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Anno VI – Numero 17
E. Lozupone, La pedagogia sociale nella contemporaneità. Temi e prospettive di sviluppo, Armando editore, Roma
2015, pp. 224
L’introduzione del volume, stilata da
Ignazio Volpicelli, mette in luce la
complessità e l’incertezza dello statuto
scientifico della Pedagogia sociale,
aprendo una riflessione storica ed
epistemologica che, a partire dai suoi
esordi, accompagnerà la disciplina fino
agli odierni e mutevoli scenari della
nostra società liquida.
Elvira Lozupone, docente di
Pedagogia sociale presso l’Università
di Roma Tor Vergata, percorrendo il
crinale problematico sollevato da
Volpicelli, analizza le pietre miliari
dello sviluppo della Pedagogia sociale.
Se ai primordi della riflessione che lega
società ed educazione si fa riferimento
alla filosofia greca, la ricerca dei
precursori nel campo della Pedagogia
sociale trova in Pestalozzi il suo
capostipite. Un vero e proprio padre
spirituale che ha saputo evidenziare: sia
l’importanza dell’ambiente nei processi
educativi, sia la necessità di un
intervento mirato teso al recupero delle
situazioni di svantaggio o di emergenza
sociale. Altro pensatore di rilievo,
individuato
nell’attenta
disamina
storico-critica della Lozupone, è il
teologo e filosofo Schleiermacher.
Nella sua riflessione viene evidenziata
l’importanza di dirigere le intenzioni
individuali verso obiettivi sociali. Una
finalità metaindividuale che si ritrova,
ulteriormente sviluppata, nel contributo
di Kierschesteiner. I due pensatori,
insieme ad Herbart, furono, come
evidenziato da W. Böhm, tra i primi
che, sulle suggestioni già avanzate da
Kant, avvertirono la necessità di una
teoria
scientifica
dell’educazione,
congiuntamente, all’emergere di una
specifica professionalità pedagogica
per gli educatori e gli insegnanti.
Tuttavia, l’A., stringendo l’interesse
sulla Pedagogia sociale, individua il
vero fondatore del suo orientamento
teoretico nella figura di Natorp. Egli,
nella sua opera del 1898 intitolata
Pedagogia sociale, chiarirà il carattere
progettuale-operativo della sua filosofia
dell’educazione. Si delineerà, in tal
senso, una pedagogia della volontà
comunitaria, secondo la massima per la
quale: «Per affermarmi, io necessito di
un altro in cui egli a sua volta riconosca
un io». La coscienza di sé, all’interno
della riflessione di Natorp, si sviluppa
all’interno della comunità e sancisce il
passaggio dall’‘io’ al ‘noi’. In questa
prospettiva, la Pedagogia sociale
sintetizza, fondendoli in un unico
insieme di significati, i concetti base di:
educazione e comunità. Le intuizioni di
Natorp descrivono un’educazione
orientata al costituirsi, nell’individuo in
crescita, di un senso di appartenenza
che dall’egocentrismo infantile si
estende alla famiglia, allo Stato e al
mondo intero. Riflessioni che nelle loro
intenzioni, sostanzialmente positive,
diventano dimostrazioni, come sovente
accade nelle questioni a cavallo tra la
filosofia e pedagogia, di verità ancipiti.
Nel suo connotarsi politicamente è,
infatti, riscontrabile il lato debole della
proposta
di
Natorp.
La
sua
concettualizzazione è soggetta alla
fascinazione del consenso pubblico.
Unanimi adesioni a sistemi valoriali e
politici
che,
come
accaduto
nell’esperienza
dittatoriale
del
nazionalsocialismo
tedesco,
nascondono reprimendo forme di
acquiescenza individuale ai diktat di
regime. A tal proposito, l’A. sottolinea
211
come la Pedagogia sociale se posta a
sostegno della propaganda politica,
come nel caso di Krieck e Blaumer,
perde la sua valenza emancipativa
alterandosi in strumento utile al
rafforzarsi dell’ideologia.
Il contributo di Natorp, nel suo
aspetto teorico, fa da sfondo, in tempi
più recenti, alla proposta di J.A. Caride.
Egli rintraccia, proprio nella pronta
traduzione della già ricordata opera di
Natorp, il legame tra la pedagogia
tedesca e quella spagnola. Da qui
l’emergere,
anche
nell’area
mediterranea, dell’avanzamento di un
modello
che
considera,
congiuntamente,
pedagogia
ed
educazione sociale all’interno di un
unico sistema che, non disgiungendo la
riflessione teoretica dall’intervento sul
campo,
si
orienta
a
favore
dell’emancipazione, per favorire il
godimento e l’esercizio dei diritti civili,
in
opposizione
a
forme
di
marginalizzazione. Caride, tuttavia,
oltre le suggestioni desunte e
rielaborate a partire dalla matrice
tedesca, nell’esporre il suo modello di
Pedagogia sociale empirico-analitico,
sostiene, sul piano epistemologico, la
necessità di addivenire ad un’unità di
metodo tra le scienze naturali e quelle
sociali. Siffatta unità servirebbe a
garantire ai processi trasformativi
dell’educazione sociale una maggiore
efficacia e misurabilità. Una sorta di
pluralismo
metodologico
che
risulterebbe
rispondente
alla
complessità degli interessi e degli
interventi di carattere sociale.
La tradizione pedagogico
sociale italiana, per alcuni versi distante
da quella spagnola, risente di altri
Anno VI – Numero 17
influssi. Si pensi, almeno per quanto
concerne la prospettiva laica, all’eco
delle tesi di Durkheim. Quindi, all’idea
di una pedagogia come verifica pratica
di assunti sociologici, proprio in virtù
del fatto che l’educazione è fenomeno
variabile secondo il periodo storico. Da
qui l’emergere di due fondamenti
sempre
compresenti
nell’azione
educativa: unità e differenziazione. Da
un lato, l’educazione è unitaria per la
sua ubiquità in tutte le epoche e in tutti
gli ambienti. Dall’altro lato, invece,
appare differenziata. Ogni società,
infatti, risponde ad un certo ideale di
uomo che diviene particolare misura
educativa.
Restando nell’ambito italiano,
oltre alle ascendenze del pensiero
durkheimiano,
l’A.
sottolinea
l’importanza del contributo pedagogico
di Dewey descritto come: l’intellettuale
maggiormente sensibile al ruolo
politico
della
pedagogia
e
dell’educazione intese quali chiavi di
volta di una società democratica. La
democrazia, forma di vita associata per
eccellenza, chiama il cittadino a
considerare l’altro nel suo agire, per
addivenire alla creazione di una società
meno soggetta alla logica delle barriere
di classe, di razza e di territorio
nazionale.
Un
ulteriore
passaggio
sull’evoluzione della Pedagogia sociale
in Italia è dedicato al contributo dei
cattolici rispetto alle opere, tra la fine
degli anni Cinquanta e l’inizio degli
anni Sessanta, realizzate da Aldo
Agazzi. Contestualmente alla ripresa
delle attività economiche ed industriali,
al termine del secondo conflitto
mondiale, il pedagogista bergamasco
inizierà a delineare la questione
educativa come elemento coordinatore
dello sviluppo economico e del
progresso sociale. All’educazione
spetta il compito di guidare e
promuovere
il
processo
di
socializzazione
umana
affinché
ciascuno, responsabilmente, porti a
sviluppo i tratti della sua personalità
nella consapevolezza dei valori
comuni.
L’A., non limitandosi ad una
prospettiva storico-critica sulle linee
evolutive della Pedagogia sociale,
affronta, nel prosieguo del volume, il
problema epistemologico ponendo in
relazione, all’interno di un interessante
confronto, gli assunti di svariati autori
contemporanei italiani e stranieri. La
riflessione si sviluppa intorno a due
questioni di non facile soluzione: 1. È
la società condizionata dall’educazione
o è quest’ultima a rispondere alle
esigenze poste da un certo tipo di
società?; 2. Il legame tra educazione e
società
procede
nell’ottica
di
un’accondiscendenza dell’educazione
nei confronti della società o in senso
critico se non oppositivo rispetto ad
essa?
Particolarmente significativo è
quanto l’A. va sviluppando, a
conclusione del suo lavoro, in relazione
al contesto contemporaneo segnato da
profonda crisi umana ed economica.
L’A. discutendo la dinamica bisognodesiderio, si sofferma nel descrivere ciò
che alcuni gruppi di persone sono
capaci di fare allorquando sentono la
spinta
ad
una
trasformazione
dell’equilibrio sociale che vogliono
porre in essere. Si è voluto definire
questo processo che porta al
cambiamento nei termini di exaptation.
Ovvero, l’invito ad uno sviluppo
funzionale ulteriore che porti l’uomo a
liberarsi dalle odierne trappole
dell’individualismo verso forme di
solidarietà rette sulla gratuità del dono.
L’exaptation è, quindi, azione, in parte,
volta al recupero di capacità andate
trascurate perché considerate non utili a
svolgere funzioni di adattamento
ottimale all’ambiente. L’educatore
sociale può fungere da catalizzatore
rispetto a forme di exaptation
favorendone l’innesco, seguendone la
dinamica e gli sviluppi e il successivo
consolidamento.
Tuttavia,
partendo
dalla
considerazione che in questo processo
gli educatori, pur potendo sostenere il
peso di un’importante azione sociale,
sono alla ricerca di una solida identità
professionale. L’A., in più parti, nel
corso di questo suo lavoro, si pronuncia
a favore di un incontro costruttivo tra
accademia e territorio. Un incontro allo
scopo di definire il proprium
dell’azione educativa nel sociale,
aprendosi ad un dialogo con professioni
già da tempo normate in una
dimensione di confronto costruttivo.
Da qui l’emergere dell’aspetto
etico e deontologico che consiste nel
fermare il proprio intervento là dove
comincia quello dell’altro. Ciò
costituirà, ad esempio tra psicologi ed
educatori, l’argine di una ricerca,
ancora tutta da scrivere, che dovrà tener
conto di possibilità di interventi
complementari, affinché gli utenti
possano usufruire della massima
competenza e di servizi integrati per
l’ottenimento di auspicabili risultati.
ANDREA REGA
University of Bergam
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