L’IDEA NUOVA Il progresso scientifico si muove su due tipi di movimenti solo apparentemente contrapposti: quello delle ricerche che tende a verificare ipotesi già formulate e quello preparato dai dati che esso non spiega, portando alla formulazione delle nuove ipotesi. Inevitabile all’interno di una comunità professionale percepire come rassicuranti e lodevoli le prime, come pericolosi e da osteggiare i secondi. Sceglieremo per questa rubrica, all’interno di una letteratura ormai vastissima e spesso ripetitiva sulla terapia, lavori del secondo tipo. Parlando di “idea nuova” ne supporremo sempre il significato propositivo. Sperando di dare un contributo allo sviluppo di una scienza realmente “riflessiva”: capace cioè, nel senso di Bateson, di comprendere se stessa nel campo della propria osservazione. Scientific progress moves along two lines which are only apparently in contradiction: one belongs to research which aims at verifying hypotheses already formulated, the other being prepared from data which the hypotheses do not explain and leading no formulation of new. Inevitable, for the professional community to perceive the former as encouraging and praise worthy and the latter as dangerous and hostile. For this section, a careful selection has been made from literature on therapy, today very extensive and often repetitive, concerning works of the second type. Referring to a “new idea”, we will always take it as a proposal while at the same time we hope to bring a contribution to the development of a really “reflexive” science: that is, capable, as Bateson says, of looking carefully into itself. El progreso científico evoluciona en dos direcciones opuestas: una lleva a realizar investigaciones que tienden a verificar hipótesis ya enunciadas y la otra a realizar investigaciones que formulan nuevas hipótesis. Es inevitable que la comunidad de profesionales considere el primer tipo de estudios más confiables y elogiables mientras que los segundos, se consideren peligrosos y generadores de hostilidad. En esta sección han sido seleccionados solo trabajos del segundo tipo, dada la amplitud y a menudo la repetición de la literatura dedicada a la terapia. Al hablar de una “idea nueva” lo haremos siempre desde un punto de vista de propuesta, esperando poder contribuir al desarrollo de una ciencia realmente reflexiva que en el sentido de Bateson, sea capaz de auto observación. L’IDEA NUOVA Una breve introduzione alla lettura di Lorna Benjamin Francesco Colacicco1 Lo scorso mese di settembre partecipando con i miei allievi al congresso della Società Italiana di Psicoterapia, dal titolo “La psicoterapia in evoluzione”, ho avuto modo di presentare il Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale. In quell’occasione dissi che il nostro gruppo, fin dalla sua costituzione, si è interessato all’applicazione della terapia dei sistemi nella famiglia ma anche in altre situazioni interpersonali e che evitò di iniziare le proprie attività formative con training troppo centrati sulla “terapia della famiglia”, ritenendo questa definizione piuttosto riduttiva e legata ad un ambito prevalentemente privato. La terapia familiare nasce negli anni ’50 in America innestandosi sul filone robusto della psicoterapia psicoanalitica relazionale. Il discorso di Freud era stato elaborato già in precedenza da H.S. Sullivan all’interno di una teoria e di una pratica che mettevano l’accento sull’interdipendenza dei comportamenti umani e sulla necessità di lavorare a livello del contesto interpersonale di appartenenza per ottenere modificazioni significative di tali comportamenti. Dopo le inevitabili incomprensioni del primo periodo, si può oggi affermare che la tradizione scientifica dei moderni terapeuti familiari fa riferimento prima di tutto alla lezione di Freud sul dinamismo psichico sottostante al manifestarsi del sintomo e, successivamente, alla riflessione sistemica sull’interdipendenza dei comportamenti. Secondo i terapisti sistemici è indispensabile, per tutti coloro che svolgono attività clinica, raccogliere informazioni e conoscenze sull’intero nucleo familiare o sul gruppo di persone di cui il soggetto fa parte (i problemi con il gruppo di supporto principale; i problemi legati all’ambiente sociale; il livello d’istruzione; il lavoro; i problemi abitativi e quelli economici; i problemi di accesso ai servizi; il tipo di interazione con il sistema legale). L’attenzione del terapista sistemico, fin dalla diagnosi, non è perciò mai rivolta ai soli disturbi mentali. Con questi presupposti è chiaro che secondo noi la valutazione psicopatologica del clinico non può fondarsi sulla sola osservazione dei comportamenti sintomatici ma deve tenere conto del tipo di strutture di personalità incontrate e del livello acquisito dalle organizzazioni difensive, dell’interazione del soggetto con la famiglia e l’ambiente. La varietà dei quadri clinici dipende infatti: 1 Didatta del Centro Studi di Terapia Familiare e Relazionale, Direttore dell’Istituto Dedalus. 4 Ecologia della mente, vol. 32, n. 3, 2011 • da fattori legati all’età e al ciclo vitale; • dagli effetti dovuti alla combinazione prodotta dalle esigenze personali; • dai meccanismi difensivi, dalla disposizione; • dalle possibilità e dai limiti fisici e organici, dalle risposte dell’ambiente; • dalle caratteristiche strutturali dei disturbi di personalità. Questo approccio ha permesso agli psicoterapeuti sistemici di cimentarsi nelle situazioni in cui gli aspetti psicopatologici sono più rilevanti e acquisire le competenze necessarie per prenderle in carico: la presa in carico del paziente deve prevedere da parte del terapista lo sviluppo di un lavoro terapeutico non sintomatico (centrato esclusivamente sulla remissione dei sintomi) bensì focalizzato sulla funzione del sintomo (sulla funzione dei disturbi e dei comportamenti problematici), ricercando collegamenti fra la storia personale e familiare della persona e l’insorgenza prima e lo sviluppo poi dei disturbi psichici e comportamentali. Guardando alle situazioni dal punto di vista dei disturbi, dei sintomi, il terapista sistemico è un terapista eclettico, perché si serve della specificità dei sintomi soprattutto per cercarne il senso d’utilità, sia sul piano dell’economia psicologica personale sia su quello interpersonale, e su questo impostare l’intervento. Oggi le famiglie si sono trasformate e diverse sono le situazioni di disagio e di sofferenza ed i passaggi evolutivi e critici che le persone devono affrontare. Il lavoro terapeutico deve essere sempre più rivolto alle difficoltà relazionali tra figli e adulti e tra adulti e va centrato sulla prevenzione delle situazioni di disagio e sul sostegno alle famiglie in difficoltà contingenti. Si tratta spesso di attivare competenze genitoriali, di costruire un luogo d’ascolto, di raccolta delle richieste e delle domande d’aiuto, capace di accogliere richieste esplicite formulate da persone in difficoltà, ma anche di riconoscere forme di disagio sommerso, non ancora organizzate e verbalizzate. Il terapista si trova a lavorare con famiglie che spesso costituiscono una struttura di transizione: la definizione del sistema da trattare in queste situazioni non è semplice, non è mai inizialmente predeterminata ma si realizza nel corso dell’intervento. La difficoltà e l’inopportunità, a volte, di procedere alla convocazione dell’intero sistema porta a lavorare sovente con i singoli. Sempre più spesso la coppia rappresenta il capo da tirare nel tentativo di sciogliere la matassa della sofferenza psichica. La trasformazione del sistema familiare, il dissolversi di un’organizzazione tipica della famiglia in diverse realtà familiari, la costituzione di molteplici gruppi familiari, il rivelarsi di nuove situazioni familiari, il movimento di andirivieni che le diverse famiglie costruiscono intorno alla coppia fanno di questa il mozzo intorno al quale ruota, avviluppandosi su di essa, il circuito dei legami, l’intreccio delle trame relazionali di cui siamo parte. È sempre più frequente vedere il terapista familiare che, dopo aver tirato di scherma con l’intero sistema familiare, tenta l’affondo sulla coppia, così come il terapista psicodinamico che, dopo aver portato avanti un approfondimento individuale, consiglia la terapia di coppia. Sia che il lavoro psicoterapeutico parta dal versante familiare, sia che la terapia venga centrata sulla persona, l’approdo alla coppia sembra spesso naturale. L.C. Kenneth, S.B. Lorna: Rappresentazioni interne delle prime esperienze interpersonali 5 In conclusione, sappiamo ormai che l’intervento sistemico e relazionale non è più rivolto alla sola famiglia tradizionale, è destinato alle famiglie, alle coppie ed agli individui. Per quanto riguarda il trattamento individuale, va detto - che pur essendo la terapia familiare nata in un’ottica di contrapposizione alla terapia individuale - la controversia, allo stato attuale delle ricerca, appare abbondantemente superata. Se ancora alcuni anni fa la terapia familiare era proposta dai sistemici come la panacea di tutti i mali, tanto da rendere quasi automatico l’invio, attualmente si tende a valutare, sulla base di parametri comparabili (età del paziente e sue caratteristiche personali, età di insorgenza dei sintomi, cronicità, configurazione del sistema familiare, fase del suo ciclo di vita, etc.) le diverse situazioni, prima di definire un eventuale invio in terapia. D’altra parte, un’indicazione di terapia individuale è perfettamente compresa all’interno del modello relazionale sistemico e relazionale anche da un punto di vista teorico, trattandosi ancora di interazioni tra sistemi, sia pure particolari come gli individui. Ormai anche il trattamento individuale rientra nel campo d’intervento del terapista sistemico e relazionale. È per tutte queste ragioni che ritengo più appropriato parlare di approccio sistemico e relazionale, ritenendo ormai riduttiva e parziale la denominazione di “terapia familiare”. Inoltre, poiché nella nostra società il sottosistema che svolge la funzione genitoriale è abitualmente la coppia coniugale, ne consegue che le caratteristiche del ruolo genitoriale e il tipo e la qualità della vita familiare sembrano determinati dalle esperienze dei genitori nello sviluppo della loro infanzia e dalla relazione coniugale che si è strutturata. I genitori devono: • essere capaci di promuovere intimità psicologica e senso d’appartenenza al gruppo familiare, di creare il clima affettivo ed emotivo adatto a favorire lo sviluppo psicologico dei figli; • permettere l’individuazione (senso di percezione dei propri pensieri, sentimenti e azioni) dei propri figli, l’accettazione delle differenze individuali, il coinvolgimento col mondo esterno. Tutto questo, talvolta, non riesce; l’esempio più evidente è quello delle famiglie multiproblematiche. Secondo Bowlby, il neonato interiorizza la madre in quanto figura di nutrimento, accudimento e protezione, ma interiorizza anche il concetto che essa ha di lui in quanto oggetto da nutrire: questo gli permette di assumere verso di sé o verso un terzo il ruolo di lei. Questa capacità è qui deficitaria. È facile intuire quanto sia perciò importante intervenire precocemente nelle situazioni a rischio, prendendo in carico le famiglie sulle emergenze portate dal bambino. Lavorando su queste situazioni il terapista riscontra subito una insufficienza grave delle attività funzionali ed espressive dei genitori, incapaci ad assicurare il normale svolgimento della vita familiare. Spesso si tratta di soggetti borderline. È proprio a seguito dell’esperienza fatta da Luigi Cancrini, da me e da altri del nostro gruppo a Palermo, dall’incontro con le famiglie multiproblematiche che vivevano nei quartieri più poveri della città, che nasce in noi una nuo- 6 Ecologia della mente, vol. 32, n. 3, 2011 va e più forte attenzione verso i disturbi di personalità. Oggi è sempre più facile imbattersi in libri e articoli su questo tipo di pazienti e tutti gli autori concordano sulla difficoltà dei terapisti a prenderli in carico ed a trattarli. È così che, nel solco di questa nostra ricerca, abbiamo trovato spunti di grande interesse nel lavoro di Lorna Benjamin. Concordiamo profondamente con lei quando afferma che: • la depressione, il panico, l’ansia sono tutti sintomi collegati a schemi che abbiamo appreso durante la nostra crescita e questi sintomi sono connessi a delle persone, alle figure significative della nostra vita; • la famiglia organizza la personalità e il modo di reagire ed il modo di rispondere a questi schemi è direttamente correlato ai sintomi; • ogni problema interpersonale lamentato dal paziente può essere collegato con le relazioni avute nell’infanzia con le persone che di lui si sono occupate attraverso i ” processi di copia”. Ormai da alcuni anni la Benjamin viene con periodicità in Italia, la inseriamo abitualmente nel programma annuale degli workshop previsti nei nostri training, organizziamo degli incontri di supervisione con i nostri didatti. Più recentemente abbiamo avviato un progetto di ricerca con il suo gruppo dell’Università dello Utah, lavorando sui processi di copia con soggetti affetti da un grave disturbo di personalità. È una ricerca sugli esiti dei trattamenti seguendo il protocollo d’intervento della Terapia Ricostruttiva Interpersonale che, secondo noi, ben si presta ad una integrazione col nostro approccio. C’è una comune origine che li rende affini e provvisti di paradigmi tra loro coerenti e sovrapponibili, che li fa diventare amalgamabili sul piano clinico. Così come la terapia familiare si innesta sulla psicoterapia psicoanalitica relazionale di Sullivan, il modello SASB (Structural Analysis of Social Behavior) della Benjamin si fonda sull’ipotesi di Sullivan per cui il concetto di sé ha origini nelle esperienze interpersonali con persone significative. Si tratta di un modello che offre una teoria per capire come i disturbi di personalità siano influenzati dalle esperienze di apprendimento specifiche dell’individuo e dal contesto sociale attuale e identifica un contesto interpersonale particolare per ognuno dei sintomi che definiscono i rispettivi disturbi di personalità. Della ricerca parleremo in seguito, per ora siamo solo ai primi passi. Nel frattempo, abbiamo pensato che, proprio per via del carattere interdisciplinare della nostra rivista, fosse utile proporvi un articolo della Benjamin e di Critchfield nel quale si sostiene la tesi che il comportamento dell’adulto è determinato tanto dalle esperienze distruttive quanto da quelle costruttive e che le percezioni infantili e l’apprendimento sociale del bambino sono codificati nella memoria individuale e vengono in seguito “copiati” nelle relazioni successive. Per facilitare la lettura a tutti coloro che non hanno ancora una gran confidenza con il linguaggio della Benjamin, abbiamo ritenuto utile qui di seguito illustrare sinteticamente il discorso della terapia ricostruttiva interpersonale. Prima di avventurarvi nella lettura, così, come usa fare la Benjamin nei suoi workshop, vi chiedo di svolgere questo piccolo esercizio: L.C. Kenneth, S.B. Lorna: Rappresentazioni interne delle prime esperienze interpersonali 7 “Riflettete su un momento recente in cui avete fatto qualcosa di cui vi siete pentiti o che normalmente non fareste. Riportate alla mente quello stato e chiedetevi cosa dicevate a voi stessi rispetto a quella situazione. Poi chiedetevi chi sta parlando”. Questo è il sistema biologico dell’attaccamento che ci predispone a stringere relazioni fortissime con queste figure per la nostra sopravvivenza. QUADRO DI SINTESI SULL’APPROCCIO DELLA BENJAMIN1 IL SISTEMA DELL’ATTACCAMENTO Il concetto fondamentale è che i processi di copia sono universali, li usiamo tutti. Copiamo sia i comportamenti normali sia quelli anormali, non c’è differenza, ciò che cambia è ciò che viene copiato. Quindi la famiglia organizza la personalità. Il modo di reagire e il modo di rispondere a questi schemi è direttamente correlato ai sintomi: per esempio, se siete cresciuti in un ambiente dove vi viene richiesto di essere sempre allerta, sempre vigili, sempre pronti a reagire sul momento, avrete uno stile di personalità estremamente ansioso e attivo. Se invece crescete in un ambiente dove vi vengono avanzate richieste molto pesanti, sproporzionate rispetto alle vostre capacità, vi sentirete impotenti e passivi, e se invece crescete in un ambiente ambivalente dove vi arrivano messaggi contradditori, vi viene detto che mezzogiorno è mezzanotte e viceversa, sarete estremamente confusi e disorientati. Tutto quello che facciamo ha un senso. La depressione, il panico, l’ansia sono tutti sintomi che sono collegati a schemi che abbiamo appreso durante la nostra crescita, e questi sintomi sono collegati a delle persone, alle figure significative della nostra vita in tre modi diversi: i tre processi di copia. Il primo è quello di essere come l’altro era o è, quindi il primo processo è chiamato imitazione, per cui la persona si comporta come si comportava la figura significativa, l’altro. Quindi il primo processo è essere come l’altro. Il secondo processo di copia è quello di continuare a porsi in relazione al mondo come quando si era bambini: è il processo di ricapitolazione. Quindi ci si comporta come se qualcun altro fosse ancora presente e avesse il controllo della situazione, si vive la vita come se ci fosse qualcun altro presente e fosse l’altra persona ad avere il controllo della propria vita. Forse come la madre che era sempre lì e si occupava di tutto. Il terzo processo di copia è trattare se stessi come si è stati trattati. In tutti e tre i processi si amano, in modi diversi, le proprie persone di riferimento. Tutto questo ha a che vedere con un attaccamento che è andato storto, è al servizio dell’amore che succedono tutte queste cose. Durante l’età adulta le figure di attaccamento più importanti sono i partner sessuali. Le figure di accudimento hanno un impatto molto grande, ma questo 1Si tratta di un testo fornito agli allievi dell’Istituto Dedalus in preparazione del workshop della Benjamin svolto a Roma nel 2010. 8 Ecologia della mente, vol. 32, n. 3, 2011 vale anche per i partner sessuali, per gli amanti. La sessualità è un po’ una scorciatoia per l’attaccamento. Nella genitorialità, nel rapporto con i propri figli è più facile riconoscere il proprio stile di attaccamento, il processo di copia adottato. Questi processi di copia, anche se inefficaci, sono sostenuti dal desiderio profondo e dalla convinzione della persona che se mi comporto in un determinato modo, se rispetto questi processi di copia, riuscirò ad ottenere da quella figura di attaccamento l’amore che ho sempre desiderato. Questa è la ricompensa che ricevo per l’utilizzo di condotte così disadattive e che tanti guai mi procurano. La ricompensa è la prossimità affettiva (la vicinanza affettiva) che ottengo con la mia figura d’attaccamento. Il suo dono d’amore, la sua devozione alle regole della famiglia è basato tutto sulle regole che lei ha percepito, non necessariamente sulle reali regole di quella famiglia, ma su quelle che la paziente vive come tali. Ogni problema interpersonale lamentato dal paziente può essere collegato con le relazioni avute nell’infanzia con le persone che di lui si sono occupate attraverso uno o più fra i tre processi di copia: 1) “sii come lui o lei” (identificazione); 2) “agisci come se lui o lei fosse ancora qui e avesse il controllo” (ricapitolazione) e 3) “tratta se stesso come lei o lui ti trattava” (introiezione). La motivazione è l’applicazione di regole e valori delle persone copiate, in modo da apparire una testimonianza delle loro convinzioni. La speranza è che tale fedeltà crei prossimità psichica e faciliti la riconciliazione con queste figure. Ogni psicopatologia è un dono d’amore. TABELLA 1. Versione semplificata dei cluster del modello SASB. Rif.to: tabella adattata da Benjamin (1996) in Cancrini L. L’oceano borderline. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2006. L.C. Kenneth, S.B. Lorna: Rappresentazioni interne delle prime esperienze interpersonali 9 TABELLA 2. Sommario dei contesti interpersonali delle personalità borderline. Storia Conseguenze della storia in termini di caratteristiche di personalità dell’adulto 1. Lo stile di vita dei familiari è caotico, imprevedibile, minaccioso (“il bambino teme sempre che stia per accadere qualcosa di brutto”) 1. Incostanza, inquietudine anche quando le cose vanno meglio (qualcosa di brutto potrebbe sempre accadere) 2. Il bambino vive esperienze di abbandono 2. L’abbandono, reale o immaginario, provoca senso d’impotenza, rabbia, movimenti auto ed eterolesivi 3. Il bambino non ha punti di riferimento sicuri e ha bisogno di controllare l’oggetto provvisorio del suo attaccamento 3. Timore continuo di essere abbandonato e bisogno di controllare l’oggetto provvisorio del suo attaccamento 4. La famiglia trasmette il messaggio che “allontanarsi è colpevole” 4. Incapacità di costruire una reale autonomia; svincolo apparente dalla famiglia del giovane adulto e tendenza a distruggere i risultati del proprio lavoro 5. Star male può aiutare ad ottenere cure e protezione 5. Sfidare per creare preoccupazione e/o esibire il proprio “star male” può essere utile (protettivo) La prossimità psichica alle proprie figure d’attaccamento è la principale “ricompensa” per delle modalità di comportamento che altrimenti sembrerebbero non adattive. I processi di copia collegano schemi di comportamento, sia sani sia patologici, alle figure di attaccamento e abbiamo due nomi diversi per questi due tipi di attaccamento. Abbiamo una parte definita “rossa” ovvero “l’alleato regressivo” (in riferimento alla lealtà): sono emozioni, pensieri, comportamenti collegati ai comportamenti problematici della persona, legati ai sintomi che hanno portato la persona in terapia. Poi ci sono le parti definite “verdi”, “l’alleato alla crescita”, sono parti collegate a comportamenti sani, adattivi, rivolti alla crescita, quando vediamo che sono presenti nel paziente quegli introietti collegati alla famiglia e favorevoli alla crescita, allo sviluppo. È utile pensare al paziente come se in realtà fosse costituito da due persone: la parte che viene in terapia e spera di cambiare e sentirsi meglio è l’alleato alla crescita o la parte verde della persona. La parte che vuole rimanere fedele alle vecchie abitudini è l’alleato regressivo o rosso. Il conflitto tra verde e rosso è sempre presente. Arriviamo quindi al mondo già pronti per attaccarci a qualcuno, e ci deve essere qualcuno a cui attaccarsi. È per questa ragione quindi che la relazione tera- 10 Ecologia della mente, vol. 32, n. 3, 2011 peutica può risultare estremamente potente, in quanto il terapeuta può fornire una base sicura. Il terapeuta cerca di facilitare lo sviluppo di comportamenti “verdi”, indirizzando il paziente verso un obiettivo normale che è basato su una posizione di fondo di amichevolezza, benevolenza. Le cinque fasi della terapia: 1. 2. 3. 4. 5. collaborazione; apprendere e riconoscere i modi di fare, da dove provengono e a cosa servono; bloccare i modi di fare disfunzionali; promuovere la volontà di cambiare; imparare nuovi modi di fare; Linee-guida (regole, ricetta o “algoritmo di base”): 1. 2. 3. 4. 5. lavorare con un atteggiamento di base di accurata empatia; sostenere l’alleato della crescita più di quello regressivo; collegare ogni intervento alla “formulazione del caso”: identificazione delle figure d’attaccamento e dei processi di copia e ricerca dei significati positivi dei comportamenti sintomatici (prossimità affettiva e dono d’amore); cercare dettagli illustrativi e concreti su input, risposta e impatto sul sé: comprensione comune di cosa scatena (input) i diversi episodi importanti (comportamenti sintomatici, spesso agiti), di come il paziente reagisce (risposta) e di come ciò influisce sul suo concetto di sé; esplorare gli ABC: affetti (affect), comportamenti (behavior), pensieri (cognition). Collegare l’intervento scelto a una delle cinque fasi della terapia (il terapeuta deve chiedersi “cosa sto facendo, in quale fase della terapia e per raggiungere quale obiettivo”). Consigli per il terapista: • • • È bene ricordarsi che se le teorie patogene presenti vengono usate per portare in tribunale (in terapia) i cattivi genitori sono usate male. Il paziente ha bisogno di capire che i sintomi avevano un tempo una loro funzione ma che ora non servono più. Deve sviluppare l’empatia per sé da bambino e per il genitore di quel tempo, è questo il metodo per acquisire la giusta prospettiva. Dovrebbe aiutare il paziente a costruirsi la forza dell’Io necessaria per permettergli di riconoscere le situazioni che stimolano le sue modalità regressive. Il terapeuta dovrebbe offrire al paziente un contratto per aiutarlo ad aumentare la sua forza dell’Io: “Posso aiutarla a vedere le sue modalità di comportamento, da dove provengono e a cosa servono… se intenderà cambiarle dovrà impararne delle nuove… proverò ad aiutarla L.C. Kenneth, S.B. Lorna: Rappresentazioni interne delle prime esperienze interpersonali 11 ad apprenderle… il lavoro potrà essere duro e noioso ma se lo seguirà potrà imparare”. • Il paziente deve cambiare i suoi obiettivi e deve imparare a differenziarsi. • Vanno fissati i limiti del sostegno… vanno mantenuti i confini. • Incoraggiare l’espressione della rabbia, se fine a se stessa, può essere pericoloso. L’intervento è corretto se l’espressione della rabbia serve ad aiutarlo a differenziarsi. • Il terapeuta deve controllare i sentimenti, le fantasie e le paure del paziente per verificare l’utilità dell’intervento. ANALISI STRUTTURALE DEL COMPORTAMENTO SOCIALE Invocando l’ipotesi di Sullivan per cui il concetto di sé ha origini nelle esperienze interpersonali con persone significative, il modello SASB offre una teoria per capire come i disturbi di personalità siano influenzati dalle esperienze di apprendimento specifiche dell’individuo e dal contesto sociale attuale. La “lente segreta” che la Benjamin utilizza per identificare gli schemi di comportamento è un’analisi dello spazio interpersonale [gli assi del codice ASCI, l’Analisi Strutturale del Comportamento Interpersonale (SASB)] che nella sua forma più semplice lei suddivide in 4 dimensioni lungo due assi, una che va dall’amore all’odio e l’altra che va dall’invischiamento alla separazione. Il focus dell’analisi è sull’Altro, su di sé, sull’Introietto (transitivo, diretto all’interno). Ogni punto in corsivo rappresenta l’introiezione. I punti dell’oggetto introiettato designano il risultato atteso di un’azione transitiva che viene rivolta verso di sé. Di conseguenza i punti in grassetto specificano gli antecedenti previsti su affiliazione e interdipendenza. Per esempio, una persona che si impegna ad autobiasimarsi probabilmente ha una PIRI (le Persone Importanti e le loro Rappresentazioni Interiorizzate) che biasimava. Una che si prende cura di sé ha avuto una PIRI che la proteggeva, una che si trascura un genitore disattento e così via. L’identificazione si ha quando il paziente si comporta come una PIRI. Si ha la ricapitolazione quando si continua un modo di fare complementare in una nuova relazione (per esempio, innestando la vecchia modalità complementare genitore/figlio in un rapporto di coppia). L’introiezione si verifica quando una persona tratta se stessa come è stata trattata dagli altri. Si può copiare anche per opposizione e antitesi e non solo per somiglianza (simmetria), copiando per esempio con i propri figli l’immagine del padre in negativo. Il modello specifica un contesto interpersonale particolare per ognuno dei sintomi che definiscono i rispettivi disturbi di personalità.