolti e vanno valutati con la TC.
Il coinvolgimento splenico lo si ha nel 30% - 40% dei pazienti con malattia di Hodgkin, e le
dimensioni della milza possono non correlare con l'effettivo grado di coinvolgimento dell'organo da
parte della malattia. Le dimensioni del fegato ed i test di funzionalità sono indicatori inattendibili di
malattia epatica. Le dimensioni dell'organo ed il grado di coinvolgimento non correlano
strettamente tra loro, dato che i depositi tumorali possono essere inferiori ad 1 cm di diametro e non
essere visualizzabili con le tecniche di diagnostica per immagini. Sia la TC che la RMN dimostrano
il coinvolgimento epatico o splenico quando questi organi appaiono aumentati di dimensioni, con
aree di alterata densità. Dati i limiti della diagnostica per immagini, solo l'istologia fornisce una
valutazione definitiva dell'interessamento di fegato e milza. E' vero, comunque, che attualmente,
con i progressi fatti nell'ambito della diagnostica per immagini e nell'uso della chemioterapia
sistemica, si ricorre raramente alla chirurgia per valutare il grado di coinvolgimento di questi
organi.
La presenza di malattia a livello sottodiaframmatico può essere valutata con la TC, la RMN o con la
linfografia.
Gli studi di medicina nucleare sono spesso usati in pazienti con la malattia di Hodgkin come mezzo
diagnostico e di monitoraggio della malattia; tra gli esami diagnostici obbligatori vi è anche una
scintigrafia ossea con Tecnezio-99. Questo esame mostra se la malattia di Hodgkin si è diffusa
all'osso. Le metastasi ossee non sono comuni nei bambini con linfoma di Hodgkin; si ritrovano nei
casi di bambini con malattia avanzata ed interessamento diffuso alla diagnosi. Si tratta di pazienti
con dolore osseo o altri segni di diffusione della malattia al di fuori della circolazione linfatica.Solo
in caso di positività della scintigrafia ossea, va effettuata una radiografia dello scheletro.
La scintigrafia PET con FDG è particolarmente utile nella stadiazione della malattia e nella
valutazione della risposta dopo terapia. Questi esami sono usati per valutare la risposta del paziente
al trattamento. Prima della terapia, le aree di malattia attiva appaiono nere o "calde" all'esame
scintigrafico della maggior parte dei pazienti. Durante e dopo la terapia, queste aree "calde" in
genere scompaiono, segno che le cellule tumorali stanno morendo. Questi esami possono
rassicurare familiari e medici, senza praticare una biopsia, che il tessuto cicatriziale ancora presente
alla TC dopo la terapia non contiene cellule tumorali attive.
L'interessamento del midollo osseo alla diagnosi è poco comune, soprattutto nei casi di malattia
localizzata, e raramente si riscontra come sito isolato di malattia extralinfonodale. L'eventuale
infiltrazione può essere localizzata o diffusa ed è spesso accompagnata da una fibrosi del midollo,
reversibile. Limitarsi all'esecuzione di un aspirato midollare può essere inadeguato per valutare la
presenza di malattia midollare. Una biopsia ossea va eseguita nei casi di pazienti con sintomi
(categoria B) o inclusi nel III o IV stadio (vedi avanti.
La malattia di Hodgkin deve essere differenziata da altre cause infiammatorie di linfoadenopatia, in
particolare da quelle infezioni con andamento lento ( come l'infezione da micobatteri atipici e la
toxoplasmosi). Il linfoma non Hodgkin può presentarsi con segni e sintomi simili, ma la velocità di
crescita dei linfonodi interessati è spesso più rapida rispetto a quanto accade in caso di malattia di
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Hodgkin. Una linfoadenopatia cervicale deve essere differenziata anche da altri tumori (ad esempio,
carcinoma nasofaringeo o sarcoma dei tessuti molli) che abbiano dato metastasi (cioè una diffusione
a distanza della malattia) proprio a livello di quei linfonodi.
STADIAZIONE
Al momento della diagnosi si affianca quello della stadiazione, importante processo i cui risultati
concorrono a definire terapia e prognosi del tumore (cioè come la neoplasia si comporterà). Dopo
aver effettuato gli esami di stadiazione, infatti, il medico assegna al paziente ad uno "stadio", che
chiarisce quanto grande è la neoplasia e se si è già diffusa a distanza. La definizione dello stadio
verrà stabilita collegialmente dall'intera equipe curante (oncologo, radiologo, chirurgo,
anatomopatologo, etc) sulla base dell'esame obiettivo e sulla scorta delle varie indagini effettuate.
La classificazione in stadi adottata è quella proposta da Ann Arbor (1971):
STADIO I: compromissione di una singola regione linfonodale (I) o di un singolo organo o di una
sede extralinfatica (IE).
STADIO II: compromissione di due o più regioni linfonodali dallo stesso lato del diaframma (II) o
interessamento localizzato di un organo o di una sede extralinfatica associata ad una o più regioni
linfonodali dallo stesso lato del diaframma (IIE ).
STADIO III: compromissione di una o più regioni linfonodali sopra e sotto diaframmatiche (III)
che possono essere associate ad un interessamento localizzato di un organo o di una sede
extralinfatica (IIIE ) o ad interessamento della milza (IIIS) o ad entrambi (IIIES).
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STADIO IV: compromissione diffusa o disseminata di uno o più organi o tessuti extralinfatici
(polmoni, fegato, ossa, midollo osseo o altri organi) con o senza contemporaneo interessamento di
stazioni linfonodali.
Oltre alla stadiazione, ogni paziente è anche assegnato ad una sottoclassificazione: appartengono
alla sottoclasse "A" i pazienti asintomatici, alla "B" i pazienti con febbre inspiegata maggiore di
38°C, sudorazione notturna o perdita di peso maggiore del 10% nei sei mesi precedenti, senza cause
note.
TRATTAMENTO
La rarità delle neoplasie pediatriche e la complessità della terapia rendono indispensabile il
trattamento presso centri altamente specializzati, con competenze multispecialistiche. Il trattamento
si avvale di differenti metodiche, variamente organizzate nel tempo. L'organizzazione di queste
metodiche dipende, in gran parte, dalla stadiazione del tumore, dalla sua istologia, dall'età del
paziente e dalle caratteristiche genetiche non ereditarie (a carico dei cromosomi o dei geni che li
costituiscono) della neoplasia. Una volta in possesso di tutti i dati riguardanti il tumore, prima di
iniziare il trattamento vero e proprio occorre considerare la situazione clinica generale di ciascun
paziente perché il suo stato nutrizionale, la sua funzionalità renale ed epatica, il suo stato
psicologico ci orienteranno nell'organizzare una cura che, se anche segue uno schema terapeutico (o
protocollo) predefinito per ogni tipo di neoplasia, deve però anche essere personalizzata in alcuni
suoi aspetti.
Nel caso del linfoma di Hodgkin, il trattamento è dato da chemioterapia, radioterapia o dalla
combinazione di entrambi. La durata ed il tipo di terapia per trattare il linfoma di Hodgkin
dipendono dal numero di stazioni linfonodali coinvolte e dall'entità dell'ingrossamento linfonodale.
I bambini con malattia "bulky" o con malattia estremamente avanzata naturalmente ricevono più
radio e chemioterapia dei pazienti con malattia localizzata. Attualmente, la tendenza è quella di
cercare di ridurre la quantità di terapia somministrata per evitare gli effetti collaterali a distanza.
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Il trattamento, comunque, è notevolmente migliorato negli ultimi anni, anche grazie ai "trials
clinici" condotti.
I trials clinici sono il metodo standard di trattamento dei bambini con cancro; infatti, circa il 75%
dei pazienti pediatrici affetti da neoplasia sono trattati secondo un trial clinico. I trials clinici sono
studi di ricerca che mettono a confronto la miglior terapia disponibile al momento per quel tipo di
tumore (trattamento standard) con terapie nuove, che potrebbero funzionare meglio. Il cancro nel
bambino è raro, per questo è difficile per i medici pianificare protocolli di trattamento senza sapere
come vengono trattati gli altri bambini affetti dallo stesso tipo di patologia. Dal momento che queste
terapie sono nuove, questi bambini vengono monitorati con molta attenzione.
Bisogna, comunque, ricordare che ogni bambino che si ammala è un individuo unico e particolare,
ed i confronti con situazioni che possono apparire simili sono nella maggior parte dei casi
fuorvianti. Ciò vale per tutte le malattie e, a maggior ragione, per i tumori pediatrici.
E' opportuno sapere cosa si intende quando si parla di:
Remissione completa: è la situazione in cui la malattia, in seguito al trattamento, non è più
rilevabile né all'esame obiettivo, né agli esami di laboratorio, nè alla diagnostica per immagini.
Questa scomparsa della malattia in alcuni casi è reale e duratura, in altri solo apparente ed il tumore
può ripresentarsi dopo un certo intervallo di tempo.
Se la malattia non è del tutto scomparsa, si parla di remissione parziale.
Recidiva (o ricaduta): è il ricrescere della neoplasia, nella sede del tumore primitivo o in altre sedi,
dopo che il trattamento o la chirurgia ne avevano indotto la riduzione o la scomparsa. Può avvenire
anche dopo parecchi mesi da un' apparente, completa guarigione e le possibilità di curarla sono
molto minori.
CHEMIOTERAPIA
I farmaci chemioterapici esplicano il massimo della loro azione nei confronti di cellule in fase di
rapida crescita, cioè proprio verso quel tipo di cellule che caratterizzano le neoplasie pediatriche.
L'efficacia della chemioterapia nelle neoplasie del bambino è maggiore rispetto all'adulto. I farmaci
chemioterapici sono detti anche antiblastici; questa parola deriva dal greco anti (contro) basto
(germogliare), proprio per indicare che queste sostanze impediscono alle cellule di "germogliare",
cioè di riprodursi. Gli antiblastici agiscono, perciò, direttamente attraverso vari meccanismi solo su
cellule capaci di riprodursi. Essi, una volta somministrati, entrano nel circolo sanguigno e vanno a
colpire il cancro nelle parti del corpo ove si è localizzato; si parla, infatti, di terapia sistemica. In
genere, i farmaci antiblastici sono somministrati per via endovenosa. Per evitare ripetute punture
venose, ma soprattutto per evitare che questi farmaci possano creare lesioni delle vene periferiche e,
nel caso di rottura del vaso, ai tessuti circostanti, si preferisce somministrarli attraverso un catetere
venoso centrale, piuttosto che tramite puntura venosa periferica. Il catetere venoso centrale è un
tubicino sottile e morbido, di materiale anallergico, che viene introdotto chirurgicamente, in
anestesia generale, in un grosso vaso venoso del collo. Una delle sue estremità seguirà il percorso di
questo grosso vaso fino al suo sbocco nell'atrio destro del cuore e sarà posizionato sotto guida
radiografica, in modo tale da non creare inconvenienti. Nel tipo di catetere più frequentemente
usato, l'altra estremità è posizionata per un tratto sotto la cute della parte alta del torace attraverso
un "tunnel", il cui sbocco sarà al centro del torace, tramite un minuscolo foro cutaneo destinato a
cicatrizzarsi in breve tempo attorno al tubicino. Dal torace del bambino questo tubicino sporgerà per
una decina di centimetri; a questa estremità è applicato un dispositivo che consente di mantenere
chiuso il catetere quando non è utilizzato e di raccordare poi gli strumenti che consentono la
somministrazione della terapia ed il prelievo del sangue. Il catetere consente, quindi, di avere
sempre a disposizione una via di accesso venoso, cosa importantissima in caso di emergenza e,
nello stesso tempo, consente di non obbligare il piccolo paziente all'immobilità di un arto, data la
prolungata durata di alcune infusioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, per diminuire gli effetti
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tossici dei farmaci senza ridurne gli effetti terapeutici, viene eseguito una sorta di "lavaggio"con
infusioni di notevoli quantità di liquidi, e queste durano anche più di 24 ore.
Il protocollo di terapia AIEOP LH 2004 prevede la distinzione di tre gruppi terapeutici, in rapporto
allo stadio di malattia:
GRUPPO 1: saranno trattati secondo questo schema terapeutico i pazienti di stadio I A, II A con
malattia di dimensioni modeste.
Il protocollo prevede 3 cicli di ABVD in successione. Ogni ciclo chemioterapico comprende 2 fasi,
separate da un periodo di 14 giorni. A sua volta, tra un ciclo ed il successivo è previsto un intervallo
di 14 giorni. Ultimati i 3 cicli ABVD, i pazienti che non hanno conseguito la remissione completa
della malattia riceveranno il trattamento radiante. I pazienti in remissione completa di malattia,
dopo i 3 cicli ABVD non riceveranno il trattamento radiante e sospenderanno la terapia. La
radioterapia, localizzata alle aree interessate alla diagnosi, riservata ai pazienti in remissione
parziale con/senza impegno mediastinico, seguirà la fase chemioterapica e sarà iniziata dopo 3 - 4
settimane, in rapporto ai valori dell'emocromo.
GRUPPO 2: saranno trattati secondo questo schema terapeutico tutti i pazienti non inseriti nei
gruppi terapeutici 1 e 3.
Il programma terapeutico prevede 4 cicli "ibridi" COPP/ABV ogni 28 giorni, seguiti da trattamento
radiante. I pazienti in remissione completa al termine del 4° ciclo chemioterapico COPP/ABV
riceveranno il trattamento radiante dopo un intervallo non inferiore a 3 settimane, compatibilmente
con la ripresa ematologica. I pazienti in remissione parziale al termine del 4° ciclo, saranno trattati
con altri 2 cicli di chemioterapia (IEP: Ifosfamide, Etoposide, Prednisone) al termine dei quali
seguirà il trattamento radiante.
I pazienti in stadio III inizieranno il trattamento radiante sulla sede di maggiore interessamento
all'esordio o sui residui di malattia.
GRUPPO 3: saranno trattati secondo questo schema terapeutico:
- tutti i pazienti con malattia voluminoso, indipendentemente dallo stadio
- i pazienti in stadio III A e IV A e B
Il programma terapeutico prevede 6 cicli "ibridi" COPP/ABV ogni 28 giorni, seguiti da trattamento
radiante.
I pazienti in remissione parziale al termine del 4° ciclo di chemioterapia COPP/ABV, saranno
trattati con 2 cicli di terapia più intensa, al termine dei quali, se sarà stata conseguita la remissione
completa, seguirà trattamento radiante. Se, invece, sarà stata raggiunta solo una remissione parziale,
i pazienti riceveranno ulteriori cicli di terapia, seguiti da radioterapia.
I pazienti in stadio III eseguiranno il trattamento radiante sulla sede di maggiore interessamento
all'esordio o con residui di malattia.
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EFFETTI TOSSICI (PRECOCI E TARDIVI) DA CHEMIOTERAPIA
I chemioterapici agiscono sulle cellule in attiva proliferazione e quindi, purtroppo, non sono
selettivi, cioè non riescono a distinguere una cellula tumorale da una che non lo è. Però, mentre le
cellule tumorali, che sono devianti dalla norma, una volta uccise nella totalità della loro
popolazione, non si dovrebbero ripresentare più, le cellule normali dell'organismo che erano state a
loro volta uccise, vengono sostituite dalle loro consorelle più giovani che, al momento della
somministrazione del farmaco, si trovavano in una fase di vita in cui non erano sensibili all'azione
della chemioterapia .Gli effetti tossici dovuti alla chemioterapia si manifestano durante e/o nei
giorni immediatamente successivi alla somministrazione degli antiblastici (tossicità precoce)
oppure a distanza di mesi o anni (tossicità tardiva). Ogni farmaco presenta effetti tossici specifici,
che dipendono dalla dose, dalla via di eliminazione, dalle caratteristiche farmacologiche.
I tessuti normali più soggetti all'azione degli antiblastici sono cute ed annessi cutanei (capelli),
mucose (del cavo orale, ad esempio), midollo osseo ed organi emuntori (fegato e rene).
TOSSICITA’ PRECOCE
 Tossicità midollare: si ha una diminuzione delle cellule del sangue con anemia, piastrinopenia
(che comporta un aumentato rischio di emorragie), neutropenia (cioè diminuzione delle cellule
deputate alla difesa dalle infezioni, il cui rischio dunque aumenta). La durata ed entità della tossicità
dipende dal farmaco somministrato. Durante questa fase vanno evitati traumi, ambienti affollati ed
il contatto con persone che possono trasmettere infezioni. In caso di febbre (durante un periodo di
neutropenia), il bambino va indirizzato tempestivamente ad un Centro competente, ove verrà
trattato con gli opportuni antibiotici. In caso di eccessiva anemia o piastrinopenia, il paziente,
naturalmente, verrà supportato con trasfusioni. Alcuni cicli di terapia prevedono la stimolazione del
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midollo osseo con un fattore di crescita (G-CSF) a partire da 48 ore dopo il termine della
chemioterapia, per ridurre la durata della neutropenia; l’efficacia, tuttavia, non è dimostrata.
Non praticandosi più la splenectomia per la stadiazione chirurgica, il rischio di serie infezioni
batteriche ad essa conseguenti è diminuito. Comunque, i pazienti sottoposti a splenectomia per la
malattia o come conseguenza della radioterapia, dovrebbero essere sottoposti ad antibioticoprofilassi. In questi pazienti il rischio di serie infezioni batteriche può essere ridotto anche con la
vaccinazione contro lo pneumococco, il meningococcco e contro Haemophilus influenzae.
Nel 35% dei pazienti con linfoma di Hodgkin si riscontrano varicella ed Herpes Zoster. La
frequenza del loro riscontro è direttamente correlata con l'intensità del trattamento. La pronta
somministrazione di terapia antivirale ha ridotto la severità e la morbilità di queste infezioni.
 Alopecia: si tratta di uno degli effetti collaterali più evidenti di alcuni farmaci chemioterapici. Pur
trattandosi di un problema temporaneo, la calvizie dura alcuni mesi, ovvero per tutto il tempo del
trattamento. Una volta terminata la somministrazione dei farmaci, i capelli ricrescono come prima.
La perdita dei capelli può, comunque, essere psicologicamente difficile da sopportare per i bambini
e, soprattutto, per gli adolescenti, dato che costituisce un segno evidente di uno stato di malessere.
Inoltre la caduta dei capelli è disomogenea, e la mattina il bambino si troverà ciocche sparse sul
cuscino; non essendo ciò molto piacevole, è meglio tagliarli completamente prima che ne cominci
la caduta, sia per un aspetto igienico sia dal punto di vista estetico, tenendo in considerazione il
probabile impatto psicologico di una testa con chiazze di capelli.
I bambini sotto i 7 - 8 anni in genere soffrono questo problema meno dei loro genitori, che talvolta
si sentono quasi "imbarazzati" a mostrare in pubblico il figlio calvo (atteggiamento non corretto),
mentre quest'ultimo e gli altri bambini possono non dare molto peso alla cosa, se non all'inizio. I
bambini possono magari tagliare i capelli alla loro bambola o scegliere bambolotti senza capelli.
La calvizie può risultare più demoralizzante per le bambine, soprattutto se avevano una chioma
fluente; esse si possono coprire la testa con un foulard o con un cappello. La soluzione parrucca ha
alcuni aspetti negativi e va quindi considerata bene. Se i genitori accettano la calvizie del figlio, la
accetterà anche lui; è importante rassicurare il piccolo paziente che si tratta di un fenomeno
temporaneo, connesso alle terapie; si deve cercare di non viverla come una menomazione, anche se
a volte l'atteggiamento della gente, che può dimostrare una curiosità morbosa o una compassione
non richiesta, non aiuta, ma bisogna cercare di non dare loro peso. E' importante, comunque,
avvertire in anticipo il piccolo paziente che perderà i capelli, in modo da dargli il tempo di abituarsi
all'idea. La decisione di indossare un cappello, un foulard o una parrucca deve essere sua: se
preferisce mostrarsi senza capelli, è una decisione che va rispettata: spesso i ragazzi sono meno
inibiti degli adulti!
 Vomito: si presenta durante la somministrazione del farmaco e talora persiste per 24-48 ore dopo.
Oggi si riesce a controllare abbastanza bene questo effetto collaterale mediante la somministrazione
di uno o più farmaci antiemetici (ondansetron, corticosteroidi, H1-antagonisti) a partire da 30
minuti prima e fino al termine della somministrazione dei farmaci antiblastici. Bisogna tenere
presente che non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo alle terapie, tanto che alcuni
bambini piccoli possono provare meno nausea degli adulti. La risposta è individuale, perciò non ci
si deve far impressionare troppo da altri casi: la reazione di vostro figlio potrebbe essere migliore di
quella di altri bambini e, comunque, i medici ne discuteranno con voi ed interverranno nel modo più
opportuno per contrastare questi effetti collaterali.
 Mucosite: l’esfoliazione delle mucose, soprattutto del cavo orale, è frequente, anche se la sua
gravità varia da farmaco a farmaco. Occorre provvedere ad un adeguato supporto nutrizionale e a
terapia antidolorifica, se necessaria. Le ulcerazioni della bocca e delle gengive, così come le micosi,
possono essere prevenute facendo regolarmente gli sciacqui disinfettanti che verranno prescritti. E’
importante che convinciate vostro figlio a pulirsi regolarmente la bocca con queste soluzioni, per
cercare di limitare lo sviluppo delle stomatiti (mucosite del cavo orale), che incide sulla possibilità
del bambino di ingerire cibo.
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 Perdita di peso, astenia: un calo dell’appetito è assolutamente normale, ma se il bambino vomita
molto e non riesce ad assumere cibo per troppo tempo, tanto da dimagrire in modo eccessivo, si
potrà intervenire nutrendolo per via endovena per qualche periodo. Non bisogna forzarlo ma è
necessario accettare la sua inappetenza.
Lo stesso discorso è valido per l’astenia. E’ normale che i bambini trattati con farmaci
chemioterapici si sentano deboli e necessitino di periodi più lunghi di sonno. Se il vostro bambino si
sente stanco, bisogna lasciarlo riposare, senza forzarlo a fare ciò che non gli va.
I principali effetti tossici “specifici” dei chemioterapici utilizzati nel trattamento del linfoma di Hodgkin
sono:
-Ciclofosfamide (endoxan), Ifosfamide: cistite emorragica. Quando si usa un farmaco nefrotossico per la
mucosa vescicale, è opportuno somministrare al bambino liquidi in abbondanza. La prevenzione della cistite
si effettua ricorrendo ad un uroprotettore, il MESNA;
-Vincristina: Sistema nervoso: neuropatia periferica, diminuzione-scomparsa dei riflessi tendinei, parestesie
(alterata sensibilità, senso di addormentamento degli arti, formicolii), dolori muscolari (soprattutto facciali)
ed articolari. Raramente convulsioni. Tratto gastrointestinale: stipsi (da moderata a grave), dolori
addominali, raramente vomito;
-Adriamicina: danni a carico del sistema cardiocircolatorio. Una miocardiopatia si manifesta inizialmente
con alterazioni elettrocardiografiche, fino a giungere all'insufficienza cardiaca acuta. In presenza di segni
suggestivi di alterazioni cardiache, bisogna considerare l'interruzione del trattamento con adriamicina.
L'adriamicina è radiosensibilizzante. La tossicità da adriamicina può essere aumentata in presenza di alterata
funzione epatica e/o renale, poiché il farmaco è escreto da questi due organi;
-Bleomicina: tossicità polmonare;
-Etoposide (VP16): reazioni acute da ipersensibilità, caratterizzate da ipotensione, broncospasmo,
insufficienza respiratoria, shock; se la reazione allergica insorta non è stata tale da controindicare in
modo assoluto una nuova somministrazione del farmaco, le successive dosi di VP16 devono essere
precedute dalla somministrazione di corticosteroidi e/o antistaminici (premedicazione).
RADIOTERAPIA
E’ una metodica attraverso la quale si uccidono le cellule tumorali con la somministrazione di
radiazioni dall’esterno. I tumori pediatrici sono altamente radiosensibili.
La radioterapia è parte integrante del trattamento del linfoma di Hodgkin in età pediatrica. Nel corso
degli ultimi anni, in base ai risultati dei principali studi clinici internazionali e nazionali, il suo
utilizzo è stato ridefinito con lo scopo di limitare l'entità delle possibili sequele tardive, senza
comunque compromettere il controllo locale della malattia. Nei vecchi protocolli di trattamento per
il linfoma di Hodgkin, si faceva ricorso ad alte dosi di terapia radiante, estesa a tutte le aree
linfonodali. I bambini trattati in questo modo avevano problemi a livello di crescita muscolare ed
ossea, ed erano ad alto rischio di sviluppare un secondo tumore in età adulta. Attualmente, si
combina la chemioterapia con basse dosi di terapia radiante, mirata alle sedi linfonodali interessate
dal tumore.
Il trattamento radioterapico richiede estrema precisione tutte le volte in cui viene erogato. Infatti,
prima di iniziare il trattamento effettivo, viene eseguito il cosiddetto “centraggio”, che consiste
nell’individuazione della massa bersaglio e degli organi critici da irradiare attraverso un esame TC .
E’, quindi, di cruciale importanza che la posizione assunta al momento del centraggio venga
riprodotta in modo fedele ed in assoluta immobilità ad ogni seduta, e ciò è permesso grazie a sistemi
di immobilizzazione (in materiale termoplastico, modellati in modo personalizzato), adattabili a
diversi distretti corporei, in modo da garantire un corretto posizionamento del paziente. L’utilizzo di
questi sistemi di immobilizzazione diventa particolarmente importante nei piccoli pazienti, per
impedire spostamenti durante il trattamento ed evitare di irradiare organi sani vicini al tumore.
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Già durante la fase preparatoria, in cui viene modellato il sistema di immobilizzazione ed eseguito il
centraggio TC, circa il 50% dei pazienti necessita di anestesia. Questa è necessaria abitualmente per
bambini al di sotto dei 3 anni, meno frequentemente in quelli di età superiore a 5 anni.
Sorprendentemente, la tolleranza ad anestesie ripetute è ottima.
Tossicità acuta da radioterapia
Gli effetti a breve termine derivanti dalla radioterapia sono generalmente non seri, limitati e
reversibili. Essi dipendono dalla dose totale somministrata e dal volume irradiato, con la tossicità
acuta maggiore riscontrata dopo alte dosi ed ampi volumi irradiati (raramente ciò è praticato nei
bambini). Sulla cute irradiata si può riscontrare eritema, iperpigmentazione o entrambi. In caso di
irradiazione della parte alta del collo, vi può essere un transitorio, parziale assottigliamento dei
capelli della nuca. Si possono verificare lievi disturbi gastrointestinali; se è necessario
somministrare una dose relativamente alta a livello tonsillare (anello di Waldeyer) sono possibili
alterazioni del senso del gusto e secchezza della bocca. Raro è il riscontro della cosiddetta
"sindrome di Lhermitte", cioè una sensazione di scossa elettrica irradiantesi giù per la schiena, fino
alle estremità, conseguente alla flessione del collo, e non costituisce segno prodromico di
successiva disfunzione neurologica.
La terapia attuale fa ricorso o alla sola chemioterapia o alla combinazione di chemio e radioterapia.
Si stanno conducendo vari studi per valutare i benefici ed i rischi derivanti dal somministrare
radioterapia nei pazienti che rispondono rapidamente alla chemioterapia. Per gli stadi avanzati, la
radioterapia è, in genere, inclusa; per i primi stadi, diversi regimi terapeutici escludono la
radioterapia in chi risponde bene alla chemioterapia. La cosa fondamentale è erogare terapia
sufficiente per la cura della malattia con il primo trattamento, dato che, in caso di recidiva di
malattia, l'entità della terapia da somministrare è maggiore.
EFFETTI TARDIVI
ALTERAZIONI DELL’APPARATO MUSCOLOSCHELETRICO E
DELL’ACCRESCIMENTO
Si tratta di una classica conseguenza del trattamento radiante a dosi elevate e campi estesi; ciò è
soprattutto evidente per i pazienti trattati in età di rapida crescita scheletrica (meno di 6 anni o
adolescenti). Ne conseguono diminuzione dei diametri toracici, simmetrica riduzione delle
clavicole, ipotrofia dei tessuti molli del collo, scoliosi, iposviluppo vertebrale. Con l’uso del
corticosteroide si è riscontrata necrosi avascolare della testa del femore ; a ciò può contribuire anche
l’uso di alte dosi di terapia radiante. Basse dosi di radioterapia, associate alla chemioterapia, non
sembrano essere associate con un ritardo di crescita clinicamente significativo.
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COMPLICANZE POLMONARI
Tra le complicanze polmonari acute e croniche sono incluse polmoniti da radiazioni, fibrosi
polmonare, pneumotorace spontaneo, sebbene si tratti di sequele non comuni, risultato di una
terapia praticata anni prima. Comunque, si è riscontrata una significativa incidenza di disfunzioni
polmonari asintomatiche dopo radioterapia associata a cicli ABVD, migliorate con il tempo. La
tossicità polmonare correlata all’ABVD può derivare dalla fibrosi indotta dalla bleomicina
(chemioterapico che può anche causare una malattia veno-occlusiva a livello polmonare).
COMPLICANZE CARDIOVASCOLARI
Sia la radio che la chemioterapia usata nel trattamento del linfoma di Hodgkin possono avere effetti
tossici sul cuore e sui vasi, sebbene complicanze sintomatiche a distanza non sono comuni. Si tratta
di cardiomiopatia con insufficienza cardiaca congestizia, pericarditi acute e costrittive croniche,
patologie delle coronarie ( e possibile infarto), alterazioni del sistema di conduzione, disfunzioni
valvolari e malattia vascolare periferica. La riduzione delle dosi di antraciclina e di terapia radiante
ha portato ad una diminuzione della tossicità acuta. Lo spettro delle possibili disfunzioni cardiache
va da alterazioni radiografiche asintomatiche a condizioni di grave rischio. Una malattia cardiaca
clinicamente evidente si riscontra raramente nei pazienti con linfoma di Hodgkin trattati durante
l’infanzia o l’adolescenza con le moderne tecniche radioterapiche. Comunque, l’osservazione di
alterazioni morfologiche agli ecocardiogrammi di controllo di questi pazienti sottolinea
l’importanza di non sottovalutare questa possibile complicanza.
La disfunzione cardiaca più comunemente riscontrata dopo chemioterapia è correlata all’uso di
antracicline, in particolar modo di doxorubicina. Il danno cardiaco da antracicline può essere
suddiviso in precoce o tardivo, in rapporto all’epoca di comparsa. Viene definita precoce la
cardiotossicità che si sviluppa durante la chemioterapia o entro un anno dalla sua sospensione, per
lo più data da tachicardia o da qualche altra alterazione all’ECG; aritmie serie non sono comuni.
Queste alterazioni non sono correlate con lo sviluppo di cardiomiopatia cronica. Un’insufficienza
cardiaca congestizia con interessamento pericardico e danno miocardico diffuso può insorgere
acutamente o come un evento cronico, con associata una progressiva insufficienza d’organo. I
bambini piccoli sembrano essere più sensibili al danno da antracicline, dato l’effetto tossico di
quest’ultime sulla crescita dei miociti cardiaci.
ALTERAZIONI DELLA FUNZIONALITA’ ORMONALE
Si osservano principalmente a carico di tiroide e gonadi.
La sensibilità della tiroide di un preadolescente sembra essere maggiore di quella di un adulto.
Frequente è il quadro di ipotiroidismo compensato ( cioè aumentano i livelli di un ormone, il TSH,
che stimola la tiroide a lavorare di più e a produrre più ormoni: ecco perché si dice “compensato”);
in pazienti trattati per linfoma di Hodgkin si sono osservati pure noduli tiroidei, ipertiroidismo e
cancri tiroidei. La funzionalità tiroidea va controllata regolarmente nei pazienti in cui è stata
praticata radioterapia a livello del collo, e ai bambini con alti livelli di TSH dovrebbe esser
praticata una terapia tiroidea sostitutiva, per ridurre la stimolazione conseguente ai prolungati livelli
di TSH.
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Le gonadi subiscono danni sia dalla chemioterapia sia dalla radioterapia. A questo proposito, per le
pazienti in cui è previsto un trattamento radiante sui linfonodi iliaci ed inguinali, responsabile di
sterilità permanente, è indicato un intervento di ovariopessi, con trasposizione delle ovaie dietro
l’utero, al di fuori del campo d’irradiazione. Qualora sia interessata una sola regione iliaca,
l’ovariopessia potrebbe essere limitata all’ovaio dello stesso lato, poiché il trattamento radiante
verrà erogato esclusivamente sul lato interessato. In previsione di un trattamento radiante
addominale, in concomitanza dell’ovariopessia sarà consigliabile eseguire prelievo di tessuto
ovarico e crioconservazione al fine di consentirne, se necessario, il reimpianto per evitare una
terapia ormonale sostitutiva e, possibilmente, mantenere la capacità riproduttiva della paziente. Il
congelamento degli ovociti e del tessuto ovarico sono due possibili alternative per preservare la
funzione riproduttiva delle pazienti sottoposte a cicli di chemio/radioterapia.
Il rischio di menopausa precoce è correlato alla specifica modalità di trattamento ed all’età al
momento della terapia.
L’effetto della chemioterapia risulta essere più tossico per il sesso maschile, con oligoazospemia in
circa l’85% dei casi trattati secondo lo schema MOPP, rispetto a circa il 30% per lo schema ABVD,
con modeste possibilità di recupero.
Prima del trattamento è necessario informare i pazienti di sesso maschile in età puberale o
successiva del rischio di un danno all'apparato produttore degli spermatozoi, con possibilità
d'infertilità anche permanente. Pertanto è possibile effettuare, prima del trattamento chemioterapico,
una raccolta di liquido seminale, che potrà essere conservato presso una banca del seme. Invece,
nelle persone di sesso femminile che ricevono chemioterapia in epoca successiva al menarca non si
dovrebbero instaurare, se il trattamento si limita alla chemioterapia di prima linea, danni che
provocano infertilità. Nel caso di radioterapia pelvica si dovrà discutere l’opportunità di un
intervento di trasposizione ovarica.
SECONDE NEOPLASIE
La più seria complicanza a lungo termine è lo sviluppo di un secondo tumore. I più importanti
fattori di rischio, soprattutto nei pazienti trattati durante l’infanzia, sono le potenziali influenze
genetiche ed il tipo di trattamento ricevuto. Inoltre, nei pazienti con linfoma di Hodgkin si può
ritrovare un difetto dell’immunità cellulare, fattore predisponente allo sviluppo di un nuovo tumore.
Il più comune secondo tumore osservato in questi pazienti è la leucemia mieloide acuta. L’uso dello
schema ABVD al posto del MOPP e dei suoi derivati ha ridotto molto il rischio di leucemia. Il
picco di frequenza per seconde leucemie lo si ha tra i 5 ed i 10 anni dopo la terapia.
Nei pazienti trattati per linfoma di Hodgkin si osserva anche una grande varietà di tumori solidi
secondari; il rischio diminuisce con il passare del tempo. I più comuni tumori solidi riscontrati sono
stati: tumore della mammella, della tiroide, dell’osso, dei tessuti molli, del cervello, del colon-retto
e dello stomaco.
Sembra che particolare importanza abbia l’età al momento della terapia. Il rischio di tumore alla
mammella nelle giovani donne è maggiore nelle pazienti che hanno ricevuto la radioterapia quando
avevano meno di 15 anni, e diminuisce man mano che l’età al momento dell’irradiazione aumenta.
Mentre il rischio di leucemia raggiunge una livello stabile dopo 10 anni, quello di comparsa di un
tumore solido aumenta progressivamente nel tempo. I pazienti a rischio più elevato di comparsa di
un secondo tumore sono quelli ritrattati per recidiva di linfoma di Hodgkin, dato che essa richiede
un trattamento più aggressivo.
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RECIDIVE
La maggior parte delle recidive nei pazienti con malattia di Hodgkin si verifica entro i primi 3 anni,
sebbene alcuni pazienti possano ricadere 10 anni dopo la diagnosi. L’eccellente prognosi per la
maggior parte dei bambini con linfoma di Hodgkin ha limitato la possibilità di studiare il
programma terapeutico di “salvataggio” su ampi gruppi di pazienti.
La malattia può ritornare nella stessa sede d’esordio o in una diversa parte del corpo. Il trattamento
e la prognosi dopo la recidiva dipende dal tipo di terapia iniziale e dalla distanza di tempo dal
termine del precedente trattamento. Con un approccio multichemioterapico e radioterapico possono
essere salvati dal 40% al 50% dei bambini (con una remissione iniziale di 1 anno o più), ma la loro
sopravvivenza può comunque essere ridotta dalle sequele della terapia, tra cui seconde neoplasie.
Se la malattia ritorna molto precocemente dopo il trattamento iniziale o dopo l’uso sia di chemio
che di radioterapia, ci si trova di fronte a pazienti ad alto rischio, per i quali è da considerare un
regime terapeutico di “condizionamento” con alte dosi di chemioterapia e trapianto di midollo
osseo autologo/allogenico o infusione di cellule staminali ematopoietiche periferiche. Infatti
spesso, quando si usano alte dosi di chemio o di radioterapia, il midollo osseo si danneggia e non
può più produrre cellule sanguigne sane. Per sostituirlo, è necessario un trapianto. Tale approccio
terapeutico è destinato a probabile insuccesso qualora il paziente venga trapiantato in remissione
parziale di malattia. Se la ripresa di malattia è più tardiva (dopo un anno dal conseguimento della
remissione completa) le possibilità di guarigione sono ancora considerevoli senza ricorrere a
trattamenti ad “alte dosi”.
Le cellule staminali del sangue periferico sono cellule auto-rinnovantesi che si trovano nel midollo
osseo. Le cellule staminali originano tutti gli altri tipi di cellule del sangue. Bisogna raccogliere le
cellule staminali dal sangue del bambino o dal midollo osseo e congelarle, per proteggerle dal
trattamento "aggressivo"che il bambino riceverà, con alte dosi di chemio o radioterapia ( o
entrambe), per distruggere le cellule neoplastiche. Dopo il trattamento, si “scongelano” le cellule
staminali e si riimmettono nel circolo del bambino con una trasfusione. Dopo 4 o 6 settimane, le
cellule staminali cominciano a produrre nuove cellule del sangue dal midollo osseo.
In caso di trapianto autologo di cellule staminali, dette cellule vengono prelevate dal midollo osseo
o, dopo opportuno trattamento "mobilizzante", dal sangue del bambino, e vengono conservate.
Quando la terapia è completata, come si è detto le cellule prelevate e conservate vengono riimmesse
in circolo.
In caso di trapianto allogenico di midollo osseo, il paziente riceve le cellule staminali da un
donatore, che deve essere geneticamente simile, “compatibile”, affinchè il trapianto vada a buon
fine; in genere, si tratta di un membro della famiglia. Vi è associato un basso rischio di recidiva,
forse correlato ad un effetto immunologico contro il tumore. Questo tipo di trapianto non è molto
usato nei pazienti con linfoma di Hodgkin recidivante, dato l’alto rischio di seri effetti collaterali.
La mortalità associata al trapianto si verifica nel 10% dei pazienti e, nella maggior parte dei casi, si
tratta di infezioni, complicanze cardiopolmonari o neoplastiche. I pazienti sono considerati a rischio
di ricaduta per 5 anni dopo il trapianto, anche se è comunque importante continuare a fare controlli
per assicurarsi dello stato di remissione continua e per monitorare i possibili effetti tardivi. L’uso
del trapianto di cellule staminali come approccio terapeutico iniziale resta controverso, data
l’eccellente prognosi di bambini con forme anche avanzate e sfavorevoli di linfoma di Hodgkin.
Attualmente, il trapianto di cellule staminali è riservato ai pazienti dopo la recidiva o ai pazienti
refrattari alla terapia convenzionale.
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