D.Orecchia su Camion e Nora di Carlo Quartucci

Titolo || Nora da “Camion” a “Opera”
Autore || Donatella Orecchia
Pubblicato || www.nuovoteatromadeinitaly.com
Diritti || © Tutti i diritti riservati.
Numero pagine || pag 1 di 12
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Nora da “Camion” a “Opera”
di Donatella Orecchia
L’urgenza di mettere continuamente in discussione quanto appena raggiunto, la necessità di smontare e
rimontare perennemente quanto costruito, di mutare percorsi e reinventare forme teatrali sono il segno evidente
di un percorso di ricerca che della condizione di precarietà e incertezza propria di tutta l’arte moderna 1 ha fatto
da sempre un banco di prova, una sfida, un modus creativo. La continua e mobile scomposizione e
ricomposizione esplicita della propria opera permette a Quartucci di incrociare quella tendenza radicalmente
critica (e metacritica) propria dell’arte contemporanea, sempre attenta a riflettere sui propri meccanismi interni
e a configurarsi come presentazione dei propri processi costruttivi, con la trasformazione continua di quei
meccanismi sotto la pressione delle sfide a cui il contesto e le occasioni incontrate sottopongono l’artista. Il
concetto e la pratica di ‘opera aperta’ assume in questo caso un significato e una pregnanza particolari, proprio
in virtù di quella modalità di riscrittura del passato e di memoria di sé e del linguaggio teatrale che radicano
il lavoro di ricerca e le singole tappe di Quartucci e Tatò in un solco profondo e magmatico. Nessun frammento
dell’oggi può essere compreso pienamente se non attraverso la stratificata memoria di ieri; ma nessun
frammento dell’oggi è conclusivo. Ogni atto teatrale propone una visione dell’oltre da sé, apre la strada a nuovi
percorsi, è di volta in volta costruito in modo tale da proporsi come un punto di vista da cui guardare.
Questo focus è dedicato ad alcuni momenti della ricerca di Quartucci e Tatò in relazione a Casa di bambola
di Ibsen, intesa come partitura verbale, ma anche, e forse più, come luogo in cui si è sedimentata una memoria
teatrale e culturale.
Attraverso il filo rosso di Nora, possiamo così attraversare i due grandi progetti di Quartucci-Tatò degli
anni Settanta: l’avventura di “Camion” e la Trilogia di “Opera”. Fra i due momenti c’è una forte continuità,
ma matura anche il passaggio verso un lavoro collettivo che esalta la collaborazione fra le arti e volge verso la
costruzione di un’opera totale e aperta, che vede la collaborazione in parallelo di “autori” diversi, oltre a
Quartucci, Tatò e Roberto Lerici (alla drammaturgia): Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Misha Mengelberg,
Mario Schiano, Han Bennik, Giovanna Marini.
1. L’avventura di “Camion” e Nora. Nel 1971 Quartucci compra un camion, lo dipinge di bianco e inizia
il suo viaggio nelle periferie italiane: nel Camion si vive, si mangia, si raccolgono materiali sonori, video.
Camion è palcoscenico, cabina di registrazione, spazio di ospitalità, casa, teatro. Le azioni di Camion non sono
spettacoli, opere chiuse; si avvicinano piuttosto all’azione performativa e l’azione può consistere anche
nell’attesa in una piazza di paese, oppure nel “caricare e scaricare un tramonto”. «come trasloco carica oggetti,
situazioni e personalità» (Quartucci in Primo bollettino di Camion), regista le voci, filma le azioni. ‘Camion’
è anche uno spazio concettuale nel quale sono possibili azioni come ‘caricare un tramonto’ alla presenza di un
pubblico di ragazzi di borgata: anche in questo caso accade il teatro, secondo Quartucci; anche qui
quell’accadere è un modo per mettere in questione e criticare il linguaggio della regia (i suoi luoghi, il suo
pubblico passivo, la prevedibilità delle sue repliche, la sua dipendenza dal testo). Certo in questo come in altri
simili l’operazione di “Camion” giunge fino al limite della dissoluzione del fatto artistico e tende a sconfinare
nell’happening. Eppure, il limite non viene superato: e caricare un tramonto si fa gesto artistico perché
incorniciato da qualcuno (il regista) che lo sottrae all’anonimato della vita naturale e della sua accidentalità,
allestisce e coordina quanto accade nel momento in cui accade, lo colloca all’interno di un percorso di ricerca
estetica rigoroso, lo pone in relazione al linguaggio della scena contemporaneo (in relazione oppositiva
ovviamente), rende chi è presente spettatore consapevole di un fatto che è anche una domanda sull’arte.
In questo contesto, avvengono le prime azioni dedicate a Nora, non a caso indicate anche con il numero
progressivo in relazione alle altre azioni camionistiche: Camion 16, Camion 21, Camion 25. La prima
ricognizione intorno a Nora avviene nel quartiere la Romanina di Roma, dove presto verrà aperto il “Centro
1
T. W. Adorno, Teoria estetica, trad. it., Torino, Einaudi, 1997 [1970], p. 4.
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culturale polivalente decentrato”, «punto d’incontro, di aggregazione e di sollecitazione di chi vuole sapere e
fare cultura, sede di servizio culturale pubblico polivalente e l’occasione per dare alla periferia romana, e in
particolare alla zona sud, uno strumento di formazione, d’informazione, di conoscenza e di intervento
permanente nelle realtà della “cultura nuova decentrata”, attraverso i suoi strumenti: teatro, cinema, videotape, dinamizzazione, audiovisivi, assemblee popolari, dibattiti, letture collettive ecc.». L’indagine su Casa di
bambola nasce in questo contesto, ed è fin dal principio un confronto artistico e culturale con un emblema
della grande drammaturgia europea ottocentesca, ma anche della crisi della sua forma nonché dei valori della
borghesia allora trionfante. Rispondendo a distanza di sessant’anni alle parole di Antonio Gramsci, che nel
1917 aveva recensito la recita di Casa di bambola della compagnia di Emma Gramatica, Camion mette in luce
la necessità di un confronto di quel testo con uno spettatore non borghese. Solo le donne del proletariato, aveva
scritto Gramsci, possono comprendere il gesto di Nora.
Le cocottes potenziali non possono comprendere il dramma di Nora Helmer. Lo possono
comprendere, perché lo vivono quotidianamente, le donne del proletariato, le donne che lavorano,
quelle che producono qualcosa di più che non siano i pezzi d’umanità nuova e i brividi voluttuosi
del piacere sessuale [...]. Esse non avrebbero grossolanamente riso della creatura che la fantasia
di Ibsen ha messo al mondo, perché avrebbero riconosciuto in lei una sorella spirituale, la
testimonianza artistica che il loro atto è compreso altrove, perché essenzialmente morale, perché
aspirazione di anime nobili a una umanità superiore, il cui costume sia pienezza di vita interiore,
escavazione profonda della propria personalità e non vile ipocrisia, solletico di nervi ammalati,
animalità grassa di schiavi diventati padroni 2.
Camion problematizza questa posizione di Gramsci e cerca i contesti per fare reagire la questione di Nora
con le culture proletarie, con le periferie urbane, con il mondo contadino, con uno spettatore altro, diverso da
quello delle consuete sale teatrali. Contemporaneamente, problematizza la forma drammatica con la quale
Ibsen scrive. Il testo si apre, si sfalda, si fa pretesto per un’indagine sul campo, per un’inchiesta orale fra gli
abitanti della Romanina, per la ricerca di una forma contemporanea atta a riproporre la questione, rendendo
visibile la crisi della forma usata cent’anni prima e tutt’oggi replicata come scrittura intoccabile da buona parte
del teatro di tradizione. Il testo come catalogo di comportamenti (il racconto delle didascalie) sostituisce il
testo come scambio intersoggettivo fra i personaggi: l’azione si fa dichiaratamente antidrammatica e
metateatrale. Nora in casa, Nora nei rapporti con lui, Torvald, il marito. Poi alla fine dei tre atti senza battute,
nell’ultimo quarto d’ora «abbiamo scatenato le parole di lei», un ammasso di parole intese come «altri
comportamenti vocali e di pensiero» 3. Perché Nora è totalmente assente nel testo. Il «’testo, ‘il suo testo’, in
realtà non la prevedeva affatto, era un testo funzionale a un determinato teatro, un teatro che non
prevedeva nessuna Nora […] tutta la storia di Nora era contro Nora o addirittura senza Nora che
diventava semplice funzione per tutto quello che era altro da lei: gli altri attori, quella scena, quel teatro
ecc.» 4.
Quando, nel 1974, Nora arriva negli studi radiofonici della RAI di Torino (con la quale Quartucci collabora
assiduamente in quegli anni) nel Lungo e impossibile viaggio intorno a Nora Helmer, ci troviamo ancora
all’interno del progetto Camion, con una «azione camionistica su nastro». Così recita la scheda informativa:
«veritiere e documentate avventure capitate ad alcuni viaggiatori alle prese con un capolavoro di Ibsen,
raccontate dalla loro viva voce e raccolte su nastro magnetico da Alberto Gozzi e Carlo Quartucci /tappa di
Camion agli studi radiofonici di Torino». E queste le parole di Carlo Quartucci nel presentarlo:
2
A. Gramsci, La morale e il costume (Casa di bambola di Ibsen al Carignano), in «Avanti!», 22 marzo 1917.
Dialogo tra Quartucci e Fadini, in E. Fadini, C. Quartucci, Viaggio nel Camion dentro l'avanguardia ovvero la lunga
cinematografia teatrale 1960/1976, Torino, Cooperativa editoriale Studio Forma, 1976, p. 75.
4
C. Tatò, in Scheda di presentazione RAI a proposito di L’ultimo spettacolo di Nora Helmer in Casa di bambola (archivio
Quartucci).
3
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Il lavoro è il risultato di una esplorazione condotta sulla protagonista del dramma ibseniano Casa di
bambola: Nora Helmer. La visita è compiuta secondo i modi di Camion (un vecchio autocarro Lancia Esatau,
risultato concreto di una scelta compiuta dal regista Carlo Quartucci nel 1971 e con il quale, insieme ad altri
collaboratori, egli ha compiuto e va compiendo una serie di viaggi e di esperienze negli spazi più aperti del
teatro e dei suoi dintorni), che sono quelli della catalogazione e del carico di materiali da palcoscenico,
naturalmente, ma non solo.
È fatale che nel momento in cui i viaggiatori cominciano a trovare e a cercare reperti di palcoscenico
incomincino anche a prendere tutto ciò che vi sta intorno, e cioè il teatro intero come istituzione, come
organismo vivente, come custode e depositario di una cultura, quella che costituisce la base della coppia NoraTorvald Helmer, cioè quell’ideologia della famiglia così chiaramente delineata nel copione ibseniano.
Il testo di Casa di bambola è stato smontato e montato abolendo il sostegno della trama ed è stato usato
come catalogo di comportamenti: i personaggi sono visti come funzioni e nelle loro funzioni (per esempio
Nora in casa, gesti di Nora, appellativi di Nora, ecc.)
L’esplorazione viene compiuta non solo sui materiali trovati dentro Casa di bambola (parole, gesti,
comportamenti, tracce, oggetti scenici, storie, angoli segreti, particolari inediti), ma anche su quelli trovati dai
viaggiatori di Camion durante i loro itinerari (testimonianze, reazioni, racconti in prima persona, pagine
saggistiche e letterarie) 5.
È evidente dalle parole di Quartucci un rapporto particolare con il passato, anche quello prossimo. Un
passato a cui si attinge come nutrimento, per riscriverlo ogni volta nel presente, per riusarlo e metterlo in
discussione in un tempo e un contesto differenti, per rielaborarlo ancora come provocazione per l’oggi. In
questo senso le registrazioni audio, la raccolta di materiali e di esperienze dirette e indirette divengono ogni
volta materiali da ri-usare, da ri-agire e ri-disegnare. Da una versione alla successiva, da un’azione all’altra, la
ricerca procede per accumulo e riscrittura dei propri vissuti artistici e la storia di Nora approda, nel 1975, a
una sala teatrale, il Teatro Sperimentale di Pesaro.
5
C. Quartucci, in Scheda di presentazione RAI a proposito di L’ultimo spettacolo di Nora Helmer in Casa di bambola
(archivio Quartucci).
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Sul palco vengono scaricati ‘pezzi’ della storia di “Camion” e del suo incontro con il testo di Ibsen: nastri
audio, video-tape, grandi immagini diapositive sul fondale, mentre le presenze vive di Carlo Quartucci (regista
servo di scena), Carla Tatò (attore-narratore), Luigi Mezzanotte (attore-trasformista), i tecnici agiscono con
gesti quotidiani, sottolineando la propria funzione senza mimesi, al limite della dissoluzione del fatto artistico,
quasi a sconfinare nell’happening. Gli attori, in particolare, sono loro stessi ma, contemporaneamente, sono
anche l’evocazione a frammenti del dramma dei signori Helmer, riferito attraverso le sole didascalie. Il lavoro
di scomposizione del testo e di demitizzazione di uno dei simboli della drammaturgia europea del XIX secolo
è chiara. Come è chiaro quanto il portare alla luce gli elementi strutturali del linguaggio teatrale, marcandone
le funzioni essenziali e spostando il focus dal dialogo all’epico, sia la cifra caratterizzante e metateatrale di
questo spettacolo. E così, liberata dal vincolo dell’interpretazione del testo, della linearità di sviluppo di una
trama, della centralità del personaggio, l’azione teatrale si presenta come una sorta di continua e mobilissima
dissertazione sul teatro.
Quindi il viaggio riparte e nel 1978 Camion è alla Cooperativa La Perna dove ripropone ancora una volta
il lavoro intorno al testo di Ibsen, ora in stretto contatto con la vita della borgata, con i suoi abitanti.
Poi Nora ce la siamo cominciata a inventare – e dunque a raccontare – fuori casa, quando cioè
aveva compiuto il suo abbandono. E intanto Camion viaggiava e Nora fuori casa diventava la nostra
storia, una delle storie di Camion dentro tutte le sue tappe […] approdare alla Nora di borgata è
stato scoprire, per esempio, che la periferia è popolata da tanti Nora e Torvald che di manifestavano
in un loro essere pubblico come quello della piccola borghesia anni Dieci del Carignano che non
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applaudiva al terzo atto […] c’erano anche le donne del proletariato che non solo capivano il gesto,
l’abbandono di Nora, ma lo rendevano presente e fattuale 6.
6
C. Tatò in la Zattera di Babele 1981-1991. 10 anni si parola, immagine, musica, teatro, La Zattera di Babele, Roma
1991, p. 56.
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2. L’ultimo spettacolo di Nora Helmer in Casa di Bambola di Ibsen per la televisione
L’ultimo spettacolo di Nora Helmer in Casa di Bambola di Ibsen
Regia Carlo Quartucci
Sceneggiatura Roberto Lerici e Carlo Quartucci
Scene e costumi Giulio Paolini
Musiche Giovanna Marini
Con (Bambinaia sarta) Angela Quartucci; (Cameriera) Giselda Castrini; (Direttore di scena) Carlo Quartucci;
(Dottor Rank) Alfiero Vincenti; (I camionista) Alessandro Barrera; (I servo di scena) Paolo Moscalero; (Il
servo di scena) Raoul Galeazzi; (Kristine Linde) Anna Maria Chio; (L’attore Torvald 1) Franco Branciaroli;
(L’attore Torvald 2) Luigi Mezzanotte; (L’attore Torvald 3) Amedeo Amodio; (L’attrice Nora) Carla Tatò;
(Krogstad) Piero Di Iorio; (ll camionista) Emille Jeau; (ll coro) Annalisa Di Nola; (ll coro) Donatella Di Nola;
(ll coro) Lucilla Galeazzi; (Nora Helmer) Valeria Ciangottini; (Suggeritore) Antonino Maganaro; (Suonatore
di fisarmonica) Giorgio Guidarelli; (Torvald Helmer) Marino Masè
Produzione Rai – Radiotelevisione italiana 1979
Prima proiezione di alcune sequenze nel gennaio 1980, a Genova, come parte integrante dello spettacolo
Opera. Scene di Teatro
In onda 17/03/1980 24/03/1980, canale TV 2
Nel marzo del 1980 Camion fa tappa agli studi Radiotelevisivi di Torino dove viene girato L’ultimo
spettacolo di Nora Helmer in Casa di Bambola di Ibsen. La descrizione che segue, elaborata anche sulla
base del video, può essere utile alla comprensione di molti aspetti relativi anche alle azioni di Camion
precedenti.
Le scene sono di Giulio Paolini:
«Paolini accosta varie immagini per lo stesso testo in una struttura a caleidoscopio secondo il principio per cui
una rappresentazione ingloba tutte le altre e mette in trasparenza l’insieme delle scene già esistite in passato.
Le foto vengono poi montate su una griglia di legno. In qualche modo è come se Paolini avesse ‘curato’ una
piccola mostra su Casa di bambola assolvendo alla funzione di ‘artista come storico’ e praticando un’‘arte
critica’, termini di cui in quegli anni si parlava» 7.
Il film è suddiviso in cinque parti:
Il teatro teatro.
Il teatro smontato.
Il teatro come cinema.
Il cinema come teatro.
Il teatro nello spazio televisivo.
7
L. Cherubini, in Sipario. Balla, De Chirico, Savinio, Picasso, Paolini, Cucchi, catalogo della mostra, Castello di
Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli, Edizioni Charta, Milano 1997, p. 260.
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1. Il teatro teatro
Il film si apre con le immagini di una messinscena piuttosto tradizionale di Casa di Bambola, recitata
mettendo in rilievo le consuetudini e le maniere di tanto teatro di tradizione attraverso una loro esplicita
parodia. Nel mezzo di una scena composta dalle gigantografie di immagini di rappresentazioni di Casa
di Bambola del passato, in un contesto esplicitamente metateatrale, gli attori rimarcano i cliché e dunque
l’impasse di quella tradizione e anche dalla sua volontà mimetico naturalistica. Il suggeritore (Antonino
Manganaro), che non è nascosto, anzi è molto spesso unico soggetto della ripresa, rende esplicita la
finzione rappresentativa.
Quattro attori, Carla Tatò, Franco Branciaroli, Luigi Mezzanotte e Amedeo Amodio, apparentemente
senza ruolo, osservano ciò che sta accadendo sul palcoscenico. Nel regolare svolgersi dello spettacolo,
questi attori guardano attenti, ansiosi, turbati; agitati in quanto seguono la messa in scena, non dalla
platea, ma dalle quinte; come volgari voyeur, che spiano dalle fessure, come fossero crepe di una struttura
che sta per crollare.
Intanto sono presentati anche gli altri attori, intrappolati nel loro ruolo (tanto che anche sulla porta
del camerino che viene inquadrato troviamo i nomi dei personaggi e non degli attori).
Si individuano così tre livelli principali di rappresentazione:
1. Rappresentazione regolare di Casa di bambola sul palcoscenico;
2. Svolgersi nei camerini di un continuum della vicenda dei personaggi;
3. Reazione e attesa degli attori camionisti dietro le quinte.
Tutto il visibile e l’invisibile che compone il mondo del teatro, viene mostrato.
Alla fine della rappresentazione cade il silenzio. Ora gli attori di Camion sono liberi d’invadere anche
il palcoscenico, che ormai è vuoto. Vuoto come spazio, ma pieno di voci: in sottofondo si odono le battute
scambiate qualche istante prima in scena. L’attrice – Nora sul palco, osserva. E pensa. I suoi pensieri
sono udibili. Quindi giungono gli altri tre attori, scomposizione del ruolo di Torvald in tre personaggi
Torvald-Branciaroli: rappresenta la faccia dell’amore passionale;
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Torvald-Mezzanotte: rappresenta la faccia dell’amore tenero, gratuito;
Torvald-Ballerino: rappresenta l’amore che si identifica con la bellezza più astratta, la danza.
Mentre gli attori interagiscono con la scena, questa viene pian piano smontata.
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2. Il teatro smontato
Carla Tatò è ancora sul palco. Si sentono le voci degli attori della messa in scena, che rivive attraverso
il tappeto sonoro, che diviene presto anche visivo e dà forma ai ricordi di Nora.
Il regista si serve del flash-back video per mostrare frammenti della vicenda di Nora, così destrutturata
e priva di un ordine di sviluppo cronologico, mentre la scenografia viene gradualmente smontata.
Frammenti della vita di Nora si accumulano, come rivissuti dall’attrice-Nora evidentemente intrappolata
nella continua rappresentazione della sua vita. Tutto, intorno a Nora, crolla. Al cadere, infine, del sipario,
anche l’ultimo elemento che appartiene alla finzione scenica, il suggeritore, abbandona la sua buca.
Gradualmente della scena resta solo lo scheletro, che attraverso la sua struttura, mostra il dietro le
quinte. Qui la vicenda si svolge ancora, frammentata, nei gesti che una compagnia d’attori può compiere
alla fine di una messa in scena. Torvald-Mezzanotte si sta vestendo, Nora-Tatò sta indossando il costume
per la scena della tarantella, contemporaneamente la sarta della compagnia, che è anche la bambinaia
della famiglia Helmer, stira e canta. Tutti sono come intrappolati in una sorta di matriosca, che rivela,
man mano, le dimensioni che la compongono. Si giunge così alla totale assenza della struttura che limita
lo spazio della finzione. Restano solo le immagini, che prima costituivano la limitazione entro la quale
la storia degli Helmer prendeva forma attraverso il gioco scenico; sono a terra come a formare, adesso,
la base sulla quale prende vita una nuova rappresentazione. Rimane solo il teatro-contenitore: tutto è
stato mostrato, nulla è lasciato all’immaginazione. Dalla porta sul retro, Camion attende: attende per
caricare le suggestioni, le esperienze, gli oggetti, gli attori che lentamente abbandonano il teatro per
recarsi in altri luoghi, dove sarà possibile ricostruire lo spettacolo.
La grande porta del teatro si è chiusa su noi, tenendosi in corpo il suo direttore soddisfatto,
il suo cassiere conteggiante, i suoi uscieri devoti, la sua scena svuota e ripulita,
come dopo una bella lavanda gastrica. Con tutto il rispetto per i saluti definitivi e inappellabili,
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è possibile un ritorno?...ci vorrebbe un miracolo! Che il matrimonio si fondi su basi diverse!
Ehi…mettete in moto l’autocarro! Qui non si tratta di cambiare piazza,
ma di cambiare vita! C’è dentro tutto? Avete stivato quel mezzo sospiro di Nora Helmer,
rimasto per aria?...si? l’avete cacciato tra la stufa e il ritratto di famiglia?
Bene, bene, bene…è tutto al millimetro…bene! Ma non parliamo di miracoli, non ci sono basi
diverse. Per migliorare un triste cambio! Avanti, presto! mettete in moto! attenti!
C’è un Dottor Rank che occhieggia beato, tra un sogno d’amore e il pianoforte di Nora che
strimpella marce funebri e tarantelle a tutto pedale!
Legatelo meglio! che non schizzi fuori! Avete imballato lo specchio? Attenti!
Che non s’incrini la faccia ottusa di Torvald, che spera in ritorni impossibili!
Sappiamo che non si fanno facce nuove su vecchi trucchi di scena! Avanti! partiamo! la strada è
sgombra! Stivateci dentro quel singhiozzo mancato di Nora Helmer!
Tanto per addii come questi non protesta nessuno! Partiamo! Questa Casa di bambola l’abbiamo
smontata e caricata su Camion e ce la portiamo con noi. Dove? presto lo vedrete! il motore è acceso!
ci siamo! Ma si potrà sapere, prossimamente, che razza di storia racconta questa Nora Helmer? 8
3. Il teatro come cinema
La terza parte del film si apre con l’attrice-Nora che passeggia tra le terre occupate della Cooperativa di
Castel di Decima. Passeggia, guardandosi intorno, accompagnata da due uomini, che si può desumere, facciano
parte degli occupanti.
Si sentono voci inconsuete, è come se sbucassero dallo stato di quiete delle zolle rivoltate. «Finalmente!
dice: siamo studenti, contadini, giovani, insomma, e disoccupati. Addio! rispondevano i gonfalonieri del
comune, stracciando le ordinanze poliziesche. Questa terra è occupata! rispondevano» 9.
Alla fine di questa passeggiata, Nora-Tatò arriva alla stalla. Ed è qui che, tra il disfarsi del cerone che le
dipinge il volto, ultimo residuo della fuga compiuta dallo spazio della finzione scenica, prova un improbabile
prologo a una improbabile rappresentazione.
Signore e signori, con riuscito colpo di mano, ci siamo impossessati di uno spettacolo ben
confezionato, recitato, infiocchettato! Noi ve l’abbiamo portato fin qui, su queste terre occupate
da voi, con un altrettanto riuscito colpo di mano, che vi fa onore! E come voi siete riusciti, nel
giro di pochi mesi, a trasformare questa terra incolta e sterile, in uno spettacolo fantastico, di
piantagioni ordinate e scavate, secondo un vostro diverso modo di rappresentare la vita, così noi,
vi scaricheremo questo spettacolo, rivoltandolo, secondo il nostro modo di provocare reazioni a
catena, dentro personaggi, persone, uomini, donne , attori, attrici e pubblico e feste e luci e ballo
e chi più ne ha più ne metta! Si tratta di una storia, che non siamo riusciti ancora a raccontare,
veramente! 10
Entrando nella stalla, Nora-Tatò, abbandona per un attimo il suo ruolo di attrice-personaggio, per assumere
quello di di narratrice. Ella esprime, infatti, l’essenza di una storia che ha ormai più di cent’anni e tutt’ora
scuote le coscienze.
La scena, ora si sposta: i tre Torvald si trovano in una sorta di un edificio cadente, abbandonato. Qui ognuno
esprime il suo stato d’animo legato all’abbandono di Nora: Torvald-ballerino è agitato; nei suoi movimenti
concitati e limitati dalle pareti della stanza, chiara metafora di una situazione che ormai lo ha reso schiavo di
se stesso, esprime la sua frustrazione. Torvald-Mezzanotte, rivede, attraverso una piccola TV, le riprese fatte
durante lo spettacolo a teatro, rivolgendosi all’immagine di Nora sul piccolo schermo. Torvald-Branciaroli,
invece, continua a essere ossessionato dalla perfezione che Nora, secondo lui, deve raggiungere
8
L’ultimo spettacolo di Nora Helmer, Il teatro smontato.
L’ultimo spettacolo di Nora Helmer, Il teatro come cinema.
10
Ibidem.
9
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nell’esecuzione della tarantella. Nuovo cambio di scena: appare per la prima volta la scritta Cinema.
4. Il cinema come teatro
Dal Teatro come Cinema al Cinema come Teatro. Il passaggio, indice di una ennesima evoluzione semantica
del discorso narrativo, appare espresso chiaramente dalla eloquente scritta scenografica (cinema) sovrastante
il capo dell’attrice che, sola, occupa il piano dell’inquadratura.
A completare ulteriormente questa trasformazione, il regista inserisce la didascalia e un topos prettamente
cinematografico, il ciak, che in modo cadenzato invade l’inquadratura. La macchina da presa, a questo punto,
torna a mostrarci le ossessioni dei tre Torvald, in particolare quella di Torvald-Mezzanotte. Quest’ultimo, in
un delirio totale, indossa abiti da donna, diventando lui stesso Nora, fantasma contro cui si batte e contro cui
abbatte la sua amarezza.
Intanto cala la notte e il delirio dei tre Torvald ossessivamente continua. Intanto l’attenzione dello spettatore
viene focalizzata nuovamente sulla stalla, che ci si accorge, essere diventata set cinematografico. Il regista
mostra Nora ripresa da un’altra telecamera e rende quest’ultima coprotagonista dell’inquadratura.
L’azione prosegue davanti ad un pubblico costituito da Camionisti, tecnici, abitanti del luogo, attori, mentre
su una delle pareti viene proiettata la parte iniziale del film stesso. Nora si pone dinanzi alla proiezione, che
d’improvviso diviene soggetto del film. Si è come tornati alla dimensione narrativa precedente.
I personaggi della messa in scena teatrale si muovono sul palco in modo casuale, agitati dalle parole in
sottofondo, che provengono da una registrazione sonora.
La scena ritorna sulla stalla; l’attrice Nora interagisce con l’immagine proiettata del Dottor Rank e gli
astanti interagiscono con Nora stessa. Quest’ultima, poi si sposta verso la porta che, come un congegno spaziodimensionale, permette a Nora di mettersi in relazione con Krogstad-proiezione.
La location si svuota come d’incanto, mostrando come unici protagonisti Nora e Torvald-Branciaroli, che
continua a trattarla come l’oggetto delle sue passioni. D’improvviso sopraggiungono anche gli altri due
Torvald.
A questo punto Nora-Tatò è circondata e la stalla si popola nuovamente. L’attrice è al limite del delirio.
Danza, riproponendo la scena della tarantella. Nella sua danza pian piano si spoglia. E ride. Ride e danza fino
allo sfinimento. E’ a terra. Camion è pronto a ripartire ed attende all’ingresso della stalla. Nora è violentata
dalle parole del Torvald-Branciaroli e dal suo desiderio di possederla. Egli è preda, ormai, delle sue perversioni.
5. Il teatro nello spazio televisivo
L’azione degli attori sembra svolgersi ancora nella stalla. Ma lo stacco di telecamera ci mostra, in maniera
impietosa, che in realtà si tratta di uno studio televisivo.
Gli attori sono distesi a terra ed è a questo punto della narrazione cinematografica che si può notare il
plastico della prima scenografia, quella del teatro di Spoleto.
Tutti riposano tra strumenti tecnici di ripresa e cavi nudamente mostrati.
Il sipario si solleva, tagliando lo studio televisivo e subito dopo si apre, mostrando agli occhi dello spettatore
la caduta di un drappo bianco, che fino a allora costituiva la scenografia. Ci appare un vero studio televisivo e
la consapevolezza dello spettatore, rispetto al luogo in cui l’azione si sta svolgendo, viene confermata. Il
pavimento, attraverso un sapiente uso del mezzo cinematografico, diventa il luogo in cui si succedono squarci
che ripropongono situazioni e personaggi della messa in scena di Spoleto. Il gruppo di Camion bivacca.
Al centro del sipario un pannello mostra le immagini della disperazione di Torvald e contemporaneamente
il primo piano dell’attrice-Nora che inerme osserva. Il regista focalizza l’attenzione sui leggii che circondano
il sipario e su di essi lascia scorrere le scene di Casa di bambola.
Si ripete nuovamente l’ultimo atto. E Nora è esausta.
Stacco di camera. Torvald-Mezzanotte corre verso Nora e, nel medesimo istante, crolla il sipario.
Poi l’ultimo Torvald. Quello ballerino che nella sua danza concitata occupa l’intero spazio scenico. La
cinepresa ritorna su Nora mostrando il suo viso rigato dalle lacrime. Prepara la valigia.
Sono passati otto anni, più o meno. Non so! Perché non so quello che è veramente passato. Un
estraneo, degli estranei. Io, ficcata in una parte che non mi compete, recitata malissimo. Non
Titolo || Nora da “Camion” a “Opera”
Autore || Donatella Orecchia
Pubblicato || www.nuovoteatromadeinitaly.com
Diritti || © Tutti i diritti riservati.
Numero pagine || pag 12 di 12
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Lingua|| ITA
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convinta da niente. Nessuno che cercasse di vedere fino in fondo, tutti a dirmi: questo è giusto,
questo è reale! Avete fatto male a fare così! male! molto male! Un’idea vostra diventava la mia,
anche se non volevo! Ma che cosa volevo o non volevo io… Non ho mai voluto nulla. Ho vissuto
come una mendicante! Ho chiesto l’elemosina giorno per giorno. Facevo il mio numero, come
volevano gli altri. Per questo mi sono ridotta che non so fare niente. Infelice ! Infelice, infelice,
senza capire niente! Allegra, qualche volta, ma infelice! Una bambola che giocava con le bambole,
su un palcoscenico di bambole! E mi divertivo, come quando i bambini giocano con le bambole!
Una bambola con la testa pronta a prostituirsi, sempre. Questo è stato tutto![…] Che vergogna! Che
vergogna! Ho riso e pianto per nulla! Non siamo all’altezza di fare nulla! Devo, devo imparare da
me stessa, da sola! Non posso fare altro! Per questo, per questo sto per lasciare tutto! Devo capire
le cose che mi trovo intorno! Insomma, non posso rimanere qui! Guarda! Mi sono struccata! Mi
sono tolta il costume! La faccia vera sotto, non c’è ancora! Me la farò da sola, con lacrime vere e
risate. Rughe . Di quelle che spaccano il viso come una carta geografica. E il paesaggio, che è il
mio, mi renderà riconoscibile. Nessuno saprà nemmeno come vivo, né cosa faccio.[…]. Non porto
via nulla! soltanto quel poco che resta ad una donna derubata da tutti i suoi averi. Non mi aspetto
miracoli! Non voglio che nessuno migliori! Non c’è nulla da migliorare. Non sto rompendo nulla.
Non c’è nulla da rompere, perché non c’è niente di unito. Tirate giù il sipario, mi tolgo il costume
e lascio questa scena decorosa, che mi ha visto ballare E recitare, senza nessun decoro! E questo
mio andarmene varrebbe il mio restare, se non fosse che bisogna pure tentare di essere una creatura
umana, soltanto una donna! Soltanto una donna! Io, almeno, speravo di diventarlo. Perché non
sopporterei di vedere altri strappi spaventosi nella coperta matrimoniale! Strappi che si aprono
giorno per giorno, da guardare! Come una schiava colpevole, la fronte poggiata contro i vetri, no!
Le lacrime nascoste sotto il cuscino, no…No! E io, che già da tanto mi sono strappata via di qui!
Me ne vado! prima di marcire. E adesso mi accorgo che nemmeno ne soffro! No! 11
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L’ultimo spettacolo di Nora Helmer, Il teatro nello spazio televisivo, scena finale.