PAROLA PROPRIA E PAROLA ALTRUI Il testo

PAROLA PROPRIA E PAROLA ALTRUI
Il testo che qui si presenta fa parte di Marxismo e filosofia del linguaggio (1929 seconda ed. 1930) di
cui costituisce la parte terza, intitolata “Per una storia delle forme dell’enunciazione nelle costruzioni
linguistiche. Saggio di applicazione del metodo sociologico ai problemi della sintassi”, dedicata al
rapporto tra parola propria e parola altrui.
A differenza della frase, cellula morta della lingua, generalmente assunta come oggetto della
linguistica, sia essa la linguistica tassonomica o quella generativo trasformazionale, la parola, anche
nella sua unità basilare,
l’enunciazione, cellula viva del parlare, ha sempre a che fare con la parola altrui, perché è ascolto e si
realizza nell’ascolto, risponde e chiede una risposta.
L’unità basilare, sul piano del senso, è l’enunciazione, perché solo ad essa in quanto contestualizzata,
in quanto di qualcuno e rivolta a qualcuno, in quanto dotata di sottinteso, in quanto intonata, in quanto
finalizzata ad esprimere qualcosa, può seguire una comprensione rispondente, diversamente dalla frase,
che, priva di tutto questo, può essere intesa nel suo significato o nei suoi possibili significati solo
immaginandola come una possibile enunciazione, con tutte le suddette caratteristiche
dell’enunciazione, cioè conferendole un senso possibile.
La parola, dice Bachtin, ha generalmente un duplice orientamento: verso il suo oggetto e verso un’altra
parola, la parola altrui. Questa parola altrui può anche essere l’oggetto stesso della parola che dunque si
presenta come parola oggettivata o raffigurata. La parola raffigurata, oggettivata, può esserlo nella
forma del discorso diretto o del discorso indiretto. Ma c’è anche un terzo tipo, quello del discorso
indiretto libero, che a Bachtin interessa particolarmente per evidenziare una dialogicità della parola che
non è quella del “dialogo” comunemente inteso, il dialogo formale, come un susseguirsi di repliche, di
battute. Riportando la parola altrui, la parola deve necessariamente operare dei collegamenti, delle
connessioni, combinarsi con la parola altrui, deve affrontare dei problemi di sintassi. Proprio nella
sintassi massimamente si evidenzia l’incontro della parola propria con la parola altrui, il loro rapporto
di interazione; e soprattutto nella sintassi del discorso riportato, diretto, indiretto e indiretto libero, si
evidenzia il modo in cui si orienta la ricezione e la trasmissione della parola altrui, si palesa la
disposizione all’ascolto e la dialogicità costitutiva dell’enunciazione.
PER UNA FILOSOFIA DELL’ATTO RESPONSABILE
Un termine chiave di tutto il discorso di Bachtin è edinstvennyj, singolare, unico, irripetibile,
eccezionale, incomparabile, sui generis, corrispondente al tedesco einzig. Si ricordi il titolo dell’opera
di Max Stirner, Der Einzige und sein Eigentum (1844); ma qui, a differenza dell’individuo egoista di
Stirner, il riferimento è a una unicità, a una singolarità, aperta al rapporto di alterità con se stessa e con
gli altri, una singolarità in collegamento con la vita dell’intero universo, che include nella sua finitezza
il senso dell’infinito, e che, per certi aspetti, richiama “il singolo” di Soren Kierkegaard autore ben noto
a Bachtin: “Molto presto, prima che fosse tradotto in russo, già conoscevo Kierkegaard. […]
Dostoevskij di lui non aveva la minima idea, certamente, ma la sua vicinanza a Dostoevskij è
incredibile, la problematica quasi la stessa, e quasi la stessa profondità”. Ma questa questione non è
semplicemente se sia possibile la conoscenza del singolare, se sia possibile una mathesis singularis, o
piuttosto inevitabilmente, soltanto una mathesis universalis, che procede per concetti, per
classificazioni, per assemblaggi, sulla base di insiemi, generi, in cui il singolare, in un modo o
nell’altro, viene inglobato sotto forma di individuo e identificato dall’appartenenza a tale o a tal altro
insieme a tale o tal altro genere. Si tratta anche di una questione che tocca direttamente la vita di
ciascuno e che ha un’incidenza profonda su di essa, di una questione in cui entrano in gioco la qualità
della vita e il riconoscimento della differenza singolare di ciascuno, per il fatto che l’organizzazione
sociale stessa, la modellazione culturale stessa della vita, funziona sulla base di classificazioni, di
incasellamenti, di attribuzione di appartenze, ricorre al genere, all’universale come condizione
dell’identificazione, della differenziazione, della individuazione.
LINEAMENTI DI UNA TEORIA DEI SEGNI
Nuova edizione del fondamentale testo di Charles Morris del 1938 nella traduzione, con introduzione
e commento, di Ferruccio Rossi-Landi, originariamente apparso nel 1954 e riedito negli anni 1963,
1970, 1999. Tale lavoro fu rivisto a più riprese da Rossi Landi fino agli ultimi anni della sua vita per
una nuova edizione che non riuscì a realizzare e che quindi si presenta avvalendosi anche delle più
recenti correzioni, precisazioni e aggiunte annotate a penna sulla sua copia personale dell’edizione del
1963. Quest’opera di Morris è una breve ma compatta introduzione alla semiotica, cioè alla teoria o
scienza generale dei segni e della comunicazione. Col passare dei decenni, la sua importanza è andata
sempre crescendo, tanto che la si può considerare come un piccolo testo classico del pensiero del
Novecento.
SCRITTI DI SEMIOTICA, ETICA ED ESTETICA
Gli scritti qui raccolti in traduzione italiana fanno parte del percorso di ricerca di Charles Morris a
partire dalla pubblicazione del suo libro del 1946 Segni, linguaggio e comportamento e sono: “Signs
about Signs about Signs” (1948), risposta alle osservazioni e critiche rivolte al suo libro del ’46;
“Aesthetics, Signs and Icons” (1965), ripubblicato unitamente a “Esthetics and the Theory of Signs”
(1939) in Nuova Corrente nel 1967 nella traduzione italiana di Ferruccio Rossi-Landi, qui riedita,
insieme alla “Premessa” scritta da Morris appositamente per tale occasione; “Man-Cosmos Symbols”
(1956); e “Mysticism and Its Language” (1957), pubblicato in Language: An Inquiry into Its Meaning
and Function, nel 1957. Il libro contiene anche il testo di Rossi-Landi “On Some Post-Morrisian
Problems” (1978) ed è corredato dalla bibliografia delle opere di Morris.
PARLANDO DI SEGNI CON MAESTRI DI SEGNI
«Per ampiezza tematica, il lavoro di Susan Petrilli si estende dalla fine del secolo scorso ai giorni nostri
partendo da quella specie di ponte angloamericano che, dal 1903 al 1912, collegava Charles S. Peirce
con Victoria Welby. Oltre a Peirce, Petrilli sceglie saggiamente di rivolgere l’attenzione sia verso
l’Europa Orientale, sia verso l’Occidente. Esplora le anticipazioni semiotiche presenti nelle opere del
russo Michail Bachtin, il quale aveva insistito sul fatto che ogni espressione artistica – anzi
l’organizzazione della vita umana stessa – manifesta l’interazione di posizioni differenti e non
intercambiabili, relative a differenti sistemi di valore. Nella direzione emisferica opposta, Petrilli si
occupa delle opere dell’americano Charles Morris, un autore che si interessò di un’ampia varietà di
argomenti ma che soprattutto va studiato per i suoi seminari pionieristici sulla semiotica» (Dalla
Prefazione di T.A. Sebeok).
INTERPRETAZIONE E SCRITTURA
Scrittura, scrittura letteraria, intransitiva, scrittura non intesa in senso letterale. Traducendo in un
linguaggio di nomi: Scrittura: Bachtin, Lévinas, Barthes, Bataille, Blanchot, Derrida, …Dupin.
Interpretazione: incontro di parole, comprensione rispondente, traduzione, trasposizione.
Interpretazione e scrittura. La scrittura come sfida dell’interpretazione. L’interpretazione come deriva
della scrittura.