I LUPERCALI Il Lupercale è la grotta nella quale vennero trasportati dal Tevere in piena Romolo e Remo, e dove secondo la leggenda, furono allattati dalla lupa. La cerimonia celebrava la fondazione di Roma e di Romolo, suo primo re; il 15 febbraio del 44 a.C. la festa dei Lupercalia si presentava come l’occasione per incoronare Cesare re. Il rito consisteva in una corsa a piedi intorno al Palatino da parte di alcuni giovani, nudi, unti di olio e con le sole pudenda ricoperte di pelli di capre sacrificate; di capra erano anche le sferze con cui colpivano chiunque incontrassero, in particolare le donne incinte o quelle che non riuscivano ad esserlo ma avrebbero voluto.1 Il 15 febbraio del 44 a.C. il vincitore della guerra civile, ormai fregiato di tutte le onorificenze, assisteva ai Lupercalia2 seduto in tribuna, quando Antonio, suo collega di consolato, nonché luperco3, protese un diadema a Cesare che intuendo il disappunto della folla che cominciò a rumoreggiare per l’iniziativa di Antonio, rifiutò prontamente tra gli applausi della gente. A questo primo diniego ne seguì un secondo, successivo alle suppliche del luperco che gettandosi ai suoi piedi lo pregava di accettare quella corona simbolo di regalità. A questo punto Antonio prendendone atto, fece scrivere nei Fasti ciò che era accaduto: la sua offerta e il rifiuto di Cesare.4 L’evento è narrato dalle fonti antiche in maniera difforme e ancora oggi stabilire l’attendibilità dell’una o dell’altra versione è cosa alquanto problematica5. I nodi cruciali su cui non si trova un consenso unanime vertono essenzialmente su: 1. l’effettiva responsabilità di Antonio nell’iniziativa di attribuire il diadema a Cesare; 2. la reazione dell’imperatore; In Plut., Caes. 61,1 è messo in evidenza come il percuotere le donne fosse prevalente nel rito; del particolare del corpo unto con dell’olio sono Appiano (B.C. II 109,256) e Plutarco (Ant. 12,2) che ne fanno menzione 2 Le fonti circa queste festività non sono cospicue. Consultando il database TlG (versione D) e il PHI 5.3 tramite il programma di lettura Diogenes 3.1.6 possiamo infatti notare che in Cicerone e Plutarco (le fonti antiche più significative riguardo questo avvenimento) il nesso “Lupercalia” occorre in Cicerone 8 volte (Phi. II 84,8; 87,2; III 12,7; XIII 17,3; 41,8; Fam. VII 20,1; Q. Frat. II 12,4; ex epistulis incertis) e in Plutarco 7 volte (Caes. 61,1; Ant. 12,1; Rom. 21,4; Num. 19,5; Aetia Romana et Greca 280, B; 280, C; 290, D). Il nesso “lupercus” strettamente connesso al precedente occorre, nelle varie forme flesse, soltanto 7 volte in Cicerone (Cae. 26,7; 26,9; Phil II 85, 3; VII 1, 3; XIII 31, 4; Att. XII 5, 1; epistulae fragmenta 4,19) e 4 volte in Plutarco (Rom. 21,5; 21,8; 21,10,1; 21,10,8). 3 I lucerci era un corpo di ispettori addetti alla festa dei Lupercali. 4 Solo Cic., Phil. II 34,78-78 tramanda che il rifiuto è fatto registrare da Antonio, la maggior parte della storiografia successiva tace riguardo questo particolare. 5 Sul tema dei Lupercali cfr. G. Zecchini, Cesare e il mos maiorum, Stuttgart 2001, 11 ss. 1 1 3. la finalità del gesto; 4. la consapevolezza o meno da parte di Cesare. Cicerone presente quel 15 febbraio alla festa religiosa e pertanto testimone oculare, attribuisce al solo Antonio la proposta del diadema che Cesare nonostante le implorazioni e le preghiere del collega-console rifiuta per ben due volte.6 «sedebat in rostris conlega tuus amictus toga purpurea,in sella aurea, coronatus. escendis, accedis ad sellam— itaeras Lupercus ut te consulem esse meminissedeberes— diadema ostendis. gemitus toto foro. Vndediadema? non enim abiect um sustuleras, sed attulerasdomo meditatum et cogitatum scelus».7 Sebbene cronologicamente lo storico Nicola di Damasco8 sia il più vicino all’Arpinate, la sua narrazione è quella che se ne distacca maggiormente; infatti è l’unica fonte a non dare la responsabilità del gesto soltanto ad Antonio, il quale interviene solo dopo altri due tentativi di fare di Cesare un re. Il primo fu tentato da parte di un certo Licinio che pose il diadema ai piedi del dittatore che non lo raccolse; dopo di lui, visto l’incitamento della folla e vista l’impassibilità di Lepido nel cogliere l’opportunità, fecero nuovamente l’omaggio due cesariani, ponendolo questa volta sulle gambe di Cesare che non accettò. Solo a questo punto entra in scena Antonio che incorona il dittatore, ma poiché questi non gradì il gesto, tirò tra la gente la corona che successivamente fu collocata su una statua di Cesare, fino a quando i due tribuni Epidio Marullo e Cesezio Flavo non la rimossero, azione che costò loro la destituzione della carica9. Come lo storico appena citato anche Plutarco unisce l’episodio della metà di gennaio10 con ciò che è accaduto durante i Lupercali. L’argomento affrontato in due momenti diversi della sua opera presenta elementi differenti. Nella “Vita di Antonio” il gesto di porgere la corona per ben due volte, col plauso di pochi fa sdegnare Cesare, particolare, questo, assente nella “Vita di Cesare”.11 Cic., Phil. II 34 in evidenza è la scelleratezza di Antonio nel voler restaurare la monarchia e del conseguente gesto con cui avrebbe tolto la libertà ai romani. 7 Cic., Phil.II 34,85. 8 Nikol. Dam., Vita di Augusto, 20,68. 9 Sul tema cfr. G. Zecchini, Il pensiero politico romano dall’età arcaica alla tarda antichità, Roma 1997, 6982. 10 La già menzionata deposizione da parte dei tribuni del diadema sulla statua di Cesare e la conseguente espulsione dal senato di quest’ultimi. 11 Plut., Caes. 61, 1-7. 6 2 «ἐν τούτοις ὁ Ἀντώνιος διαθέων τὰ μὲν πάτρια χαίρεινεἴασε, διάδη μα δὲ δάφνης στεφάνῳ περιελίξας προσέδραμετῷ βήματι, καὶ συν εξαρθεὶς ὑπὸ τῶν συνθεόντων ἐπέθηκετῇ κεφαλῇ τοῦ Καίσαρος, ὡς δὴ βασιλεύειν αὐτῷ προσῆκον.ἐκείνου δὲ θρυπτομένου καὶ δια κλίνοντος ἡσθεὶς ὁ δῆμοςἀνεκρότησε: καὶ πάλιν ὁ Ἀντώνιος ἐπῆγε, καὶ πάλιν ἐκεῖνοςἀπετρίβετο».12 Cassio Dione in riferimento ad altre due circostanze in cui Cesare era stato chiamato “re”, esordisce dicendo che la festa dei Lupercali dimostra ancora meglio come pur respingendo quel titolo lo desiderasse ardentemente, a dimostrazione di ciò, continua dicendo che espressamente volle che sul verbale della seduta si scrivesse «che egli aveva rifiutato il ruolo di re offertogli dal popolo attraverso il console». Quel gesto, rivelerebbe con chiarezza per lo storico quanto volesse essere costretto ad accettare quel titolo di re, e che d’accordo con altri, avesse pianificato tutto.13 La cerimonia dei Lupercali è l’episodio ancora più discusso dagli studiosi moderni; l’elemento religioso, unito alla frammentarietà e contraddittorietà degli scrittori antichi non consente una ricostruzione rigorosamente scientifica, ma solo ipotesi più o meno plausibili. Il Cristofoli ritiene che Antonio offrendo la corona regale intendesse guadagnarsi la gratitudine di Cesare e per la memorabilità dell’evento si sarebbe configurato all’interno della fazione cesariana il numero due; avrebbe avuto condonato il debito dell’erario, avrebbe posto le premesse per essere nominato, come afferma, Nicola di Damasco, erede e figlio adottivo di Cesare14. 12 13 14 Plut., Ant. 12,3-4. Cass. Dio XLIV 10. Cristofoli, Antonio e Cesare. Anni 54-44 a.C., Roma 2008, 147-149. 3 Conclusioni In questa mia indagine basata sull’analisi delle fonti e una disamina della letteratura secondaria, ho cercato di ricostruire l’ancora oggi dibattuta vicenda dei Lupercali, dei quali Antonio, ritornato ad essere il favorito del vincitore, era stato scelto a presiedere il culto. Le fonti antiche presentavano interpretazioni divergenti. La questione è incentrata sul significato da attribuire alla tentata incoronazione di Cesare durante la festa e sulla eventuale connessione con le Idi di marzo. L’esclamazione di Cicerone: tu, tu … illum [Caesarem] occidisti Lupercalibus, chiaramente antiantoniana non lascia spazio ad altre interpretazioni, ma l’ostentata sicurezza di Cicerone non può essere da noi condivisa, poiché dalle altre fonti storiografiche non si traggono le medesime conclusioni. 4 Bibliografia R. CRISTOFOLI, Antonio e Cesare. Anni 54-44 a.C., Roma 2008. G. ZECCHINI, Il pensiero politico romano dall’età arcaica alla tarda antichità, Roma 1997. G. ZECCHINI, Cesare e il mos maiorum, Stuttgart 2001. 5