3. I CONTESTI In questo capitolo si presenta, in forma sinteti­ ca, il risultato dell’analisi di otto complessi ar­ chitettonici di tipo ecclesiastico, che costituisco­ no gli esempi più rilevanti dell’architettura alto­ medievale di Lucca e del suo territorio (Fig. 2, 3). Lo studio di questi edifici è stato condotto con criteri archeologici, prendendo come punto di partenza l’analisi delle stratigrafie edilizie. Nel­ le schede dei singoli edifici si presentano, infat­ ti, delle letture, o in alcuni casi, delle riletture, delle sequenze costruttive, includendo un breve apparato critico. Si è rivolta una particolare at­ tenzione allo studio delle tecniche e dei materia­ li costruttivi, come elemento caratterizzante dei modi del costruire. Uno dei maggiori problemi che presenta lo stu­ dio di questi edifici è quello della loro cronolo­ gia. L’assenza di indicatori cronologici adatti per l’analisi degli edifici altomedievali, e la preca­ rietà degli studi territoriali relativi ai modi di costruire, costituiscono dei limiti, talvolta, in­ sormontabili. È vero che Lucca dispone di un registro di documentazione d’archivio eccezio­ nale, soprattutto a partire della fine del VII se­ colo, ma non sempre è possibile determinare con sicurezza il rapporto tra la fonte indiretta e il documento archeologico. Per questo motivo diversi di questi edifici non erano stati ancora oggetto di studi adeguati. La prima fase di questa ricerca è stata quindi la ri­ cognizione e l’analisi puntuale ed esauriente delle strutture lucchesi più rilevanti, appartenenti al periodo compreso tra il V e l’XI secolo. Il risul­ tato di questi studi, condotti negli anni 1997­ 2001, è stato in primo luogo l’identificazione cronologica di una serie di strutture, che hanno fornito indicazioni utili per lo studio dei modi di costruire nell’altomedioevo. In particolare, le sequenze stratigrafiche della chiesa dei Santi Gio­ vanni e Reparata di Lucca, della Badia di Cantignano, e delle strutture rinvenute nel cor­ so di scavi sistematici realizzati in città e nel ter­ ritorio, hanno permesso di individuare indica­ tori cronologici, utilizzati poi nello studio degli altri edifici. Non sono stati presi in considerazione in questa parte dello studio altri contesti che, già sottopo­ sti a studi specifici in altre sedi, saranno analiz­ zati nei capitoli seguenti 1. Prima di affrontare i singoli contesti, si è, inol­ tre, ritenuto opportuno presentare una breve revisione degli scavi urbani, realizzati negli ulti­ mi anni nella città di Lucca, che forniscono in­ dicazioni di grande utilità per interpretare i ri­ sultati delle analisi realizzate sulle strutture in elevato, e che costituiscono in molti casi con­ fronti con edifici non ecclesiastici. 3.1. ARCHEOLOGIA URBANA A LUCCA L’importante attività di salvaguardia del patri­ monio archeologico, condotta negli ultimi due decenni da parte della Soprintendenza Archeo­ logica della Toscana a Lucca, ha permesso di re­ cuperare una notevole quantità di informazioni riguardanti la storia della città. In questo paragrafo si presentano, brevemente, gli aspetti costruttivi relativi agli edifici tardoro­ mani e altomedievali rinvenuti nel corso degli interventi finora editi (CIAMPOLTRINI , NOTINI 1990; CIAMPOLTRINI 1992a; CIAMPOLTRINI et alii 1994; CIAMPOLTRINI 1994). Le indagini archeo­ logiche hanno evidenziato essenzialmente strut­ ture d’abitazione, anche se nelle stratigrafie con­ siderate sono frequenti le sepolture. I vari interventi realizzati a Lucca offrono una serie di informazioni relative ai modi di costrui­ re in età romana, che mostrano l’esistenza di complesse strutture produttive. Le principali evidenze del periodo tardorepub­ blicano sono rappresentate dal massiccio impie­ go di grandi conci di travertino, importati a Luc­ ca probabilmente dall’area laziale (p. 122). Que­ sto materiale e questa tecnica costruttiva sono presenti, comunque, anche in edifici religiosi e civili dello stesso periodo, come quelli indivi­ duati in Via Vittorio Veneto e in Via del Poggio (CIAMPOLTRINI 1992c, p. 47, n. 15), per un pe­ riodo che sembra piuttosto limitato, anche se dal­ la tarda età imperiale il reimpiego di questi con­ ci sarà costante. Gli edifici di età imperiale messi in luce in diver­ si scavi, dimostrano che in questo periodo si fa ricorso ad una serie di tecniche costruttive che presuppongono l’esistenza di una struttura pro­ duttiva piuttosto complessa. A. Carandini iden­ tifica questa struttura produttiva con il modello di “manifattura urbana schiavistica”, che domi­ na il centro Italia nel periodo compreso tra il II secolo a.C. e il II secolo d.C. (CARANDINI 1981, p. 256). Il ricorso all’opera cementizia e a cicli produttivi complessi, basati nella produzione in ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 1 serie, sono caratteristici dell’architettura di que­ sto periodo (CARANDINI 1988, pp. 294-298). Per quanto riguarda l’ambito lucchese, testimo­ niano questo tipo di struttura produttiva la fab­ bricazione massiccia di materiali realizzati in se­ rie e l’impiego dell’opera cementizia negli edifi­ ci pubblici come il teatro e l’anfiteatro. L’impianto di fabbriche stabili di laterizi e la coltivazione sistematica delle cave, spiega inoltre il frequente ricorso al “pètit apparail” – costituito da bloc­ chetti di calcare provenienti dalle cave dei Mon­ ti Pisani –, che può considerarsi come la tecnica più rappresentativa di questi secoli, ampiamen­ te documentata in edifici civili e domestici, rin­ venuti in città (MENCACCI, ZECCHINI 1982; CIAMPOLTRINI 1992c, p. 43). Queste tecniche si dif­ fondono nell’area norditalica tra i secoli I a.C. e I d.C. in un contesto di standardizzazione della produzione (LAMBOGLIA 1958, pp. 158-170; TORELLI 1980, pp. 152-153), anche se hanno avuto una diversa diffusione nei singoli territori 2. La produzione di mattoni da costruzione, è pre­ sente a Lucca dal periodo tardorepubblicano, seguendo moduli documentati in area fiorenti­ na e pisana. Affianca queste tecniche un altro tipo di appa­ recchiatura, realizzata con ciottoli fluviali e bozze di calcare marnoso, come quella documentata in Piazza San Frediano (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990), e nello scantinato dell’Ente Nazionale di Protezione dei Sordomuti (MENCACCI, ZECCHINI 1982, p. 71), che potrebbe far pensare all’esistenza di piccoli artigiani che convivono con al­ tre strutture produttive. Il registro archeologico lucchese indica un cam­ biamento significativo nei modi di costruire in età medioimperiale. A partire dal II secolo d.C. si verifica un brusco abbandono delle strutture produttive complesse, che hanno caratterizzato il rinnovamento urbanistico tardorepubblicano e altoimperiale e, insieme con l’adozione di cicli produttivi semplificati, si osserva una contrazione nel numero di strutture attribuibili a questo pe­ riodo. Tenendo conto delle difficoltà di individuare edi­ fici chiaramente attribuibili al periodo di crisi medioimperiale, gli scavi realizzati in città evi­ denziano, dal IV secolo, una nuova intensa atti­ vità edilizia e di ristrutturazione urbanistica. Un esempio è rappresentato dalle strutture rin­ venute nella cantina di Via Streghi, all’angolo con Via Fillungo, databili tra i secoli IV e V. Si tratta di una struttura realizzata con materiali reimpiegati di età repubblicana e altoimperia­ le. Secondo gli archeologi, l’edificio è stato re­ alizzato su un basamento composto da fram­ menti di blocchi di travertino, provenienti dal­ le mura repubblicane, ciottoli fluviali e fram­ menti laterizi, legati da abbondante malta bian­ ca. L’alzato è invece costruito con filari irrego­ lari di blocchetti lapidei alternati a frammenti laterizi (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990). Troviamo tecniche costruttive simili nei contesti di Palazzo Boccella (CIAMPOLTRINI et alii 1994, pp. 606-608) o in quelli di Palazzo Bernardi (CIAMPOLTRINI et alii 1994, p. 608), in cui il ma­ teriale reimpiegato da strutture anteriori, è le­ gato con buona malta di colore bianco, mista a sabbia fluviale grossolana, e l’apparecchiatura è quella dell’opera incerta. Se al momento è stato possibile identificare con sicurezza strutture appartenenti ai secoli IV e V, gli scavi hanno registrato una notevole difficoltà nell’individuare strutture non sepolcrali attribui­ bili alla prima età longobarda, escludendo le tracce e le strutture rinvenute in edifici ecclesiastici. Appartengono, infatti, a questa fase essenzial­ mente le fosse e le buche ritrovate in Via Buia (1990, p. 567), le trincee di spoliazione in Via San Pierino, ancora inedite, e diverse tombe con­ centrate in Via Fillungo e Via Sant’Anastasio, che reimpiegano materiale romano. Soltanto nel Palazzo Lippi, ubicato in Via Sant’Anastasio, sono state rinvenute strutture, rea­ lizzate in materiale deperibile, che si possono datare dopo il VI e prima del X-XI secolo. An­ che se non è stato possibile determinare le carat­ teristiche di queste costruzioni, è stata identifi­ cata una palizzata immersa in una buca riempita con materiali di età romana (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, p. 571). I secoli centrali dell’altomedioevo sembrano quindi costituire un momento di ridefinizione dei modi di costruire, quando, apparentemente, compaiono soltanto strutture realizzate in ma­ teriali deperibili. Per quanto riguarda la fase finale dell’età longo­ barda, le fonti scritte – conservate negli archivi lucchesi – mostrano l’esistenza di un’intensa at­ tività edilizia, che è costituita soprattutto dalla costruzione di edifici di culto (BELLI B ARSALI 1973). I documenti trovano però pochi confronti nelle evidenze archeologiche, che anche per que­ sta fase si presentano scarse e di difficile inter­ pretazione. Finora le uniche strutture individuate di questo periodo, sono quelle dell’area dell’Ospedale Gal­ li Tassi, dove esisteva la chiesa di Santa Giustina. La chiesa e il relativo monastero, intitolati in origine a San Salvatore in Bresciano, furono fon- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 2 dati intorno all’anno 783 dal Duca Allone (774­ 785), ma con il tempo prevalse il titolo di Santa Giustina (BELLI BARSALI 1973, p. 531). Gli scavi condotti sotto gli edifici dell’ex ospe­ dale evidenziano come, dopo l’abbandono di strutture in età medioimperiale, l’area è rioccu­ pata tra il VI e il VII secolo da alcune strutture non ben identificate. Sembrano appartenere alla fondazione di età carolingia le murature 372, 406 e 403 realizzate con materiali di recupero roma­ no (blocchetti calcarei, laterizi, scaglie lapidee, un frammento di colonna) e ciottoli fluviali selezio­ nati, legati con una malta grigiastra e disposti in modo irregolare, seconda una tecnica “da mura­ tore” (CIAMPOLTRINI et alii 1994, pp. 597-605). Dal periodo carolingio e per tutto il X secolo, le fonti non riportano notizie di nuove fondazioni ecclesiastiche. Per questo motivo si è parlato della crisi del periodo carolingio, segnato non sola­ mente dalla scomparsa dell’attività costruttiva ecclesiastica, ma anche dalla fine della scultura decorativa, ben attestata per i secoli precedenti. Secondo G. Ciampoltrini, queste testimonianze scultoree sono, infatti, le uniche rimaste dell’intensa attività edilizia tardolongobarda. Si osserva, in effetti, a partire dalla seconda metà del X secolo un aumento dell’attività edilizia, con l’infittirsi del centro abitato (BELLI BARSALI 1973), mentre resta evidente la mancanza di strutture relative ai secoli VIII-X. Questo vuoto archeologico è causato, secondo gli autori che si sono occupati di questo periodo, proprio dall’importante attività edilizia che caratterizza la seconda metà del X e l’XI secolo, e che costitu­ isce un importante fattore di distruzione e alte­ razione delle stratigrafie precedenti. Gli scavi condotti in città hanno, inoltre, evidenziato, nei secoli XI e XII, un importante rialzamento del livello di calpestio, che ha interessato in modo particolare il settore centrale. Questi innalzamen­ ti, che in alcuni punti hanno superato i 150 cm., non sono comunque omogenei in tutti i siti in­ dagati (CIAMPOLTRINI 1992a, pp. 725-726). Le nuove costruzioni, che rientrano nel cosid­ detto rinnovamento “protoromanico”, si carat­ terizzano per l’impiego di tecniche costruttive realizzate con ciottoli di arenaria ben seleziona­ ti, provenienti dal letto del Serchio, disposti ac­ curatamente a spina di pesce o in filari orizzon­ tali. Si utilizzano occasionalmente anche delle bozze di calcare alternate con i ciottoli. Un caso rilevante è rappresentato dalla già se­ gnalata chiesa di Santa Giustina. L’edificio fu rico­ struito nel corso della prima metà dell’XI secolo, con materiale reimpiegato laterizio e lapideo di età romana, insieme a ciottoli fluviali, eterogenei per litologia e dimensioni, legati con abbondante malta tenace (CIAMPOLTRINI 1992a, p. 717). In altri edifici, come a Palazzo Lippi, si è potuto osservare come i ciottoli siano stati disposti a spina di pesce, in filari molto accurati, alternati con corsi di bozze regolari, legati con buona cal­ ce di malta (CIAMPOLTRINI 1992a, pp. 707-710; CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, pp. 571-573). Secon­ do G. Ciampoltrini, è possibile pensare che ci sia un’evoluzione tra le due apparecchiature, collocando la prima intorno agli inizi dell’XI secolo, e l’altra nella seconda metà (CIAMPOLTRINI 1992a, p. 725). Oltre al tipo di apparecchiatura, si osservano variazioni significative nei modi con cui si co­ struiscono queste strutture realizzate con ciot­ toli selezionati, come il legante utilizzato. Nel caso della Corte dell’Angelo, ad esempio, le murature della prima fase sono realizzate con ciottoli disposti in filari orizzontali, legati con malta bianca e con il nucleo non configurato. In un secondo momento si ricorre ad una tecnica costruttiva realizzata sempre in ciottoli, ma le­ gati in quest’occasione con argilla (CIAMPOLTRINI 1992a, pp. 701-707). L’impiego dell’argilla come legante si ritrova anche nelle murature documen­ tate in Piazza San Frediano, dove si alternano i ciottoli con bozze di calcare. Resta, tuttavia, il problema della lunga durata di questa tecnica costruttiva basata nello sfrutta­ mento sistematico dei ciottoli del Serchio. Non bisogna dimenticare che sono state messe in luce strutture di età romana che fanno ricorso a que­ sto tipo di materiale, ma è a partire dall’VIII se­ colo che questa tecnica diventerà dominante. L’attestazione di questa tecnica in edifici come ad esempio la chiesa di San Giovanni e Santa Re­ parata, Santa Giustina, San Martino in Ducento­ la, e in strutture civili, datate in modo generico nell’altomedioevo (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, p. 564), fa, infatti, pensare ad un suo sistematico uso a partire dall’età tardolongobarda. In sintesi, i dati disponibili provenienti dall’attività dell’archeologia urbana sono ancora fram­ mentari, anche se permettono di identificare al­ cune tendenze essenziali nell’evoluzione dei modi di costruire e nelle strutture produttive artigia­ nali. Se nel periodo tardorepubblicano e altoim­ periale si ritrova la presenza di cicli produttivi complessi e di forme d’organizzazione artigia­ nale molto articolate, dall’età medioimperiale si produce una profonda ristrutturazione e sem­ plificazione delle tecniche costruttive, dominate dall’attività del muratore che reimpiega sistema- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 3 ticamente materiali di spoglio. Queste tecniche costruttive sono in uso ancora nel V-VI secolo, quando apparentemente si produce una cesura, con la comparsa di alcune delle poche strutture, realizzate esclusivamente in materiali deperibili. Soltanto a partire dall’VIII secolo si osserva la comparsa di nuovi modi di costruire, associati in quest’occasione alle tecniche “da muratore”, che adoperano, oltre al materiale di reimpiego, ciottoli raccolti e selezionati del fiume Serchio. 3.2. SANTI GIOVANNI E REPARATA (LUCCA) 3.2.1. Premessa 3 Il complesso formato dalla chiesa dei Santi Gio­ vanni e Reparata e dal battistero annesso è uno degli esempi più rilevanti nell’area da noi studia­ ta, in quanto la sua lunga diacronia e le strutture attualmente in vista permettono di considerarlo come uno dei principali archivi archeologici di­ sponibili per lo studio dei modi di costruire nel periodo tardoantico, altomedievale e medievale. Nonostante l’edificio sia stato già indagato in modo estensivo con un approccio ancora non stra­ tigrafico nel corso degli anni 60-70, e studiato in seguito da altri ricercatori, si è ritenuto opportu­ no realizzare una rilettura accurata della sequen­ za d’occupazione di tutto il complesso. In parti­ colare, la nostra attenzione si è rivolta al chiari­ mento di alcuni aspetti relativi alla stratigrafia costruttiva, all’analisi delle tecniche murarie e all’organizzazione dei cantieri. La rilevanza dei re­ sti conservati ci ha spinto ad affrontare il sempre difficile compito della revisione della sequenza di un edificio indagato senza criteri stratigrafici. La chiesa dei Santi Giovanni e Reparata di Lucca è ubicata nel settore sudovest della città romana, all’interno del recinto murario tardorepubblica­ no (Fig. 1). L’edificio, situato a ridosso delle mura, in una zona nevralgica della città tardoantica e altomedievale, è stato considerato da numerosi studiosi, almeno dal XVIII secolo, come la prima cattedrale della città (BELLI BARSALI 1973, p. 525; 1978, p. 77). Secondo diversi autori, infatti, l’area episcopale si sarebbe consolidata presso le mura urbiche, in posizione marginale rispetto all’area del foro, più centrale, secondo una tendenza ben radicata in Toscana e altrove. Tuttavia, un recen­ te contributo ha messo in discussione questa at­ tribuzione, individuando la prima sede episcopa­ le lucchese presso la scomparsa chiesa di San Pie­ tro Maggiore (BURATTINI 1996). Soltanto nei se­ coli VII-VIII sarebbe avvenuta la definitiva trasla­ zione della dignità episcopale a San Martino, si­ tuata nei pressi della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata. Questa proposta interpretativa si basa, tra gli altri argomenti, sull’assenza di una catte­ dra episcopale nella chiesa di San Giovanni e nel­ la sua presenza, invece, nel vicino battistero (BURATTINI 1996, p. 74). Tuttavia, come si vedrà in seguito, i resti e le vicende plurisecolari che con­ serva la stratigrafia di questo edificio non permet­ tono di sostenere in modo definitivo l’assenza o la presenza di una cattedra 4. Per quanto riguarda la documentazione storica, la chiesa compare per la prima volta nelle per­ gamene lucchesi nell’anno 754 come chiesa di Santa Reparata. Soltanto nel IX secolo la chiesa sarà detta di San Giovanni Battista, e nel X se­ colo dei Santi Giovanni Battista e Reparata di Lucca (BELLI BARSALI 1973, pp. 525-526). L’interesse storico e archeologico per questo com­ plesso ecclesiastico non è recente, ma risale al XVIII secolo. Agli inizi di questo secolo, precisa­ mente nell’anno 1714, furono realizzati dei saggi sotto l’altare maggiore destinati a ritrovare le spo­ glie di Santa Reparata, che la tradizione voleva sepolta in questa zona della chiesa. Lo scavo mise in luce, invece, un’urna con i resti di San Pantaleone e una parte della cripta altomedievale ancora conservata (PANI ERMINI 1992, pp. 61-63). I primi interventi di scavo sistematici furono condotti alla fine del XIX secolo in occasione dei restauri realizzati da Enrico Ridolfi nel Bat­ tistero, che portarono alla scoperta del fonte medievale. L’attività di scavo più importante è stata, però, realizzata negli anni 1969-1977. La chiesa dei Santi Giovanni e Reparata è stata oggetto di un’importante opera di restauro nel corso degli anni ’70 e ’80 che fu preceduta da uno scavo quasi integrale della chiesa. I lavori furono condotti senza controllo archeologico, e quindi molte in­ formazioni relative alla sequenza insediativa dell’area si persero irrimediabilmente 5. Grazie all’interesse e alla volontà dell’impresa che condusse i lavori per conto della Soprinten­ denza ai Monumenti e Gallerie di Pisa, fu, co­ munque, realizzato un “giornale di scavo”, at­ tualmente depositato presso l’archivio della sud­ detta Soprintendenza, che costituisce tuttora una fonte di grande importanza per la ricostruzione della sequenza d’occupazione dell’area. Da que­ sto importante documento, sappiamo che lo sca­ vo iniziò nell’abside e successivamente si estese in tutta la chiesa con saggi di diverse dimensio­ ni. Il giornale raccoglie dati relativi agli inter­ venti condotti tra il settembre del 1969 e il mar- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 4 zo 1971, anche se i lavori sono durati oltre que­ sta data. Lo scavo fu realizzato tramite tagli arti­ ficiali di 30 cm di profondità di media, e permi­ se di recuperare un numero rilevante di reperti (MAETZKE 1992, p. 187). In occasione della fine dei lavori e della riaper­ tura della chiesa agli inizi degli anni ’90, la So­ printendenza ai Beni Ambientali, Architettoni­ ci, Artistici e Storici per le provincie di Pisa, Li­ vorno, Lucca e Massa Carrara fece un improbo sforzo per sistematizzare i dati ottenuti nel cor­ so delle indagini, preparando una monografia con numerosi contributi specialistici sulla storia del monumento (PIANCASTELLI P OLITI N ENCINI 1992). In particolare, gli importanti contributi di G. Ciampoltrini relativi alle fasi romane, quel­ lo di L. Pani Ermini e i suoi collaboratori riguar­ danti le fasi altomedievali e quello di G. De Marinis sugli scavi del battistero, realizzati negli anni ’70 costituiscono dei punti di riferimento per la conoscenza del monumento, nella fase precedente la sua ricostruzione, avvenuta nel XII secolo. Ciononostante, molti problemi sono ri­ masti irrisolti, e nella stessa monografia si sotto­ lineava come fosse necessario completare que­ sta prima lettura con una ricerca «per una totale revisione dell’intero complesso archeologico e per la soluzione dei molti quesiti e problemi rimasti ad oggi insoluti» (PANI ERMINI 1992, p. 73, n. 1). In effetti, la rilettura dei resti conservati ha mo­ strato l’enorme complessità delle sequenze inse­ diative, e la grande ricchezza del monumento quale documento per l’analisi dell’architettura altomedievale lucchese. Le caratteristiche dell’edificio e le difficoltà esistenti nella lettura dei resti conservati non hanno, infatti, permesso di attribuire in modo definitivo tutte le strutture alla sequenza identificata. 3.2.2. Metodologia d’indagine La rilettura di un complesso architettonico ca­ rente dei collegamenti stratigrafici originari pone dei problemi rilevanti riguardo le strategie d’intervento e i metodi d’indagine, che si devono adattare in ogni caso alle caratteristiche dell’edificio e al livello raggiunto dagli studi nel territo­ rio nel quale è situato 6. Nel caso concreto della chiesa dei Santi Giovan­ ni e Reparata in Lucca, il principale obiettivo nell’indagine è stato quello di ottenere la mag­ gior quantità di elementi riguardanti le strutture della chiesa per ricostruire la cronologia relati­ va e analizzare l’evoluzione delle tecniche co­ struttive e le forme d’organizzazione dei cantie­ ri. Una volta persi i rapporti stratigrafici oriz­ zontali di continuità tra le strutture, gli unici ele­ menti di riferimento per stabilire una sequenza d’occupazione sono la sincronia esistente tra le strutture e i lembi di stratigrafia conservati e le sezione esposte. Per realizzare questo raffronto ci siamo serviti di diversi strumenti: 1. Studio dei rapporti stratigrafici tra strutture ancora conservate. Lo studio, anche parziale, delle murature perimetrali della chiesa e delle altre strutture, hanno mostrato una sequenza alquanto complessa e di difficile interpretazio­ ne. A questo proposito sono state numerate tut­ te le unità stratigrafiche individuate, poi raggrup­ pate in attività (Fig. 4). Questa lettura stratigra­ fica è stata articolata in due livelli d’approfondimento successivi: il primo realizzato sugli ele­ menti strutturali principali, si è esteso a tutte le murature dell’edificio; un secondo più partico­ lareggiato si è applicato sui settori chiave della sequenza, dopo aver realizzato una valutazione complessiva della potenzialità archeologica del­ la struttura. È importante sottolineare che molte strutture sono state messe in luce soltanto in modo parziale, poiché la maggior parte delle murature non sono state mai completamente pulite, sia nel corso del­ lo scavo, che negli studi condotti posteriormen­ te. Nell’ultima fase altomedievale (3.6) sono stati inoltre applicati intonaci di spessore piuttosto va­ riabile (2-8 cm), che hanno coperto una parte ri­ levante della sequenza precedente. Questo spiega come nelle prime ricerche condotte sull’edificio si affermasse che soltanto sulla fiancata setten­ trionale fossero presenti le strutture della chiesa tardoantica (DE ANGELIS 1992, pp. 22-23), quan­ do invece sono presenti anche su quella meridio­ nale, coperte però dall’intonaco. Seguendo questa strategia d’indagine è stato pos­ sibile applicare un’analisi microstratigrafica in settori che presentavano problemi particolari come intonaci o restauri e che, in questa fase dello studio si è limitata a casi molto specifici. Tuttavia questo approccio permette, proseguen­ do l’indagine, di approfondire e integrare l’analisi del complesso, configurandosi dunque come modello aperto ad ulteriori approfondimenti. Al momento la nostra attenzione si è incentrata essenzialmente nella sequenza situata sotto il pia­ no di quota della chiesa del XII secolo, ma senza rinunciare ad una prima lettura dell’elevato. Sono state, così, individuate circa 400 unità stratigra­ fiche, raggruppabili in un totale di 60 attività. ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 5 2. Tenendo presente questo punto di partenza, la maggior difficoltà nella lettura è stata quella di recuperare i rapporti di continuità, persi nel corso dello scavo, e di stabilire i rapporti indi­ retti tra le singole unità. Per realizzare questo processo si è ricorso anche alle seguenti strate­ gie d’intervento: 2.1. Una prima operazione realizzata è stata quella di pulire e analizzare le sezioni stratigrafiche risparmiate dagli sterri, che si sono mostrate di grande utilità per integrare la lettura delle mu­ rature. Nelle basi degli altari postmedievali e sotto alcune strutture sono rimasti esposti lembi di stratigrafia di oltre due metri di altezza, che coprono tutta la sequenza d’occupazione della chiesa e che finora non erano state prese in con­ siderazione. Complessivamente sono state lette 8 sezioni stratigrafiche (Fig. 5) situate principal­ mente nel presbiterio, nel transetto meridionale e nelle navate. In questo modo è stato possibile accertare come la stratigrafia sia molto più com­ plessa nell’area presbiteriale che nelle navate. Vanno prese con molta cautela anche le conclu­ sioni ottenute a partire dalle analogie basate sul­ le quote dei livelli pavimentali o sulle indicazio­ ni dei giornali di scavo, perché i pavimenti non erano orizzontali 7. 2.2. Un altro strumento, per stabilire le analogie tra le strutture, è stato quello di confrontare i diversi materiali e le tecniche costruttive impie­ gate, anche se in questo caso non è stato sempre possibile individuare degli elementi discriminanti precisi. Tuttavia, per facilitare questa analisi sono stati presi in considerazione anche altri edifici cronologicamente affini situati nel territorio luc­ chese. 3. Un aiuto fondamentale proviene infine dall’analisi delle malte. Sono stati considerati una cinquantina di campioni delle fasi precedenti la ricostruzione nel XII, da sottoporre ad ulteriori approfondimenti. La scelta dei campioni è stata realizzata dopo una prima lettura degli alzati, con lo scopo di chiarire i collegamenti esistenti tra strutture carenti di rapporti fisici e d’integrare attività stratigrafiche isolate. Diverse esperienze condotte su edifici con pro­ blemi di lettura stratigrafica simili a quello luc­ chese, oppure con sequenze molto complesse, come nella vicina cattedrale di San Martino (GIOVANNINI, MONTEVECCHI, PARENTI 1999), hanno di­ mostrato l’operatività e l’affidabilità di questo approccio conoscitivo. Nel caso della chiesa dei Santi Giovanni e Repa­ rata, l’analisi dei campioni è stata condotta da R. Ricci su microscopio stereoscopico in luce riflessa presso la Sezione di Mineralogia Appli­ cata all’Archeologia, dell’Università degli Studi di Genova. Come risultato di queste analisi, tut­ ti i campioni studiati sono stati ricondotti a un totale di otto gruppi che corrispondono ad al­ trettante fasi costruttive. Soltanto in un caso si è potuto accertare che in un’unica fase costruttiva fossero presenti due tipi di malte, probabilmen­ te legate alla presenza di diverse squadre di arti­ giani. 3.2.3. La sequenza d’occupazione La periodizzazione presentata in questa sede in modo molto sintetico non deve considerarsi de­ finitiva, poiché non sono stati compiuti ancora tutti gli accertamenti necessari per realizzare una lettura sistematica di tutto il complesso architet­ tonico (Fig. 6). È possibile tuttavia formulare una proposta abbastanza precisa per quel che riguar­ da la stratigrafia situata al di sotto del livello pavimentale del XII secolo (periodo 4). PERIODO 1: ETÀ ROMANA I resti costruttivi più antichi rinvenuti all’interno della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata risalgono al periodo romano, e sono stati messi in luce in modo parziale nel corso degli sterri condotti negli anni 70. La chiesa è stata costrui­ ta su una struttura abitativa di età repubblicana (fase 1.1), su cui è stato impiantato in età impe­ riale – agli inizi del II sec. d.C. – un edificio ter­ male, rimasto in uso fino alla costruzione del complesso ecclesiastico (fase 1.2). Queste strutture sono già state egregiamente stu­ diate da G. Ciampoltrini in occasione della pre­ parazione della monografia già menzionata (PIANCASTELLI 1992, pp. 191-196), e non sono stati scoperti nuovi elementi rispetto ai dati già presentati. Ai fini della nostra ricerca, occorre comunque soffermarci brevemente sulle tecni­ che costruttive impiegate nella realizzazione di questi impianti, ed in modo particolare nell’edificio imperiale, di cui sono ancora visibili alcu­ ne delle sue strutture in elevato (US 1381, 1116, 1432, 1433, 1435). Queste murature sono state realizzate, essenzial­ mente, con materiale di reimpiego (tegole e la­ terizi frammentari) e materiali litici sfogliati da cava insieme a ciottoli non selezionati. Questi materiali sono stati collocati in opera impiegan- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 6 do una malta bianca abbastanza tenace, e dispo­ sti “a strati”, senza formare corsi. Questa tecnica costruttiva, eseguita in opera in­ certa, è tipica delle costruzioni lucchesi realizza­ te a partire della crisi di età medioimperiale che si ritrova in tutta la città di Lucca, sia in edifici ecclesiastici che civili (pp.15-16). PERIODO 2: TARDOANTICO Il secondo periodo corrisponde alla costruzio­ ne della prima chiesa in età tardoantica. Le sue dimensioni sono in pratica identiche a quelle del XII secolo, e soltanto nell’area della faccia­ ta mancano le tracce del muro di chiusura. Strut­ turalmente questa fase edilizia è rimasta in uso fino alla ricostruzione della chiesa nel periodo 4, giacché gli interventi altomedievali non sono stati di tale entità da modificarne in modo ra­ dicale l’impianto, trattandosi soltanto di restau­ ri. Per quanto riguarda l’impianto dell’edificio ec­ clesiastico, esistono varie ipotesi, proposte da diversi autori. Per G. De Angelis d’Ossat siamo in presenza di un edificio a pianta a croce commissa, formata da un’unica navata con tran­ setto e unica abside, che rimanda a modelli co­ struttivi documentati nello stesso periodo nell’area padana, e in particolare si collega alla matrice ambrosiana (DE ANGELIS 1992, pp. 20­ 22). Per questo autore, i pilastri presenti all’interno della navata sarebbero da interpretare come basi di lampadari, carenti di funzione strut­ turale (DE ANGELIS 1992, pp. 41-46). L’edificio era dotato di un pavimento musivo e di una solea con la quale il presbiterio si prolungava nella navata centrale. Nella stessa monografia L. Pani Ermini contesta parzialmente queste conclusioni, sostenendo che i pilastri hanno avuto invece una funzione strut­ turale, dividendo l’aula in tre navate, anche se sono stati aggiunti in un momento successivo alla fondazione dell’edificio tardoantico (PANI ERMINI 1992, p. 49). G. Ciampoltrini sostiene infine, in una breve nota, come l’edificio sia stato fondato con un impianto a tre navate con pavimento musivo, seguendo una “classica” pianta basilicale con unica abside e solea, secondo i modelli degli edifici constantiniani di Roma. Si dovrebbe, quindi, ascrivere a un secondo momento la tra­ sformazione dell’impianto, quando acquista l’iconografia cruciforme e si aggiungono i pila­ stri centrali come basi di lampadari, e il pavi­ mento musivo è sostituito da un nuovo piano in calce rialzato di ca. 20 cm (CIAMPOLTRINI 1994, p. 617, n. 13). Entrambi gli interventi, vicini tra loro, potrebbero essere situati intor­ no alla metà del IV secolo ed entro la prima metà del V. L’analisi dei resti e delle sequenze conservate permette di ottenere delle indicazioni abbastan­ za precise sulla dinamica di fondazione di que­ sto edificio. Dai dati disponibili possiamo con­ cludere che siamo in presenza di un’unica attivi­ tà costruttiva omogenea che presenta una pian­ ta cruciforme con tre navate, abside unico e ampio transetto. L’analogia dei leganti presenti nella preparazione pavimentale del mosaico (rin­ venuto anche nelle sezioni esposte del transetto meridionale), con le murature della solea e dei pilastri della navata centrale e settentrionale, supportano questa conclusione. Inoltre, anche le caratteristiche dei materiali, delle tecniche costruttive e alcuni rapporti stratigrafici avvalo­ rano questa attribuzione. Sicuramente gli elementi costruttivi più evidenti relativi a questa fase costruttiva sono i ventidue pilastri ancora conservati nelle navate e nel pre­ sbiterio della chiesa (US 1103, 1105, 1107, 1110, 1112, 1115, 1349, 1339, 1136, 1133, 1122, 1119, 1207, 1212, 1241, 1225, 1226, 1230, 1338, 1351, 1237, 1239), che costituiscono il supporto strutturale dell’edificio (Fig. 7). La loro lettura e identificazione è relativamente sempli­ ce nella navata settentrionale, ma non altrettan­ to in quella meridionale, dove sono nascosti da uno spesso strato d’intonaco lisciato, o nella na­ vata centrale, in quanto riutilizzati nella fonda­ zione del XII secolo. Un aspetto importante che conferma ulterior­ mente il carattere strutturale di questi elementi costruttivi è che i pilastri perimetrali sono rea­ lizzati in laterizi, mentre quelli centrali, con ca­ rico strutturale, sono stati realizzati prevalente­ mente in conci di travertino. Inoltre, anche se sono disposti secondo una scansione non rego­ lare, le loro dimensioni risultano identiche (ca. 115 cm). Per quel che riguarda la tecnica edilizia, si può segnalare come questi pilastri siano stati realiz­ zati esclusivamente con materiali reimpiegati, legati con malta dura e giallastra, nella quale sono presenti grossi inclusi d’origine fluviale. Questo tipo di legante è caratteristico nelle costruzioni tardoantiche lucchesi (CIAMPOLTRINI 1994, p. 610). I laterizi impiegati nei pilastri sono rettangolari, detti provinciali, di circa 42×15×6 cm. Si pre­ sentano frequentemente rotti e disposti in un’ap- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 7 parecchiatura regolare con giunti ampi. Nei pi­ lastri della navata centrale sono stati invece im­ piegati grandi conci di travertino di dimensioni omogenee (60×60×120 cm ca.) tagliati e adat­ tati alla morfologia dei pilastri, provenienti dal­ le mura tardorepubblicane della città. Sappiamo che i conci delle mura hanno costituito una del­ le principali fonti di approvvigionamento dell’architettura tardoantica e altomedievale lucche­ se, ma soltanto recentemente è stato identifica­ to questo materiale come travertino, fino al momento considerato come un calcare caverno­ so (p. 122). Questi pilastri erano ricoperti da un intonaco bianco sporco, abbastanza spesso (2-4 cm), conservato soltanto in modo parziale. Non sappiamo come siano state realizzate le murature intercalate tra i pilastri perimetrali, giacché quelle esistenti appartengono ad un pe­ riodo successivo, appoggiandosi agli intonaci originali che ricoprivano i pilastri (come nel caso dell’US. 1106). Gli stessi conci di travertino sono stati anche impiegati nell’abside (US 1341) e nell’attacco con il transetto (US. 1355). I numerosi restauri alto­ medievali e, soprattutto, le fondazioni del XII secolo, hanno però compromesso la lettura dei paramenti perimetrali. Appartiene a questo periodo anche il pavimento musivo rinvenuto in più punti dell’edificio (US 1132, 1327, 1340, 1319, 1306, 1232) e realiz­ zato su una preparazione in calce compatta gial­ lastra (US 1314, 1361, 1395, 1405), poggiante su un riempimento costruttivo marrone e con resti di lavorazione (US 1393, 1242, 1201, 1218) che oblitera i livelli d’occupazione di età impe­ riale. Il mosaico è stato studiato in modo anali­ tico da G. De Angelis d’Ossat e datato tra la fine del IV e gli inizi del V secolo (DE ANGELIS 1992, pp. 30-41). Al centro della navata e lungo i laterali del pre­ sbiterio era presente una solea rialzata, conser­ vata soltanto in modo parziale (US 1325, 1327, 1330, 1350, 1439). La solea era delimitata da una muratura di 36 cm di spessore conservata per un’altezza massima di 30. È stata realizzata con scaglie litiche, laterizi reimpiegati e ciottoli allungati non selezionati disposti a “strati” irre­ golari. I materiali sono stati murati con ampi letti di malta giallastra poco tenace. Anche nel presbiterio erano presenti delle strut­ ture appartenenti a questo periodo (US 1341, 1344, 1345), realizzate con frammenti di late­ rizi romani, scisti sfaldati murati con una tec­ nica irregolare, senza formare corsi. Il piano del presbiterio è stato realizzato con lastre di marmo e con conci di travertino reimpiegato (Fig. 8). Per quanto riguarda la cronologia di questa fase costruttiva, è stata proposta una datazione en­ tro la fine del IV secolo o gli inizi del V basan­ dosi su aspetti tipologici o sulle caratteristiche del mosaico pavimentale (DE ANGELIS 1992, p. 40). G. Ciampoltrini (1990, p. 591, n. 34) ha precisato ulteriormente questa datazione, pro­ ponendo una cronologia teodosiana, oppure in­ torno alla metà del IV secolo (CIAMPOLTRINI 1994). PERIODO 3: ALTOMEDIEVALE Sicuramente gli elementi costruttivi relativi a questo periodo sono quelli che presentano mag­ gior difficoltà di lettura ed identificazione. Le caratteristiche delle tecniche costruttive impie­ gate e la perdita dei rapporti di contiguità han­ no condizionato in modo molto pesante l’interpretazione dei resti. Come risultato di queste deficienze, non tutte le unità stratigrafiche sono state attribuite ad una singola fase o attività edili­ zia. Soltanto in poche occasioni, inoltre, è stato possibile utilizzare degli indicatori cronologici per determinare una cronologia assoluta, e ci si è quin­ di limitati a stabilire una sequenza relativa. Tenendo presente questi limiti, sono state iden­ tificate sei fasi d’occupazione posteriori alla co­ struzione della chiesa tardoantica e anteriori al cantiere “romanico” del XII secolo. Fase 3.1. Tombe che tagliano il mosaico tardoantico Una prima fase d’occupazione è rappresentata da una serie limitata di tombe realizzate al livel­ lo del pavimento musivo del periodo 2 (Fig. 9). Il numero di sepolture rinvenute e che possono essere attribuite a questo momento è per ora li­ mitato (US 1140, 1233, 1369, 1361=1405), ma è molto probabile che appartengano ad un este­ so sepolcreto. Gli sconvolgimenti successivi, la difficoltà di collegare queste sepolture con il re­ sto della sequenza stratigrafica – come nel caso della serie delle diciassette tombe indagate nell’anno 1989 nel transetto meridionale e nella navata sud (FICHERA, MANCINELLI, STASOLLA 1992) – e l’assenza di corredi sono le ragioni principali che ci impediscono di determinare in quale oc­ casione siano state realizzate. È possibile defini­ re la loro collocazione nella stratigrafia, soltanto nel caso in cui tagliano il pavimento tardoantico o sono coperte dal riempimento costruttivo sul quale è stato realizzato il pavimento della fase 3.2. ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 8 Dai dati disponibili, che sono molto parziali, possiamo affermare che la chiesa non smise mai di funzionare come area cimiteriale privilegiata, e, probabilmente poco dopo la sua costruzione, il mosaico fu già alterato dall’inserimento di queste sepolture. Indagini archeologiche condot­ te nel Battistero (DE MARINIS 1992) e nel vicino Palazzo Bernardi fanno inoltre pensare all’esistenza di una vasta area sepolcrale altomedieva­ le, estesa anche all’esterno dell’edificio (CIAMPOLTRINI et alii 1994, p. 614). Per quanto riguarda la datazione di queste se­ polture, mancando indicatori cronologici più precisi, si può accogliere la proposta avanzata da più autori che indicano nel periodo compre­ so nei secoli V-VI il momento dal quale si co­ minciano a trovare aree cimiteriali all’interno del recinto murario, senza poter offrire maggiori precisazioni (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990; PANI ERMINI 1992, p. 52; DEGASPERI 1995), anche se secondo diversi autori prima della guerra gotica sono rare le sepolture all’interno del recinto ur­ bano (MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 1995). Fase 3.2. Prima attività edilizia altomedievale (VI-VII?) Questa fase corrisponde alla prima attività edili­ zia altomedievale che ha lasciato tracce costrut­ tive nella sequenza stratigrafica del periodo, an­ che se si tratta di resti esigui, e di difficile lettu­ ra. Le azioni costruttive di questa fase sono sta­ te, infatti, identificate esclusivamente nelle se­ zioni esposte e nei tratti di muratura che sono stati puliti e analizzati in modo esaustivo (Fig. 10). Possono essere riferibili a questa fase d’occupazione la costruzione d’alcune murature perime­ trali nelle navate, la collocazione di un nuovo livello pavimentale in calce e alcune trasforma­ zioni dell’area presbiteriale. Questa attribuzio­ ne è stata realizzata prendendo in considerazio­ ne le analogie esistenti tra le tecniche costrutti­ ve adoperate e le caratteristiche delle malte. Contro gli intonaci dei pilastri tardoantichi, sono stati addossati tratti di muratura realizzati con ciottoli non selezionati e materiali irregolari raccogliticci di piccole dimensioni, disposti sen­ za corsi e legati con abbondanti letti di malta. La malta è friabile giallastra, con ghiaia fine da fiume (US 1106, 1111). Tracce di un pavimento in calce sono state os­ servate, inoltre, nella navata (Fig. 11, US 1244, 1240), nel presbiterio (US 1396) e nel transetto sud (US 1407). È da riferire a questa fase anche un pavimento marmoreo, una sorta di opus sectile, rinvenuto in diversi settori del presbite­ rio (US1323). Sicuramente gli interventi più rilevanti sono do­ cumentati nello stesso presbiterio. Il piano pavi­ mentale esterno alla solea fu rialzato, raggiun­ gendo la sua stessa quota e coprendo il pavimento musivo del periodo 2 (US 1320, 1326, 1329), tramite la costruzione di una muratura realizza­ ta con una tecnica simile a quella descritta nelle navate. In questo caso sono stati utilizzati anche materiali di reimpiego, talvolta di notevoli di­ mensioni, disposti “a strati”, con frequenti zep­ pe di laterizi. In questa nuova sistemazione fu adottato un nuo­ vo assetto liturgico, non più ricostruibile, al quale appartengono una base di colonna ancora in situ (US 1321) e le strutture 1333 e 1347 che costi­ tuiscono la base per l’incastro delle lastre del nuovo recinto presbiteriale. È possibile che si possa collegare a questa trasformazione dell’area presbiteriale un frammento di lastra incisa con una croce gemmata, datata nel corso del VI se­ colo, che presenta confronti stretti con un altro esemplare che ricorda la costruzione di un alta­ re in tempi del vescovo San Frediano già presen­ te nel Duomo di San Martino (CIAMPOLTRINI 1992b, p. 44). Anche se non possiamo proporre una cronolo­ gia certa per quest’attività costruttiva, si può sug­ gerire come ipotesi che questi restauri e trasfor­ mazioni edilizie siano da vincolarsi all’intesa at­ tività costruttiva documentata a Lucca sotto il vescovo San Frediano. Tradizionalmente si è at­ tribuito all’azione di questo vescovo, attivo nel­ la città di Lucca nel corso del VI secolo, la fon­ dazione della seconda cattedrale urbana dedica­ ta a San Martino, la ricostruzione di altri edifici, oltre ad importanti interventi di bonifica nella pianura lucchese che hanno garantito la soprav­ vivenza della base agricola urbana. Fase 3.3. Tombe che tagliano i pavimenti altomedievali (VII secolo) Appartengono a questa fase delle tombe ricava­ te sui livelli pavimentali della fase precedente. In realtà sappiamo che la chiesa fu utilizzata come area sepolcrale durante tutto l’altomedioevo, ma soltanto in alcuni casi, come abbiamo visto, è possibile situare queste tombe all’interno della sequenza stratigrafica. È stata comunque individuata una serie di se­ polture nelle sezioni esposte ancora conservate (US 1408, 1369). È possibile inoltre che alcune delle tombe rinvenute nel transetto meridionale siano da attribuire a questo periodo, come la se- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 9 poltura 1354, realizzata nella stessa solea. La po­ sizione di questa tomba e il ritrovamento al suo interno di un elemento di corredo costituito da una croce aurea databile nel VII secolo hanno permesso di considerarla come una “tomba pri­ vilegiata” (PANI ERMINI 1992, P. 50, CIAMPOLTRINI et alii 1994, p. 603; CIAMPOLTRINI 1994, p. 632). Manca completamente la documentazione rela­ tiva al suo scavo, e si presenta attualmente co­ perta da mattoni romani conservati integralmen­ te, fatto abbastanza frequente nelle sepolture luc­ chesi di questo periodo. In sintesi, anche se risulta complesso al momen­ to delimitare con precisioni i periodi nei quali la chiesa ha avuto una funzione sepolcrale, uno di questi momenti deve collocarsi precisamente nel corso del VII secolo. In questo periodo sono inol­ tre ben attestati, grazie agli interventi di archeo­ logia urbana, diversi settori funerari all’interno del recinto murario della città (ABELA 1999; DE GASPERRI 1995). Fase 3.4. Ricostruzione e restauri (VII-VIII secolo?) Si tratta della fase costruttiva altomedievale che presenta maggiori difficoltà nella sua definizio­ ne. È documentata nell’area del presbiterio e del transetto meridionale, dove sono stati rintrac­ ciati dei livelli pavimentali in calce posti su dei riempimenti costruttivi formati da scaglie di la­ vorazione e discariche di materiali (1400, 1412). L’analogia delle malte permette di collegare la posa di questi pavimenti con la realizzazione di alcuni tratti di murature nelle fiancate delle na­ vate (US 1145, 1148). Sono murature realizzate esclusivamente con materiale irregolare (ciotto­ li non selezionati, scaglie litiche di piccole di­ mensioni, frammenti molto variabili di laterizi romani), senza nessun tipo di lavorazione, con giunti molto profondi, la cui tessitura si presen­ ta senza corsi, ma “a strati”. Mancano indicatori precisi per la cronologia di questa fase. Tuttavia, è possibile che sia coeva a questa ristrutturazione, la risistemazione dell’area presbiterale, testimoniata da alcuni fram­ menti di lastre e di scultura decorativa, apparte­ nenti ad un recinto liturgico databile nell’VIII secolo (SALMI 1973; CIAMPOLTRINI 1991; PANI ERMINI 1992, pp. 53-56). Fase 3.5. Restauro completo dell’assetto liturgico del presbiterio (IX secolo) Successivamente il presbiterio della chiesa fu tra­ sformato in modo radicale, con la costruzione di un nuovo recinto liturgico e l’inserimento di una cripta a corridoio. Questa attività edilizia è limitata, quindi, esclusivamente all’area presbi­ teriale, mancando completamente tracce di que­ sta fase nelle navate o nel transetto. Anche in questo caso l’analisi delle malte e il confronto delle tecniche costruttive sono stati i principali strumenti impiegati nell’analisi di questi resti. La cripta fu scavata nella sedimentazione prece­ dente, a forma di corridoio con orientazione nord­ sud, e con un piccolo braccio intersecato nel suo centro. Il suo accesso era garantito tramite due scale situate agli estremi, realizzate con lastre di scisto e grandi conci di marmo e calcare reimpie­ gato (US 1335, 1365). La costruzione della cripta rese inoltre necessario il rialzamento del presbi­ terio (US 1331, 1332), e la costruzione di una nuova scala d’accesso (US 1334). Studiata in modo esauriente da Pani Ermini, la nostra attenzione si concentrerà in questa sede esclusivamente nelle tecniche costruttive impie­ gate. La muratura della cripta (US 1364), fu re­ alizzata con alcuni laterizi romani frammentari di recupero e con scisti gialli e verdi da cava, provenienti dalla formazione del calcare selcife­ ro attestato nell’area di Santa Maria del Giudice (p. 122). Questi materiali si sfaldano seguendo le linee naturali di stratificazione, e sono stati messi in opera lasciando a vista i lati più omoge­ nei, senza formare corsi ricorrendo come legan­ te ad una malta molto dura e tenace di colore giallastro. Tutto il paramento è stato poi rico­ perto da un intonaco bianco coprente, ancora ben conservato (Fig. 12). Lungo la muratura sono state ricavate delle nicchie, realizzate con tegole e materiali romani integri reimpiegati. Il pavimento fu realizzato anch’esso con mate­ riali litici reimpiegati di diversa provenienza. Appartiene allo stesso momento costruttivo la realizzazione di un nuovo recinto liturgico o schola cantorum, conservato attualmente soltan­ to a livello di fondazione (Fig. 13). Questo re­ cinto è delimitato dalle murature 1311, 1317, 1318 e 1322, realizzate con ciottoli selezionati, allungati e di dimensioni omogenee, disposti a “spina di pesce”, in abbondanti letti di malta formando filari orizzontali. Un aspetto rilevante è la completa assenza in queste murature di ma­ teriali di reimpiego. Infine, appartiene a questo periodo la costruzio­ ne di un ambone con materiale reimpiegato (US 1328), situato nel lato settentrionale del nuovo recinto liturgico. Nonostante l’analisi delle tecniche costruttive non permetta di formulare delle attribuzioni cro­ nologiche precise, le caratteristiche tipologiche ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 10 e iconografiche della cripta datano questa atti­ vità edilizia in età carolingia (PANI ERMINI 1992, pp. 59-66). Il ricorso a murature realizzate a “spi­ na di pesce” è un fenomeno che ha una durata plurisecolare nell’architettura lucchese, anche se al momento sembra possibile affermare che la sua maggior diffusione ha avuto luogo nei secoli IX-XI 8. Fase 3.6. Ricostruzione “preromanica” (secoli X-XI) Nel corso dei secoli X-XI fu realizzato l’intervento di restauro più rilevante, ancora ricono­ scibile nel sottosuolo dell’edificio romanico. Gli interventi relativi a questa attività edilizia sono evidenti in modo particolare nelle navate e nel transetto meridionale, mentre mancano quasi completamente nell’area presbiteriale (Fig. 14). Grazie allo studio delle malte sappiamo che in questa fase fu steso su tutta la chiesa, tranne che nel presbiterio, un nuovo piano pavimentale in calce (US. 1248, 1316, 1418, 1248, 1402, 1358). Nella navata furono ricostruite quasi comple­ tamente le murature perimetrali dei setti mu­ rari compresi tra i pilastri tardoantichi (US 1114, 1151, 1109, 1143, 1128, 1104, 1102, 1149). Queste murature sono state realizzate con ciottoli selezionati alternati occasional­ mente con piccole bozze allungate e frammenti di laterizi romani, che creano piani d’orizzontamento. Quando i ciottoli sono allungati o di maggiore spessore, si dispongono formando fi­ lari orizzontali con ampi letti di malta; quan­ do invece sono sottili vengono inclinati a modo di “spina di pesce”. In alcuni casi sono stati impiegati anche dei materiali reimpiegati, come i frammenti di pavimenti musivi messi in opera nell’US 1149. I giunti sono ampi, riempiti con una malta bianca molto tenace. La muratura è coperta da uno spesso intonaco bianco dove sono state incise delle righe oriz­ zontali, e in qualche punto anche verticali, ad imitazione dei conci (US 1150). Si tratta di un tipo di rivestimento molto frequente anche in altri edifici lucchesi del periodo compreso nei secoli IX-XI (ad esempio San Donnino, San Martino in Ducentola, la seconda fase della cripta di San Michele, la torre di San Piero in Campo), e che si sono ben conservati nella chiesa di San Giovanni, impedendo la lettura stratigrafica di ampi settori della sequenza co­ struttiva, in modo particolare nella navata me­ ridionale. Si deve attribuire sempre a questa fase la costru­ zione di una torre nell’angolo nordovest dell’edi- ficio (Fig. 15). In realtà non sappiamo come que­ sto elemento abbia trasformato l’assetto della chiesa, e in particolare la facciata 9, ma sicura­ mente ha condizionato l’articolazione spaziale di tutto il complesso. La torre (US 1101), a pianta quadrata con mu­ rature di 170 cm di spessore che probabilmente si assottigliavano in elevato, si conserva soltanto per un’altezza di 115 cm, e presenta un fondo cieco rettangolare. Il paramento interno è stato realizzato in grandi conci di travertino reimpie­ gati, mentre il nucleo è formato da scaglie di la­ vorazione. La muratura all’esterno è stata inve­ ce realizzata con frammenti sfaldati di scisto della formazione del verrucano, che danno un aspet­ to di «buona opera isodoma» (PANI ERMINI 1992, p. 66) e conci angolari. Tuttavia, la regolarità dell’apparecchiatura è dovuta alle caratteristiche dei materiali, non alla loro lavorazione. Queste rocce, infatti, presentano numerosi piani di sci­ stosità che limitano la loro lavorabilità, ma per­ mettono l’estrazione di pezzi con superfici lisciate e parallele da utilizzare orizzontalmente tramite lo spacco con strumenti di percussione diretta. Sulla superficie esterna dei materiali sono ben evidenti le tracce di lavorazione di strumenti di rifinitura delle superfici a percussione diretta (forse una polka). Soltanto nei conci angolari sono visibili le tracce delle guide di squadratura. Sicuramente anche le coperture sono state re­ staurate in occasione di questo restauro. I pila­ stri portanti presenti nel transetto sono stati, in­ fatti, rinforzati tramite la costruzione della se­ micolonna 1346 e la collocazione del nuovo pi­ lastro 1352. La copertura doveva essere già in precedenza realizzata con scisti, giacché nel riem­ pimento costruttivo che precede la preparazio­ ne pavimentale sono state trovate delle scaglie di questo materiale. Infine, in questo periodo fu anche modificato l’assetto del presbiterio, di cui si ricostruì parte del recinto (US 1307, 1308). La cripta fu tra­ sformata, chiudendone l’accesso settentrionale con una muratura realizzata in tecnica irregola­ re e con materiale di spoglio (US 1363). Una volta abbattute le precedenti murature in ciottoli che delimitavano il recinto, ne venne costruito uno nuovo appena a pochi centimetri dal precedente. Si tratta di una costruzione re­ alizzata con materiali laterizi e lapidei reimpie­ gati e ciottoli selezionati che formano filari sub­ orizzontali, disposti su ampi letti di malta. In entrambe le murature sono presenti i montanti dell’ingresso al recinto presbiterale. Questi montanti, coperti da un intonaco bianco sul ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 11 quale è stata graffita la vita di Santa Reparata (PANI ERMINI 1992, pp. 68-72), sono stati rea­ lizzati con conci ben riquadrati di verrucano e travertino di 37 cm di spessore (Fig. 16). Nel caso dei conci di verrucano sono ben evidenti le tracce del nastrino perimetrale di squadratu­ ra realizzato con lo scalpello, e la rifinitura con una subbia. Si tratta, quindi, di una delle prime attestazioni nell’architettura lucchese d’età me­ dievale dell’impiego di materiali perfettamente riquadrati. Nello stesso periodo fu anche completamente restaurato e ripristinato il vicino Battistero di San Giovanni (Fig. 17). Le caratteristiche delle tec­ niche costruttive e le analogie con i leganti im­ piegati permettono, infatti, di collegare questa fase costruttiva con il c.d. “battistero a pilastri”, realizzato con murature in ciottoli simili a quelli presenti nelle navate di San Giovanni (DE MARINIS 1992, pp. 118-120). Per quel che riguarda la cronologia di questa fase costruttiva, sono diversi gli elementi che orien­ tano ad una datazione compresa tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo. PERIODO 4: “ROMANICO” La ricostruzione completa dell’edificio nel XII secolo segna una svolta nella storia della chiesa, in quanto i numerosi interventi altomedievali precedenti possono essere considerati soltanto restauri dell’edificio tardoantico. Nel XII seco­ lo, quando la città di Lucca era immersa in un processo di pieno rinnovamento architettonico e le quote pavimentali erano aumentate nel cor­ so di un secolo di circa un metro, la chiesa di SS. Giovanni e Reparata fu ricostruita dalle fonda­ menta sul perimetro di quella precedente. Per quanto riguarda la cronologia assoluta di questo periodo costruttivo, si dispone di alcuni elementi che permettono di datarla nella secon­ da metà del XII secolo. In particolare, lo scavo ha permesso di recuperare, in prossimità della fondazione di uno dei pilastri del nuovo edifi­ cio, una brocca con alcune monete databili poco dopo la metà del XII secolo, mentre l’epigrafe presente sull’architrave del portale principale at­ testa che nel 1187 i lavori erano ad un impor­ tante stato di avanzamento. Un documento dell’anno seguente mostra che nel 1188 la chiesa era regolarmente officiata (BARACCHINI, FILIERI 1992, p. 79). Lo scavo in estensione della chiesa e la lettura delle strutture in elevato hanno permesso di rico­ struire, a grandi linee, la dinamica di questo com­ plesso cantiere pluridecennale, che in qualche modo è rappresentativo di un periodo d’intensa attività edilizia in Lucca, quando diverse decine di chiese furono completamente ricostruite. Come già osservato, durante i secoli XI e XII la quota pavimentale della città di Lucca si era rial­ zata in modo notevole, raggiungendo in alcuni punti oltre il metro e mezzo di altezza. Nel caso della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata, si può stimare una crescita dei depositi di circa 50 cm nel transetto meridionale (US 1419, 1422), e di 45 nella navata (US 1313). Ciononostante, nella vicina chiesa di San Donnino, è ancora in uso il livello pavimentale altomedievale. Non si dispone ancora di dati molto affidabili che permettano di ricostruire la dinamica paleo­ climatica di Lucca e della Toscana settentrionale nell’XI secolo. In alcuni documenti di questo periodo compaiono notizie relative ad alluvioni e crescite dei fiumi 10, ma la loro scarsa frequen­ za non permette di arrivare a conclusioni certe sull’intensità delle precipitazioni del periodo. Si può comunque osservare che i livelli di crescita presenti all’interno della chiesa di San Giovanni sono essenzialmente di natura alluvionale. Oc­ correranno nuove ricerche per verificare i pro­ cessi formativi che hanno portato a questo pro­ fondo cambiamento dei livelli pavimentali. Tornando al cantiere della chiesa di San Giovan­ ni, lo studio preliminare delle sequenze strati­ grafiche ha mostrato l’esistenza di diverse fasi costruttive, con interruzioni durante i lavori che hanno comportato importanti cambiamenti nei modi di costruire e nell’organizzazione del can­ tiere stesso. Anche in questo caso, possiamo sta­ bilire soltanto delle cronologie relative, poiché mancano completamente altri indicatori crono­ logici. Al momento attuale, e basandoci sul tipo di ma­ teriali e tecniche impiegati, sappiamo dell’esistenza di almeno tre grandi fasi di cantiere, anche se l’analisi non è stata estesa a tutte le strutture in elevato, e sarebbe necessario approfondire le ri­ cerche finora condotte (Fig. 18). All’inizio il cantiere del XII secolo si concentrò in alcune porzioni specifiche dell’edificio, la­ sciando parzialmente in uso le strutture prece­ denti. La sequenza stratigrafica situata al di sot­ to del livello pavimentale dimostra, infatti, l’esistenza di alcuni accorgimenti destinati a garan­ tire la continuità d’occupazione di una porzione della chiesa. È precisamente in questo momento che la nava­ ta centrale è chiusa da un paramento poggiante sul pavimento del cantiere, come una sorta di ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 12 “facciata provvisoria” che isola in questo modo la zona dell’attuale facciata dal resto dell’edificio (US 1304, 1305, 1222). Si tratta di murature di un solo filare di spessore, poggianti sul pavi­ mento senza nessun tipo di fondazione (Figg. 19, 20, 21). Sono state costruite utilizzando grandi conci di travertino, di dimensioni omogenee e regolari, provenienti dalle mura tardorepubbli­ cane e montati senza legante, a formare filari orizzontali e paralleli. È possibile, quindi, che l’accesso all’edificio non avvenisse più da que­ sto settore della chiesa, ma si utilizzasse la scala 1143 situata nella navata settentrionale, per per­ mettere di salvare l’importante differenza di quo­ ta che si era venuta a creare rispetto all’esterno. La scala è stata realizzata con materiali di reim­ piego, e si appoggia alle murature della fase 3.6. È possibile, comunque, che ci fossero altri ac­ cessi non più conservati. Per quanto riguarda la ricostruzione vera e pro­ pria, questa fu sicuramente iniziata nel catino absidale, nel transetto e nella base del campani­ le. In un primo momento si utilizzano conci di dimensioni variabili di quarzite della formazio­ ne del verrucano rifiniti con strumenti a punta. A partire da un certo momento avvenne però un cambiamento nell’approvvigionamento e nelle forme di lavorazione dei materiali costruttivi. Assieme al verrucano cominciano ad utilizzarsi anche i conci di calcare bianco di Santa Maria del Giudice, sia in modo esclusivo (abside, tran­ setto, facciata), che alternato con il verrucano nelle navate e nel transetto. Questi conci sono stati ben riquadrati e rifiniti con strumenti a pun­ ta e lama dentata. In modo occasionale si utiliz­ za anche materiale reimpiegato, come ad esem­ pio conci di travertino di età romana (Fig. 22). È di questa fase il segno lapidario d’identità pre­ sente sulla muratura occidentale esterna del tran­ setto meridionale, che costituisce uno dei pochi conservati nell’architettura medievale lucchese (Fig. 23), e di alcuni altri segni di difficile inter­ pretazione 11. Probabilmente in questo periodo vengono rea­ lizzate anche le fondazioni dei colonnati delle navate. Grazie agli scavi è stato possibile ana­ lizzare in dettaglio questo processo. Per la loro realizzazione sono state scavate delle profonde fondazioni che tagliano tutta la stratigrafia fino al pavimento tardoantico, e quindi, è molto im­ probabile che in questo momento la chiesa stesse funzionando (US 1206, 1208, 1211, 1213, 1216, 1224, 1228, 1120, 1124, 1127, 1129). Le murature di fondazione “a sacco”, sono sta­ te realizzate con scaglie di lavorazione dei con­ ci di verrucano immerse in un’ampia gettata di malta. I colonnati veri e propri sono stati realizzati in due momenti diversi. Quello settentrionale è sta­ to costruito su grandi conci di travertino reim­ piegato (US 1117, 1121, 1125, 1130, 1135, 1138), mentre quello meridionale è realizzato su grandi scaglie irregolari di verrucano (US 1205, 1210, 1215, 1223, 1227, 1228). Più pre­ cisamente nei pressi della fondazione del pila­ stro 1231, in un riempimento costruttivo realiz­ zato per rialzare il livello pavimentale, è stata trovata la già menzionata brocca con una serie di monete databili poco dopo la metà del seco­ lo. È quindi molto probabile che il cantiere sia stato avviato molto prima di questa data. Infine, una nuova fase di cantiere è ben ricono­ scibile in un settore della chiesa realizzato esclu­ sivamente in laterizi. Nel territorio di Lucca non conosciamo edifici realizzati in mattoni con modulo medievale pre­ cedenti alla metà del XII secolo. La chiesa di San Tommaso, la prima fase di Sant’Anastasio e pro­ babilmente l’interno del campanile di San Mar­ tino sono, insieme a San Giovanni, i primi edifi­ ci ad utilizzare questi materiali. In un’altra sede si è già sostenuto come, prima della fine del XII secolo, non siano presenti in città impianti produttivi stabili, ma sono le mae­ stranze itineranti che costruivano con questo materiale, che impiantano le loro fornaci in fun­ zione dei singoli cantieri. Questo fatto è dimo­ strato anche dall’enorme variabilità esistente nei moduli dei mattoni fabbricati in questo secolo, giacché soltanto nel XIII secolo si affermano poli produttivi specializzati e si comincia un mercato di materiali costruttivi prodotti in serie. Questa commercializzazione in un mercato ampio, come quello urbano, permise il fenomeno della nor­ malizzazione metrologica (Q UIRÓS C ASTILLO 1998a). La chiesa dei Santi Giovanni e Reparata rappre­ senta un esempio significativo di questi momen­ ti iniziali dell’introduzione dei laterizi nell’architettura medievale. Probabilmente nel terzo quar­ to del XII secolo il cantiere di San Giovanni passa nelle mani di una nuova squadra di maestranze, che completa la costruzione dell’edificio. In questa fase è impiantata una fornace per late­ rizi, nella navata centrale, accanto a quelle per la fusione delle campane (US 1384). Si tratta di una struttura circolare di 2,5 m di diametro, che conserva integralmente la camera di combustio­ ne separata dalla camera di cottura – conserva­ tasi soltanto in modo parziale – da una grata pog- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 13 giante su due pilastri. Disponeva di un unico in­ gresso attualmente tamponato che permetteva l’accesso alle due camere, mentre non si cono­ sce il tipo di copertura. Tipologicamente pre­ senta alcuni paralleli con la fornace rinvenuta a Santa Cornelia databile nel primo quarto dell’XI secolo (CHIRSTIE 1991, p. 36, plate 25), anch’essa realizzata da maestranze itineranti. I mattoni prodotti in questa fornace sono stati impiegati nel completamento del transetto, del campanile e delle navate laterali. Si tratta di mattoni che presentano un modulo costruttivo anomalo, 32×13×5,5 cm., che non trova riscon­ tro in altri edifici della seconda metà del XII se­ colo 12. Soltanto nel caso dell’interno del cam­ panile di San Martino si trovano mattoni con dimensioni praticamente identiche a quelle di San Giovanni. Si può ipotizzare, quindi, che siano stati realizzati nella stessa fornace, tenendo pre­ sente che questa torre deve datarsi prima dell’anno 1202, quando gli fu addossato l’attuale portico. Assieme a questa fornace di laterizi, nel centro della navata sono presenti altre tre fosse, due delle quali impiegate per la gettata di altrettante campane. Nessuno di questi impianti è stato com­ pletamente scavato, e pertanto si attende di po­ ter concludere la loro indagine per risolvere i dubbi rimasti, relativi a questa attività produtti­ va. Probabilmente la fossa occidentale (B) è succes­ siva a quella orientale (A), ed entrambe offrono delle informazioni utili per conoscere la tecno­ logia impiegata nella realizzazione delle campa­ ne. La fossa A presenta una forma circolare di 1,7 m di diametro (US 1371), con un canale al centro di circa 40 cm di profondità e 20 cm di larghez­ za (US 1372), che presenta evidenti segni di ar­ rossamento sulle pareti, risultato della cottura dello stampo. La cattiva conservazione dei resti non permette di osservare l’impronta dello stam­ po, e non possiamo stimare le dimensioni della campana. Inoltre, una buona parte del canale d’alimentazione è ancora da scavare, sebbene si possa osservare la presenza ancora in situ al suo interno di frammenti di stampo rotti dopo la gettata della campana e buttati nella fossa nel corso della sua chiusura. La fossa B, situata a S della precedente, presenta una morfologia circolare molto più regolare, ed è di dimensioni analoghe. La fossa è stata realiz­ zata scavando anche il sedimento della stratigra­ fia precedente (US 1373), ma in questo caso le pareti sono state foderate con mattoni (US 1374). Le caratteristiche dei laterizi, molto frammenta­ ti e di diverse dimensioni, fanno pensare a mate­ riale reimpiegato, probabilmente di età romana. In questo caso il canale d’alimentazione (US 1375) è di larghezza superiore a quello prece­ dente (40 cm) e di profondità simile, anche se è stato svuotato soltanto in minima parte. Sebbe­ ne i canali di alimentazione siano differenti tra loro, la profondità permette di pensare che si tratta di due fornaci verticali, analoghe alle for­ naci di San Lorenzo già descritte. Nella fossa si conserva l’impronta che descrive la forma della campana, frammenti di stampo (US 1377) e del bronzo fuoriuscito al momento della gettata. Non si dispone di elementi cronologici per la datazione precisa di questa attività, che comun­ que sarebbe da situare alla fine del cantiere, quan­ do il campanile in laterizi era completamente costruito. Non si sono conservate tracce di altre attività produttive, come la cottura della calce, ma non mancano esempi nei quali anche questi materia­ li erano prodotti nello stesso cantiere, come ad esempio nel caso del Palazzo dei Vescovi di Pi­ stoia (RAUTY 1989). Tuttavia, si deve supporre che data l’elevata attività edilizia attestata in que­ sto periodo fossero attive delle aree produttive stabili dove era possibile acquistare della calce per la fabbricazione delle malte. Anche se le pri­ me regolamentazioni note relative alla commer­ cializzazione di questo materiale risalgono ad un periodo successivo, si può comunque pensare all’esistenza di un mercato di materiali costruttivi già nel XII secolo. PERIODO 5: ETÀ BASSOMEDIEVALE Le strutture rinvenute al di sotto del livello pa­ vimentale che possiamo attribuire a questo pe­ riodo sono essenzialmente delle tombe indivi­ duali, distribuite in diversi settori della chiesa, e dei livelli di occupazione conservati nei lembi di stratigrafia, presenti nella base degli altari più recenti. Si dispone tuttavia soltanto di una do­ cumentazione molto parziale di queste tombe giacche, la maggior parte è stata interessata da­ gli ossari costruiti in età moderna e contempo­ ranea, oppure sono state smontate nel corso dello scavo condotto negli anni 1969-1977. Alcune di queste tombe sono state realizzate di­ rettamente nel pavimento del periodo 4 (US 1423, 1250), mentre in altri casi si conserva parte delle pareti in laterizio (US 1370, 1362, 1440) o in muratura (US 1376, 1408). All’interno della struttura di una di queste tombe (US 1408), sono ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 14 stati trovati murati dei piccoli frammenti di ma­ iolica arcaica e di maiolica di Montelupo della fine del XV secolo. Diverse notizie scritte dei secoli XIV-XV ci mo­ strano inoltre l’esistenza di importanti lavori di restauro e trasformazione che hanno interessato essenzialmente i tetti, ma anche altri settori del­ la chiesa non ben definiti (PIANCASTELLI POLITI NENCINI 1992, p. 153). PERIODO 6: ETÀ MODERNA E CONTEMPORANEA Fase 6.1. Restauri e interventi postmedievali Negli anni 1598-1620 la chiesa dei Santi Gio­ vanni e Reparata fu profondamente trasforma­ ta, ma senza alterarne l’assetto medievale. Le tra­ sformazioni più significative hanno interessato la facciata, il soffitto, le fonti d’illuminazione della chiesa e l’arredo ecclesiastico. L’edificio viene rialzato con la costruzione di una nuova facciata in calcare bianco, che ingloba quella medievale, mentre sui laterali le nuove muratu­ re vengono realizzate interamente in laterizio. Risalgono a questo periodo altre attività edili­ zie e restauri documentati tramite le fonti scrit­ te (PIANCASTELLI 1992, p. 153) o attribuite stra­ tigraficamente a questo periodo. Tra gli inter­ venti più significativi che si possono segnalare ci sono la costruzione alla fine del Seicento della cappella barocca dedicata a Sant’Ignazio, sul fianco settentrionale dell’edificio, e il rialzamen­ to del campanile in tecnica “da muratore”. Vengono costruiti anche diversi ossari che erano presenti all’interno della chiesa, e in gran parte asportati nel corso dello scavo. Il giornale di sca­ vo già menzionato, documenta la loro presenza in più punti dell’edificio, come nel transetto meridionale o nella stessa navata. Soltanto uno di loro è stato risparmiato quasi integralmente, sul lato occidentale della navata meridionale (US 1202), già interpretato come costruzione otto­ niana (PANI ERMINI 1992, p. 66, fig. 35). Le ca­ ratteristiche morfologiche della tomba, che pre­ senta la caratteristica volta a botte e dove sono presenti degli scalini d’accesso, oltre alle dimen­ sioni dei laterizi impiegati nella sua costruzione permettono di stabilire una datazione mensio­ cronologica entro il XVI secolo. Altri resti di tombe e ossari appartenenti a que­ sto periodo sono stati rinvenuti, sia all’interno della chiesa (US 1108, 1141, 1147, 1440), che nel battistero (DE MARINIS 1992, p. 101). Anche in questo caso, le dimensioni dei mattoni per­ mettono di collocare la loro cronologia in età postmedievale. Fase 6.2. Interventi nel XIX secolo Agli inizi del XIX secolo, sotto la dominazione francese, la chiesa dei Santi Giovanni e Repara­ ta con l’annesso Battistero divenne proprietà de­ maniale. Privato degli arredi, il complesso fu uti­ lizzato come sede dell’archivio dell’antica repub­ blica. L’edificio per le sue caratteristiche e l’umidità presente, si rivelò non essere adeguato per questa funzione, e per questo motivo l’archivio venne trasferito. Fu, quindi, riaperta al culto nel 1828. Negli anni 1840-1870 la chiesa venne trasfor­ mata in mausoleo delle glorie locali. Dopo di­ versi decenni nei quali l’edificio aveva perso la sua funzione religiosa, quando riprese il culto fu convertito a questa funzione. I principali monu­ menti religiosi vennero collocati nel Battistero, anche se non ne mancano lungo le pareti della chiesa. Sono qui presenti tombe di personaggi illustri del periodo (ad esempio il pittore Michele Ri­ dolfi), lapidi che ricordano i caduti nelle guerre, oppure cenotafi di personaggi storici come quello di Matilde di Canossa. Deve risalire a questo periodo anche il pavimen­ to in cotto rinvenuto nel corso dello scavo al di sotto del piano pavimentale novecentesco, più volte menzionato dal “giornale di scavo” e con­ servato ancora nelle sezioni esposte nel transet­ to meridionale della chiesa. 3.2.4. Conclusioni L’analisi e interpretazione della sequenza e delle tecniche costruttive di questo complesso archi­ tettonico può essere realizzata soltanto collocan­ do questa sequenza in rapporto con le strutture di età romana e medievale del territorio e della città di Lucca. Questo confronto, in modo par­ ticolare per il periodo tardoantico e altomedie­ vale, è possibile grazie alla conservazione di un numero significativo di strutture relative a que­ sto periodo e all’attenta e continua attività di tutela svolta nel corso degli ultimi due decenni da parte della Soprintendenza Archeologica del­ la Toscana, che ha permesso di recuperare un importante numero di contesti riguardanti que­ sto periodo (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990; CIAMPOLTRINI et alli 1994; CIAMPOLTRINI 1992c; una sintesi si trova in ABELA 1999). Tenendo presente la disponibilità di questi dati isolati, la sequenza insediativa della chiesa dei Santi Giovanni e Reparata di Lucca diventa una guida, che ci permette di leggere le trasforma- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 15 zioni avvenute nell’ambito delle tecniche costrut­ tive e nell’organizzazione dei cantieri tra età an­ tica e medievale nel territorio lucchese. Inoltre, gli studi condotti dall’Istituto di Storia della Cultura Materiale nella cattedrale della vi­ cina città di Luni hanno costituito un continuo punto di riferimento e di confronto per l’analisi delle tecniche costruttive (VARALDO c.s.; CAGNANA c.s.). 3.3. SAN DONNINO (LUCCA) 3.3.1. Premessa La chiesa di San Donnino (Fig. 2, n. 3) è una delle poche costruzioni, nella città di Lucca, che conservano ancora in elevato murature di età al­ tomedievali. Gran parte degli edifici altomedie­ vali sono rimasti interrati a seguito dell’innalzamento dei livelli di vita avvenuto nel corso dell’XI secolo (CIAMPOLTRINI 1992), quando è aumenta­ ta la quota pavimentale della città in modo va­ riabile tra i 30 cm fino a quasi 2 metri, secondo quanto documentato nei saggi realizzati all’interno della città (ABELA 1999, p. 41). San Donnino, sembra invece essere rimasto pressoché allo stes­ so livello di quota delle fasi alto medievali (Fig. 24). Si tratta di una piccola costruzione con pianta rettangolare e tetto a capanna, integrata in edi­ fici posteriori intonacati. Nel lato della presunta facciata si trova attualmente l’accesso a un gara­ ge, e tutto il complesso è coperto da un pesante intonaco giallo tranne in una limitata porzione della fiancata settentrionale. L’edificio è ora oc­ cupato da una cabina ENEL. La chiesa è documentata per la prima volta come dipendente dal monastero di Santa Maria in un elenco non datato di beni appartenenti a San Pietro di Roma, attribuito all’anno 800 da D. Barsocchini (MDL V/2, n. CCVCIII), anche se da alcuni ritenuto più antico di qualche decen­ nio (NANNI 1948, pp. 32-33). 3.3.2. Sequenza stratigrafica (Fig. 25) Nella porzione conservata non si osservano ele­ menti che facciano pensare ad interventi succes­ sivi alla costruzione, se non l’apertura di una porta architravata (US 4), che è stata realizzata in un secondo momento, come dimostrano la sequenza stratigrafica e l’analisi delle malta im­ piegate. In assenza di indicatori cronologici pre­ cisi, non si può determinare con precisione quan­ do è stata collocata questa nuova apertura, La porta reca sullo stipite destro una croce incisa. La muratura appartenente alla fase più antica è divisa in due parti: il basamento (US 1, 2), rea­ lizzato con cinque filari di conci irregolari e bozze allungate di verrucano rifinite ad accetta e ca­ renti del nastrino perimetrale, disposti forman­ do filari suborizzontali e paralleli, in modo ab­ bastanza omogeneo. I giunti sono sottili e irre­ golari. Risulta difficile, al momento determina­ re se questi conci irregolari provengano da ru­ deri più antichi, oppure siano estratti in cava appositamente per la realizzazione di questo edi­ ficio. Sopra questo basamento, il paramento (US 4) è formato da piccole bozze, ciottoli spaccati e la­ terizi romani frammentati disposti in filari sub­ orizzontali e paralleli con ampi letti di malta. Con frequenza questi materiali, che non sono stati oggetto di un processo di lavorazione, si dispongono in verticale o inclinati, secondo una disposizione che ricorda la tecnica nota come “spina di pesce” (Fig. 26). Occasionalmente si utilizzano dei conci reimpiegati, in modo parti­ colare in prossimità della facciata, probabilmente con lo scopo di assorbire le spinte non verticali provenienti dal paramento stesso nei cantonali (MANNONI 1997, p. 18). In fase con questa muratura è stata realizzata la monofora strombata US 6, anche in questo caso con conci di verrucano rifiniti con uno strumen­ to a lama piana, come un’ascetta o una polka. Sulla malta impiegata in questa fase sono stati graffiti degli allineamenti che sottolineano i corsi, imitando una muratura di conci, in modo ana­ logo a quanto osservato in altri edifici altome­ dievali della lucchesia. Il principale problema che pone questa costru­ zione è quello della sua datazione, giacche man­ cano indicatori cronologici precisi. Tuttavia, si devono sottolineare i paralleli esistenti con la tec­ nica costruttiva della fase 3.5. della vicina chie­ sa di San Giovanni, databile tra la fine dell’VIII e gli inizi dell’IX secolo. Questa cronologia, che trova sostanziale confer­ ma con edifici coevi in lucchesia, concorda, inol­ tre, con le prime notizie documentali della chie­ sa. Si potrebbe, quindi, pensare che la chiesa di San Donnino sia stata fondata alla fine dell’VIII se­ colo, inserendosi all’interno dell’importante ci­ clo di costruzioni realizzate a Lucca nell’ultimo periodo longobardo e all’inizio della fase caro­ lingia. ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 16 3.3.3. Valutazione finale In assenza di scavi e d’indagini più approfondite si impone la prudenza al momento di datare questa costruzione. Le caratteristiche delle tec­ niche costruttive concordano, con quelle degli edifici realizzati tra la fine dell’VIII e gli inizi del IX secolo presenti nel territorio lucchese. È pur vero che dalla documentazione scritta sap­ piamo della sua esistenza già nel corso dell’VIII secolo, ma non è possibile determinare in modo definitivo se il tratto di costruzione ancora in vista sia da collegare a questo periodo, oppure corrisponda ad una ricostruzione successiva. Nuove indagini dovranno chiarire la collocazio­ ne cronologica di questo edificio, che al momen­ to si presenta come un unicum nel patrimonio edilizio lucchese ancora conservato. 3.4. SAN MARTINO IN DUCENTOLA, MARLIA (CAPANNORI) 3.4.1. Premessa La chiesa di San Martino in Ducentola, nel ter­ ritorio di Marlia, è uno dei pochi edifici eccle­ siastici rurali che conservano ancora fasi alto­ medievali in elevato (Fig. 3, n. 1). Marlia è un toponimo noto dall’altomedievo per designare un ampio territorio della piana di Luc­ ca, disposto ai piedi delle Pizzorne, che confina con Segromigno e Lammari. L’insediamento di Marlia, come in gran parte della piana di Lucca, era formato da numerosi centri sparsi di piccole dimensioni, uno dei quali era Ducentola, noto dal IX secolo (Fig. 27). La documentazione menziona l’esistenza nel medioevo a Marlia di otto chiese, che hanno svol­ to un ruolo centrale nella formazione dei sette comuni che si sono formati nei secoli XII-XIII in questa zona (WICKHAM 1995, p. 52). È molto frequente, infatti, che i villaggi che si definisco­ no in questo periodo utilizzino la chiesa come centro di riferimento d’aggregazione spaziale e sociale, arrivando in molte occasioni ad adotta­ re l’agiotoponimo come nome del villaggio. Come conseguenza di questa centralità delle chie­ se, è frequente che, al momento della formazio­ ne dei comuni, le chiese siano completamente ricostruite o restaurate, distruggendo o nascon­ dendo in questo modo le fasi altomedievali 13. All’interno di questo panorama la chiesa di San Martino in Ducentola costituisce un’eccezione. Si tratta di una piccola chiesa ad un’unica nava­ ta e con una sola abside, ubicata nei pressi di un gruppo di case sparse, forma abitativa che carat­ terizza l’insediamento attuale e medievale di buona parte della piana di Lucca. Attualmente la chiesa presenta un piccolo campanile a vela disposto nella navata, in prossimità dell’abside. Recentemente sono stati realizzati dei piccoli son­ daggi in prossimità della chiesa che hanno per­ messo di recuperare una limitata quantità di re­ perti di epoca romana, che fanno pensare all’esistenza di un piccolo villaggio di età imperiale in zona, di caratteristiche non meglio definite 14. La chiesa di San Martino è menzionata per la prima volta in una pergamena dell’anno 893 quando il vescovo Gherardo da in livello due case «in loco Ducentula prope Ecclesia Sancti Martini» (MDL V/3, n. CMLXXXV). 3.4.2. Sequenza stratigrafica La lettura stratigrafica realizzata su questo edifi­ cio è stata condotta sui paramenti esterni, giac­ ché l’interno è completamente intonacato. Fino agli anni ottanta la chiesa era intonacata anche all’esterno, tranne l’abside, quando, a seguito di un restauro, sono state messe in luce le strutture attuali. Subito ci si rese conto della rilevanza di questa costruzione per lo studio dell’architettura altomedievale della lucchesia (FILIERI 1990, pp. 18-19). Nel corso dello studio sono state identificate cin­ que fasi principali (Figg. 28, 29): FASE 1 Corrisponde alla prima attività edilizia ancora in elevato, documentata nella facciata e in una parte della navata dell’edificio. Il primo tratto della fiancata meridionale (US 29) è realizzato essenzialmente con una tecnica irre­ golare che fa frequente ricorso a materiali reim­ piegati e ciottoli di arenaria e di calcare. I reim­ pieghi, molto evidenti in facciata e nella fianca­ ta meridionale, sono integrati in una muratura realizzata con piccoli filari di ciottoli non sele­ zionati, talvolta spaccati, e di laterizi romani di­ sposti in modo irregolare, anche se in alcune occasioni si osserva la tendenza a formare filari orizzontali. Al di sopra di questa muratura è stato costruito un paramento con ciottoli di arenaria seleziona­ ti, stretti e allungati, murati a “spina di pesce”, disposti accuratamente inclinati che formano in ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 17 questo modo filari molto regolari, orizzontali e paralleli tra loro (US 12, 32, 40). In alcune parti del paramento si fa uso di laterizi romani rita­ gliati disposti con la stessa tecnica costruttiva. Gli angolari, invece, sono realizzati con bozze e conci sommariamente squadrati di arenaria, pro­ babilmente reimpiegati. La malta è di colore bian­ co, e si presenta molto tenace e con buona ade­ renza. Questo paramento a “spina di pesce” ri­ corre a cantonali con giunti orizzontali, per as­ sorbire le spinte non verticali provenienti dal paramento stesso (Fig. 30). Si conservano una finestra (US 17) e parte di una seconda (US 13) sulla fiancata meridionale, re­ lative a questo periodo. Sono finestre strette e allungate realizzate reimpiegando ancora una volta i laterizi romani. La chiesa era coperta da lastre di scisti scuri (US 6), ancora ben visibili nella facciata dell’edificio La muratura così realizzata non rimaneva a vi­ sta, ma era coperta da un intonaco di colore bian­ co, ancora presente in modo parziale sui para­ menti della chiesa (US 22, 30), graffito a finti conci, secondo una rifinitura già documentata in altri edifici lucchesi. FASE 2 Possiamo identificare questa fase con il periodo “romanico”. In questa fase costruttiva si rico­ struisce in modo completo l’abside (US 23, 38) con conci di arenaria rozzamente squadrati e ri­ finiti, disposti in filari orizzontali e paralleli. Non sappiamo se la ricostruzione dell’abside sia do­ vuta a un crollo di quella precedente, avendo l’intervento interessato anche una porzione del­ la fiancata meridionale. Grazie all’analisi delle malte impiegate sappia­ mo che nello stesso periodo si realizza l’ingresso principale con arco a tutto sesto ancora visibile in facciata (US 3). Si può proporre come ipotesi che questo inter­ vento, che presenta caratteristiche tecniche si­ mili ad altri edifici della piana lucchese, sia da mettere in relazione con i numerosi restauri o ricostruzioni condotti nel corso del XII secolo. toli di arenaria, frammenti di laterizi murati senza formare corsi (US 11, 28, 33). Contemporanea­ mente si procede all’apertura di una finestra di piccole dimensioni sulla fiancata meridionale (US 26). Non risulta facile proporre una cronologia per questa fase costruttiva, che comunque sarebbe da collocare in età postmedievale in funzione dei materiali e delle tecniche costruttive. FASE 4 L’ultima fase individuata corrisponde ad alcuni interventi minori che non hanno modificato l’assetto dell’edificio precedente. In questa fase sono aperte una serie di finestre in laterizio nella na­ vata (US 16, 21, 35, 37), che comportano il tam­ ponamento di quelle precedenti. Probabilmente si tratta di un restauro che ha previsto anche la messa in opera dell’intonaco recentemente aspor­ tato, e il rinnovo dell’arredo ecclesiastico inter­ no, con un nuovo sistema d’illuminazione. È forse da riferire a questo periodo anche il pic­ colo campanile a vela situato nella navata in pros­ simità dell’abside, realizzato con mattoni analo­ ghi a quelli utilizzati nelle monofore. Per quan­ to riguarda la cronologia dell’intervento, le ca­ ratteristiche dei laterizi impiegati rimandano ai secoli postmedievali, senza attribuzioni più pre­ cise. Risulta difficile stabilire con precisione la cro­ nologia delle fasi individuate, in particolare di quelle più antiche, giacché non si dispone di indicatori cronologici specifici. Per la prima fase si propone una cronologia in età carolingia, en­ tro il IX secolo, che potrebbe essere associata alla fase 3.5. di San Giovanni e alla chiesa ur­ bana di San Donnino, da mettere in relazione, in questo caso, con la prima menzione docu­ mentale dell’edificio, risalente agli ultimi anni di questo secolo. Al momento attuale, e in as­ senza di scavi relativi alla chiesa, questa propo­ sta cronologica si presenta come la più affida­ bile. 3.4.3. Valutazione finale FASE 3 In un momento successivo si realizza un rialza­ mento delle murature e della copertura, ben evi­ dente in facciata, dove si conserva la linea di gronda altomedievale e il suo tetto di lastre. Questo rialzamento è realizzato con una tecnica costruttiva irregolare che impiega bozze e ciot­ Si tratta di una costruzione d’importanza rile­ vante nel panorama degli edifici altomedievali lucchesi, per la estensione dei paramenti origi­ nali conservati. In particolare, l’analogia con le tecniche costruttive riscontrate in altri edifici urbani, fa pensare che l’edificio sia stato fon­ dato tra la fine dell’VIII o nel corso del IX se- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 18 colo, inserendosi in un’attiva fase di fondazio­ ni che ha interessato tutta la lucchesia, promosse da parte dell’aristocrazia di età tardolongobarda e carolingia. Non si hanno notizie nelle fonti scritte sui possibili fondatori o proprietari del­ la chiesa in questo periodo. È comunque possi­ bile che sia rimasta in loro possesso ancora fino al X secolo, quando l’edificio è comunque re­ staurato. Dal XII secolo la chiesa diviene il nucleo intor­ no al quale si configura il villaggio di Ducentola. In quella occasione fu necessario riadattare e restaurare l’edificio, che diventa l’elemento di riferimento nella configurazione sociale e terri­ toriale del nuovo comune. Con frequenza, nella piana di Lucca questo pro­ cesso di ridefinizione insediativa ha comportato la ricostruzione dalle fondamenta delle struttu­ re ecclesiastiche, contribuendo alla diffusione dei modi di costruire noti come “romanici”. Il caso di San Martino in Ducentola rappresenta una vera eccezione, giacché soltanto l’abside è stata interessata da questi restauri, mentre il resto della struttura ha mantenuto le forme altomedievali. Non si deve pensare che questa situazione sia frutto di una mancanza di mezzi, giacché l’Estimo della diocesi di Lucca del 1260 attribuisce a questa chiesa un reddito medio, e incluso supe­ riore ad altri edifici ricostruiti nel corso del XII e XIII secolo (GUIDI 1932, p. 255). In sintesi, si tratta di un edificio assolutamente eccezionale nel panorama dell’architettura ru­ rale lucchese, in quanto è riuscito a conservare ancora in vista le strutture di età altomedievale, scomparse in genere negli edifici coevi sia in cit­ tà che nel territorio. 3.5. SAN MICHELE IN FORO (LUCCA) 3.5.1. Premessa La chiesa di San Michele in Foro, uno dei prin­ cipali edifici ecclesiastici della città di Lucca, conserva ancora parte delle strutture pertinenti alla sua fase altomedievale all’interno della crip­ ta (Fig. 2, n. 1). I diversi autori che si sono occupati di quest’edificio, hanno cercato in più occasioni di rintrac­ ciare le prime menzioni documentali della chie­ sa in età longobarda. Tuttavia, si è osservato che la documentazione lucchese dell’VIII secolo menziona l’esistenza di diverse chiese dedicate a San Michele. E. Ridolfi, in quella che è finora la miglior monografia riguardante quest’edificio (RIDOLFI 1893), indica come soltanto nell’anno 795 è attestata con sicurezza la prima menzione della chiesa di San Michele in Foro (MDL IV/1 n. 115). Ciononostante, non si conosce con precisione la data della sua fondazione, anche se si conservano diverse pergamene che fanno riferi­ mento a fondazioni di chiese dedicate a San Mi­ chele. Ma la dedicazione della chiesa a San Mi­ chele è una prova a favore della sua datazione nel periodo longobardo, entro l’VIII secolo. Dalle fonti scritte conservate, non sembra che la chiesa fosse nell’VIII secolo tra le più importan­ ti di Lucca (BELLI BARSALI 1978, p. 75), e i diversi autori che si sono occupati dell’assetto urbani­ stico della città in età altomedievale, hanno insi­ stito sul carattere relativamente marginale di questo settore urbano in contrasto con altri più dinamici, come quello sudorientale, organizza­ to intorno alla cattedrale. Nell’845 la chiesa fu data in livello quinquenna­ le al conte franco Agnano (MDL V/2, n. 628), passando quindi nelle mani dei principali ceti dirigenti urbani di età carolingia. Tuttavia, solo dal X secolo, e quasi in modo improvviso, la chiesa acquista maggiore importanza, e compare nella documentazione come proprietaria di numerosi beni e curtes nella piana di Lucca. La più impor­ tante acquisizione risale però all’anno 1027, quando la chiesa di San Michele riceve delle co­ spicue donazioni patrimoniali in tutta la lucchesia, comprendenti diversi castelli e corti, da parte di Berardo detto Benzio, uno dei princi­ pali personaggi lucchesi della prima metà del se­ colo, appartenente al grande gruppo signorile dei Cunimundinghi (CAAL 2, 77, p. 215). La chiesa attuale conserva, grosso modo, l’impianto del XII secolo, anche se sono state realiz­ zate importanti opere di ampliamento e ri­ strutturazione nei secoli XIV e XVI. Secondo di­ versi autori, la sua ristrutturazione sarebbe stata iniziata per opera del vescovo Giovanni, a se­ guito delle già menzionate donazioni realizzate da Berardo e confermate da Corrado II 15. Nel caso che si potesse attribuire a questo periodo l’inizio della ristrutturazione dell’edificio, i lavori si estesero comunque fino alla metà del XII secolo, fase cui appartengono i pochi elementi di crono­ logia assoluta ancora conservati. I resti altomedievali sono stati riportati alla luce negli anni 1970-1971, nel corso dei lavori di restauro condotti dalla Soprintendenza ai Beni AA. AA. AA. SS. per le provincie di Pisa, Lucca, Livorno e Massa. In questa occasione si realiz­ zarono gli scavi che hanno messo in luce la crip- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 19 ta altomedievale, e permesso il recupero di di­ versi reperti conservati presso la stessa cripta e in corso di studio. Nell’archivio della suddetta soprintendenza non è stata trovata la documentazione relativa a que­ sto processo d’indagine, se non una breve noti­ zia che riporta indicazioni abbastanza generiche (SALMI 1973). I reperti ceramici rinvenuti, appartenenti ai secoli XV-XVIII, indicano che, con molta probabilità, la cripta è stata completamente obliterata nel corso dei restauri settecenteschi. Conferma questa attri­ buzione cronologica la costruzione dell’altare at­ tuale nell’anno 1755, secondo l’iscrizione che pre­ sente sul retro dello stesso. 3.5.2. Sequenza stratigrafica La lettura delle strutture conservate nella cripta di San Michele è resa difficile da diversi fattori: innanzitutto non avendo dati sui risultati dello scavo, non è sempre facile collegare le diverse murature conservate tra loro 16; la sistemazione attuale dell’ambiente, a seguito degli interventi di scavo, ha ulteriormente compromesso la leg­ gibilità delle strutture; ma soprattutto, le impor­ tanti trasformazioni che ha comportato la co­ struzione del XII secolo, condizionano la com­ prensione delle fasi altomedievali. La costruzio­ ne della nuova abside, che ha un orientamento leggermente diverso rispetto alla chiesa altome­ dievale, ha, infatti, previsto lo smontaggio di tutte le strutture perimetrali, tranne alcuni tratti nel lato nord, e la alcune murature di difficile com­ prensione (Figg. 31, 32). Tenendo presente queste difficoltà, sono state comunque identificate tre fasi principali: impiegati, sostenuti dalle analisi archeometriche condotte, attesta la contemporaneità degli inter­ venti osservati. La preparazione US 5 è stata realizzata con ma­ teriale di reimpiego, bozze allungate e ciottoli selezionati disposti in verticale, con letti di mal­ ta molto abbondanti. I materiali sono disposti in filari orizzontali e paralleli, ed erano destinati ad essere coperti da un intonaco. Al contrario, la muratura US 28 costituisce un unicum nell’architettura altomedievale lucchese e, in generale, Toscana. È stata realizzata con grandi bozze regolari di calcare alberese grigio da cava, disposte in filari orizzontali e paralleli (Fig. 34). La muratura, conservata soltanto in due filari, presenta un nucleo ben configurato, realizzato con le scaglie di lavorazione delle stesse bozze, disposte allineate all’esterno. La malta im­ piegata, che è la stessa utilizzata nella fondazio­ ne (US 22 e 5) è giallastra, con abbondati grumi di calce, molto depurata e abbastanza tenace. Il muro era coperto all’interno da un intonaco di calce decorato (US 23), che si conserva par­ zialmente nel contatto con la struttura della se­ guente fase costruttiva. Nella parete ovest della cripta attuale si può an­ cora osservare in sezione la continuità di questa muratura (US 6), mentre manca completamente nel lato opposto, giacche la fondazione dell’abside del XII secolo ha comportato il suo smon­ taggio completo. Si apprezzano ancora in nega­ tivo le tracce dell’allineamento meridionale del­ la prima costruzione nella malta del contatto con la struttura della seconda fase (US 4), che gli si appoggia direttamente. Per quanto riguarda la sua cronologia, questa fase si può attribuire alla fondazione della chiesa di San Michele, da situare probabilmente entro l’VIII secolo. FASE 1 FASE 2 Le strutture murarie più antiche presenti nella cripta di San Michele corrispondono alla mura­ tura settentrionale di chiusura dell’abside. Si trat­ ta di una struttura orientata E-O, conservata sol­ tanto in modo parziale dopo la fondazione dell’abside della terza fase, che ha un orientamento diverso e pertanto ha comportato la distruzione parziale di questo muro (Fig. 33). La muratura (US 28) è stata realizzata su una prima fondazione molto ampia di oltre 120 cm di spessore, costruita con ciottoli e materiali ir­ regolari in ampi letti di malta (US 22), e su una preparazione più stretta (US 5) destinata a livel­ lare la base costruttiva. L’omogeneità dei leganti Appoggiandosi all’intonaco US 23, è costruita una nuova muratura (US 4), che divide lo spazio della cripta in due ambienti separati dotati necessariamente di due accessi autonomi: uno occidentale di dimensioni limitate, nel quale è presente una soglia (US 12) collegata presuntamente con una scala di accesso, e uno orientale, che sappiamo voltato e riccamente affrescato dai materiali recuperati nel corso degli scavi. La muratura US 4, conservata per quasi due me­ tri di altezza, è realizzata con ciottoli seleziona­ ti, scaglie e bozze allungate e frammenti di late- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 20 rizi romani reimpiegati, con abbondanti letti di malta bianca e tenace. Sulla malta sono stati graf­ fiti dei finti filari, imitando dei conci regolari. I materiali piccoli sono disposti in verticale, se­ condo la tecnica della “spina di pesce”, mentre quelli più allungati vanno definendo dei filari orizzontali e paralleli (Fig. 35). Nella muratura sono state aperte due finestre (US 14, 15) a doppia strombatura, a circa 110 cm da terra, realizzate con la “panchina livornese”, materiale tenero ma tenace importato dall’area pisana, e con il davanzale in calcare. Addossate sul lato est e in fase con questa mura­ tura si trovano cinque semicolonne (US 17, 18, 19, 20, 21), di circa un piede di diametro. Le semicolonne sono state realizzate con mattoni romani ritagliati, pedalis, alternati con frammenti litici di “panchina livornese” e, in modo meno frequente, di calcare bianco. Le colonne erano ricoperte da uno spesso strato di intonaco, sul quale sono state realizzate delle finte scanalatu­ re con le dita. Su una di queste semicolonne si conserva un capitello cubico e massiccio realiz­ zato in travertino, indubbiamente ricavato da un concio delle mura repubblicane della città (Fig. 36). Nel pavimento dell’ambiente orientale si trova un tamburo di colonna scanalata di 26 cm di diametro (US 3), e le tracce di altre cinque al­ loggi per altrettante colonne. L’allineamento de­ finito da queste colonne coincide con la mura­ tura della prima fase, ma si discosta di circa 4º rispetto all’abside attuale. Queste colonne sor­ reggevano la copertura voltata della cripta, co­ stituita da materiali leggeri e ricoperta da un in­ tonaco affrescato, rinvenuto in modo frammen­ tario nel corso dello scavo, e ancora conservato all’interno della cripta. Dai resti conservati possiamo dedurre, quindi, che siamo in presenza di una cripta divisa in tre navate, coperta da una volta a crociera affresca­ ta e poggiante su almeno sei colonne e diverse semicolonne addossate alle murature che ne de­ limitano lo spazio. Non sappiamo come si acce­ deva al suo interno; è probabile che avesse un ingresso autonomo dall’esterno, oppure una scala che comunicava dal piano superiore. Probabilmente appartengono a questa fase le tre finestre tabernacolari reimpiegate nell’abside della chiesa attuale (Figg. 37, 38). La cronologia di questi rilievi è stata collocata nei secoli X-XI da Belli Barsali (BELLI BARSALI 1959, p. 30; BELLI BARSALI 1973, p. 529), mentre per il Salmi (1973, p. 459) sono da attribuire all’VIII secolo. Più recentemente R. Silva li ha datati tra il terzo e il quarto decennio dell’XI secolo, collegandoli in questo modo, all’attività del vescovo Giovanni II, considerato come il ricostruttore della chiesa (SILVA 1979, p. 79). Le caratteristiche costruttive della muratura US 4, che trova confronti con la fase 3.6. della chie­ sa di San Giovanni, orientano per una cronolo­ gia a cavallo tra il X e l’XI secolo. Confermereb­ bero questa proposta cronologica le informazioni disponibili sull’uso della “panchina” livornese, un materiale praticamente sconosciuto nell’architettura lucchese. Cavata in modo sistematico nell’ambito pisano a partire della fase finale del X secolo e i primi decenni dell’XI secolo, il suo uso diminuì in modo notevole a PIsa dalla seconda metà di questo secolo. A questo proposito, sono diversi gli autori che hanno attribuito la ricostruzione dell’edificio a Giovanni II (1023-1056), come M. Ridolfi o M. Salmi. Sappiamo che nel 1027 la chiesa di San Michele ricevette delle cospicue donazioni patri­ moniali in tutta la lucchesia da parte di Benzio, uno dei principali personaggi lucchesi della pri­ ma metà del secolo, che potrebbe aver costituito la base economica sulla quale è stata condotta que­ sta ricostruzione. Tuttavia, al momento non ri­ sulta possibile attribuire con assoluta certezza questo intervento con la seconda fase documen­ tata nella cripta di San Michele. Questa cronologia, della prima metà dell’XI se­ colo, troverebbe conferma, inoltre, con i paral­ leli formali e tecnologici che presenta la cripta della chiesa di Santa Giustina, anche se in que­ sto caso l’esecuzione è molto più sbrigativa. Si tratta di una cripta divisa in tre navi, coperte da volte a crociera, sostenute da colonne di età ro­ mana reimpiegate. Sopra queste colonne erano presenti dei capitelli cubici realizzati, come nel caso di San Frediano, con materiale di reimpie­ go; tuttavia in questo caso si utilizzano sia i con­ ci di travertino provenienti dalle mura romane che i materiali calcarei di età imperiale. Infine, anche in questo caso sono presenti delle semico­ lonne addossate alle murature, realizzate con mattoni di modulo romano. La muratura perimetrale è stata realizzata con ciottoli e blocchi irregolari disposti in grossola­ ni filari, con abbondante malta, e coperte da in­ tonaco (CIAMPOLTRINI 1992a, pp. 714-717). FASE 3 Corrisponde essenzialmente alla costruzione dell’abside della chiesa attuale, su un basamento realizzato con materiali reimpiegati di edifici ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 21 anteriori (US 2, 16, 23). Per la costruzione del basamento, sono stati im­ piegati grandi bozze e conci di calcare e di mar­ mo bianco allungati, con tracce di grappe, rifi­ niti con strumenti di punta e con evidenti guide di squadratura. Le caratteristiche dei materiali e la loro eterogeneità fanno pensare al ricorso di materiali reimpiegati, ma non si deve escludere che una parte sia stata coltivata in cava nello stes­ so momento in cui si riprende la ricostruzione del tempio. Su questo basamento fu innalzata l’abside attua­ le (US 1), con grandi conci di calcare bianco, disposti in filari regolari e orizzontali, con giun­ ti molto stretti. Non abbiamo notizie sufficienti per ricostruire l’assetto e il funzionamento della cripta in que­ sto periodo o in quello successivo. È certo che la muratura divisoria US 4 rimane in uso per pa­ recchio tempo, probabilmente fino all’interramento completo della cripta. Il livello pavimen­ tale fu rialzato di circa cm 30, come dimostrano le tracce presenti sul suddetto muro, e per ra­ gioni non molto chiare, una porzione della mu­ ratura della prima fase è rimasta in vista ancora per un po’ di tempo. Tuttavia, non si conservano abbastanza elementi per permettere di ricostruire con precisione le caratteristiche della cripta a partire da questo pe­ riodo. Per quel che riguarda la cronologia della terza fase, le caratteristiche della muratura absidale (US 1), in fase con le restanti parti del tempio, per­ mettono di collegarla con la ricostruzione dell’edificio nel XII secolo. 3.5.3. Valutazione finale Anche se le tracce conservate, appartenenti alle fasi altomedievali, sono modeste, risulta di gran­ de importanza l’analisi tecnica delle diverse strut­ ture. Come si è detto, la muratura in grandi bozze da cava della prima fase costituisce un unicum nell’architettura lucchese altomedievale, che ci mostra la presenza di artigiani altamente specia­ lizzati, noti dai documenti scritti proprio alla fine dell’VIII secolo e all’inizio del seguente. D’altra parte, le murature della seconda fase, nel­ la loro “semplicità” costruttiva, mostrano un’elevata complessità tecnica, sia nell’uso dei mate­ riali di reimpiego, che nell’utilizzo di materiale da cava tenero e ben adatto alla lavorazione come la “panchina livornese”, importata dall’ambito pisano e estremamente rara nell’architettura luc­ chese, che pare poter situarsi tra la fine del X secolo e la prima metà dell’XI. 3.6. SAN VINCENZO (BASILICA FREDIANO, LUCCA) DI SAN 3.6.1. Premessa 17 La chiesa di San Vincenzo (Fig. 2, 5), attuale San Frediano, è uno degli edifici ecclesiastici dell’architettura medievale lucchese più studiati, essendo diversi gli autori che se ne sono occupati, tra cui bisogna menzionare R. Silva, che ha scritto un’importante monografia nel 1985, e tra gli altri, G. Ciampoltrini e P. Notini che hanno condotto più recentemente alcune indagini stratigrafiche (1990). La chiesa fu fondata al di fuori del recinto mu­ rario di età romana, in una zona non urbanizza­ ta in precedenza, nei pressi di una struttura stra­ dale e di un’area artigianale, obliterate in età tar­ doantica (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, p. 578). Secondo la tradizione, la chiesa di San Vincenzo fu fondata (o restaurata?) dal vescovo di Lucca San Frediano, vissuto nel VI secolo, anche se non esistono prove documentali a riguardo (BELLI BARSALI 1973, p. 465). La prima menzione della chiesa di San Vincenzo (titolazione altomedievale, sostituita successiva­ mente da quella attuale di San Frediano) risale al 686, che ricorda come il monastero fosse stato ricostruito da Faulo, maior domus di re Cuniperto (MDL IV/1, n. 33). Nel complesso della Basilica di San Frediano sono stati realizzati diversi scavi, che hanno per­ messo di mettere in luce strutture appartenenti ad edifici anteriori all’attuale, che si data nel XII secolo, quando è ricostruito con un orientamento opposto a quello canonico per favorirne l’integrazione all’impianto urbanistico medievale. Nel 1840 furono eseguiti dall’architetto G. Par­ dini diversi saggi nel sagrato che misero in luce una muratura semicircolare, interpretata come un’abside, e quattro fondazioni di blocchi, per­ tinenti ad un probabile loggiato. Purtroppo, di questo intervento si conserva soltanto un rilievo e poche notizie raccolte da R. Silva (1979). Nel 1973 la Soprintendenza ai Monumenti rea­ lizzò un saggio all’interno della basilica, nell’area del battistero, in occasione della ricomposizio­ ne e collocazione di questo monumento all’esterno del colonnato meridionale (BELLI B ARSALI 1950). Questi lavori hanno interessato un’area di 11×6 m e hanno permesso di recuperare le ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 22 tracce dell’impianto originario della chiesa di San Vincenzo. I resti rinvenuti sono rimasti in vista all’interno di un piccolo ambiente rettangolare, sotto l’attuale livello pavimentale della chiesa. Alla fine degli anni 80 sono stati infine realizzati nuovi saggi, questa volta con criteri stratigrafici, da parte della Soprintendenza Archeologica del­ la Toscana. I piccoli saggi sono stati condotti all’esterno del transetto della chiesa, individuato alla metà del secolo nell’area del Reale Collegio, e hanno permesso di delineare una prima sequen­ za di occupazione della basilica (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, pp. 574-578). 3.6.2. Sequenza stratigrafica La lettura stratigrafica si è limitata alle strutture scavate nell’anno 1950 sotto l’area del battiste­ ro (Fig. 39). Quest’area archeologica fu sistema­ ta mediante una copertura in cemento armato, retta da diversi pilastri realizzati nello stesso materiale e con laterizi. Gli sterri hanno com­ pletamente asportato i sedimenti, risparmiando soltanto alcuni pani di terra rimasti sotto le strut­ ture, e decontestualizzando le murature conser­ vate. La lettura, quindi, dei tratti murari ha pre­ sentato notevoli difficoltà, e si è fatto ricorso ad un’analisi archeometrica sistematica dei materiali e delle malte impiegate, per stabilire le analogie e le sincronie tra i diversi elementi costruttivi. Come risultato di questa ricerca è stato possi­ bile determinare l’esistenza di sette fasi costrut­ tive (Fig. 40). FASE 1 I resti più antichi conservati nel sottosuolo dell’attuale basilica appartengono ad un settore dell’abside della chiesa di San Vincenzo. Si tratta in particolare della metà di un’abside semicircola­ re, iscritta in un rettangolo, e parte del transetto settentrionale della chiesa. La muratura esterna del transetto è stata individuata nei saggi realiz­ zati dalla Soprintendenza Archeologica negli annessi scantinati dell’area del Reale Collegio (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990). Quest’abside (US 1, 5, 12) era orientata canonicamente ad est, in modo opposto a quella attuale, ed era dotata di una serie di pilastri sporgenti (US 6, 15), inter­ pretati da G. Ciampoltrini come basi di grandi arcate. La muratura di questa fase (fase 1a) è stata rea­ lizzata con blocchi irregolari spaccati di calcari ceroidi provenienti da cave dei Monti Pisani. I materiali sono disposti senza corsi, con abbon­ danti letti di malta, che si presenta giallastra e tenace, e che è stata lisciata, coprendo parzial­ mente i materiali costruttivi. Non sono rimaste tracce di intonaci relativi a questa fase (Fig. 41). I reimpieghi sono molto scarsi, e si situano es­ senzialmente negli spigoli, dove sono presenti dei grandi conci di marmo accuratamente rifini­ ti. All’interno dell’ambiente si conservano anco­ ra dei mattoni “manubriati”, evidentemente rin­ tracciati nel corso dello scavo, senza però poter­ ne determinare la provenienza stratigrafica. As­ sociata a questa fase costruttiva è un livello di vita (US 18) di circa 20 cm di potenza, presente nelle sezioni conservate. Gli autori che hanno analizzato queste muratu­ re concordano nell’identificarle come i resti del­ la più antica chiesa di San Vincenzo, attribuita secondo la tradizione al vescovo Frediano, nel VI secolo (Fig. 43). Tuttavia, i confronti tipologici della pianta per­ mettono di datare questa costruzione tra la fine del IV e la prima metà del V secolo d.C. Secon­ do G. Ciampoltrini, sono inoltre da riferire a questo periodo i pilastri marmorei degli inizi del V secolo ancora presenti nel portale della fiancata meridionale, che si apre sulle cappelle meridionali della basilica (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, p. 574; CIAMPOLTRINI 1991b, p. 45). Appartiene ad una fase successiva (fase 1b) una struttura semicircolare situata al centro dell’abside (US 2), realizzata esclusivamente con mate­ riale romano di reimpiego (laterizi, rilievi e con­ ci di marmo), e associata ad una base per l’alloggio di un possibile tamburo di colonna (US 24). Non si esclude, comunque, che si tratti di strut­ ture appartenenti all’arredo della prima chiesa di San Vincenzo (base d’altare?), anche se le malte escludono la contemporaneità di queste struttu­ re rispetto alla prima fondazione. Le quote di fondazione permettono, tuttavia, di pensare che questa struttura sia stata fondata prima del crol­ lo che ha interessato il primo impianto della chie­ sa (fase 2). FASE 2 In un momento cronologicamente non determi­ nato si registra il crollo parziale della struttura, come ci attesta il pilastro n. 6. A seguito di que­ sto crollo, si deposita un riempimento di oltre 50 cm che copre le strutture rasate e il livello pavimentale anteriore (US 16, 17). Non sappia­ mo però se la formazione di questo deposito, che ha restituito reperti archeologici, sia dovuta ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 23 ad una fase di abbandono delle strutture, oppu­ re sia da mettere in relazione con un riempimento costruttivo sul quale si è impostato il restauro della chiesa. Le analogie delle malte hanno permesso d’identificare una prima fase di restauro che è consisti­ ta nella costruzione di diverse strutture realizza­ te con gli stessi calcari ceroidi della fase prece­ dente, che probabilmente reimpiega. Appartengono a questa attività costruttiva la muratura 4 e il pilastro 3, all’interno della chie­ sa, oltre alla tomba 10 e alla muratura 19 all’esterno. Probabilmente sono da attribuire a questa fase anche alcune delle strutture addos­ sate all’esterno del transetto, identificate nel cor­ so degli scavi realizzati negli anni 80. La muratura 4 è realizzata con calcari ceroidi spaccati, probabilmente reimpiegati dalla fase anteriore e disposti senza formare corsi. Asso­ ciata a questa struttura, che sembra chiudere lo spazio absidale dal resto del transetto, è una nuo­ va base (US 3), probabilmente d’altare, che so­ stituisce la 24, ormai interrata dopo il crollo della struttura. Addossata al pilastro US 15 della fase 1a è col­ locata una tomba (US 10), realizzata con mate­ riali laterizi e lapidei romani di spoglio, coper­ ti da un intonaco biancastro. Dalla sua posizio­ ne, all’interno del recinto absidale, si deduce che siamo in presenza di una “tomba privile­ giata”. All’esterno dell’abside è costruita, in questa fase, una muratura (US 19) che chiude ad est una stan­ za addossata al transetto settentrionale, di fun­ zione non nota. La muratura, conservata soltanto in modo parziale per gli interventi successivi, è realizzata con conci di marmo, laterizi romani e calcari ceroidi spaccati, reimpiegati. La mancanza, per il momento, di indicatori cro­ nologici certi impedisce di formulare una cro­ nologia precisa per questo restauro. Sulla muratura è stato steso uno spesso intonaco grigio (US 21) associato ad un pavimento di ca­ ratteristiche simili (US 23), conservato soltanto in modo parziale. Per quanto riguarda la cronologia di questa atti­ vità edilizia, mancano ancora una volta indicato­ ri precisi. G. Ciampoltrini propone una cronolo­ gia dalla fine del VII secolo, basandosi sul ritro­ vamento di due plutei murati nella chiesa roma­ nica, e sulla notizia del restauro condotto da Faulo, maior domus del re Cuniperto (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, p. 578). Tuttavia, non risulta possi­ bile al momento sostenere con certezza questa attribuzione, per la difficoltà di collegare la noti­ zia e i rilievi con questa fase concreta (Fig. 45). Si può tentare un’attribuzione cronologica, ba­ sandosi sulla sequenza relativa del complesso e sull’evoluzione delle tecniche costruttive, osser­ vata in altri edifici lucchesi altomedievali. Come segnala lo stesso Ciampoltrini, siamo in presenza di tecniche costruttive ancora radicate nelle tra­ dizioni edilizie tardoantiche, e per tanto, è possi­ bile proporre, in via ipotetica, una cronologia tra il V e gli inizi del VI secolo, anche se occorrereb­ bero nuove ricerche sul sito per confermarla. FASE 3 FASE 5 In questa fase si osserva una ricostruzione della chiesa, decisamente più importante di quella pre­ cedente, documentata nel settore terminale dell’abside e nel transetto. La muratura (US 20=13), realizzata con mate­ riale di cava, impiega listelli appena lavorati di calcare selcifero dell’unità di Santa Maria del Giudice (pp. 122). Sono materiali allungati e sfal­ dati, estratti seguendo la stratificazione natura­ le, e legati con una malta grigia e tenace, con giunti e letti di posa molto ampi (Fig. 44). In un momento successivo è documentato l’abbandono di queste strutture, e la costruzione di una nuova muratura che taglia in due lo spazio dell’abside e l’assetto della chiesa tardoantica. Questa muratura (US 8) è realizzata con bozze e ciottoli non selezionati disposti in verticale, tal­ volta a “spina di pesce”, alternati con scaglie li­ tiche reimpiegate, su filari orizzontali. I giunti sono ampi e irregolari, e si impiega una malta giallastra molto tenace. Il muro presenta una fondazione realizzata a ca. FASE 4 Una nuova muratura (US 7), perpendicolare al transetto, conservata soltanto in modo parziale e di funzione non nota, è realizzata, addossan­ dosi all’intonaco della fase precedente. La mu­ ratura è realizzata con ciottoli d’arenaria sele­ zionati e allungati, talvolta spaccati nella faccia a vista, e disposti in verticale, a “spina di pesce”. I materiali sono legati con una malta bianca molto tenace. L’analogia dei leganti ha permesso di osservare come, nello stesso periodo, si assiste a un restau­ ro degli ambienti situati all’esterno della chiesa, dimostrato dalla stesura dell’intonaco 22. ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 24 50-60 cm dal piano di calpestio attuale, che per­ mette di supporre che fu costruito sul piano pa­ vimentale della chiesa della fase 4. Risulta complesso interpretare le ragioni che hanno portato all’abbandono delle strutture pre­ cedenti e alla costruzione del muro US 8, oltre a determinarne la cronologia. Una prima ipotesi sarebbe quella di considerare la muratura US 8 come il perimetrale di una nuo­ va chiesa di maggiori dimensioni, che ha oblite­ rato le strutture precedenti. A questo proposito è importante chiamare in causa le proposte rea­ lizzate da R. Silva diversi anni fa. Quest’autore sosteneva l’esistenza di una seconda chiesa, pre­ cedente a quella attuale di San Frediano e poste­ riore a quella tardoantica, di pianta basilicale senza transetto. L’abside di questo secondo edi­ ficio sarebbe da identificare con il muro semicir­ colare rinvenuto negli scavi dell’anno 1840, rea­ lizzati nel sagrato della costruzione attuale, e non più visibili. Considerato questo restauro come un’azione del vescovo Giovanni II, Silva colloca cronologicamente quest’attività edilizia intorno alla metà dell’XI secolo (SILVA 1979a, p. 88). Questa interpretazione non è considerata da G. Ciampoltrini nel suo studio sull’edificio. Certa­ mente, l’impossibilità per il momento di pren­ dere visione diretta dei resti rinvenuti e le ridot­ te dimensioni dei saggi realizzati, impediscono di verificare quest’ipotesi. L’unica alternativa sa­ rebbe quella di considerare la muratura US 8 come parte della fondazione del XII secolo dell’attuale chiesa di San Frediano; tuttavia, contro questa identificazione sarebbero le notevoli dif­ ferenze della malta, dei materiali e delle tecni­ che costruttive rispetto alle fondazioni rintrac­ ciate sopra questa muratura. L’unica cosa certa è che la costruzione della mu­ ratura 8 segna la fine dell’impianto originario della chiesa di San Vincenzo. Nel caso si potesse stabilire la sincronia tra questa struttura – fon­ data sui livelli pavimentali della fase 3 – e la pre­ sunta abside rinvenuta nei vecchi scavi, sarebbe suggestivo interpretare questa costruzione come la vera rifondazione della chiesa, questa volta intitolata a San Frediano, e associarla con la se­ rie di rilievi scultorei rinvenuti ad entrambi i lati dell’abside della basilica, datati di recente alla prima metà dell’VIII secolo (C IAMPOLTRINI 1991b). Questa cronologia sarebbe, inoltre, so­ stenuta dal tipo di tecnica costruttiva, che trova confronti con altri edifici di questo periodo. Quindi, anche se è necessario realizzare nuove indagini per verificarne la validità, con i dati di­ sponibili al momento credo che si possa acco­ gliere l’ipotesi di R. Silva. FASE 6 Sfruttando l’allineamento della muratura US 8, fu realizzata, in un secondo momento, una nuo­ va struttura che costituisce la fondazione del co­ lonnato dell’attuale basilica di San Frediano. La nuova fondazione (US 9), legata alla muratura US 8 con la tecnica del “cuci-scuci”, è costruita con bozze e piccoli conci di arenaria regolari, la­ vorati con il picconcello e disposti in filari oriz­ zontali e regolari. I giunti sono stretti e regolari, e si è utilizzata una malta bianca e molto tenace. La cronologia di questo intervento è da collegare alla ricostruzione della chiesa nel corso del XII se­ colo. Dai dati documentali noti, sappiamo che que­ sti lavori sono iniziati verso il 1115 ed erano già abbastanza avanzati intorno alla metà del secolo, quando papa Eugenio III consacrò la chiesa. FASE 7 Infine, appoggiandosi alla fondazione del XII secolo, si realizzano le murature che chiudono ad est e a nord l’ambiente indagato (US 11, 14). Queste murature, che tagliano strutture apparte­ nenti a periodi precedenti (US 19, 4, 2), sono co­ struite con ciottoli non selezionati disposti senza corsi, con abbondanti letti di malta giallastra, molto tenace. Occasionalmente sono presenti ma­ teriali di reimpiego, disposti in filari orizzontali. Probabilmente sono strutture che si possono mettere in relazione con la sistemazione del fon­ te battesimale nel XIII secolo. 3.6.3. Valutazione finale Lo studio di una porzione limitata dell’edificio altomedievale ha permesso di recuperare una complessa sequenza costruttiva compresa tra i secoli IV e XIII. Purtroppo, diversi problemi in­ terpretativi non sono stati risolti in modo ade­ guato, e le cronologie disponibili non sono ab­ bastanza precise, soprattutto per quanto riguar­ da le fasi 2-5. È da rilevare per le prime fasi l’impiego in diver­ se occasioni di materiali da cava, e la scarsa pre­ senza di materiali di reimpiego. Mancano, infat­ ti, completamente i conci di travertino prove­ nienti dalle mura repubblicane, frequenti nei prin­ cipali edifici urbani di questo periodo. Soltanto a partire della fase 4 si osserva l’utilizzo di ciottoli e di materiale raccolto, che sembra caratterizzare gli edifici di età tardolongobarda ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 25 e carolingia. 3.7. BADIA DI SAN BARTOLOMEO CANTIGNANO (CAPANNORI) DI 3.7.1. Introduzione Badia di Cantignano è una piccola frazione del comune di Capannori situata a circa 10 km a sud-est di Lucca, ai piedi dei Monti Pisani (Fig. 3, n. 2). Si tratta, attualmente, di un’area occupata da poche case sparse, tra le quali spicca il com­ plesso formato dalla chiesa di San Salvatore e alcuni edifici annessi, appartenenti all’antica badia (Fig. 46). La prima menzione della chiesa di San Salva­ tore di Cantignano risale all’anno 914 (MDL V/III, doc MCLIV, p. 78), anche se soltanto nel corso dell’XI secolo compare come mona­ stero. Lo studio dei documenti relativi ai primi anni di vita del complesso evidenzia come si tratti di una fondazione realizzata da una famiglia aristocratica vincolata ai Vorno, e per questo possiamo interpretare la Badia come un mo­ nastero di famiglia (SCHWARZMAIER 1984, p. 80). Si tratta di un gruppo familiare che pre­ senta forti legami con la parentela del giudice Leo, proprietario del castello di Vorno, e uno dei personaggi più rilevanti della società luc­ chese dell’XI secolo. Gli atti conservati infor­ mano di come questi fondatori dotano la Ba­ dia di importanti beni, e pongono un abate a capo del monastero. È frequente in questo pe­ riodo il ricorso alla fondazione di “monasteri familiari” da parte dei principali gruppi signo­ rili della Lucchesia, che evitano in questo modo la dispersione fondiaria, ma soprattutto cana­ lizzano i rapporti sociali e politici in un deter­ minato territorio. Sicuramente è stato uno dei monasteri più fio­ renti di tutta la diocesi, come indicano gli estimi medievali conservati. Il monastero è soppresso nel 1745, e la chiesa è trasformata in parroc­ chia, acquistando probabilmente in questa occa­ sione il titolo di San Bartolomeo, che ancora oggi ostenta. Nel 1966 sono stati realizzati alcuni saggi di sca­ vo nell’area dell’abside, in occasione della rimo­ zione dell’altare settecentesco esistente, che han­ no permesso di recuperare alcuni dati sulla se­ quenza occupazionale del sito. Le strutture più antiche rinvenute appartengono ad una struttu­ ra d’età romana, relativa ad un edificio rurale di una certa rilevanza, poiché dotato di un pavi­ mento musivo, e allineato con la centuriazione della piana di Lucca. Sui ruderi dell’edificio si impianta un’area funeraria che segue l’allineamento dei resti romani, da collocare probabil­ mente nei secoli VI-VII (LERA 1966; MENCACCI, ZECCHINI 1982, pp. 163-167; CIAMPOLTRINI 1995, pp. 562-564). Si può ipotizzare che si tratti di una villa altoimperiale, impiegata nei secoli cen­ trali dell’altomedioevo come necropoli, secon­ do una tendenza ben documentata in altri im­ pianti rurali toscani, e successivamente utilizza­ ta come area di culto. 3.7.2. Sequenza stratigrafica L’edificio ecclesiastico di Badia di Cantignano si trova integrato in un complesso di maggiori di­ mensioni, costituito da una serie di costruzioni or­ ganizzate intorno ad un cortile porticato e note come “Palazzo delle Cento Finestre”, che forma­ vano la struttura monastica annessa alla chiesa. Tro­ vandosi quasi completamente intonacato e in pro­ cesso di restauro non è stato possibile determinar­ ne la sequenza d’occupazione. Sul lato sud della chiesa si trova la casa rettorale, che impedisce la visione di una porzione dell’edificio. Anche sul tran­ setto settentrionale e su una parte dell’abside si addossa un altro corpo costruttivo, che limita ulte­ riormente la lettura dei paramenti della chiesa. Ciononostante, l’analisi archeologica ha permes­ so di osservare l’esistenza di tre fasi costruttive principali (Figg. 47, 48): FASE 1 Sono stati identificati alcuni tratti murari perti­ nenti a questa attività nella parte posteriore del­ la costruzione, essenzialmente nella base dell’abside, e in alcuni settori del transetto, in modo particolare in quello meridionale. Nell’abside si osserva come il paramento sia sud­ diviso in un basamento di quattro filari di altez­ za, realizzato con conci irregolari e bozze allun­ gate di verrucano, probabilmente riutilizzate (US 1, 7, 8). La muratura absidale e quella del tran­ setto (US 2, 9, 10), sono realizzate con materiali reimpiegati di grandi dimensioni, ciottoli e pic­ cole bozze irregolari, murate con abbondanti let­ ti di malta, formando filari orizzontali e paralleli. Questi materiali sono con frequenza disposti in­ clinati, a “spina di pesce”. La malta, dura e molto tenace, si presenta graffita a finti filari, secondo ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 26 un ricorso ben testimoniato in altri edifici coevi (Fig. 49). Nel transetto meridionale sono presenti anche dei lacerti murari (US 5) realizzati con ciottoli di verrucano e frammenti di laterizi romani re­ impiegati, disposti a “spina di pesce” e integrati nel paramento appartenente alla seconda fase. Dalla posizione di queste murature, che sono state inglobate nella ricostruzione eseguita nel corso della seconda fase, possiamo dedurre che ci troviamo in presenza di un edificio di notevo­ li dimensioni, anche se non è possibile al mo­ mento proporre un’ipotesi sulla sua volumetria, in assenza di indagini più analitiche. Per quanto riguarda la cronologia di questa fase costruttiva, la serie di rilievi scultorei rinvenuti nell’edificio (BELLI BARSALI 1959, pp. 20 ss.), e i mosaici presenti ancora nell’ingresso del transet­ to settentrionale (Fig. 50) e nel Museo Nazionale di Villa Guinigi orientano verso una cronologia da situare agli inizi dell’VIII secolo (CIAMPOLTRINI 1995, p. 562). Questa attribuzione cronologica è inoltre supportata dalle forti analogie riscontrate con le costruzioni coeve del territorio lucchese. FASE 2 In questa fase si ricostruisce completamente l’edificio, con pianta a croce latina e con abside uni­ ca. Questa ricostruzione s’imposta, nel lato po­ steriore sulle strutture altomedievali appartenenti alla fase precedente, che in questo modo si sono conservate in elevato, a differenza delle navate dove sono andate perdute. Questa sovrapposi­ zione è ben evidente nell’abside, che è stata rial­ zata con una muratura coronata da sette arcate cieche a tutto sesto impostate su lesene pensili. La muratura è stata realizzata con conci di ver­ rucano, non sempre perfettamente squadrati, formando corsi tendenzialmente orizzontali e paralleli. I conci sono rifiniti con uno strumen­ to a lama piana, tipo polka (BIANCHI, PARENTI 1996) e presentano dei moduli dimensionali variabili, giacche tendono ad aumentare nella navata verso la facciata, e diminuiscono in al­ tezza. Le superfici esterne e di contatto fra i blocchi sono state sommariamente spianate, in modo da ridurre al massimo gli interstizi fra i blocchi lapidei. Sono presenti in modo occa­ sionale mattoni di età romana, reimpiegati come zeppe. La tecnica costruttiva è più curata nell’abside, dove i conci sono stati perfettamente riquadrati e rifiniti (Fig. 51). La facciata era invece realizzata con conci di calcare bianco e di verrucano. Per quanto riguarda la cronologia di questa fase costruttiva, bisogna sottolineare l’esistenza nell’abside di una serie di cavità (US 19, 20, 21, 22) destinate all’alloggio di “bacini” ceramici non conservati. Sei “bacini” si conservano invece nel transetto settentrionale. Non è possibile determi­ nare con completa sicurezza se queste ceramiche si trovino in posizione originaria, oppure proven­ gano della facciata, demolita in un momento po­ steriore. Resta il fatto che le ceramiche, pertinen­ ti a questa fase costruttiva, si possono datare nel corso dell’XI secolo e in modo più preciso intor­ no alla metà del secolo, presentando confronti stretti con i bacini di Santo Stefano extra moenia di Pisa (BERTI, CAPPELLI 1994, p. 50). FASI 3, 4, 5 L’edificio ecclesiastico ha subito una serie d’interventi in età postmedievale che hanno modifi­ cato l’assetto generale del complesso. L’intervento più importante riguarda il crollo della facciata e di una parte della navata nel set­ tore nord-ovest, comportando il ridimensiona­ mento dell’edificio (fase 3). Come conseguenza del crollo, la nave dell’edificio è stata infatti ac­ corciata di cinque metri, e si è costruita una nuo­ va facciata con una tecnica irregolare che reim­ piega i materiali provenienti dalla muratura me­ dievale. Non sappiamo però se appartengono a questo periodo i diversi interventi documentati in altri settori dell’edificio, consistenti nell’apertura di diversi vani (US 3, 14, finestra del transetto set­ tentrionale), per cambiare le fonti d’illuminazione della chiesa. Successivamente (fase 4) sono state tamponate le finestre aperte nell’abside (US 4, 15), e ese­ guiti interventi minori (fase 5), come la colloca­ zione di alcuni strati d’intonaco che hanno par­ zialmente compromesso la lettura di alcuni set­ tori della costruzione (US 23). Al momento non risulta possibile determinare la cronologia di questi interventi, in assenza di indicatori cronologici precisi. È probabile co­ munque che la fase tre si possa collegare alla sop­ pressione del convento e alla sua trasformazio­ ne in parrocchia nel corso del XVIII secolo. 3.7.3. Valutazioni finali La Badia di Cantignano è una delle costruzioni ecclesiastiche rurali più importanti conservate nella piana di Lucca, giacche ci permette di ave- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 27 re delle indicazioni ben datate di due momenti molto significativi nella storia dell’architettura altomedievale lucchese. In particolare, la secon­ da fase dell’edificio costituisce, al momento, la prima attestazione ben datata dell’impiego dell’opera quadrata nell’architettura lucchese in età medievale. Per quel che riguarda la prima fase, invece, ci troviamo di fronte ad una delle poche attestazioni, databili all’VIII secolo, momento di grande attività edilizia nell’ambito lucchese, fi­ nora scarsamente documentata, in modo parti­ colare in città. 3.8. SAN GIUSTO (CAPANNORI) ALLA CAIPIRA, MARLIA, 3.8.1. Introduzione La piccola chiesa di San Giusto alla Caipira è ubicata nella piana di Lucca, all’interno del ter­ ritorio della pieve di Marlia. La chiesa è isolata e situata in posizione marginale rispetto al cen­ tro attuale della località, dove si trova la pieve di Santa Maria (Fig. 3, n. 3). Nell’altomedievo il territorio di Marlia era co­ stituito da insediamenti sparsi, tra i quali erano presenti fino a sette piccole chiese, che costitui­ vano i principali elementi di riferimento spazia­ le di questo ampio territorio. Caipira era una di queste località, che ha trovato la sua definizione e identità intorno alla chiesa di San Giusto. Questo edificio ha ricevuto una particolare at­ tenzione degli studiosi di architettura medieva­ le, in quanto considerata come «l’edificio me­ dievale più antico della nostra regione e forse della Toscana medesima» (LUPORINI 1956, p. 407), e come un archetipo delle costruzioni al­ tomedievali. Si tratta di un edificio semplice e di piccole di­ mensioni, costituito da una sola nave e unica abside con copertura a capanna. La chiesa è ri­ dotta a stato di rudere, e ha subito recentemente vari interventi che hanno compromesso notevol­ mente la sua lettura. 3.8.2. Sequenza stratigrafica La lettura stratigrafica dell’edificio ha permesso d’identificare l’esistenza di quattro fasi costrut­ tive principali (Fig. 52, 53). FASE 1 Le strutture relative alla prima fase costruttiva sono conservate esclusivamente nelle fiancate della nave (US 1), giacché la facciata e l’abside sono state ricostruite in un secondo periodo. Il paramento è realizzato con ciottoli d’arenaria selezionati e talvolta spaccati nella faccia vista, con bozze disposte in filari orizzontali e paralle­ li. In modo molto occasionale i ciottoli si presentano allungati e disposti inclinati a “spina di pesce”. I materiali sono murati con abbondanti letti di malta, e con giunti ampi e irregolari. Di questa fase si conservano ancora due monofore a doppia strombatura realizzate in blocchi irre­ golari di arenaria (US 2, 3). Non è stato possibile determinare l’esistenza di intonaci appartenenti a questo periodo, giacché le trasformazioni recenti hanno modificato l’assetto del paramento. Per quanto riguarda la cronologia di questa fase edilizia, bisogna tenere conto della prima men­ zione dell’edificio, che risale all’anno 987 (MDL V/III, n. 1619). Nell’abside appartenente alla fase posteriore è stato inoltre reimpiegato un archetto di finestra datato da diversi autori ai secoli VIII o IX (LUPORINI 1956, p. 407) 18. La tecnica costruttiva non aiuta a definire con maggior precisione la cronologia dell’edificio, giacché si ritrovano analogie sia con le struttu­ re datate nel periodo tardolongobardo o caro­ lingio – come la Badia di Cantignano, la chiesa dei SS. Giovanni e Reparata, o la vicina San Martino a Ducentola – che con quelle del X e inizi dell’XI secolo, come la fase 1 di San Loren­ zo a Cerreto, il Battistero o la fase 3.6. della già menzionata chiesa dei SS. Giovanni e Reparata. FASE 2 In un secondo momento sono ricostruite la fac­ ciata (US 8) e l’abside (US 6, 7), mantenendo l’assetto originario dell’edificio altomedievale. In questa occasione, i paramenti sono realizzati con conci di dimensioni variabili di arenaria, accuratamente squadrati e spianati con uno stru­ mento a lama piatta. I conci sono disposti in fi­ lari orizzontali e paralleli, per orizzontale e fac­ cia quadra. L’abside conserva ancora un corona­ mento ad archetti pensili monolitici, poggianti su mensoline decorate. Anche se al momento non si dispone di elementi cronologici precisi, l’apparecchiatura, che ricor­ da da vicino quella di San Martino in Ducento­ la, potrebbe datarsi entro il XII secolo. ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 28 FASE 3 L’edificio ha subito notevoli problemi statici, come testimoniano le lesioni verticali che si osservano in più punti della muratura, e in modo particola­ re nel lato nordoccidentale e nell’abside. Ancora in età medievale fu quindi necessario re­ alizzare un intervento di restauro nel lato orien­ tale della navata settentrionale. Probabilmente in occasione di un cedimento, fu realizzato un nuovo paramento (US 4) a scarpa con conci ir­ regolari di arenaria e materiali reimpiegati di di­ verse caratteristiche. In fase con questo restauro è un’apertura con architrave a timpano poggiante su mensole modanate (US 5), datata in contesti rurali della Toscana nordoccidentale nei secoli XIV-XV 19. FASE 4 Si possono attribuire ad un intervento di età postmedievale, senza possibilità di stabilire con maggior precisione la sua cronologia, diverse modifiche e restauri realizzati sempre in prossi­ mità dell’abside e della congiunzione con la nave settentrionale. In particolare, la testata absidale è rettificata (US 9) e ricostruita, ricorrendo in questa occasione ai laterizi. È inoltre possibile che in occasione di questo restauro sia stato steso un intonaco conservato soltanto parzialmente. 3.8.3. Valutazione finale Da quanto segnalato finora, risultano evidenti i numerosi paralleli tra la storia costruttiva di que­ sto edificio e la vicina chiesa di San Martino in Ducentola. Fondata probabilmente come chiesa privata nei secoli finali dell’altomedioevo, presenta le ca­ ratteristiche ricorrenti in questo tipo di struttu­ ra, sia per le sue limitate dimensioni che per la semplicità delle sue forme. La tecnica costruttiva impiegata nella sua costru­ zione è quella predominante nelle scuole costrut­ tive urbane di Lucca, che raggiunse comunque anche il territorio rurale più vicino alla città. Quando nel XII secolo si fondarono i comuni rurali, le chiese delle Sei miglia diventarono i riferimenti sociali e spaziali di riferimento dell’insediamento. Il principale effetto di questo processo fu la ricostruzione o la rifondazione della maggior parte degli edifici religiosi alto­ medievali in vesti “romaniche”. San Giusto, come la già menzionata chiesa di San Martino, fu ri­ sparmiata da queste rifondazioni, ed è stata mo­ dificata soltanto nella facciata e nell’abside. L’edificio fu ancora modificato e trasformato nei secoli posteriori, ma i principali lavori condotti sono esclusivamente di manutenzione. La mar­ ginalità dell’edificio, distante dalla rete insedia­ tiva, non ha fatto che aumentare con i secoli, determinando il suo abbandono attuale: sono infatti pochi gli abitanti di Marlia che conosco­ no l’ubicazione della chiesa. 3.9. SAN CASSIANO DI CONTRONE (BAGNI DI LUCCA) 3.9.1. Premessa La chiesa di San Cassiano di Controne è ubicata nell’omonima frazione, sul versante destro della valle del fiume Lima, nel settore montuoso della lucchesia (Fig. 3, n. 5). La Controneria, nello stesso modo che altri ter­ ritori della montagna lucchese, è uno dei “fines” o circoscrizioni territoriali longobardi menzio­ nati nelle fonti altomedievali come strutture amministrative d’organizzazione dello spazio, di entità minore rispetto a quelle urbane. A capo di questi territori normalmente si trovava un ca­ stello associato ad una pieve, come nel caso del territorio di Castelnuovo o di Carfaniana 20 . In questo ultimo caso, era Piazza al Serchio il ca­ poluogo amministrativo, dove si trovava il ca­ stello altomedievale 21 associato alla pieve di San Pietro. Nel caso di Controne, invece, sono ben evidenti le tracce di una struttura castellana nel colle “Castello” ubicato proprio sopra la pieve di San Giovanni. In assenza d’interventi di sca­ vo non è stato tuttavia possibile determinare la cronologia del sito e le sue caratteristiche, giac­ ché il castello ha avuto una continuità d’occupazione almeno fino al basso medioevo. All’interno di queste circoscrizioni, sappiamo dell’esistenza dall’VIII secolo di una fitta rete di in­ sediamenti rurali, molti di loro articolati intorno a strutture ecclesiastiche, fondate con frequenza per iniziativa privata da parte dei ceti dirigenti. La chiesa di San Cassiano compare per la prima volta nella documentazione medievale nel 772, probabilmente come fondazione privata (MDL V/2, n. 139, p. 81). Tuttavia, l’assetto attuale dell’edificio è dovuto ad una ricostruzione databile nell’XI secolo, e ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 29 non sono più rintracciabili le murature della pri­ ma fondazione (Fig. 54). La chiesa è stata oggetto di studio da parte di numerosi autori, sia per la sua ricca decorazione architettonica che per la sua relazione con alcu­ ni modelli costruttivi destinati ad avere una gran­ de fortuna nell’architettura medievale lucchese. Sono state proposte per questo edificio varie cro­ nologie: i secoli IX-X (BARACCHINI, CALECA 1970, pp. 11-17) nella prima metà del XII (SALMI 1958, p. 20) o nel XI secolo (SILVA 1979b, BARACCHINI 1992). Attualmente la chiesa di San Cassiano è al cen­ tro della piccola frazione di Controne, compo­ sta da un numero limitato di abitazioni, su un terrazzo che domina la valle del fiume Lima. L’edificio, impostato sul pendio, presenta tre na­ vate con abside unica, e si appoggia alla torre campanaria. In realtà, l’assetto attuale dell’edificio è il frutto di una serie di numerosi interventi, giacche la sua stratigrafia si presenta molto complessa. Tut­ tavia, la nostra attenzione si rivolgerà in questa sede soltanto alle fasi iniziali della costruzione, che presentano cronologie abbastanza precise comprese tra l’XI e il XII secolo. ratteristiche simili. Si osserva inoltre un partico­ lare interesse nella rifinitura delle superfici della faccia a vista. I materiali sono disposti forman­ do filari suborizzontali e paralleli, tendenti alla regolarità, anche se con frequenti filari sdoppia­ ti, e con cantonali non sempre differenziati. Per quanto riguarda i giunti, sono molto irregolari e di dimensioni molto variabili, riempiti successi­ vamente da altre malte (Fig. 56). La sua cronologia è determinata da due iscrizio­ ni, presenti sulla stessa torre. Sul lato est su una pietra angolare è presente un’epigrafe attualmen­ te di difficile lettura, dove, grazie a una trascri­ zione realizzata nel XVII secolo da Bartolomeo Baroni, si legge “+ FILIUS ISTE DEI QUEM CERNI/TIS O GALILEI / SEGIS… DMXXX” (SILVA 1979, pp. 76-77). La frammentarietà del testo non permette di interpretarlo adeguatamen­ te, ma mentre la prima parte è tratta dal nuovo testamento, la seconda fa riferimento ad una data, 1030, che è stata considerata come l’anno della costruzione del campanile. Una seconda data, presente sul lato nord dell’edificio (1789), può fare invece riferimento al rialzamento del campanile o al suo restauro. PERIODO 2 3.9.2. Sequenza stratigrafica A differenza degli altri contesti finora analizza­ ti, si è deciso in questa occasione di presentare la complessa sequenza costruttiva dell’edificio per periodi e non per fasi, tralasciando per un’altra sede l’esposizione completa della sequenza identificata. Sono stati rintracciati tre periodi principali: PERIODO 1 Come si è detto, la struttura più antica conser­ vata è il campanile, situato nell’angolo NO della chiesa. Si tratta di una struttura quadrata di cir­ ca 2,70 m di lato, articolata in sei piani, anche se soltanto i primi quattro possono essere attri­ buiti a questo periodo (Fig. 55). Il paramento della muratura è spartito da archetti pensili sorretti da lesene addossate, all’interno dei quali sono presenti dei tondi e delle losan­ ghe; si presenta compatto, quasi senza aperture fino al piano superiore. La muratura è realizzata con blocchi di diverse dimensioni di arenaria macigno, spaccati seguen­ do i piani di sfaldamento della cava, mentre più occasionale è la presenza di scisti e calcari di ca­ È molto probabile che il campanile del periodo precedente fosse realizzato in prossimità della chiesa menzionata nei documenti di età altome­ dievale. In un momento successivo si decide di ampliare e ricostruire completamente l’edificio ecclesiastico, addossandosi al già descritto cam­ panile. È possibile che i lavori siano iniziati dalla faccia­ ta (fase 2a), e soltanto in un secondo momento un’altra squadra di artigiani abbia continuato la ricostruzione della chiesa nel lato absidale (fase 2b), dove presuntamente si trovava l’edificio ec­ clesiastico anteriore, e nelle navate (fase 2c). Anche se è stato possibile datare con precisione soltanto una delle fasi individuate, si può collo­ care la ricostruzione della chiesa tra la seconda metà dell’XI e il XII secolo. L’anomalia della disposizione geometrica della facciata è dovuta, quindi, alla preesistenza del campanile, al quale si appoggia. Questo lato è scandito in tre ordini d’arcate cieche e presenta un ricco repertorio ornamentale costituito da oculi, losanghe e colonnati sovrapposti, corona­ ti da archetti pensili. Il paramento è realizzato con grandi conci di calcare bianco levigati, con il nastrino di squadratura ben marcato. Le lastre così ottenute sono state disposte su filari oriz- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 30 zontali e paralleli, sia in orizzontale che in verti­ cale, ottenendo un effetto bicromo anche se si fa di un unico materiale. Soltanto in casi parti­ colari si è potuto osservare come la finitura sia stata eseguita con uno strumento di lama come un’ascetta, ma successivamente le superficie sono state levigate. I giunti sono infine molto stretti e regolari (Fig. 57). Per quanto riguarda la cronologia di questa fase è stato possibile determinarla con precisione, grazie alla presenza nella cuspide della facciata di un “bacino” ceramico. Si tratta di una cera­ mica invetriata policroma, prodotta in area tu­ nisina nell’XI secolo, decorata con la raffigura­ zione di un uomo a cavallo. Sia per le caratteri­ stiche della ceramica che per il suo sistema d’inserimento, è stata proposta una cronologia en­ tro la fine dell’XI, o forse meglio agli inizi del XII secolo (BERTI, CAPPELLI 1994, pp. 53-54). Appartiene ad un altro progetto la costruzione delle strutture conservate in prossimità dell’abside. In mancanza dell’abside – demolito e tra­ sformato posteriormente – soltanto le testate delle navate ci permettono di capire come que­ sto cantiere fu iniziato da artigiani che hanno adoperato grandi conci di arenaria accurata­ mente squadrati e spianati in forma di grandi lastre nelle quali non sono leggibili tracce di finitura. I conci sono disposti per orizzontale e faccia quadra su corsi orizzontali e paralleli, con giunti molto stretti e regolari. La muratura era spartita da semicolonne addossate a distanza re­ golare. Per ragioni non note, questo progetto fu abban­ donato e i fianchi delle navate furono terminati in un terzo momento da un paramento corona­ to da archetti pensili monolitici, poggianti su mensoline decorate. La muratura fu realizzata con bozze di calcare spianate con uno strumen­ to di punta, disposte in filari orizzontali e paral­ leli, con giunti ampi e irregolari. Non si dispone di cronologie precise per questo intervento, che probabilmente è da situare nel corso del XII se­ colo. PERIODO 3 In età postmedievale è stata realizzata una serie d’interventi di diversa entità, che ha modificato soltanto in parte l’impianto dell’edificio medie­ vale. Tra questi interventi è da risaltare la ricostruzio­ ne completa dell’abside, che ha comportato la distruzione di quella medievale. Il nuovo corpo di fabbrica presenta una pianta rettangolare, ed è stato realizzato con una tecnica “disordinata”, che caratterizza le costruzioni di età moderna. Inoltre, sono stati condotti altri restauri nella navata meridionale e nel campanile, rialzato pro­ babilmente nel XVIII secolo. L’ultimo restauro risale al 1908 quando furono riaperti alcuni ingressi laterali e sono probabil­ mente di questa fase i merli presenti in cima al campanile. 3.9.3. Valutazione finale Come nel caso delle Seimiglia, anche nella Controneria l’accentuata distribuzione dell’insediamento altomedievale a larghe maglie, ha rin­ forzato la funzione sociale delle chiese come sedi di aggregazione dei villaggi in età medievale. In particolare ci sono fino a sette piccoli aggregati inclusi nel territorio di San Cassiano, ma è l’agiotoponimo quello che designa il centro prin­ cipale. Tenendo conto di questo importante contesto nel quale si inquadra la ricostruzione della chiesa nei secoli XI-XII, resta da sottolineare come le strutture di San Cassiano documentano – in uno dei pochi edifici che possono essere datati con una certa precisione – il passaggio delle tecniche “disordinate” ancora in uso nella prima metà dell’XI secolo sotto il vescovado di Giovanni II, alle murature in conci perfettamente squadrati da situare nella fase finale dell’XI o agli inizi del XII secolo. Le caratteristiche della tecnica costruttiva della facciata permettono di concludere che, alla fine del secolo, circolavano nei contesti rurali arti­ giani che conoscevano tecniche costruttive di al­ tissima qualità, paragonabili soltanto alle costru­ zioni più rilevanti della stessa città di Lucca. Non ci sono indicazioni utili per stabilire l’area di provenienza di questi artigiani itineranti, iden­ tificati per criteri stilistici e tipologici con mae­ stranze d’origine lombarda (BARACCHINI, CALECA 1979). San Cassiano, insieme alla chiesa di Lam­ mari, San Michele in Castello e alla Badia di Cantignano, sono inoltre gli unici edifici rurali lucchesi che fanno ricorso tra la metà dell’XI e gli inizi del XII secolo ai “bacini” ceramici come ele­ mento di decoro architettonico. Trattandosi di una tecnica decorativa ampiamente documentata a Pisa, e tenendo conto della precocità in questa città delle costruzioni realizzate in conci, viene da chiedersi quale sia stato il ruolo svolto dagli artigiani operanti nella città dell’Arno nella rea­ lizzazione di queste costruzioni. Con i dati dispo- ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 31 nibili, e come già sostenuto nell’analisi della chie­ sa di San Michele (p. 52), non è tuttavia possibile affermare con sicurezza la presenza di scuole co­ struttive ben definite. È inoltre rilevante sottoli­ neare come nello stesso ambito lombardo non si­ ano note costruzioni in conci con cronologie così precoci, come quelle attestate a Lucca e, in gene­ re, nella Toscana nordoccidentale (CAGNANA 1998). 1 In particolare si fa riferimento – senza pretesa di com­ pletezza – al Battistero di Lucca (DE MARINIS 1975, 1992; CIAMPOLTRINI 2001), alle chiese di San Lorenzo a Cerreto (QUIRÓS C ASTILLO 1996), di San Salvatore in Muro, di San Cristoforo di Lammari, di San Michele di Castello (studi ancora inediti); alle pievi di Nievole (CIAMPOLTRINI , P IERI 1998, 1999), di Ariano, di San Pancrazio (studi ancora inediti); ai campanili di San Piero in Campo, di San Pie­ tro a Vico(studi ancora inediti); ai castelli di Terrazzana (Q UIRÓS C ASTILLO 1999), di Capriola di Camporgiano (GIANNICHEDDA 1989; CIAMPOLTRINI 1997b), di Monteca­ tino Valfreddana (CIAMPOLTRINI , N OTINI 1987), di Gorfi­ gliano (Q UIRÓS C ASTILLO et alii 2000) e di Castagnori (MANCINI 1997); e infine agli abitati di Volcascio (CIAM POLTRINI et alii 1991), Vaiano, Pescia e Valle Caula (Q UI RÓS C ASTILLO 1999). 2 Ad esempio, nella vicina città di Luni il suo impiego è stato assolutamente marginale, come ad esempio negli in­ gressi dell’anfiteatro; in genere si è fatto ricorso soprat­ tutto all’opera incerta (MANNONI, CAGNANA 1996). 3 Il testo di questo paragrafo è basato, con alcune modifi­ che, sul contributo QUIRÓS CASTILLO 2000a. 4 L’autore menzionato esclude l’esistenza di una cattedra episcopale basandosi nella descrizione dell’abside della chiesa tardoantica realizzata da De Angelis d’Ossat (BURATTINI 1996, p. 74, n. 6). Tuttavia, i resti conservati ri­ guardanti questo periodo, riferibili ad un filare di grandi conci di travertino, e le caratteristiche dei materiali im­ piegati, non permettono d’ipotizzare la morfologia dell’arredo liturgico in positivo o in negativo. 5 Soltanto nel caso del Battistero furono realizzati saggi sotto controllo archeologico negli anni 1976-1977 (DE MARINIS 1992). 6 A questo proposito, risulta di grande utilità la strategia d’intervento utilizzata nel caso della cattedrale di Luni (VARALDO c.s.). 7 Ad esempio, il pavimento tardoantico (periodo 2) pen­ de verso l’esterno, e ci sono differenze di circa 30 cm tra l’area presbiteriale e le navate. Inoltre, la sequenza di li­ velli pavimentali è diversamente articolata nei diversi set­ tori della chiesa. Ciononostante, l’analisi delle quote pa­ vimentali è stata finora considerata come il principale in­ dicatore per stabilire le fasi d’occupazione altomedievale della chiesa (PANI ERMINI 1992). 8 Sulla definizione tecnologica e la lunga durata di questa tecnica costruttiva, si veda MANNONI 1997, P . 18. 9 L. Pani Ermini ha formulato una proposta sulla nuova morfologia della facciata modificata dopo la costruzione della torre. Secondo l’autrice, la linea di facciata fu arre­ trata rispetto a quella paleocristiana, e sul fronte dell’edificio furono costruite due torri angolari secondo il mo­ dello del Westwerk carolingio (PANI ERMINI 1992, p. 66). Ciononostante, l’analisi stratigrafica ha permesso di os­ servare che le murature della presunta facciata arretrata (US 1304, 1305) poggiano sui livelli pavimentali succes­ sivi alla costruzione della torre angolare 1101 – e quindi sono da ascrivere al cantiere del XII secolo –, mentre l’ambiente meridionale (US 1202) è da identificare con un ossario del XVI secolo (vedi infra). 10 Tra i casi più significativi: la crescita del fiume Arno agli inizi del XII secolo, che comportò la distruzione del monastero di San Salvatore di Fucecchio (AAL + F 30, 27 novembre 1106); la piena del fiume Pescia, che di­ strusse l’insediamento di capanne databile nei secoli XXII, messo in luce nella Piazza di San Romualdo della città di Pescia, (MILANESE , QUIRÓS C ASTILLO 1997, p. 104). Per quanto riguarda la stratigrafia di San Giovanni, si di­ spone di una serie di unità stratigrafiche, che per le loro caratteristiche sedimentologiche e la loro posizione stra­ tigrafica permettono di pensare a processi alluvionali di grande intensità, responsabili del rialzamento del piano di vita urbana. 11 Sono anche da rilevare i segni di utilità presenti nel fianco settentrionale della chiesa di San Frediano, appar­ tenenti alla costruzione in età bassomedievale di una cap­ pella, ancora inediti. Per i segni lapidari in Toscana B IANCHI 1997b. 12 Le dimensioni medie dei laterizi della fase del XII se­ colo di San Tommaso in Pelleria sono 30×12,5×5,9 cm; quelle della prima fase di Sant’Anastasio 29,9×13×6,4 cm. 13 Questo è un fenomeno documentato in modo più evi­ dente nella piana di Lucca rispetto ad altri settori della lucchesia, dove si sono affermati numerosi agiotoponimi come segno del ruolo centrale svolto da queste chiese, che costituiscono gli elementi di configurazione sociale e territoriali dei comuni rurali (QUIRÓS C ASTILLO 1999a). 14 Questi sondaggi sono stati condotti dal Gruppo Archeo­ logico di Capannori, che ha segnalato il ritrovamento in GAC 1990, p. 14. Sul ruolo delle chiese come fattore di continuità tra l’insediamento romano e medievale nel ter­ ritorio di Lucca, vedi CIAMPOLTRINI 1995a e le proposte interpretative in QUIRÓS CASTILLO 1999a. 15 La notizia è raccolta da diversi cronisti, che attribui­ scono all’iniziativa di Giovanni da Besate l’inizio della ristrutturazione della chiesa (RIDOLFI 1883). 16 Nell’area della cripta si conservano dei frammenti di conci di travertino, evidentemente reimpiegati dalle mura tardorepubblicane della città, come documentato in altri edifici religosi urbani. 17 Lo studio degli scavi di San Frediano è stato possibile grazie alla disponibilità del Priore Mons. M. Giannotti e dei sacrestani della chiesa. A tutti loro va il nostro since­ ro ringraziamento. 18 Questa attribuzione cronologica pone alcuni dubbi, già espressi dalla Belli Barsali (1959, pp. 44-45): «Un analo­ go taglio della pietra che forma l’archetto è assai diffuso in periodo romanico». 19 Questa tipologia di portali si è potuta datare nei secoli XIV e XV in Lunigiana (FERRANDO CABONA , C RUSI 1988), nella Garfagnana (CECCHI 1998) e nella Valdinievole (QUIRÓS C ASTILLO 1999a). Tuttavia, si impone una certa pru­ denza, giacché nel caso della lucchesia ancora non è nota la data iniziale della suddetta tipologia d’apertura. 20 Questi distretti longobardi prendevano normalmente il nome dal castello, che era il vero capoluogo ammini­ strativo (GASPARRI 1990, pp. 274-275). 21 Sull’ubicazione del castello di Carfaniana esistono in realtà diverse proposte: quella più accettata propone la sua ubicazione a Piazza al Serchio (S CHNEIDER 1975; WICKHAM 1997; C IAMPOLTRINI 1997b: Monte Croce). Al­ tri autori la situano a Vitoio (A NGELINI 1985, pp. 40-50) o nella Capriola (B OTAZZI 1993, p. 56). A Monte Croci T. Mannoni ha ritrovato materiali databili nei secoli VI-VII (inf. personale), e più recentemente anche G. Ciampol­ trini ha rinvenuto reperti appartenenti a questo periodo in questa località (CIAMPOLTRINI 1995). ©2002 Edizioni all’Insegna del Giglio - vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale – 32