Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo: una rassegna di

R A S S E G N E
Autismo e Disturbi
Generalizzati
dello Sviluppo:
una rassegna di studi
neuropsicologici
Giovanni Valeri (Azienda USL Roma C e Università di Roma «La Sapienza»)
In questo lavoro sono esaminati e valutati gli studi recenti relativi alla neuropsicologia dell’autismo e dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo. Tre principali modelli teorici sono presi in esame:
Teoria della Mente, Funzioni Esecutive e Coerenza Centrale. Di questi modelli sono presentati e
discussi i punti di forza e di debolezza, alla luce degli studi empirici, e la possibilità di una loro
integrazione. È analizzato il contributo dei deficit neuropsicologici alla comprensione delle caratteristiche cliniche: atipie sociali, compromissione del linguaggio e della comunicazione, pattern comportamentali stereotipati e ripetitivi, compromissione intellettiva generale e abilità isolate. Alcuni
aspetti metodologici critici sono discussi e sono descritte alcune aree delle future ricerche.
1. Introduzione: neuropsicologia dell’autismo
L’autismo e i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS) sono caratterizzati, clinicamente, da 1) compromissioni sociali, 2) compromissioni comunicative, e 3) interessi ristretti e comportamenti stereotipati (American
Psychiatric Association, 1994; World Health Organizzation, 1992).
Esiste un ampio accordo sulla base neurobiologica dell’autismo (Gillberg e Coleman, 2000); restano, tuttavia, ancora da definire i processi
cognitivi ed emozionali che mediano i comportamenti atipici. Negli ultimi
decenni sono stati compiuti molti progressi nell’individuazione di anomalie
cognitive e neuropsicologiche associate con l’autismo, anche se manca
ancora un modello concettuale coerente che metta in correlazione i vari
deficit. Sono stati pubblicati numerosi lavori e rassegne che possono
essere consultati per ulteriori approfondimenti (Bailey, Phillips e Rutter,
1996; Baron-Cohen, Tager-Flusberg e Cohen, 2000; Frith, 2003; Happé e
Frith, 1996; Russell, 1997; Surian, 2002).
Dagli anni ’70 i modelli teorici prevalenti concordano nel ritenere che
l’autismo implichi persistenti deficit cognitivi di base, che non sono una
PSICOLOGIA CLINICA DELLO SVILUPPO / a. X, n. 1, aprile 2006
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mera conseguenza dello sviluppo sociale compromesso; è ancora controverso il grado di «specificità» di tali deficit cognitivi.
La ricerca neuropsicologica, oltre ad individuare i deficit cognitivi di
base, ha cercato di specificare il legame tra i deficit cognitivi e le caratteristiche cliniche dell’autismo, in particolare la compromissione sociale
e comunicativa. Sono stati compiuti significativi progressi nella comprensione di aspetti essenziali dell’autismo, quale la «triade» sintomatologica,
costituita da compromissione sociale, comunicativa e immaginativa (Wing
e Gould, 1979); resta ancora da comprendere il quadro globale della sindrome, che include comportamenti ripetitivi e interessi circoscritti, oltre a
caratteristiche associate, quali il frequente Ritardo Mentale, il ritardo del
linguaggio, la rigidità comportamentale e le abilità cognitive isolate. Anche se non tutti i soggetti autistici mostrano tutte queste caratteristiche,
esse devono essere prese in considerazione in ogni modello neuropsicologico dell’autismo.
Attualmente, la ricerca neuropsicologica si sta progressivamente
focalizzando sul rapporto e sull’associazione tra i diversi deficit cognitivi
evidenziati; l’autismo è una sindrome, cioè una costellazione di compromissioni associate, per cui sembra sempre più necessario cercare di comprendere l’associazione e l’interazione tra queste compromissioni, comprendere cioè il disturbo nella sua globalità, e in una prospettiva evolutiva.
Questa rassegna degli studi neuropsicologici sull’autismo è stata organizzata nel seguente modo. Inizialmente verranno presentati i principali
modelli teorici, differenziati in due prospettive, quella «dominio-specifico»,
basata sull’ipotesi di un deficit neuropsicologico specifico di tipo socio-cognitivo, come il «deficit della Teoria della Mente» (TdM); e quella «dominiogenerale», basata sull’ipotesi di una compromissione di funzioni cognitive
meno specifiche, come le anomalie delle Funzioni Esecutive (FE) o la «Debole Coerenza Centrale» (DCC).
In una seconda parte si cercherà di evidenziare il rapporto tra deficit
cognitivi e caratteristiche cliniche dell’autismo; non solo compromissioni
sociali, comunicative e interessi ristretti, ma anche caratteristiche «associate» come il Ritardo Mentale (RM) e i profili cognitivi atipici; queste
ultime caratteristiche, che non fanno parte dei criteri necessari per la diagnosi, sono però importanti per una comprensione globale del disturbo
autistico.
Una terza parte della rassegna presenterà i principali modelli di relazione tra deficit cognitivi: da quelli che prevedono un deficit cognitivo
«primario», che causerebbe tutte le successive compromissioni cognitive
e cliniche, ai modelli che prevedono «deficit cognitivi multipli». Una quarta
parte cercherà di evidenziare alcune aree della futura ricerca neuropsicologica sull’autismo.
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Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
Infine, l’ultima parte sarà centrata su riflessioni metodologiche relative ai modelli teorici presentati, entro la cornice più generale delle peculiarità della ricerca neuropsicologica dei disturbi dello sviluppo, e su
alcune conclusioni generali.
2. Modelli teorici principali
La ricerca neuropsicologica ha cercato di identificare deficit cognitivi
che fossero: a) specifici dell’autismo, e universali, cioè presenti in tutti, o
almeno in gran parte dei soggetti; b) adeguati a spiegare l’insieme della
sintomatologia.
Si possono individuare due differenti metodologie di ricerca:
1. La prospettiva «dominio-specifica», la quale ipotizza che i deficit
cognitivi di base siano altamente specifici e interessino primariamente il
funzionamento socio-cognitivo, ad esempio un deficit nella Teoria della
Mente (TdM), o «cecità mentale» (mindblindness).
2. La prospettiva «dominio-generale» che si focalizza su deficit meno
specifici, che interessano sia il funzionamento sociale sia quello nonsociale, come un deficit nelle Funzioni Esecutive (FE) o una modalità di
elaborazione dell’informazione caratterizzata da «Debolezza di Coerenza
Centrale» (DCC).
2.1. La prospettiva «dominio-specifica»: deficit specifici nella cognizione
sociale
Durante gli anni ’70 molte ricerche nel campo dell’autismo sono state
incentrate su «deficit cognitivi generali», quali la capacità di dare un significato ad informazioni complesse. Le ricerche pionieristiche di Hermelin e
O’Connor (1970), hanno evidenziato compromissioni significative in prove
di memoria, sequenza e astrazione. Questi deficit cognitivi generali potevano rendere conto dei ritardi dello sviluppo cognitivo e linguistico, ma
non delle specifiche compromissioni sociali dell’autismo.
Una strategia di ricerca alternativa è stata quella rivolta ai processi
cognitivi implicati nell’elaborazione specifica di informazioni sociali, come
espressioni emozionali, face-processing, stati mentali interni di altre persone; questa strategia è stata quella dominante dagli anni ’80.
Numerosi studi hanno evidenziato che nell’autismo sono presenti anomalie in tutte le condotte sociali e comunicative che implicano specificamente la «comprensione sociale» (Baron-Cohen, Tager-Flusberg e Cohen,
1993, 2000). In età prescolare i bambini con autismo presentano, ad
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esempio, compromissione dell’«attenzione condivisa»; in età successive
sono evidenti le difficoltà nella comprensione di emozioni o di esperienze
soggettive di altre persone.
Sulla base di tali studi, sono stati proposti differenti modelli teorici
per comprendere i deficit neuropsicologici alla base della compromissione nella «comprensione sociale», modelli accomunati dall’ipotesi di un
deficit primario e specifico nell’elaborazione di informazioni sociali.
– Gli studi di Hobson (1993a, 1993b) hanno evidenziato il ruolo di
anomalie nell’elaborazione di informazioni socio-affettive, come quelle
veicolate dall’espressione corporea delle emozioni. Hobson ha ipotizzato
che il deficit psicologico primario nell’autismo sia un precoce deficit nella
direct perception di espressioni corporee, incluse le emozioni. I bambini
con autismo presentano difficoltà nell’elaborazione di informazioni emozionali e atipie nella modalità di espressione corporea di emozioni, così
come nell’uso di gesti espressivi.
– Un’altra area di ricerca significativa è quella del face processing,
che ha evidenziato nelle persone con autismo atipie nell’elaborazione di
informazioni relative al viso, informazioni molto importanti per lo sviluppo
della cognizione sociale (Baron-Cohen, 1995a; Klin, Sparrow, de Bildt,
Cicchetti, Cohen e Volkmar, 1999). Le persone con autismo usano strategie anomale di face processing, incentrate, ad esempio, sull’analisi di
singoli elementi, piuttosto che sulla configurazione globale del viso.
– Infine, una terza area di ricerca ha studiato le peculiari difficoltà
dei bambini con autismo nella comprensione di «stati mentali». Questo
ambito di ricerca, nato dallo studio dello sviluppo psicologico normale, è
diventato piuttosto conosciuto, come «Teoria della Mente» (TdM). L’ipotesi
di base è che le persone con autismo presentino un deficit, o un grave
ritardo, nello sviluppo della Teoria della Mente, cioè nella capacità di attribuire stati mentali, come «desideri» o «credenze», agli altri, per poterne
predire il comportamento (Baron-Cohen, 1995b). Nell’ambito di questa
terza area di ricerca sono stati proposti differenti modelli per spiegare lo
sviluppo, normale e patologico, della capacità di attribuzione e comprensione di stati mentali: la «teoria modulare» (Fodor, 1983, 1992; Leslie,
1987, 1994; Baron-Cohen, 1995b); la «teoria-teoria» (Gopnik e Wellman,
1994; Meltzoff e Gopnik, 1993; Perner, 1991; Wellman, 1990) e la «teoria – simulazione mentale» (Goldman, 1992; Harris, 1994).
La prospettiva «dominio-specifico», caratterizzata dall’ipotesi di deficit sociocognitivi specifici, è supportata da numerosi studi, che hanno
evidenziato deficit nella comprensione delle emozioni, strategie atipiche
di face-processing e deficit nello sviluppo della TdM, in particolare numerose ricerche hanno evidenziato una significativa compromissione nella
capacità di attribuire «false credenze» (Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985;
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Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
Perner, Frith, Leslie e Leekman, 1989). Anche le poche persone con autismo in grado di superare le prove di «falsa credenza» più semplici, fallivano in prove più complesse, come i test di TdM di «secondo ordine»
(Baron-Cohen, 1989), test che implicano l’attribuzione di credenze relative
a credenze (per es. «A pensa che B pensi che ...»), confermando l’ipotesi
di un grave ritardo nello sviluppo della TdM nell’autismo.
Il dato di una compromissione nella «mentalizzazione», cioè nella capacità di comprendere stati mentali, e quindi di una specifica «cecità mentale» (mindblindness) nell’autismo è stato replicato in molti studi. Questa
compromissione non sembra limitata alle «false credenze», ma implica
anche competenze sociocognitive più semplici, come le «vere credenze»
(rapporto tra vedere e conoscere) e alcuni aspetti delle «intenzioni» e dei
«desideri» (Perner et al., 1989). In conclusione, gli studi sui deficit nella
cognizione sociale e nella percezione socio-emozionale hanno fornito importanti contributi sulla natura di alcuni sintomi autistici e sui meccanismi
che possono sottenderli.
Alcuni dati sembrano però suggerire l’esistenza di deficit primari
meno specifici, come ad esempio: a) la presenza di comportamenti ripetitivi, stereotipie e ritardo cognitivo, dunque sintomi caratteristici differenti
dalle compromissioni sociali e comunicative; b) la correlazione, evidenziata dalle ricerche genetiche, tra fattori cognitivi generali (QI verbale)
della persona con autismo e carico familiare genetico.
Un ulteriore elemento problematico è relativo all’osservazione che le
compromissioni socio-comunicative sono evidenziabili, nello sviluppo dei
bambini con autismo, ben prima dell’emergenza delle competenze connesse con la TdM; questo ha condotto all’ipotesi che anche i «precursori»
della TdM siano deficitari nell’autismo.
La ricerca sui precursori della TdM si è incentrata soprattutto su:
a) attenzione condivisa (Mundy e Sigman, 1989; Sigman, 1998); in
questo ambito Baron-Cohen (1995b) ha ipotizzato un sistema di moduli
cognitivi, alcuni dei quali attivati molto precocemente, specializzati nell’elaborazione di stimoli sociali;
b) esplorazione delle espressioni facciali, la cui compromissione è
stata evidenziata da numerosi studi (Klin, Sparrow, de Bildt, Cicchetti,
Cohen e Volkmar, 1999; Dawson, Munson, Estes, Osterling, McPartland,
Toth, Carves e Abbott, 2002). Questa compromissione precoce è alla
base, per alcuni modelli teorici, delle successive atipie nella TdM. Per
Hobson (1993b), infatti, l’abilità di mentalizzare deriva dalla capacità
congenita di percepire gli stati affettivi dell’altro, in una relazione intersoggettiva. Per Meltzoff e Gopnik (1993) l’empatia, la comprensione che
gli altri sono come se stessi, origina dall’«imitazione», un mapping cross-
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modale tra le espressioni facciali osservate e le azioni degli altri, e i propri movimenti corporei.
Il rapporto tra sviluppo della TdM ed i suoi ipotetici «precursori» precoci (Sigman, 1998), ritenuti specificamente compromessi nell’autismo,
è però tutt’altro che chiarito, come mostra, ad esempio, un importante
studio longitudinale su bambini valutati a 18 mesi con la CHAT, Checklist
for Autism in Toddlers (Baron-Cohen, Allen e Gillberg, 1992), che valuta
la presenza di «precursori della TdM» come l’«attenzione condivisa», il
pointing e il gioco simbolico. Uno studio di follow-up dopo 6 anni (Baird,
Charman, Baron-Cohen, Cox, Swettenham, Whellwright e Drew, 2000) ha
evidenziato una scarsa sensibilità della CHAT, con un ampio numero di
«falsi negativi» nella popolazione esaminata, cioè di bambini che all’età
di 18-24 mesi mostrano comportamenti riferibili a quei «precursori» della
Teoria della Mente e che però all’età di 6-7 anni mostrano un disturbo
autistico franco. Questo studio apre importanti quesiti sia sulle caratteristiche cliniche del disturbo autistico in età precoce, sia sul rapporto tra
cosiddetti «precursori» della TdM e sviluppo successivo di tale competenza fondamentale per la cognizione sociale.
Resta inoltre ancora aperta la questione se il deficit socio-cognitivo
sia dovuto ad una compromissione totale dello sviluppo della TdM, oppure ad uno sviluppo fortemente ritardato, con tutte le interferenze evolutive che un tale ritardo comporta.
Happé (1995), in una rassegna degli studi sull’argomento, ha evidenziato come la probabilità di superare un test di TdM standard sia significativamente correlata con il livello di sviluppo, misurato come «età
mentale verbale» (EMV), sia nelle persone con autismo, sia in quelle con
Ritardo Mentale. Questo dato è stato confermato anche successivamente
in una meta-analisi di Yirmiya, Erel, Shaked e Solomonica-Levi (1998); il
dato più rilevante è che per le persone con autismo l’età mentale verbale
(EMV) necessaria per superare, in media, le prove della TdM è significativamente maggiore che per i soggetti di controllo (EMV, rispettivamente,
di 9,2 anni e di 4 anni).
Questi ultimi dati, infine, sottolineano la necessità di comprendere
meglio il rapporto tra difficoltà nella «mentalizzazione» (deficit nella TdM)
e abilità linguistiche; ad esempio, uno studio di Kazak, Collis e Lewis
(1997) ha evidenziato che la performance nelle prove TdM è significativamente correlata al livello linguistico nei bambini con autismo, ma non
nei bambini con sviluppo normale. Una possibile ipotesi è quella che le
persone con disturbo nello «spettro autistico» usino «strategie» atipiche
di tipo «linguistico» per superare le prove della TdM (Bowler, 1992). Numerosi studi, d’altronde, dimostrano che le competenze linguistiche costituiscono un fattore critico nello sviluppo sociale precoce. Lord e Pickles
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(1996), ad esempio, hanno evidenziato che molte delle compromissioni
sociali e comunicative non-verbali descritte nei bambini con autismo, sono
evidenti anche in bambini in età prescolare con gravi disturbi del linguaggio, ma non autistici.
2.2. La prospettiva «dominio-generale»: deficit nelle Funzioni Esecutive e
«Debolezza di Coerenza Centrale»
In contrasto con le ipotesi di anomalie specifiche nella cognizione sociale, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che l’autismo sia caratterizzato
da difficoltà neuropsicologiche più generali, nella pianificazione e nel controllo del comportamento, ovvero da un deficit nelle Funzioni Esecutive
(Russell, 1997).
Una delle fonti di questo approccio teorico-clinico è stato il lavoro di
Damasio e Maurer (1978), in cui si evidenziava come le caratteristiche
dell’autismo sono simili a quelle trovate in pazienti con lesione frontale.
Tali pazienti presentano difficoltà significative nei test neuropsicologici relativi alle Funzioni Esecutive (FE), definite come «un insieme di abilità implicate nel mantenimento di una appropriata strategia di problem solving
per raggiungere un obiettivo futuro» (Welsh e Pennington, 1988); esse
includono abilità come: «Flessibilità cognitiva» (set-shifting), «Pianificazione», «Inibizione», «Memoria di lavoro», «Generazione di nuove idee» e
«Monitoraggio dell’azione».
Numerose ricerche hanno confermato l’esistenza di deficit nelle FE
nell’autismo. Pennington e Ozonoff (1996) hanno presentato un’accurata
rassegna di studi sulle compromissioni delle FE nell’autismo; le loro conclusioni più rilevanti sono le seguenti: a) su 14 studi empirici controllati,
con adolescenti e adulti con autismo, ben 13 hanno trovato una differenza significativa tra persone con autismo e controlli in almeno una misura di FE; b) negli studi sono state usate 32 prove di FE; le persone con
autismo hanno mostrato deficit, relativi ai controlli, in 25 di queste (78%);
c) in nessuno studio il gruppo delle persone con autismo presenta performance alle prove FE superiori al gruppo di controllo.
Inoltre, studi specifici sulle FE hanno evidenziato, nelle persone con
autismo, significative difficoltà nella «memoria di lavoro» (Bennetto, Pennington e Rogers, 1996), nella «flessibilità cognitiva» (Ozonoff, 1995b),
nella «pianificazione» (Hughes, Russell e Robbins, 1994) e nella «generazione di nuove idee e azioni» (Jarrold, Boucher e Smith, 1996). Dati più
controversi riguardano il «monitoraggio delle azioni» (Russell, 1996), mentre non sembra essere specifico dell’autismo un deficit nell’«inibizione»
(Hughes e Russell, 1993; Ozonoff e Strayer, 1997).
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In conclusione, i deficit nelle FE sono stati considerati una valida spiegazione teorica della sintomatologia autistica: soprattutto per i comportamenti ripetitivi e gli interessi ristretti, ma anche per deficit nella TdM e
nell’attenzione condivisa, compromissioni sociali e linguistiche (Hughes et
al., 1994; Russell, 1997).
Le evidenze empiriche e la coerenza teorica non sono però sufficienti
nel dimostrare che i deficit nelle FE siano la «causa», primaria e specifica,
dell’autismo.
In primo luogo, le disfunzioni esecutive sono scarsamente «specifiche»; sono infatti state evidenziate in un ampio range di disturbi clinici:
ADHD (rassegna in Pennington e Ozonoff, 1996) e fenilchetonuria non
trattata nei bambini (Diamond, Prevor, Callender e Druin, 1997); morbo di
Parkinson (Owen, James, Leigh, Summers, Marsden e Robbins, 1992) e
schizofrenia negli adulti (David e Cutting, 1994).
In secondo luogo, mentre l’ipotesi di una disfunzione delle FE nell’autismo ha ricevuto molte conferme da studi su adolescenti e adulti con autismo, gli studi con bambini in età prescolare hanno invece dato risultati
contrastanti (Dawson, Meltzoff, Osterling e Rinaldi, 1998; Griffith, Pennington, Wehner e Rogers, 1999; McEvoy, Rogers e Pennington, 1993;
Wehner e Rogers, 1994). In particolare, lo studio metodologicamente più
accurato (Griffith et al., 1999), non sembra confermare l’ipotesi di un deficit primario delle FE nell’autismo. L’analisi delle prestazioni del gruppo
di bambini con autismo, con età tra i 3 e i 5 anni, confrontati con un
gruppo costituito da bambini con ritardo di sviluppo, non autistici, in una
batteria di prove sulle FE, non ha infatti confermato l’ipotesi che i bambini
con autismo abbiano prestazioni significativamente peggiori dei controlli.
Entrambi i gruppi hanno invece evidenziato prestazioni inferiori a quelle
attese in base all’età cronologica, ed in entrambi i gruppi le performance
alle prove FE sono risultate correlate significativamente sia con le abilità
verbali sia con quelle non verbali. Differenze significative tra i due gruppi
sono state invece trovate nelle condotte sociali: i bambini con autismo
iniziano meno condotte di attenzione condivisa e di interazione sociale,
come evidenziato anche da precedenti studi.
Gli autori dello studio concludono, quindi, che le prove di FE sembrano sensibili soprattutto alle differenze di sviluppo: la performance è
al disotto del livello atteso in base all’EM in tutti i gruppi con disturbo di
sviluppo, piuttosto che essere specifica dell’autismo.
Sono possibili almeno due ipotesi relative alla non evidenziazione di
un deficit nelle FE in bambini con autismo di età prescolare: a) l’effetto
della competenza cognitiva generale sulle FE; b) la necessità di analizzare
i diversi fattori cognitivi che costituiscono le FE.
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Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
La prima ipotesi sottolinea il fatto che le «persone con autismo e RM»
sono spesso confrontate con controlli costituiti da persone con RM, mentre le «persone con autismo senza RM» sono confrontate con persone
con disturbi specifici di sviluppo. Vi sono evidenze di una correlazione tra
variazioni nell’intelligenza normale e FE (Duncan, 1995), come tra livello
intellettivo e memoria di lavoro (Bennetto et al., 1996; Russell, Jarrold
e Henry, 1996). Turner (1997) ha inoltre evidenziato che «persone con
autismo senza RM» presentano un deficit in prove delle FE in confronto
ai controlli, mentre il deficit non è evidente nelle «persone con autismo
e RM», confrontati con controlli con RM. Quindi, gruppi con RM (con o
senza autismo) sembrano presentare compromissioni simili nelle FE, mentre persone con «autismo ad alto funzionamento» (senza RM) sembrano
presentare un tipo di compromissione differente. Questo dato ripropone il
quesito, che analizzeremo più avanti, del rapporto tra autismo e compromissione cognitiva generale.
La seconda ipotesi è invece connessa all’eccessiva indeterminatezza
del concetto di FE, che sembra costituito da differenti abilità. L’analisi fattoriale di prove delle FE in campioni normativi ed il confronto tra gravità e
profili, in differenti gruppi di persone con disturbi di sviluppo, evidenziano
la necessità di articolare le FE in differenti dimensioni: Inibizione; Flessibilità cognitiva (o set-shifting); Memoria di lavoro; Pianificazione (Pennington, 1997), Generazione di nuove idee e azioni (Jarrold et al., 1996);
Monitoraggio dell’azione (Russell, 1996).
Sarebbe quindi necessario effettuare studi che valutassero tutte queste differenti dimensioni in bambini con autismo di età prescolare, oltre a
ricerche più complesse tese a valutare la combinazione tra le differenti
dimensioni, in una prospettiva di sviluppo.
Sempre all’interno della prospettiva di ricerca «dominio-generale», un
secondo ambito di studi è quello della «Debolezza di Coerenza Centrale»
(DDC). Mentre le ricerche sulle disfunzioni esecutive enfatizzano le atipie
nella produzione di comportamenti (output), questo secondo ambito di
ricerca sottolinea l’importanza delle disfunzioni al livello dell’input, ipotizzando uno «stile cognitivo» caratterizzato dalla Debolezza della Coerenza
Centrale (Frith, 1989; Frith e Happé, 1994; Happé, 2001). Anche questo
modello si basa su un’anomalia cognitiva che influenza un ampio range di
funzioni psicologiche: linguistiche, sociali, percettive.
I processi centrali di elaborazione delle informazioni sono normalmente caratterizzati dalla spinta alla «coerenza», che permette di dare un
significato alle informazioni, inserendole in un contesto più ampio. Frith e
Happé (1994) ipotizzano che questa tendenza sia relativamente debole
nei soggetti autistici, comportando una tendenza ad elaborare le informazioni «pezzo per pezzo», piuttosto che nel loro contesto; ne risulta com-
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promessa la capacità di trovare un significato globale ad uno stimolo, in
quanto viene privilegiata l’elaborazione delle parti che lo compongono,
per cui le informazioni ricavate dagli stimoli resterebbero isolate e frammentarie.
Studi in questo ambito sono quelli sulla coerenza semantica (lettura
per significato vs. lettura per suono) di Frith e Snowling (1983), e sull’elaborazione globale/locale in prove visuo-spaziali e costruttive (disegno con
cubi, embedded figures), in Happé (1999). La «Debolezza di Coerenza
Centrale» (DDC) sembra poter rendere conto di alcuni profili cognitivi atipici evidenziati nell’autismo, come il dato segnalato più volte di una relativa area di forza in prove quali il Disegno con Cubi, nella scala Weschler,
oppure nella Embedded Figures Test, prove in cui l’elaborazione «pezzo
per pezzo» permetterebbe di resistere alla qualità di «gestalt» del disegno
complessivo
La «Debolezza di Coerenza Centrale» potrebbe anche contribuire alla
comprensione di compromissioni sociali tipiche dell’autismo, quali quelle
nell’«attenzione condivisa», che richiede la capacità di dare un significato
d’insieme a comportamenti di condivisione che includono il sé, l’altra persona e l’oggetto (Jarrold, Butler, Cottington e Jimenez, 2000).
Il modello teorico della Debolezza della Coerenza Centrale appare
molto interessante nella sua caratterizzazione delle peculiari compromissioni delle persone con autismo come conseguenza di uno specifico
«stile» cognitivo. Va segnalato che sono però ancora limitate le ricerche
che indagano la sua «specificità» e la sua «universalità» nell’autismo.
Happé (1997) ha evidenziato come persone con autismo, capaci di superare prove della TdM di 2° ordine, presentano compromissioni in un
test che richiede di usare il contesto per leggere parole omografe, ipotizzando, quindi, quanto meno un’indipendenza dei fattori DDC e TdM. Jarrold et al. (2000) hanno invece evidenziato una correlazione significativa
tra DDC e TdM, sia nella popolazione generale (bambini e adulti) sia in
persone con autismo.
3. Il rapporto tra deficit cognitivi e caratteristiche
cliniche dell’autismo
La ricerca neuropsicologica sull’autismo, oltre a cercare di individuare
i deficit cognitivi di base, ha anche cercato di comprendere il rapporto
tra le caratteristiche cliniche peculiari dell’autismo ed i differenti deficit
cognitivi. È necessario precisare che le ricerche empiriche in questo ambito sono ancora limitate, pertanto alcune delle ipotesi che presenteremo
dovranno essere verificate da ricerche future.
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Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
Come abbiamo già visto, l’autismo e i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS) sono caratterizzati, clinicamente, da 1) compromissioni sociali, 2) compromissioni comunicative, e 3) interessi ristretti e comportamenti stereotipati (American Psychiatric Association, 1994; World Health
Organizzation, 1992); sono, inoltre, frequentemente associati Ritardo
Mentale e profili cognitivi «atipici».
3.1. Compromissione sociale
Le compromissioni sociali delle persone con autismo sono caratterizzate dalla variabilità sintomatologica: isolamento, passività, «bizzaria»;
l’elemento che le accomuna è la specifica difficoltà nelle relazioni interpersonali che richiedono reciprocità e «comprensione sociale».
La prospettiva «dominio-specifica» di una compromissione «specifica»
nella cognizione sociale, sembra in grado di offrire una valida spiegazione
delle compromissioni sociali e, più in generale, della «triade» sintomatologica descritta da Wing e Goul (1979): compromissione sociale, comunicativa ed immaginativa.
Il potere dell’ipotesi di un deficit nella TdM, risiede nella capacità di
spiegare coerentemente almeno due sintomi principali dell’autismo nei
termini di un singolo deficit cognitivo specifico: la mancanza di reciprocità
nelle relazioni sociali e le gravi difficoltà nella «pragmatica» comunicativa
sono spiegabili in assenza della capacità di comprendere stati mentali.
Come abbiamo già notato, mentre è ampiamente accettata l’esistenza
di deficit di «mentalizzazione» nell’autismo, è più controverso se questa
compromissione specifica fornisca una spiegazione complessiva per il disturbo.
L’ipotesi di un deficit nella TdM ha permesso di effettuare specifiche
previsioni sulle compromissioni sociali e sulle competenze preservate
(Happé, 1994a). Nell’area delle condotte sociali, solo i comportamenti
che richiedono una capacità di «mentalizzazione» (es. fare allusioni, mantenere un segreto), saranno compromesse, mentre condotte sociali basate su comportamenti osservabili (es. riconoscere un viso arrabbiato) o
che vengono apprese in forma routinaria (es. salutare in modo formale),
potranno non essere deficitarie. Anche le compromissioni nella comunicazione possono essere differenziate: deficit «pragmatici» nella comprensione delle intenzioni del parlante o di enunciati ambigui (Happé, 1993;
Sperber e Wilson, 1986) e buone capacità fonologiche, lessicali o sintattiche (linguaggio usato come «codice»).
In base all’ipotesi di un deficit nella TdM che implichi la compromissione della capacità di costruire «metarappresentazioni» (Leslie, 1987), è
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anche possibile differenziare comportamenti sociali che richiedono solo
«rappresentazioni primarie», e che quindi non dovrebbero presentare rilevanti difficoltà per le persone con autismo, e condotte sociali che richiedono «metarappresentazioni», in cui le difficoltà dovrebbero essere
evidenziabili in modo significativo. Alcuni esempi sono la distinzione tra
«gesti strumentali», che intervengono sul comportamento e «gesti espressivi»; tra pointing «protoimperativo» e «protodichiarativo»; tra riconoscimento di emozioni semplici (es. «felicità») ed emozioni complesse (es.
«sorpresa»).
Anche altre ipotesi teoriche relative al deficit della TdM sono rilevanti
per la comprensione delle difficoltà sociali presentate dalle persone con
autismo. Bartsch e Wellman (1995) sottolineano il ruolo delle esperienze
sociali per lo sviluppo progressivo della Teoria della Mente; queste opportunità possono essere notevolmente diminuite nell’esperienza quotidiana
delle persone con autismo, che sembrano presentare una compromissione nella capacità di creare social scripts (Trillingsgaard, 1999). Moore
(1996) evidenzia l’importanza, per lo sviluppo di una TdM, di situazioni in
cui il bambino e l’adulto condividono attività di tipo psicologico; tali opportunità possono essere molto meno frequenti nell’autismo, a causa delle
compromissioni cognitive.
La prospettiva «dominio-generale» incontra invece maggiori difficoltà
nella spiegazione del rapporto tra deficit neuropsicologici (FE, DCC) e
compromissione nelle interazioni sociali. Tra i modelli teorici fondati
sull’ipotesi di un deficit primario nelle FE, Russell (1996), ipotizza che
l’agency, l’esperienza del bambino piccolo di azioni volontarie ed intenzionali, sia necessaria per la comprensione della mente; la compromissione
nell’automonitoraggio, come si riscontra nell’autismo e negli altri disturbi
caratterizzati da deficit delle Funzioni Esecutive, potrebbero essere un fattore critico per la comprensione delle compromissioni sociali.
Anche per il modello teorico della Debole Coerenza Centrale, il potere esplicativo è limitato, in riferimento alle compromissioni sociali. Inizialmente Frith (1989) aveva proposto che la DCC fosse responsabile del
fallimento nelle prove TdM, e quindi dei deficit pragmatici e sociali. Una
formulazione successiva (Frith e Happé, 1994) non ipotizza più il deficit
nella TdM come conseguenza della DCC, ma li considera deficit indipendenti, che spiegano aspetti differenti dell’autismo, con la DCC associata
soprattutto a caratteristiche non-sociali. Recentemente, Jarrold et al.
(2000) hanno riproposto una correlazione più stretta tra DDC e compromissioni sociali. L’incapacità di collegare mentalmente stimoli relativi a sé,
all’altra persona e al mondo circostante, renderebbe impossibile una loro
integrazione; non si potrebbe quindi formare un modello significativo e
coerente della situazione di interazione, con oggetti sociali e fisici, che
18
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
permetterebbe di comprendere e tenere conto della mente propria ed
altrui. Anche Happé (2001) ipotizza che la capacità di sviluppare complesse strategie di mentalizzazione sia facilitata dalla capacità di fare uso
del contesto globale.
3.2. Compromissioni comunicative
Gravi anomalie nel linguaggio e nella comunicazione costituiscono
una caratteristica fondamentale dell’autismo. La metà circa delle persone
con autismo non acquisisce un linguaggio utilizzabile negli scambi comunicativi. I deficit linguistici sono precoci e persistenti; il livello linguistico
è un buon predittore dell’esito sociale ed educativo ed è fortemente associato con la gravità dei disturbi comportamentali, con le performance
cognitive e con il «carico» genetico familiare.
Una conseguenza dell’attenzione sui deficit «specifici» della cognizione sociale nei disturbi autistici è stata la relativa mancanza di interesse
per i meccanismi neuropsicologici sottostanti le atipie linguistiche, in comprensione e produzione (Lord e Paul, 1997).
Nella prospettiva «dominio-specifica», molti approcci hanno cercato
di spiegare le caratteristiche del linguaggio nell’autismo come una conseguenza di un deficit socio-cognitivo specifico: le compromissioni comunicative vengono così spesso considerate secondarie alle compromissioni
della «mentalizzazione».
Una delle ipotesi teoriche più diffuse riguarda il ruolo della compromissione dell’«attenzione condivisa»: il non raggiungimento della «referenza condivisa» comporta la mancanza della motivazione ad imparare
a comunicare (Mundy e Sigman, 1989); l’attenzione condivisa e il gioco
simbolico sono inoltre strettamente correlati con la competenza linguistica nei bambini autistici (Sigman, 1998). Il rapporto tra attenzione
condivisa e competenze linguistiche è però complesso: nella sindrome di
Asperger, un sottotipo di DGS, ad esempio, molti aspetti del linguaggio
non sono compromessi, anche se sono presenti compromissioni sociali,
anche specifiche come nell’attenzione condivisa (Gilchrist, Green, Cox,
Burton, Rutter e Le Couteur, 2001). Al contrario, nei familiari di persone
con autismo si riscontrano frequentemente ritardi del linguaggio ma non
compromissioni nell’attenzione condivisa (Bailey, Palferman, Heavey e Le
Couteur, 1998).
I deficit nella cognizione sociale (come il deficit di TdM) permettono,
invece, come abbiamo visto, di spiegare coerentemente le compromissioni pragmatiche che caratterizzano l’autismo a tutti i livelli intellettivi,
anche quando gli aspetti semantici e sintattici non sono compromessi (Ta-
19
G. Valeri
ger-Flusberg, 2000): problemi nel mantenere un argomento nello scambio
conversazionale, nella comprensione di enunciati non letterali, nell’adattare
il linguaggio a differenti contesti. Comunque, poiché i deficit pragmatici appaiono precocemente nello sviluppo linguistico, si ripropone il controverso
rapporto con la nozione di «precursori» della TdM, nei primi anni di vita.
In sintesi, le teorie del deficit sociocognitivo specifico sembrano
sufficientemente adeguate a spiegare le anomalie pragmatiche, ma non
quelle relative al ritardo linguistico generale e alla compromissione linguistica globale, caratteristiche di molte persone con autismo. Non è chiaro
perché queste difficoltà generali dovrebbero derivare da deficit nella TdM.
I modelli teorici della prospettiva «dominio-generale», centrati sul deficit nelle Funzioni Esecutive (o sulla Debolezza di Coerenza Centrale), presentano rilevanti difficoltà nello spiegare le compromissioni comunicative,
sia quelle specificamente pragmatiche sia quelle globali.
Sono necessari ulteriori studi per verificare il tipo di relazione tra deficit cognitivi evidenziati e compromissioni comunicative. Se deficit nella
TdM (o nelle FE) sono alla base delle compromissioni linguistiche, variazioni nei deficit di base dovrebbero essere correlate sistematicamente
con variazioni nella compromissione linguistica.
Va compreso meglio anche il rapporto tra compromissioni comunicative e sviluppo delle interazioni sociali; ad esempio sembra che i deficit linguistici siano associati con un esito sociale negativo molto più
nell’autismo che nei gravi disturbi di sviluppo linguistico recettivo (Howlin,
Mawhood e Rutter, 2000).
Sono infine necessari nuovi studi sulle specifiche modalità di organizzazione delle competenze linguistiche nell’autismo, per verificare l’ipotesi
di persistenti anomalie nell’organizzazione complessiva del sistema linguistico (Tager-Flusberg, 2000).
3.3. Comportamenti ripetitivi, interessi circoscritti, resistenza al cambiamento
Le teorie della prospettiva «dominio-generale» (deficit nelle FE e DCC)
sembrano fornire spiegazioni più valide nelle aree in cui le teorie della
prospettiva «dominio-specifica» sono più deboli: i comportamenti ripetitivi,
gli interessi circoscritti e, più in generale, le caratteristiche cliniche nonsociali (Turner, 1999).
Il modello del deficit della TdM tende a considerare queste caratteristiche non-sociali come una conseguenza secondaria della compromissione sociale, ma senza riuscire a spiegare in modo articolato tale rapporto.
20
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
La teoria del deficit nelle FE sembra, invece, poter spiegare più facilmente le condotte stereotipate e ripetitive, in quanto essa predice che
una disfunzione nelle FE comporta che il comportamento non possa essere controllato in modo flessibile dal central executive (Shallice, 1988).
La resistenza al cambiamento (l’insistenza sulla sameness) e gli interessi
circoscritti sono però frequentemente perseguiti con notevole intensità
emozionale, tale da rendere poco plausibile una spiegazione solo in termini di mancanza di attività.
Anche la teoria della «Debole Coerenza Centrale» offre una spiegazione
per la facilità con cui i bambini con autismo rilevano cambiamenti in dettagli
apparentemente secondari, che potrebbe essere un fattore rilevante nella
resistenza al cambiamento. Comunque anche essa non spiega perché il
cambiamento causi frequentemente un grave disagio emozionale.
Sorprendentemente, ci sono poche ricerche sui correlati cognitivi
della rigidità comportamentale e degli interessi ristretti. Turner (1997) ha
usato metodi di intervista ai genitori per misurare i comportamenti ripetitivi e le ossessioni in bambini e giovani adulti con autismo e tecniche sperimentali per studiare le loro Funzioni Esecutive e di mentalizzazione. La
ricerca ha evidenziato una limitata associazione dei comportamenti ripetitivi con la TdM, una debole correlazione tra perseverazione e strategie
di pianificazione, ma una significativa associazione con test che valutano
la «generazione di nuove idee o azioni» (come test di fluenza verbale e
prove di «uso differenziato di oggetti»). L’ipotesi che il comportamento
ripetitivo possa essere correlato con un problema di «generazione di
nuove idee e azioni», sembra confermata dall’osservazione dei genitori,
che i loro figli mettono in atto condotte ripetitive quando non sono esplicitamente guidati verso qualche attività alternativa.
3.4. Compromissione cognitiva generale, abilità cognitive isolate
Molte delle teorie neuropsicologiche odierne dell’autismo tendono
a considerare il RM associato come un dato che non necessita di una
spiegazione specifica, anche se esso è presente nella maggioranza dei
casi; poiché la compromissione cognitiva generale è presente in molti disturbi, essa viene considerata una caratteristica accidentale dell’autismo.
Numerose ricerche indicano, invece, l’esistenza di una forte associazione
tra autismo e RM e quindi la necessità di spiegazioni più articolate: sia
il «carico genetico» sia la gravità della sintomatologia sono fortemente
associati con il livello intellettivo.
Circa il 75% delle persone con autismo presenta anche un Ritardo
Mentale (QI < 70); l’autismo associato con RM è più frequente nelle fem-
21
G. Valeri
mine che nei maschi (Starr, Kazak e Pickles, 2001). Il QI delle persone
con autismo, a differenza di quello dei fratelli non affetti, non è correlato
con la classe sociale o con il livello scolastico dei genitori. Studi di followup hanno inoltre evidenziato che il punteggio di QI è, in media, stabile nel
tempo, è un buon predittore prognostico e non aumenta anche nei casi di
miglioramento del funzionamento sociale (Lord e Schopler, 1989).
I sintomi autistici sono più frequenti in rapporto alla maggior gravità
del RM, nei due sessi: Wing e Gould (1979) hanno evidenziato la presenza della «triade» autistica nel 2% dei soggetti con RM lieve (QI 50-69)
e nell’82% in quelli con RM profondo (QI < 20). Inoltre, il QI (soprattutto il
QI Verbale) è strettamente correlato con il grado di gravità dei sintomi
autistici, facendo ipotizzare che queste due dimensioni non siano indipendenti, come spesso vengono considerate.
Infine, gli studi genetici hanno evidenziato come il «carico familiare»
per l’autismo sia inversamente correlato al QI verbale della persona con
autismo (probando).
Qualsiasi modello neuropsicologico dell’autismo dovrebbe, quindi,
tenere conto sia delle compromissioni specifiche – sociali, comunicative, immaginative – sia delle caratteristiche peculiari delle competenze
cognitive: frequente associazione con RM, profili cognitivi atipici, aree di
abilità isolate, savant (Hermelin, 2001). Per quanto riguarda i profili cognitivi «atipici», sono stati ripetutamente descritti particolari profili di forza
e debolezza evidenziati dai test intellettivi, come le scale Weschler; né
le teorie sul deficit nella TdM né le teorie sulla compromissione nelle FE,
hanno fornito spiegazioni soddisfacenti, mentre la teoria della DCC ha fornito alcune interessanti ipotesi.
I profili cognitivi sono atipici per vari motivi:
– Nei test intellettivi standardizzati ci sono punteggi molto differenziati tra i vari subtest. Non tutti i soggetti autistici mostrano lo stesso pattern, ma considerati come gruppo, alcuni pattern sono significativamente
frequenti: es. difficoltà in Comprensione e abilità nel Disegno con cubi e
in Memoria cifre.
– Sono state frequentemente descritte aree isolate di abilità: nella
lettura (iperlessia), matematica, musica o disegno. Circa il 25% delle persone con autismo (e con un QI > di 35) mostra un’abilità cognitiva «speciale», ad almeno due deviazioni standard (DS) al di sopra del loro livello
cognitivo medio. Queste abilità cognitive «speciali» sono strettamente correlate con le osservazioni riferite dai genitori di capacità speciali e sono
molto più comuni nelle persone con autismo che in quelle con disturbo di
sviluppo del linguaggio recettivo.
– Inoltre, circa il 10% delle persone con autismo presenta un «talento» isolato che è ad un livello decisamente superiore a quello riscon-
22
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
trato nella popolazione generale: il fenomeno savant. Sebbene questo
fenomeno non sia limitato all’autismo, la grande maggioranza di essi
sono persone con autismo e le loro spettacolari abilità nella memoria,
calcolo, musica, disegno, tendono a diminuire quando i sintomi autistici
migliorano. Inoltre, anche nei savant non diagnosticati come persone con
autismo, sono frequenti comportamenti ripetitivi e ad interessi circoscritti.
Il rapporto tra interessi circoscritti e savant skills è stato recentemente indagato da Hermelin (2001); sono stati ipotizzati diversi processi
neuropsicologici: per esempio l’elaborazione percettiva inusuale (Plaisted,
O’Riordan e Baron-Cohen, 1998) e l’aumentata discriminazione di «false
memorie» (Beversdorf, Smith e Crucia, 2000).
Un problema per le teorie neuropsicologiche è di spiegare come queste caratteristiche (profili atipici, abilità isolate, savant) siano correlate, e
se esse siano segno di funzioni cognitive preservate o segno di deficit
cognitivo. Una possibilità è che le persone con autismo tendano a segmentare le informazioni, piuttosto che elaborarle come insieme, e che nei
savants questa tendenza sia specialmente forte. Questa ipotesi è chiaramente correlata con il modello DCC: la tendenza ad elaborare le informazioni con enfasi sul dettaglio piuttosto che su significati di ordine superiore. Un’ipotesi testabile potrebbe essere che la tendenza a segmentare
le informazioni «gestaltiche» sia variabile: maggiore nei savants, minore
nelle persone con autismo e con abilità isolate, e ancora minore nelle
persone con autismo senza queste caratteristiche.
4. Relazione tra deficit cognitivi
La ricerca neuropsicologica ha anche cercato di comprendere la relazione tra i diversi deficit cognitivi evidenziati. Sono stati proposti differenti
modelli: da un lato ogni deficit cognitivo «specifico» primario potrebbe
essere la causa di tutti gli altri; dall’altro lato ciascun deficit cognitivo potrebbe essere considerato come indipendente, come nel modello di Goodman (1989), in cui l’autismo è caratterizzato da «deficit cognitivi multipli»;
sono poi possibili varie ipotesi intermedie.
a) Nell’ipotesi di un «deficit specifico primario», la compromissione
o lo sviluppo anomalo di una funzione cognitiva può interferire con lo sviluppo di altre funzioni. Nel sistema modulare proposto da Baron-Cohen
(1995b), ad esempio, la disfunzione del meccanismo dell’«attenzione
condivisa» compromette l’input al meccanismo della TdM. È ancora controverso se il deficit nella TdM possa essere considerato la causa delle
disfunzioni esecutive o viceversa (Carruthers, 1996; Ozonoff, Pennington
e Rogers, 1991a; Russell, 1996). Uno dei pochi studi rilevanti è quello di
23
G. Valeri
Ozonoff, Pennington e Rogers (1991a), in cui persone con disturbo dello
«spettro autistico» che superavano le prove di TdM (falsa credenza) fallivano in prove di pianificazione o di set-shifting, a sostegno dell’ipotesi
che le disfunzioni esecutive siano la possibile causa «primaria», anche
della compromissione nello sviluppo di abilità di mentalizzazione. Va però
rilevato come le prove di TdM usate nello studio presentavano un effetto
«soffitto» per mostrare eventuali deficit, e il concetto di FE fosse poco
articolato. Inoltre, i dati sulle disfunzioni esecutive nei bambini autistici
prescolari invitano alla cautela, in quanto non è raro, in neuropsicologia e
in psicopatologia dello sviluppo, osservare un profilo di deficit e di abilità
variabile nelle diverse fasi evolutive (Bishop, 1997; Sigman, 1998).
b) Nell’ipotesi, invece, dell’autismo come una «sindrome di deficit primari multipli» (Goodman, 1989), deficit specifici e generali possono coesistere indipendentemente. È stato ipotizzato che il fattore comune possa
trovarsi ad un differente livello di analisi, come quello neurobiologico;
ad esempio, con riferimento alle disfunzioni del lobo frontale, sono stati
descritti diversi sistemi, funzionalmente differenziati, alcuni rilevanti nella
comprensione sociale (corteccia fronto orbitale), altri in processi cognitivi
generali (corteccia dorso laterale).
È stato anche ipotizzato che l’autismo implichi sia disfunzioni esecutive generali, causate da anomalie in sistemi neurali distribuiti, sia disfunzioni sociali specifiche, derivanti da anomalie in sistemi modulari, evoluti
specificamente per l’elaborazione di informazioni sociali relative ad interazioni intraspecifiche.
Un’altra possibile combinazione di deficit neuropsicologici è quella
proposta da Frith e Happé (1994): l’esistenza indipendente di DDC e deficit nella TdM. Anche secondo questa ipotesi sarebbero due i sistemi
cognitivi compromessi: uno modulare, dedicato all’elaborazione di informazioni su stati mentali, ed un altro distribuito, che determina lo «stile
cognitivo», o la modalità in cui l’informazione viene elaborata (Happé,
1999).
Vanno, inoltre, segnalate alcune ricerche su altri meccanismi cognitivi
fondamentali, come le anomalie dell’attenzione, visti come potenzialmente
coesistenti con deficit socio-cognitivi specifici. Sono state descritte difficoltà nell’orientamento visivo e nello shifting attentivo (Townsend et al.,
1999), messe in relazione con anomalie cerebellari, mentre l’attenzione
sostenuta sembra non compromessa (Burack, Enns, Stauder, Mottron e
Randolph, 1997). È stata anche dimostrata un’atipica allocazione di «risorse attentive», evidenziata dalla frequenza e dalla distribuzione di shift
attentivi spontanei tra stimoli sociali e non-sociali (Swettenham, BaronCohen, Charman, 1998).
24
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
Minshew, Goldstein e Siegel (1997), infine, hanno ipotizzato che l’autismo sia un «disturbo nell’elaborazione di informazioni complesse»: mentre le prestazioni in compiti attentivi semplici sono adeguate, la compromissione diventa sempre più evidente, in rapporto alla complessità delle
prove.
5. Prospettive future per la ricerca neuropsicologica
nell’autismo
Tra le prospettive future della ricerca neuropsicologica nell’autismo
possono essere individuate quattro aree di ricerca importanti:
5.1. Studio delle differenti associazioni tra deficit neuropsicologici, come
strumento per comprendere l’autismo, i Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS) e gli altri disturbi correlati
– La nozione di deficit neuropsicologici coesistenti può permettere
di studiare la variabilità della sindrome autistica (età di esordio; presenza
di caratteristiche differenti dalla «triade»; variazioni nel funzionamento
sociale, nelle abilità linguistiche e nei livelli di QI). I differenti pattern di
deficit neuropsicologici potrebbero evidenziare sottogruppi, con eventuale
significato eziologico.
– Un confronto tra i profili neuropsicologici permetterebbe, inoltre, di
chiarire il legame e la relazione tra autismo ed altri disturbi caratterizzati
da una significativa compromissione sociale, come: disturbo semanticopragmatico (Bishop, 1989); disturbo dell’emisfero destro (RHD) (Denckla,
1983; Semrud-Clikeman e Hynd, 1990); non verbal learning disability,
NVLD (Rourke, 1989). Ad esempio, una ricerca sul profilo neuropsicologico in persone con sindrome di Asperger (Klin, Volkmar, Sparrow, Cicchetti e Rourke, 1995) ha evidenziato un profilo simile al NVLD.
– Il confronto delle competenze neuropsicologiche in pazienti affetti
da condizioni mediche associate in modo significativo all’autismo, quali
la sclerosi tuberosa, potrebbe permettere, infine, di comprendere perché
solo alcuni pazienti presentano sintomi autistici.
5.2. Compromissioni cognitive nel «fenotipo allargato»
È necessario estendere la valutazione neuropsicologica (TdM, FE,
DCC) ai parenti delle persone con autismo (probandi). Varie ricerche
25
G. Valeri
hanno evidenziato un «fenotipo cognitivo-comportamentale» allargato:
alcuni parenti presentano uno «stile cognitivo» e comportamentale caratterizzato da particolarità nell’interazione sociale e comunicativa, nella
modalità cognitiva di elaborazione delle informazioni, e da una tendenza
a comportamenti ripetitivi (Bailey et al., 1998; Pickles et al., 2000). Un
quesito importante è se i parenti con caratteristiche del fenotipo allargato
evidenzino atipie neuropsicologiche simili (anche se più lievi) a quelle trovate nelle persone con diagnosi di autismo. Alcuni studi (Ozonoff, 1995a)
hanno evidenziato, in parenti di persone con autismo, segni di compromissione nelle FE, ma non nella TdM. Va però precisato che le misure
usate potrebbero essere inappropriate, in quanto sviluppate per bambini
in età prescolare.
Happé ha evidenziato lo stile cognitivo di debole coerenza nell’elaborazione dell’informazione in una percentuale significativa di parenti, clinicamente normali, di ragazzi con autismo (Happè, Briskman e Frith, 2001).
5.3. Relazione tra funzionamento neuropsicologico e caratteristiche
comportamentali
Alcune aree di ricerca sono importanti per la comprensione del rapporto tra deficit neuropsicologico e caratteristiche cliniche. Una di queste
è lo studio del rapporto tra competenze nella TdM e abilità sociali nella
vita reale; questo richiederà l’elaborazione di test della TdM più naturalistici (Frith, Happé e Siddon, 1994). Un’altra area riguarda l’analisi del rapporto tra rigidità cognitiva e rigidità comportamentale, con il necessario
approfondimento di aspetti clinici quali le stereotipie, gli interessi ristretti,
le abilità isolate (Turner, 1997, 1999).
Sarà necessario, inoltre, approfondire lo studio del legame tra aspetti
cognitivi e comportamentali in soggetti che presentano caratteristiche di
sviluppo simili all’autismo, ma che sono chiaramente differenti per altri
aspetti, come i bambini adottati cresciuti in orfanotrofi, che presentano
alcuni comportamenti simili all’autismo, ma con un’evoluzione assolutamente differente (Rutter, Anderson-Wood, Beckett, Bredenkamp, Castle,
Groothues, Kreppner, Keaveney, Lord, O’Connor, 1999), oppure i bambini
con cecità congenita (Hobson, Lee e Brown, 1999), con gravi disturbi
del linguaggio recettivo (Howlin et al., 2000; Mawhood, Howlin e Rutter,
2000), o con schizofrenia ad esordio precoce (Kumra, Wiggs, Bedwell,
Smith, Arling, Albus, Hamburger, McKenna, Jacobsen, Rapoport e Asarnow, 2000).
26
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
5.4. Implicazioni neurologiche dei dati neuropsicologici
L’ipotesi prevalente è che le anomalie neurobiologiche nell’autismo
implichino ampie e differenti aree cerebrali, piuttosto che lesioni discrete
(Abell, Krams e Ashburner, 1999; Gillberg e Coleman, 2000); sono estremamente interessanti i dati evidenziati da studi di neuroimaging funzionali durante la somministrazione di test neuropsicologici (Happé, Ehlers
e Fletcher, 1996; Castelli, Frith, Happé e Frith, 2002). Alcuni studi con
RMN funzionale dimostrano la potenzialità di tale approccio; Baron-Cohen,
Cox, Baird, Swettenham, Nightingale, Morgan, Drew e Charman (1996)
hanno evidenziato che persone con autismo o con sindrome di Asperger
presentano una deficitaria attivazione dell’amigdala in prove della Teoria
della Mente (attribuire pensieri o emozioni da fotografie della regione
degli occhi). Anche Schultz, Gauthier, Klin, Fulbright, Anderson, Volkmar,
Skudlarski, Lacadie, Cohen e Gore (2000), sempre utilizzando la RMN
funzionale, hanno evidenziato che persone con disturbi dello «spettro autistico» presentano una minore attivazione della regione ventrale temporale
in una prova di riconoscimento dei visi.
Integrando caratteristiche comportamentali, performance neuropsicologiche ed anomalie neurobiologiche, si sta iniziando ad individuare specifici sottogruppi clinici ed eziologici.
6. Considerazioni metodologiche e conclusioni
Le ricerche neuropsicologiche recenti vanno nella direzione di un’integrazione di modelli teorici differenti. È stata evidenziata una relazione
tra livello di prestazioni a prove della TdM e a test della Funzione Esecutiva, sia in bambini con sviluppo normale sia in bambini con autismo (Hughes, 1998; Russell, Saltmarsh e Hill, 1999). Inoltre, è stato mostrato un
legame tra disfunzioni esecutive e «Debole Coerenza Centrale» (Russell,
Jarrold e Hood, 1999). Infine, Jarrold et al. (2000) hanno proposto che
la debole coerenza centrale abbia un’influenza negativa sia sulle Funzioni
Esecutive, sia su processi cognitivi complessi sottostanti la costituzione
di «metarappresentazioni»: l’incapacità di collegare mentalmente stimoli relativi a sé, all’altra persona ed al mondo circostante, potrebbe spiegare la
difficoltà, evidenziata nell’autismo, di integrare gli stimoli per giungere ad
attribuire un significato complessivo. Un legame tra debole coerenza centrale e deficit nella mentalizzazione è proposto anche da Happé (2001).
L’integrazione dei modelli teorici richiede, dal punto di vista metodologico, di definire ed articolare meglio il concetto di FE, di sviluppare
e testare l’ipotesi della DCC, ed infine di studiare le caratteristiche della
27
G. Valeri
TdM nei soggetti che superano le prove di base, ma che continuano a
presentare grave compromissione sociale.
Ancor di più, l’integrazione dei modelli teorici richiedere un’accurata
riflessione sulle peculiarità della neuropsicologica cognitiva applicata ad
un disturbo dello sviluppo, quale l’autismo (Bishop, 1997; Karmiloff-Smith,
1998; Temple, 1997; Volterra, 2002).
L’autismo e i DGS sembrano infatti caratterizzarsi, su un piano clinico
e neuropsicologico, dalla particolare combinazione di compromissioni,
che varia con l’età, piuttosto che da un deficit «isolato», con la conseguente «dissociazione» tra competenze, che sembra tipica della neuropsicologia di soggetti adulti con lesioni cerebrali acquisite.
La neuropsicologia cognitiva dell’autismo, così come per gli altri disturbi dello sviluppo, sembra evidenziare soprattutto deficit cognitivi «associati», anche come inevitabile conseguenza dell’interdipendenza delle
funzioni cognitive e dei differenti livelli di elaborazione, durante l’età evolutiva (Bishop, 1997).
I dati disponibili sembrano indicare sia l’importanza dell’«associazione» e combinazione delle compromissioni, sia la «specificità» dei
deficit cognitivi. Gli esperimenti sulle differenti performance di soggetti
autistici in prove di «falsa credenza» e di «falsa rappresentazione della
realtà» (Charman e Baron-Cohen, 1995; Leslie e Thaiss, 1992) indicano
in modo chiaro la «specificità» e la selettività del deficit metarappresentativo.
Se si tiene conto di entrambi questi aspetti, si comprende meglio la
difficoltà di individuare quale sia il deficit cognitivo «primario»; ad esempio, nello sviluppo, una compromissione ad uno stadio precoce dell’elaborazione, interferirà con tutti i processi a valle. Va inoltre sottolineato
che è metodologicamente scorretto ritenere che il deficit «primario» sia
necessariamente quello che compare più precocemente nello sviluppo,
ignorando la complessa interazione tra effetti bottom-up ed effetti topdown. I deficit cognitivi che interessano processi di elaborazione delle
informazioni di «basso» livello, possono comportare pattern di compromissioni difficilmente prevedibili a priori, sia per l’interazione tra differenti
componenti di un sistema sugli altri, sia per l’organizzazione di «strategie
compensatorie», come le atipiche strategie linguistiche che le persone
con autismo sembrano usare nelle prove di TdM. Questo elemento permette di fare un’ulteriore precisazione metodologica: ogni modello teorico dell’autismo deve poter dare conto dell’insieme delle caratteristiche
neuropsicologiche e comportamentali dell’autismo, a tutti i livelli di funzionamento cognitivo. L’autismo non è quindi riducibile ai deficit trovati nelle
persone con «autismo puro», senza ritardo mentale associato. Al contrario, i deficit cognitivi fondamentali potrebbero essere mascherati da stra-
28
Autismo e Disturbi Generalizzati dello Sviluppo
tegie di compenso, nelle persone con autismo ad «alto funzionamento»
cognitivo (Minshew et al., 1997).
Un modello neuropsicologico integrato dell’autismo deve, inoltre,
tenere necessariamente conto dell’aspetto evolutivo (Karmiloff-Smith,
1998). Il pattern di compromissioni può modificarsi nel corso del tempo;
quindi eventuali dissociazioni tra competenze, come il deficit nelle FE con
apparente preservazione della TdM in adolescenti o adulti, con autismo,
con sindrome di Asperger o con altri tipi di DGS, senza Ritardo Mentale
(Bowler, 1992; Ozonoff, Rogers e Pennington, 1991), non sono sufficienti
per dimostrare quale deficit sia «primario». Questa considerazione metodologica permetterebbe, ad esempio, di rendere conto del dato, apparentemente paradossale, della mancanza di un deficit nelle FE in età prescolare (Griffith et al., 1999). I pochi studi longitudinali (Sigman, 1998) hanno
evidenziato sia la stabilità di alcune caratteristiche, cliniche e cognitive,
nelle persone con autismo, sia la variabilità del profilo neuropsicologico
durante lo sviluppo, confermando il rischio di costruire modelli neuropsicologici utilizzando esclusivamente, o prevalentemente, dati desunti da
studi trasversali (cross-sectional).
Un ulteriore aspetto metodologico frequentemente ignorato nelle
ricerche è l’interazione tra deficit «rappresentazionali» e deficit nell’«elaborazione delle informazioni», ovvero tra competenza e performance
(Surian e Leslie, 1999). La corretta performance ad un test, ad esempio,
non dimostra necessariamente l’adeguata competenza, come evidenziato da persone con autismo che superano le prove di TdM ad un’età
verbale significativamente maggiore rispetto ai controlli, probabilmente
adoperando strategie compensatorie atipiche di tipo linguistico; queste
strategie compensatorie sono lente, faticose, e quindi interferiscono con
i tempi rapidi delle interazioni sociali nella vita quotidiana, soprattutto nel
caso di interazioni plurime e complesse. Questo potrebbe spiegare il persistere di compromissioni sociali anche in quelle persone con autismo
che superano alcune delle prove di TdM.
Un’altra area di ricerca relativa all’integrazione tra modelli teorici è
quella relativa al rapporto tra autismo e differenze individuali nelle modalità di elaborazione delle informazioni, come, ad esempio, lo «stile cognitivo» caratterizzato dalla «Debolezza di Coerenza Centrale» (Happé,
1999). A questo proposito va rilevato come vi sia un sostanziale consenso sull’esistenza di disturbi clinici con significative compromissioni
sociali e comunicative di tipo autistico, ma modificabili. Stone, Lee, Ashford, Brissie, Hepburn, Coonrod e Weiss (1999) hanno evidenziato come
circa il 15-30% di bambini con autismo nei primi tre anni di vita non sono
più diagnosticati come tali dopo due anni. Tale evidenza clinica ha indotto il gruppo di lavoro sulla «Classificazione diagnostica 0-3» (Zero-To-
29
G. Valeri
Three Task Force, 1994) ad introdurre una nuova categoria di disturbi
ad esordio precoce, con sintomatologia simil-autistica, definiti «Disturbi
Multisistemici di Sviluppo» (DMS), caratterizzati da disturbi, modificabili,
della relazione e della comunicazione, spesso associati ad anomale modalità di elaborazione delle informazioni. Sarebbe interessante studiare
se questi soggetti presentano «stili cognitivi» specifici, ad esempio caratterizzati da DDC.
Lo studio longitudinale con il CHAT (Baron-Cohen et al., 1992; Baird
et al., 2000) sembra, inoltre, indicare la possibile esistenza di diverse
forme di autismo, ad esempio ad esordio precoce e ad esordio tardivo.
La prima forma, quella ad esordio precoce, potrebbe, ad esempio, essere collegata con un deficit nell’elaborazione di informazioni relative al
viso (Dawson et al., 2002) o ad uno «stile cognitivo» caratterizzato da
DDC, con difficoltà nell’integrare informazioni relative al sé, all’altro e all’oggetto (Jarrold et al., 2000), oppure, ancora, ad un deficit della «metarappresentazione», come previsto dall’ipotesi modulare «forte» (Leslie,
1987).
La seconda forma, ad esordio tardivo, potrebbe essere connessa
con un «ritardo» nello sviluppo della TdM, con l’instaurarsi di un circolo
vizioso tra deficit nella mentalizzazione ed interferenza/riduzione delle
esperienze sociali in età prescolare e scolare, con l’organizzazione di
strategie compensatorie a volte disfunzionali.
In conclusione, la ricerca neuropsicologica sull’autismo ha permesso
di individuare alcune compromissioni cognitive, sia «dominio-specifico» sia
«dominio-generale»: deficit nella Teoria della Mente, atipie nelle Funzioni
esecutive, Debole Coerenza Centrale. Queste compromissioni neuropsicologiche hanno permesso una maggior comprensione delle manifestazioni
comportamentali e cognitive delle persone con autismo. Un indirizzo di
ricerca che appare particolarmente interessante è lo studio dell’interazione tra queste anomalie neuropsicologiche, in una prospettiva evolutiva
(Rutter, 2002). Sono quindi necessari ulteriori studi – sperimentali, longitudinali e sugli effetti di interventi terapeutici – strutturati in base ad un’attenta considerazione delle specificità epistemologiche della neuropsicologia cognitiva dello sviluppo. Questo potrebbe permettere di comprendere
l’interazione tra differenti componenti dello sviluppo mentale: attenzione
condivisa, memoria, linguaggio, Teoria della Mente, percezione, Coerenza
Centrale, Funzioni Esecutive, sviluppo emotivo.
Sarebbe così possibile comprendere in modo più preciso e articolato
il rapporto tra abilità cognitive e sviluppo sociale ed emozionale, tra profilo neuropsicologico individuale e interazioni sociali.
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[Ricevuto l’8 marzo 2004]
[Accettato il 15 dicembre 2005]
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G. Valeri
Autism and pervasive developmental disorders: A review of neuropsychological researchers
Summary. This paper reviews and evalutes recent studies on neuropsychology of autism
and pervasive developmental disorders. Three main theoretical models are considered: theory of
mind, executive function, central coherence. Their strenghts and weaknesses are discussed, in
the light of empirical finding, looking for a possible integration of the three approaches. Their contribution is evaluted to our understanding of the clinical features: social abnormalities, language
and communication impairment, stereotyped repetitive patterns of behaviour, general intellectual
impairment and splinter skills. Some critical methodological points are identified, and new lines for
future research are suggested.
Per corrispondenza, Giovanni Valeri, Viale XVII Olimpiade 116, 00196 Roma. Email: [email protected]
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