Capitalismo_JAMIS Alice nel paese de#21907D

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Gilles Dostaler
Bernard Maris
Capitalismo
e pulsione di morte
Traduzione dal francese
di Alberto Bracci Testasecca
Indice
7 Introduzione
11 Prefazione
27 Capitolo primo
Freud e la pulsione di morte
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32
38
41
44
50
Eros e Thanatos
Rimozione e principio di realtà
La tecnica, o come somigliare a Dio
Globalizzazione e accumulazione
Dal narcisismo delle piccole differenze alla servitù volontaria
Denaro e analità
57 Capitolo secondo
Keynes e il desiderio di denaro
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62
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73
77
82
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91
Il denaro e la morte
Auri sacra fames: Mida
Il denaro o l’arte come assicurazione contro la morte?
Marmellata e liquidità
La teoria del mercato-folla
Il denaro capro espiatorio
Il debito di vita: capitalismo e senso di colpa
La concorrenza e la morte
97 Capitolo terzo
Freud e Keynes oggi
101 Globalizzazione
La globalizzazione è anche lo scontro delle civiltà, 102
La globalizzazione è anche l’emersione dei giganti, 103
La globalizzazione è anche il mercato generalizzato, 105
107 Liquidità e crisi finanziaria
110 La rendita
117 Epilogo
Oltre il capitalismo
117
119
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125
126
Nel 2030 l’umanità avrà risolto il problema economico
La bellezza e la dolce narcosi dell’arte
La resurrezione del corpo
Quale abbondanza?
La possibilità di un’isola
In memoria della specie umana
129 Appendice
Bloomsbury e la psicoanalisi
139 Ringraziamenti
141 Note
157 Bibliografia
Introduzione
«Fuga verso la liquidità», «sete insaziabile di liquidità», «desiderio morboso di liquidità»: come definire altrimenti l’odierna
affannosa domanda delle banche e delle istituzioni finanziarie
in mezzo alla tempesta borsistica che loro stesse hanno scatenato, mosse da un’insaziabile cupidigia e da una brama infinita
di denaro? L’espressione «desiderio morboso di liquidità» non
è nostra, è stata coniata da Keynes e rimanda alla pulsione di
morte scoperta da Freud. Keynes riteneva che le banche avessero svolto un ruolo di primo piano nella genesi della crisi che
nel 1929 aveva condotto l’umanità al disastro. Ed ecco che la
storia si ripete. Naturalmente gli uomini hanno una memoria,
e le banche centrali, oggi, immettono nel mondo centinaia e
centinaia di miliardi di dollari ed euro per rivitalizzare un’economia mondiale che minaccia di affondare. Non siamo ancora
al crollo del 50% della produzione industriale americana come
negli anni Trenta, ma basta tendere l’orecchio per sentir risuonare la minaccia militarista che proviene dalla Russia, dall’Austria, dalle repubbliche ex sovietiche e dai paesi della stessa
Europa. Ancora una volta il capitalismo, con la sua corsa sfrenata al profitto e il suo desiderio sempre più intenso di accumulazione, ha liberato e spinge con tutte le sue forze ciò che
si annida nella sua parte più nascosta: la pulsione di morte.
Quella che noi pensavamo «globalizzazione felice» era soltanto
mancanza di misura per il denaro impazzito e la sua pulsione
distruttrice.
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Il capitalismo è quella particolare fase della storia umana in
cui scienza e tecnica vengono dirottate verso la superproduttività del lavoro, in cui la crescita della produzione di merci che
dovrebbero rispondere ai bisogni diventa infinita, e in cui il
denaro, usato solo per accumulare altro denaro, diventa anch’esso
fine a se stesso. È quindi un momento senza altra finalità che
quella di accumulare beni materiali e risparmiare tempo (è il
senso dell’aumento della produttività), quello stesso tempo che
pretendiamo di strappare alla morte. In un sistema del genere il
denaro non è affatto, come immaginava la maggior parte degli
economisti, il velo trasparente, neutro e pacifico steso sugli
scambi. Esso porta con sé tutte le angosce e le pulsioni di
un’umanità trascinata nel vortice della crescita, dell’accumulazione di beni e rifiuti e della distruzione della natura. In un
mondo che da Benjamin Franklin in poi non fa differenza tra
tempo e denaro, la ricerca della velocità a tutti i costi equivale
alla ricerca di denaro.
In questo tempo cumulativo, il tempo del capitalismo, il conto
non viene mai saldato. Non ci si ferma mai. Non si raggiunge
mai né pace né equilibrio. Laicizzando il tempo, facendone
oggetto di dilazione e accumulazione insieme, infrangendo il
divieto religioso del prestito a interesse, gli uomini hanno recuperato, monetizzato e scambiato ciò che apparteneva soltanto a
Dio. Tramite la tecnica, l’uomo crede di poter arrivare al divino.
Stivare, accumulare senza tregua per avvicinarsi a Dio è una definizione di capitalismo che il Freud del Disagio della civiltà approverebbe sicuramente.
Freud e Keynes, come intendiamo illustrare in questo libro,
insegnano che il desiderio di equilibrio insito nel capitalismo,
sempre presente ma sempre procrastinato in nome della crescita, altro non è che pulsione di morte. Anche distruggere, e
poi distruggersi e morire, fa parte dello spirito del capitalismo.
Sui mercati circolano merci che, cristallizzando il tempo di
lavoro degli uomini, cristallizzano anche il tempo della soffe8
renza, del senso di colpa e dell’odio. Il mercato, braccio destro
del capitalismo, è un orrendo luogo di uguaglianza teorica e,
quindi, di mimetismo e di rancore, oltre che un incredibile
catalizzatore della pulsione di morte impegnata ad accumulare.
Dal canto suo, il capitalismo è concomitante all’esplosione
delle ineguaglianze tra le nazioni e tra gli uomini all’interno
delle nazioni, al gonfiarsi di bolle che vampirizzano l’energia
umana e poi scoppiano, e alla formazione di rendite che vanno
a detrimento del lavoro, come avevano chiaramente esposto
grandi pensatori dell’economia quali Smith, Ricardo, Malthus,
Mill e naturalmente Marx. Il capitalismo esiste solo grazie alla
crescita infinita del surplus. E di quando in quando lo spreco,
che Georges Bataille definisce la «parte maledetta», reclama la
propria spettanza: oggi con una crisi di borsa, domani con una
guerra.
La grande astuzia del capitalismo, come vedremo, sta nel
dirottare le forze annientatrici e canalizzare la pulsione di morte
verso la crescita. In questo senso Eros domina Thanatos, lo utilizza e lo sottomette, in particolare mandando in rovina la
natura. Ma in Eros c’è Thanatos: distruggere è piacevole, come
d’altronde è piacevole consumare; se il consumo è distruggere
invece di investire, l’investimento è rifiuto a consumare.
L’odierna crisi di borsa che si somma a una crisi climatica senza
precedenti, l’invecchiamento delle popolazioni dei paesi a nord
del mondo e il loro rifiuto a negoziare il proprio livello di vita
(che è un’altra manifestazione della «parte maledetta», del consumo inutile), l’emergere di superpotenze capitaliste come la
Cina, forte di un miliardo e trecento milioni di abitanti, il cui
destino sarà presumibilmente, forse suo malgrado, quello arrogante e bellicoso di tutte le superpotenze, sono pessimi presagi
dai quali si percepisce come la pulsione di morte non chieda
altro che sopraffare il capitalismo che la contiene. Fino a
quando?
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