The Lab`s Quarterly Il Trimestrale del Laboratorio

The Lab’s Quarterly
Il Trimestrale del Laboratorio
2010 / n. 4 / settembre-dicembre
Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
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ISSN 2035-5548
© Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
The Lab’s Quarterly
Il Trimestrale del Laboratorio
2010 / n. 4 / settembre-dicembre
SOCIOLOGIA DELLA CULTURA
Fiorenza Ratti
Itinerari della ricerca di sé
Anton Reiser di Karl Philipp Moritz
3
SOCIOBIOLOGIA
Andrea Tommei
L’evoluzionismo morale di Frans De Waal.
Un nuovo modello della sociogiologia
27
SOCIOLOGIA POLITICA
Dalia Galeotti
Governance.
Una prospettiva critica
58
CONFRONTI
Aleksandra Binaj
La condizione femminile in Albania.
Storia, istituzioni e società
100
Odile Hourcade
El accionar de los gobiernos subestatales en escenario
internacional y la cooperación descentralizada como
producto del mismo
148
Lo spirito sociologico di Calvino.
Nota su Italo Calvino. La realtà dell’immaginazione e le
ambivalenze del moderno di Elena Gremigni
166
RECENSIONI
Marco Trainito
Laboratorio di Ricerca Sociale
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università di Pisa
RECENSIONI
LO SPIRITO SOCIOLOGICO DI CALVINO.
NOTA SU ITALO CALVINO. LA REALTÀ DELL'IMMAGINAZIONE
AMBIVALENZE DEL MODERNO DI ELENA GREMIGNI
E LE
di Marco Trainito
Nel suo Diario americano 1960, uscito tra
il novembre del 1961 e il febbraio del 1962
sui numeri 53 e 54 di «Nuovi Argomenti»,
Italo Calvino inserì una breve sezione
intitolata "La sociologia e il calderone", che
recita così: «M'accorgo che più sto qui e
più ogni discorso generale diventa difficile.
Giro, osservo, ascolto, scrivo, e sento
sempre di più l'insoddisfazione di chi
azzarda approssimazioni su approssimazioni... Ormai, non resta che dare la parola
ai sociologi, ai freddi raccoglitori di dati.
Basta un breve soggiorno in America per
rendersi conto del perché questo è il paese
delle inchieste sociologiche, dei sondaggi
Doxa, delle ricerche di mercato. Nessuna
forma di conoscenza e di previsione pare possibile, di fronte a un
mondo umano così cangiante, se non basata su una dettagliata
accumulazione di dati, su scandagli statistici minuziosi, sempre più
minuziosi, fino ad annegare in un mare di cifre e risposte e notizie che
non si possono più mettere insieme, che non significano più nulla...».
È con un rinvio a questo passo che Elena Gremigni, docente
livornese di Storia e Filosofia nei licei e di Sociologia dei Beni culturali
all'Università di Pisa, apre l'introduzione del suo agile e rigoroso saggio
Italo Calvino. La realtà dell'immaginazione e le ambivalenze del
moderno (Le Lettere, Firenze, marzo 2011, 120 pp.). Poiché il saggio
mira a illustrare l'"autentico spirito sociologico" (p. 98) che informa
l'opera del grande scrittore e intellettuale italiano, ci si potrebbe chiedere
come sia possibile una simile operazione esegetica, dato che, come
visto, Calvino sembrava nutrire delle perplessità epistemologiche sui
metodi d'indagine della sociologia empirica. L'analisi di Elena Gremigni
Marco Trainito
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risponde a questa domanda sviluppando le implicazioni ermeneutiche di
due dati di fondo, costituiti 1) dal fatto che nella sua opera, tanto in
quella saggistica quanto in quella letteraria, Calvino si sia dimostrato un
acuto osservatore delle strutture e delle dinamiche sociali dell'Occidente
del secondo dopoguerra in generale e dell'Italia dell'ambiguo boom
economico in particolare; e 2) dal fatto che uno dei più influenti
sociologi contemporanei, Zygmunt Bauman, abbia più volte
riconosciuto un debito intellettuale enorme nei confronti di Calvino, al
punto da dichiarare, in un'intervista apparsa il 13 ottobre 2002 sul
«Corriere della sera» e intitolata significativamente "Bauman: devo tutto
a Gramsci e Calvino": «Italo Calvino (...) è il più grande filosofo tra i
narratori e il maggior narratore tra i filosofi. Il suo Le città invisibili è il
miglior testo di sociologia mai scritto». Sulla base di queste premesse,
Elena Gremigni può così sintetizzare nella conclusione lo schema
interpretativo seguito nella sua originale ricognizione critica: «Le
interviste, gli articoli e i saggi scritti da Calvino rendono esplicita la sua
attenzione nei confronti della società e delle dinamiche che la
caratterizzano, ma soprattutto consentono di effettuare in modo non
arbitrario un secondo livello di lettura in chiave sociologica dei suoi
testi narrativi» (p. 102).
Questa ipotesi esegetica spiega la stessa articolazione del saggio,
che, delimitato da una introduzione e una conclusione sintetiche e
particolarmente chiare ed efficaci, si compone di tre capitoli, ciascuno
dei quali è suddiviso a sua volta in tre paragrafi, ciò che conferisce
eleganza ed equilibrio al movimento rapido e preciso dell'analisi e
dell'argomentazione.
Nel primo capitolo, "Dalla prassi alla teoria", Elena Gremigni
mostra come l'esperienza partigiana abbia costituito per il giovane
Calvino il terreno di coltura per lo sviluppo da un lato di una sensibilità
che privilegia la sfera della collettività e della condivisione rispetto a
quella dell'individualità e dell'egoismo, e dall'altro di un interesse
sociologico-speculativo sempre crescente per i sistemi complessi e la
modellizzazione delle loro dinamiche strutturali; offre un quadro della
situazione degli studi sociologici in Italia nel secondo dopoguerra,
sottolineando come questi si muovano fondamentalmente tra l'approccio
positivista classico e quello, prevalente, di stampo marxista; e infine
illustra l'amore difficile tra Calvino e il Partito comunista italiano tra la
fine della guerra e gli anni successivi ai fatti di Budapest, mettendo
soprattutto in luce come l'ortodossia zdanovista del partito, in cui ogni
discorso artistico è subordinato a superiori esigenze politiche, appaia sin
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da subito troppo gretta a una mente inquieta e aperta al pensiero
complesso e plurale come quella di Calvino.
Nel secondo capitolo, "Uno sguardo sociologico sui fenomeni
culturali", la produzione saggistica di Calvino è esplorata alla luce
dell'idea che lo scrittore abbia fornito riflessioni interessanti su questioni
oggi oggetto di studi sociologici precisi come i rapporti tra letteratura,
cinema e televisione da un lato e società dall'altro. Intervenendo nel
dibattito sul grande cinema italiano del dopoguerra, e in particolare su
tre capolavori usciti nel 1960 (Rocco e i suoi fratelli di Visconti, La
dolce vita di Fellini e L'avventura di Antonioni), Calvino mostra
notevole indipendenza nei confronti degli schemi ideologici rigidi della
critica marxista dominante, anticipando quella vera e propria rottura
epistemologica che consisterà nel considerare il cinema come una
modalità di espressione artistica dotata di un proprio linguaggio
specifico e irriducibile ai canoni tradizionali dell'estetica letteraria. A
proposito della televisione, il soggiorno negli Stati Uniti tra il 1959 e il
1960 consente a Calvino di osservare i prodromi di un mutamento
epocale nei costumi sociali e culturali indotto dalla televisione, la quale,
pur veicolando molto cinema, tende a tenere le famiglie isolate e lontane
da spazi pubblici di condivisione collettiva di esperienze culturali come
le sale cinematografiche, e inoltre promuove una modalità di fruizione
passiva che si pone in netto contrasto con quella richiesta dalla lettura,
con conseguenze sulle strutture cognitive degli individui che oggi si
manifestano in tutta la loro drammaticità sul piano non solo sociopsicologico ma anche politico. L'esigenza della ricostruzione di un
tessuto culturale nazionale dopo lo sfacelo provocato dal Fascismo e
dalla guerra, il lavoro di ricerca culminato con la pubblicazione delle
Fiabe italiane e la collaborazione intellettuale ed editoriale con Elio
Vittorini, che con la sua "intransigenza etica" lo segna profondamente,
contribuiscono a creare in Calvino la convinzione che la letteratura sia
uno degli strumenti di cui una società si dota per comunicare e
socializzare il proprio mondo culturale e la sua tradizione. In tal senso lo
scrittore ha il compito di orientare l'attenzione non su se stesso e la sua
soggettività, ma sul mare dell'oggettività, facendosi per gli altri veicolo
magari ludico e ironico di cultura, esperienze, letture, vita, e facendo
parlare ciò che non ha parola, persino, se fosse possibile - come dirà alla
fine delle Lezioni americane pervenuteci - «l'uccello che si posa sulla
grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il
cemento, la plastica».
Il terzo capitolo, "L'analisi della modernità: democrazia, città e
consumi", fa tesoro delle premesse ermeneutiche offerte dai capitoli
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precedenti e offre una rilettura in chiave sociologica di tre opere
narrative di Calvino: La giornata d'uno scrutatore (1963), Marcovaldo
(1963) e Le città invisibili (1972). E così la "città nella città" del
Cottolengo di Torino diventa nelle riflessioni di Amerigo Ormea, chiaro
alter ego di Calvino, metafora sia dell'involuzione burocratica e
alienante della civiltà democratica, con lo sfruttamento cinico dei
moribondi, dei disabili e dei malati di mente a fini elettoralistici da parte
del partito di Governo (la Democrazia Cristiana), sia della possibilità di
un riscatto attraverso la collaborazione e la solidarietà tra bisognosi ed
emarginati, che costituiscono l'essenza stessa della vita democratica
della polis. Episodi come Luna e Gnac e Marcovaldo al supermarket
offrono in chiave ironica e comica una esemplificazione delle acute
riflessioni di Calvino sull'onnipotenza della nascente civiltà della
pubblicità e dei consumi, e anticipano l'incubo omologante dell'universo
concentrazionario dei centri commerciali, che troverà ne La caverna
(2000) di José Saramago forse la sua più icastica rappresentazione
contemporanea. Mentre città invisibili come Cloe, Cecilia, Pentesilea,
Trude e Leonia (su quest'ultima si è concentrato in particolare Bauman
in Amore liquido e Consumo, dunque sono) costituiscono delle vere e
proprie visioni apocalittiche idealtipiche delle trasformazioni in atto
nelle città contemporanee, che diventano sempre di più spazi continui,
omologati, ricorsivi, e pertanto invisibili a invivibili per gli individui,
condannati a quell'isolamento nella folla già descritto da Friedrich
Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra del 1845
(che Calvino, come documenta Elena Gremigni, aveva ben presente
all'epoca della stesura de Le città invisibili).
Si comprende, pertanto, come Calvino sia riuscito ad anticipare
alcune delle categorie concettuali più influenti della successiva
sociologia della globalizzazione, come quella di "surmodernità" di Marc
Augé e quella di "modernità liquida" di Bauman, fornendo delle potenti
immagini metaforiche (il Cottolengo di Amerigo, il supermarket e lo
spazio urbano di Marcovaldo, le città invisibili) in grado di fungere da
veri e propri strumenti euristici per i sociologi di oggi. Ed Elena
Gremigni può giustamente concludere lamentando il fatto che in Italia
manchi ancora un approccio di questo tipo all'opera di Calvino, «mentre
altrove sociologi come Zygmunt Bauman e Howard S. Becker tributano
il loro omaggio allo scrittore italiano attraverso acute analisi dei suoi
testi. Questi importanti approfondimenti critici dimostrano che la lettura
delle opere di Italo Calvino può arricchire in modo notevole la
formazione dei sociologi» (p. 102).
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The Lab’s Quarterly, 4, 2010
Vale la pena allora chiudere ridando la parola a Calvino e
proponendo un passo tratto dalla versione italiana di una conferenza
sulle Città invisibili tenuta in inglese dallo scrittore il 29 marzo 1983 a
New York davanti agli studenti della Graduate Writing Division della
Columbia University, poi stampata come Presentazione nella riedizione
Oscar Mondadori 1993 dell'opera (il passo non è citato nel saggio di
Elena Gremigni, ma costituisce un sostegno ulteriore a favore sia della
plausibilità del suo approccio critico sia dell'entusiastico giudizio di
Bauman riportato sopra): «Credo che non sia solo un'idea atemporale di
città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora
esplicita, una discussione sulla città moderna. Da qualche amico
urbanista sento che il libro tocca vari punti della loro problematica, e
non è un caso perché il retroterra è lo stesso. E non è solo verso la fine
che la metropoli dei "big numbers" compare nel mio libro; anche ciò
che sembra evocazione d'una città arcaica ha senso solo in quanto
pensato e scritto con la città di oggi sotto gli occhi. Che cosa è oggi la
città, per noi? Penso d'aver scritto qualcosa come un ultimo poema
d'amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile
viverle come città. Forse stiamo avvicinandoci a un momento di crisi
della vita urbana, e Le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore
delle città invivibili».