Ottica visuale Parte 5 – L’immagine retinica e l’acuità visiva Corso di laurea in Ottica ed Optometria Facoltà di Scienze M.F.N. Università del Salento Vincenzo Martella optometrista Contatti: 0833/541063 392 8388361 [email protected] L’immagine retinica Negli occhi l’immagine che si forma sul piano retinico risulta reale, ridotta, capovolta ed invertita (alto, basso, destra, sinistra). Grandezza dell’immagine retinica È possibile determinare la dimensione dell’ immagine retinica in una condizione di: un occhio emmetrope. Ametrope non corretto. Ametrope corretto con lenti oftalmiche o con lenti a contatto. Differenza delle dimensioni delle immagini retiniche (aniseiconia) in caso di differenza di ametropia tra i due occhi (anisometropia). Calcolo approssimato dell’immagine in un occhio schematico di Gulstrand Considerando i due triangoli simili ABC E A’B’C sia: ho: l’altezza del’oggetto. hi: l’altezza dell’ immagine do: la distanza dell’oggetto dall’apice + la distanza apice punto medio tra i punti nodali circa 0.007 m (BD + DC). di: la distanza retina punto medio tra i punti nodali circa 17 mm. DC: le distanza apice corneale - punto medio tra i punti nodali. A Punti nodali ho B di α B’ do D D C hi A’ Grandezza dell’immagine retinica approssimata data la distanza e la dimensione dell’oggetto Per triangoli simili: hi : ho = di : do quindi: hi = - ho·di/do Esempio: ho = 2 m (ad esempio una persona) BD = 3 m (ad esempio all’altro lato di una stanza) do = BD + 0.007 m = 3.007 m di = 0.017 m hi = - 2 · 0.017/3.007 = -0.011 m segno meno perché capovolta Grandezza dell’ immagine retinica in un occhio schematico di Gulstrand conoscendo l’angolo incidente al punto nodale. hi = - di · tan α dove tan α = ho/do; (sostituendo si riottiene evidentemente la formula precedente) Esempio precedente: ho = 2 m; do = 3.007 m; tan α = 2 / 3.007 = 0,665 corrispondente a 33.6°; hi = - 0.017 · 0.665 = - 0.011 m c.v.d. Altro esempio: ho = 1.4 m (ad esempio un’automobile) do = 20 m (ad esempio che sia lontana sulla strada) tan α = 1.4m / 20m = 0.07 corrispondente a 4° Per un angolo di 4° l’immagine retinica è hi = - di · tan α = - 0.017 · 0.07 = - 0.0012 m (segno meno perché capovolta) Grandezza dell’immagine retinica approssimata in un occhio ridotto emmetrope di Emsley dato l’angolo incidente al punto principale Nell’occhio ridotto di Emsley il punto principale coincide con l’apice della cornea. L’immagine retinica h’ è in relazione all’angolo incidente sull’asse ottico sul punto nodale che viene posto anch’esso sull’apice corneale. L’unico indice di rifrazione equivalente è 1.3333 Grandezza dell’immagine retinica approssimata in un occhio ridotto emmetrope di Emsley dato l’angolo incidente al punto principale w : angolo di incidenza al punto principale w’ : angolo di rifrazione h’ : dimensione dell’immagine retinica Calcolo dell’immagine retinica dato l’angolo incidente Agli angoli incidente e rifratto applichiamo la legge di Snell: n · sen w = n’ · sen w’ Ma per angoli molto piccoli (fino a circa 0.5 rad, meno di 30°) il seno dell’angolo si può approssimare all’angolo stesso in radianti. Quindi invece dei seni si possono considerare direttamente gli angoli: n · w = n’ · w’ , che porta a: w’ = w · n / n’ In un occhio n/n’ = 3/4 (rapporto equivalente a 1/1.3333) e quindi: w’ = 3/4 · w (w’ < w, il raggio si avvicina all’asse ottico) Calcolo dell’immagine retinica dato l’angolo incidente in un occhio ridotto standard emmetrope tan w’ = - h’/k’o (segno - immagine capovolta) da cui: h’ = - k’o · tan w’ e sostituendo w’ = 3/4 · w : h’ = - k’o · tan (3/4 · w) (formula calcolo immagine) Ma per angoli molto piccoli (fino a circa 0.5 rad, meno di 30°) anche la tangente dell’angolo si può approssimare all’angolo stesso in radianti. Quindi invece della tangente si può scrivere direttamente l’angolo in radianti: h’ = - k’o · (3/4 · w) Essendo k’o = 0.02222 m : h’ = - 0,02222 · 3/4 · w. h’ = - 0.01665 m · w grandezza immagine retinica conoscendo w Dimensione dell’immagine retinica nella miopia assiale Nella miopia l’immagine cade prima della retina. Di un radiatore puntiforme monocromatico posto all’infinito sull’asse ottico, sulla retina si proietta un disco di sfocamento del quale è possibile calcolare il diametro. Dimensione del diametro dell’immagine retinica, nella miopia assiale, di un radiatore puntiforme posto all’infinito sull’asse ottico p : piano pupillare. a b : punti estremi di incidenza sul piano pupillare (diametro pupilla). g : diametro pupillare. a’ b’ = punti estremi del disco di sfocatura. j : diametro dell’ immagine sfocata (diametro del disco di sfocatura). B’: posizione del fuoco del sistema. k’ : lunghezza assiale dell’occhio. l’ : distanza del fuoco del sistema dal piano pupillare. Dimensione dell’immagine retinica in miopia assiale I triangoli formati da a b B’ e da B’a’b’ sono simili quindi possiamo affermare che: J / g = (k’ - l’) / l’ da cui: J = g · (k’ - l’) / l’ dimensione dell’immagine retinica = diametro del disco di sfocatura. Dimensione dell’immagine retinica nell’ipermetropia assiale. In condizioni di totale disaccomodazione, nell’ipermetropia l’immagine cade dietro la retina. di un radiatore puntiforme monocromatico, posto sull’asse ottico, sulla retina si proietta un disco di sfocamento di cui è possibile calcolare il diametro. Dimensione del diametro dell’immagine retinica di un radiatore puntiforme posto all’infinito sull’asse ottico, nell’ ipermetropia assiale. P : piano pupillare. a b : punti estremi di incidenza sul piano pupillare. g : diametro pupillare. a’ b’ : punti estremi del diametro del disco di sfocatura. J : diametro dell’ immagine sfocata (diametro disco di sfocatura). B’ : posizione del fuoco del sistema K’ : lunghezza asse dell’occhio l’ : distanza del fuoco del sistema dal piano pupillare. Dimensione dell’ immagine retinica nella ipermetropia assiale I triangoli formati da a b B’ ed a’ b’ B’ sono simili quindi possiamo affermare che: J / g = (l’-k’) / l’ da cui: J = g · (l’-k’) / l’ diametro del disco di sfocatura = dimensione immagine retinica. Dimensioni delle immagini retiniche nelle ametropie assiali non corrette Maggiore sarà la discrepanza tra lunghezza assiale e potere rifrattivo dell’occhio, maggiore sarà la dimensione dell’immagine retinica sfocata. Le dimensioni delle immagini retiniche nelle ametropie assiali non corrette sono direttamente proporzionali all’ametropia. Ingrandimento delle lenti Cosa accade quando correggiamo una ametropia con lenti oftalmiche? La lente positiva fa vedere più grande La lente positiva fa vedere più grande. Lo stesso fenomeno è osservabile da chi guarda il portatore (si vedono gli occhi ingranditi). L’ingrandimento è dovuto in minima parte allo spessore della lente, (nel menisco positivo è maggiore al centro e minore al bordo), ed in maggior parte, in modo direttamente proporzionale, al potere della lente La lente positiva si comporta come un condensatore di energia luminosa aumentando la quantità di luce che entra nell’occhio. La lente positiva viene usata in optometria per aumentare la performance visiva Le lenti positive vengono utilizzate nella visione da vicino in particolari condizioni di disequilibrio visivo, anche in assenza di ipermetropia e di presbiopia, per migliorare li comfort visivo e ridurre lo stress visivo prossimale. L’aumento di energia luminosa che entra nell’occhio, e il miglioramento della visione periferica che ne deriva, sembrano essere i motivi per cui l’uso delle lenti positive, prescritte tramite sofisticate procedure optometriche, può spesso ridurre l’astenopia e la progressione della miopia. La lente negativa fa vedere più piccolo La lente negativa fa vedere più piccolo. Lo stesso fenomeno è osservabile da chi guarda il portatore (si vedono gli occhi rimpiccioliti). La riduzione delle immagini è dovuto in minima parte allo spessore (nel menisco negativo minore al centro e maggiore al bordo) ed in maggior parte, in modo inversamente proporzionale, al potere della lente. La lente negativa produce una riduzione della radiazione ottica che investe la retina ed una riduzione della visione periferica. La riduzione della correzione della miopia è un espediente spesso usato per la riduzione della progressione miopica In optometria comportamentale, al contrario della scuola optometrica tradizionale, si ritiene che in molti casi l’eccesso di lente negativa (ipercorrezione negativa) favorisca l’incremento stesso della miopia. Per cui, attraverso sofisticate procedure optometriche, è possibile stabilire, nei casi in cui è richiesto, quanta riduzione di correzione negativa (residuo di positivo) è il caso di adottare. Una ulteriore sottocorrezione di negativo, nei casi in cui è richiesto, può essere utile da vicino per ridurre lo stress visivo prossimale e rallentare la progressione della miopia. Potere della lente correttiva e distanza apice corneale-lente Come già detto la correzione sferica delle ametropie consiste nel far coincidere il fuoco immagine della lente con il punto remoto dell’occhio ametrope. Le lente però non è posta a contatto sull’occhio ma ad una certa distanza detta “apice corneale-lente”. Se la lente (e quindi l’ametropia) è di bassa entità (inferiore a 3.75/4 dt) o lo spostamento è minimo, variando un po’ la distanza apice corneale-lente l’effetto correttivo rimane pressoché invariato. Se la lente (e quindi l’ametropia) è elevata (oltre le 4 dt) variando anche di poco la distanza apice corneale-lente l’effetto correttivo cambia consistentemente. In pratica se rilevo con l’occhiale di prova una consistente correzione con una certa distanza apice corneale-lente e poi pongo sull’occhiale definitivo la lente ad una distanza diversa o applico una lente a contatto, devo relativizzare la correzione alla nuova distanza. Potere delle lenti e loro distanze focali Ricordate che: maggiore è la distanza focale, minore è il potere della lente. E viceversa: Minore è la distanza focale maggiore è il potere della lente. In altre parole il potere delle lenti è inversamente proporzionale alla loro distanza focale. Come cambia il potere di una lente negativa al variare della distanza apice corneale-lente Come già detto la lente negativa che corregge la miopia ha il fuoco immagine (virtuale) sul punto remoto che giace sull’asse ottico davanti all’occhio. Quindi dovendo porre una lente correttiva più vicino o più lontano all’occhio, fermo restando il fuoco oggetto coincidente col punto remoto, allontanandomi dall’apice corneale la distanza focale si ridurrà (il potere della lente aumenta) avvicinandomi la distanza focale aumenterà (il potere della lente si riduce). Calcolo della lente negativa equivalente al variare della distanza apice corneale-lente d (espressa in m) = spostamento da effettuare alla lente (differenza tra la distanza di misurazione e nuova distanza). φ = potere lente correttiva rilevata, in diottrie (considerare il suo valore assoluto) 1/φ = Lunghezza focale lente rilevata, in m. φ’ = potere della lente equivalente posta alla nuova distanza. 1) se mi allontano dall’apice: applico la formula: φ’ = φ/(1- φd) = 1 / (1/φ – d) Siccome la lente si avvicina al P.R., alla focale della lente 1/φ sottraggo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’. Quindi allontanandosi dall’ apice corneale (lente negativa) φ’>φ. 2) Se mi avvicino all’apice: applico la formula: φ’ = φ/(1+ φd) = 1 / (1/φ + d). Siccome la lente si allontana dal P.R., alla focale della lente 1/φ aggiungo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’. Quindi avvicinandosi all’apice corneale (lente negativa) φ’<φ. Esempio di variazione della lente negativa equivalente al variare della distanza apice corneale-lente Lente rilevata durante il controllo optometrico con l’occhiale di prova o col forottero = -15 dt. Distanza di rilevamento con occhiale di prova = 0,010 m La misura della distanza dove verrà la lente sulla montatura dell’occhiale definitivo = 0,015 m Quindi lo spostamento è di 0.005m in allontanamento dall’apice corneale-lente (la distanza focale va ridotta). φ’ = φ/(1–φd) = 15/(1–15x0.005) = 15/(1-0.075) = 15/0.925 = 16,21 si arrotonda a – 16,25 dt il potere è aumentato (segno meno perché miope) Altrimenti detto: 1/φ = 1/15 = 0.6666; 0.6666 – 0.005 = 0.0616; 1/0.0616 = 16.21 che si arrotonda a -16.25 dt. Come cambia il potere di una lente positiva al variare della distanza apice corneale-lente Come già detto la lente positiva che corregge l’ipermetropia ha il fuoco immagine sul punto remoto che giace sull’asse ottico dietro la retina. Quindi dovendo porre una lente correttiva più vicino o più lontano dall’occhio, fermo restando il fuoco immagine coincidente col punto remoto, allontanandomi dall’apice corneale la distanza focale aumenterà (il potere della lente si riduce), avvicinandomi la distanza focale si ridurrà (il potere della lente aumenta). Calcolo della lente positiva equivalente al variare della distanza apice corneale-lente d (espresso in metri) = spostamento da effettuare alla lente (differenza tra la distanza di misurazione e nuova distanza). φ = potere della lente correttiva rilevata, in diottrie (considerare il suo valore assoluto). 1/φ = lunghezza focale lente rilevata, in m. φ’ = potere della lente equivalente posta alla nuova distanza. 1) Se mi allontano dall’apice: φ’ = φ/(1+φd) = 1 / (1/φ + d) siccome la lente si allontana dall’P.R., alla distanza focale 1/φ aggiungo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’. Quindi allontanandosi dall’apice corneale (lente positiva) φ’<φ. 2) Se mi avvicino all’apice: φ’ = φ/(1–φd) = 1 / (1/φ – d) siccome la lente si avvicina al P.R., alla distanza focale 1/φ sottraggo d. Il risultato è la nuova distanza focale. Facendo il reciproco della nuova distanza focale ottengo φ’. Quindi avvicinandosi all’apice corneale (lente positiva) φ’>φ. Esempio di variazione della lente positiva equivalente al variare della distanza apice corneale-lente Distanza della lente rilevata durante il controllo optometrico con l’occhiale di prova o il forottero: 0.012 m Potere della lente rilevata +6 dt. Calcolare la lente a contatto equivalente. Lo spostamento è proprio uguale alla distanza apice corneale-lente in avvicinamento (la distanza focale va ridotta) = 0.012 m. φ’ = φ/(1- φd) = 6/(1 – 6x0.012) = 6/(1-0.072) = 6 / 0.928 = 6.46 si arrotonda a +6.50 dt. Il potere è aumentato (segno + perché ipermetrope). Altrimenti detto: 1/φ = 1/6 = 0.1666; 0.1666 – 0.012 = 0.1546; 1/0.1546 = 6.46, che si arrotonda a + 6.50 dt. Effetto dell’anteposizione di lenti sferiche davanti ad occhi emmetropi o corretti effetto s.i.l.o. e s.o.l.i. Anteponendo, davanti ad un occhio emmetrope o corretto, delle lenti negative o positive anche di medio potere ad una distanza di circa 25 cm, facendo osservare un soggetto vicino, con lenti negative si osserverà un rimpicciolimento del soggetto e con lenti positive un ingrandimento del soggetto. Per una valutazione su base esperienziale, un’immagine piccola si associa ad un soggetto lontano (la nave all’orizzonte appare piccola) ed un immagine grande si associa ad un soggetto vicino (la stessa nave osservata da vicino appare enorme). Cos’è l’effetto s.i.l.o. e s.o.l.i. In realtà, per l’effetto ottico indotto, le lenti negative, oltre a rimpicciolire sposteranno l’immagine più vicina e le positive, oltre ad ingrandire, sposteranno l’immagine più lontano. s.i.l.o. sta per Smaller-In; Larger-Out (piccolo-vicino; grande-lontano, effetto reale prodotto dalle lenti + e -) s.o.l.i. sta per Smaller-Out; Larger-In (piccolo-lontano; grande-vicino, sensazione visiva valutata su base esperienziale) Utilizzo dell’effetto s.i.l.o. e s.o.l.i. nel training visivo Nel training visivo optometrico (procedure di allenamento visivo atte a migliorare l’efficienza e la percezione visiva) si usa far fare esercizi anteponendo lenti – e + davanti ad uno o entrambi gli occhi (a circa 25 cm di distanza) per far si che la persona percepisca l’effetto s.i.l.o. Effetto S.I.L.O. e S.O.L.I. Normalmente appena si antepongono le lenti la persona dirà di vedere le immagini con lenti - piccole e lontane e con lenti + grandi e vicine (effetto s.o.l.i.), perchè elabora su base esperienziale non facendo una valutazione effettiva del fenomeno visivo in atto che invece è s.i.l.o. L’esercizio consiste proprio nell’innescare il processo s.i.l.o. che è ciò che accade realmente nello spazio visivo percepito nella lente. L’insorgenza nella persona della sensazione s.i.l.o. sta a significare che si sta valutando la reale condizione visiva indotta dalla lente e non un’elaborazione solo su base esperienziale. L’innescarsi della sensazione s.i.l.o. dimostra che l’individuo, in quell’esercizio, ha imparato a fidarsi di ciò che i suoi occhi percepiscono realmente. Metodi di valutazione del visus La capacità di percepire i dettagli del soggetto osservato si chiama visus o acuità visiva. In passato si pose la necessità di trovare e codificare metodi di misurazione della capacità visiva. Si può definire l’acuità visiva come la capacità visiva di discriminare particolari che sottendono all’apice dell’occhio angoli molto piccoli. Angolo visivo Il soggetto AB sottende un angolo α all’apice dell’occhio che viene definito angolo visivo. Esso dipende dalla relazione tra la dimensione del soggetto e dalla sua distanza dall’occhio. Esso è inversamente proporzionale alla distanza e direttamente proporzionale alla dimensione. Se un occhio riesce a percepire particolari che sottendono angoli molto piccoli vuol dire che ha un buon visus. Calcolo approssimativo dell’angolo visivo conoscendo la dimensione del soggetto e la sua distanza dall’apice dell’occhio. AB = dimensione soggetto. d = distanza soggetto dall’occhio. α = angolo visivo. tan α = AB/d Es. AB = 1 cm d = 57 cm. tan α = 1/57 = 0.0175 da cui α = 1° 1 cm a 57 cm sottende un angolo visivo di 1° L’acuità visiva ed i coni foveolari Nella foveola centralis i coni sono di dimensioni maggiori ed ognuno di essi è collegato ad una sola bipolare ed a una sola gangliare (rapporto uno a uno). La luce si incanala all’interno del cono e, raggiungendo il pigmento fotosensibile, scatena l’impulso nervoso. Esso segue in questo modo un’autostrada privata che mantiene lo stimolo diretto cellula-cellula sino alle aree visive superiori espandendosi poi nel cervello. Misurare la capacità di vedere Misurare la capacità di discriminare i particolari è una delle necessità legate alla valutazione dell’efficienza visiva. Le capacità percettive si possono distinguere in varie sottocategorie e per misurarle si dispone di diversi strumenti. Essi sono gli ottotipi (pron. ottòtipo, da ops-, visione e tipo, carattere) e gli strumenti che rilevano la soglia dello stimolo luminoso. Minimo percettibile o acutezza di visibilità Affinché uno stimolo possa essere percepito occorre che questo sottenda un angolo pari a circa quello sotteso al punto nodale da un cono foveolare (15-20 secondi d’arco). Se ciò non accade non c’è percezione. Il modo più semplice per valutarla è di mostrare un punto nero su sfondo bianco di dimensioni crescenti ed individuare il punto più piccolo che viene percepito. La capacità di percepire stimoli con angoli molto piccoli manifesta una buona acutezza visiva. Questa è un’abilità che, anche in condizioni di normalità visiva, può subire grosse differenze tra gli individui. Un calo dell’acutezza visiva può essere attribuibile anche a patologie. Angolo minimo di risoluzione MAR È l’angolo più piccolo sotteso tra due punti affinché essi possano essere visti separati. Secondo l’ipotesi di Von Helmholtz, per percepire distinti due punti di uguale luminanza occorre che essi stimolino due coni foveolari in modo che tra essi un terzo non sia attivato dallo stimolo. Questa condizione determina un angolo visivo ω’ detto angolo minimo di risoluzione. Per la legge dei punti nodali anche i due punti osservati sottenderanno rispetto al primo nodo (approssimabile all’apice corneale) un angolo ω = ω’. Angolo minimo di risoluzione MAR Considerando che la distanza media tra due coni foveolari è 2 µm, la separazione tra i due coni attivi è 4 µm. Assumendo per l (distanza tra secondo punto nodale e retina) un valore di 16.67 mm (Gullstrand), l’angolo ω‘ sotteso dai due coni attivi vale: ω‘ = arctg (4 µm / 16.67 mm) = 0.24 mrad = 0.014° = 49” Questo valore può essere approssimato a 60” = 1’. Ma non è così; tanto più che il raggio incidente non può essere così selettivo verso il singolo fotorecettore. Nella pratica clinica si osserva che la capacità di risoluzione può essere raggiunta anche con angoli inferiori a 60”, anche di 35”-50” d’arco. Una spiegazione plausibile di ciò può essere l’attività svolta dalle cellule orizzontali, dai micro movimenti dell’occhio che determinano la composizione del cosiddetto mosaico retinico e dalla particolare disposizione compatta dei coni, per cui se, in particolare, gli oggetti da distinguere sono delle linee l’elaborazione cerebrale sfrutta molti più segnali che non quelli provenienti da due soli coni. Il limite della diffrazione Quando un’onda passa attraverso un foro di diametro φ confrontabile con la sua lunghezza d’onda λ subisce il fenomeno della diffrazione: in parole povere si manifesta anche nelle direzioni circostanti quella delineata dal foro stesso. La tipica distribuzione angolare dell’energia dell’onda presenta una forte intensità al centro, sull’asse del foro (il “disco di Airy”), la cui apertura angolare vale θ = 2.44 λ / φ (radianti), delimitata da un primo anello di minima intensità e poi da altri anelli alternati luminosi e neri. Anche l’occhio è affetto da questo fenomeno, dovuto alla presenza della pupilla (di diametro Φp), che pone un limite fisico all’ angolo minimo di risoluzione. Il limite della diffrazione Infatti il disco di Airy corrispondente ad un punto osservato potrebbe “illuminare” più di un cono foveolare, riducendo l’acuità. Affinchè venga rispettata l’ipotesi di Von Helmholtz, per distinguere due punti deve avvenire che, con il disco di Airy di un punto centrato su un certo cono, il disco dell’altro punto deve “illuminare” un cono che si trovi nella posizione del minimo del primo (criterio di Rayleigh), cioè ad una separazione angolare ω‘ pari alla metà dell’ampiezza del disco di Airy. Tra questi due coni si dovrà trovare il terzo cono inattivo (o comunque meno illuminato). Quindi ω‘ = 1.22 λ / Φp Assumendo λ = 555 nm (giallo-verde) e Φp = 3 mm si ha ω‘ = arctg (555 nm / 3 mm) = 0.22 mrad = 0.013° = 46” Si osservi come ad una maggiore miosi corrisponda una risoluzione peggiore (compensata però da minori aberrazioni). Si noti come il limite fisiologico (dovuto alla dimensione dei coni) e quello fisico (diffrazione) sostanzialmente coincidono: l’evoluzione ha condotto il sistema visivo ad avere un limite risolutivo non (inutilmente) superiore a quello imposto dalle leggi della fisica. Metodi per la misurazione del minimo angolo di risoluzione La valutazione del minimo angolo visivo di risoluzione può essere effettuata con le cosiddette griglie o reticoli. Esse sono l’alternanza di linee nere con spazi bianchi. L’unità di misura delle griglie così composte sono i cicli per grado. Un ciclo è composto da une linea nera ed uno spazio bianco. La misura in cicli per grado indica quanti cicli entrano in un grado. Altri sistemi sono gli anelli di Landolt, che sono cerchi con un apertura posta in varie direzioni, o le E di Albini, E di varie dimensioni poste in direzioni diverse. Acuità di allineamento o di localizzazione È la capacità di percepire il disallineamento tra due figure. Essa si esprime con l’angolo sotteso dalle due figure sul piano orizzontale. Essa è maggiore dell’angolo minimo di risoluzione. Essa è di circa 4-5 secondi d’arco. Possiamo annoverare in questo tipo di acuità anche la capacità di percepire la verticalità della linea, “tilt”. Capacità visiva morfoscopica o di riconoscimento Essa è la capacità di riconoscere simboli. In età pre-scolare vengono utilizzati ottotipi con figure. In età scolare gli ottotipi più usati sono quelli con lettere o numeri. I vari tipi di acuità visiva Il valore espresso in primi d’arco è il MAR. L’acuità visiva AV è inversamente proporzionale al MAR: AV = 1 / MAR (in primi d’arco) La frazione di Snellen Snellen giunse alla conclusione che un occhio, con buona salute retinica e ben corretto, è in grado di percepire un soggetto complesso (capacità visiva morfoscopica) se esso sottende un angolo visivo di 5 minuti d’arco. Su questa base definì un altro modo di esprimere l’acuità visiva. Egli creò degli ottotipi incasellando le lettere in griglie composte da quadrati di 5x5 entro i quali inscrivere delle lettere. Indipendentemente dalla loro dimensione, se poste alla distanza dove sottendono all’occhio 5 minuti d’arco, stabiliscono il valore di normalità visiva (10/10). La frazione di Snellen è data dalla distanza a cui viene posta la lettera per poter essere vista dal soggetto esaminato, fratto la distanza dove essa sottende un angolo di 5 minuti d’arco (1 minuto per ogni tratto della letterina). In realtà invece di variare la distanza, si ingrandiscono le lettere opportunamente di rigo in rigo per determinare visus più bassi del normale. Dieci decimi 10/10 Le tavole ottotipiche più usate in età scolare sono quelle per la capacità di riconoscimento solitamente costituite da lettere. Il sistema di definizione del visus più usato da noi è espresso in decimi partendo dalla frazione di Snellen. Es.: distanza a cui la lettera sottende 5’: 12 m distanza massima a cui viene percepita: 6 m frazione di Snellen = 6/12 = 0.5 = 5/10 Dieci righe di lettere nelle quali le lettere aumentano la loro dimensione a partire dalle più piccole che sottendono un angolo di 5’ (10/10). L’ingrandimento dalla riga n/10 alla m/10 è pari a n/m Es.: se alla riga 8/10 i caratteri sono alti 5 mm alla riga 7/10 saranno 5 x 8 / 7=5.71 alla riga 3/10 saranno 5 x 8 / 3=13.33 In altre nazioni esistono ottotipi espressi in ventesimi o sesti. 11/10, 12/10, …16/10 Nella realtà Snellen sottovalutò le capacità percettive di un occhio sano e ben corretto: infatti le lettere dei 10/10 non rappresentano il limite della capacità morfoscopica, ma una qualità della visione ritenuta sufficiente per poter svolgere disinvoltamente la maggior parte delle attività visive quotidiane. La capacità visiva di questo tipo può spingersi anche molto oltre i 10/10. Per questo le letterine dei 10/10 vengono ulteriormente divise in altre e queste in altre ancora e così via sino a spingersi sino anche a 16/10, anche se a questi limiti solo pochi eletti riescono ad arrivare. Limiti della tabella di Snellen Le differenze di dimensione tra le lettere grandi sono notevoli per cui su bassi visus il salto tra un livello di difficoltà e l’altro non dà una buona accuratezza di misurazione. Le lettere grandi sono poco affollate e questo facilita la loro interpretazione. Per questo sono state strutturate tavole ottotipiche con variazione logaritmica delle dimensioni che risultano così più graduali e con numero uguale di simboli per riga. Nonostante ciò, una conoscenza strumentale dell’ottotipo di Snellen da parte dell’operatore, consente una perfetta valutazione del visus. MAR e logMAR Calcolando il logaritmo decimale del MAR (espresso in primi d’arco) si ottengono numeri in un intervallo utile da pochi decimi (negativi) a qualche unità (positiva). Ad es.: MAR AV LogMAR 10’ 1/10 1 7.9’ 63/500 0.9 1.26’ 8/10 0.1 1’ 10/10 0 0.5’ 20/10 -0.3 Tabelle ottotipiche espresse in decimi di LogMAR hanno una più graduale variazione delle dimensioni dei simboli. Ottotipo logMAR Sensibilità al contrasto È la capacità di distinguere due aree contigue, di diversa luminosità. C, contrasto, si può esprimere matematicamente come: - Il rapporto tra la differenza di luminosità delle due aree fratto la loro somma (contrasto di Michelson, detto anche di modulazione) Lmax – Lmin C = ---------------------------Lmax + Lmin - Il rapporto tra la differenza di luminosità tra sfondo e soggetto, fratto la luminosità dello sfondo (formula di Weber) Lsfondo – Lsoggetto C = -----------------------------Lsfondo Potenzialità diagnostiche della sensibilità al contrasto Una buona sensibilità al contrasto è spesso indice di buona salute retinica. Essa anche in presenza di visus buono può risultare alterata a causa di alcune patologie oculari di alcune aree retiniche. Qui è rappresentato un ottotipo per la misurazione della sensibilità al contrasto Sensibilità al contrasto a frequenza spaziale Un altro metodo per misurare la sensibilità al contrasto sono le bande a frequenza spaziale. Sono bande a contrasto variabile di spessore diverso. Una banda chiara ed una scura sono un ciclo. La frequenza è data da quanti cicli sono contenuti in un angolo visivo di 1 grado. Come si vede dal grafico la sensibilità fisiologica è massima sulle medie frequenze. Patologie retiniche e sensibilità al contrasto La riduzione totale della sensibilità al contrasto è indice di patologie generalizzate a tutta la struttura nervosa della retina (es. retinopatia diabetica). La curva è spostata in basso. La scarsa sensibilità alla basse frequenze spaziali è indice di patologie a carico delle cellule gangliari delle aree periferiche. La curva è bassa nel primo tratto. La scarsa sensibilità alle medie frequenze è indice di patologie a carico delle cellule gangliari della zona maculare e para maculare. La curva è bassa nella zona centrale. La scarsa sensibilità al contrasto delle alte frequenze spaziali è indice di patologie a carico delle cellule della zona foveolare. Il visus è basso e la curva declina repentinamente nel tratto finale. Acuità visiva dinamica È la capacità di discriminare particolari di soggetti in movimento. Essa implica, oltre ad una buona acuità visiva, anche un perfetto coordinamento del movimento oculare d’inseguimento visivo “pursuit”. Scatti, salti, tremori, prodotti da un movimento non accurato dei muscoli oculomotori, precludono la possibilità di una buona percezione dei dettagli di un soggetto in movimento. La visione periferica L’acutezza visiva è una peculiarità delle foveola centralis dove, in condizioni di buona focalizzazione dei sistemi ottici e salute oculare, è possibile la massima acuità visiva. Essa decade via via che ci si allontana dalla fovea dove cambia la natura, organizzazione e densità dei coni e aumenta il numero dei bastoncelli. Ma i soggetti, motivo della nostra attenzione, sono inseriti in un contesto esattamente come gli attori su un set. È la visione periferica che consente di localizzare e contestualizzare l’immagine percepita centralmente. Visione centrale e periferica La visione centrale risponde alla domanda: cos’è, chi è. La visione periferica risponde alla domanda: dov’è. La visione periferica è fondamentale per l’attività visiva dinamica. È impossibile avere una vita visiva normale senza la visione periferica pur avendo 16/10. Tramite essa possiamo guidare, giocare, e spostare gli occhi da in soggetto all’altro tramite i movimenti oculari delle saccadi. È molto importante che la visione centrale e periferica siano ben integrate tra loro. L’importanza della visione periferica La visione periferica è “salva vita”. Molte inefficienze, incidenti o cattive organizzazioni motorie, derivano da una scarsa capacità di percepire ciò che circonda il soggetto osservato. Attività come la lettura, lo sport, la guida o semplicemente infilare correttamente una porta, versare l’acqua nel bicchiere ecc., sono fortemente legate all’integrazione di una buona visione periferica. Si vive meglio con una trombosi centrale che con una retinite pigmentosa. Training visivo per migliorare la percezione visiva Il training visivo optometrico è una serie di innumerevoli procedure di esercizio visivo, finalizzato al miglioramento delle capacità percettive visive integrandole tra loro e con tutto l’organismo. La visione centrale e periferica possono essere migliorate da queste procedure. La capacità di percepire meglio (si parla di percezione, non di visus) la periferia è spesso uno degli scopi che si prefigge il training visivo. La stereopsi È una delle abilità più elevate (non la più importante) del sistema visivo umano e di alcune specie animali. Essa è la capacità di percepire lo spazio tridimensionalmente quindi la capacità di valutare la distribuzione degli elementi del set visivo anche lungo l’asse z. Il massimo della sua percezione si espleta solo tramite una perfetta integrazione della binocularità. Persone con visione monoculare o con profonde alterazioni della binocularià non hanno una corretta percezione stereoscopica. La stereopsi è un implicazione della distanza e della differenza prospettica tra le immagini retiniche che si formano nei due occhi. Essa è presente in molte specie arboricole e di predatori, consentendo a questi una precisa valutazione delle distanze. Della stereopsi parleremo ancora in seguito. Le aberrazioni Anche l’occhio umano è afflitto da aberrazioni. Alcune di esse possono essere compensate dal processo elaborativo delle informazioni compiuto dal cervello che aggiusta le distorsioni. L’introduzione di dispositivi ottici o la modificazione refrattiva chirurgica modifica l’assetto aberrometrico abituale. Aberrazioni elevate possono indurre anche gravi disturbi in soggetti ipersensibili alle distorsioni visive. In passato si ignorava l’aberrazione oculare Le scarsa conoscenza dei fenomeni ottici aberranti e l’assenza di tecnologie in grado di rilevarle, lasciava insoluto il problema. Solo dal 1866 John Green propone il primo ottotipo per l’astigmatismo. L’aberrometria oggi Le possibilità correttive offerte dalle nuove lenti a geometria asferica (migliorative rispetto alle sferiche), dalle progressive, dalla chirurgia refrattiva e le nuove tecnologie per l’analisi del fronte d’onda, richiedono ricerche sempre più approfondite sull’aberrometria applicata alle correzioni ed all’occhio. Analisi del fronte d’onda Oggi esistono più tecnologie per analizzare il fronte d’onda. Il principio è quello di misurare sul piano pupillare le deformazioni del riflesso retinico di uno o più fasci di luce che attraversano l’occhio (uno di questi è il metodo Hartmann-Sharc derivato dalle applicazioni sull’astronomia). Attraverso complessi polinomi è poi possibile ricavare le componenti aberranti del sistema analizzato. I polinomi di Zernike Sono i modelli per tradurre matematicamente le aberrazioni. Essi definiscono la aberrazioni sino all’ottavo ordine. L’occhio umano percepisce però solo sino al quinto sesto ordine. La rappresentazione grafica delle aberrazioni al piano pupillare richiama molto quella dei topografi corneali in cui la superficie del fronte d’onda e rappresentata delle differenze cromatiche tra il blu, arancio e verde. Esse descrivono la tipologia a l’andamento delle aberrazioni. I numeri in verticale indicano l’ordine delle aberrazioni sino al quinto. Aberrometro ZView Aberrometer È uno strumento ideato appositamente per la realizzazione di lenti ad alta definizione. Grazie ai dati forniti dallo strumento associati ad accorti esami refrattivi e della binocularità, è possibile realizzare lenti come “un’ impronta digitale” tali da appiattire le aberrazioni sul piano pupillare agendo sulle aree specifiche di deformazione del fronte d’onda. Fronte d’onda ideale Modello teorico ideale. Piatto e parallelo rispetto al piano di riferimento Le aberrazioni di primo ordine Sono poco rilevanti e spesso associate ad altre aberrazioni Le aberrazioni di secondo ordine nell’occhio Miopia, ipermetropia, astigmatismo Le prime due sono definite defocus. Sono correggibili con lenti. defocus a scodella astigmatiche a sella Aberrazioni del terzo ordine “Coma” deriva da cometa perché dà la sensazione che dalla sorgente luminosa si diparta una coda. Non correggibile con lenti tradizionali. La correzione astigmatica può ridurre l’effetto cometa. Aberrazioni del quarto ordine Non correggibili con lenti tradizionali Aberrazione cromatica È un’aberrazione assiale. Le sezioni delle lenti sferiche positive e negative possono essere definite come quelle di due prismi con superfici curve unite per il vertice nel centro ottico. Esse di fatto si comportano come prismi. Il prisma rifrange una radiazione policromatica nelle sue componenti mono cromatiche. Anche l’occhio umano è affetto da aberrazione cromatica. La radiazione blu cade prima sull’asse ottico, poi la giallo verde, poi la rossa L’occhio e l’aberrazione cromatica I diottri oculari scompongono la radiazione visibile policromatica nelle sue componenti monocromatiche. Le radiazioni del blu cadono prima sull’asse visivo, quelle rosse più lontano e le giallo-verdi in mezzo alle due. Quindi una condizione miopica favorirà la percezione della radiazione rossa, una condizione ipermetropica favorirà la percezione della radiazione giallo verde se c’è capacità compensativa accomodativa o del blu se non c’è capacità compensativa. Il sistema accomodativo in condizioni di normalità tende a focalizzare sulle radiazioni del giallo-verde. Se un soggetto si avvicina, le radiazioni blu si avvicinano al piano retinico e le giallo verdi ed ancor di più le rosse arretrano. Se il soggetto si allontana le radiazioni rosse si avvicinano al piano retinico e le giallo verdi, e ancor di più le blu, slitteranno dentro l’occhio. Questo coerente spostamento delle focali cromatiche sulla retina al variare delle distanze è uno degli stimoli che guida l’attività di contrazione o rilassamento del cristallino e quindi dell’accomodazione, che tenderà a riportare a fuoco le radiazioni giallo verdi. Uso dell’aberrazione cromatica a fini diagnostici. L’aberrazione cromatica si usa per valutare se si è indotta una ipo, orto, o iper correzione dell’ametropia. Una condizione miopica favorirà la percezione della radiazione rossa, una condizione ipermetropica favorirà la percezione della radiazione giallo verde (o blu se non c’è capacità compensativa). Esiste un test optometrico (test bicromatico) che sfrutta l’aberrazione cromatica oculare per valutare se l’occhio esaminato si trova in una condizione reale o indotta dalle lenti correttive di miopia, ipermetropia o emmetropia. Consiste nel proporre le lettere dell’ottotipo alcune in una banda rossa, altre in una banda verde. Se c’è una condizione reale o indotta miopica, si vedranno le lettere nel rosso con più contrasto che nel verde. Se la condizione è di emmetropia si vedranno le lettere ugualmente contrastate nel rosso e nel verde. Se la condizione è ipermetropica si vedranno le lettere nel verde con più contrasto che nel rosso. Test bicromatico Più contrasto sul rosso: condizione miopica (indotta o reale) Uguale contrasto rosso-verde: condizione emmetropica (indotta o reale). Più contrasto nel verde: condizione ipermetropica (indotta o reale) (sfondo rosso) (sfondo verde) L’aberrazione cromatica dell’occhio più quella indotta dalle lenti Anche le lenti oftalmiche presentano una quantità di aberrazione cromatica. Essa è legata alla composizione chimica del materiale usato per costruire la lente. La proprietà di un materiale ottico di indurre aberrazione cromatica è definita dal numero di Abbe. Esso è inversamente proporzionale all’entità dell’aberrazione. L’aberrazione cromatica della lente si somma a quella dell’occhio. Lenti oftalmiche ad alto indice spesso hanno basso numero di Abbe e possono far percepire iridescenze nella parte periferica della lente stessa. L’aberrazione sferica È un’ aberrazione assiale. Può affliggere molti sistemi ottici e quindi anche le lenti correttive, se non si usano accorgimenti ottico-geometrici nella costruzione delle lenti finalizzati alla sua riduzione. Riguarda ogni singola radiazione monocromatica che attraversa una lente affetta da questa aberrazione. I raggi parassiali e periferici non cadono tutti nello stesso punto sull’asse ottico. Lenti a menisco Le lenti piano convesse, piano concave, biconvesse o biconcave, producono alte aberrazioni sferiche ed altre aberrazioni. In oftalmica si usano menischi perché riducono l’astigmatismo dei fasci obliqui e l’aberrazione sferica. Il diagramma di Tscherning Tscherning elaborò un grafico attraverso il quale calcolare il potere della lente e da esso i raggi di curvatura, per la costruzione di lenti prive di alcune aberrazioni come l’astigmatismo dei fasci obliqui. Le lenti biconcave e biconvesse sommano le aberrazioni della superficie esterna a quelle della superficie interna. Nei menischi la superficie interna le sottrae a quelle dell’esterna. Dato il potere finale della lente dal diagramma di Tscherning è possibile calcolare una delle due superfici (di solito quella esterna) in modo che questa non sia affetta da astigmatismo dei fasci obliqui. Ellisse o grafico di Tscherling Lenti asferiche Oggi con le nuove tecnologie è possibile costruire lenti quasi del tutto prive di aberrazione sferica ed astigmatismo dei fasci obliqui. Sono le lenti asferiche. Lente sferica ed asferica a confronto Mal posizionamento delle lenti correttive Una eccessiva o troppo scarsa inclinazione del frontale dell’occhiale può indurre astigmatismo, a causa della modificazione del fronte d’onda, il cui asse risulta parallelo alla direzione dell’inclinazione. Un decentramento della lente induce effetti prismatici che, come vedremo di seguito, possono alterare un perfetto equilibrio funzionale. Lenti customizzate Siamo già in un era in cui l’approccio esclusivamente empirico alla prescrizione optometrica è sempre integrato ed assistito da tecnologie che consentono di valutare singolarmente il problema visivo elaborando soluzioni personalizzate atte a produrre i migliori effetti sulla performance visiva. Lenti bifocali Una tecnologia ormai antiquata per correggere la presbiopia associata ad ametropie sono le bifocali. Sulla lente da lontano si ricava in basso una zona per vicino (mezzaluna cerchio o taglio che attraversa la lente). In queste lenti è preclusa la zona di visione intermedia. L’immagine del pavimento è sfocata e bisogna abbassare la testa per vederlo nitido. Sono molto anti estetiche. Le lenti progressive Le nuove tecnologie consentono di produrre lenti compensative per la presbiopia in presenza di ametropie con una progressione graduale tra la zona di visione da lontano e quella da vicino. È cosi possibile focalizzare a tutte le distanze. Sono molto estetiche in quanto sembrano delle lenti normali. Ma sono afflitte da molte distorsioni specie in periferia. Occorre abbassare un po’ il capo per vedere il pavimento nitido. Lenti progressive e analisi del fronte d’onda L’avvento delle tecnologie wavefront ha consentito di ridurre consistentemente le distorsioni periferiche migliorando molto l’adattamento a queste lenti che è sempre stato l’ostacolo da superare per chi inizia ad usarle. Capacità d’adattamento alle modificazioni visive indotte dalle ametropie e dalle lenti Detto ciò non dimentichiamo mai che abbiamo a che fare con un sistema biologico e non solo con un sistema di lenti. L’elaborazione psichica compie un ruolo determinante nel trovare strategie compensative ed adattive. Una persona può essere in grado di convivere a volte anche bene con consistenti ametropie, correzioni errate, e forti distorsioni indotte dalle lenti. Altri al contrario non tollerano la benché minima influenza sul loro assetto visivo abituale. In questa capacità giocano un ruolo determinante l’entità e qualità dell’errore, la “flessibilità” dell’individuo, e l’evoluzione temporale del disturbo stesso.