13 mervoglino - Richard e Piggle

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Riflessioni sulla clinica
Rappresentazioni e affetti della madre
nella relazione con il bambino asmatico
DARWIN MERVOGLINO
Introduzione
Le conoscenze degli ultimi 30 anni tendono a inserire l’asma bronchiale
tra i principali disturbi psicosomatici. L’approccio psicosomatico è oggi un
approccio integrato, che si muove su tre direttrici principali: lo studio delle
relazioni psicologiche conseguenti alla malattia organica, l’attenzione concomitante agli aspetti fisici e psicologici delle varie patologie e lo studio dell’interazione fra psiche e soma nella produzione del disturbo (Mitrani, 1993).
In merito essenzialmente a quest’ultimo punto, per ciò che riguarda la patologia asmatica, una notevole attenzione viene data allo sviluppo infantile
precoce – vista anche la precoce insorgenza del disturbo – e alle caratteristiche relazionali dell’ambiente familiare.
Il nostro studio, collocandosi nell’alveo di queste riflessioni da un vertice psicodinamico, si è sviluppato con l’obiettivo di esplorare aspetti della
relazione madre-bambino plausibilmente implicati nell’insorgenza del
disturbo asmatico. Siamo partiti dal presupposto che considera il concetto di
relazione madre-bambino in termini psicoanalitici, riferendosi quindi ad
essa non semplicemente come “interazione”, ma come un rapporto che è contemporaneamente fantasmatico e reale. L’idea di fondo è che attraverso lo
studio di tale relazione sia possibile rintracciare un complesso insieme di
elementi utili a comprendere le dinamiche caratterizzanti lo “spazio di vita”
del bambino asmatico, nel tentativo di individuare caratteristiche relazionali indicative di possibili fattori di natura psicologica. L’ipotesi di base, largamente sostenuta in ambito psicoanalitico (Winnicott,1949, Federn,1952,
Bion,1962, Gaddini,1980) è che le fantasie materne proiettate nell’infante
non solo alla nascita, ma prima ancora che essa avvenga, influiscano in
maniera determinante sulla costituzione del senso di sé, inteso come entità
psico-fisica basilare.
Richard e Piggle, 17, 2, 2009
200 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
A partire da tali presupposti abbiamo condotto dei colloqui semi-stutturati con 24 madri di bambini con diagnosi di sintomatologia asmatica,1 di
età compresa tra 2 e 13 anni. I soggetti sono stati reperiti presso tre diversi
Servizi Pediatrici, con modalità di selezione casuale, vincolata esclusivamente alla diagnosi medica sul disturbo dei bambini. Le informazioni sono
state raccolte attraverso la trascrizione di ciascun colloquio, al fine di ottenere dei protocolli che contenessero sia informazioni di interesse specifico
che le riflessioni degli psicologi. Gli incontri sono stati presentati come “uno
spazio pensato per i genitori”, in cui potessero sentirsi liberi di raccontare i
propri vissuti e le difficoltà personali rispetto al rapporto con il bambino e
alla sua malattia. In tal senso il nostro lavoro di ricerca ha assunto anche,
per quanto possibile, la funzione di servizio offerto all’utenza.
Sebbene i colloqui siano stati inizialmente pensati anche per la coppia
genitoriale, abbiamo frequentemente dovuto rilevare una sorta di minore
presenza del padre, che risulta avere sporadici rapporti con il personale
sanitario e appare coinvolto meno attivamente nelle cure del figlio malato.
A partire dal tema di interesse, cioè la relazione madre-bambino, i colloqui
si sono svolti sulla base di alcuni riferimenti che hanno costituito delle linee
guida. Li riportiamo qui di seguito:
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Difficoltà attuali del bambino (sintomi ed epoca di insorgenza)
Eventuali diagnosi precedenti la patologia attualmente manifestata dal
bambino
Disturbi della madre precedenti la gravidanza e andamento della gravidanza
Atteggiamento emotivo della madre (e del padre) nei confronti della gravidanza
Andamento del parto e sua ricostruzione nel rapporto di coppia
Atteggiamento della madre (e del padre) al “primo incontro” con il bambino
Descrizione del bambino
Ricostruzione della relazione madre-bambino nei primi mesi di vita del
bambino (allattamento, svezzamento, ecc.)
Ricostruzione e valutazione delle prime tappe di sviluppo del figlio
(motorio, controllo sfinterico, linguaggio)
Eventi significativi nella vita della famiglia (traumi, separazioni, lutti,
ospedalizzazioni)
1
I colloqui sono stati condotti dal sottoscritto e dalla dott.ssa M. A. Visco, che si ringrazia per aver acconsentito a condividerne il materiale.
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D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico 201
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Eventuale nascita di un altro figlio
Eventuale presenza di altre figure significative nella vita del bambino
Informazioni sulle famiglie d’origine dei genitori
Risposta emotiva del soggetto al colloquio
Ricostruzione del rapporto con il sanitario che segue il bambino
Occorre rimarcare che ciascun colloquio è stato condotto lasciando il più
possibile ai soggetti la libertà di riferire ciò che vivevano come problematico
e di esprimere i propri vissuti emotivi evitando di censurarsi. In tal senso le
linee guida hanno rappresentato più un modello interno agli psicologi che
un modello esterno di intervista, avendo quindi adottando un metodo che
possiamo definire prevalentemente clinico. È nostra convinzione che l’oggetto di studio di cui ci siamo occupati, cioè i vissuti profondi delle donne
incontrate, e la natura del nostro lavoro, che prevedeva anche di offrire uno
spazio per l’ascolto di sé attraverso il colloquio con gli psicologi, individuassero tale metodologia come la più appropriata.
La scelta delle diverse aree del nostro profilo guida è stata effettuata sulla
base di un modello psicoanalitico che fa riferimento, principalmente, al pensiero di Eugenio Gaddini ed a costrutti teorici che ci apprestiamo a definire.
Sull’asma infantile come sindrome psicofisica datata
“La psicoanalisi ha appreso da abbastanza tempo che, almeno per tutto
il primo anno di vita (meglio sarebbe dire i primi diciotto mesi) un disturbo
nella mente si traduce in quadri somatici che sono in realtà psicofisici; ma
non ha ancora posto, io credo, sufficiente attenzione al fatto che vi sono in
questo periodo malattie cosiddette psicosomatiche, che sono, per così dire,
datate. Esse cioè non intervengono mai prima di un determinato tempo dalla
nascita”. (Gaddini, 1980, p. 483).
Queste affermazioni di Eugenio Gaddini costituiscono un punto cruciale
per la nostra discussione sull’asma come sindrome psicofisica. Esse sottolineano due importanti questioni.
La prima riguarda la concezione secondo cui un disturbo psichico, nella
prima infanzia, non può non manifestarsi attraverso un funzionamento fisiologico, presentandosi sempre come disturbo psico-fisico. Secondo Gaddini
infatti, la psicoanalisi considera il corpo e la mente sotto l’aspetto di un continuum funzionale in cui l’elemento fondamentale è un processo di differenziazione del funzionamento mentale dal funzionamento fisiologico, che
avviene attraverso l’apprendimento mentale del funzionamento fisiologico. A
tale riguardo egli riprende e sviluppa, collocandole in un contesto teorico più
ampio, le idee di Winnicott, che si esprime in termini analoghi affermando:
“La possibilità di distinguere la psiche dal soma dipende unicamente
dal punto di vista dal quale ci si pone.[…] Suppongo che qui il termine psiRichard e Piggle, 17, 2, 2009
202 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
che significhi l’elaborazione immaginativa delle parti somatiche dei sentimenti e delle funzioni, cioè della vita fisica” (1949, p. 292).
Dunque vi è l’ipotesi di fondo di un’attività mentale che si differenzia dal
somatico attraverso un processo di elaborazione del funzionamento fisico. Ne
consegue naturalmente che, nei primi tempi di vita, il funzionamento psichico sia embricato in quello fisiologico e in gran parte dipenda da esso.
Questa riflessione ci conduce alla seconda questione, che attiene
appunto al legame specifico tra il livello di sviluppo psichico – sarebbe
meglio dire psicofisico – raggiunto dal bambino e la particolare configurazione sintomatica, connessa a problematiche insorte in concomitanza con
determinate acquisizioni evolutive:
“le sindromi psicofisiche dei primi diciotto mesi (e forse anche successivamente, fino a quando uno sviluppo è in corso) si riferiscono a una patologia della mente relativa al distacco e alla separatezza. In conseguenza, esse
si manifestano in determinati momenti del primo sviluppo in cui il problema
emerge pressante ed esprimono […] un contenuto mentale difensivo, specifico del momento dello sviluppo mentale in cui il problema emerge” (Gaddini, 1980, p. 483).
Ad esempio il mericismo,2 individuato come prima sindrome datata, che
comparirebbe solo a partire dal terzo mese di vita, sarebbe da collegarsi ad
un’esperienza di gravi frustrazioni delle attività orali ed agli effetti di un
traumatico divezzamento, in un’epoca in cui l’esperienza orale ha un valore
fondamentale per porre le basi della costruzione di un primitivo senso di continuità di sé. Così la dermatite atopica, che non interverrebbe se non a partire dal sesto mese, si esprimerebbe in un periodo evolutivo in cui la perdita
definitiva del contatto fisico come limite di sé contribuisce ad imporre la
necessità, per l’infante, di iniziare a riconoscere la propria soggettività.
Veniamo quindi all’asma infantile, che rappresenta l’oggetto del nostro
lavoro. Essa viene individuata come terza sindrome datata, che non comparirebbe prima della fine del primo anno di vita, e per la quale Gaddini (1980)
sottolinea “due nuovi aspetti del distacco e della separatezza: l’iniziale
apprendimento a camminare, che contribuisce soprattutto alla nuova emergenza pressante del problema del distacco, e il contemporaneo iniziale
apprendimento del linguaggio, che soprattutto contribuisce alla organizzazione difensiva della sindrome psicofisica” (p. 484).
2
Ci sembra importante sottolineare che, prima dello studio di Gaddini e De Benedetti
Gaddini (1959), il mericismo, anche definito ruminazione infantile, veniva considerato dalla
comunità scientifica come possibile causa di insufficienza mentale nel lattante mentre, secondo
i Gaddini, quest’ultima può essere l’effetto (e non la causa) della ruminazione.
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D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico 203
In questo caso si nota come gli aspetti relativi al distacco e alla separatezza
assumono delle caratteristiche più evidenti, o quantomeno più intuitivamente
comprensibili, rispetto alle caratteristiche delle sindromi precedenti. Questa
osservazione, che a prima vista potrebbe apparire poco rilevante, assume invece
un valore importante se si comprende che il livello di organizzazione della sindrome riflette il processo di apprendimento mentale del funzionamento fisiologico, cioè il grado di differenziazione dello psichico dal somatico nel processo
maturativo. In altri termini nella sindrome asmatica la patologia del distacco
risulta più direttamente individuabile perché il livello di sviluppo psicofisico
raggiunto dal bambino è tale da consentirci di iniziare a distinguere la psiche
dal soma anche da un punto di vista osservativo. La sindrome psicofisica rappresenta quindi una soluzione difensiva ad un problema che si pone in un dato
segmento del processo evolutivo. Tale riflessione può essere espressa efficacemente con le parole di Ph.Greenacre (1958), secondo la quale “lo sviluppo di
misure difensive nell’organismo umano sembra procedere in modo ontogenetico
da reazioni precoci dirette o riflesse, di natura puramente fisica, che operano
contro l’ambiente, alla struttura complessa delle risposte psicofisiche” (p. 150).
In accordo con questo punto di vista, le tre sindromi datate possono
essere considerate come risposte psicofisiche che presentano una organizzazione di complessità crescente, tra le quali l’asma infantile sarebbe quella
più articolata. Ciò che a nostro avviso è importante comprendere non è tanto
la precisa datazione dell’insorgenza della sindrome quanto il carattere evolutivo del modello. Esso propone infatti una risposta plausibile al quesito
della psicosomatica circa i fattori che determinano la tipologia del disturbo
psicosomatico. Ma se consideriamo l’asma infantile come una risposta psicofisica complessa che funge da misura difensiva, tale concezione porta
necessariamente con sé due quesiti fondamentali: perché l’individuo
sarebbe necessitato a difendersi e, nello specifico, da cosa si difenderebbe.
A ben vedere la risposta al primo interrogativo è già contenuta nella
affermazioni di Gaddini riportate in precedenza. Il soggetto – o faremmo
meglio a dire, con Winnicott, lo psiche-soma – deve fronteggiare le difficoltà
legate all’esperienza del distacco e della separatezza. Tali esperienze, che
sono fisiologiche e universali, in alcuni casi si presentano troppo precocemente, o con una eccessiva intensità, conducendo ad una soluzione difensiva
estrema che determina una reazione psicofisica patologica.
La risposta al secondo interrogativo invece, contiene in sé una ipotesi
esplicativa che vorremmo sviluppare. Da che cosa in effetti si difende lo psiche-soma? È plausibile sostenere che esso si difenda dall’angoscia, ma questa affermazione esige diverse precisazioni.
Freud (1925) propone l’evento della nascita come una sorta di proto-esperienza dell’angoscia. Alla nascita il repentino cambiamento di ambiente
impone al bambino di investire primariamente gli organi respiratori per attivare, per la prima volta, la respirazione polmonare. Al contempo l’investimento
dell’attività cardiaca è necessario per sopperire alla carenza di ossigeno. Freud
Richard e Piggle, 17, 2, 2009
204 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
ci fa notare come si tratti, in pratica, di una intensa reazione di attivazione
necessaria a fronteggiare il pericolo reale per il neonato di non sopravvivere.
Secondo l’ipotesi freudiana anche in seguito, in situazioni di pericolo, l’individuo sarebbe portato a rispondere in maniera analoga e l’angoscia rappresenterebbe quindi una sorta di riproposizione di un’esperienza primitiva, in cui gli
aspetti somatici sono inevitabilmente e fortemente implicati. A questo punto ci
si può domandare come sia possibile la ripetizione di questa risposta se essa si
presenta per la prima volta alla nascita, quando nel neonato non è ancora presente un funzionamento psichico che gli consenta di rappresentare e memorizzare. A tale interrogativo Freud (1925) risponde che la situazione del non soddisfacimento, in cui le quantità di stimoli raggiungono un’altezza spiacevole,
senza poter essere dominate, deve essere analoga per il poppante all’esperienza
della nascita, deve cioè essere la ripetizione della sensazione di pericolo. Ciò che
sarebbe comune a entrambe è la perturbazione economica dovuta all’aumento
della quantità di stimoli e non occorre che il bambino abbia conservato, della
sua nascita, più di questa indicazione tipica della situazione di pericolo.
Collegandoci al pensiero di Genovese (2008) proviamo a collocare la
riflessione freudiana nel modello winnicottiano, secondo cui inizialmente
non esiste il lattante, ma l’unità madre-bambino. All’interno di essa l’infante
presenta un funzionamento in cui lo psichico e il somatico sono fortemente
interdipendenti e possiamo ragionevolmente ipotizzare che se l’esperienza
del distacco e il conseguente vissuto di separatezza sono troppo intensi (per
svariate ragioni), essi non possono che avere il carattere di un pericolo
estremo per la sopravvivenza, determinando la mobilitazione di un’angoscia
di annichilimento: “Quest’ultimo concetto è cruciale perché, se generalmente con il termine annichilimento ci si riferisce, in realtà, al fantasma e
all’angoscia che vi sono collegati, personalmente credo, invece, che l’accento
vada messo sul suo significato letterale di crollo psicofisico, con il risultato
potenziale della morte biologica vera e propria” (Genovese, 2008) p. 63.
A sostegno di tale ipotesi, Genovese cita le note osservazioni di Spitz e
Wolf (1946), secondo cui la grave sofferenza di bambini al disotto dell’anno
di età in orfanotrofio, sebbene adeguatamente nutriti e curati, si concludeva
con la morte nel 37,3% dei casi. Tuttavia il caso estremo può rappresentare
una evenienza particolare di un processo più generale, tant’è che la minacce
di annichilimento dalle quali ripetutamente ci si solleva sono poste da Winnicott (1956) alla base della prima organizzazione dell’Io, quando però la
relazione madre-bambino vede il prevalere delle esperienze di gratificazione
su quelle di frustrazione. Ma cosa possiamo ipotizzare che accada quando
questo non avviene? Genovese (2008) risponde che quando l’annichilimento
rimane una minaccia che non si traduce in realtà, l’angoscia ad essa collegata può condurre ad esiti con caratteristiche anche molto diverse, che
dipendono sia dalla funzione svolta dall’ambiente sia dal fattore quantitativo, relativo all’intensità dell’esperienza o alla sua ripetizione, e infine dal
livello di maturazione raggiunto dall’infante.
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L’ipotesi che qui proponiamo è che l’emergere di tale angoscia in una
organizzazione psichica ancora immatura, all’interno di una relazione
madre-bambino disfunzionale, impone al bambino manovre difensive che
coinvolgono inevitabilmente i funzionamenti fisiologici particolarmente investiti dall’attività psichica in quel determinato periodo dello sviluppo. Nello
specifico, per ciò che riguarda l’asma infantile, l’esperienza del distacco è
segnata dall’iniziale apprendimento a camminare, che rappresenta un forte
segnale di autonomia e allontanamento dalla madre, mentre il funzionamento fisiologico è rappresentato dalla respirazione, in un periodo in cui essa
è sottoposta ad un forte investimento psichico legato all’iniziale sviluppo del
linguaggio. La combinazione simultanea di questi due aspetti, come sostiene
Gaddini (1980), dà forma alla sindrome asmatica, che si manifesta attraverso una sintomatologia per vari aspetti simile a quella che caratterizza
una intensa crisi d’angoscia. Infatti l’elemento chiave dell’accesso asmatico
è rappresentato dalla sensazione di mancanza d’aria avvertita dal soggetto,
accompagnata dall’impossibilità di dilatare il torace per respirare. Si può
notare in questo più di un elemento in comune con la crisi d’angoscia che,
quando si mobilita, impegna in maniera apparentemente incongrua alcuni
organi, in particolare i polmoni e il cuore, incidendo quindi sull’attività respiratoria e cardiaca. La tachicardia e la dispnea, fino alla sensazione di soffocamento, sono sintomi tipici di intensi attacchi di angoscia.
Diventa dunque proponibile l’ipotesi secondo cui l’accesso asmatico,
nella prima infanzia, rappresenti una sorta di proto-modello psico-fisico
della crisi d’angoscia dell’adulto. Dunque l’organizzazione psichica infantile,
ancora immatura, svilupperebbe una soluzione difensiva che non può esprimersi se non attraverso il corpo, ma l’espressione della patologia attraverso
il corpo sarebbe il risultato della trasformazione da parte del mentale del funzionamento somatico, assumerebbe cioè un senso mentale attraverso il circuito corpo-mente-corpo: “In questo caso, il circuito corpo-mente-corpo non è
costituito dal ritorno regressivo direttamente al somatico per l’inaccessibilità del mentale, bensì dalla trasformazione da parte del mentale del funzionamento somatico, il quale acquista un senso che per sua natura fisiologicamente non ha; in altri termini, la fantasia è solo apparentemente assente,
mentre in realtà è creativamente espressa nel corpo” (Genovese, 2008) p. 69.3
3
A tale riguardo Genovese (2008), riprendendo e ampliando alcune considerazioni di Gaddini (1979, 1980, 1984), chiarisce come il punto di vista del circuito corpo-mente-corpo e delle
proto-fantasie nel corpo, in quanto trasformazione da parte del mentale del funzionamento
somatico, offra una ipotesi esplicativa diversa rispetto a quella proposta da Marty e De M’Uzan in merito al pensiero operatorio.
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206 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
Questi aspetti, che configurano una ipotesi sull’organizzazione di
alcune forme di asma infantile come sindrome psico-fisica, lasciano aperti
numerosi interrogativi. Uno di essi è rappresentato dalle caratteristiche
della relazione madre-bambino, all’interno della quale assumono un senso
concetti quali il processo di separazione, il vissuto di separatezza, le esperienze di discontinuità, nonché il ruolo dell’angoscia a cui abbiamo attribuito
molta importanza.
Dal canto nostro ci siamo chiesti in che rapporto sono l’angoscia vissuta dal bambino con l’angoscia materna, quali fantasie animano e dirigono la preoccupazione materna rispetto al suo piccolo appena nato, o
addirittura prima che questi nascesse. Sono queste le principali domande
a cui abbiamo cercato di rispondere nell’affrontare questo argomento di
studio, partendo dall’idea secondo cui i processi che abbiamo descritto si
sviluppano dentro una relazione che riveste un ruolo fondante lo sviluppo
psico-fisico infantile.
Caratteristiche della relazione madre-bambino
L’interesse che ci muove – in un’ottica che non perda di vista i vissuti individuali, così come sono espressi nelle narrazioni e rappresentazioni delle madri – è quello di allargare il campo delle riflessioni sull’influenza della relazione madre-bambino nell’eziologia dell’asma
infantile, rinnovando una tradizione scientifica consolidata. A partire
dai lavori di French e Alexander (1941), che hanno sottolineato il ruolo
centrale della paura dell’allontanamento dalla madre nel generare l’accesso asmatico, altri autori (Saul e Lyons, 1955) hanno discusso della
forte dipendenza e dei bisogni orali regressivi nei pazienti asmatici.
Altri ancora (Jessner et al.,1955) si sono soffermati sull’impatto emozionale della separazione, come fattore implicato nell’insorgenza dell’asma infantile all’interno della relazione madre-bambino e sul ruolo
delle esperienze precoci (Mitrani, 1993) nell’eziologia dell’asma psicosomatica.
Nel presente studio abbiamo utilizzato il colloquio come strumento privilegiato per l’esplorazione dei vissuti materni, attraverso i quali individuare aspetti pregnanti della relazione madre-bambino. Inizialmente si era
pensato di estendere i colloqui alla coppia genitoriale ma abbiamo riscontrato una presenza sporadica dei padri, che ci ha indotto a centrare diversamente il nostro studio. Una ulteriore conseguenza che non ci attendevamo
è consistita nella difficoltà ad esplorare il ruolo del padre nella mente delle
madri, a costruire cioè delle ipotesi esplicative circa il ruolo che la funzione
paterna esercita all’interno di queste famiglie. Tali aspetti meriteranno
ulteriori approfondimenti e riflessioni al presente studio, che si incentra
quindi sul versante materno.
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D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico 207
Dall’analisi e la discussione dei protocolli effettuate in un gruppo di studio,4 sono emerse analogie tra le diverse storie e vissuti ricorrenti, che ci consentono di proporre qui un’ampia riflessione, attingendo anche a brevi sintesi tratte dai colloqui.
La esclusività del rapporto tra queste madri e i propri figli malati ci
appare connotata da apprensioni continue e profonde insicurezze. Nella
totalità dei protocolli da noi esaminati ritroviamo elementi che sostengono
tale osservazione. Emerge una figura di madre che esprime costantemente
il desiderio di essere rassicurata circa i comportamenti da tenere con il figlio.
Appare centrale come la modalità affettiva di costante apprensione per
il bambino trascenda le sue reali condizioni di salute:
A. racconta di come viva con difficoltà l’allontanamento del figlio per l’asilo.
Passa molto tempo con lui prima di accompagnarlo e torna continuamente a scuola,
come ad interrompere il distacco. B. non manda a scuola sua figlia “per precauzione”
quando la bambina sospende i farmaci. Si definisce ansiosa e, tra l’altro, manifesta
la preoccupazione di non potersi allontanare dalla piccola per lavorare, a causa dei
suoi problemi.
Si può evincere che queste donne appaiono in grado di percepire e definire se stesse come ansiose e incapaci di affrontare le situazioni problematiche, vivendo con difficoltà l’allontanamento dai figli e tendendo a controllarli e a mantenerli il più possibile vicini a sé. Ciò che appare meno esplicito,
invece, è quanto tale modalità relazionale sia vissuta come limitante lo spazio di autonomia del bambino e, al contempo, quella della madre stessa.
Al contrario, alcune madri sembrano reagire ad uno stato di elevata
ansietà attraverso comportamenti opposti, che le inducono ad ostentare forzata tranquillità e distacco, a scapito della possibilità di accostarsi ad una
maggiore comprensione dei vissuti dei bambini:
C. descrive in modo freddo i disturbi della figlia, mostrandosi interessata solo a
chiarirne in breve tempo le condizioni fisiche “per risolvere definitivamente il problema”; D. riferisce di non comprendere l’atteggiamento di sua figlia – che dimentica
di prendere i farmaci e si mostra insofferente – visto che è sempre stata una bambina tranquilla e rispettosa, mostrando una sorta di incapacità nell’accettare e riconoscere la comprensibile insofferenza della bambina.
4
Del gruppo di studio hanno fatto parte, oltre al sottoscritto, il Prof. C. Genovese, il Prof.
P. Cotrufo e la Dott.ssa M. A. Visco, della Seconda Università di Napoli, e la studentessa A. Izzo.
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208 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
In realtà entrambe le modalità relazionali, in apparenza quasi opposte,
possono originare dalla medesima difficoltà nel controllo delle ansie e preoccupazioni materne, e ci è sembrato che mettessero in atto una profonda
ambivalenza: da un lato il desiderio di proteggere il bambino mantenendo
costantemente una condizione di totale controllo-vicinanza, dall’altro un
desiderio di allontanamento che si manifesta prevalentemente attraverso
sentimenti di stanchezza ed insofferenza. Winnicott (1949c) ci fornisce un’acuta riflessione sull’odio della madre nei confronti del proprio bambino,
all’interno di una cornice di pensiero più ampia sull’ambivalenza. Egli sottolinea come la gravidanza prima, la relazione primaria poi, siano anche dal
punto di vista della madre fenomeni che si muovono nella dialettica fusioneseparazione, portando con sé affetti diversi e intrecciati, come la compresenza di amore e odio verso il bambino. In riferimento a queste considerazioni, facciamo ancora ricorso al materiale dei colloqui:
A., nonostante i propri vissuti di angoscia durante l’allontanamento del bambino per l’asilo, riferisce contemporaneamente una sorta di senso di liberazione dopo
essersi abituata alla separazione; P. esprime apprensione costante per i figli ma al
contempo si scopre a criticarli per il loro essere “sempre attaccati alla mamma”; E.
invece vive le richieste del suo bambino come eccessive, manifesta un senso di stanchezza e insofferenza, che però poi tende a contraddire esprimendo rammarico per
non saper essere sempre disponibile per lui.
L’intensità con cui l’ambivalenza sembra manifestarsi si lega qui al
tema della presenza-assenza del genitore nell’accudimento del bambino e
alla difficoltà nel regolare la vicinanza-lontananza.
Ci siamo interrogati sulla peculiarità di questi stili relazionali. I bambini in questione sono realmente malati, quasi sempre da età precoce, e questa caratteristica rende i vissuti di ansia, insicurezza, preoccupazione e frustrazione comprensibilmente amplificati. Tuttavia dal nostro studio sembra
delinearsi un’immagine materna precedente la malattia del bambino, e in
realtà il bambino stesso, stabile e non reattiva alla situazione patologica.
Ravvisiamo in questi aspetti il carattere disfunzionale tipico dei casi da noi
osservati. Esso consisterebbe nell’immagine di una donna-madre ansiosa e
insicura, che possiede una rappresentazione di sé come madre inadeguata,
che amplifica l’ambivalenza verso il bambino orientando la relazione.
Il sentimento di inadeguatezza è spesso espresso a livello conscio e verbalizzato:
B. esprime le proprie difficoltà e insicurezze continue nel contenere la sua bambina e, in generale, nell’affrontare i problemi dei figli; P. si riconosce un’apprensione
eccessiva nell’aggrapparsi ai pericoli presenti nella società contemporanea per giustificare i suoi comportamenti di controllo; F., esprimendo un vissuto di incapacità
nel rapportarsi ai suoi bambini, non sa se soddisfare o meno le loro richieste, sente
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per alcuni versi di essere troppo accondiscendente, per altri di forzarli troppo: “i
primi tempi spesso piangevo, mi sentivo sola e avvilita”.
Se in questi casi il sentimento di inadeguatezza si manifesta apertamente, in altri esso sembra coperto da difese proiettive, attraverso le quali
è possibile spostare all’esterno i propri vissuti di angoscia e inadeguatezza
ed esprimere l’aggressività:
L. pare legare il suo senso di frustrazione e inadeguatezza principalmente alla
mancanza di risposte e compartecipazione emotiva da parte dei sanitari (inadeguatezza altrui), mentre M. sembra portare tale meccanismo all’estremo, accusandoli
apertamente di incompetenza e poca umanità, quasi fosse questa la ragione del suo
disagio emotivo.
La fantasia di non essere all’altezza come madre può inoltre accrescere in
queste donne l’angoscia di rapportarsi ai figli, portarle a dipendere dalle famiglie d’origine, dai propri genitori e in particolare dalle proprie madri. Questo
aspetto si è presentato spesso nei colloqui. Ancora Winnicott (1949c), a tale
riguardo, sostiene che in maggiore o minor misura una madre ha la sensazione
che sia la propria madre ad esigere un bambino, per cui il figlio sarebbe prodotto
per placare la propria madre. Ferraro e Nunziante Cesàro (1985) sottolineano
come la gravidanza sia inscritta nella storia più antica di rapporto delle donne
con la madre come primo oggetto d’amore e di trasformazione. Nei casi in questione possiamo aggiungere che la necessità di appoggio nei confronti della propria madre si intreccia con la rappresentazione di sé come madre inadeguata,
alimentando le insicurezze e le ambivalenze nella relazione con il bambino.5
Avanziamo l’ipotesi che anche il bambino, inteso come espressione di
quelle parti del Sé materno percepite come mancanti, sia rappresentato
come inadeguato:
M. parla di suo figlio come di un bambino chiuso, introverso e timoroso “fin da
subito”. Nel descrivere questi aspetti spiega come, ai suoi occhi, sia sempre stato un
bambino diverso da tutti gli altri; F. si riconosce un atteggiamento iper-protettivo
per il figlio malato che considera il più indifeso, non riuscendo lei stessa a considerare la sola patologia asmatica come causa di tale atteggiamento.
5
Rispetto a queste ultime considerazioni, e più in generale a tutto il nostro lavoro, ci
siamo chiesti quale sia il ruolo del padre come terzo nella relazione, ma in realtà non abbiamo
raccolto elementi sufficienti a costruire delle ipotesi in merito, il che rende questo aspetto degno
di ulteriori e successivi approfondimenti.
Richard e Piggle, 17, 2, 2009
210 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
Appare qui l’immagine di una genitorialità non adeguatamente elaborata, che a sua volta sembra riflettersi nella rappresentazione materna del
bambino e nella relazione con quest’ultimo. Emerge dalle narrazioni una
rappresentazione di bambino diverso, sia dai fratelli che dagli altri bambini.
Tale “diversità” coincide, nei suddetti casi, con una rappresentazione negativa, potremmo dire di bambino menomato e quindi debole, indifeso, bisognoso di cure e attenzione costanti.
Altre volte ci siamo invece trovati di fronte a madri che sembravano portare una rappresentazione affatto diversa del proprio figlio, che potremmo
definire come rappresentazione del piccolo adulto, di un bambino descritto
come serio, responsabile, ubbidiente, intelligente e maturo per la sua età:
Nel descrivere il figlio E. ripete varie volte, nel corso del colloquio, come questi
si comporti “come un piccolo ometto”, rispondendo con senso di responsabilità alle
richieste materne; N. descrive, un po’ freddamente, una figlia assennata, ubbidiente
e matura per la sua età, che non dà alcun problema se non la preoccupazione per l’asma; significativo ci pare ancora l’esempio di G. che da un lato descrive il proprio
bambino come intelligente, assennato e autonomo, mentre dall’altro esprime l’idea
che abbia bisogno di maggiore protezione rispetto al normale.
Questa apparente dicotomia ci è sembrata confermare l’ipotesi di una
rappresentazione affettiva comune: la rappresentazione di un figlio che in
ogni caso non può essere considerato alla stessa stregua degli altri bambini.
Se l’essere madri, per queste donne, attiva delle angosce che inevitabilmente
si riversano sui propri figli, questi ultimi, essendo prodotti viventi di una
funzione sentita come inadeguata, non possono che essere percepiti come
“diversi”. La difesa attivata nei confronti di tale vissuto angoscioso appare
essere in alcuni casi la svalutazione, in altri l’idealizzazione.
La suddetta “diversità” appare significativa anche in relazione alla presenza di eventuali fratelli. Abbiamo notato spesso un riferimento esplicito
delle madri a questa problematica del rapporto con il figlio malato rispetto
agli altri figli:
M. non manca di sottolineare la differenza del suo bambino asmatico, fondamentalmente chiuso e remissivo, rispetto all’estroversione ed irruenza caratteristiche dei suoi due fratelli, mentre G. sostiene che soltanto il figlio malato ha presentato problemi e che, per questo, si sente molto più tranquilla in relazione agli altri
due figli, che sono sani.
Si vede come, in questi casi in cui il bambino è rappresentato come
menomato, i fratelli vengono descritti con caratteristiche opposte, e presentati come forti, sani, attivi e autonomi. Sembra attivarsi una ulteriore dialettica di svalutazione/idealizzazione. Quest’ultima viene riproposta, in
senso inverso, nel caso della rappresentazione materna del piccolo adulto, in
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D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico 211
cui sono i fratelli ad essere in certa misura svalutati rispetto alle qualità
positive attribuite al bambino asmatico:
R. descrive il figlio malato come un bambino forte, di contro alla descrizione della
sorella maggiore, rappresentata come debole e lamentosa; B. fornisce una descrizione
opposta delle due figlie: la prima, che non ha disturbi, è vissuta come prepotente, perfezionista, problematica, mentre la seconda è descritta come serena, tranquilla, obbediente.
Siamo dunque propensi a ipotizzare che questa sorta di polarità, riscontrata nella rappresentazione materna della fratrìa, sia la manifestazione di
una più profonda polarità sano-insano, espressione della fantasia di aver
generato qualcosa di costituzionalmente mancante in contrapposizione a
qualcosa di perfettamente compiuto. Per spiegare le ragioni legate alla opposta soluzione difensiva, occorre sviluppare il tema della dialettica idealizzazione/svalutazione già accennato. Possiamo ipotizzare che nel primo caso
tale fantasia non sarebbe esprimibile in maniera diretta da queste madri,
che compenserebbero la svalutazione di uno solo dei figli attribuendo agli
altri caratteristiche positive. Nel secondo caso ravvisiamo invece una opposta soluzione difensiva rispetto alla medesima difficoltà, consistente nella
idealizzazione del bambino malato, mediante cui la madre sembra sopperire
alla ferita infertale dalla fantasia di aver generato un figlio “mancante”
attribuendo a questi delle caratteristiche positive e negandole negli altri.
Un ulteriore aspetto interessante in merito a questi temi è che, nel
gruppo di madri tendenti ad utilizzare l’idealizzazione del bambino malato
come difesa preponderante, abbiamo individuato due diverse tendenze. In
alcuni casi l’idealizzazione appare come una “facciata”, una sorta di costruzione di senso superficiale non sostanziata da una reale modalità affettiva
madre-bambino idealizzante:
E. racconta, sul piano razionale, di come consideri suo figlio un bambino tranquillo, responsabile e maturo. Tuttavia, nel corso del colloquio, si manifestano ben
presto vissuti di insofferenza che richiamano il suo effettivo percepirlo come bambino difficile, problematico, stancante.
Emerge qui un senso di stanchezza e insofferenza della madre rispetto
ad un figlio percepito solo surrettiziamente come bambino modello, ma ad
un livello più profondo come disturbante.
In altri casi invece, la modalità idealizzante sembra corrispondere alla
effettiva tipologia relazionale e sostenerla:
N. appare del tutto compiaciuta dalla sua bambina, che ha un comportamento
impeccabile nonostante i suoi problemi; G. esprime soddisfazione per il figlio ed il
bambino, nell’occasione presente durante il colloquio, si manifesta orgoglioso del
compiacimento espresso dalla madre.
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212 D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico
In questi casi è ipotizzabile che il bambino colluda con la fantasia idealizzante della madre, mediante un adattamento imitativo alle sue richieste.
In tal modo il piccolo pare attualizzare, attraverso comportamenti e vissuti
compiacenti, la fantasia riparatoria materna, diventando una sorta di figlio
perfetto.6
Da ciò che abbiamo descritto appare evidente come, accanto alle analogie individuate, si possano scorgere anche percorsi con esiti diversi. Tale
aspetto non stupisce, né confuta il nostro lavoro, in quanto rappresenta il
naturale riflesso dell’unicità di ogni singola situazione relazionale. Pur
tenendo ben presente questo, gli aspetti comuni alle diverse narrazioni da
noi raccolte ci hanno consentito di fornire un quadro significativo degli affetti
e rappresentazioni della madre nella relazione con il bambino asmatico.
Considerazioni conclusive
“Il bambino asmatico assume un posto speciale nella mente della
madre. Ella inconsciamente considera il bambino come una parte di sé. […]
Il conflitto ancora attivo tra dipendenza e indipendenza, tra vicinanza e lontananza, è trasferito su di lui. (Queste madri) lo tengono vicino e al contempo
lo allontanano. Il bambino risponde allo stesso modo. Egli sente il desiderio
di contatto e protezione, e al contempo la spinta verso l’indipendenza e la
crescita” (Jessner et al, 1955, p. 374-375, la traduzione è nostra).
Queste affermazioni di Jessner e colleghi (1955) descrivono aspetti che
concordano con il quadro emerso nel presente studio. Tuttavia le osservazioni da noi ricavate ci hanno consentito una ulteriore forma di approfondimento delle dinamiche relazionali.
Abbiamo esplorato vissuti ed esperienze connotati da profonde angosce,
plausibilmente già attive in personalità insicure e ansiose. Riteniamo che
l’insieme di questi aspetti descriva diversi elementi di intensa discontinuità
nella relazione madre-bambino, che può trovare una linea di comprensione
nelle rappresentazioni che la madre ha di sé e del proprio figlio. Abbiamo
altresì osservato come tali rappresentazioni si caratterizzino nella direzione
del sentimento di inadeguatezza, fronteggiato attraverso strategie difensive diverse.
6
Questo aspetto ci appare di grande interesse, in quanto può collegarsi non soltanto alle
questioni riguardanti il legame tra fantasie genitoriali e sviluppo psico-fisico dei figli, ma anche
alle problematiche relative alle organizzazioni di personalità “come se” e “falso sé” (Deutch,
1949; Winnicott, 1965).
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D. Mervoglino: Rappresentazioni e affetti della madre nella relazione con il bambino asmatico 213
Abbiamo proposto che il bambino asmatico, per il significato stesso che
l’asma assume nello sviluppo infantile, possa rappresentare il prolungamento di quelle parti del Sé materno inadeguate e conflittuali. L’angoscia
materna, proiettata nell’infante attraverso tale modalità relazionale, può
determinare in quest’ultimo l’emergere di un’angoscia di annichilimento che
assume il carattere di un pericolo di morte, tale da determinare manovre
difensive che coinvolgono il funzionamento somatico contribuendo all’organizzazione della sindrome asmatica.
Ulteriori studi potranno approfondire diversi spunti emersi da questo
lavoro, come i vissuti di maternità e gravidanza, e il ruolo del padre e della
coppia all’interno di tali processi.
Riassunto
L’autore presenta uno studio condotto mediante colloqui semi-strutturati con madri
di bambini affetti da sintomatologia asmatica. Partendo dalla tesi di E. Gaddini (1980),
che individua l’asma infantile come sindrome psicofisica datata, viene proposta l’ipotesi secondo cui tale sindrome possa essere considerata come il proto-modello psicofisico della crisi d’angoscia nell’adulto. L’attivazione che si determina nell’infante, in
conseguenza di una forte discontinuità nella relazione primaria, assume il carattere
di un’angoscia di annichilimento (Winnicott, 1963) che però in questo caso è connessa
al pericolo reale di annientamento per il bambino (Genovese, 2008). Ciò determina l’attivazione di manovre difensive che coinvolgono, creativamente, alcuni funzionamenti
fisici psichicamente investiti. L’esplorazione delle rappresentazioni materne di sé e del
proprio bambino, emerse dai colloqui, mostra come esse siano caratterizzate da
profonde angosce che orientano la relazione madre-bambino in direzione di una forte
discontinuità. Alla luce di queste considerazioni, l’autore propone una riflessione sul
materiale emerso dai colloqui connessa alle suddette ipotesi teoriche.
Parole chiave: asma, sindromi psicofisiche, annichilimento, rappresentazioni
materne.
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Darwin Mervoglino, Psicologo, Cultore della Materia di Psicologia Dinamica presso la
Facoltà di Psicologia della Seconda Università di Napoli, collabora con la cattedra di Psicologia
Dinamica (prof. C. Genovese). Lavora presso il Servizio di Sostegno nel Post-Adozione del Settore Servizi Sociali del Comune di Benevento.
Indirizzo per la corrispondenza/Address for correspondence:
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