Realizzazione di un database sulle suddivisioni amministrative: le articolazioni territoriali nell’esperienza storica italiana Francesco Casadei, Aldopaolo Palareti Università di Bologna [email protected] [email protected] In questo lavoro si descrivono sinteticamente il progetto e la realizzazione di un database per lo studio delle suddivisioni amministrative italiane in prospettiva storica. La cospicua e variegata mole di informazioni sull’evoluzione dei territori amministrativi (a partire dal tema delle denominazioni geografiche) si presta infatti ad una efficace integrazione con tecnologie e strumenti resi disponibili dall’informatica. Una particolare attenzione è dedicata alle articolazioni amministrative italiane dopo l’Unità, non trascurando l’importante retaggio delle epoche storiche precedenti. Dal punto di vista informatico, gli elementi principali qui presentati sono quelli relativi alla struttura del database, che è stato progettato in modo da permetterne l’upscaling su cloud: a questo scopo sono state definite tabelle che possano soddisfare, con piccole modifiche, i requisiti di Hadoop, uno dei principali strumenti per la gestione dei Big Data, anche al costo di non garantire livelli di integrità paragonabili a quelli di un classico database relazionale. 1. Un primo modello basato sulla suddivisione in regioni, province e comuni Un modello “ideale” di database è organizzato sulla base dell’articolazione amministrativa classica in regioni, province e comuni: un’articolazione che – prevista in questi termini dalla Costituzione del 1948 – si realizza in Italia effettivamente solo a partire dal 1970, con l’entrata in funzione delle regioni a statuto ordinario. Dal punto di vista storico occorre rapidamente ricordare come le province e i comuni siano istituzioni costantemente presenti nella vicenda dell’Italia unita, anche perché già vigenti nell’organizzazione amministrativa degli stati preunitari. È peraltro noto come, all’indomani dell’unificazione nazionale, ruoli e competenze di province e comuni vengano stabiliti estendendo all’intero territorio del Regno l’organizzazione piemontese sancita dalla legge Rattazzi del 1859 (Nuovo ordinamento comunale e provinciale del Regno): una legge varata poco dopo la conclusione vittoriosa della seconda guerra d’Indipendenza ed in vista dei nuovi sviluppi del processo risorgimentale. Pochi anni dopo l’Unità, a completare il panorama degli «istituti della centralizzazione» [Ragionieri E., 1976], la materia amministrativa sarà riorganizzata con la legge 2248 del 20 marzo 1865, Per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia. Nella documentazione Istat attualmente disponibile [Sistat, 2016] la maggior parte dei comuni “storici” dell’Italia risulta già in funzione nel marzo 1861, contemporaneamente alla proclamazione ufficiale del Regno [Gazzetta Ufficiale, 1861]; il discorso cambia, naturalmente, per i territori annessi al nuovo Stato italiano dopo la terza guerra d’Indipendenza (1866) o dopo la presa di Roma (1870), non dimenticando poi le rilevanti acquisizioni territoriali seguite alla prima guerra mondiale. Per l’istituzione delle province il primo riferimento normativo è dato dalla già citata legge Rattazzi del 1859, che riguarda infatti non solo le ex «divisioni» del Regno di Sardegna ma riorganizza anche la geografia amministrativa delle province lombarde (ad esclusione di Mantova, che rimane sotto dominio austriaco fino al 1866). La legge Rattazzi sarà via via applicata anche agli ex ducati emiliani (Parma e Piacenza, Modena e Reggio), ai territori ex-pontifici (acquisiti nel 1860 dopo la battaglia di Castefidardo) e a quelli dell’ex Regno delle Due Sicilie annessi dopo la spedizione dei Mille. Analogamente a quanto osservato per i comuni, vi sono numerose province italiane che risultano già esistenti nel 1861, mentre altre sono ufficialmente costituite dopo le varie fasi del percorso risorgimentale oppure all’indomani del primo conflitto mondiale. Quanto alle regioni, è necessaria una breve digressione – in prospettiva storica – sia sul tema delle denominazioni, alcune delle quali risalgono all’epoca romana, sia sul tema del disegno territoriale delle regioni medesime. Sul primo aspetto, va ricordata la lunga storia di denominazioni quali Liguria, Venetia, Aemilia, Umbria, Latium, Campania, Apulia, Lucania, tutte già presenti in epoca romana, come si vede nella Fig.1, che fa riferimento alle regiones istituite da Cesare Ottaviano Augusto nell’anno 7 d.C. a fini prevalentemente censuari e fiscali [Almagià, R., 1933; Lilli, M., 2004]; accanto ad esse, esiste anche il toponimo Calabria, che però in quel periodo individua un’altra area territoriale. Proseguendo nel tempo, entrano in uso altre denominazioni, di derivazione latina (Toscana, dal latino Tuscia) o tardo-latina (Lombardia, derivato da Longobardia e Piemonte, da Pedemontis oppure Pedemontium), mentre nel tempo cadranno in disuso (almeno per la definizione ufficiale di entità politiche o amministrative) i termini Picenum e Samnium. Quest’ultima considerazione vale anche per la denominazione Etruria, che peraltro viene brevemente ripristinata nel periodo napoleonico, precisamente tra il 1801 e il 1807 [Enciclopedia Italiana, 1932]. Risalgono infine all’epoca romana anche i termini Sardinia e Sicilia, riferiti però a provinciae e non a regiones. Il tema della suddivisione della penisola in spazi regionali torna a proporsi in tutt’altra epoca storica, dopo che le vicende risorgimentali hanno portato nel 1861 alla formazione del Regno d’Italia. Alcuni anni dopo, infatti, la DIDAMATICA 2016, ISBN: 9788898091447 DIDAMATICA 2016 Direzione generale della Statistica procede alla definizione dei “compartimenti statistici” al fine di presentare in forma aggregata (sovraprovinciale) alcuni dati fondamentali di carattere demografico, sociale ed economico. Fig. 1. Le regioni augustee nella mappa di William R. Shepherd [1911]. Venendo quindi al tema delle dimensioni territoriali delle regioni odierne, va tenuto presente come – al termine di un interessante dibattito – l’Assemblea Costituente abbia deciso sostanzialmente di “trasformare” in regioni i preesistenti compartimenti statistici, accettandone, pur con alcune significative modifiche, le denominazioni già esistenti. Da ricordare, tra le varianti principali, la sostituzione di “Venezia Tridentina” con “Trentino-Alto Adige”, mentre i mutamenti territoriali postbellici sono alla base della scomparsa della dizione “Venezia Giulia e Zara” e dell’introduzione della denominazione “Friuli-Venezia Giulia” (regione che comprende anche la provincia di Udine, in precedenza facente parte del compartimento statistico del Veneto). Altre novità sono l’istituzione della regione Valle d’Aosta, con il distacco dal Piemonte della preesistente provincia di Aosta, la denominazione “EmiliaRomagna” per l’ex-compartimento “Emilia” e la nuova denominazione “Basilicata” per l’ex-compartimento “Lucania”. In questi ultimi due casi i confini territoriali rimangono inalterati, come avviene teoricamente anche per la regione “Abruzzi e Molise”, che peraltro non entrerà mai in vigore, essendo in seguito istituita, con legge costituzionale del 1963, la regione “Molise” scorporata dalla regione che poi sarà denominata (al singolare) “Abruzzo”. Consultando documentazione statistica, ma anche altre fonti a stampa (in campo storico, geografico, turistico, ecc.) dell’epoca liberale e del periodo fascista, lo studioso incontra denominazioni che con evidenza rimandano a spazi regionali, ma che – lo si ricorda nuovamente – fino al secondo dopoguerra fanno riferimento ad aree territoriali non corrispondenti a funzioni amministrative. Dopo quanto si è rapidamente osservato, risalta con chiarezza l’utilità di un database che possa gestire con efficacia informazioni storiche sull’evoluzione dei territori, evidentemente impegnative in termini sia quantitativi sia qualitativi. 2. Il problema della gestione e trattamento dei dati sulle suddivisioni amministrative minori (appodiati e frazioni) In un nostro precedente contributo [Casadei F., Palareti A., 2015] ci siamo già soffermati su una specifica tipologia di suddivisione amministrativa, che caratterizza a lungo l’area territoriale dello Stato pontificio: il cosiddetto «appodiato», che è un ente amministrativo di livello intermedio tra comune e frazione ed è dotato di una limitata autonomia organizzativa e di un proprio bilancio [Enciclopedie on-line 2016a]. Va anche ricordato come nella vicenda dell’Italia preunitaria vi siano altre strutture amministrative simili agli appodiati pontifici: è il caso dei «comunelli» presenti sia nel Granducato di Toscana sia nel Ducato di Modena e Reggio Emilia [Enciclopedie online, 2016b]. Chiarito ciò, per tutto il territorio italiano si pone – come rilevante case study – il tema delle “frazioni”, che spesso corrispondono a località di scarsa ampiezza demografica ma che altrettanto spesso fanno riferimento a territori di notevole importanza storica. Dunque, anche la questione delle suddivisioni infracomunali presenta, in prospettiva storica, una varietà di temi che efficacemente si prestano ad un trattamento informatico che renda agilmente reperibili e fruibili le nozioni fondamentali. 3. I territori con suddivisioni non omogenee e l’integrazione nel database delle “altre suddivisioni territoriali” La gerarchia delle suddivisioni territoriali prevede anche – in Italia e in altri Paesi – la presenza di suddivisioni non omogenee; basti pensare, nell’attuale esperienza italiana, alla recente trasformazione di alcune province in città metropolitane, oppure ai circondari di decentramento amministrativo (da non confondere con i circondari dell’Italia liberale) istituiti, in epoca repubblicana, tra la fine degli anni ’70 del XX secolo e i primi anni del XXI. Numerosi circondari (ad esempio Biella, Lecco, Lodi, Prato, Rimini e altri) sono stati trasformati in province a tutti gli effetti; altri sono stati aboliti a seguito della legge n. 42 del 25 marzo 2010; altri ancora sono attualmente in funzione – ad esempio Imola – in quanto istituiti dalla regione di proprio riferimento [Casadei F., Palareti A., 2014a]. Realizzazione di un database sulle suddivisioni amministrative Un accenno a parte merita la trasformazione del Comune di Roma in Roma Capitale, ufficialmente in funzione dall’ottobre 2010 a seguito della legge n. 42 del 2009 (seguita dal decreto legislativo n. 156 del 2010) che sancisce lo status particolare della città di Roma. L’esistenza di queste particolari tipologie di suddivisione territoriale comporta quindi la necessità di prevedere anche il relativo trattamento dei dati nel database. 4. La gestione delle informazioni cartografiche Anche il tema della cartografia si presta ad approfondimenti che integrano utilmente aspetti storici e aspetti informatici. Esempi concreti possono essere descritti in questo ambito, dall’utilizzo di cartografia storico-urbanistica disponibile on-line all’integrazione di cartografia contemporanea (come quella presente nei sistemi informativi territoriali dei comuni) con informazioni e precisazioni sugli sviluppi urbanistici precedenti. Non va trascurato, soprattutto per attività didattiche e divulgative su temi di storia del territorio, anche l’impiego di cartografia on-line come quella della piattaforma Google Maps. Su questi aspetti e su queste opportunità abbiamo avuto modo di soffermarci in un lavoro dedicato alle trasformazioni urbanistiche di Bologna e di Rimini tra XIX e XX secolo [Casadei F., Palareti A., 2014b]. Può essere interessante ricordare anche la possibilità di predisporre ex-novo alcuni materiali cartografici di interesse storico, partendo da documentazione disponibile in dizionari di comuni, repertori sulle suddivisioni amministrative, o documentazione relativa ai censimenti. Un esempio concreto, in questo senso, può essere quello delle articolazioni amministrative minori dello Stato pontificio, sulla quale non sembra esserci cartografia storica specifica: ci riferiamo ai distretti e ai governi, che sostanzialmente anticipano i circondari e i mandamenti del periodo postunitario. La disponibilità di informazioni cartografiche più dettagliate (quelle sui comuni, anche se con possibili imprecisioni dovute alle modifiche territoriali), permette di ricostruire a basso costo la cartografia delle articolazioni amministrative superiori. In assenza di queste informazioni, sarebbe necessario realizzare le mappe dei confini di queste articolazioni digitalizzando mappe dell’epoca, attività molto più costosa, più lunga e meno automatizzabile. Esistono infatti operazioni geometriche che possono sostanzialmente essere fatte con tutti i software cartografici; citiamo le principali, con l’aiuto della descrizione grafica data in Fig. 2: costruzione del poligono convesso: data una superficie irregolare, questa operazione individua il più piccolo poligono convesso che la contiene; costruzione di un buffer: in questo contesto, un buffer è un poligono che contiene l’oggetto grafico originale mantenendogli attorno uno spazio predefinito; intersezione, differenza, differenza simmetrica e unione: in tutti questi casi si confrontano due superfici, analizzando dove si sovrappongono e dove no; nell’intersezione vengono conservate solo le superfici di sovrapposizione, nella differenza solo quelle della prima superficie non sovrapposte alla seconda, nella differenza simmetrica solo quelle in cui non si ha sovrapposizione, nell’unione vengono conservate tutte le superfici distinte, che siano sovrapposte o no; clip: una linea viene utilizzata per dividere una superfice in più parti; dissolvenza: tutte le superfici con una caratteristica comune (per esempio facenti parte dello stesso distretto) vengono unite in un’unica superficie. poligono convesso buffer da due superfici sovrapposte si ottengono (tra parentesi, il numero di superfici) intersezione (1) differenza (1) differenza simmetrica (2) unione (3) clip (2) dissolvenza (1) Fig. 2. Principali operazioni geometriche sulle superfici in cartografia. In particolare, l’operazione di dissolvenza permette di ricostruire le mappe dei distretti e dei governi utilizzando l’elenco dei comuni che – stando alla documentazione amministrativa e censuaria del periodo pontificio – li compongono. 5. Il progetto definitivo del database La realizzazione del database pone alcuni problemi specifici. Innanzitutto anche se nei database cartografici possono essere gestite le relazioni di appartenenza tra territori, non è normalmente posto l’accento sul fatto che queste relazioni possano evolvere nel tempo, per cui in genere alla modifica delle strutture amministrative si sostituiscono semplicemente i nuovi dati ai vecchi. Un aspetto importante dal punto di vista scientifico e storico consiste nella possibilità di predisporre note e riferimenti relativi a ogni informazione trattata: a questo scopo si propone usa soluzione tecnica basata sull’uso di sequence SQL. DIDAMATICA 2016 Un secondo problema riguarda la potenziale dimensione di un database di questo tipo: fino a quando rimane un progetto sperimentale è tranquillamente gestibile come un normale database relazionale, ma è giusto lavorare nell’ottica di una possibile evoluzione verso un sistema più scalabile; tenendo conto dei mutamenti storici e delle diverse suddivisioni amministrative, la dimensione potrebbe infatti diventare tale da rendere un tradizionale database relazionale troppo costoso e impegnativo. Si sono quindi definite delle strutture che possano essere facilmente aumentate di dimensione utilizzando le tecniche che si stanno evolvendo nel cloud. Nel successivo paragrafo 6 si indicano quali sono le metodologie di massima pensate per questa possibile evoluzione. Per ciò che riguarda le entità da gestire, queste sono riconducibili a vari componenti del database, qui descritti per sommi capi in attesa di un approfondimento già programmato. Si tratta dei seguenti componenti: mantenimento di una chiave universale per la gestione di note e riferimenti bibliografici (nei successivi grafici, l’abbreviazione UK viene usata per tutte le entità a cui possono essere associate note e riferimenti); gestione dei territori; gestione delle date; informazioni cartografiche. 5.1 La gestione di una chiave universale Per permettere l’associazione di riferimenti e note a tutte le informazioni immesse, si è progettata la realizzazione di una apposita tabella con una chiave universale. Le relazioni tra le varie tabelle e i riferimenti e le note utilizzano questa tabella come fonte dell’informazione; di fatto nella tabella oltre all’indice universale sono presenti alcune informazioni accessorie che permettono di rintracciare i record nelle altre tabelle. In questo componente consideriamo anche le due entità con le note e i riferimenti esterni, che hanno entrambe una relazione n-n con l’entità chiave universale. Nel grafico l’abbreviazione UK evidenzia come si possano avere, per esempio, note relative a un riferimento esterno. chiavi universali note (UK) 5.2 riferimenti (UK) La gestione dei territori I territori sono associati a una tabella delle denominazioni, a una tabella dei codici di territorio definiti dai vari organismi e a una tabella del tipo di cartografia. Tra le tipologie territoriali ricordiamo: raggruppamenti di stati sovrani (es. EU); stati sovrani; suddivisioni definite da uno stato sovrano; suddivisioni definite da territori non sovrani (es. quartieri di un comune); aree geografiche prive di funzioni amministrative (es. Antartide). È anche prevista la possibilità di inserire cartografie poligonali relative a strade o a punti per le località. Lo schema di massima è il seguente (si noti che la relazione tra territori e tipi è 1-n): territori (UK) denominazioni (UK) tipo di territorio codici (UK) Altre tabelle, che descrivono per esempio l’evoluzione del territorio, non sono rappresentate nel grafico precedente: lo stato del territorio a una data precisa; la modifica contestuale di vari territori (istituzione, aggregazione, divisione, soppressione); la relazione di dipendenza tra territori in una data (per esempio la divisione di uno stato in regioni). 5.3 La gestione delle date La gestione delle date richiede la definizione preliminare dei vari calendari in uso nei documenti originali (il solo calendario gregoriano se si fa riferimento all’Italia contemporanea). Anche se la necessità di questa gestione è attualmente limitata, è interessante in termini sia scientifici che didattici analizzare la gestione dei diversi calendari, poiché non esiste, a nostra conoscenza, un analogo progetto; lo scopo del CLDR [2016] è infatti diverso. In genere tutti i calendari definiscono multipli e sottomultipli del giorno: i primi rappresentano le date, i secondi le ore. Una tabella descrive invece il tipo di calendario, distinguendo principalmente quelli in cui i cicli di riferimento (anno, giorno, ora) hanno durata fissa o variabile: per esempio, nell’uso attuale i giorni sono di lunghezza costante. In gran parte dei calendari antichi, invece, il giorno non aveva una lunghezza costante, in quanto lo si considerava iniziare e finire, in base ai vari usi, all’alba o al tramonto. calendario (UK) multipli e sottomultipli (UK) tipo di calendario Realizzazione di un database sulle suddivisioni amministrative 5.4 La gestione delle informazioni cartografiche Per le informazioni cartografiche è necessario disporre di una tabella relativa ai sistemi di coordinate in uso secondo il registro EPSG [2016]; inoltre il database deve permettere la gestione dei campi di tipo geometrico necessari per descrivere le superfici dei territori. Uno schema semplificato è il seguente: dati cartografici di un territorio (UK) sistema di coordinate Di questo componente fanno anche parte altre tabelle, qui non riportate, richieste in maniera standardizzata dai programmi di gestione della cartografia. 6. La possibile organizzazione dei dati in una tabella Hadoop Nella progettazione del database, oltre alle entità da gestire, è stata considerata la possibilità di upscaling in un sistema NoSQL. I sistemi NoSQL orientati al trattamento dei “Big data” [Grolinger, K. et al, 2013] sono quelli che privilegiano la scalabilità attraverso l’uso distribuito di molti server. Questo permette di accogliere necessità che non possono essere soddisfatte dai database relazionali; in particolare quelle relative alla dimensione dei dati (volume), alla velocità di restituzione (velocity), alla possibilità di conservare insieme dati eterogenei (variety). Va qui ricordato che in assenza di queste esigenze rimangono sempre preferibili i database relazionali. Le principali differenze tra i Big data e i DB SQL sono descritte nella Tab. 1, tratta da Microsoft [2016]. Tab. 1 – Differenze tra i database relazionali e i sistemi NoSQL Caratteristica Tipi di dati Integrità Schema Lettura e scrittura Dimensione Scalabilità Distribuzione dei processi Costo DB SQL strutturati transazionale statico ripetibili fino a terabyte su hardware più potente limitata o nessuna hardware e software costoso Big Data NoSQL semi strutturati e non strutturati dipende dalla tecnologia dinamico una sola scrittura, più letture terabyte, petabyte e oltre su server addizionali su un cluster di server hardware come servizio e software open source In molti sistemi NoSQL, tra cui Hadoop [Apache, 2016], le tabelle sono spesso organizzate come chiave-valore e possono essere (e spesso sono) semi-strutturate; questo significa che, una volta identificata la chiave, il valore può rappresentare diverse strutture dati predefinite (nelle possibili versioni non strutturate, il valore può rappresentare qualunque struttura dati anche non predefinita). Nel progetto qui descritto, tutte le tabelle, riportate nei precedenti paragrafi, che fanno riferimento a un indice universale possono essere mantenute in un’unica tabella semi-strutturata. Per le relazioni dei dati con le note e i riferimenti esterni non è necessario utilizzare una tabella di relazione, ma è sufficiente inserire l’elenco delle chiavi delle note e dei riferimenti: l’unico limite di questo processo è che, se a partire da un’informazione è immediato il reperimento di eventuali note, può diventare inefficiente individuare, partendo da una nota, tutte le informazioni a cui quella nota è applicata. Questo è però un limite accettabile. Le tabelle di decodifica e quelle senza rinvii a note o riferimenti possono invece essere mantenute in un database tradizionale, eventualmente duplicato per motivi di efficienza, anche perché si tratta di tabelle in cui l’aggiornamento dei dati è sostanzialmente raro. 7. Conclusioni Un rapido sguardo al tema delle suddivisioni amministrative italiane rende evidente la varietà delle diverse articolazioni territoriali nel corso del tempo, prima e dopo l’unificazione nazionale, pure limitandosi a trattare quanto avviene nell’età contemporanea, dunque dal 1815 in avanti. Ciò comporta, preliminarmente, un’adeguata riflessione in termini di storia generale ed un ulteriore approfondimento sulle scelte politiche che presiedono, nei diversi periodi, ai mutamenti dell’organizzazione amministrativa del territorio. La varietà di modifiche, i diversi tipi di territorio, l’integrazione di informazioni di provenienza diversa permettono di considerare questo progetto come un prototipo di un sistema che punti alla descrizione dell’evoluzione dei territori in termini complessivi, senza limitarsi a un ambito geografico e temporale ristretto. Naturalmente questo richiede competenze diversificate dal punto di vista storiografico, in quanto ogni ambito territoriale e ogni ambito temporale dovrebbe essere analizzato da studiosi forniti di specifiche competenze. Il tentativo di integrare informazioni precedenti all’Unità d’Italia (la storia amministrativa degli stati preunitari o, per quanto concerne le denominazioni, il lontano riferimento alle regioni augustee) è servito appunto a verificare l’impostazione data al progetto per ciò che riguarda l’ampliamento ad altri contesti. Nello stesso tempo, l’analisi delle metodologie NoSQL ha dimostrato che questo progetto può essere fatto “scalare”, con costi relativamente bassi, verso dimensioni maggiori di quelle attuali; di qui ne deriva la particolare funzionalità per applicazioni didattiche, divulgative o di ricerca in ambito umanistico. 8. Riferimenti bibliografici [Almagià, R., 1933] Almagià, R., Italia. 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