DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Cattedra di Diritto Commerciale 2 CRISI DELLA SGR E LIQUIDAZIONE DEI FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO RELATORE Chiar.mo Prof. Antonio Nuzzo CANDIDATA Martina Gagliardi Matr.110853 CORRELATORE Chiar.mo Prof. Gian Domenico Mosco ANNO ACCADEMICO 2014/2015 “Crisi della Sgr e liquidazione dei fondi comuni di investimento” Introduzione ................................................................................................................ 1 I Capitolo: La separazione patrimoniale negli affari ............................... 4 1 Il patrimonio e la responsabilità patrimoniale .......................................................... 4 1.1 Le limitazioni della responsabilità patrimoniale ............................................... 6 2 La segregazione patrimoniale ................................................................................... 7 2.1 I patrimoni separati e i patrimoni autonomi ...................................................... 9 3 La separazione patrimoniale nel diritto societario.................................................. 10 3.1 Le società unipersonali .................................................................................... 12 3.2 I patrimoni destinati a uno specifico affare ..................................................... 13 3.3 I finanziamenti destinati ad uno specifico affare ............................................. 15 4 Il trust ..................................................................................................................... 17 4.1 La Convenzione dell’Aja e l’operatività del trust in Italia .............................. 18 5 La separazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie ...................................... 20 5.1 La separazione patrimoniale nella gestione di portafogli ................................ 21 5.2 I fondi comuni di investimento........................................................................ 22 5.3 Le società di cartolarizzazione ........................................................................ 29 I II Capitolo: Le società di gestione del risparmio (Sgr)…………33 Introduzione: i mercati regolamentati......................................................................... 33 1 Il mercato finanziario: gli operatori ........................................................................ 34 2 L’intermediazione finanziaria................................................................................. 35 2.1 La gestione individuale del risparmio ............................................................. 35 2.2 La gestione collettiva del risparmio................................................................. 36 2.3 Gestione individuale e gestione collettiva a confronto .................................... 39 3 Need for protection: la riserva di attività. ............................................................... 40 4 L'autorizzazione per l’esercizio dell’attività........................................................... 43 4.1 Le altre attività esercitabili .............................................................................. 44 5 Le regole di comportamento ................................................................................... 45 5.1 I principi di diligenza, correttezza e trasparenza ............................................. 46 5.2 La disciplina dei conflitti di interesse .............................................................. 47 5.3 Il dovere di best execution ............................................................................... 48 5.4 L’esercizio del diritto di voto .......................................................................... 48 6 Il regolamento del fondo......................................................................................... 49 6.1 Il regolamento del fondo come fonte di disciplina del rapporto tra le parti .... 52 6.2 Le quote di partecipazione............................................................................... 53 7 La classificazione dei fondi comuni di investimento ............................................. 54 7.1 Fondi chiusi e fondi aperti ............................................................................... 55 7.1.1 Fondi aperti: armonizzati e non armonizzati ............................................ 57 II 7.1.2 Fondi chiusi: i fondi immobiliari .............................................................. 59 7.2 Fondi riservati .................................................................................................. 60 7.3 Fondi speculativi.............................................................................................. 62 7.4 Fondi garantiti.................................................................................................. 64 8 La gestione dei fondi .............................................................................................. 64 8.1 Corporate goverance e fund governance ........................................................ 66 9 Il depositario ........................................................................................................... 67 10 L’assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi ........................................................ 69 III Capitolo: La crisi delle Società di gestione ......................................... 71 1 Ratio e finalità della disciplina speciale della crisi delle banche e degli intermediari finanziari ................................................................................................ 71 2 I provvedimenti ingiuntivi ...................................................................................... 74 2.1 Il divieto di nuove operazioni .......................................................................... 75 2.2 La sospensione degli organi amministrativi e la gestione provvisoria ............ 77 3 I provvedimenti di crisi........................................................................................... 79 3.1 L’amministrazione straordinaria. I presupposti ............................................... 80 3.1.1 La procedura ............................................................................................. 84 3.2 La liquidazione coatta amministrativa ............................................................. 86 3.2.1 Le nuove norme per la liquidazione coatta amministrativa delle Sgr ...... 93 III IV Capitolo: Analisi del caso Tribunale di Milano sent. 29 marzo 2012 ....................................................................................................... 100 1 Il caso .................................................................................................................... 100 2 Le questioni di diritto ........................................................................................... 103 3 La domanda di rivendica dei beni conferiti nel fondo .......................................... 108 Conclusioni .............................................................................................................. 116 Bibliografia .............................................................................................................. 118 IV Introduzione Il presente lavoro ha ad oggetto l’esame delle regole applicabili alla liquidazione dei fondi comuni d’investimento, sia in caso di crisi della Società di gestione del risparmio (Sgr) che li gestisce, sia in caso di crisi di un solo fondo. In particolare, viene qui affrontato un caso deciso dal Tribunale di Milano il 29 marzo 2012: la Corte veniva adita dai partecipanti ad un fondo immobiliare chiuso che richiedevano la restituzione dei beni dagli stessi conferiti nel fondo al momento dell’acquisto delle quote di partecipazione. Disposta la liquidazione coatta amministrativa della Sgr - e quindi anche la liquidazione dei fondi dalla stessa gestiti - i partecipanti, non vedendosi riconosciuto nell’ambito della procedura il diritto alla restituzione degli assets conferiti, presentavano opposizione allo stato passivo della Sgr in l.c.a.. Prima di esaminare nel dettaglio il caso e la decisione dei giudici, si analizzerà la disciplina speciale applicabile alle società di gestione del risparmio, prestando maggiore attenzione alle norme che regolano i fondi comuni di investimento, tanto nella fase di gestione ordinaria, tanto nella fase di liquidazione. La disamina degli istituti sarà condotta con il precipuo scopo di fornire al lettore gli strumenti necessari per comprendere ed analizzare la decisione della Corte. La scelta del tema è stata dettata sostanzialmente dall’attualità e dalla rilevanza dello stesso. Come dimostrano i dati forniti da Assogestioni, l’Associazione italiana del risparmio gestito, oggi circa 1.700 miliardi di euro1 vengono affidati agli intermediari finanziari perché li gestiscano, quindi investano, nei mercati. Attualmente investono non soltanto ricchi possidenti che hanno a disposizione ingenti patrimoni, ma anche piccoli risparmiatori e famiglie che, a fronte della vasta offerta di prodotti finanziari, trovano forme di investimento adatte anche alle proprie esigenze. I mercati finanziari sono in continua espansione: nuovi servizi vengono continuamente articolati al fine di far fronte alle plurime istanze della clientela e ovviamente il diritto non può restare immune da tali cambiamenti. Organizzare un 1 Fonte Assogestioni, dati aggiornati a maggio 2015, reperibili su http://www.assogestioni.it/index.cfm/1,143,10873,49,html/mappa-trimestrale-del-risparmio-gestito-1-trim-2015. 1 nuovo servizio significa infatti studiare i mercati, i flussi finanziari e i rendimenti dei diversi beni negoziati, ma significa anche articolare un corpo di norme che lo regoli. A monte delle prestazioni dei servizi vi è infatti un contratto stipulato tra l’investitore e l’intermediario con il quale il primo affida al secondo i propri risparmi. Ogni rapporto contrattuale non può non rinvenire la propria disciplina innanzitutto nei principi generali dell’ordinamento, principi generalmente inderogabili dettati nel Codice Civile. A volte però la disciplina codicistica può non essere sufficiente a disciplinare tutti i rapporti: alcuni possono non essere perfettamente inquadrabili negli schemi tradizionali. Negli ultimi decenni tale eventualità si è spesso verificata poiché l’articolazione di nuovi servizi finanziari ha posto gli operatori del diritto di fronte all’esigenza di apprestare soluzioni nuove, non ancora contemplate nell’ordinamento; nella presente trattazione si cercherà quindi di esaminare quanto accaduto. Nel primo capitolo si analizzeranno i principi generali relativi alla responsabilità patrimoniale generica per poi esaminare i casi di separazione patrimoniale – e quindi di limitazione della responsabilità - prestando particolare attenzione alle nuove forme che essa ha assunto nell’ambito delle operazioni finanziare. Nel secondo capitolo invece si analizzerà la disciplina speciale applicabile alle Società di gestione del risparmio. Come noto, la normativa dettata in via generale per le Società per azioni è spesso integrata da normative speciali che disciplinano particolari aspetti rilevanti solo per singoli tipi societari; si esamineranno quindi le norme che regolano la governance delle Sgr e l’esercizio dell’attività di gestione. Nel terzo capitolo invece si esaminerà la disciplina della crisi della società di gestione per arrivare al cuore del problema che qui si intende analizzare: la liquidazione dei fondi comuni di investimento. Come anticipato, nel quarto capitolo si esaminerà la sentenza emessa dal Tribunale di Milano il 29 marzo 2012. Si avrà modo di vedere come i giudici di Milano pur conformandosi a quanto già stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. 16605/2010) in merito alla natura dei fondi comuni di 2 investimento - ribadendo che essi sono patrimoni autonomi della società di gestione e non hanno invece propria soggettività giuridica – si siano in realtà spinti oltre. Nel caso alla nostra attenzione infatti, i giudici si sono pronunciati anche in merito alla liquidazione dei fondi comuni ritenendo applicabile in via analogica l’art. 155 l. fall. - dettato in tema di liquidazione di patrimoni destinati costituiti da società per azioni - mancando, al tempo della decisione, una normativa ad hoc introdotta solo pochi mesi dopo. Scopo del presente lavoro è dunque di evidenziare come, a fronte di nuove istanze del mercato, alcuni principi ed istituti del nostro sistema giuridico siano mutati sia grazie all’attività ermeneutica dei giudici di merito e di legittimità, sia grazie alle innovazioni legislative. 3 I CAPITOLO: La separazione patrimoniale negli affari 1. Il patrimonio e la responsabilità patrimoniale Il patrimonio è tradizionalmente definito come «il complesso dei rapporti attivi e passivi, suscettibili di valutazione economica, facenti capo a un soggetto»2. Quand’anche comunemente si ritengano rientranti nel patrimonio di un soggetto solo i beni dallo stesso materialmente posseduti, in realtà, giuridicamente, un soggetto ha un patrimonio anche nel caso in cui non possieda alcunché ed anzi sia soggetto passivo di diversi rapporti giuridici. Il patrimonio non è considerato come un unico bene, come un “oggetto” e pertanto esso non è classificabile come universitas 3. Sin dall’Ottocento, nel nostro ordinamento è stata accolta la concezione soggettivistico – egalitaria del patrimonio secondo la quale esso sarebbe «unico e indivisibile attributo del soggetto titolare (persona fisica o giuridica) nonché […] estensione della sua personalità 4 nel mondo degli affari» 5. In tale ottica dunque, il soggetto è antecedente logico e cronologico necessario di tutti i patrimoni, punto costante di riferimento per l’imputazione degli stessi. D’altra parte soltanto la soggezione ad un’unica volontà – quella del titolare – permette la considerazione del patrimonio come un unicum, benché composto da elementi tra loro eterogenei 6. Ratio sottesa a tale concezione personalistica del patrimonio è il principio di responsabilità 7. Esso, come noto, prevede che «il debitore rispond[a] dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (art. 2740, comma 1, c.c.). In caso di inadempimento, il creditore ha diritto al risarcimento del danno e, per soddisfare la propria pretesa, ha il diritto di aggredire il patrimonio del proprio debitore inadempiente. Su tutti i beni del 2 A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato (a cura di F. Anelli, C. Granelli), Milano, 2010, p. 193. Ibidem. 4 Concezione teorizzata dalla pandettistica germanica e importata in Francia da G. AUBRY e G. RAU. V. Course de droit civil français d’après l’ouvrage de C. S. Zachariae, Parigi, 1917. 5 L. EGIZIANO, Separazione patrimoniale e tutela dei creditori. I patrimoni destinati a uno specifico affare, Torino, 2009, p. 15. 6 L., BULLO, Trust, destinazione patrimoniale ex art. 2645 ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma 6°, del TUF: quale modello di segregazione patrimoniale?, in Rivista di Diritto civile, 2012, fasc. 4, pt. 1, p. 535. 7 L. EGIZIANO, op. cit., p. 16. 3 debitore grava dunque un vincolo di destinazione a favore di tutti i suoi creditori (c.d. garanzia patrimoniale generica) 8. La Relazione al codice civile 9 specificava – ed è opportuno riferirci al passato perché tale visione, come si avrà modo di vedere, è profondamente mutata - che una tale impostazione era strumentale all’efficiente funzionamento del sistema economico del tempo. In passato, infatti, la valutazione del merito creditizio si basava principalmente sulla stima del patrimonio del debitore e dunque «l’interesse a favorire la concessione del credito in funzione dello sviluppo economico si [sarebbe realizzato] garantendo ai creditori la possibilità di soddisfare il proprio credito su tutti i beni»10 del debitore. Alla luce di tale visione, l’inespropriabilità di uno o più beni da parte della generalità dei creditori, perché posti a garanzia solo di un ristretto gruppo di essi, risultava in contrasto con l’utilità sociale del tempo 11 e dunque siffatte situazioni non erano contemplate dalla legislazione allora vigente. Corollari della responsabilità patrimoniale generica sono la par condicio creditorum (art. 2741 c.c.) e l’impossibilità di limitare detta responsabilità se non nei casi previsti dalla legge (art. 2740, comma 2 c.c.) 12. Quanto al primo dei due corollari, l’art. 2741, comma 1, c.c., stabilisce che «i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione» che, come specifica il secondo comma, sono privilegio, pegno e ipoteca. In tali casi, i creditori possono beneficiare, oltre che della garanzia patrimoniale generica, anche di una garanzia specifica, un quid pluris che rafforza la loro posizione: in questi casi è, infatti, individuato un bene che il creditore può aggredire prioritariamente rispetto agli altri per soddisfare la propria pretesa. 8 P. CARLUCCIO, La garanzia patrimoniale generica, in Giurisprudenza ragionata. Gli approfondimenti, (diretta da R. GAROFOLI), Obbligazioni e responsabilità (a cura di P. Carluccio), Roma, 2010, Tomo II, p. 259. 9 Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, Roma 1943, n. 1124, p. 788. 10 M. NUZZO, L’evoluzione del principio di responsabilità patrimoniale illimitata, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 307 ss.. 11 G. DORIA, Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p.8. 12 P. CARLUCCIO, op. cit., p. 260. 5 La separazione patrimoniale negli affari 1.1 Le limitazioni della responsabilità patrimoniale L’altro corollario - citato nel precedente paragrafo – del principio di responsabilità patrimoniale generica, è quello per cui non è permesso ai consociati di limitare la propria responsabilità per le obbligazioni contratte al di fuori dei casi previsti dalla legge (art. 2740, comma 2, c.c.). Per lungo tempo la qualificazione di tale norma come di ordine pubblico aveva fortemente limitato l’introduzione di ipotesi nelle quali fosse concesso di limitare la responsabilità 13; a conferire rigidità a tale impostazione, aveva contribuito anche la Corte Costituzionale riconoscendo alla tutela dei creditori copertura costituzionale 14. Il nostro ordinamento, ormai da diversi decenni, contempla diverse ipotesi di limitazione della responsabilità patrimoniale generica. Si pensi al fondo patrimoniale (ex art. 167 ss. c.c.) che i coniugi o terzi possono costituire per soddisfare i bisogni della famiglia e dunque solo dei creditori le cui obbligazioni siano sorte per esigenze familiari; o ai fondi di previdenza e assistenza che, ex art. 2117 c.c., sono fondi speciali costituiti dall’imprenditore - con o senza il contributo dei lavoratori – destinati esclusivamente alla previdenza e all’assistenza e in quanto tali insensibili alle pretese degli altri creditori dell’imprenditore 15. In particolare, la legislazione dell’ultimo ventennio ha comportato un netto aumento dei casi di limitazione della responsabilità patrimoniale e quindi l’introduzione di nuovi casi di separazione di patrimoni 16. Sebbene procedendo per tale via si rischi di svuotare di contenuto ed effettività la garanzia patrimoniale generica, analisi di law and economics dimostrano ormai da tempo l’efficienza dell’aumento dell’autonomia contrattuale in tale ambito. La separazione patrimoniale, infatti, consentirebbe il contenimento dei costi di agency, intesi come i costi sostenuti dai creditori per controllare i comportamenti elusivi e gli atti distrattivi dei propri debitori. Per effetto della separazione delle masse si creano due categorie di creditori – quella dei creditori generali e quella dei 13 L. EGIZIANO, op. cit., p. 19. C. SCOGNAMIGLIO, Negozi di destinazione, trust e negozio fiduciario, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 14. 15 L. EGIZIANO, op. cit., p. 11 e ss.. 16 P. CARLUCCIO, op. cit., p. 260. 14 6 La separazione patrimoniale negli affari creditori particolari – ciascuna delle quali può concentrare la propria attività di monitoring solo sulla porzione di patrimonio a sé destinata, con conseguente riduzione dei costi 17. Si noti dunque come sia cambiato l’approccio alla questione dal 1942 a oggi: se al momento dell’introduzione del Codice la tutela dei creditori implicava necessariamente l’affermazione dell’unità e dell’inscindibilità del patrimonio del debitore - con conseguente imbrigliamento dei casi di segregazione patrimoniale a tutela di “creditori speciali” - oggi, la necessità di facilitare l’accesso al credito, riducendo i costi dei finanziamenti, permette di vedere sotto una nuova luce la specializzazione della responsabilità patrimoniale 18. Si tenga comunque presente che lo stesso risultato – e cioè assicurare una più forte tutela a determinati creditori tramite l’articolazione di un patrimonio – può essere raggiunto percorrendo o la via della c.d. soggettivizzazione, consistente nella creazione di un nuovo soggetto di diritto che risponda delle proprie obbligazioni con il proprio patrimonio (ad es. costituzione di Srl o Spa unipersonali), o quella della segregazione patrimoniale 19. 2. La segregazione patrimoniale Nell’approcciarsi allo studio della separazione patrimoniale latu sensu intesa non si può non notare immediatamente la varietà terminologica che caratterizza la materia: patrimoni di destinazione, patrimoni autonomi, patrimoni separati. La mancanza di univocità di tali espressioni alimenta una gran confusione, un uso promiscuo e quindi improprio, dei citati termini, riscontrabile non solo in dottrina ma anche in giurisprudenza 20. Le tre espressioni sono generalmente riferite ad una massa patrimoniale che, in forza di una specifica destinazione dei beni in essa ricompresi, è sottoposta a uno speciale regime di responsabilità patrimoniale, in deroga all’art. 2740, comma 1, c.c. 21. 17 L. EGIZIANO, op. cit., p. 24 e ss.. Ibidem. 19 L. BULLO, op. cit., p. 535. 20 M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, pp. 21 e 24. 21 L. BULLO, op. cit., p. 536. 18 7 La separazione patrimoniale negli affari Per iniziare a far luce sui temi qui trattati si consideri innanzitutto che tra “destinazione allo scopo” e “separazione patrimoniale” vi è una stretta relazione, da alcuni definita biunivoca 22, che in una certa misura giustifica l’uso confuso delle espressioni. Richiamiamo quindi le parole di chi ha colto la stretta interconnessione tra i due fenomeni 23, notando che l’affermarsi della separazione patrimoniale «non solo consegue al vincolo eziologico che si imprime ad una massa di beni ma è anche lo strumento che assicura il perseguimento della finalità ambita: l’efficacia della destinazione trae vigore dalla descrizione di un perimetro che segna la misura entro la quale determinate risorse vengono sottratte al potere satisfattivo della generalità dei creditori, per essere stabilmente rivolte al perseguimento di un obiettivo giuridicamente rilevante. Fisiologicamente, dunque, i due termini si completano a vicenda» 24. Per chiarezza espositiva sembra opportuno muovere dall’analisi della segregazione patrimoniale. Con tale termine ci si riferisce 25 ad una situazione in cui delle posizioni soggettive, pur appartenendo a un soggetto, «non risentono delle sue vicende obbligatorie generali e quindi non formano parte integrante del patrimonio che costituisce la garanzia per [tutti gli altri] creditori» 26. La segregazione causa dunque un’eccezione al principio di responsabilità patrimoniale generica e, perché possa considerarsi legittima, deve avere lo scopo di «distinguere nel patrimonio del soggetto […] talune parti nell’interesse di alcuni creditori, in deroga al principio del par conconcursus creditorum, quando la legge ciò preveda oppure lo permetta all’autonomia privata» 27. 22 P. GABRIELE, Dall’unità alla segmentazione del patrimonio: forme e prospettive del fenomeno, in Giurispr. Comm., 2010, fasc. 4, p. 593. 23 Non manca però chi ritiene che fra separazione e destinazione patrimoniale non vi sia una relazione necessaria, ma anzi che «la derivazione della separazione dalla destinazione non comporta la necessaria assimilazione tra patrimonio di destinazione e patrimonio separato, in quanto non ogni forma di destinazione del patrimonio realizza la fattispecie del patrimonio separato», ex plurimis M. BIANCA, op. cit., p. 189. 24 P. GABRIELE, op. cit., p. 595. 25 Nell’approcciarsi alla materia si tenga comunque presente che, nonostante lo sforzo ricostruttivo compiuto da una parte della dottrina (di cui si dà conto nel presente lavoro), ancora oggi vi sono diversi autori che non aderiscono a tali classificazioni sulla base della supposta inidoneità e insufficienza degli elementi distintivi posti alla base delle varie categorie. V. amplius P. GABRIELE, op. cit., p. 596 e ss.. 26 M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, pp. 450 e 569. 27 F. MASTROPAOLO, Garanzie additive e segregazioni patrimoniali, in Studi in onore di Nicolò Lipari, (a cura di V. CUFFARO - G. DI ROSA), Milano, 2008, Tomo II, p. 1699. 8 La separazione patrimoniale negli affari 2.1 I patrimoni separati e i patrimoni autonomi I patrimoni separati e quelli autonomi sono stati da lungo tempo introdotti nel nostro ordinamento giuridico e sebbene in entrambi i casi si faccia riferimento a un compendio di beni, ciò che permette di distinguere gli uni dagli altri è la diversa situazione possessoria. Un complesso di beni che – pur restando riconducibile al medesimo proprietario – si distingua dal restante patrimonio per un diverso regime di amministrazione e circolazione, è qualificabile come patrimonio separato. In tal caso non si assiste ad alcun mutamento di titolarità e il differente regime ad esso applicabile è posto a tutela di interessi altrui che travalicano la sfera giuridica del titolare 28. Oggi non è più necessario ricorrere alla costituzione di un nuovo soggetto di diritto, dotato di un proprio patrimonio, in ossequio al dogma “un solo soggetto, un solo patrimonio, una sola responsabilità” 29. È infatti pacifico che il patrimonio separato sia un centro autonomo che ha, con il patrimonio generale, un unico punto di contatto: la riconducibilità ad un unico titolare. Tale impostazione determina la configurabilità tra i due patrimoni di relazioni giuridiche in forza delle quali dei beni possono essere ceduti e contemporaneamente acquistati da uno stesso soggetto e dunque uscire da una massa per confluire nell’altra 30. Diversamente, si ha un patrimonio autonomo nel caso in cui venga costituito un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici e venga ad esso trasferita la titolarità di un determinato compendio di beni. In tal caso il titolare originario perderà «la facoltà di disporre liberamente [dei propri beni], mentre l’ente che lo [riceverà] avrà un potere dispositivo sottoposto ai vincoli derivanti dallo scopo per cui è stato istituito»31. Nonostante lo sforzo ricostruttivo della dottrina, vi sono dei casi concreti che sfuggono a una rigida classificazione. Si consideri ad esempio il caso dei patrimoni autonomi: sebbene debba crearsi una sorta di isolamento tra il patrimonio generale e quello autonomo, non sempre l’autonomia riesce ad 28 P. GABRIELE, op. cit., p. 599. G. AUBRY - G. RAU., op. cit. 30 M. NUZZO, Il principio di indivisibilità del patrimonio in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p. 33 e ss.. Cfr. F. FERRARA Sr., Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, I, p. 875. 31 Ivi, p. 606. 29 9 La separazione patrimoniale negli affari affermarsi nella sua manifestazione più completa che implicherebbe una reciproca insensibilità fra le masse. Tale situazione si riscontra ad esempio nel caso della c.d. autonomia patrimoniale imperfetta che, per i suoi tratti essenziali, pare quindi riconducibile più alla categoria dei patrimoni separati che non a quella dei patrimoni autonomi 32. 3. La separazione patrimoniale nel diritto societario L’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa costituisce l’azienda (art. 2555 c.c.). L’esercizio dell’attività d’impresa non determina di per sé una separazione patrimoniale: come stabilisce l’art. 2217 c.c. l’inventario redatto dall’imprenditore individuale «deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all’impresa, nonché delle attività e delle passività dell’imprenditore estranee alla medesima». In tal caso dunque, non si ha alcuna distinzione tra patrimonio personale e patrimonio aziendale e quindi non si concreta alcuna deroga al principio di responsabilità patrimoniale generica ex art. 2740 c.c. 33. Come l’attuale realtà economica dimostra, l’attività di impresa è molto spesso esercitata in maniera collettiva piuttosto che individuale: si può quindi costituire un consorzio o una società e in entrambi i casi, seppur con diverse intensità e forme, si otterrà la separazione del patrimonio del c.d. ente allo scopo dai patrimoni personali di coloro i quali partecipano all’iniziativa economica 34. Prime aperture verso nuove forme di articolazione patrimoniale nell’ambito dell’attività di impresa si sono avute sin dal 1989, anno dell’adozione della XII Direttiva comunitaria di armonizzazione del diritto delle società 35. Detta direttiva, a proposito delle società a responsabilità limitata, stabiliva che «uno Stato membro può non consentire la società unipersonale quando la sua legislazione 32 P. GABRIELE, op. cit., p. 607. P. SPADA, Destinazioni patrimoniali ed impresa (patrimoni dell’imprenditore e patrimoni aziendali), in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di G. DORIA) Torino, 2010, p.42. 34 Ibidem. 35 Direttiva 89/667/CEE. 33 10 La separazione patrimoniale negli affari preveda, a favore degli imprenditori unici, la possibilità di costituire imprese a responsabilità limitata a un patrimonio destinato a una determinata attività» (art. 7 Dir.). Intento della direttiva era quello di creare strumenti idonei a limitare la responsabilità dell’imprenditore unico, lasciando ai singoli Stati la possibilità di scegliere tra le due alternative suggerite 36. L’autonomia riconosciuta ai legislatori nazionali in materia ha sin da subito indotto la dottrina a rilevare l’equivalenza funzionale dei due strumenti offerti 37. Si osservi, infatti, come la costituzione di una Srl o una Spa unipersonale permetta di beneficiare della responsabilità limitata, senza che l’unicità del socio osti all’applicazione di tale regime 38. Alternativamente, l’imprenditore individuale potrebbe decidere di limitare la propria responsabilità per l’impresa esercitata a una sola frazione del proprio patrimonio, tramite la costituzione di un patrimonio destinato ad una determinata attività, patrimonio la cui titolarità resterebbe comunque in capo a sé 39. Ferma restando l’equivalenza funzionale dei due istituti, vi è stato anche chi ha ritenuto di dover mettere in luce la differenza esistente tra le due ipotesi: mentre nel secondo caso si ha l’inidviduazione di una massa di beni destinati ad uno scopo e quindi isolata dal restante patrimonio ma pur sempre imputabile al medesimo titolare, nel primo caso esaminato invece, si ha la creazione di un nuovo soggetto di diritto, responsabile di tutte le vicende giuridiche ed economiche relative allo svolgimento dell’attività 40. Con la riforma organica del diritto societario 41 sono stati introdotti e disciplinati nel nostro ordinamento tanto i patrimoni destinati (ex art. 2447 bis, c.c.) quanto le società per azioni unipersonali 42. In base a quanto si legge nella Relazione Mirone, la riforma avrebbe perseguito un duplice obiettivo: da un lato, quello di rendere superflui accorgimenti costosi e poco trasparenti, come la costituzione di società ad hoc anche per un singolo affare e, dall’altro, quello di 36 V. V Considerando Dir. 89/667/CEE. P. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. di dir. civ., 2002, fasc. 6, pt. 1, p. 842. 38 Per le condizioni poste dal legislatore per l’ottenimento del beneficio della responsabilità limitata, V. amplius par. 3.1 del presente capitolo. 39 P. SPADA, op. cit., p. 843. 40 R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli, 2004, p. 138. 41 D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. 42 Le società a responsabilità limitata unipersonali erano già state introdotte con il D. Lgs. Del 3 marzo 1993, n. 88. 37 11 La separazione patrimoniale negli affari rendere possibile una più concreta tutela per coloro che intervengano nel finanziamento dell’affare, permettendogli di circoscrivere il loro rischio agli esiti economici dell’affare stesso 43. In tale ottica, dunque, si osserva che, qualora la costituzione di una società fosse preordinata esclusivamente all’ottenimento del beneficio della separazione patrimoniale, lo stesso risultato ben potrebbe essere raggiunto tramite la costituzione di un patrimonio destinato. Ciò permetterebbe all’imprenditore di raggiungere lo stesso obiettivo con un mezzo meno costoso ed economicamente più efficiente; in tal modo, infatti, egli eviterebbe i costi di gestione del nuovo soggetto di diritto creato (ad esempio quelli per la redazione dell’atto costitutivo, quelli per la gestione degli organi sociali, la cui creazione comporterebbe anche l’insorgere di nuovi oneri amministrativi) e inoltre si eliminerebbero dal mercato le cc.dd. societates unius negotii 44. 3.1 Le società unipersonali La disciplina di Srl e Spa unipersonali ha contribuito alla progressiva “erosione” del principio di responsabilità patrimoniale generica, ex art. 2740 c.c.. Con l’introduzione delle Srl unipersonali, il tradizionale binomio “unicità del socio - responsabilità illimitata per l’attività esercitata” è stato definitivamente scisso perché, avendo individuato nella società a responsabilità limitata unipersonale lo strumento che consente, attraverso lo schermo societario, di limitare la responsabilità dell’imprenditore individuale, è venuto a mancare il suo ancoraggio legislativo 45. Con la riforma del 2003, che ha tra l’altro introdotto le Spa unipersonali, è stata resa più organica l’intera disciplina. Il beneficio dell’autonomia patrimoniale perfetta è garantito alle società unipersonali al ricorrere di requisiti e di condizioni più stringenti di quelli previsti per le società 43 Tratto dalla c.d. “Relazione Mirone”, allegata allo schema di legge delega di riforma del diritto societario, trasfusa poi nella legge delega 366/2001. 44 Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 57, Roma, 2004, p. 14. Nello stesso senso si veda anche la Relazione Ministeriale al D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella quale si legge, relativamente ai patrimoni separati che «siamo essenzialmente in presenza dell’individuazione, all’interno del patrimonio della società, di una parte di questo, la sua separazione giuridica dall’interno, e la sua destinazione a uno specifico affare, una particolare operazione economica. Nella sostanza l’ipotesi è operativamente equivalente alla costituzione di una nuova società, col vantaggio dell’eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa». 45 M. BIANCA, op. cit., p. 67. 12 La separazione patrimoniale negli affari costituite per contratto. A tutela dei terzi e delle loro ragioni creditorie, si prevede che il socio unico effettui integralmente, già al momento della costituzione della società, i conferimenti dovuti (art. 2342, comma 2, c.c.). Qualora invece la pluralità dei soci venga meno durante la vita della società, l’unico socio dovrà immediatamente eseguire i conferimenti ancora dovuti (art. 2342, comma 4, c.c.). Altre norme speciali sono previste anche in tema di pubblicità (art. 2362 c.c.) 46 al fine di tutelare nella maniera più ampia possibile coloro i quali entrino in contatto con la società. Qualora tali norme siano violate, l’unico socio della società, in caso di insolvenza della stessa, risponderà illimitatamente delle obbligazioni sociali (art. 2325 c.c. 47) 48. 3.2 I patrimoni destinati a uno specifico affare Passando ora all’esame delle forme di segregazione patrimoniale che non presuppongono una duplicazione soggettiva, viene in rilievo l’art. 2447 bis, comma 1, lett. a), c.c., che disciplina i patrimoni destinati a uno specifico affare, fattispecie di separazione patrimoniale c.d. operativa. La costituzione di tali patrimoni è subordinata al rispetto di due limiti: l’uno quantitativo, per cui il patrimonio o i patrimoni non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società 49; 46 Art. 2362 c.c. Unico azionista «Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio. Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione per l'iscrizione nel registro delle imprese. L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti. Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione. I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento». 47 Art. 2325 c.c. Responsabilità «Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio. In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'articolo 2362». 48 R. QUADRI, op. cit., p. 142 e ss.. 49 R. QUADRI, op. cit., p. 106, criticamente osserva che «la limitazione quantitativa imposta dal legislatore sembra non tenere nel debito conto la circostanza che l’effettività della garanzia patrimoniale non dipende esclusivamente dal valore 13 La separazione patrimoniale negli affari l’altro qualitativo, per cui essi non possono essere costituiti per lo svolgimento di attività riservate in base alle leggi speciali (art. 2447 bis, comma 2, c.c.) 50. La costituzione del patrimonio deve essere deliberata dall’organo amministrativo 51 della società e, una volta approvata, la delibera deve essere depositata e iscritta presso il registro delle imprese. I creditori anteriori all’iscrizione possono fare opposizione entro sessanta giorni dall’iscrizione, decorsi i quali il regime di separazione patrimoniale diviene operativo 52. Detto regime comporta per un verso che i creditori della società non possano far valere alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare né sui frutti o proventi da esso derivanti e, per altro verso, che per le obbligazioni contratte per la realizzazione dell’affare, la società risponda solo con il patrimonio ad esso destinato (separazione c.d. bilaterale). Tale regime è però inapplicabile ai creditori cc.dd. involontari della società, cioè a coloro che vantano il diritto al risarcimento del danno per un illecito di cui sia responsabile la società (art. 2447 quinquies c.c.); forzando il dato letterale si ritiene che la società sia illimitatamente responsabile - e dunque non possa più opporre ad alcun creditore la segregazione patrimoniale - per le obbligazioni derivanti da fatto illecito sia qualora il fatto sia connesso all’attività generale sia qualora sia connesso allo specifico affare 53. La legge inoltre contempla ipotesi nelle quali la società, quand’anche abbia costituito un patrimonio per svolgere un certo affare, possa essere chiamata a rispondere delle relative obbligazioni anche con il patrimonio c.d. generale; ciò può avvenire o qualora non sia stato espressamente menzionato il vincolo di destinazione nell’atto o nel negozio posto in essere, o qualora una siffatta responsabilità sia già contemplata nell’atto costitutivo del patrimonio destinato. In tale ultima ipotesi i creditori sociali non potrebbero aggredire il patrimonio destinato ma i “creditori del patrimonio destinato” potrebbero soddisfare le della massa patrimoniale oggetto della garanzia, ma anche dalla sua composizione qualitativa: risulta intuitivo, infatti, che altro significa essere garantiti da un immobile di un certo valore, altro significa essere garantiti da una somma di denaro di corrispondente valore. Se è vero, allora, che il legislatore è stato mosso da timori legati ad una possibile fruizione fraudolenta dell’istituto, non sembra che la soluzione prescelta sia da reputarsi del tutto soddisfacente in termini di tutela per i creditori». 50 Ivi, p. 95. 51 Salvo diversa disposizione dello statuto (art. 2447 ter, comma 2, c.c.). 52 Il tribunale, nonostante l’opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della società di idonea garanzia (art. 2447 quater, comma 2, c.c.). 53 D. U. SANTOSUOSSO, Atti atipici di destinazione del patrimonio e patrimoni destinati a uno specifico affare, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p. 126. 14 La separazione patrimoniale negli affari proprie pretese - non soltanto aggredendo il patrimonio destinato ma aggredendo, in concorso con i creditori generali, anche il patrimonio generale della società, così determinando una separazione unilaterale 54. Il legislatore, inserendo questa norma di natura dispositiva, lascia all’autonomia privata (rectius agli amministratori) la scelta circa il carattere autonomo o non perfettamente autonomo del costituendo patrimonio 55. 3.3 I finanziamenti destinati ad uno specifico affare L’art. 2447 bis, comma 1, c.c., alla lett. b) disciplina i finanziamenti destinati a specifici affari, speciali contratti di finanziamento che possono essere stipulati tra una società ed un finanziatore nel caso in cui la società non disponga delle finanze necessarie per intraprendere una nuova iniziativa economica e dunque necessiti del prestito di un soggetto terzo 56. Connotati essenziali di questo finanziamento – che permettono di tenerlo distinto dai normali contratti di mutuo – sono il peculiare regime di separazione dei flussi finanziari che la sua stipulazione comporta e il particolare metodo di rimborso dello stesso. La separazione che si determina in questo caso – c.d. separazione finanziaria - concerne esclusivamente i proventi e i frutti dell’affare e non invece i beni e i rapporti giuridici del patrimonio sociale - come invece previsto in tema di patrimoni destinati a specifici affari (ex art. 2447 bis, comma 1, lett. a), c.c.) 57 – e pertanto sotto questo profilo appare più debole. D’altro canto, non intaccando in alcun modo la consistenza e la disponibilità del patrimonio sociale, il legislatore 54 R. QUADRI, op. cit., p. 107. Per un approccio critico alla questione, V. L. EGIZIANO, op. cit., p. 100, nota 132. Cfr. G. CAPALDO, Autonomia privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati a uno specifico affare, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema, (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 70. 56 G. CAPALDO, Autonomia privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati a uno specifico affare, op. cit., p. 70. 57 P. BALZANI – G. STRAMPELLI, I finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in Riv. Soc., 2012, fasc. 1, p. 112. 55 15 La separazione patrimoniale negli affari non ha ritenuto necessario introdurre il limite del dieci per cento del patrimonio netto della società, quale limite quantitativo dell’ammontare del finanziamento 58. Affinché si realizzi la separazione dei proventi dell’affare è necessario che una copia del contratto di finanziamento sia depositata e iscritta presso l’ufficio del registro delle imprese per rendere nota ai terzi l’avvenuta stipulazione del contratto, ed inoltre che la società adotti sistemi di incasso e contabilizzazione idonei ad individuare i proventi dell’affare e tenerli separati dal restante patrimonio sociale (art. 2447 decies, comma 3, c.c.). Al ricorrere di tali condizioni, si realizzerà la separazione patrimoniale dei proventi e dei frutti derivanti dallo svolgimento dell’affare in ragione del quale il finanziamento è stato richiesto; essi dovranno dunque essere destinati al rimborso del finanziatore e perciò sarà preclusa ai creditori generali la possibilità di soddisfare le proprie pretese aggredendo dette sostanze. Quanto al particolare regime di rimborso del finanziatore, si consideri anche l’eventualità in cui la società decida di garantire in parte detto rimborso, determinando così una segregazione patrimoniale imperfetta. Qualora i flussi di cassa derivanti dallo svolgimento dell’affare non siano sufficienti a ripagare il finanziatore e la società abbia prestato garanzia, dovrà in parte essere intaccato il patrimonio generale della stessa (art. 2447 decies, comma 2, lett. f), c.c.). La garanzia prestata può essere però solo parziale: qualora si consentisse di garantire l’intero rimborso del finanziatore, la responsabilità della società si sovrapporrebbe completamente a quella del patrimonio separato, determinando di fatto la postergazione dei creditori sociali generici rispetto a quelli del patrimonio destinato 59. Sebbene tra i due istituti disciplinati dall’art. 2447 bis – costituzione di patrimoni separati e stipulazione di finanziamenti destinati - vi siano delle differenze, in particolare per quanto attiene alla maggiore o minore intensità della separazione patrimoniale, ciò che emerge dalla disciplina nel suo complesso è che il legislatore abbia voluto comunque offrire particolari garanzie ad un determinato ceto creditorio, inserendo delle nuove ipotesi di limitazione della responsabilità 58 59 Ibidem. P. BALZANI – G. STRAMPELLI, op. cit., p. 104. 16 La separazione patrimoniale negli affari derogatorie del principio contenuto nell’art. 2740 c.c., al fine di incentivare gli investimenti in una prospettiva di sviluppo del mercato 60. 4. Il trust Il trust è un istituto di derivazione anglosassone creato dalle Corti di equity. Si è diffuso in tutti gli ordinamenti di common law grazie al mancato riconoscimento da parte degli stessi - a differenza di ciò che avviene in quelli di civil law - di dogmi quali l’assolutezza del diritto di proprietà e la responsabilità patrimoniale generica del debitore 61. Il trust è definito «an arrangement in which a settlor transfers property to one or more trustees, who will hold it for the benefit of one or more persons (the beneficiaries, who may include the trustee(s) or the settlor) who are entitled to enforce the trust, if necessary by action in Court» 62. La costituzione del trust implica dunque la nascita di situazioni giuridiche peculiari, non esattamente riconducibili né ai diritti reali, né ai diritti di credito tradizionalmente intesi; è proprio il diverso background culturale e soprattutto giuridico che ha consentito questo particolare innesto tra diritti reali e diritti di credito che il trust determina 63. In un’ottica comparativa è stato osservato che «il trust ha consentito nella tradizione di common law di disciplinare le diverse pretese intorno a un patrimonio, dando rilievo alla destinazione e separazione dei diritti sui beni che lo compongono, senza dover ricorrere come nella tradizione di civil law a una soluzione di secondo grado, quale la costruzione di un soggetto (persona giuridica) distinto dalle persone interessate al patrimonio e di un rapporto organico in virtù del quale altre persone fisiche traducono in atti produttivi di effetti giuridici le esigenze di tali persone interessate»64. 60 R. QUADRI, op. cit., p. 119. F. DI CIOMMO, Il trust e l’art. 2645 ter c.c.: profili di diritto italiano, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p. 212. 62 Oxford Dictionary of Law, Oxford, 1997. 63 D. CORAPI, Introduzione al libro di G.C.Cheshire, Il concetto del trust secondo la common law inglese (1933), con traduzione di C. GRASSETTI, Torino, 1998, p. VIII. 64 D. CORAPI, op. cit., p. XIX. 61 17 La separazione patrimoniale negli affari 4.1 La Convenzione dell’Aja e l’operatività del trust in Italia Negli anni Settanta e Ottanta lo sviluppo dei mercati finanziari, e la correlata articolazione di operazioni sempre più complesse, hanno fatto sorgere l’esigenza di blindare i capitali al fine di evitare che esiti infausti di singole operazioni li intaccassero, anche in maniera rilevante 65. L’emersione di tale nuova esigenza ha indotto gli operatori ad apprezzare sin da subito la poliedricità dell’istituto del trust e a farvi sempre più spesso ricorso. Il primo luglio 1985 viene perciò siglata a L’Aja l’omonima Convenzione che ha lo scopo «di stabilire disposizioni comuni relative alla legge applicabile al trust e di risolvere i problemi più importanti relativi al suo riconoscimento»66. Ratificata dall’Italia nel 198967 ed entrata in vigore nel 1992, essa ha permesso di rimuovere, almeno in parte, gli ostacoli che anteriormente alla sua ratifica impedivano l’operatività dei trust nel nostro ordinamento a causa dell’assenza di istituti interni ad essi assimilabili, dai quali ricavare una disciplina applicabile almeno in via analogica 68. L’art. 2 della Convenzione stabilisce che «per trust si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine specifico». La costituzione del trust deve essere volontaria e comprovata per iscritto 69; essa comporta che: a) i beni del trust costituiscano una massa distinta e non rientrino nel patrimonio del trustee; b) i beni del trust siano intestati a nome del trustee o di un'altra persona per conto del trustee; c) il trustee sia investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. 65 F. DI CIOMMO, op. cit., p. 213. V. amplius Preambolo della Covenzione de L’Aja. 67 La Convenzione è stata ratificata con la l. 16 ottobre 1989, n. 364. 68 G. TUCCI, Fiducie, trust e atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Studi in onore di Nicolò Lipari, (a cura di V. CUFFARO - G. DI ROSA), Milano, 2008, II, p. 2944. 69 G. TUCCI, op. cit., p. 2945, ricorda che la necessità di “provare per iscritto” la costituzione del trust non va confusa con la richiesta di forma scritta ad probationem in quanto un trust sorto con dichiarazione orale del disponente, la cui esistenza risulti da un documento scritto, è comunque idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione. 66 18 La separazione patrimoniale negli affari Ai fini di una completa comprensione dell’istituto in esame, si tenga nel debito conto il dato letterale della norma – “porre i beni costituiti in trust sotto il controllo del trustee” – e si noti che la norma non fa alcun riferimento agli eventuali atti traslativi strumentali all’ottenimento di quel risultato e parli esclusivamente e direttamente di intestazione di beni a nome del trustee o di altra persona per suo conto. Diversamente, nel modello tradizionale inglese «a settlor transfers property to one or more trustees» e non si limita invece a porre i beni sotto il controllo di un trustee 70. Appurata la differenza tra il modello tradizionale e quello c.d. convenzionale, e dunque la configurabilità di diverse forme di trust, si palesa un problema: quid iuris in Italia nei casi in cui vengano costituiti dei trust non rientranti nell’ambito di operatività della Convenzione? Non essendo stata finora adottata una normativa interna in materia, non può essere ancora individuata una soluzione certa al problema e dunque non resta che lasciare alla dottrina e alla giurisprudenza l’arduo compito di ipotizzare delle soluzioni astrattamente applicabili. 71 Relativamente alla legge applicabile ai trust, la Convenzione lascia al costituente la scelta della legge regolatrice del trust; i redattori della Convenzione però, consci degli ostacoli ancora frapposti da diversi ordinamenti all’operatività di tale figura, hanno riconosciuto la possibilità di sostituire 72 la legge regolatrice prescelta dal disponente con quella con cui il trust ha “più stretti legami”, qualora quella prescelta non contempli l’istituto del trust 73. Alla luce di tale possibilità, riconosciuta dalla Convenzione ai disponenti, si è posto il problema dell’ammissibilità dei cc. dd. trust interni, cioè quei trust che hanno come unico elemento di estraneità rispetto al nostro ordinamento la legge regolatrice prescelta, essendo tutti gli altri elementi (residenza delle parti e localizzazione dei beni) interni al nostro ordinamento. Sebbene per lungo tempo 70 F. DI CIOMMO, op. cit., p. 224. Senza alcuna pretesa di completezza può qui essere menzionata una delle soluzioni ipotizzate dalla dottrina per risolvere il problema esposto. In forza dei tale ipotesi, al fine di rendere opponibile ai terzi sia l’atto traslativo che quello di destinazione, si dovrebbe procedere ad una doppia trascrizione: una prima trascrizione dell’atto di trasferimento del diritto di proprietà sui beni immobili (costituiti in trust) a favore del trustee e contro il disponente ex art. 2643, comma 1, n. 1), c.c., e una seconda dell’atto di destinazione patrimoniale esclusivamente contro il trustee ex art. 2645 ter c.c.. V. F. DI CIOMMO, op. cit., p. 226 e ss.. 72 Per i criteri da osservare per l’individuazione della legge con cui il trust ha più stretti legami, V. art. 7, comma 2, Conv. 73 V. amplius Cap. II Conv. . 71 19 La separazione patrimoniale negli affari sia stata sostenuta l’inammissibilità di tale forma di trust 74, oggigiorno non appare più accettabile una siffatta ricostruzione sia perché la Convenzione riconosce ai disponenti un’assoluta libertà di scelta della legge regolatrice, sia perché nessuna norma della Convezione impone la presenza, nel trust, di elementi di estraneità in aggiunta alla legge straniera da applicare. Alla luce delle presenti considerazioni, pare che unico presupposto per l’applicazione della Convenzione sia che il trust spieghi i propri effetti in uno Stato diverso da quello la cui legge lo regola 75 e pertanto ad oggi non sembrano più permanere ostacoli alla configurabilità dei trust interni. 5. La separazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie Premesso che si avrà modo di trattare diffusamente dell’intermediazione finanziaria nel prosieguo della trattazione 76, è opportuno far cenno sin da ora al tema della separazione patrimoniale nell’ambito delle operazioni finanziarie. Si è già avuto modo di mettere in luce la particolare correlazione esistente tra specializzazione della responsabilità patrimoniale, conseguenza della segregazione patrimoniale, e contenimento dei costi dei finanziamenti, ma è bene considerare anche gli altri fattori che hanno contribuito alla progressiva affermazione della separazione patrimoniale nel diritto contemporaneo. Il ricorso sempre più massiccio, da parte dei risparmiatori, ai servizi prestati dagli intermediari finanziari ha spinto gli operatori a fornire servizi sempre più complessi e conseguentemente più rischiosi; da qui l’esigenza di tutelare gli investitori dai possibili abusi dei gestori 77. Per far fronte a tale esigenza è stato imposto sia a chi presta servizi e attività di investimento (art. 22 TUF 78), sia a chi 74 G. TUCCI, op. cit., p. 2945 e ss.. Per una completa disamina della questione, V. M. LUPOI, I trust nel diritto civile, in Trattato di diritto civile, (diretto da R.SACCO), Torino, 2004. Cfr. S. BARTOLI, Il trust, Milano, 2001, pp. 517 – 523. 75 G. TUCCI, op. cit., p. 2946. 76 V. infra Cap. II, par. 1-2. 77 P. GABRIELE, op. cit., p. 621. 78 Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58: Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF), ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52. 20 La separazione patrimoniale negli affari gestisce in monte il risparmio raccolto presso il pubblico (art. 36 TUF) 79 , il regime di separazione patrimoniale nell’esercizio dell’attività. Giacché si ravvisa «una simbiotica combinazione tra la “segregazione” di taluni asset, e dei correlati flussi finanziari, e la loro “destinazione” ad una finalità specifica» 80, la segregazione patrimoniale permette di garantire che il servizio venga prestato conformemente alle finalità indicate dal singolo cliente - nel caso di gestione di portafogli - o fissate nel regolamento del fondo - nel caso di partecipazione ad un fondo comune di investimento 81. Nell’ambito delle operazioni finanziarie si fa dunque ricorso all’istituto in esame tutte le volte che vi è la «necessità di distinguere – all’interno di una massa patrimoniale – una o più situazioni giuridiche rispetto ad altre o perché il titolo di appartenenza può non essere di agevole determinazione, o perché sono funzionali al conseguimento di scopi particolari»82. 5.1 La separazione patrimoniale nella gestione di portafogli Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento (artt. 18 e ss. TUF) i risparmiatori – investitori affidano agli intermediari i propri capitali perché siano investiti in strumenti finanziari e denaro. La natura fungibile di tali beni determina l’insorgere del rischio di confusione tra patrimoni: i beni del cliente potrebbero essere confusi con quelli del gestore o addirittura sottratti dal gestore o potrebbero essere favoriti alcuni clienti, a scapito di altri, qualora il gestore attribuisca a un cliente risorse spettanti ad altri 83. Per arginare questo rischio dunque, si stabilisce che gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli clienti, a qualunque titolo detenuti dall'impresa di investimento, costituiscano un patrimonio separato. L’art. 22 TUF stabilisce che la separazione patrimoniale si ha sia rispetto al patrimonio dell'intermediario che rispetto ai patrimoni (rectius 79 Per una completa disamina della disciplina delle attività e dei servizi di investimento e della gestione collettiva del risparmio, V. infra Cap. II, par. II. 80 Ivi, p. 622. 81 C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, in Diritto del mercato finanziario. Saggi, (diretto da R. LENER) Torino, 2011, p. 313. 82 P. GABRIELE, op. cit., p. 622. 83 G. GOBBO, Commento all’art. 22 TUF, in Commentario al T.U.F., (a cura di F. VELLA), Torino , 2010, Tomo I, p. 267. 21 La separazione patrimoniale negli affari portafogli) degli altri clienti. La norma specifica inoltre che sui singoli patrimoni non sono ammesse azioni dei creditori dell'intermediario o nell'interesse degli stessi, né quelle dei creditori dell'eventuale depositario o sub-depositario o nell'interesse degli stessi; tale impostazione pare essere un’applicazione del principio più generale enunciato nell’art. 21, comma 1 bis, lett. c), TUF, in base al quale gli intermediari adottano tutte le misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidatigli 84. La separazione patrimoniale inoltre implica che le azioni dei creditori dei singoli clienti siano ammesse soltanto nei limiti del patrimonio di proprietà di questi ultimi. Al fine di ribadire lo specifico vincolo di destinazione che grava sui beni di pertinenza dei singoli clienti, è stabilito che, salvo consenso scritto degli stessi, l'impresa di investimento non possa utilizzare, nell'interesse proprio o di terzi, né gli strumenti finanziari né le disponibilità liquide di pertinenza dei clienti, detenuti a qualsiasi titolo 85. 5.2 I fondi comuni di investimento Trattando di separazione patrimoniale nell’ambito delle operazioni finanziarie non si può non esaminare il tema dei fondi comuni di investimento. Per comprendere appieno il tema è opportuno premettere che esigenza dei risparmiatori è innanzitutto quella di ridurre quanto più possibile i rischi connessi ai propri investimenti e tale esigenza ha trovato nella possibilità di acquistare quote di fondi comuni di investimento una soluzione ottimale. L’apparizione e la susseguente affermazione nei mercati delle Società di gestione del risparmio (Sgr) e degli organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr) hanno comportato, nel corso degli ultimi decenni, l’abbandono da parte dei risparmiatori delle vecchie abitudini di investimento. Esse consistevano principalmente nell’impiego dei risparmi in “grandi imprese” o in enti pubblici, anche al fine di sostenere l’economia nazionale ma, poiché tali investimenti non avevano sempre 84 85 Ivi, p. 268. Analogo divieto è previsto per il depositario (art. 22, comma 3, TUF). 22 La separazione patrimoniale negli affari portato risultati profittevoli 86, si è iniziato a ritenere più conveniente investire in quote di fondi comuni di investimento – scelta questa, d’altra parte, più coerente anche con la citata esigenza di diversificazione e contenimento dei rischi. È opportuno partire dalla definizione generale degli Organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr) contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. k), TUF, da cui emergono i seguenti elementi: l'Organismo è istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio; il patrimonio dell’Oicr è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni; la gestitone del patrimonio comune è effettuata in monte in base a una politica di investimento predeterminata 87; il patrimonio dell’Oicr può essere costituito da strumenti finanziari, crediti, inclusi quelli erogati a valere sul patrimonio dell'Oicr stesso, partecipazioni o altri beni mobili o immobili 88. La lett. j) dello stesso articolo, per definire il fondo comune di investimento, si limita a stabilire che «fondo comune di investimento è l’Oicr costituito in forma di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore». Dall’analisi congiunta delle due norme emerge innanzitutto che tra Oicr e fondi comuni di investimento vi è un rapporto di genus ad speciem perché se da un lato si includono i fondi nella categoria generale degli Oicr, dall’altro si aggiunge che gli stessi sono costituiti nella forma di patrimoni autonomi. Non è il caso di dilungarsi eccessivamente sulle diverse ricostruzioni formulate in passato dalla dottrina in materia di fondi comuni di investimento, ma sembra nondimeno opportuno richiamare almeno le principali: il fondo comune di investimento dà luogo a una forma di comproprietà tra gli investitori, una comunione sui generis tra i partecipanti 89; 86 V. LEMMA, I fondi immobiliari tra investimento e gestione, Bari, 2006, p. 124. V. infra Cap. II, par. 7. 88 Per un’analisi dettagliata delle varie tipologie di fondi, dei beni che possono comporre i patrimoni dei fondi e per la correlazione tra politiche di investimento e composizione dei patrimoni, V. amplius Cap. II, par. 8. 89 In merito a tale ricostruzione è stata subito sollevata un’obiezione: mentre i comunisti sono animati da uno scopo di mero godimento, i partecipanti ad un fondo sono animati da uno scopo di investimento, tanto che essi non possono né godere né disporre dei beni che lo compongono. D’altra parte, la comunione ha natura essenzialmente statica mentre il fondo è caratterizzato dalla mutevolezza, per quanto riguarda sia l’identità dei partecipanti sia la composizione del 87 23 La separazione patrimoniale negli affari il fondo comune è un centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche caratterizzato da un’autonomia patrimoniale perfetta 90; il fondo comune di investimento è una parte segregata del patrimonio della Società di gestione del risparmio che ne è la titolare formale benché la gestione debba essere effettuata nell’interesse dei sottoscrittori, soggetti realmente interessati al buon esito degli investimenti 91. È quest’ultima la ricostruzione ad oggi pacificamente accolta nell’ordinamento, avallata anche dalla Suprema Corte che, con una rivoluzionaria sentenza 92, contenente diversi obiter dicta, ha chiarito molti aspetti della materia. Nel Testo Unico della Finanza, tra le norme che disciplinano la gestione collettiva del risparmio, assume primario rilievo l’art. 36, ed in particolare il quarto comma. Esso stabilisce che ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo 93, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società. Tale forma di separazione è definita bilaterale ed integrale 94 perché da un lato, delle obbligazioni contratte per conto del fondo la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo e, dall’altro, sul fondo non patrimonio. Cfr. F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società, (diretto da G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 253. 90 In tal senso si erano espressi il Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III, 11 maggio 1999, n. 608) e l’Agenzia del Territorio con la circolare n. 218 del 1999, relativa alle modalità di trascrizione dei beni immobili rientranti nei patrimoni dei fondi immobiliari. In forza di tale ricostruzione si sarebbe creato un terzo soggetto, accanto ai partecipanti – investitori e alla Sgr. Rilevato il contrasto tra una siffatta ricostruzione e i dati normativi, la dottrina ha sin da subito accantonato tale ricostruzione. 91 L. BULLO, op. cit., p. 541. 92 Nella Sent. Cass. Civ. 15 luglio 2010, n. 16605, sez. I, si legge: «la configurazione del fondo comune di investimento quale soggetto autonomo finisce per essere foriera di distorsioni […]. La separazione garantisce adeguatamente la posizione dei partecipanti, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione […]. La particolare insistenza del legislatore nel sottolineare l’autonomia del patrimonio del fondo comune è evidentemente frutto della preoccupazione di assicurare una tutela forte agli interessi degli investitori partecipanti al fondo, evitando loro il rischio di vedere intaccato il patrimonio del fondo da possibili azioni di terzi. Sotto questo profilo, ciò che soprattutto caratterizza tale patrimonio è la sua esclusiva destinazione allo scopo d’investimento per il quale è stato costituito e che perciò ne rappresenta la principale ragion d’essere. Da qui discende appunto l’impossibilità che quel medesimo patrimonio sia, al tempo stesso, anche posto a garanzia e a beneficio dei creditori della società di gestione e di altri soggetti estranei alla predetta destinazione». 93 Alla luce della distinzione, seppur sottile e non pacifica, tra patrimoni separati e autonomi (V. Cap. I, par. 2.2), L. BULLO, op. cit., p. 574, osserva che «forse l’espressione patrimonio autonomo utilizzata dal TUF con riguardo al fondo comune di investimento non appare più adeguata, facendo trasparire detta espressione una sottostante visione del fondo comune ancorata più ad una presupposta titolarità da parte di una pluralità di partecipanti che non all’unicità del soggetto gestore unico titolare formale dei beni del fondo». 94 P. CARLUCCIO, op. cit., p. 266. 24 La separazione patrimoniale negli affari sono ammesse azioni né dei creditori della società di gestione del risparmio o nell'interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell'interesse degli stessi 95. Soffermiamoci per il momento sul secondo periodo del quarto comma, nella parte in cui menziona i diversi soggetti coinvolti nella gestione del fondo e disciplina le pretese che eventualmente possono avanzare. Vi sono innanzitutto i “creditori della società di gestione”: tali sono soltanto i creditori della Sgr, le cui ragioni di credito non sono affatto collegate con il fondo e con la relativa attività di investimento; la regola per cui essi non possano vantare alcuna pretesa sul patrimonio del fondo è oggi più comprensibile che in passato perché risulta essere precipitato logico della qualificazione del fondo quale patrimonio separato della Sgr 96. Altro soggetto menzionato perché coinvolto nella gestione del fondo è il depositario, il cui ruolo e le cui funzioni saranno esaminate più nel dettaglio nel prosieguo della trattazione 97; ai fini che qui interessano è sufficiente rilevare che l’obbligo imposto ai gestori di depositare i beni costituenti i fondi presso un soggetto terzo ha la funzione di garantire il rispetto del principio di separazione patrimoniale e medesima ratio ha anche la disciplina del sub-deposito, che permette al depositario, a sua volta, di depositare presso un altro soggetto i beni ricevuti dal gestore 98. Al fine di evitare la confusione tra patrimoni poiché il depositario potrebbe avere presso di sé sia beni propri che beni depositati da terzi, il legislatore e le Autorità di vigilanza hanno fissato delle norme a disciplina del deposito (e del sub-deposito) che obbligano il depositario a rubricare i beni di pertinenza dei diversi fondi in appositi conti intestati all’Oicr o al comparto, in 95 Per un altro caso di separazione c.d. bilaterale ed il parallelismo con la separazione c.d. unilaterale, V. “I patrimoni destinati ad uno specifico affare”, Cap. I, par. 3.2. 96 Per cogliere appieno la portata innovativa di tale inquadramento giuridico si confronti l’attuale formulazione dell’art. 36 TUF con la previgente (prima che l’art. 36 TUF venisse riformato dall’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010): in forza della norma previgente, il fondo comune era sottratto alle pretese di tutti i creditori della società di gestione del risparmio, senza alcuna distinzione, risultando dunque compresi – e quindi incapaci di vantare pretese sul patrimonio del fondo – anche quei creditori il cui credito derivava da un’attività funzionale all’investimento. Cfr. L. BULLO, op. cit., p. 576 e ss.. 97 V. Cap. II, par. 10. 98 C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, op. cit., p. 314. Nello stesso senso C. PETRONZIO, I patrimoni distinti nel diritto del mercato finanziario, in I contratti del mercato finanziario, (a cura di E. GABRIELLI – R. LENER), Torino, 2011, Tomo I, p. 404. 25 La separazione patrimoniale negli affari modo tale da evitare l’apprensione di beni di un fondo al patrimonio generale del depositario 99. Infine, nella parte in cui si stabilisce che “non sono ammesse azioni nell’interesse” della Sgr, del depositario o del sub-depositario, s’intende specificare che sono precluse sul patrimonio del fondo anche le azioni eventualmente esercitabili in via surrogatoria dai creditori dei menzionati soggetti per crediti vantati dagli stessi nei confronti del fondo (ad esempio il credito derivante dalla provvigione per la gestione) 100. È sempre l’art. 36, comma 4, TUF, a stabilire che «le azioni dei creditori dei singoli investitori sono invece ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi». Tale previsione è coerente con l’essenza della gestione collettiva del risparmio: al momento dell’acquisto delle quote di partecipazione ad un fondo, l’investitore non affida alla Sgr una parte del proprio patrimonio perché resti separata dai patrimoni di altri investitori ma la affida al gestore perché la gestisca in monte, collettivamente. Ciò significa che l’apporto del singolo va a confluire e confondersi in un patrimonio unico, costituito dagli investimenti di tutti i soggetti che aderiscono al fondo 101, e ai singoli investitori sono assegnate delle quote rappresentative della partecipazione 102. I partecipanti al fondo non possono dunque chiedere la divisione del fondo ma solo il rimborso delle loro quote, che deve essere eseguito in denaro. Di conseguenza neanche i creditori personali dei partecipanti potranno agire direttamente sui beni costituenti il patrimonio del fondo e pertanto potranno soddisfarsi solo sul ricavato della vendita coattiva delle quote dei propri debitori 103. Passando ora ad analizzare il primo periodo del quarto comma dell’art. 36, TUF, si legge che «delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo». Per 99 L. BULLO, op. cit., p. 578. Ivi, p. 577. 101 V. RENZULLI, A. TUCCI, I fondi comuni di investimento, in Diritto del mercato finanziario. Saggi (diretto da R. LENER), Torino, 2011, p. 324. 102 V. amplius infra Cap. II, par. 7.2. 103 L. BULLO, op. cit., p. 580. A tal proposito l’A. richiama la disciplina della comunione per evidenziare la differente posizione riconosciuta ai creditori personali dei comunisti. Ricorda infatti che «il creditore personale del partecipante ad una comunione in senso tecnico ex art. 1100 c.c. […] può agire sui beni indivisi ai sensi degli artt. 599 e 600 c.p.c. anche quando non è creditore di tutti i comunisti». Per mezzo di tale richiamo l’A. ha voluto far emergere le peculiarità della disciplina dei fondi comuni di investimento e dunque le differenze con la comunione. 100 26 La separazione patrimoniale negli affari comprendere l’effettivo significato di questa prescrizione, occorre tenere a mente innanzitutto che il fondo non è dotato di autonoma capacità di agire poiché è un patrimonio separato della Sgr che lo ha costituito; perciò tutte le obbligazioni, sebbene contratte per conto del fondo, sono in primis necessariamente obbligazioni della società gerente perché dalla stessa contratte. È infatti la Sgr che, tramite i propri organi, pone in essere l’attività di gestione del fondo 104: tutte le operazioni concluse dalla società di gestione sul mercato sono quindi effettuate dalla società in nome proprio e solo successivamente imputate ai singoli fondi105. È dunque onere del gestore designare i beneficiari degli atti posti in essere, individuando tra i diversi patrimoni (autonomi) gestiti quello che godrà o risentirà degli effetti giuridici degli stessi. Tale operazione, equiparabile alla “menzione del vincolo di destinazione” prevista in tema di patrimoni destinati ad uno specifico affare (ex art. 2447-quinquies, ult. comma, c.c.) 106, è «l’indice esterno di riferibilità dell’atto al patrimonio destinato» 107; in tal modo «l’atto è immediatamente riferito all’uno piuttosto che all’altro patrimonio, in ciò concorrendovi anche l’agire del terzo, il quale partecipa alla menzione del vincolo di destinazione e aderisce alla scelta del compendio patrimoniale che – più o meno intensamente a seconda del codice organizzativo adottato – rappresenterà l’oggetto di garanzia generica nell’eventualità di inadempimento delle obbligazioni con lui contratte»108. Partendo da tale assunto, comprendiamo che sebbene la norma stabilisca apertis verbis che delle obbligazioni contratte per conto del fondo la Sgr risponda esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo, ciò non implica che siano automaticamente precluse ai creditori insoddisfatti le azioni nei confronti del soggetto cui si riferisce il patrimonio separato 109. L’attuale formulazione del 104 F. GENTILONI SILVERI, Limiti di responsabilità patrimoniale nei fondi comuni di investimento. Novità recenti: tra giurisprudenza e legislazione (nota a: Cass. Civ., 15 luglio 2010, n. 16605, sez. 1), in Banca borsa tit. cred., 2011, fasc. 4, p. 439. 105 Ivi, p. 441. 106 V. Cap. I, par. 3.2. 107 A. GEMMA, Destinazione e finanziamento, Torino, 2005, p. 113. 108 A. D. SCANO, Fondi comuni immobiliari e imputazione degli effetti dell’attività di investimento (nota a Cass. Civ., 15 luglio 2010, n. 16605, sez. 1), in Giurisprudenza commerciale, 2011, fasc. 5, p. 1141 e ss.. 109 F. GENTILONI SILVERI, op. cit., p. 443 e ss., sostiene inoltre che «la modifica dell’art. 36, comma 6, TUF [oggi comma 4] […] potrebbe accreditare interpretazioni incompatibili con il sistema dei fondi comuni di investimento (tanto da impegnare le società di gestione in contenziosi di lunga e complessa definizione) […] In particolare, dovendosi dare per scontato che il patrimonio del fondo comune costituisca la garanzia per le obbligazioni contratte nel suo interesse, 27 La separazione patrimoniale negli affari quarto comma dell’art. 36, TUF, non è stata giudicata positivamente dalla dottrina; al contrario, è stata criticata in quanto si ritiene presti il fianco a diverse interpretazioni e causi dunque incertezze applicative 110. Nonostante tali osservazioni e tali obiezioni, la dottrina prevalente oggi ritiene - come già accennato sopra - che viga, rispetto ai fondi comuni di investimento, un regime di segregazione patrimoniale bilaterale che non permette al “creditore del fondo”, anche a fronte dell’eventuale incapienza di quest’ultimo, per ciò solo di aggredire il patrimonio generale del gestore 111. A tal proposito è stato osservato che le separazioni patrimoniali nell’esercizio dell’impresa rispondono a una ratio ben precisa: limitare il rischio economico sopportato dall’imprenditore. Alla luce di ciò, nel caso in esame, invocare una responsabilità patrimoniale anche solo sussidiaria della società gerente nei confronti dei “creditori del fondo” si risolverebbe nell’affermare una posizione di garanzia della società rispetto all’attività di investimento, «trasformando la relativa obbligazione da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato: ciò che non risponde alla filosofia dei fondi comuni e al ruolo che il gestore è chiamato a interpretare» 112. Questa appena delineata è l’impostazione generale dei fondi comuni di investimento, cui riferire tutti i fondi indipendentemente dalla loro natura (fondi aperti o chiusi, riservati ecc.). I criteri cui devono uniformarsi e le norme di dettaglio in merito alle varie categorie di fondi istituibili sono oggi contenuti nel d. m. 24 maggio 1999, n. 228 113. Benché prima dell’introduzione del TUF la da ciò difficilmente può trarsi la conseguenza che i creditori insoddisfatti rimangano tali». L’Autore dunque conclude auspicando un intervento del legislatore che completi la disciplina delle azioni dei creditori, delineando, se possibile, una disciplina generale della limitazione di responsabilità nella gestione per conto terzi. 110 L. BULLO, op. cit., p. 583 e ss., inoltre sostiene che si sarebbe giunti a un risultato più soddisfacente «prevedendo che “per le obbligazioni contratte dalla Sgr per conto di ciascun fondo, o di ciascun comparto dello stesso fondo, risponde esclusivamente il patrimonio dello stesso fondo o comparto” […] L’avverbio esclusivamente sembrerebbe voler […] limitare le azioni dei creditori del fondo al solo patrimonio gestito». 111 Ivi, p. 584. Cfr. F. GENTILONI SILVERI, op. cit., p. 443 e ss.. e TROIANO, Commento sub art. 36 e 37, in Testo unico della finanza, (a cura di FRATINI - GASPARRI), Torino, 2012. 112 A. D. SCANO, op. cit., p. 1145. 113 Con il citato decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze ha dato attuazione alla delega contenuta nell’art. 39 TUF in base alla quale «il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob, determina i criteri generali cui devono uniformarsi gli Oicr italiani con riguardo: a) all'oggetto dell'investimento; b) alle categorie di investitori cui è destinata l'offerta delle quote o azioni; c) alla forma aperta o chiusa e alle modalità di partecipazione, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all'eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire; d) all'eventuale durata minima e massima; e) alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti dei beni, sia in fase costitutiva che in fase successiva alla costituzione del fondo». 28 La separazione patrimoniale negli affari materia fosse regolata da norme di rango primario 114, è stato osservato come oggi la regolamentazione da parte di norme di rango secondario garantisca la possibilità di un suo rapido adeguamento alle mutevoli esigenze delle attività finanziarie, come innegabilmente dimostrato dai numerosi interventi modificativi che hanno riguardato il citato decreto 115. 5.3 Le società di cartolarizzazione La separazione patrimoniale è la pietra angolare delle cartolarizzazioni ed è lo strumento che consente la loro corretta realizzazione. La cartolarizzazione 116 è un’operazione che consiste nella cessione di una massa di crediti «ad una società veicolo appositamente costituita (Special Purpose Vehicle o SPV) 117 che emette i titoli di cartolarizzazione (cc. dd. titoli derivati), poi collocati presso il pubblico e rimborsati con i flussi finanziari provenienti da attivi ceduti ed acquistati a loro volta con i proventi derivanti dal collocamento dei titoli»118. Le prime operazioni di cartolarizzazione sono state articolate negli anni Settanta dalle banche statunitensi al fine di smobilizzare i mutui fondiari concessi 114 V. RENZULLI,, A. TUCCI, , op. cit. , p. 345, nota 71. L., BULLO, op. cit., p. 555. 116 Questo termine deriva da chartula, il documento che incorpora i diritti di credito. Esso ha per un verso il vantaggio di esprimere l’essenza della cartolarizzazione, poiché evoca il meccanismo dell’incorporazione, ma, per altro verso, è stato giudicato poco appropriato poiché nella maggior parte dei casi i titoli in questione sono gestiti in maniera accentrata e assoggettati al regime della dematerializzazione. 117 Il legislatore ha predisposto tre diversi moduli per la realizzazione delle operazioni di cartolarizzazione. Il modulo tradizionale – e privilegiato nel nostro ordinamento - prevede la cessione di crediti ad una società veicolo. La cessione può anche avvenire a favore di un fondo comune di investimento – purché di tipo chiuso - nel qual caso i titoli non sono altro che quote di partecipazione al fondo e l’investitore ottiene interessi e rimborso secondo le scadenze predeterminate nel regolamento del fondo, V. L. PICARDI, “Fondo comune di crediti” e separazione patrimoniale, in Patrimoni separati e cartolarizzazione, (a cura di M. TAMPONI), Roma, 2006 p. 106 e ss.. Infine l’operazione può realizzarsi mediante l’erogazione di un finanziamento al cedente (originator - finanziato) da parte della società che emette i titoli (c.d. subparticipation). In tal caso la separazione si ha su due fronti. Da un lato il finanziato e cioè l’originario soggetto generatore dei crediti, pur conservando la titolarità degli stessi, li distacca dal restante patrimonio per destinarli ad esclusiva garanzia degli investitori. Dall’altro il finanziatore, pur essendo il soggetto emittente i titoli, non risponde nei confronti dei portatori di questi con tutto il suo patrimonio, ma solo con il flusso finanziario generato dai crediti cartolarizzati. Tale ultimo modulo attuativo comporta una speciale forma di separazione patrimoniale caratterizzata dalla riserva di una parte del patrimonio dell’originator - finanziato a garanzia dei creditori di un soggetto diverso (finanziatore - emittente). V. L. CAROTA, La cartolarizzazione dei crediti, in I contratti del mercato finanziario, (a cura di E. GABRIELLI – R. LENER), Torino, 2011, Tomo II, p. 1532 e ss.. Nel presente lavoro si farà comunque riferimento al modulo tradizionale di cartolarizzazione che prevede la cessione dei crediti a uno SPV perché più frequentemente utilizzato nella pratica degli affari e dunque più diffusamente studiato. 118 S. MACCARONE, Gli strumenti di articolazione del patrimonio nell’esperienza bancaria, in Gli strumenti di articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema, (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 82. 115 29 La separazione patrimoniale negli affari e ottenere nuova liquidità. Originandosi in un sistema di common law e realizzandosi tramite il ricorso a istituti tipici di quella tradizione giuridica - in particolare il trust - le operazioni di cartolarizzazione hanno tardato ad apparire nell’Europa continentale: le prime sono state realizzate solo alla fine degli anni Ottanta e in Italia addirittura alle porte degli anni Duemila. È infatti del 1999 la legge che regola le cartolarizzazioni (L. 30 aprile 1999, n. 130) e che permette quindi anche alle banche italiane di godere dei benefici che queste operazioni comportano 119. L’operazione di cartolarizzazione è particolarmente complessa e richiede l’intervento di diversi soggetti. Vi è innanzitutto un originator (cedente) che, nell’esercizio dell’attività bancaria o di intermediazione finanziaria, eroga crediti. Egli può decidere di cedere in blocco, a titolo oneroso, crediti pecuniari sia esistenti sia futuri; le somme corrisposte dai debitori ceduti dovrà però destinarle in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli che ha emesso nell’ambito dell’operazione per ottenere liquidità e acquistare quei crediti (art. 1, comma 1, lett. b), l.130/1999). La materiale esecuzione dell’operazione è invece gestita da un altro soggetto, il c.d. servicer, che sorveglia sulla regolarità dei flussi, riscuote i crediti ed effettua i servizi di cassa 120 . Infine, qualora i titoli oggetto delle operazioni di cartolarizzazione siano offerti a investitori non professionali, interviene nell’operazione anche un’agenzia di rating esterna che assegna ai titoli emessi un rating 121. In ogni caso, tutti gli investitori, prima di acquistare dei titoli, saranno tenuti a valutare il rendimento degli stessi e quindi in primis il grado di probabilità di realizzazione dell’insieme 119 L. CAROTA, op. cit., p. 1502. Servicer è generalmente lo stesso originator, avvantaggiato, nello svolgimento del compito, dal rapporto privilegiato con i debitori. L’attività del servicer è però soggetta a riserva di attività in forza della quale solo banche e intermediari finanziari, iscritti nell’apposito elenco speciale previsto dall’art. 107 TUB possono esercitarla (art. 2, comma 6, l. 130/1999). Ne deriva che, qualora l’originator non sia né una banca né un intermediario finanziario, servicer dovrà essere un soggetto terzo. V. L. CAROTA, op. cit., p. 1520. 121 Art. 2, comma 4, l. 130/1999. L. CAROTA, in op. cit., p. 1519, sottolinea l’importanza di una simile previsione alla luce della difficoltà, per gli investitori non professionali, di definire il grado di affidabilità dell’affare. Si noti inoltre che, a tutela dell’imparzialità di tale giudizio, l’art. 2, comma 5, l. 130/1999, prevede che la Consob stabilisca con proprio regolamento i requisiti di professionalità ed i criteri idonei ad assicurare l’indipendenza degli operatori che svolgono la valutazione del merito del credito. La Consob ha a ciò provveduto adottando, con la delibera 2 novembre 1999, n. 12175, un apposito regolamento. In merito ai diversi livelli di rating V. amplius S. MACCARONE, op. cit., p. 83. 120 30 La separazione patrimoniale negli affari dei crediti posti a garanzia del soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi 122. Obiettivo primario di chi decide di cartolarizzare i crediti che ha in pancia è quello di ottenere liquidità senza ricorrere ai normali strumenti di finanziamento (prestito bancario, emissione di obbligazioni, aumento di capitale), trasferendo completamente – qualora la cessione avvenga pro soluto – il rischio di insolvenza del debitore allo SPV 123. A chi acquista i titoli emessi è assicurata la possibilità di soddisfare le proprie pretese sul patrimonio separato costituito dai flussi finanziari derivanti dalla riscossione dei crediti ceduti e, al tempo stesso, è negata a tutti gli altri creditori della società veicolo la possibilità di avanzare pretese su detto patrimonio. La disciplina completa della separazione patrimoniale nelle operazioni di cartolarizzazione è data dalla lettura congiunta dell’art. 1, comma 1, lett. b), con l’art. 3, comma 2 e l’art. 4, comma 2, della l. 130/1999 124. Da una siffatta lettura si ricava che i crediti relativi a ciascuna operazione di cartolarizzazione effettuata da uno SPV costituiscono un “patrimonio separato a tutti gli effetti” 125 sia da quello della società, sia da quello relativo alle altre operazioni da essa eventualmente realizzate. Dalla data di efficacia della cessione dei crediti - e cioè dalla pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale - su ciascun patrimonio separato sono esercitabili soltanto le azioni dei portatori dei titoli emessi dalla società di cartolarizzazione. Come già messo in luce negli altri casi di separazione patrimoniale già esaminati, anche nel caso delle operazioni di cartolarizzazione sorge un problema: comprendere l’effettiva portata della segregazione che il legislatore ha introdotto. Sebbene la legge specifichi che sul patrimonio separato non sono ammesse azioni di soggetti che non siano portatori di titoli derivati, la legge non si pronuncia in merito alla possibilità, per i portatori dei titoli, di agire sul patrimonio generale 122 L. CAROTA, op. cit., p. 1516. Alla luce di ciò S. MACCARONE, op. cit., p. 83, spiega che «i titoli emessi in operazioni di questo genere sono normalmente divisi in categorie, senior, mezzanine e junior, in regressione di qualità e con rendimenti e rischio quindi crescenti». 123 L. CAROTA, op. cit., p. 1522. 124 P. CARLUCCIO, op. cit., p. 265. 125 Si noti come la medesima espressione “patrimonio distinto a tutti gli effetti” sia stata usata dal legislatore per definire il regime di separazione patrimoniale sia in tema di gestione di portafogli (art. 22 TUF) sia in tema di gestione in monte (art. 36 TUF). V. supra par. 5.1 – 5.2. 31 La separazione patrimoniale negli affari della società di cartolarizzazione per soddisfare le proprie pretese qualora il patrimonio separato a sé destinato risultati insufficientemente capiente. La questione quindi, non può essere risolta se non in via interpretativa. A tal proposito è stato osservato che «obiettivo della l. 130/1999 è consentire l’importazione nel nostro sistema di un modello giuridico proveniente dal mondo anglosassone, la cui realizzazione in quell’ambito avviene attraverso l’utilizzazione dell’istituto del trust»126. Parte della dottrina ha anche sottolineato la inidoneità di una “separazione” che non provochi una vera e propria segregazione, analogamente a quanto avviene per i beni costituiti in trust. Considerando quindi tanto il dato letterale della legge – che parla di patrimonio separato - quanto la ratio legis e le osservazioni della dottrina, si può concludere che la separazione prevista dalla l. 130/1999 può essere classificata come “separazione in senso stretto”, il che comporterebbe l’esclusiva destinazione del flusso finanziario generato dai crediti cartolarizzati al soddisfacimento delle pretese dei portatori dei titoli emessi. A ciò, d’altra parte, dovrebbe corrispondere un’equivalente circoscrizione della responsabilità patrimoniale della società. In un siffatto sistema il soddisfacimento dei diritti degli investitori dipenderebbe dunque in modo diretto ed esclusivo dalla realizzazione dei crediti cartolarizzati 127. 126 L. CAROTA, op. cit., p. 1530. L. CAROTA, op. cit., p. 1531. Contra F. SANTONASTASO, il quale sostiene che è da escludere una separazione biunivoca tra il patrimonio della società e il patrimonio della singola operazione di cartolarizzazione. Egli ritiene che, sebbene sia indubbio che i creditori della società non abbiano azione sul patrimonio separato, non è vero l’inverso, in quanto i creditori del patrimonio separato hanno azione sul patrimonio della società. V amplius F. SANTONASTASO, Le società di diritto speciale in Trattato di diritto commerciale, (diretto da V. BUONOCORE), Torino, 2009, sez. IV, Tomo X, p. 249; cfr. GUERRIERI, Art. 1. Ambito di applicazione e definizioni, in Legge 30 aprile 1999, n. 130. Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti, Commentario, (a cura di MAFFEI – ALBERTI), Leggi civ. comm., 2000, Tomo V, p. 1020. 127 32 La separazione patrimoniale negli affari II CAPITOLO: Le società di gestione del risparmio (Sgr) INTRODUZIONE: I mercati regolamentati L’attività di impresa è nel nostro ordinamento regolata da numerose norme contenute sia nel Codice Civile che nella legislazione di settore. Il Codice civile detta un corpo di norme, generalmente definito come “Statuto generale dell’imprenditore”, applicabile sempre a imprenditori individuali e collettivi; poi, ogni qualvolta alla luce dei criteri fissati dal Codice l’imprenditore considerato svolga attività qualificabile come commerciale 128 (art. 2195 c.c.), dovrà essere applicato, in aggiunta allo Statuto generale, lo “Statuto dell’imprenditore commerciale”. Individuando in tali norme il sostrato della disciplina di tutte le attività economiche, è necessario, di volta in volta, considerare anche le eventuali discipline speciali previste per i singoli settori (c.d. “Statuti settoriali”) 129. Diverse sono le ragioni che spingono il legislatore a introdurre queste norme speciali ma, ai fini della presente trattazione, viene in rilievo in particolare l’esigenza di tutelare il risparmio perché, come stabilito dall’art. 47 Cost., «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme». Il risparmio, nella sua accezione macroeconomica, può essere definito come «l’insieme delle risorse della collettività che non vengono destinate al consumo»130; tali risorse pertanto possono essere impiegate in vari modi, ad esempio depositate presso una banca o investite sul mercato. Le operazioni che hanno a oggetto il risparmio sono effettuate generalmente nel mercato bancario, in quello finanziario e in quello assicurativo. Nonostante le peculiarità di ciascun mercato, e quindi delle rispettive discipline, il dettato dell’art. 47 Cost. pare essere il leitmotiv della normativa nel complesso considerata. 128 G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Diritto dell’impresa, Torino, 2012, p.22. Aa. Vv. , Diritto delle imprese. Manuale breve, Milano, 2012, p. 331. 130 Aa. Vv. , ivi, p.332. 129 1. Il mercato finanziario: gli operatori Il mercato finanziario, a volte definito anche mercato mobiliare, è «l’insieme degli scambi e delle attività avanti ad oggetto i valori mobiliari o gli strumenti finanziari»131. L’art. 1 del TUF, commi 1 bis, 1 ter e 2, definisce i valori mobiliari e gli strumenti finanziari. Dalla lettura delle citate norme si evince che, oggigiorno, sono numerosissimi i beni che possono essere scambiati nei mercati finanziari. Oltre ad azioni ed obbligazioni (art. 1, comma 1 bis, lett. a) e b) ), figurano infatti anche titoli di Stato (art. 1, comma 1 ter), quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (art. 1, comma 2 lett. c) ) e strumenti derivati per il trasferimento del rischio del credito, cc.dd. derivati (art. 1, comma 2, lett. h). Nel mercato finanziario i principali operatori sono gli emittenti e gli intermediari finanziari: mentre i primi sono imprese che per finanziarsi emettono valori mobiliari e strumenti finanziari, i secondi provvedono alla distribuzione e al collocamento di tali beni presso i risparmiatori 132. L’attività degli intermediari finanziari è di fondamentale importanza per un corretto ed efficiente funzionamento del mercato, poiché l’incontro tra l’offerta di valori mobiliari e la domanda degli stessi può, solo in rari casi, realizzarsi senza l’ausilio di soggetti terzi. I risparmiatori, infatti, potrebbero non essere a conoscenza dei diversi prodotti offerti sul mercato e delle relative caratteristiche ma, ancor di più, potrebbero non essere capaci di (o disposti a) finanziare la società emittente per l’intero suo fabbisogno. Si pongono inoltre problemi di concentrazione del rischio che generalmente spingono gli operatori del mercato a diversificare gli investimenti, evitando di impiegare tante risorse in un’unica azienda o in uno stesso settore 133. Tutte queste problematiche sono attenuate e in parte risolte grazie all’attività svolta dagli intermediari finanziari che, appunto, si interpongono tra le imprese emittenti e i risparmiatori-investitori. 131 Aa.Vv. , op. cit., p.332. Aa.Vv. , op. cit., p. 337. 133 R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2013, p.3. 132 34 Le società di gestione del risparmio (Sgr) 2. L’intermediazione finanziaria Gli intermediari finanziari prestano servizi riconducibili alternativamente a una delle seguenti categorie: Gestione individuale del risparmio (servizi e attività di investimento, artt. da 18 a 32 ter TUF), Gestione collettiva del risparmio (artt. da 32 quater a 50 quinquies). 2.1 La gestione individuale del risparmio La gestione individuale del risparmio consiste nella prestazione di servizi ed attività di investimento, aventi ad oggetto strumenti finanziari, effettuati su richiesta di singoli investitori e consistenti, in base a quanto disposto dall’art. 1, comma 5, in: a. negoziazione per conto proprio; b. esecuzione di ordini per conto dei clienti; c. sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente; c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti dell'emittente; d. gestione di portafogli; e. ricezione e trasmissione di ordini; f. consulenza in materia di investimenti; g. gestione di sistemi multilaterali di negoziazione. L’esercizio di tali attività, elencate tassativamente dal legislatore, è riservato alle sole imprese di investimento - società di intermediazione mobiliare (Sim) e imprese di investimento estere - e alle banche (art. 18 TUF). Tali enti, per poter esercitare queste attività, devono essere autorizzati dalla Consob che procede, con apposito provvedimento, sentita la Banca d’Italia (art. 19 TUF). Tra le attività sopra elencate la gestione di portafogli, di cui alla lett. e), è la più caratterizzante dell’ambito perché ha in sé l’essenza della gestione individuale. Essa, infatti, è definita come una «gestione su base discrezionale e 35 Le società di gestione del risparmio (Sgr) individualizzata», effettuata in forza di un mandato conferito dal cliente (art. 1, comma 5 quinquies TUF). Tratto essenziale dunque della gestione individuale che la contraddistingue da quella collettiva - è il diritto del singolo investitore di «impartire [all’intermediario] istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere» (art. 24 comma 1 T.U.F.). 2.2 La gestione collettiva del risparmio Dare una definizione di gestione collettiva del risparmio – anche nota come gestione in monte - non è oggi semplice: il continuo recepimento, da parte del nostro legislatore, delle direttive comunitarie che disciplinano la materia ha determinato un «complesso gioco di “scatole cinesi” che rimbalzano il lettore da una definizione all’altra» 134. Da ultimo, si è proceduto al recepimento della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva AIFM), tramite il D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44, che, oltre ad aver innovato la disciplina del c.d. “passaporto europeo”, ha riformulato alcune definizioni contenute nell’art. 1 TUF «in termini certamente più efficaci e meno autoreferenziali»135. L’attuale formulazione dell’art. 1, comma 1, lett. n), TUF stabilisce che la gestione collettiva del risparmio è «il servizio che si realizza attraverso la gestione di organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr) e dei relativi rischi». A sua volta la lettera k) dello stesso articolo definisce l’Oicr come «l'organismo istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, […] o altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento predeterminata». 134 F. SIGNORELLI, La gestione individuale e collettiva del risparmio. Gli intermediari finanziari non bancari, in Manuale del mercato mobiliare (a cura di F. Iudica), Torino, 2012, p. 176. 135 P. CARRIÈRE, La riformulazione della riserva di attività alla gestione collettiva del risparmio e le SICAF: luci e ombre, in Rivista delle soc., 2014, p.453. 36 Le società di gestione del risparmio (Sgr) Le precedenti formulazioni delle norme appena richiamate erano lacunose e ciò aveva comportato frequenti fenomeni di abusivismo136. Pertanto, è stato ritenuto opportuno modificarle, introducendo prescrizioni più generali al fine di «rendere “riservata” qualsiasi modalità o forma con cui quella stessa attività [di gestione collettiva del risparmio] possa essere svolta»137. Si noti, infatti, il diverso e più specifico tenore delle norme previgenti. L’attività di gestione collettiva del risparmio poteva concretarsi in: promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di investimento e amministrazione dei rapporti con i partecipanti; gestione del patrimonio di Oicr, di propria o altrui istituzione, mediante l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni mobili o immobili. D’altra parte, Oicr erano soltanto i fondi comuni di investimento e le società di investimento a capitale variabile (Sicav), costituiti rispettivamente in forma “contrattuale” e “societaria”. Dal combinarsi di queste disposizioni ne derivava che l’attività di gestione collettiva poteva avere a oggetto esclusivamente fondi comuni o Sicav 138 e «risultavano, dunque, sostanzialmente sottratte alla riserva [di attività] tutte quelle modalità di svolgimento dell’attività in questione che – pur venendo a integrare nella sostanza […] un servizio gestorio di patrimoni “in monte” – non fossero formalmente riconducili ad alcuno dei due (soli) schemi operativi allora disponibili agli operatori per il suo svolgimento (fondi comuni di investimento e Sicav)»139. A questo punto, prescindendo dall’esame dei soli dati normativi e abbandonando un approccio puramente dogmatico 140, emerge che la gestione collettiva del risparmio consiste nello svolgimento di operazioni di investimento e disinvestimento, aventi ad oggetto i beni che compongono gli Oicr, seguendo le politiche e le strategie fissate nel regolamento. È una gestione effettuata in forza 136 P. CARRIÈRE., ivi , p. 451. P. CARRIÈRE, ibidem. 138 P. CARRIÈRE, op. cit. , p.451. 139 P. CARRIÈRE, op. cit. , p. 452. 140 F. SIGNORELLI, op. cit., p. 176. 137 37 Le società di gestione del risparmio (Sgr) di criteri standardizzati, «preconfezionati e prestabiliti dal gestore» 141, come tali tendenzialmente immutabili, che «non lasciano spazio alla considerazione delle esigenze individuali degli investitori»142, tanto da determinare il loro “assorbimento” nell’interesse facente capo alla massa 143. I partecipanti all’Oicr non hanno «alcun rapporto “interlocutorio” con il gestore»144 e pertanto, diritti di interferenza e indirizzo delle politiche di gestione vengono riconosciuti, non ai quotisti uti singuli, ma al più ad una collettività di investitori, solo nei casi espressamente stabiliti dalla legge (art. 37, comma 3 TUF) 145. L’obiettivo di una tale gestione è di determinare un «incremento del valore del patrimonio dell’Oicr»146, realizzando mediatamente l’interesse degli investitori che «partecipano pro quota ai risultati della gestione del patrimonio comune»147. Gli investitori, dunque, sopporteranno le eventuali perdite conseguite dall’Oicr o beneficeranno degli incrementi di valore dello stesso, ma pur sempre in una dimensione collettiva. Allo scadere del contratto di investimento i risparmiatori, non potendo vantare alcun diritto sui singoli beni costituenti il patrimonio comune, potranno richiedere solo il «rimborso della [propria] quota [di partecipazione], sotto forma di liquidazione di una somma di denaro»148. È opportuno però mettere in luce che, nonostante l’essenza della gestione in monte sia quella appena delineata e non sia mutata in forza delle recenti riforme, le modifiche introdotte nel 2014 hanno comunque comportato l’eliminazione dal dato testuale della distinzione tra le due attività esercitabili dalle Sgr: promozione e organizzazione del fondo e amministrazione dei rapporti con i partecipanti da un lato e gestione del patrimonio dall’altro. Tale scissione comportava la possibilità di qualificare le Sgr come “di promozione” o “di gestione”, a seconda del servizio concretamente prestato. Il risultato complessivo dell’investimento poteva dunque essere il frutto del combinarsi delle attività di due società distinte, impegnate in 141 F. SIGNORELLI, op. cit., p. 176. F. ANNUNZIATA, op. cit. , p. 249 143 V. RENZULLI, A. TUCCI, I fondi comuni di investimento in Diritto del mercato finanziario. Saggi (diretto da R. LENER), Torino, 2011, p. 325. 144 V. RENZULLI, A. TUCCI, ibidem. 145 F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società, (diretto da G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 249. 146 C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, in Diritto del mercato finanziario. Saggi, (diretto da R. LENER) Torino, 2011, p. 297. 147 C. PETRONZIO, ivi, p. 296. 148 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 325. 142 38 Le società di gestione del risparmio (Sgr) due fasi diverse ma successive della gestione del risparmio altrui. Questa impostazione si ripercuoteva sul regime di responsabilità dei gestori verso la clientela: il previgente art. 36, comma 5 TUF, prevedeva infatti la responsabilità solidale della Sgr di gestione e di quella di promozione nei confronti degli investitori 149. Oggi però «sembra che le dette attività debbano essere esercitate congiuntamente dalla stessa Sgr» 150. Tale lettura sembra corroborata dalla Relazione illustrativa al D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44 che testualmente stabilisce che «l'attuazione della direttiva AIFMD comporta il superamento del modello italiano che [consentiva] alle Sgr di prestare disgiuntamente le attività di gestione di patrimoni e di promozione»151 152. È necessario ricordare infine che la normativa di settore, a seguito delle recenti modifiche, classifica gli organismi di investimento collettivi del risparmio in base all’oggetto dell’investimento e alla normativa ad essi applicabile. Si distinguono Oicr aperti e chiusi, Oicr alternativi, e tanti altri. Per un’elencazione completa e per le relative definizioni si rinvia al TUF e in particolare all’art. 1. Nella presente trattazione si farà più semplicemente riferimento a “fondi comuni di investimento”, termine a lungo utilizzato e ormai invalso nell’uso comune. 2.3 Gestione individuale e gestione collettiva a confronto Dopo aver tracciato i contorni della gestione individuale e di quella collettiva, è opportuno individuare i caratteri comuni ai due servizi che sono: lo svolgimento di un’attività di investimento, il regime di separazione patrimoniale nella prestazione del servizio. Tali elementi pur caratterizzando entrambe le forme di gestione, si atteggiano diversamente nei due casi. 149 F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa, p. 250. M. ROBERTI, L’attuazione della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi in Italia, reperibile su http://pluriscedam.utetgiuridica.it/main.html#mask=show_doc,ds_name=default,pos=2,opera=33,id=33CS1000112543,mode=quic k_search,tipo=,_menu=quotidiano,highlight=marta roberti,_npid=331301663,__m=quotidiano. 151 Relazione illustrativa allo schema di D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44, p. 16. 152 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2014, p. 202. 150 39 Le società di gestione del risparmio (Sgr) L’intermediario finanziario svolge sempre un’attività di investimento ma, mentre nella gestione individuale interagisce con un singolo investitore per l’intera durata del rapporto, nella gestione collettiva egli raccoglie il risparmio di tanti investitori per gestirlo in monte, agendo quindi per perseguire l’interesse della collettività. Nei due casi diverso è l’oggetto dell’investimento: mentre nella gestione individuale l’intermediario investe i risparmi del proprio cliente solo in strumenti finanziari, nella gestione collettiva il risparmiatore, tramite il gestore, acquista una quota di partecipazione a un Oicr, costituito, non solo da strumenti finanziari, ma anche da altri beni (ad esempio crediti, beni mobili e/o immobili). Per quanto attiene al secondo tratto comune delle due forme di gestione - e cioè al regime di separazione patrimoniale – si noti che nella gestione individuale ogni investitore conserva pieni diritti sui propri risparmi pur affidando la loro gestione ad una Sim o ad altro intermediario autorizzato. Pertanto, il patrimonio di ciascun cliente deve essere tenuto distinto sia dai patrimoni di altri, sia dal patrimonio generale del gestore. Diversamente, nella gestione collettiva ogni risparmiatore, impiegando parte dei propri averi per acquistare una quota di partecipazione in un Oicr, non vanta alcun diritto sui singoli beni che compongono il patrimonio comune. Non è dunque più possibile distinguere i risparmi dei singoli investitori perché, a seguito della sottoscrizione del contratto di investimento, ai singoli viene attribuita solo una quota di partecipazione al patrimonio nel suo complesso considerato 153. Resta però fermo il regime di separazione patrimoniale tra i diversi Oicr costituiti dal medesimo gestore. 3 Need for protection: la riserva di attività. Da sempre le banche hanno avuto un ruolo centrale nella raccolta e nella gestione del risparmio. Sin dagli anni Settanta però, si è iniziata ad avvertire l’esigenza di superare tale regime di monopolio154, anche al fine di far fronte a 153 F. BILOTTI, La gestione collettiva, in Manuale di diritto del mercato finanziario (a cura di S. AMOROSINO), Milano, 2014, p. 151. 154 V. LEMMA, La società di gestione del risparmio (SGR), in L’ordinamento finanziario italiano (a cura di F. CAPRIGLIONE), Padova, 2010, II, p. 674. 40 Le società di gestione del risparmio (Sgr) nuove e diverse esigenze della clientela, soprattutto di quella che intendeva investire – e non solo depositare – i propri risparmi. In tale ambito, il primo intervento normativo, risalente al 1983 155, ha introdotto nel nostro ordinamento un particolare tipo di società per azioni, avente per oggetto esclusivo la gestione di fondi mobiliari aperti; nel decennio altri provvedimenti hanno disciplinato anche i fondi chiusi 156 e quelli immobiliari 157. Tali provvedimenti, se da un lato innovavano il quadro normativo introducendo norme a disciplina dei gestori e dei vari tipi di fondi, dall’altro però imponevano un regime di specializzazione operativa, che comportava una “differenziazione soggettiva” delle società di gestione del risparmio, le quali potevano gestire alternativamente o fondi mobiliari o immobiliari 158. Solo nel 1998, con l’emanazione del Testo Unico della Finanza, è stata introdotta la figura del gestore unico, un soggetto che, previa autorizzazione, può sia gestire singoli portafogli che gestire in monte il risparmio altrui, essendo del tutto irrilevante, ai fini della disciplina (societaria) applicabile, l’impiego dei risparmi raccolti in fondi aperti piuttosto che chiusi. Oggi dunque, le diverse politiche di investimento seguite in concreto dalle Sgr si ripercuotono solo sull’assetto interno della società e sulle sue strutture organizzative, di volta in volta da adattare alla luce delle diverse linee di gestione seguite 159. Per completezza espositiva, bisogna ricordare che l’ultimo passo verso una completa omogeneizzazione dei soggetti abilitati alla gestione collettiva del risparmio è stato compiuto nel 2007 quando, con provvedimento della Banca d’Italia 160, è stata eliminata la riserva di attività prevista dalla normativa secondaria 161 in favore delle Sgr speculative, uniche società allora abilitate a gestire gli omonimi fondi. 155 Legge 23 marzo 1983, n. 77. Legge 14 agosto 1993, n. 344. 157 Legge 25 gennaio 1994, n. 86. 158 V. LEMMA, op. cit., p. 676. 159 V. LEMMA, op. cit. , p. 677. 160 Provvedimento della Banca d’Italia del 21 giugno 2007 di modifica dell’allora vigente Regolamento 14 aprile 2005 in materia di gestione collettiva del risparmio. 161 Il d.m. Tesoro 229 del 1998 aveva rimesso alla discrezionalità tecnica della Banca d’Italia l’individuazione dei casi in cui solo speciali società, con oggetto esclusivo, avrebbero potuto istituire particolari fondi. La Banca d’Italia aveva disciplinato tale materia nell’allora vigente Regolamento 14 aprile 2005. 156 41 Le società di gestione del risparmio (Sgr) L’attuale formulazione dell’art. 32 quater TUF, rubricato “Riserva di attività”, individua i soggetti che oggi possono essere autorizzati dalla Banca d’Italia, sentita la Consob, ad esercitare in via professionale il servizio di gestione collettiva del risparmio. Essi sono: le società di gestione del risparmio (Sgr), le società di investimento a capitale variabile (Sicav), le società di investimento a capitale fisso (Sicaf), le società di gestione UE che gestiscono Oicvm italiani 162, i GEFIA UE 163 e i GEFIA non UE 164 che gestiscono un FIA italiano 165. Eccettuate le Sgr, le Sicav e le Sicaf, gli altri soggetti possono oggi essere autorizzati a svolgere anche in Italia attività di gestione in monte in forza delle nuove norme166 che disciplinano l’operatività transfrontaliera degli intermediari finanziari. L’introduzione della riserva di attività ha avuto, sin dai primi provvedimenti normativi degli anni Ottanta, lo scopo di «limitare solo a certi soggetti […] lo svolgimento di attività considerate “pericolose”, e per ciò stesso meritevoli di vigilanza pubblicistica, il c.d. need for protection» 167. È opportuno a tal proposito richiamare ancora una volta l’art. 47 Cost. che “tutela il risparmio in tutte le sue forme”, e quindi determina la necessità di difendere i singoli risparmiatori dai possibili abusi degli intermediari 168. Tale protezione è garantita dalle due Autorità di vigilanza del settore, la Banca d’Italia e la Consob, a due livelli: in principio, tramite il controllo all’accesso al mercato (rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività – art. 34 TUF); durante la prestazione dei servizi, tramite l’esercizio dei poteri di vigilanza, c.d. “vigilanza permanente” 169. L’art. 5 TUF, infatti, tra le finalità della vigilanza espressamente prevede, alla lett. b), la tutela degli investitori. 162 «Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari italiani (OICVM italiani): il fondo comune di investimento e la Sicav rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/65/CE» (art. 1, comma 1, lett. m) TUF). 163 «Gestore di FIA UE (GEFIA UE): la società autorizzata ai sensi della direttiva 2011/61/UE in uno Stato dell’UE diverso dall’Italia, che esercita l’attività di gestione di uno o più FIA (art. 1, comma 1, lett. p) TUF). 164 Gestore di FIA non UE (GEFIA non UE): la società autorizzata ai sensi della direttiva 2011/61/UE con sede legale in uno Stato non appartenente all’UE, che esercita l’attività di gestione di uno o più FIA» (art. 1, comma 1, lett. q) TUF). 165 «“Oicr alternativo italiano” (FIA italiano): il fondo comune di investimento, la Sicav e la Sicaf rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2011/61/UE» (art. 1, comma 1, lett. m ter) TUF). 166 Direttiva 2009/65/CE (AIFMD), attuata con il D. Lgs. Del 4 marzo 2014, n. 44. 167 P. CARRIÈRE, op. cit. , p. 452. 168 P.CARRIÈRE, op. cit. , p. 453. 169 V. LEMMA, op. cit., p. 678. 42 Le società di gestione del risparmio (Sgr) 4. L’autorizzazione per l’esercizio dell’attività Affinché possa essere esercitata l’attività di gestione collettiva del risparmio e le altre attività indicate dalla legge, le Sgr, così come gli altri enti indicati nell’art. 32 quater TUF, devono ottenere un’apposita autorizzazione. L’autorità competente al rilascio è la Banca d’Italia che procede 170, sentita la Consob, entro 90 giorni dal ricevimento della richiesta 171. L’art. 34, comma 1 TUF elenca le condizioni che devono sussistere per il conseguimento della predetta autorizzazione che sono: a) l’adozione della forma di società per azioni; b) la fissazione della sede legale e della direzione generale della società nel territorio della Repubblica; c) il versamento dell’intero capitale sociale, per l’ammontare determinato dalla Banca d'Italia 172; d) il possesso da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo dei requisiti di professionalità, indipendenza e onorabilità 173; e) il possesso da parte dei titolari delle partecipazioni “rilevanti” (così come definite nell’art. 15, comma 1 TUF) dei requisiti di onorabilità 174; f) la presenza di una struttura di gruppo (di cui è eventualmente parte la società) che non pregiudichi l'esercizio della vigilanza sulla società stessa; g) la presentazione, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto, di un programma concernente l'attività iniziale nonché di una relazione sulla struttura organizzativa; h) l’inserimento nella denominazione sociale delle parole "società di gestione del risparmio". 170 Per la procedura di autorizzazione, v. Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. I, sez. VI. F. BILOTTI, op. cit., p. 152. 172 Il Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015 fissa l’ammontare minimo del capitale sociale in 1 milione di euro, fatta eccezione per le Sgr con capitale ridotto (Tit. II, Cap. I, sez. II). 173 L’art. 34, comma 1, lett d) rinvia all'art. 13 TUF (“Requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli esponenti aziendali”) che, a sua volta, rinvia ai regolamenti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob. 174 L’art. 34 comma 1 lett. e) rinvia all'articolo 14 TUF (“Requisiti di onorabilità”) che, a sua volta, rinvia ai regolamenti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob. L’art. 15 comma 2 TUF stabilisce inoltre che la Banca d’Italia può vietare l’acquisizione di suddette partecipazioni «quando ritenga che non ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente dell’intermediario». 171 43 Le società di gestione del risparmio (Sgr) Dall’analisi delle condizioni sopra elencate emerge l’attenzione prestata dal legislatore all’organizzazione della Sgr nel suo complesso: controlli sull’assetto proprietario e sugli eventuali rapporti infragruppo (lett. e) ed f)), verifica del possesso dei requisiti previsti per chi esercita la governance (lett. d)), serietà dell’impegno finanziario 175 (lett. c)) e vaglio sull’idoneità del programma di attività da svolgere (lett. g)). Tutto ciò mette in luce l’intento del legislatore di «garantire, oltre alla quantità, anche livelli qualitativi ottimali nella definizione del capitale sociale 176». Il secondo comma dell’art. 34 testualmente stabilisce che «l'autorizzazione è negata quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulta garantita la sana e prudente gestione». Questa norma, dunque, eleva a criterio cardine 177, per l’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio, il rispetto di una sana e prudente gestione. Occorre in ultimo rilevare che l’autorizzazione è esclusivamente condizione per l’esercizio delle attività sottoposte a riserva 178: a seguito del suo rilascio, la Banca d’Italia iscrive la Sgr in un apposito albo (art. 35 TUF). In forza della delega contenuta nell’art. 34, comma 3 TUF, il Regolamento della Banca d’Italia 179 specifica i casi di decadenza dall’autorizzazione - casi ricollegati al mancato inizio, o alla prolungata sospensione, dell’esercizio delle attività. 4.1 Le altre attività esercitabili Oltre all’attività di gestione collettiva del risparmio, come definita dalla lett. n) dell’art. 1, comma 1 TUF, le Sgr, ex art. 33, comma 2 TUF, possono altresì: a) prestare il servizio di gestione di portafogli, b) istituire e gestire fondi pensione, 175 Cfr. V. LEMMA, op. cit. , p. 679, ove osserva che richiedendo l’integrale versamento del capitale sociale (per ammontare almeno pari a un milione di euro) si rischia di ridurre (effettivamente o potenzialmente) il numero dei soggetti presenti sul mercato, il che potrebbe compromettere il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del sistema finanziario (finalità propria della vigilanza, art. 5 TUF). 176 V. LEMMA, op. cit., p. 680. 177 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 331. 178 Cfr. V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 331, per cui la carenza dell’autorizzazione non è dunque ostativa all’iscrizione della società del registro delle imprese. 179 Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. I, sez. IX, par. 1. 44 Le società di gestione del risparmio (Sgr) c) svolgere le attività connesse o strumentali 180, d) prestare i servizi accessori di cui all'articolo 1, comma 6, lettera a), limitatamente alle quote di Oicr gestiti; e) prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti; f) commercializzare quote o azioni di Oicr gestiti da terzi, in conformità alle regole di condotta stabilite dalla Consob, sentita la Banca d’Italia; g) prestare il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, qualora autorizzate a prestare il servizio di gestione di FIA. L’autorizzazione per l’esercizio di queste attività può essere rilasciata contestualmente all’autorizzazione al servizio di gestione collettiva, o anche successivamente. La possibilità di esercitare tanto gestione in monte, quanto gestione di portafogli, ha determinato, come sopra specificato 181, l’attribuzione alle Sgr della qualifica di “gestore unico” e ha permesso alle stesse di acquisire non solo una posizione di primario rilievo nel panorama del risparmio gestito 182 ma anche una grande importanza sociale ed economica 183. 5. Le regole di comportamento Le regole di comportamento (o anche regole di condotta) «delineano una disciplina speciale in punto di obblighi pre-contrattuali e contrattuali in capo agli intermediari 184 [finanziari] ». La disciplina prevista nell’ambito della gestione collettiva sostanzialmente ricalca quella prevista per lo svolgimento dell’attività di gestione individuale di patrimoni 185: ferme restando ovviamente alcune diversità dovute alle peculiarità dei due settori, la loro pressoché coincidenza è espressione 180 Ai sensi del Reg. Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. III, par. 4 «è connessa l’attività che consente di promuovere e sviluppare l’attività principale esercitata». Ai sensi del par. 5, invece, «è strumentale l’attività che ha carattere ausiliario rispetto a quella principale svolta». La norma poi procede con un’elencazione esemplificativa di attività che possono avere carattere strumentale (ad es. studio, ricerca e analisi in materia economica e finanziaria, lett. a)). 181 V. Cap. II, par. 3. 182 F. BILOTTI, op. cit., p. 153. 183 F. BILOTTI, op. cit., p. 151. 184 P. LUCANTONI, Le regole di condotta, in Diritto del mercato finanziario. Saggi, (a cura di R. LENER), Torino, 2011, p. 119. 185 Cfr. artt. 21 e ss. TUF. 45 Le società di gestione del risparmio (Sgr) dell’esigenza di conformare le condotte degli intermediari finanziari a principi di correttezza e buona fede nei rapporti con i clienti 186. Le regole di condotta sono contenute innanzitutto nell’art 35 decies TUF e sono poi ampiamente integrate da norme di rango secondario, in particolare dal c.d. Regolamento Intermediari 187 e dal Regolamento Congiunto della Banca d’Italia e della Consob 188. 5.1 I principi di diligenza, correttezza e trasparenza In forza dell’art. 35 decies TUF, le Sgr devono anzitutto operare «con diligenza, correttezza e trasparenza nel miglior interesse degli Oicr gestiti, dei relativi partecipanti e dell'integrità del mercato» (comma 1, lett. a)). La diligenza cui si fa riferimento, non è la mera diligenza del buon padre di famiglia, prevista nell’art. 1176 c.c., e neanche la correttezza è quella generalmente richiesta nell’adempimento delle obbligazioni (ex art. 1175 c.c.). Nell’intermediazione finanziaria, infatti, la natura professionale dell’attività esercitata determina l’esigibilità di condotte qualificate e dunque, il grado di diligenza e correttezza dell’operato degli intermediari dovrà essere molto elevato 189. In particolare l’obbligo di agire diligentemente comporterà, a sua volta, l’obbligo per il gestore di acquisire informazioni affidabili ed aggiornate, di assicurare che le decisioni di investimento siano conformi a - e coerenti con - gli obiettivi e le strategie di investimento dell’Oicr gestito 190. Per quanto attiene all’obbligo di trasparenza invece, pur essendo lo stesso strettamente connesso con gli obblighi informativi diffusamente previsti in diverse norme dell’ordinamento, bisogna riconoscergli «una autonoma valenza precettiva […], con funzione di integrazione e di ampliamento»191 degli stessi obblighi informativi. L’intermediario deve infatti fornire al cliente tutte le informazioni 186 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 340. Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190, e successive modificazioni. 188 Regolamento congiunto Banca d'Italia e Consob del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con atti congiunti Banca d' Italia/Consob del 9 maggio 2012 e del 25 luglio 2012, in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio. 189 F. SIGNORELLI, op. cit. , p.166. 190 Cfr. art. 66 Regolamento Intermediari. 191 P. LUCANTONI, op. cit. , p. 134. 187 46 Le società di gestione del risparmio (Sgr) necessarie affinché lo stesso possa compiere scelte oculate ed agire consapevolmente 192 (c.d. risparmio consapevole) nonostante la naturale asimmetria informativa che vi è tra risparmiatore e società emittente. La norma in commento (art. 35 decies, comma 1, lett. a)), inoltre, individuando le finalità della disciplina nella tutela del singolo cliente, e nella tutela dell’integrità del mercato, mette in correlazione una prospettiva microprudenziale con una macroprudenziale: è infatti evidente che le violazioni delle regole di comportamento nei rapporti con i singoli clienti possano anche compromettere l’affidabilità del mercato finanziario nel suo complesso 193. 5.2 La disciplina dei conflitti di interesse Le regole di condotta imposte agli esponenti delle Sgr si intersecano con le regole di organizzazione interna nel momento in cui il rispetto delle prime comporta l’adozione di moduli organizzativi idonei a ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse. Tali conflitti possono sorgere a causa di particolari dinamiche infragruppo, a causa della prestazione congiunta di più attività; possono anche insorgere conflitti tra i diversi patrimoni gestiti da un unico intermediario. Nell’eventualità in cui gli accorgimenti adottati non siano idonei e/o sufficienti a eliminare tali rischi, il gestore deve comunque agire in modo da assicurare un equo trattamento degli Oicr gestiti (art. 35 decies, comma 1, lett. b)): l’attuale normativa, infatti, ha lo scopo di disciplinare i conflitti di interessi e non ha invece la pretesa di eliminarli totalmente. Tale conclusione prende atto della relazione tra intermediario e cliente, qualificabile come tipico rapporto di agency, tale per cui «l’interesse perseguito nell’operazione dall’intermediario […] può essere in conflitto con quello di cui è portatore il cliente» 194. 192 F. SIGNORELLI, op. cit. , p. 166. P. LUCANTONI, op. cit. , p. 133. 194 P. LUCANTONI, op. cit. , p. 151. 193 47 Le società di gestione del risparmio (Sgr) 5.3 Il dovere di best execution Nell’attività di trasmissione o esecuzione di ordini per conto degli Oicr gestiti, le Sgr devono operare rispettando il principio di best execution: esso rappresenta l’obbligo per i gestori di adottare tutte le misure necessarie per ottenere il “miglior risultato possibile” per i propri clienti. La valutazione dei risultati conseguiti deve essere effettuata avendo riguardo a diversi fattori, indicati nell’art. 68 Regolamento Intermediari, tra i quali: prezzo, costi e dimensione dell’operazione e rapidità dell’esecuzione 195. In stretta connessione sia con la disciplina dei conflitti di interesse che con il dovere di best execution, l’art. 71 Regolamento Intermediari disciplina i cc.dd. incentivi stabilendo che «le Sgr […] non possono, in relazione all’attività di gestione del patrimonio di un Oicr, versare o percepire compensi o commissioni», al di fuori dei casi previsti dalla legge. Tale disciplina ha lo scopo di «impedire che gli incentivi corrisposti o percepiti da parte della Sgr […] possano costituire un ostacolo all’obbligo di servire al meglio gli interessi degli Oicr 196». 5.4 L’esercizio del diritto di voto Gli Oicr possono essere costituiti da beni di diversa natura tra cui gli strumenti finanziari che, come noto, possono attribuire non solo diritti di natura patrimoniale, ma anche diritti di natura amministrativa, e dunque il diritto di voto. Qualora degli strumenti finanziari siano ricompresi nel patrimonio di un Oicr e attribuiscano il diritto di voto, sorge un problema di coordinamento tra la formale titolarità di tali beni e la titolarità degli interessi sostanziali ad essi ricollegabili. In forza delle norme che disciplinano la gestione in monte del risparmio, generalmente la titolarità dei beni costituenti i patrimoni degli Oicr spetta alla “Sgr di promozione”, seppur i titolari sostanziali degli strumenti finanziari - e quindi i soggetti realmente interessati alla loro gestione - siano i risparmiatori- 195 196 F. BILOTTI, op. cit., p. 166-167; V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 343. F. BILOTTI, op. cit. , p. 167. 48 Le società di gestione del risparmio (Sgr) investitori, quotisti del fondo 197 e dunque la società di gestione ad assumere lo status di socio qualora, tra i beni ricompresi nel fondo, vi siano strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto. Preso atto di una siffatta scissione soggettiva, la lett. e), dell’art. 35 decies, comma 1, TUF, stabilisce che è la “Sgr di gestione” che provvede «nell'interesse dei partecipanti all'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli Oicr». A tal proposito assume primario rilievo la previsione secondo la quale i voti devono essere comunque esercitati nell’esclusivo interesse dei partecipanti al fondo, secondo una specifica strategia definita dalla Sgr 198. La predetta scissione soggettiva tra titolare formale e titolare sostanziale degli strumenti finanziari e la conseguente esigenza di tener conto degli interessi dei secondi fa sì che l’esercizio del diritto di voto da parte della Sgr sia considerato esecuzione del “mandato gestorio” e non esercizio di una prerogativa propria della Sgr in quanto proprietaria degli strumenti finanziari. In tale ottica pertanto, la società di gestione ben potrà astenersi dall’esercitare i voti spettanti agli strumenti finanziari gestiti, senza, con ciò, violare alcuna prescrizione normativa 199. 6. Il regolamento del fondo Preliminare rispetto all’istituzione del fondo è la deliberazione del regolamento 200 da parte della società di gestione 201. Tale premessa è coerente con il dettato dell’art. 36, comma 2, TUF in base al quale «il rapporto di partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del fondo [stesso]». Il rapporto tra l’investitore e la Sgr si instaura con la sottoscrizione da parte del primo del regolamento formulato dal secondo; tale rapporto è di natura contrattuale: sottoscrivendo il regolamento il cliente riceve le quote di partecipazione al fondo ed è tenuto a liberarle effettuando i versamenti – 197 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 343. C. PETRONZIO, op. cit. , p. 298. 199 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 345. 200 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 332. 201 L’approvazione del regolamento può spettare sia all’assemblea sia al consiglio di amministrazione; questa scelta è lasciata all’autonomia della società. 198 49 Le società di gestione del risparmio (Sgr) o se del caso gli apporti - dovuti 202; in tal modo è raccolto il risparmio tra il pubblico e formato il patrimonio comune da gestire. In forza dell’art. 37, commi 1 e 2, il regolamento del fondo: definisce le caratteristiche del fondo, disciplina il suo funzionamento, indica il gestore e il depositario e definisce la ripartizione dei compiti tra tali soggetti, regola i rapporti intercorrenti tra gestore, depositario e partecipanti al fondo 203. Si noti come già la normativa primaria incida fortemente sul contenuto del regolamento. Il sopra citato comma 2, dell’art. 36, inoltre, ha delegato la Banca d’Italia a integrare, d’intesa con la Consob, i criteri generali di redazione e i contenuti dei regolamenti; essa ha a ciò ampiamente provveduto nel Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio 204. Tale ipertrofica disciplina aveva in passato indotto la dottrina a dubitare della natura negoziale del regolamento, data la sostanziale etero determinazione del suo contenuto 205. I dubbi in merito aumentavano in considerazione della necessità di far approvare i regolamenti dei fondi dalla Banca d’Italia. Tale previsione, d’altra parte ancora oggi vigente, aveva spinto la dottrina a individuare in tale momento una fase amministrativa talmente pregnante da annullare - o quantomeno da compromettere sensibilmente - l’essenza negoziale della successiva sottoscrizione. Tale lettura è stata nel corso del tempo abbandonata ed oggi è pacifico che il regolamento sia atto di diritto privato 206. La vigilanza della Banca d’Italia e della 202 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 329. «Il regolamento stabilisce in particolare: a) la denominazione e la durata del fondo; b) le modalità di partecipazione al fondo, i termini e le modalità dell'emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle quote nonché le modalità di liquidazione del fondo; c) gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di ripartizione degli investimenti medesimi; d) il tipo di beni, di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile investire il patrimonio del fondo; e) i criteri relativi alla determinazione dei proventi e dei risultati della gestione nonché le eventuali modalità di ripartizione e distribuzione dei medesimi; f) le spese a carico del fondo e quelle a carico della società di gestione del risparmio; g) la misura o i criteri di determinazione delle provvigioni spettanti alla società di gestione del risparmio e degli oneri a carico dei partecipanti; h) le modalità di pubblicità del valore delle quote di partecipazione; i) se il fondo è un fondo feeder (art. 37, comma 2 TUF). 204 Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. I, sez. II. 205 M. TRECCANI, Il regolamento dei fondi comuni di investimento, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società, (a cura di G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 260. 206 R. COSTI, op. cit., p. 190. 203 50 Le società di gestione del risparmio (Sgr) Consob sui mercati regolamentati è attualmente talmente pervasiva sotto più profili che il vaglio preliminare sui regolamenti non è più ritenuto idoneo a svuotarli della loro essenza negoziale. D’altro canto, nonostante oggi sia pacifico che il rapporto tra Sgr e clientela abbia natura negoziale, esso non può comunque ritenersi disciplinato esclusivamente dalla volontà delle parti (rectius, dal regolamento del fondo) poiché alcuni suoi aspetti sono disciplinati da norme imperative, come tali immodificabili dall’autonomia privata. La disciplina delle quote di partecipazione, quella della sollecitazione del pubblico risparmio, la qualificazione giuridica del fondo comune di investimento, sono esempi di temi non disciplinati e soprattutto non disciplinabili dai singoli regolamenti, per la cui definizione non può che rinviarsi alla disciplina primaria e secondaria 207. Altro elemento che aveva portato la dottrina a sostenere l’assenza di autonomia patrimoniale nella negoziazione tra Sgr e clienti era la predisposizione unilaterale - da parte della società - del regolamento del fondo. Mera accettazione del regolamento, tramite l’adesione 208 allo stesso, e impossibilità per l’investitore di modificare le clausole contrattuali sono elementi ancora oggi riscontrabili che però devono essere visti alla luce della generale disciplina della gestione in monte. Come visto ampiamente sopra 209, questa è svolta nell’interesse della collettività degli investitori, non essendo affatto rilevanti le esigenze dei singoli, al contrario determinanti sia nella gestione individuale di portafogli che, più in generale, nella definizione dei negozi tra privati. L’autorità di vigilanza ha il potere di verificare la completezza e la conformità alle norme dei regolamenti, non soltanto al momento della loro approvazione, ma anche in occasione delle loro successive modificazioni 210. Al fine di rendere più celeri tali fasi, sono stati elaborati degli schemi di regolamenti cc.dd. “riconosciuti”, la cui adozione permette alle Sgr di accedere a un iter amministrativo di approvazione semplificato 211, soprattutto per quanto attiene alla durata del procedimento: questi modelli predisposti dalla Banca d’Italia recependo 207 M. TRECCANI, op. cit., p. 261. R. COSTI, op. cit., p. 190. 209 V. Cap. II, par. 2.2. 210 Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. II, sez. II-III. 211 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 333. 208 51 Le società di gestione del risparmio (Sgr) prassi stratificatesi nel tempo, consentono lo svolgimento di controlli di legittimità meno penetranti. 6.1 Il regolamento del fondo come fonte di disciplina del rapporto tra le parti Considerata, dunque, tendenzialmente pacifica la natura contrattuale del regolamento del fondo comune di investimento è necessario qualificare il rapporto giuridico che scaturisce dalla sua sottoscrizione. Occorre sin da subito costatare che il Testo Unico della Finanza non contiene indicazioni in merito. Al fine di colmare tale vuoto normativo, in passato c’è stato chi ha ipotizzato la generale applicabilità dei principi in tema mandato (artt. 1703 e ss. c.c.), partendo dall’assunto che esso «costituisce nel nostro regolamento lo schema negoziale predisposto per l’agire per conto altrui»212: nella gestione in monte, l’amministrazione del fondo è infatti effettuata dalla Sgr per conto e nell’interesse degli investitori. Più di recente, tale visione è in parte mutata perché si è iniziato a ritenere necessario prestare una maggiore attenzione al dato letterale contenuto nell’art. 36 TUF, e in particolare nel comma 3 - unica norma che fa esplicitamente riferimento al contratto di mandato. Occorre però sin da subito delimitare i confini di tale rinvio, notando che la norma stabilisce solo che «la Sgr che ha istituito il fondo o la società di gestione che è subentrata nella gestione agiscono […] assumendo verso questi ultimi (gli investitori) gli obblighi e le responsabilità del mandatario». È dunque evidente che il richiamo alle norme del mandato (artt. 1703 e ss. c.c.) ha il solo scopo di definire gli obblighi e le responsabilità del gestore nei confronti degli investitori 213 e non, invece, l’intento di comportare l’integrale inquadramento del rapporto investitore - Sgr in quello mandante – mandatario. A tal proposito è importante porre l’accento sul fatto che connotato essenziale della gestione in monte è il mancato riconoscimento in capo al singolo investitore di poteri di ingerenza e direzione dell’attività gestoria. È dunque in primis questo 212 G. VISENTINI, La gestione del fondo da parte della Sgr: inquadramento giuridico, in La disciplina delle gestioni patrimoniali. Sgr, fondi comuni e Sicav, Quaderno Assogestioni, n. 23, Roma, 2001, p. 133. 213 M. TRECCANI, op. cit., p. 256. 52 Le società di gestione del risparmio (Sgr) aspetto che non permette di qualificare tout court l’investitore quale mandante della gestione (in monte) del proprio investimento perché egli non ricopre la posizione di dominus, posizione riconosciuta invece sempre al mandante 214. Sulla scorta delle presenti considerazioni, la dottrina sembra oggi orientarsi verso la qualificazione del contratto stipulato tra Sgr e investitori quale “contratto di gestione” o “di investimento” che ha la sua genesi nella sottoscrizione del regolamento, con la conseguente attribuzione delle quote di partecipazione al fondo comune 215. 6.2 Le quote di partecipazione Con la sottoscrizione del regolamento del fondo si instaura tra investitore e Sgr un rapporto contrattuale. La partecipazione al fondo è incorporata in “quote di partecipazione” 216: esse rientrano nella più generale categoria degli “strumenti finanziari” perché espressamente menzionate nella relativa definizione217. Secondo un’opinione ormai consolidata, le quote sono «veri e propri titoli di credito»; si tende a qualificarli quali titoli causali in considerazione del peculiare rapporto che si instaura tra la società e i partecipanti e per i riflessi che il regolamento e le vicende del fondo possono avere su detto rapporto 218. Le quote di partecipazione al fondo hanno uguale valore, attribuiscono uguali diritti e sono rappresentate da “certificati” nominativi o al portatore 219. Il regolamento del fondo può però prevedere che i certificati non siano materialmente emessi e siano sostituiti da un solo “certificato cumulativo”, depositato presso una banca 220 e rappresentativo di più quote di pertinenza di una pluralità di sottoscrittori. Questa soluzione permetterebbe di ottenere due vantaggi: il primo consistente in semplificazioni amministrative perché, 214 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 333. Ivi, p. 332. 216 ivi, p. 329. 217 «Per “strumenti finanziari” di intendono: […] quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio» art. 1, comma 2, lett. c) TUF). 218 F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società, (a cura di G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 247. 219 F. BILOTTI, op. cit. , p. 158. 220 Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. I, sez. II, par. 4.3. 215 53 Le società di gestione del risparmio (Sgr) quand’anche le quote venissero cedute, non dovrebbero essere poste in essere operazioni sui certificati; il secondo consistente invece nella riduzione dei rischi connessi alla circolazione dei titoli (smarrimento, furto, distruzione ecc.) 221, considerato che il certificato cumulativo resterebbe custodito presso il depositario. Questo regime, per come congegnato dal legislatore, garantisce in ogni caso a ciascun partecipante il diritto di ottenere l’emissione del certificato “singolo”, con conseguente ritorno al normale regime “cartolare”. È eventualmente la banca depositaria a dover a ciò provvedere senza oneri, né per il partecipante, né per il fondo, qualora qualcuno ne faccia richiesta. Tale disciplina conferma l’assunto secondo il quale l’emissione di un unico certificato non intacca i diritti e le facoltà dei singoli partecipanti che restano titolari di diritti autonomamente e liberamente esercitabili. Tale situazione, benché innegabilmente molto simile a quella che si determina nel caso di dematerializzazione dei titoli, se ne differenzia perché l’investitore conserva comunque il diritto di richiedere ed ottenere il certificato singolo nonostante l’originaria emissione del solo certificato cumulativo, mentre lo stesso diritto non è garantito a chi ha dei titoli completamente dematerializzati 222. 7. La classificazione dei fondi comuni di investimento Nel primo capitolo 223 sono stati esaminati i caratteri essenziali dei fondi comuni di investimento; è opportuno a questo punto dar conto delle diverse forme che essi in concreto possono assumere. Alla base della creazione di diversi tipi di fondi vi è l’esigenza di soddisfare plurime e variegate esigenze dei risparmiatori. Al fine di accogliere al meglio le loro istanze, gli analisti hanno nel tempo articolato diverse politiche di investimento, alla luce di studi e criteri economico-finanziari, che influenzano la composizione di ciascun tipo di fondo. L’appetibilità dell’investimento in un 221 F. BILOTTI, op. cit. , p. 158; V. anche F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 247. F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 247. 223 V. Cap. I, par. 5.2. 222 54 Le società di gestione del risparmio (Sgr) fondo dipende esclusivamente dalla sua composizione; generalmente infatti «fondi aventi il medesimo oggetto di investimento ed analoghe modalità di gestione non [possano], ipsa natura, assicurare rendimenti diversi» 224, considerato che altri costi (ad esempio le commissioni di gestione) incidono solo marginalmente sul rendimento complessivo dell’investimento. Benché oggi siano disciplinati nel nostro ordinamento diversi tipi di fondi, tutti, in prima battuta, possono essere ricondotti a una delle due categorie di base: quella dei fondi aperti e quella dei fondi chiusi. In posizione di complementarietà rispetto a queste si pongono poi le categorie dei fondi riservati e dei fondi speculativi 225. Il d. m. del 24 maggio 1999, n. 228 226 (di seguito “Decreto”) contempla, nel Titolo II, delle disposizioni comuni a tutti i fondi: mentre l’art. 4 elenca i beni che possono comporli, l’art. 6 disciplina la loro durata, stabilendo che «il termine [di durata] dei fondi deve essere coerente con la natura degli investimenti» ed aggiunge che, in ogni caso, «la durata dei fondi chiusi non può essere superiore a cinquanta anni». La stessa norma poi fa salvo il caso di proroga della durata, rinviando all’art. 14, comma 6: esso stabilisce che tale eventualità può realizzarsi solo rispetto ai fondi chiusi, per un periodo massimo di tre anni, e solo qualora sia necessaria per il completamento dello smobilizzo degli investimenti. 7.1 Fondi chiusi e fondi aperti Il carattere che permette di distinguere i fondi aperti da quelli chiusi è il «diverso atteggiarsi della posizione dei partecipanti rispetto al disinvestimento»227. La partecipazione a un fondo aperto è connotata da una maggiore flessibilità che si estrinseca nella possibilità, riconosciuta all’investitore, di richiedere in qualsiasi tempo il rimborso della propria quota (art. art. 10, 224 V. LEMMA, op. cit., p. 127. F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, in L’ordinamento finanziario italiano (a cura di F. CAPRIGLIONE), Padova, 2010, II, p. 465. 226 Gli artt. citati nei par. 7, 7.1, 7.1.1, 7.1.2, 7.2, 7.3, 7.4 sono, se non diversamente specificato, del d. m. 24 maggio 1999, n. 228. 227 F. ANNUNZIATA, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, in Riv. soc., 2000, p. 350. 225 55 Le società di gestione del risparmio (Sgr) comma 3, del Decreto). Di contro, la partecipazione a un fondo chiuso vincola maggiormente l’investitore che può ottenere la liquidazione del proprio investimento solo alla scadenza del termine di durata del fondo, qualora non sia stabilito diversamente dal regolamento (art. 14, comma 6). Non solo l’uscita dal fondo ma anche l’entrata nel fondo è caratterizzata da una maggiore rigidità. I fondi aperti raccolgono capitali “in via continuativa”228, consentendo la sottoscrizione delle quote in qualsiasi momento. Tale sottoscrizione può avvenire o mediante il versamento di un importo pari al valore delle quote sottoscritte o, se il regolamento lo prevede, mediante il conferimento di strumenti finanziari (art. 10, comma 1). La possibilità riconosciuta agli investitori di entrate e/o uscire sempre dal fondo e la conseguente sottoscrizione e/o liquidazione delle quote comportano l’esigenza di (ri)calcolare periodicamente 229 il loro valore e a ciò deve provvedere la Sgr (art. 10, comma2). Così come per i fondi aperti, anche per i fondi chiusi i soggetti interessati a partecipare al fondo possono sottoscrivere le quote effettuando dei versamenti (art. 14, comma 1) ma, in questo caso, possono farlo solo al momento della costituzione del fondo. Sottoscrizioni successive sono ammissibili solo se espressamente previste dal regolamento e, qualora una simile possibilità sia contemplata, dovranno parimenti ritenersi ammissibili i rimborsi anticipati che dovranno dunque essere effettuati «con la medesima frequenza e in coincidenza con le nuove emissioni» (art. 14, comma 6 bis) 230. Il comma 2 dell’art. 14 disciplina la fase di costituzione dei patrimoni dei fondi chiusi stabilendo che le quote devono essere interamente sottoscritte entro ventiquattro mesi dalla pubblicazione del prospetto informativo se le stesse sono offerte al pubblico 231 o, sempre entro ventiquattro mesi, ma decorrenti dall’approvazione del regolamento del fondo da parte della Banca d’Italia, qualora non ci sia appello al pubblico risparmio 232. 228 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 346. Periodicità settimanale per i fondi armonizzati; periodicità mensile per i fondi non armonizzati (art. 10, comma 2). 230 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 346. 231 Artt. 93 bis e ss. del TUF. 232 M. SUTERA, I fondi immobiliari e le società d’investimento immobiliare quotate, in Manuale di diritto del mercato finanziario, (a cura di S. AMOROSINO), Milano, 2014, p.170. 229 56 Le società di gestione del risparmio (Sgr) Nonostante la qualifica del fondo come aperto piuttosto che come chiuso «vada riferita direttamente […] al diritto che l’investitore ha di disinvestire in qualsiasi momento le quote»233, essa non può non ripercuotersi sulle politiche di investimento e quindi sui beni che possono (o non possono) comporre il fondo. Pertanto, se da un lato si offre ai quotisti la possibilità di disinvestire sempre, dall’altro si espone il fondo a un elevato rischio di illiquidità 234, qualora più quotisti esercitino contestualmente il diritto di recesso. Per prevenire una simile eventualità il legislatore ha introdotto delle norme che disciplinano dettagliatamente la composizione dei fondi a seconda che siano aperti o chiusi: in tal senso si scorge dunque una “relazione biunivoca” tra la tipologia del fondo e le sue politiche di investimento 235. La costante esposizione alle possibili richieste di liquidazione delle quote da parte dei partecipanti a fondi aperti impone al gestore di investire in beni facilmente e prontamente liquidabili 236, in particolare in strumenti finanziari, quotati e non quotati e depositi bancari. Specularmente, la tendenziale stabilità che connota i fondi chiusi giustifica la previsione normativa secondo la quale solo tali fondi possono investire in beni immobili e diritti reali immobiliari. In quest’ottica dunque «fondi […] che investono prevalentemente in […] beni per i quali non esiste un mercato ufficiale [possono] essere istituiti soltanto in forma chiusa»237. 7.1.1 Fondi aperti: armonizzati e non armonizzati Sebbene l’essenza di tutti i fondi comuni di investimento aperti sia quella sopra delineata, essi possono essere ulteriormente distinti in fondi aperti armonizzati e non armonizzati. Sono armonizzati quei fondi il cui patrimonio è investito nei beni individuati dalle direttive comunitarie, in particolare la Direttiva 85/611/CEE e successive 233 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 466. Ibidem. 235 F. ANNUNZIATA, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, op. cit., p. 347. 236 F. BILOTTI, op. cit. , p. 160. 237 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 466. 234 57 Le società di gestione del risparmio (Sgr) modificazioni 238 (art. 8 del Decreto). Anche il Regolamento della Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio contempla tale distinzione e disciplina nel dettaglio l’oggetto dell’investimento, muovendosi anche fuori dai confini tracciati dalle citate direttive 239. Le norme del Regolamento tendono a garantire al massimo il contenimento del rischio e la liquidabilità dell’investimento 240: a tal fine esse stabiliscono che, nell’individuazione dei beni acquisibili, debba essere data assoluta preferenza a quelli negoziati nei mercati regolamentati e, inoltre, fissano limiti all’acquisto di beni di natura diversa. Una siffatta composizione del fondo fa sì che la partecipazione ad esso sia un investimento indirizzato principalmente al pubblico e come tale debba essere sottoposto alla disciplina della sollecitazione dell’investimento. L’art. 9 del Decreto, per contro, stabilisce, tramite rinvio all’art. 4, che il patrimonio di un fondo aperto non armonizzato possa essere investito solo in: a) strumenti finanziari quotati in un mercato regolamentato, b) strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, c) depositi bancari di denaro. Pare, dunque, che i fondi non armonizzati si distinguano da quelli armonizzati per la maggiore varietà dei beni che li compongono: da ciò deriverebbe anche una maggiore libertà per i loro gestori, non sottoposti a tutti i limiti che invece circoscrivono le scelte di quelli dei fondi armonizzati 241. Tali libertà incontrano però un limite: è infatti prevista l’applicabilità anche ai fondi aperti non armonizzati dell’art. 12, comma 3. Esso vieta l’investimento del patrimonio del fondo in beni direttamente o indirettamente ceduti da un esponente della Sgr e vieta inoltre di cedere i beni costituenti il fondo ai medesimi soggetti. Questa norma - dettata nell’ambito della disciplina dei fondi chiusi - ha lo scopo di prevenire i «conflitti di interessi che nel caso del fondo aperto possono essere particolarmente “pericolosi” stante la naturale “esposizione” del fondo alle 238 La Direttiva 85/611/CEE c.d. “Ucits I” è stata successivamente modificata dalla Direttiva 2001/107/CEE c.d. “Direttiva gestore”, dalla Direttiva 2001/108/CEE c.d. “Direttiva prodotto” e da ultimo dalla Direttiva 2009/65/CE c.d. “Ucits IV”. 239 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 470. 240 Ivi, p. 467. 241 Ivi, p. 470. 58 Le società di gestione del risparmio (Sgr) continue richieste di rimborso delle quote - il che richiede […] attività liquide e liquidabili […] che abbiano un valore per così dire “oggettivo”» 242. 7.1.2 Fondi chiusi: i fondi immobiliari La predeterminazione dei tempi per investire o disinvestire in un fondo è, come detto sopra, il connotato essenziale dei fondi chiusi. D’altra parte è stata anche messa in luce la relazione sussistente tra le tempistiche di entrata e uscita dal fondo e le politiche di investimento. È proprio per tener conto di tale fattore che l’art. 12 del Decreto stabilisce che debbano necessariamente essere costituiti in forma chiusa quei fondi i cui patrimoni siano investiti in: beni immobili, diritti reali immobiliari, e partecipazioni in società immobiliari, parti di altri fondi immobiliari (art. 4, comma 2 lett. d)); crediti e titoli rappresentativi di crediti (art. 4, comma 2, lett. e)); altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale (art. 4, comma 2, lett.f)); strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, diversi dalle quote di Oicr aperti, in misura superiore al 10% (art. 4, comma 2, lett. f); art. 12, comma 1). Il più elevato grado di immobilizzo dell’investimento in un Oicr chiuso ha spinto il legislatore a introdurre l’obbligo di quotazione, in un mercato regolamentato, delle quote di partecipazione qualora l’investimento minimo nel fondo sia inferiore a venticinquemila euro (art. 5, comma 2). In questo modo è stata riconosciuta ai piccoli risparmiatori, che abbisognano di tutele più penetranti, la concreta possibilità di disinvestire anche prima delle scadenze previste dal regolamento 243; una simile previsione non è invece stata introdotta per coloro i quali abbiano effettuato investimenti più cospicui 244, presupponendo una loro maggiore indifferenza alla vincolatività dell’impiego. 242 Ibidem. F. BILOTTI, op. cit., p. 161. 244 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 472. 243 59 Le società di gestione del risparmio (Sgr) I fondi immobiliari, più che una categoria distinta di fondi, rappresentano una “derivazione” di quella più generale costituita dai fondi chiusi 245. Il loro patrimonio è investito in beni immobili, diritti reali immobiliari, e partecipazioni in società immobiliari o parti di altri fondi immobiliari (art. 4, comma 2 lett. d)) in misura non inferiore ai due terzi del valore complessivo del fondo 246 (art. 12 bis, comma 2). Il regolamento può contemplare la possibilità per i partecipanti di aderire a un simile fondo non soltanto versando un importo pari al valore della quota che s’intende sottoscrivere ma anche conferendo le attività appena sopra elencate (cc.dd. fondi ad apporto) 247. A tal fine sarebbe necessario sia fornire la relazione di stima del bene che si intende conferire, sia acquisire la valutazione di un intermediario finanziario che attesti la compatibilità e la redditività dei conferimenti rispetto alle politiche di gestione del fondo. Nonostante il rapporto di genere a specie intercorrente tra i fondi chiusi e quelli immobiliari, è opportuno rilevare l’asimmetrico regime di applicazione dell’art. 12, comma 3. Tale norma che disciplina le operazioni in conflitto di interesse 248 - è in questo caso applicabile ai soli fondi chiusi e non a quelli immobiliari. Questi ultimi, infatti, sono spesso promossi da gruppi di società al fine di dismettere il proprio patrimonio immobiliare e, pertanto, tali operazioni – pur essendo sottoposte a una rigida disciplina (vd. art. 12, comma 4) - sono state legittimate dal legislatore che invece ha ritenuto opportuno vietarle nell’ambito dei fondi chiusi 249. 7.2 I fondi riservati Un fondo è riservato se è interamente partecipato da “investitori qualificati” (art. 15). A definire tale categoria di soggetti è l’art. 1, comma 1, lett. h) del D.M. 228/1999 che, dopo avervi incluso banche e intermediari finanziari, stabilisce che 245 Ivi, p. 473. “Detta percentuale è ridotta al 51 per cento qualora il patrimonio del fondo sia altresì investito in misura non inferiore al 20 per cento del suo valore in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca immobiliare” (art. 12 bis, comma 2, sec. periodo). 247 M. SUTERA, op. cit., p. 171. 248 Disciplina già esposta nell’ambito della disamina dei fondi non armonizzati (V. par. 8.1.1) in riferimento ai quali ne è stata rilevata l’applicabilità. 249 V. RENZULLI , A. TUCCI, op. cit. , p. 349 ss. 246 60 Le società di gestione del risparmio (Sgr) sono altresì investitori qualificati «le persone fisiche e giuridiche e gli altri enti in possesso di specifica competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale rappresentante della persona giuridica o dell'ente». Si noti innanzitutto come la terminologia qui impiegata diverga da quella adoperata nel Testo Unico della Finanza che, al più, si riferisce a “controparti qualificate” 250 e a “clienti professionali” 251. Emerge dunque che, sulla scorta della definizione fornita dal decreto in esame, qualunque soggetto possa assumere la qualifica di investitore qualificato purché lo dichiari consapevolmente per iscritto, non essendo più necessario, al fine della sua attribuzione, la sussistenza di condizioni oggettive 252. Ulteriore considerazione merita di esser fatta a proposito dell’attribuzione a un cliente della qualifica di “investitore qualificato”. Essa, come appena detto, è attribuibile anche in forza di una dichiarazione scritta prestata dall’interessato che dovrebbe ovviamente riflettere una situazione effettiva. Ma come discernere le dichiarazioni vere da quelle false? E soprattutto, quali le conseguenze in caso di dichiarazioni false? Inoltre si consideri che l’inattendibilità delle dichiarazioni potrebbe dipendere dalla volontà (fraudolenta) dell’investitore o dalla cattiva informazione prestata dall’intermediario o addirittura da una truffa dallo stesso perpetrata ai danni del cliente. È dunque palese che la disciplina dei fondi riservati, relativamente a tale profilo, faccia sorgere dei problemi non risolvibili entro i confini della sola normativa sulla gestione collettiva, implicando il richiamo dei principi generali dell’ordinamento, in primis quello di buona fede 253. Dopo aver individuato in tal modo i potenziali investitori in fondi riservati, quanto alla disciplina ad essi applicabile, è importante puntualizzare che dovrà essere in ogni caso rispettata quella generale dei fondi aperti e chiusi 254, in base alla forma in concreto assunta dagli stessi. I fondi riservati, infatti, sono esonerati solo dal rispetto delle norme sul contenimento e frazionamento dei rischi: i loro regolamenti possono derogare anche integralmente ai limiti previsti per i fondi non riservati. Il riconoscimento di una simile possibilità si giustifica alla luce della 250 Art. 6, comma 2 quarter, lett. d). Art. 6, comma 2 quinquies e sexies. 252 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 477. 253 Ivi, p. 478. 254 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 350. 251 61 Le società di gestione del risparmio (Sgr) considerazione che tali fondi sono accessibili solo a particolari categorie di investitori e non possono pertanto essere partecipati dalla c.d. “clientela retail” che potrebbe invece essere danneggiata, a causa della propria inesperienza, da investimenti molto rischiosi. Alla luce della presente disciplina appare evidente che i fondi riservati si differenzino dagli altri per la carenza di una caratteristica tipica: l’essere destinati al pubblico. Mancando tale destinazione essi sono di fatto partecipati da una clientela “di nicchia”, determinando nel caso di specie la rottura della interrelazione tra fondo comune e natura “pubblica” dell’investimento 255. 7.3 I fondi speculativi Nel 1998, insieme con il Testo unico della Finanza, sono stati introdotti nel nostro ordinamento i fondi speculativi, noti nella prassi internazionale come hedge funds. Essi, a differenza di tutti gli altri fondi, non sono riconducibili né alla categoria dei fondi aperti, né a quella dei fondi chiusi. Il loro patrimonio può essere investito in via del tutto eccezionale «in beni anche diversi da quelli individuati nell’art. 4, comma 2», purché specificatamente indicati nel regolamento del fondo. Le politiche di investimento di tali fondi possono essere definite «in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del rischio»256 (art. 16 del Decreto); a tale estrema libertà però, fa da contraltare l’obbligo di «menzionare [nel regolamento] la rischiosità dell’investimento e la circostanza che esso avviene in deroga alle norme prudenziali» (art. 16, comma 5). In realtà, la dottrina osserva che tale previsione debba essere contenuta nei regolamenti dei fondi speculativi indipendentemente dall’effettiva rischiosità dell’investimento; è stato sostenuto che «il regolamento del fondo deve dare contezza della potenziale natura rischiosa, a prescindere dalla concreta politica di investimento intrapresa e dal grado effettivo di rischio»257. 255 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 478. La materia è regolata dall’art. 6, comma 1, lett. c), nn. 1 e 2 del TUF e dalle norme di attuazione. 257 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 352. 256 62 Le società di gestione del risparmio (Sgr) La particolare politica di investimento che contraddistingue i fondi speculativi giustifica inoltre la previsione secondo la quale le quote di siffatti fondi non possano essere oggetto di “offerta al pubblico” (art. 16, comma 4). Sarà dunque possibile offrirle a terzi a condizione di non integrare i requisiti, al ricorrere dei quali scatta l’applicazione delle norme sull’offerta al pubblico di quote di Oicr. Ciò avviene principalmente 258 in due casi: qualora le quote siano offerte solo a investitori qualificati 259, qualora le quote siano offerte a un numero di soggetti non superiore a settantacinque 260. I casi di esclusione appena elencati vanno considerati disgiuntamente: è pertanto sufficiente che l’offerta delle quote integri una sola delle due ipotesi sopra considerate affinché scatti l’applicabilità della disciplina dell’offerta al pubblico. L’attività di pubblicizzazione e promozione delle quote di siffatti fondi può dunque indirizzarsi solo a categorie ristrette di investitori e deve svolgersi secondo le modalità fissate dal regolamento del fondo dovendo, in ogni caso, essere conforme alle norme sulla prestazione dei servizi di investimento dettate dal Regolamento Intermediari 261. Avendo a questo punto delineato la disciplina dei fondi speculativi, si noti come, seppur per altra via, la presente abbia un obiettivo non dissimile da quello perseguito dalla normativa sui fondi riservati: consentire l’investimento in siffatti fondi soltanto a una ristretta cerchia di investitori. Si colga però una differenza: mentre la “selezione” degli investitori in fondi speculativi è fatta “in via indiretta” - agendo su parametri quali ad esempio l’ammontare minimo dell’investimento – nel caso dei fondi riservati è fatta sulla base del possesso del requisito di qualificazione dell’investitore, seppur con i limiti sopra evidenziati 262. 258 L’art. 100 TUF individua altri casi di inapplicabilità della disciplina di offerta al pubblico qui non menzionati perché non rilevanti ai fini della presente esposizione. Vd. anche Art. 34 ter, Reg. Emittenti. Cfr. F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 485. 259 L’art. 100 TUF rinvia ai Regolamenti Consob per la definizione di “investitore qualificato”. L’art. 34 ter, comma 1, lett. b) del Reg. Emittenti rinvia a sua volta all’art. 26, comma 1, lett. d) del Reg. Intermediari. 260 La delibera Consob n. 18079 del 20 gennaio 2012 ha sostituito la parola “cento” con “settantacinque”. 261 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 486. 262 V. Cap. II, par. 8.2. F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 481. 63 Le società di gestione del risparmio (Sgr) 7.4 Fondi garantiti I fondi garantiti sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel 2003 263 e sono anch’essi da ricondurre in principio alle due categorie generali di fondi aperti o chiusi. Un fondo è garantito qualora si garantisca ai quotisti o la restituzione del capitale investito o un rendimento minimo (art. 15). Tale garanzia tecnicamente non è prestata dalla Sgr ma da un soggetto terzo col quale la Sgr stipula un’apposita convenzione; garante può essere, non solo una banca, ma anche un’impresa di investimento o un altro intermediario finanziario purché sottoposto a vigilanza prudenziale. Tale impostazione, oltre ad assicurare al gestore una maggiore stabilità finanziaria e patrimoniale, evita in nuce il rischio di violazioni della riserva di attività bancaria, consistente nella raccolta del risparmio tra il pubblico e nell’esercizio del credito 264. A tale attività sarebbe dunque del tutto assimilabile quella eventualmente svolta dalla Sgr qualora decidesse di garantire essa stessa il rimborso degli investimenti effettuati nei propri fondi 265. 8. La gestione dei fondi La complessità della gestione in monte del risparmio fa sorgere l’esigenza di coinvolgere più soggetti nella prestazione del servizio. Come sopra specificato 266, sebbene a oggi non sia più ammessa una completa e definitiva scissione delle attività di istituzione e di gestione dei fondi comuni di investimento, l’art. 36, comma 1, TUF, stabilisce che il fondo può essere gestito, oltre che dalla società che lo costituisce, anche dalla «società di gestione [che] subentra nella gestione, in conformità alla legge e al regolamento». La Banca d’Italia, in data 19 gennaio 2015, ha approvato il nuovo regolamento sulla gestione collettiva del risparmio che ha abrogato e sostituito 263 Introdotti dal d.m. 31 gennaio 2003, n. 47. Artt. 10, 11 del D. L.vo 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB). 265 F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 492. 266 V. Cap. II, par. 2.2. 264 64 Le società di gestione del risparmio (Sgr) quello precedente 267. Tale provvedimento ha permesso l’adeguamento della disciplina regolamentare ai principi europei contenuti nella direttiva AIFMD, così com’era già avvenuto per la disciplina primaria, tramite il D. Lgs. 44/2014. A tal proposito, si noti come la nuova formulazione del regolamento non contenga più la norma - invece presente nella versione previgente 268 - che disciplinava l’ipotesi di affidamento della gestione del fondo a una Sgr diversa da quella che lo ha promosso e istituito. Sarebbero comunque sufficienti le norme del TUF per affermare che la gestione dei fondi debba essere determinata in primis dagli organi della Sgr promotrice. Essi, nello svolgimento della propria attività, possono solo essere coadiuvati da altre società di gestione. Nonostante le innovazioni è infatti ancora oggi garantita alle Sgr la possibilità di delegare proprie funzioni a soggetti terzi. Coerentemente con la ratio delle ultime riforme, l’art. 33, comma 4 TUF, stabilisce però che tale delega debba essere effettuata «con modalità tali da evitare lo svuotamento di attività della società stessa». Come specifica anche il Regolamento Congiunto della Banca d’Italia e della Consob 269, la delega può avere ad oggetto anche la gestione dell’intero patrimonio degli Oicr gestiti ma l’attività, seppur in concreto svolta dal delegato, non può non essere conforme agli obiettivi, alle politiche di investimento e al profilo di rischio dei singoli Oicr 270, in base anche a quanto fissato nei relativi regolamenti. In ogni caso resta impregiudicata la responsabilità della Sgr nei confronti degli investitori per l'operato dei soggetti delegati 271 e perciò alla Sgr delegante è sempre consentito impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere. In tal caso dunque il delegato svolge un servizio in favore della Sgr delegante e solo nei suoi confronti assume una responsabilità di tipo contrattuale 272. Nella specie, si ritiene si configuri un rapporto di mandato - avente ad oggetto l’esecuzione di funzioni gestorie dei patrimoni comuni – che, come noto, determina una ripartizione tanto 267 Regolamento Banca d’Italia 8 maggio 2012 e successive modificazioni. Cfr. Regolamento Banca d’Italia dell’8 maggio 2012, Tit. V, Cap. I, sez. II, par. 4.1.1. 269 Regolamento congiunto Banca d'Italia e Consob del 29 ottobre 2007. 270 Art. 33, Regolamento Congiunto. 271 Art. 33, comma 4 TUF. 272 F. BILOTTI, op. cit., p. 155. 268 65 Le società di gestione del risparmio (Sgr) di competenze quanto di responsabilità meramente interna, non essendo in tali rapporti in alcun modo coinvolti i partecipanti 273. 8.1 Corporate goverance e fund governance Le politiche di investimento in base alle quali sono gestiti i fondi sono stabilite, nonostante le restrizioni e i vincoli sopra esaminati 274, dagli organi di governo delle Sgr e fissate nel regolamento. In cosa investire? Quando disinvestire piuttosto che investire? Sono questi gli interrogativi che si pongono gli amministratori delle Sgr 275 nell’esercizio dell’attività. Le loro scelte comportano immediatamente una variazione qualitativa e/o quantitativa della composizione del patrimonio dell’Oicr gestito, incidendo così sugli interessi dei risparmiatori. Nelle società di gestione del risparmio, ai tradizionali conflitti di interessi - e quindi ai problemi di agency 276 - generalmente riscontrati in tutte le società azionarie, occorre aggiungerne un altro: il conflitto tra i soci della Sgr e i partecipanti ai fondi da questa gestiti, comunemente definito come l’oggetto della fund governance. La dottrina oggi cerca di individuare l’interesse che la società di gestione è chiamata a perseguire, in considerazione anche - o soprattutto - degli interessi dei sottoscrittori delle quote dei fondi gestiti. L’attuale disciplina, in particolare quella regolamentare, impone rigidi requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza per gli esponenti aziendali, cercando per tale via di garantire una corretta gestione della società e mediatamente dei fondi. D’altro canto, come sopra esaminato 277, le norme di comportamento tendono a salvaguardare i diritti degli investitori. Nonostante tali presidi il problema peculiare della governance delle Sgr risiede nell’esigenza di conciliare il perseguimento dell’interesse al profitto dei suoi soci con l’esigenza di tutelare i 273 V. RENZULLI , A. TUCCI, op. cit. , p. 336ss. V. Cap. II, par. 7 e 8. 275 V. LEMMA, op. cit., p. 682. 276 «Per problema di agency si intende ogni situazione nella quale il benessere di una parte dipende dall’attività svolta fiduciariamente da un’altra parte nell’interesse della prima». M. STELLA RICHTER jr, La governance delle società di gestione del risparmio, in Giurisprudenza Commerciale, 2009, I, p. 670. 277 V. Cap. II, par. 5. 274 66 Le società di gestione del risparmio (Sgr) quotisti. Come opportunamente messo in luce «si deve fare in modo che […] si acquisisca consapevolezza del fatto che l’interesse che la società di gestione del risparmio deve perseguire non è solo quello dei soci, ma anche quello dei partecipanti al fondo»278. 9 Il depositario Altro soggetto coinvolto nella gestione degli Oicr è il depositario. La legge stabilisce che per ciascun fondo il gestore, con il regolamento, conferisca l’incarico a un unico soggetto. L’incarico può essere assunto da banche operanti in Italia, sia se italiane, sia se comunitarie purché con succursali sul territorio della Repubblica, sia da Sim e succursali italiane di imprese di investimento. La Banca d’Italia, insieme con la Consob, disciplina l’esercizio di tale attività: è innanzitutto stabilito che l’autorizzazione, indispensabile per lo svolgimento del servizio, è rilasciata dalla Banca d’Italia, accertato il possesso da parte del richiedente degli specifici requisiti previsti dalla normativa di settore (art. 47, commi 1, 2, 3 TUF). Oggetto di deposito sono sempre gli strumenti finanziari ricompresi in un patrimonio comune. In seguito al recepimento dell’AIFMD non è più previsto come obbligatorio il deposito delle somme di denaro presso il medesimo soggetto (art. 48, comma 2, TUF) 279 e, d’altro canto, ovviamente non è affatto contemplata la custodia di beni diversi - ad esempio immobili o crediti - che, pur potendo comporre il patrimonio dell’Oicr, non possono essere depositati presso terzi 280. Il compito principale del depositario è di custodire gli strumenti finanziari ed eventualmente le disponibilità liquide affidatigli. Il depositario, nell’esercizio della propria attività, tutela degli interessi degli investitori impedendo il compimento di abusi da parte della Sgr 281. Benché già la regola di separazione patrimoniale, sancita nell’art. 36, comma 4 TUF, permetta di qualificare i singoli fondi come patrimoni autonomi – sia distinti gli uni dagli altri, nel caso in cui la società costituisca più fondi, sia distinti dal patrimonio generale della società – 278 M. STELLA RICHTER jr, op. cit., p.677. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 202. 280 Ivi, p. 203. 281 F. BILOTTI, op. cit., p. 155. 279 67 Le società di gestione del risparmio (Sgr) sono la materiale sottrazione dei beni alla Sgr e la custodia presso terzi che effettivamente permettono di prevenire indebite attività appropriative o distrattive dei beni del fondo che altrimenti potrebbero essere poste in essere dalla società di gestione. Si cerca dunque, per tale via, di garantire il rispetto del principio per cui la società di gestione non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti (art. 36, comma 4, ult. periodo) 282. Altro compito del depositario è di controllare l’operato del gestore e la sua conformità alle previsioni di legge e di regolamenti. Nella specie, egli non deve controllare soltanto le operazioni aventi ad oggetto beni presso di sé depositati, bensì tutte le operazioni, anche se aventi ad oggetto beni di cui il depositario non ha la custodia 283. In questo senso pertanto, le mansioni attribuite al depositario sono ben più numerose e complesse di quelle nascenti da un comune contratto di deposito; il soggetto è infatti «chiamato a controllare e a vigilare in via continuativa l’attività della società di gestione» 284 poiché alla deminutio delle facoltà riconosciute al singolo investitore fa evidentemente da contrappeso il riconoscimento di tale posizione “di garanzia” al depositario 285. Al fine di garantire l’indipendenza del controllante (depositario) dal controllato (Sgr), la disciplina regolamentare impone specifici requisiti di indipendenza che gli esponenti aziendali del depositario devono necessariamente possedere, cercando in tal modo di assicurare un adeguato distacco dal soggetto vigilato 286. A fronte della rilevanza delle mansioni attribuite al depositario, è stato previsto un rigido regime di responsabilità che sanzioni il depositario in caso di danni arrecati al gestore o agli investitori, alla luce della (maggiore) 282 V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 337. L’art. 48, comma 3, TUF stabilisce che il depositario: a) accerta la legittimità delle operazioni di vendita, emissione, riacquisto, rimborso e annullamento delle quote del fondo, nonché la destinazione dei redditi dell’Oicr; b) accerta la correttezza del calcolo del valore delle parti dell’Oicr o, nel caso di OICVM italiani, su incarico del gestore, provvede esso stesso a tale calcolo; c) accerta che nelle operazioni relative all’Oicr la controprestazione sia rimessa nei termini d'uso; d) esegue le istruzioni del gestore se non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di vigilanza; e) monitora i flussi di liquidità dell’Oicr, nel caso in cui la liquidità non sia affidata al medesimo. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 205. 284 F. ANNUNZIATA, ivi, p. 206. 285 Ivi, p. 249. 286 F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 252. 283 68 Le società di gestione del risparmio (Sgr) professionalità e perizia esigibile dallo stesso. La responsabilità in cui incorre eventualmente il depositario è dunque una responsabilità specifica che si aggiunge a quella generale ricollegabile alla violazione degli obblighi connessi con il deposito 287. In particolare, la responsabilità del depositario verso la società di gestione è indubbiamente di natura contrattuale (ex art. 1218 c.c.) poiché tra le parti vi è un rapporto giuridico diretto, in genere una apposita convenzione 288. Più controversa è invece la natura della responsabilità del depositario verso i partecipanti ai fondi, non essendo prima facie individuabile un rapporto giuridico diretto tra gli stessi. Alla luce di tale constatazione, la dottrina prevalente propende per la qualificazione della responsabilità in cui incorre in questo caso il depositario come extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) 289. 10 L’assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi Tratto essenziale della gestione in monte del risparmio è l’irrilevanza dell’interesse del singolo a fronte di quello della collettività. Un’eccezione a questo principio è prevista per i fondi chiusi, la partecipazione ai quali, come noto, attribuisce ai partecipanti il diritto di disinvestire soltanto alle scadenze previste nel regolamento 290. Data dunque la maggiore vincolatezza dell’affare, nel 2010 è stato introdotto nel D.M. 228/1999 il Titolo V 291, rubricato “Assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi”. È stata così riconosciuta la possibilità, per i partecipanti ai suddetti fondi, di riunirsi in assemblea per adottare deliberazioni vincolanti per la Sgr 292. Occorre però dar conto di una modifica intervenuta in tale settore, in occasione del recente adeguamento della disciplina nazionale a quella comunitaria. Mentre l’art. 18 bis del sopra citato decreto a tutt’oggi stabilisce che l’assemblea dei partecipanti delibera sulla modifica delle politiche di gestione, sulla richiesta di ammissione a quotazione delle quote di partecipazione e sulla 287 Ivi, p. 251. V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 338. 289 F. BILOTTI, op. cit., p. 157. Cfr. F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 252. 290 V. amplius par. 8.1 e 8.1.2. 291 Titolo aggiunto con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 5 ottobre 2010, n.197. 292 F. BILOTTI, op. cit., p. 158. 288 69 Le società di gestione del risparmio (Sgr) sostituzione della Sgr, il novellato art. 37 TUF, al terzo comma, stabilisce testualmente che «il regolamento dei fondi chiusi diversi dai FIA riservati prevede che i partecipanti poss[a]no riunirsi in assemblea esclusivamente per deliberare sulla sostituzione del gestore». Si noti anzitutto come l’art. 37 TUF rimetta all’autonomia privata la creazione dell’organo assembleare nel caso di fondi riservati, potendo in questo caso il regolamento indifferentemente prevedere o non prevedere la sua istituzione, con l’eventuale conseguente compressione dei poteri di indirizzo degli investitori. Su un piano più generale, invece, si noti come l’art. 37 sia baluardo dell’autonomia riconosciuta al gestore, autonomia altrimenti compressa dalle possibili – e potenzialmente ingerenti - deliberazioni dell’assemblea sulle scelte di investimento 293. 293 P. CARRIÈRE, op. cit., p. 458. 70 Le società di gestione del risparmio (Sgr) III CAPITOLO: La crisi delle società di gestione 1. Ratio e finalità della disciplina speciale della crisi delle banche e degli intermediari finanziari La crisi delle banche e degli intermediari finanziari è ormai, in tutti gli ordinamenti più avanzati, disciplinata da specifiche norme che differiscono sotto più profili da quelle che invece sono dettate per la crisi degli altri imprenditori. Nell’ambito dei servizi finanziari, la presenza di più parti (clienti, intermediari, emittenti ecc.) e l’incontro dei relativi interessi hanno fatto sorgere l’esigenza di regolare separatamente - e non fare soggiacere alla disciplina di diritto comune – tanto l’attività, quanto la crisi, degli operatori dei mercati finanziari. La vigilanza sui mercati è esercitata dalla Banca d’Italia e dalla Consob, e alcune delle finalità che essa intende garantire sono: la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario, la tutela degli investitori, la stabilità e il buon funzionamento del sistema e l’osservanza delle disposizioni (art. 5, comma 1, TUF). L’esigenza di garantire la tutela dei citati valori ha contribuito all’articolazione dell’attuale sistema normativo. È stato rilevato che le procedure ordinarie di composizione delle crisi d’impresa - fallimento, concordato preventivo, amministrazione controllata disciplinate nella legge fallimentare 294 tutelino principalmente, se non esclusivamente, i creditori delle società, garantendo il soddisfacimento delle loro pretese attraverso un riparto concorsuale di quanto ottenuto tramite la liquidazione dell’attivo. Una modifica rilevante è stata introdotta nel 1999, con il D. Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi bis), che ha radicalmente riformato la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza «al fine di evitare l’artificiosa permanenza in vita, a spese della collettività, di organismi produttivi privi di qualsiasi prospettiva di ripresa»295. È stata quindi ridefinita la finalità della procedura, stabilendo che essa ha lo scopo di 294 295 Legge fallimentare, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali, Torino, 2011, p. 327. garantire la conservazione del patrimonio produttivo mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali (art. 1, d. lgs. 270/1999). Nonostante detta riforma sia intervenuta su una disciplina speciale, perché applicabile solo a imprese di grandi dimensioni, cercando per di più di ampliare le finalità proprie delle procedure di risoluzione delle crisi delle imprese contemplate nella legge fallimentare, la disciplina generale è stata comunque ritenuta inadatta a fronteggiare la crisi degli operatori del settore finanziario, alla luce della varietà degli interessi coinvolti e delle esigenze testé citate 296. Pertanto, il legislatore ha elaborato una complessa disciplina contenuta prevalentemente nel Testo Unico Bancario, quindi applicabile alle banche, ed oggi, in forza di numerosi rinvii contenuti nel Testo Unico della Finanza, anche agli intermediari finanziari. Antecedentemente all’adozione del TUF, il panorama normativo in materia era molto variegato: la crisi delle banche e quella degli intermediari finanziari soggiacevano a discipline differenti e il legislatore era giunto persino a introdurre previsioni speciali per singoli intermediari. Il sempre più frequente intreccio tra le varie attività esercitabili nei mercati e soprattutto la presenza di complessi legami partecipativi fra società - si pensi ad una banca che tramite una propria controllata presti anche altri servizi - hanno indotto il legislatore a riformare la materia al fine di renderla più organica ed armonica 297. Oggi dunque, salvo alcune previsioni speciali applicabili esclusivamente alla crisi degli intermediari finanziari, vi è una disciplina sostanzialmente unitaria dettata nel TUB 298. Presupposto per l’adozione dei provvedimenti o per l’apertura di una delle procedure previste è, non soltanto la crisi economico – finanziaria della società, ma anche la sussistenza di una situazione di irregolarità (ad esempio, la violazione di norme di legge), campanello di allarme di una eventuale crisi 299. Tale impostazione permette alle autorità di vigilanza di attivarsi subito nell’intento di 296 L. DI BRINA, La crisi della banca e degli intermediari finanziari, in Ordinamento finanziario italiano, (a cura di F. CAPRIGLIONE) Padova, 2010, Tomo II, p. 692. 297 F. GIORGIANNI, C. M. TARDIVO, La disciplina delle crisi – Le crisi degli intermediari finanziari, in Manuale di diritto bancario, Roma, 2009, p. 312. 298 Poiché l’oggetto della presente trattazione è circoscritto all’esame della disciplina della crisi delle Società di gestione del risparmio, nel prosieguo della trattazione, si farà riferimento esclusivamente alle norme ad esse applicabili, sebbene, per le ragioni ricordate, la disciplina abbia oggi carattere generale e sia quindi applicabile a tutti gli intermediari finanziari, riferendoci con tale termine a banche, Sim, Sgr, Sicav e Sicaf. 299 L. DI BRINA, op. cit., p. 693. 72 La crisi delle società di gestione tamponare situazioni che altrimenti, aggravandosi, potrebbero compromettere la sana e prudente gestione dell’intermediario e finanche gli interessi degli investitori. Se fossero adottabili solo provvedimenti successivi all’insorgere della crisi, la tutela del risparmio - costituzionalmente imposta ex art. 47 Cost. potrebbe non risultare effettiva; invece, consentendo alle autorità di vigilanza di agire già al ricorrere di meri indizi (e non soltanto di vere e proprie prove) di crisi dell’intermediario, si anticipa la tutela per meglio salvaguardare l’integrità del mercato e il suo efficiente funzionamento 300. All’interno di un siffatto sistema si inserisce anche il potere riconosciuto alle autorità di vigilanza di convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti delle società, nonché di ordinare la convocazione (o procedere direttamente alla convocazione in caso di inottemperanza) degli organi collegiali, fissandone l'ordine del giorno (art. 7, comma 1, TUF). È l’esigenza di tutela di molteplici interessi che giustifica un così pregnante controllo, e persino l’interferenza di un soggetto esterno nelle attività degli organi sociali 301. Altro tratto caratterizzante la disciplina in esame è il rilevante ruolo riconosciuto al Ministero dell’economia e delle finanze e alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob). Si avrà modo di notare come il controllo pubblico sul mercato bancario e finanziario sia particolarmente pregnante nonostante l’ormai conclusa privatizzazione delle banche e delle imprese di investimento: il controllo all’ingresso nel mercato, al fine di ottenere l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività, insieme alla costante vigilanza prudenziale, consentono da un lato di tutelare investitori e mercati e dall’altro di giustificare anche la sottrazione di questi speciali imprenditori all’applicazione della disciplina di diritto comune 302. Svolte queste brevi considerazioni di carattere generale, procediamo con l’analisi dei singoli provvedimenti - adottabili dal Ministro dell’economia e delle finanze o dalle autorità di vigilanza – che possono essere distinti in ingiuntivi 300 M. FOSCHINI, Su provvedimenti e procedure finalizzati a prevenire e risolvere la crisi delle Sim, delle Sgr e delle Sicav, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, (a cura di S. AMOROSINO, G. ALPA, V. TROIANO, M. SEPE, G. CONTE, M. PELLEGRINI, A. ANTONICCI), Padova, 2010, Tomo I, p. 441. Sul punto F. GIORGIANNI, C. M. TARDIVO, Manuale di diritto bancario, op. cit., p. 302 e ss.. 301 L. DI BRINA, op. cit., p. 702. 302 L. DI BRINA, op. cit., p. 696. 73 La crisi delle società di gestione (artt. 51 e 52 TUF), sospensivi (artt. 53 – 55 TUF) e provvedimenti di crisi (artt. 56 – 58 TUF). 2 I provvedimenti ingiuntivi Al fine di prevenire quanto più possibile l’insorgere di una situazione di crisi, è attribuito alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob), nei rispettivi ambiti di competenza303, il potere di adottare “provvedimenti ingiuntivi”. Tali sono quei provvedimenti che hanno una funzione correttiva e non già sanzionatoria 304, idonei a «monitorare situazioni emergenti in un momento precedente al verificarsi dei presupposti per l’apertura delle procedure di amministrazione straordinaria ovvero di liquidazione coatta amministrativa»305. Tali provvedimenti hanno carattere inibitorio e natura preventiva, cautelare, poiché mirano a prevenire, o almeno limitare, danni gravi e irreparabili. I provvedimenti ingiuntivi sono atti amministrativi di natura cautelare, adottati a seguito di un procedimento sommario che comprime, almeno inizialmente, il diritto al contraddittorio al fine di assicurare una tutela effettiva in tempi rapidi 306. Le Autorità di Vigilanza devono infatti verificare l’esistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora e, in base al caso concreto, devono determinare il contenuto del provvedimento 307. La mancata predeterminazione dei 303 La ripartizione delle competenze è operata dall’art. 5 TUF, il quale stabilisce che «la vigilanza sulle attività disciplinate dalla presente parte ha per obiettivi: a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario; b) la tutela degli investitori; c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario; d) la competitività del sistema finanziario; e) l’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria. 2. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Banca d' Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari. 3. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti». A causa della presente ripartizione delle competenze possono porsi dei problemi di coordinamento nell’esercizio dell’attività; anche per risolvere tali problemi è stato stipulato tra la Banca d’Italia e la Consob un Protocollo d’intesa per disciplinare la loro collaborazione operativa. Sul punto V. A. DI AMATO, op. cit., p. 203. 304 M. FRATINI, Provvedimenti ingiuntivi e crisi degli intermediari, in Diritto dei mercati finanziari, Bari, 2013, p. 280. 305 M. FOSCHINI, Su provvedimenti e procedure finalizzati a prevenire e risolvere la crisi delle Sim, delle Sgr e delle Sicav, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, (a cura di S. AMOROSINO, G. ALPA, V. TROIANO, M. SEPE, G. CONTE, M. PELLEGRINI, A. ANTONICCI), p. 441. 306 A. DI AMATO, Disfunzioni e crisi degli intermediari ed interventi di vigilanza, in Manuale di diritto del mercato finanziario, (a cura di S. AMOROSINO), Milano 2014, p. 195. 307 F. GIORGIANNI, C. M. TARDIVO, op. cit., p. 314. Nello stesso senso A. DI AMATO, op. cit., p. 196. Contra M. FRATINI, op. cit., p. 279, il quale sostiene che, per adottare un provvedimento ingiuntivo, non sia sufficiente verificare 74 La crisi delle società di gestione contenuti dei provvedimenti ingiuntivi permette di plasmare il provvedimento tenendo conto dei connotati della situazione, stante l’impossibilità di prevedere, in via astratta e generale, provvedimenti idonei ed efficaci per tutti i casi in concreto configurabili. I provvedimenti possono avere sia contenuto inibitorio, e quindi vietare la continuazione di determinati comportamenti o, nei casi più gravi, vietare l’esercizio dell’attività, sia contenuto ordinatorio, e quindi ordinare di fare quanto necessario per eliminare le violazioni commesse e le loro conseguenze 308. 2.1 Il divieto di nuove operazioni L’art. 51 è la prima norma dettata dal TUF relativamente ai provvedimenti ingiuntivi. Essa stabilisce che, in caso di violazione da parte degli intermediari nazionali ed extracomunitari aventi sede in Italia delle disposizioni loro applicabili, la Banca d’Italia o la Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, possano ordinare di porre termine a tali irregolarità, intimando dunque al destinatario del provvedimento di cessare il comportamento antigiuridico (art. 51, comma 1, TUF). Ai fini dell’adozione del provvedimento in esame sono qualificabili come antigiuridici non tutti i comportamenti posti in essere in violazione di una qualsiasi norma dell’ordinamento, bensì solo quelli contrari alle norme del Testo Unico della Finanza e delle disposizioni attuative dello stesso 309. Qualora le violazioni poste in essere siano in grado di pregiudicare interessi di carattere generale o in casi di urgenza per la tutela degli interessi degli investitori, l’Autorità di Vigilanza procedente, sentita l’altra autorità, può vietare alle Sgr di intraprendere nuove operazioni (art. 51, comma 2, TUF). Con tale provvedimento, evidentemente più incisivo di quello adottabile ex comma 1, non si può imporre all’intermediario un divieto assoluto e generalizzato di acquisizione di nuova clientela, poiché in tal caso si avrebbe un provvedimento di carattere sostanzialmente liquidativo, con ciò esorbitando dalle finalità tipiche dei l’esistenza del fumus boni iuris, essendo piuttosto necessario un accertamento di tipo definitivo dell’irregolarità del comportamento. 308 A. DI AMATO, op. cit., p. 196. 309 A. DI AMATO, op. cit., p. 196. 75 La crisi delle società di gestione provvedimenti ingiuntivi 310. Nelle summenzionate ipotesi, l’autorità procedente può altresì «imporre ogni altra limitazione riguardante singole tipologie di operazioni, singoli servizi o attività, anche limitatamente a singole succursali o dipendenze dell’intermediario» (art. 51, comma 2, TUF). I presupposti indicati dalla norma per l’adozione del provvedimento in esame stanno tra loro in rapporto di alternatività, essendo sufficiente la sussistenza di uno soltanto dei due per la sua adozione. Relativamente al primo – pericolo di pregiudizio per interessi di carattere generale – occorre chiarire che ci si riferisce a «interessi di dimensioni metaindividuali, non risolvibili nella sfera soggettiva del singolo investitore»311. In merito al secondo presupposto invece, occorre specificare che si ha una situazione di urgenza per la tutela degli investitori tutte le volte che una o più irregolarità possano generare pregiudizio per gli investitori (intesi non uti singuli, bensì, anche stavolta, come categoria) e l’adozione di un provvedimento ingiuntivo si imponga poiché la gravità della situazione non consente l’adozione di provvedimenti di altra specie (periculum in mora) 312. Per completezza espositiva è necessario fare alcune precisazioni a proposito degli intermediari stranieri operanti sul territorio italiano. Mentre l’art. 51 TUF è applicabile non solo agli intermediari italiani ma anche a quelli extracomunitari, l’art. 52 disciplina separatamente i provvedimenti ingiuntivi adottabili nei confronti degli intermediari comunitari e le relative procedure da seguire. Ad essi infatti, non sono applicabili le norme previste per gli intermediari italiani o per quelli extracomunitari con sede in Italia, poiché il principio dell’home country control prevede che gli intermediari comunitari operanti nel territorio dell’Unione siano assoggettati al controllo delle autorità di vigilanza del Paese in cui hanno la sede legale 313. Gli articoli 51 e 52 si ispirano comunque a principi analoghi. Le discipline in essi contenute sono pertanto tra loro simili ma non uguali: l’autorità italiana, pur potendo adottare provvedimenti inibitori nei confronti degli operatori comunitari, è obbligata a comunicarli all’autorità del Paese d’origine del 310 M. FRATINI, op. cit., p. 281. Ibidem. 312 Ibidem. 313 A. DI AMATO, op. cit., p. 197. 311 76 La crisi delle società di gestione destinatario; presupposti più stringenti 314 sono invece previsti per l’adozione di quei provvedimenti che incidono anche sull’operatività del soggetto (parallelamente a quelli disciplinati nell’art. 51, comma 2, TUF) 315. 2.2 La sospensione degli organi amministrativi e la gestione provvisoria La procedura di sospensione degli organi amministrativi degli intermediari finanziari e la conseguente nomina di organi commissariali, incaricati di provvedere alla gestione provvisoria dell’ente, è stata introdotta per la prima volta dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1. Nel corso del tempo detta procedura è stata più volte modificata e oggi la sua disciplina è contenuta nell’art. 53 del TUF. Esso prevede che il Presidente della Consob possa disporre in via d’urgenza la sospensione degli organi di amministrazione delle Sgr e la nomina di un commissario che assuma la gestione dell’ente qualora ricorra una situazioni di pericolo per i clienti o per i mercati e risultino alternativamente, o gravi irregolarità nell’amministrazione, o gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie (art. 53, commi 1 e 6, TUF). I presupposti per l’adozione del provvedimento ingiuntivo in esame sono solo prima facie uguali a quelli che giustificano l’avvio dell’amministrazione straordinaria (art. 56, comma 1, lett. a), TUF). Perché sia adottato un provvedimento ingiuntivo – e non venga invece attivato il complesso iter che termina con l’apertura dell’amministrazione straordinaria - è necessario che sussistano anche ragioni di assoluta urgenza che, nel caso degli intermediari finanziari, sono individuabili in «situazioni di pericolo per i clienti o per i mercati»316. Si noti inoltre che presupposto per la sospensione degli organi amministrativi è la violazione delle disposizioni sia legislative, sia amministrative, 314 «L'autorità di vigilanza che procede può adottare i provvedimenti necessari, sentita l'altra autorità, compresa l'imposizione del divieto di intraprendere nuove operazioni, nonché ogni altra limitazione riguardante singole tipologie di operazioni, singoli servizi o attività anche limitatamente a singole succursali o dipendenze dell'intermediario, ovvero ordinare la chiusura della succursale, quando: a) manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell'autorità competente dello Stato in cui l'intermediario ha sede legale; b) risultino violazioni delle norme di comportamento; c) le irregolarità commesse possano pregiudicare interessi di carattere generale; d) nei casi di urgenza per la tutela degli interessi degli investitori» (art. 52, comma 2, TUF). 315 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 236. 316 L. DI BRINA, op. cit., p. 705. 77 La crisi delle società di gestione sia statutarie; il provvedimento può pertanto essere adottato non soltanto nei casi di violazione del Testo Unico della Finanza e delle relative norme di attuazione, come previsto nel caso dei provvedimenti ingiuntivi ex art. 51 TUF. In questo caso, sussistendo ovviamente anche gli altri presupposti previsti dalla legge, è dunque sufficiente la violazione di una qualsiasi norma, purché sia valutabile come grave 317. La necessità di far fronte a situazioni urgenti, idonee a compromettere interessi generali, giustifica l’adozione di provvedimenti cautelari - come già messo in luce precedentemente - inaudita altera parte, per giunta, in questo specifico caso, da parte di un organo monocratico, il Presidente della Consob 318. Il provvedimento in esame comporta la sospensione degli organi di amministrazione dell’intermediario e la nomina di un commissario provvisorio. Con “organi amministrativi” ci si riferisce al consiglio di amministrazione o al diverso organo al quale lo statuto abbia conferito i poteri gestori; nessuna restrizione o conseguenza si produce invece sugli organi di controllo 319. Il commissario resta in carica sessanta giorni (art. 53, comma 2, TUF); egli è chiamato ad accertare le violazioni contestate e ad adottare misure idonee a ristabilire una situazione di normalità nell’ente e di legittimità dell’attività. Così strutturata, la gestione provvisoria è potenzialmente una procedura autonoma e completa, al termine della quale, eliminata ogni irregolarità, il commissario restituisce la società nelle mani degli organi amministrativi momentaneamente sospesi perché riprendano l’ordinaria attività 320. È però possibile che ricorrano delle situazioni talmente gravi da non poter essere risanate nel breve periodo, che pertanto non permettono al commissario straordinario di restituire la società ai vecchi amministratori. Al contrario, in tali casi, la gestione provvisoria non si configura come una misura autonoma per la gestione di una situazione di mera irregolarità sanabile, ma ha una «funzione meramente preparatoria e conservativa, che prelude all’intervento degli organi delle altre procedure (amministrazione straordinaria o liquidazione coatta 317 M. FRATINI, op. cit., p. 284. L. DI BRINA, op. cit., p. 706. 319 M. FRATINI, op. cit., p. 285. 320 L. DI BRINA, op. cit., p. 706. 318 78 La crisi delle società di gestione amministrativa)»321; in tal senso la gestione provvisoria permetterà di anticipare gli effetti della successiva procedura che potrà essere aperta con un apposito provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze 322. 3 I provvedimenti di crisi Nel Capo II, del Titolo IV del TUF è dettata la disciplina della crisi degli intermediari finanziari. Per comprenderne appieno la ratio e la portata, occorre tenere in considerazione alcuni fattori. Primo fra tutti il c.d. rischio sistemico e cioè il rischio che la crisi di un singolo operatore si propaghi ad altri o, nei casi più gravi, ad un intero settore 323. Qualora tale rischio si realizzasse, potrebbero essere compromessi gravemente la stabilità e il buon funzionamento del mercato, con conseguenze poi non facilmente arginabili. A causa di particolari intrecci partecipativi tra vari intermediari operanti nello stesso settore o in settori contigui, l’insolvenza di una società potrebbe propagarsi anche ad altre, provocando l’insolvenza di operatori facenti parti dello stesso gruppo (c.d. effetto domino). Ancora, il default di un intermediario potrebbe ingenerare sfiducia negli investitori che, ritenendo di non poter fare più affidamento sulla stabilità dei mercati, potrebbero essere indotti a ridurre notevolmente i propri investimenti, provocando così l’allontanamento dei capitali dal mercato 324. Per prevenire tali situazioni evidentemente molto pericolose, l’attuale disciplina prevede la possibilità di sottoporre gli intermediari finanziari ad amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa. Le due procedure, nettamente divergenti per finalità e presupposti, sono dirette rispettivamente alla ricostituzione della normalità e dell’equilibrio nella società, la prima, e alla liquidazione dell’attivo con conseguente eliminazione dell’ente dal mercato, la seconda. 321 L. DI BRINA, op. cit., p. 706 M. FOSCHINI, op. cit., p. 443. Nello stesso senso L. DI BRINA, op. cit., p. 706 e ss.. 323 M. FRATINI, op. cit., p. 288. 324 A. DI AMATO, op. cit., p. 200. 322 79 La crisi delle società di gestione 3.1 L’amministrazione straordinaria. I presupposti L’amministrazione straordinaria può essere attivata nel caso in cui strumenti di pressione esogena o di temporanea sospensione degli organi sociali non siano stati sufficientemente incisivi e si siano quindi rilevati, o ex ante o ex post, inidonei a ristabilire la regolarità all’interno della società 325. In siffatte situazioni diviene necessario sostituire autoritativamente gli organi di amministrazione e controllo dell’ente con dei soggetti qualificati, nominati dall’autorità di vigilanza, che subentrino in luogo dei primi. Si configura dunque una sorta di “gestione coattiva” dell’impresa. Tale gestione non ha finalità liquidatorie tende piuttosto a rimuovere le irregolarità e riportare in bonis la società 326. Per tal via, si cerca altresì di prevenire il peggioramento della situazione, evitando l’insorgere di una crisi irreversibile, di fronte alla quale dovrebbe disporsi la liquidazione coatta amministrativa della società 327. «Il Ministero dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia o della Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo […] delle società di gestione del risparmio» (art. 56, comma 1, TUF). I presupposti previsti dalla legge 328 per l’attivazione della procedura sono: a) Presenza di gravi irregolarità nell’amministrazione ovvero di gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l’attività. “Gravi irregolarità nell’amministrazione” è una formulazione talmente ampia da essere atta a ricomprendere tutte le condotte contrarie al principio generale di sana e prudente gestione e quelle contrarie ai principi di prudenza e correttezza e, al contempo, 325 L. DI BRINA, op. cit., p. 707. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 241. 327 G. PESCATORE, Commento all’art. 56 TUF, in Commentario al T.U.F., (a cura di F. VELLA), Torino , 2010, Tomo I, p. 541. 328 «Il Ministero dell’economia e delle finanze, […] può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle Sicaf quando: a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l'attività; b) siano previste gravi perdite del patrimonio della società; c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi o dall'assemblea straordinaria ovvero dal commissario nominato ai sensi dell'articolo 53». 326 80 La crisi delle società di gestione sintomatiche di una situazione di crisi 329. La gravità delle condotte deve essere valutata alla luce dei principi generali che regolano la materia, potendo assumere rilievo, ai fini dell’attivazione della procedura di amministrazione straordinaria, anche comportamenti contrari ai principi generali, quand’anche non siano in violazione di specifiche norme di legge o di regolamento 330. Come esempi di irregolarità commesse nell’amministrazione della società possiamo citare: carenza di controlli interni, scarsa indipendenza degli amministratori causata dall’ingerenza dei soci di controllo, confusione e non affidabilità degli assetti contabili 331. Quanto alle “gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne regolano l’attività”, si ritiene che, per sottoporre la società ad amministrazione straordinaria, si debba essere alla presenza di «violazioni che incidano sull’attività e non sul funzionamento degli intermediari; laddove infatti dalla violazione di una norma derivassero indirettamente riflessi sulla gestione tecnica dell’intermediario, l’anomalia sarebbe da ascrivere al novero delle attività amministrative piuttosto che a quello delle violazioni di norme sull’attività»332. Pur potendo assumere rilievo sia le violazioni di norme primarie, sia quelle di norme secondarie, l’avvio dell’amministrazione straordinaria è subordinato alla valutazione della gravità delle suddette poiché, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo della trattazione, sono sempre le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività, purché di eccezionale gravità, che giustificano l’adozione del più grave provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa 333. b) La previsione di gravi perdite del patrimonio della società. Si presti subito attenzione al dato letterale: le perdite da monitorare non sono soltanto quelle emerse, già risultanti, bensì anche quelle previste. Sebbene prima 329 A. DI AMATO, op. cit., p. 201 e ss. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242. 331 Per una più completa disamina dei vari esempi di irregolarità nell’amministrazione V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242; G. PESCATORE, op. cit., p. 542 e ss.; A. DI AMATO, op. cit., p. 202. 332 G. PESCATORE, op. cit., p. 543. 333 Cfr. M. FOSCHINI, op. cit.,p. 449. 330 81 La crisi delle società di gestione dell’approvazione del bilancio sia tecnicamente più corretto esprimersi in termini di previsione 334, in questo caso il legislatore ha voluto rendere giuridicamente rilevante una situazione che generalmente non lo è. È stato stabilito infatti che, per avviare l’amministrazione straordinaria, non è necessario che le perdite si siano già manifestate definitivamente, essendo sufficiente la loro previsione: è il caso ad esempio di un credito, ritenuto irrecuperabile, anche qualora non sia stata già infruttuosamente conclusa la procedura di recupero forzoso. Inoltre le perdite - seppur solo previste devono inoltre essere gravi, ossia idonee ad incidere in modo significativo sulla stabilità patrimoniale della società 335; la gravità deve essere valutata in una prospettiva dinamica e non statica, nell’ottica – propria dell’amministrazione straordinaria – di riconduzione dell’impresa alla normalità operativa 336. Le perdite devono risultare dalle scritture contabili dell’ente; molto spesso però esse emergono solo a seguito delle rettifiche contabili effettuate dalle Autorità di Vigilanza in sede ispettiva, rettifiche effettuate in forza di criteri tecnico – contabili utilizzabili dalle stesse nell’attività di accertamento 337. Per essere rilevanti ai fini dell’attivazione dell’amministrazione straordinaria, le perdite inoltre devono riguardare il patrimonio sociale e non i patrimoni gestiti dalla società per conto dei propri clienti. Qualora però si siano verificate delle perdite in uno o più patrimoni gestiti, e qualora esse siano causate da irregolarità amministrative o violazioni di norme, idonee a rientrare nel presupposto di cui alla lett. a), si potrebbe sottoporre la società ad amministrazione straordinaria per la sussistenza di tale presupposto e non per quella di cui alla lett. b) 338. c) L’istanza motivata di scioglimento promanante dagli organi amministrativi o dall’assemblea straordinaria ovvero dal commissario straordinario 334 G. PESCATORE, op. cit., p. 543. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 243. 336 A. DI AMATO, op. cit., p. 203. Sul punto l’A. prosegue osservando che «la gravità delle perdite deve essere apprezzata in relazione ai tempi in cui si sono manifestate, all’andamento reddituale in atto, alle eventuali iniziative concrete di concentrazione (come fusioni, che assicurino condizioni di maggiore solidità patrimoniale), di ricapitalizzazione o di cessione del controllo dei soggetti economici in grado di assicurare la continuità dell’impresa». 337 Cfr. sul punto M. FRATINI, op. cit., p. 289; A. DI AMATO, op. cit., p. 202. 338 G. PESCATORE, op. cit., p. 543. 335 82 La crisi delle società di gestione nominato ex art. 53 TUF. Sebbene la collocazione di tale fattispecie (nel primo comma dell’art. 56) possa indurre l’interprete a qualificarla come terzo presupposto per l’attivazione della procedura di amministrazione straordinaria, la dottrina è oggi concorde nel ritenere che una tale delibera sia idonea solo a sollecitare il controllo delle Autorità di Vigilanza, affinché verifichino la sussistenza di uno dei presupposti di cui alle lett. a) e b). Non si è dunque alla presenza di un terzo presupposto, al ricorrere del quale si attiva automaticamente la procedura speciale, ma si tratta piuttosto di una specificazione in merito alla legittimazione ad attivare il procedimento 339. Ricevuta una specifica richiesta dall’Autorità di Vigilanza, o dai soggetti indicati nella lett. c), di cui all’art. 56, comma 1, TUF, il Ministro dell’economia e delle finanze effettua una valutazione discrezionale circa la sussistenza di almeno uno dei presupposti indicati dalla legge 340, sindacabile in sede giurisdizionale solo nei limiti della manifesta illogicità 341. Il Ministro, se ritiene, dispone quindi con decreto lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della società. Si è già accennato 342 all’apparente sovrapponibilità dei presupposti previsti per l’adozione dei provvedimenti ex articoli 53 e 56 TUF e all’affinità esistente tra i due. Si è detto che solo il provvedimento di sospensione degli organi amministrativi, in quanto provvedimento ingiuntivo, presuppone una “situazione di pericolo per i clienti o per i mercati” poiché l’amministrazione straordinaria, in quanto soluzione per la crisi dell’intermediario, presuppone piuttosto una situazione di perdurante irregolarità e può perciò anche seguire il primo. Ma le differenze non attengono solo ai presupposti dei due provvedimenti: mentre con l’apertura dell’amministrazione straordinaria si ha lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo e pertanto, all’atto di cessazione della procedura, dovranno essere nominati nuovi organi, in caso di provvedimento ingiuntivo ex art. 53, si ha una mera sospensione del solo organo amministrativo e, allo scadere 339 L. DI BRINA, op. cit., p. 708. Nello stesso senso F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 243; G. PESCATORE, op. cit., p. 543; A. DI AMATO, op. cit., p. 203. 340 L. DI BRINA, op. cit., p. 709. 341 V. amplius G. PESCATORE, op. cit., p. 544 e ss.. In questo senso, TAR Lazio, sez. I, 29 agosto 2002, n. 7462, in Dir. banca e mercato fin., 2003, 1, 1, p. 96 ss. e Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, p. 105 e ss., con nota di DE GIORGI, Amministrazione straordinaria delle Sim. 342 V. par. 2.2. del presente capitolo. 83 La crisi delle società di gestione del sessantesimo giorno dall’adozione del provvedimento, i precedenti organi sociali riprendono regolarmente le loro funzioni 343. 3.1.1 La procedura Nei quindici giorni successivi all’adozione del decreto che dichiara aperta l’amministrazione straordinaria – decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – la Banca d’Italia nomina uno o più commissari straordinari 344 e un comitato di sorveglianza. Alla luce della “derivazione bancaria” della procedura in esame, la sua direzione è affidata alla Banca d’Italia, anche nell’ipotesi in cui sia stata aperta su istanza della Consob 345. La procedura dura un anno - decorrente dalla data di emanazione del decreto - salvo che la Banca d’Italia preveda una durata più breve o ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali può essere disposta una proroga di sei mesi e una ulteriore della durata massima di due mesi per il completamento degli adempimenti relativi alla chiusura della procedura (ex art. 70, commi 5 e 6, TUB). La disciplina dell’amministrazione straordinaria applicabile agli intermediari finanziari e quindi, per i fini che qui interessano, alle Società di gestione del risparmio, non è dettata direttamente nel Testo Unico della Finanza poiché l’art. 56 TUF si limita a rinviare alle norme del TUB che regolano l’amministrazione straordinaria delle banche. Salvo alcune previsioni speciali, la disciplina prevista per le banche è quasi integralmente applicabile agli intermediari finanziari e il mancato rinvio ad alcune norme è più apparente che reale: il legislatore, infatti, ha riscritto nel TUF le previsioni del TUB alle quali non si fa espressamente rinvio 346. Si specifica inoltre che le norme del TUB si intendono riferite agli investitori in luogo dei depositanti, alle società di gestione 343 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242. Qualora se ne presenti la necessità, la Banca d’Italia può medio tempore nominare un commissario straordinario, per assicurare continuità tra la gestione ordinaria e quella straordinaria (ex art. 71, comma 5, TUB, applicabile in forza del rinvio operato dall’art. 56, comma 3, TUF). 345 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 241. 346 G. PESCATORE, op. cit., p. 545 osserva che «le uniche norme del TUB a non essere espressamente richiamate sono infatti l’art. 77 (il cui contenuto, d’altra parte, è riportato all’art. 56, comma 2, TUF), l’art. 76 (stante la presenza, quanto alla gestione provvisoria, dell’art. 53 TUF) e l’art. 70, comma 7 (solo in parte coincidente con il disposto del comma 4 dell’art. 56 TUF)». 344 84 La crisi delle società di gestione del risparmio piuttosto che alle banche ed infine, l’espressione “strumenti finanziari” deve essere intesa come riferita tanto agli strumenti finanziari quanto al denaro (art. 56, comma 3, TUF). Per quanto attiene alle funzioni degli organi della procedura, è stabilito che i commissari straordinari esercitino i poteri dei disciolti organi amministrativi in un contesto di continuità aziendale, quindi senza soluzione di continuità 347; essi «provvedono ad accertare la situazione aziendale, a rimuovere le irregolarità ed a promuovere le soluzioni utili nell’interesse» degli investitori (art. 72 TUB). Autorevole dottrina suole distinguere tre diversi gruppi di attività e qualificare le attività volte ad accertare la reale situazione aziendale come “attività istruttorie”, quelle dirette alla rimozione delle irregolarità come “attività gestionali correttive” ed infine quelle volte a promuovere e recuperare la fiducia degli investitori nel sistema come “attività propositive” 348. Per quanto attiene invece ai poteri attribuiti ai commissari straordinari, merita specifica menzione il potere di esercitare l’azione sociale di responsabilità contri i componenti dei disciolti organi sociali, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia. Pendente l’amministrazione straordinaria, le funzioni dell’assemblea della società sono sospese (art. 70, comma 2, TUB) ed è esclusa ogni distribuzione di utili (art. 73, ult. comma, TUB). In aggiunta, i commissari straordinari, sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, qualora ricorrano circostanze eccezionali, al fine di tutelare gli interessi degli investitori, possono sospendere il pagamento delle passività di qualsiasi genere da parte della Sgr e la restituzione degli strumenti finanziari. Si chiarisce che tale sospensione non costituisce stato di insolvenza, per l’assenza nella fattispecie concreta dei presupposti tipici dello stato di insolvenza e pertanto il provvedimento deve essere visto nell’ottica della salvaguardia del valore aziendale 349 (art. 74 TUB) 350. 347 L. DI BRINA, op. cit., p. 711. F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Diritto bancario, Milano, 2006, p. 271 e ss. 349 L. DI BRINA, op. cit., p. 713. 350 «La sospensione ha luogo per un periodo non superiore a un mese, prorogabile eventualmente, con le stesse formalità, per altri due mesi. Durante il periodo della sospensione non possono essere intrapresi o proseguiti atti di esecuzione forzata o atti cautelari sui beni della banca e sugli strumenti finanziari dei clienti. Durante lo stesso periodo non possono essere iscritte ipoteche sugli immobili o acquistati altri diritti di prelazione sui mobili della banca se non in forza di provvedimenti giudiziali esecutivi anteriori all’inizio del periodo di sospensione». 348 85 La crisi delle società di gestione Il comitato di sorveglianza può essere costituito da tre o cinque membri, i quali eleggono al proprio interno un presidente. Tale comitato sostituisce l’organo di controllo della società e fornisce pareri ai commissari straordinari. Al termine del loro incarico, i commissari straordinari e il comitato di sorveglianza redigono separati rapporti sull’attività svolta e li trasmettono alla Banca d’Italia, la quale cura la chiusura dell’amministrazione straordinaria, provvedendo a darne notizia mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale. Entro quattro mesi dalla chiusura della procedura, i commissari redigono il bilancio che deve essere presentato alla Banca d’Italia perché lo approvi. Ultimo step della procedura è la ricostituzione, ad opera dei commissari straordinari, degli organi dell’amministrazione ordinaria - che tipicamente avviene con la convocazione dell’assemblea dei soci 351 - perché prendano in consegna l’azienda dai commissari (art. 75 TUB). Non si potrà procedere in tal senso nell’eventualità in cui i commissari straordinari non siano riusciti, tramite l’esercizio dei poteri conferitigli, a riportare in bonis la società; in tali casi, peraltro molto frequenti nella pratica, la procedura straordinaria terminerà con la richiesta da parte dei commissari straordinari della messa in liquidazione coatta amministrativa della società (art. 57, comma 2, TUF). 3.2 La liquidazione coatta amministrativa La liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) è la procedura prevista per la gestione della crisi degli enti sottoposti a forme pubbliche di vigilanza e controllo: banche, imprese assicuratrici, intermediari finanziari, enti pubblici ecc. La considerazione delle particolarità delle attività svolte dai menzionati soggetti e il coinvolgimento di interessi tanto individuali (interessi dei depositanti, degli investitori, degli assicurati, a seconda del mercato in cui la società opera) quanto generali, hanno indotto il legislatore a sottrarre tali enti alle ordinarie procedure concorsuali per assoggettarli a liquidazione coatta amministrativa 352. 351 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 244. Ivi, p. 245. 352 86 La crisi delle società di gestione La liquidazione coatta amministrativa può essere disposta direttamente dal Ministro dell’economia e delle finanze o, come già anticipato, può configurarsi quale step successivo all’amministrazione straordinaria qualora non sia stato possibile risanare la situazione della società. Tale procedura, infatti, può essere aperta solo qualora la crisi sia irreversibile e dunque non vi sia più alcuna possibilità di recupero. Considerando i provvedimenti e le procedure predisposti dalla legge per tentare di ristabilire la legalità e risanare le finanze delle società, può dedursi che la liquidazione dell’ente è oggi attivabile solo in via residuale. Qualora dunque tali strumenti siano stati inutilmente utilizzati o qualora la situazione sia già talmente compromessa da rendere inutile persino il tentativo di recupero, la Banca d’Italia o la Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, possono richiedere al Ministero dell’economia e delle finanze di disporre la liquidazione coatta amministrativa della società. Come già visto in tema di amministrazione straordinaria, anche relativamente alla liquidazione coatta, il legislatore ha inserito, tra i presupposti per l’inizio della procedura, l’istanza motivata degli organi amministrativi, dell’assemblea straordinaria, del commissario nominato a seguito della sospensione degli organi amministrativi ex art. 53 TUF, dei commissari straordinari o dei liquidatori. Anche in questo caso, la dottrina è concorde nel ritenere che si tratti semplicemente di un’ipotesi di legittimazione a richiedere il provvedimento e non di un autonomo presupposto per la disposizione della liquidazione353. Il Ministro, con decreto, dichiara aperta la procedura e revoca l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività. I presupposti per la messa in liquidazione sono uguali a quelli previsti per l’apertura dell’amministrazione straordinaria 354 ma perché si disponga la liquidazione dell’ente è necessario che le irregolarità nell’amministrazione, le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste siano di eccezionale gravità. È stato osservato che «l’eccezionale gravità non costituisce un criterio assoluto bensì relativo, da commisurare al caso concreto per mezzo di una valutazione discrezionale da compiersi sulla base di un giudizio della situazione dell’intermediario sotto il profilo dinamico delle 353 354 L. DI BRINA, op. cit., p. 716. Per un esame dettagliato dei singoli presupposti, V. supra par. 3.1 del presente capitolo. 87 La crisi delle società di gestione prospettive di soluzione della crisi»355. Alla luce dell’eccezionalità qualitativa e/o quantitativa 356 delle irregolarità, delle violazioni o delle perdite riscontrate, il Ministro disporrà l’amministrazione straordinaria qualora vi sia «una residua possibilità di salvataggio del soggetto»357; qualora tale margine non ci sia, disporrà la liquidazione della società che, per l’eccezionalità e l’irrecuperabilità della situazione in cui versa, risulta sostanzialmente inidonea a proseguire nell’attività e pertanto le si revoca l’autorizzazione necessaria per l’esercizio 358. La liquidazione deve essere inoltre disposta qualora vi sia una dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza. Si prevede infatti che il Tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale, su richiesta di uno o più creditori, su istanza del Pubblico Ministero o d’ufficio, sentita la Banca d’Italia e i rappresentati legali dell’ente, possa dichiarare lo stato di insolvenza con sentenza (art. 82 TUB). Di fronte a tale provvedimento giudiziale, il Ministro dell’economia e delle finanze non effettua alcuna valutazione discrezionale della situazione in cui la società versa, essendone evidente la gravità; egli è pertanto obbligato a disporre la liquidazione 359. Occorre infine notare che ciascun presupposto previsto per la messa in liquidazione delle società ha un autonomo rilievo e dunque è sufficiente che, nel caso concreto, ne sussista uno solo. Una tale impostazione «deriva dal fatto che essi attengono a momenti diversi del processo degenerativo dell’organismo aziendale, in quanto – quasi sempre – le condotte illecite sono antecedenti alle perdite e queste ultime precedono l’insolvenza»360. Coniugando questa constatazione empirica con la ben nota esigenza di anticipare quanto più possibile l’intervento sulle situazioni di crisi e/o di irregolarità nell’attività, comprendiamo che la liquidazione delle società può essere disposta a fronte di gravi condotte illegittime, quand’anche essa non versi (ancora) in stato di insolvenza 361. 355 G. PESCATORE, op. cit., p. 553. M. FOSCHINI, op. cit.,p. 449. 357 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 246. 358 Ibidem. 359 G. PESCATORE, op. cit., p. 553. Nello stesso senso F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 246. 360 A. DI AMATO, op. cit., p. 206. 361 Ibidem. 356 88 La crisi delle società di gestione Giacché l’adozione del decreto da parte del Ministro comporta ad un tempo la messa in liquidazione della società e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività, è opportuno considerare gli effetti – e la relativa decorrenza - che tale provvedimento provoca sulla vita e sui rapporti della società. Dalla data di emanazione del decreto 362 decorrono gli effetti ablativi della potestà degli organi ordinari (cessano le funzioni dell’assemblea, degli organi amministrativi e di controllo) 363. Gli effetti di paralisi del patrimonio 364 decorrono invece dalla data di insediamento degli organi liquidatori, e comunque dal terzo giorno successivo alla data di emanazione del provvedimento (art. 83 TUB). Tale impostazione si discosta notevolmente dal sistema di immediata operatività dei provvedimenti, tipico delle procedure concorsuali (si vedano ad esempio gli artt. 51 e ss. della L. fall. 365 ). Tale disciplina permette infatti di far fronte a esigenze proprie del sistema finanziario, prima fra tutte quella di evitare una drastica interruzione dei rapporti degli intermediari: è per garantire la certezza delle transazioni e per non recidere in maniera irreversibile i rapporti giuridici, che il legislatore ha elaborato questa peculiare soluzione 366. Si segnala una particolare eventualità. Benché ordinariamente dalla messa in liquidazione della società derivi anche la risoluzione automatica di tutti i contratti conclusi, compresi quelli stipulati con gli investitori, tale effetto non si produce nel caso di continuazione dell’esercizio dell’attività (art. 90, comma 3, TUB). La recisione dei rapporti giuridici sarebbe evidentemente in contrasto con la disposta continuazione dell’attività, tesa ad evitare la perdita di valore del complesso aziendale in vista di una possibile cessione a terzi 367. Una volta disposta la l.c.a., la Banca d’Italia provvede alla nomina (e successivamente all’eventuale sostituzione) degli organi della procedura: i 362 Tali effetti sono dunque anticipati ad un momento anteriore a quello della pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale (art. 80, commi 4 e 5, TUB). 363 L. DI BRINA, op. cit., p. 717. 364 Per tali intendendosi: la sospensione dei pagamenti e delle passività di qualsiasi genere e delle restituzioni di beni di terzi; lo spossessamento dei beni; l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti compiuti successivamente all’assoggettamento alla procedura liquidatoria; la possibilità, per i commissari, di intraprendere tutte le iniziative giudiziarie (le azioni revocatorie, sia ordinaria che fallimentare) volte alla ricostruzione del patrimonio della società; l’improcedibilità delle azioni, anche esecutive e cautelari, a carico dell’intermediario in liquidazione. Sul punto V. A. DI AMATO, op. cit., p. 207. 365 Legge fallimentare, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. 366 L. DI BRINA, op. cit., p. 718. 367 L. DI BRINA, op. cit., p. 718. Cfr A. DI AMATO, op. cit., p. 207. 89 La crisi delle società di gestione commissari liquidatori e il comitato di sorveglianza, parallelamente a quanto accade nell’amministrazione straordinaria. Anche in questo caso, la supervisione sulla procedura è affidata alla Banca d’Italia che può adottare direttive per indirizzare l’operato degli organi e riservarsi di autorizzare delle operazioni 368. In base a quanto disposto dalle norme del TUB, cui l’art. 57 TUF rinvia, i commissari liquidatori hanno la rappresentanza legale della società, esercitano tutte le azioni ad essa spettanti (sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia) e procedono alla liquidazione della società. I commissari devono inoltre presentare annualmente alla Banca d’Italia una relazione sulla situazione contabile e patrimoniale dell’intermediario e sull’andamento della liquidazione, con allegato un rapporto del comitato di sorveglianza. Il comitato di sorveglianza, composto anche in questo caso da tre o cinque membri, assiste i commissari liquidatori nell’esercizio delle loro funzioni, controlla l’operato degli stessi e fornisce pareri nei casi previsti dalla legge o dai regolamenti (art. 84 TUB). La procedura di liquidazione coatta amministrativa è particolarmente complessa e si snoda attraverso il susseguirsi di atti e operazioni posti in essere dagli organi della procedura. Essa può essere suddivisa in quattro fasi: formazione dello stato passivo, liquidazione dell’attivo, restituzioni e riparti e adempimenti finali 369. Le attività relative alla formazione dello stato passivo 370 (art. 86 TUB) sono le prime ad essere poste in essere dai commissari liquidatori, dopo aver preso in consegna l’azienda. L’accertamento del passivo della società avviene d’ufficio: non è necessario un atto di impulso dei creditori perché si proceda e perciò i commissari devono tener conto di tutti i crediti e di tutti i diritti spettanti a terzi, risultanti dalle scritture contabili 371. I commissari inviano a tutti gli interessati una comunicazione relativa alle situazioni giuridiche accertate e successivamente, tenendo conto delle eventuali contestazioni e/o osservazioni ricevute dai 368 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 247. V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 247. 370 Sul punto V. amplius M. FOSCHINI, op. cit.,p. 452 e ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 860 e ss. 371 R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 860. 369 90 La crisi delle società di gestione destinatari delle comunicazioni, redigono lo stato passivo. Entro il termine massimo di novanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di liquidazione, i commissari devono presentare alla Banca d’Italia e depositare presso la cancelleria del Tribunale del luogo ove la società ha la sede legale 372, l’elenco di tutti i creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno, nonché gli elenchi dei titolari dei diritti reali sui beni in possesso della Sgr e di coloro cui è stato negato il riconoscimento delle pretese. 373 A questi ultimi, i commissari comunicano senza indugio la decisione assunta nei loro riguardi e con questo adempimento si conclude la fase amministrativa della l.c.a.; a seguire, qualora venissero proposte opposizioni allo stato passivo, potrebbe aprirsi una fase giurisdizionale 374. I soggetti le cui pretese non siano state accolte, in tutto o in parte, possono proporre opposizione allo stato passivo con ricorso al Tribunale del luogo ove ha sede la società in l.c.a., relativamente alla propria posizione e contro il riconoscimento dei diritti in favore dei soggetti inclusi negli elenchi predisposti dai commissari 375. 372 Lo stato passivo, una volta presentato alla Banca d’Italia e depositato presso la cancelleria del Tribunale, diventa esecutivo (art. 86, comma 9,TUB). 373 Più precisamente, «i commissari […] presentano alla Banca d’Italia, sentiti i cessati amministratori della banca, l’elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno, indicando i diritti di prelazione e l’ordine degli stessi, nonché gli elenchi dei titolari dei diritti indicati nel comma 2 e di coloro cui è stato negato il riconoscimento delle pretese. I clienti aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari relativi ai servizi previsti dal D. L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 sono iscritti in apposita sezione dello stato passivo» (art. 86, comma 6, TUB). I diritti indicati nel comma 2 sono i «diritti reali sui beni e sugli strumenti finanziari relativi ai servizi previsti dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 in possesso della banca» (rectius della Sgr). 374 R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 862. 375 L’opposizione allo stato passivo nell’ambito della l.c.a. degli intermediari finanziari è disciplinata dall’art. 57, comma 5 TUF e, per quanto espressamente non disposto, dagli artt. 87 e 88 TUB. L’art. 57, comma 5, TUF, in deroga a quanto disposto in via generale dall’art. 87, comma 1, TUB, dispone che l’opposizione allo stato passivo deve essere proposta entro 15 giorni decorrenti, per i soggetti esclusi dalla comunicazione dell’esclusione (ex art. 86, comma 8, TUB), e invece decorrenti, per i soggetti inclusi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuto deposito dello stato passivo (ex art. 86, comma 8, TUB). L’art. 87 TUB, ai commi 3, 4 e 5, inoltre stabilisce che «il Presidente del Tribunale assegna a un unico giudice istruttore tutte le cause relative alla stessa liquidazione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente assegna le cause a una di esse e il presidente di questa provvede alla designazione di un unico giudice istruttore. Il giudice istruttore fissa con decreto l'udienza in cui i commissari e le parti devono comparire davanti a lui, dispone la comunicazione del decreto alla parte opponente almeno quindici giorni prima della data fissata per l'udienza e assegna il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ai commissari e alle parti. L'opponente deve costituirsi almeno cinque giorni liberi prima dell'udienza, altrimenti l'opposizione si reputa abbandonata. Il giudice istruttore provvede all'istruzione delle varie cause di opposizione, che rimette al collegio perché siano definite con un'unica sentenza. Tuttavia, quando alcune opposizioni sono mature per la decisione e altre richiedono una più lunga istruzione, il giudice pronuncia ordinanza, con la quale separa le cause e rimette al collegio quelle mature per la decisione. Quando sia necessario per decidere sulle contestazioni, il giudice richiede ai commissari l'esibizione di un estratto dell'elenco dei creditori chirografari previsto dall'articolo 86, comma 6; l'elenco non viene messo a disposizione». 91 La crisi delle società di gestione Definiti gli eventuali giudizi di opposizione allo stato passivo, si può procedere con la seconda fase della procedura: la liquidazione dell’attivo. Come stabilito espressamente dall’art. 90 TUB, i commissari liquidatori hanno tutti i poteri occorrenti per realizzare l’attivo. Nei casi di necessità o per un miglior realizzo dell’attivo, potrebbero essere autorizzati dalla Banca d’Italia a continuare l’esercizio dell’attività e, in tal caso, come già accennato in precedenza, non si avrebbe la risoluzione dei rapporti giuridici di cui l’intermediario è parte, per consentire appunto la prosecuzione dell’attività. Si tenga d’altra parte presente che, in qualsiasi stadio della procedura, i commissari potrebbero cedere le attività e le passività, l’azienda o singoli rami della stessa, beni e rapporti giudici individuabili in blocco, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia (art. 90 TUB) 376. Una volta liquidato l’attivo, i commissari devono: restituire i beni e gli strumenti finanziari relativi ai servizi di investimento prestati ex artt. 18 e ss. TUF; effettuare i rimborsi e i pagamenti a favore degli organi della procedura; ripartire l’attivo liquidato, secondo l’ordine stabilito dall’art. 111 L. fall. (art. 91 TUB). Prima di effettuare l’ultimo riparto a favore dei creditori, o prima dell’ultima restituzione ai clienti, i commissari liquidatori sottopongono il bilancio finale di liquidazione, il rendiconto finanziario e il piano di riparto, insieme a due relazioni, una propria e una predisposta dal comitato di sorveglianza, alla Banca d’Italia che ne autorizza il deposito presso la cancelleria del Tribunale competente. Si dà notizia del deposito nella Gazzetta Ufficiale perché gli interessati ne prendano conoscenza e propongano, ove lo ritengano necessario, le proprie contestazioni. Definite con sentenze passate in giudicato le eventuali contestazioni proposte, i commissari liquidatori completano le operazioni di restituzione e ripartizione 377. Sul punto V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 248; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 862 e ss.. 376 Il cessionario, in deroga alle regole generali disciplinanti la cessione di azienda, risponde unicamente delle passività risultati dallo stato passivo. V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 249. 377 M. FOSCHINI, op. cit.,p. 454. 92 La crisi delle società di gestione Prima della chiusura della liquidazione coatta amministrativa, i commissari liquidatori chiedono la cancellazione della società dal registro delle imprese 378. 3.2.1 Le nuove norme per la liquidazione coatta amministrativa delle Sgr Quella tracciata sinora è la disciplina della crisi applicabile a tutti gli intermediari finanziari, quindi ovviamente anche alle Società di gestione del risparmio. Per comprendere meglio le ragioni della specialità di quella parte di disciplina applicabile solo alle Sgr, è opportuno richiamare brevemente dei temi già ampiamente trattati nei capitoli precedenti. Innanzitutto la summa divisio delle attività di intermediazione finanziaria nelle due macro categorie “gestione individuale” e “gestione in monte” del risparmio. Ancora, si rammenti il regime di separazione patrimoniale che caratterizza tutti gli intermediari e che ha il fine di garantire maggiormente la sicurezza degli investimenti dei clienti; si ricordi che ciò implica che si tenga il patrimonio sociale distinto da quello dei clienti e per di più, nella gestione individuale, si tengano i portafogli dei singoli clienti separati tra loro. La funzione di garanzia propria del regime di separazione patrimoniale imposto agli operatori, sarebbe del tutto svilita se non se ne assicurasse il rispetto anche in sede di liquidazione poiché «le vicende patologiche della vita dell’intermediario rappresentano la cartina di tornasole dell’efficacia del principio di separazione, ed è importante che la disciplina dell’insolvenza non frustri gli obiettivi della normativa […] e consenta ai clienti di rientrare in possesso del loro patrimonio»379. Questa considerazione, riferibile sia a chi presta servizi individuali sia a chi effettua gestione collettiva, è oggi leitmotiv delle discipline della crisi di tutti gli intermediari finanziari, seppur la sua materializzazione passa per moduli attuativi diversi in ragione delle differenze esistenti tra i vari operatori. È stato già ampiamente esaminato il regime di separazione patrimoniale che si ha nell’ambito della gestione individuale di portafogli, e in generale, della 378 379 L. DI BRINA, op. cit., p. 724. G. GOBBO, op. cit., p. 271. 93 La crisi delle società di gestione prestazione di servizi di investimento (art. 22 TUF) 380. La disciplina che garantisce, durante la l.c.a. della società, il rispetto della separazione patrimoniale è dettata dall’art. 91 TUB - rubricato “Restituzioni e riparti” – applicabile anche agli intermediari finanziari in forza del rinvio operato dall’art. 57, comma 3, TUF. Come noto, i risparmiatori - investitori che affidano a un’impresa di investimento (Sim o altro intermediario) i propri risparmi perché li gestisca nel proprio interesse, hanno in linea di principio diritto alla restituzione di quanto loro affidato. Dei problemi possono però porsi nell’eventualità in cui non sia stata rispettata la disciplina della separazione patrimoniale e dunque non siano esattamente individuabili i patrimoni di pertinenza dei singoli clienti. L’art. 91 TUB detta due discipline diverse in ragione della maggiore o minore intensità delle violazioni commesse: da un lato vi è la disciplina applicabile nei casi in cui sia stata rispettata la separazione del patrimonio dell’intermediario da quello dei clienti aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del denaro ma siano state comunque commesse delle irregolarità (art. 91, comma 2, TUB), e dall’altra, vi è quella applicabile ai più gravi casi in cui sia del tutto impossibile distinguere il patrimonio dell’intermediario da quello della clientela nel suo complesso, a causa della massiccia violazione delle norme disciplinanti la separazione patrimoniale (art. 91, comma 3, TUB) 381. Con il D. Lgs. 16 aprile 2012, n. 47, attuativo della Dir. Ucits IV 382, è stata innovata la disciplina contenuta nell’art. 57 TUF, nella parte applicabile alle Società di gestione del risparmio ed ai fondi comuni di investimento dalle stesse gestiti. Questa riforma ha comportato l’introduzione dei commi 3 bis e 6 bis, recanti rispettivamente la disciplina della gestione dei fondi nei casi di crisi della sola società e la disciplina applicabile ai fondi “insolventi” qualora la società sia ancora in bonis. L’introduzione della seconda fattispecie, tutt’altro che scontata alla luce della stratificata impostazione soggettivistica delle procedure concorsuali 383, è stata ritenuta indispensabile al fine di conferire autonomo rilievo 380 V. supra Cap. I, par. 5.1. Sul punto V. BRIOLINI, F., Brevi note in tema di separazione (e confusione) degli strumenti finanziari in ipotesi di crisi dell’intermediario, in Banca borsa titoli di credito, 2014, fasc. 3, p. 252 e ss.; G. GOBBO, op. cit., p. 272. 382 Direttiva 2009/65/CE c.d. “Ucits IV”, già precedentemente menzionata, V. Cap. II, par. 7.1.1. 383 Concezione in base alla quale è la persona dell’imprenditore ad essere dichiarata fallita se insolvente. Da una siffatta impostazione, incentrata sulla riferibilità del fallimento a una persona fisica o giuridica, discende l’inapplicabilità di 381 94 La crisi delle società di gestione alla crisi dei fondi comuni, considerata la pervasività dell’attuale crisi economica e finanziaria e quindi la configurabilità di una situazione di “crisi” dei soli fondi 384. È stato osservato che tale disciplina «tenda, da un lato, a evitare il rischio che l’incapienza di un singolo fondo possa comportare interventi destabilizzanti per la stessa Sgr e per tutti i fondi, anche capienti, gestiti dalla stessa, e dall’altro, a fornire adeguata tutela ai creditori del fondo insolvente, prevedendo una specifica possibilità di ricorso al tribunale per far cessare la gestione del fondo e un conseguente intervento dell’autorità di vigilanza per assicurare modalità idonee di liquidazione o di cessione del fondo stesso» 385. Dopo queste considerazioni di carattere generale, passiamo ora ad esaminare i nuovi dati normativi introdotti. Il comma 3 bis dell’art. 57 TUF prevede che, qualora sia disposta la liquidazione coatta di una Sgr, i commissari liquidatori debbano provvedere, oltre che alla liquidazione della società secondo la procedura prevista per tutti gli intermediari finanziari, anche alla liquidazione o alla cessione dei fondi e dei relativi comparti, gestiti dalla società in l.c.a., anche nell’ipotesi di “capienza” degli stessi, esercitando a tali fini tutti i poteri di amministrazione. In linea con quanto previsto in tema di liquidazione dei patrimoni separati costituti da Spa fallite (art. 155 L. fall.), la norma in esame introduce nel TUF il principio per cui la liquidazione coatta della Sgr comporta la liquidazione o la cessione dei fondi da questa gestiti 386. La liquidazione dei fondi segue il regime ordinario, integrato da alcune norme proprie della liquidazione coatta 387 al fine di qualsiasi procedura di soluzione delle crisi ai fondi comuni di investimento, in ragione della mancanza di personalità giuridica dei fondi stessi. Sulla concezione soggettivistica delle procedure concorsuali e sugli effetti del fallimento, V. amplius G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali, Torino, 2011, p. 327 e ss.. Per l’inapplicabilità delle procedure concorsuali ai fondi comuni di investimento, V. S. BONFATTI, La liquidazione coatta amministrativa delle Sgr. La liquidazione giudiziale del fondo o del comparto insolvente, in Riv. Dir. bancario, 2013, 25, reperibile su http://www.dirittobancario.it/rivista/fallimento/disciplina-particolareliquidazione-coatta-amministrativa-sgr-liquidazione-giudiziale-fondo-o-comparto 384 P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, in Il Fallimento, 2014, fasc. 6, p. 617. 385 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 250. 386 G. PESCATORE, op. cit., p. 557. L’A. inoltre sostiene che, al fine di salvaguardare l’operatività dei fondi “non insolventi”, debba preferirsi la cessione alla liquidazione, procedendo in quest’ultimo senso solo ove la cessione risulti impossibile da realizzare. Nello stesso senso S. BONFATTI,op. cit. 387 L’art. 57, comma 3 bis, TUF, stabilisce che «si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 83, 86, ad eccezione dei commi 6 e 7, 87, commi 2, 3 e 4, 88, 89, 90, 91 ad eccezione dei commi 2 e 3, 92, 93 e 94 del TUB, nonché i commi 4 e 5 del presente articolo». 95 La crisi delle società di gestione salvaguardare la par condicio creditorum e tutelare appieno gli interessi degli investitori 388. È il secondo periodo del comma 3 bis a destare maggiore interesse; esso stabilisce che «i partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione». La sentenza che sarà oggetto di esame nel prossimo capitolo (Trib. Milano, 29 marzo 2012, n. 65566/10 R.G.) - rigettando un’opposizione allo stato passivo proposta dai partecipanti ad un fondo immobiliare chiuso gestito da una Sgr in l.c.a. - benché precedente all’introduzione della norma in esame, aveva già affermato lo stesso principio389. Tale constatazione pare confermare la condivisibilità dell’impostazione tradizionale del fondo quale istituto assimilabile alla proprietà fiduciaria (in particolare al trust) e ai patrimoni destinati, impostazione che pertanto non garantisce ai partecipanti al fondo alcun diritto di restituzione né dei beni conferiti né del valore delle quote sottoscritte 390. È stato osservato che, nei casi di Sgr in l.c.a., i partecipanti ai fondi dalla stessa gestiti: non godono di un diritto di rivendica (che invece è riconosciuto agli investitori nell’ambito della gestione individuale) ma esclusivamente di un diritto di credito sul residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione; non godono del diritto di affidare la gestione del fondo ad un’altra Sgr, poiché dalla data di emanazione del decreto di liquidazione coatta cessano le funzioni degli organi del fondo 391. Passando ora ad esaminare il comma 6 bis, introdotto anch’esso nel 2012, notiamo subito che esso disciplina una ipotesi ben diversa da quella di cui al comma 3 bis: esso definisce gli strumenti di tutela riconosciuti ai partecipanti di fondi incapienti gestiti da Sgr in bonis. La norma testualmente recita: «qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni 388 F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 250. Si riporta un passo della parte motiva della sentenza citata: «gli odierni ricorrenti non possono, pertanto, affermarsi titolari di diritti di proprietà sui beni conferiti nel fondo, bensì titolari di un diritto di credito al valore residuo della quota, all’esito della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori». 390 S. BONFATTI, op. cit. 391 G. PESCATORE, op. cit., p. 557; nello stesso senso S. BONFATTI, op. cit. 389 96 La crisi delle società di gestione dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la Sgr possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la Sgr ha la sede legale». Si può trarre immediatamente una prima conclusione: la l.c.a. della Sgr oggi non è più presupposto indispensabile per la liquidazione di un fondo comune di investimento o di un suo comparto. Può, infatti, determinarsi la necessità di liquidare un fondo incapiente nonostante la regolarità della situazione della Sgr. Tale necessità sorgere allorquando le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso; per ricostruire il significato di questo inciso, nel quale non si fa espressamente riferimento né all’incapienza né all’insolvenza - termini in gergo utilizzati molto di frequente - uno spunto ricostruttivo può trarsi dalla Relazione Illustrativa del Provvedimento di Introduzione del comma 6 bis, nel quale viene utilizzato più volte il termine “incapienza” per indicare la situazione di “crisi” del fondo comune 392. Il comma 6 bis prosegue stabilendo inoltre che «il tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentati legali della Sgr, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio». Oltre all’incapacità del fondo di soddisfare le proprie obbligazioni e alla mancanza di ragionevoli prospettive di recupero, la norma richiede dunque anche la sussistenza di quest’ulteriore presupposto – il fondato pericolo di pregiudizio – che peraltro risulterebbe in re ipsa, una volta accertata la sussistenza delle altre due circostanze 393. Disposta la liquidazione, la Banca d’Italia nomina uno o più liquidatori affinché provvedano alla cessione o alla liquidazione dei fondi, similmente a ciò che accade nel caso di Sgr in l.c.a.. I commissari liquidatori provvedono alle operazioni di liquidazione e rendono conto delle attività svolte alla Banca d’Italia (art. 84 TUB 394). Un problema di non poco momento si è posto relativamente alla portata del rinvio al comma 3 bis, operato dal comma 6 bis, dell’art. 57 TUF. Si stabilisce 392 P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, op. cit., p. 619. 393 S. BONFATTI, op. cit. 394 Non sono applicabili ai liquidatori dei fondi i commi 2 e 5 dell’art. 84 TUB. 97 La crisi delle società di gestione infatti che i commissari liquidatori incaricati di liquidare i fondi comuni provvedano «secondo quanto disposto dal comma 3 bis». Il rinvio si potrebbe dunque interpretare in maniera estensiva, ritenendo richiamato l’intero contenuto del comma 3 bis, oppure si potrebbe ritenere applicabile solo l’inciso che impone la cessione o la liquidazione dei fondi. Sebbene la letteratura sul punto sia tutt’altro che ampia, gli autori che si sono espressi in merito sembrano propendere per la prima alternativa, riconoscendo quindi al rinvio in esame una portata ampia e ritenendo richiamate e perciò applicabili alla liquidazione giudiziale dei fondi comuni di investimento tutte le disposizioni sulla liquidazione coatta amministrativa della Sgr 395. Gli autori ritengono che solo per tale via si possa ricostruire e conferire una dimensione “consorsuale” alla procedura di liquidazione dei fondi. Qualora invece si ritenesse applicabile solo l’ultimo inciso ricordato – cessione e liquidazione dei fondi - non risulterebbero applicabili le norme relative alla par condicio creditorum e alla protezione del patrimonio da azioni individuali dei singoli creditori, compromettendo così i diritti degli investitori 396. Dei dubbi sono sorti relativamente alla legittimazione ad attivare la procedura di liquidazione. Stando al dato letterale, essa sarebbe riconosciuta solo alla Sgr – riferendoci in questo caso ai suoi rappresentanti legali – e ai creditori del fondo; non essendoci alcuna specificazione, dovrebbe ritenersi configurabile la liquidazione di un fondo “insolvente” nonostante l’eventuale (e verosimile) opposizione dei partecipanti 397. Di avviso parzialmente diverso pare essere Carrière, il quale ritiene di dover riconoscere la legittimazione a richiedere la liquidazione del fondo comune di investimento anche all’assemblea dei partecipanti. Per giungere a tale conclusione egli interpreta estensivamente e sistematicamente il terzo comma dell’art. 37 TUF, disciplinante le competenze 395 Per una riflessione più ampia sulla portata del rinvio al comma 3 bis dell’art. 57 TUF, contenuto nel comma 6 bis, V. P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, op. cit., p. 622 e ss. 396 S. BONFATTI, op. cit. 397 S. BONFATTI, op. cit., a sostegno della propria tesi, cita un precedente giudiziario (Trib. Milano, Sez. II, 22 gennaio 2013, n. 19/13), nel quale l’istanza di liquidazione giudiziale proposta da un creditore, e condivisa dalla Sgr, seguiva il rigetto da parte dell’assemblea dei partecipanti della proposta di liquidazione ordinaria del fondo avanzata dalla Sgr. 98 La crisi delle società di gestione della citata assemblea, ritenendo, alla luce dell’impostazione della materia, di non poterle negare una competenza così radicale per la vita del fondo 398. L’ultimo periodo del comma 6 bis disciplina infine l’ipotesi di sottoposizione della Sgr a liquidazione coatta amministrativa, pur essendo già in atto la liquidazione di uno o più fondi di sua pertinenza. La legge si limita a stabilire che, in tali casi, i commissari incaricati di liquidare la Sgr debbano provvedere anche alla liquidazione dei fondi; essi devono dunque subentrare in luogo dei commissari liquidatori già nominati per i fondi, dando così luogo a una soluzione efficiente, retta da principi di economicità, semplificazione e celerità399. 398 P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, op. cit., p. 621. 399 Ibidem. 99 La crisi delle società di gestione IV CAPITOLO: Analisi del caso Tribunale di Milano sent. del 29 Marzo 2012 1. Il caso Nel presente capitolo analizzeremo una sentenza emessa dalla Seconda Sezione Civile del Tribunale di Milano, in data 29 marzo 2012, a conclusione di un procedimento di opposizione allo stato passivo di una società di gestione del risparmio in l.c.a., promosso dai partecipanti ad uno dei fondi comuni di investimento dalla stessa gestiti. Per comprendere appieno quanto disposto dalla Corte, è opportuno ricostruire le vicende che hanno indotto le parti a ricorrere all’autorità giudiziaria. Opponenti, in questo giudizio, sono tutti i partecipanti al fondo comune di investimento Ermes Real Estate (d’ora in avanti Fondo ERE); la doglianza è dunque comune a più soggetti, per lo più enti, non risparmiatori - investitori persone fisiche. Parte opposta è Alfa Sgr, la società che ha istituito e gestito il fondo comune di investimento ERE, partecipato dai ricorrenti. I partecipanti, nei primi mesi del 2006, richiedono alla società Alfa di effettuare uno studio di fattibilità di un fondo comune di investimento immobiliare chiuso. Intento dei richiedenti è di costituire un fondo nel quale far confluire propri immobili per promuoverne, in sostanza, la riqualificazione. Alla luce dell’esito positivo dello studio, il 27 luglio 2006, il Consiglio di Amministrazione di Alfa delibera l’istituzione del Fondo ERE, come richiesto dagli interessati, odierni ricorrenti. Il fondo comune di investimento istituito è di tipo chiuso: i partecipanti possono acquistare e/o cedere le quote di partecipazione soltanto a scadenze prefissate 400. Il fondo, inoltre, è immobiliare ad apporto; come specificato nella sentenza che qui commentiamo - che a sua volta riprende alcune delle previsioni del Regolamento del Fondo ERE - i partecipanti hanno la «possibilità di sottoscrivere quote mediante apporto di beni immobili, diritti reali immobiliari, partecipazioni in società immobiliari o versamenti in denaro. Il fondo [ha] per 400 V. amplius Cap. II, par. 7.1 e 7.1.2. scopo l’investimento di capitali in misura non inferiore a 2/3 del proprio patrimonio in immobili o partecipazioni in società immobiliari e [può] assumere prestiti sino alla misura massima del 60% del valore degli immobili e diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari, pena l’obbligo di riportare l’investimento nei limiti previsti». Scopo precipuo della costituzione del fondo è dunque di promuovere latu sensu la riqualificazione dei beni conferiti. Secondo i partecipanti, la società di gestione dovrebbe promuovere la ristrutturazione di alcuni degli immobili conferiti e la costruzione di nuovi. Essa dovrebbe adoperarsi da un lato, per ottenere finanziamenti garantiti dai beni immobili conferiti nel fondo e, dall’altro, per ridurre l’esposizione finanziaria gravante sui beni conferiti. Nel fondo comune di investimento i partecipanti individuano dunque lo strumento per trasformare investimenti immobiliari, per definizione di difficile smobilizzo, in attività finanziarie negoziabili, grazie alla parcellizzazione dell’investimento immobiliare in una serie di quote. Il rapporto tra uno dei partecipanti al fondo, Beta S.p.A., odierno ricorrente, e Alfa Sgr, si rivela sin da subito peculiare; due eventi di segno opposto caratterizzano il loro rapporto: mentre il conferimento degli immobili da parte di Beta S.p.A. nel Fondo ERE viene effettuato con estrema puntualità, la stessa puntualità non caratterizza l’esecuzione dei versamenti in danaro nel fondo dallo stesso dovuti. Ma c’è di più. Un netto ritardo connota anche il pagamento, sempre da parte di Beta S.p.A., dei canoni di affitto e di locazione dovuti a Alfa Sgr, in forza di diversi contratti di affitto e locazione tra gli stessi stipulati, aventi ad oggetto gran parte degli immobili costituenti il Fondo ERE. A seguito di numerose contestazioni e solleciti inviati a Beta S.p.A., Alfa Sgr decide di rendere pubbliche le proprie riserve in merito alla capacità dell’affittuario di onorare i suoi impegni, con ciò inasprendo ulteriormente (se non definitivamente) i rapporti tra sé e i partecipanti al fondo – in primis Beta S.p.A. Si consideri d’altro canto che il Fondo ERE, all’infuori dei beni dati in locazione al sopracitato partecipante moroso, non possiede alcun altro bene immobile suscettibile di impiego a reddito attraverso la locazione a terzi; alla luce di questo ulteriore dato si comprende ad un tempo la gravità della situazione 101 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 finanziaria in cui versa il fondo e l’incisività del ruolo giocato da Beta S.p.A. in detta situazione. A causa del costante peggioramento dei rapporti tra i partecipanti al fondo e Alfa Sgr, l’assemblea dei partecipanti, in data 25 maggio 2007, revoca il mandato di gestione del Fondo ERE a Alfa Sgr, riservandosi di designare una nuova società di gestione. In base alle previsioni contenute nel Regolamento del fondo, l’assemblea dei partecipanti dovrebbe nominare il nuovo gestore entro tre mesi dalla revoca del precedente ma, in realtà, ciò non avviene. Più precisamente, l’assemblea, pur individuando il nuovo gestore del fondo, non comunica tale scelta alla Banca d’Italia, rendendo così inefficace la designazione 401. La situazione finanziaria del fondo peggiora ogni giorno di più: le esposizioni debitorie gravanti sugli immobili divengono sempre più elevate rendendo il risanamento del fondo sempre più difficile. Pertanto, l’assemblea dei partecipanti, il 22 febbraio 2008, dispone la liquidazione anticipata 402 del Fondo ERE. Considerato il mancato perfezionamento della procedura di nomina di un nuovo gestore, Alfa Sgr è ancora, a tutti gli effetti, gestore del Fondo ERE: esercitando dunque i propri poteri, il 25 marzo 2008, delibera un primo piano di dismissione di parte degli assets del fondo. Poco dopo, è il 5 maggio 2008, Alfa Sgr viene posta in Amministrazione Straordinaria con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Il Commissario Straordinario, nel settembre del 2008, imponendo un cambio di direzione per la liquidazione dei beni del fondo, delibera un nuovo piano che però non sortisce esito positivo. I canoni di locazione relativi agli immobili locati a Beta non vengono riscossi ormai da diversi mesi, l’esposizione debitoria è sempre più massiccia e le quote di partecipazione al fondo hanno ormai un valore quasi pari a zero. A fronte della constatata irreversibilità della crisi del fondo, il 4 novembre 2009 Alfa Sgr, 401 In base a quanto disposto dall’art. 37, comma 4, TUF, le modifiche dei regolamenti dei fondi devono essere comunicate ed approvate dalla Banca d’Italia, pena la loro inefficacia. 402 Si noti che la liquidazione anticipata del fondo fu disposta dall’Assemblea dei partecipanti in forza dello specifico potere riconosciutole dal Regolamento del Fondo ERE poiché, una simile competenza, non è invece in via generale attribuita alle Assemblee dei partecipanti né dal TUF (art. 37), né dal d.m. 228/1999 (art. 18 bis). Si vedrà che i giudici non hanno mancato di “criticare” tale scelta in quanto ritenuta, tra l’altro, una delle cause della discordia insorta tra investitori e gestore. 102 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 già in amministrazione straordinaria, viene posta in liquidazione coatta amministrativa. 2. Le questioni di diritto Passiamo ora ad esaminare le pretese avanzate dai ricorrenti (partecipanti al fondo) e le soluzioni apprestate dai giudici. Il procedimento in esame è un’opposizione allo stato passivo di Alfa Sgr promosso dai partecipanti al fondo ERE. I ricorrenti, a seguito della mancata inclusione dei propri crediti nello stato passivo di Alfa Sgr, chiedono all’Autorità giudiziaria sia l’accertamento degli illeciti dagli stessi addebitati alla società di gestione, sia il riconoscimento dei loro crediti e il conseguente inserimento degli stessi nel passivo di Alfa. Come già messo in luce nel precedente capitolo 403, la formazione dello stato passivo di una società di gestione del risparmio in l.c.a. avviene d’ufficio, e infatti i commissari liquidatori sono tenuti a inserire nello stato passivo tutti i crediti e tutti i diritti spettanti a terzi risultanti dalle scritture contabili della società. Tale procedura ha natura amministrativa - a differenza della formazione del passivo fallimentare che ha invece natura giurisdizionale - e pertanto, chi decide del riconoscimento piuttosto che dell’esclusione di un credito non è un giudice. Alla luce di tale differenza, di non poco momento, l’opposizione allo stato passivo costituisce per i creditori (o presunti tali) il primo momento utile per richiedere all’autorità giudiziaria il riconoscimento del proprio diritto. Come chiaramente messo in luce nella sentenza in commento «il deposito dello stato passivo rappresenta, cioè, il momento a partire dal quale può aprirsi, nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa, una fase giurisdizionale, “giacché gli interessati recuperano la facoltà di rivolgersi al giudice, nelle forme dell’opposizione, al fine di ottenere l’accertamento dei crediti (e degli eventuali privilegi) o delle pretese restitutorie che lamentano essere stati pretermessi, oppure al fine di contestare l’ammissione di crediti (e di privilegi) o delle pretese 403 V. amplius Cap. III, par. 3.2. 103 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 altrui 404”. E d’altronde, a differenza di quanto accade nel procedimento fallimentare, in cui l'opposizione allo stato passivo costituisce lo sviluppo in sede contenziosa della precedente fase di verifica dei crediti ad opera del giudice delegato e può essere, almeno per certi aspetti, assimilata all'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale, "nella liquidazione coatta amministrativa esiste una ben più marcata soluzione di continuità tra la fase della formazione del passivo, affidata ad un organo amministrativo e destinata a concludersi con un atto ugualmente di carattere amministrativo 405, e la successiva eventuale fase contenziosa, che si celebra dinanzi ad un giudice ed ha, essa sola, natura giurisdizionale» 406. In tal senso, l’opposizione allo stato passivo nell’ambito di una liquidazione coatta si configura come un ordinario giudizio di cognizione, non “limitato” alla verifica delle ragioni dell’esclusione del credito dallo stato passivo, non essendoci d’altra parte alcuna istanza di inserimento da parte dei creditori. In tali giudizi bisogna dunque accertare l’esistenza o meno, e l’eventuale ammontare, dei crediti degli opponenti 407. È questa la richiesta avanzata dai partecipanti al Fondo ERE ai giudici di Milano, giacché, in data 23 settembre 2010, ricevevano la comunicazione relativa all’esclusione dei propri crediti risarcitori e al rigetto della domanda di rivendica dei beni precedentemente conferiti nel fondo. In forza del rinvio operato dall’art 57, comma 3 bis, TUF, all’art. 88 del TUB, un giudizio di questo tipo va definito con sentenza – quella che qui si commenta – e non con decreto, come invece previsto per il giudizio di opposizione al passivo fallimentare. 404 Si noti che l’art. 98 l. fall. definisce “opposizioni” i giudizi proposti da soggetti che lamentano la propria esclusione dallo stato passivo e “impugnazioni” i giudizi per mezzo dei quali alcuni soggetti contestano l’inserimento di altro/i creditore/i nello stato passivo. Diversamente, il TUB e il TUF inglobano in un’unica categoria - quella delle “opposizioni” - i due giudizi senza che ciò comporti conseguenze dal punto di vista pratico. V. F. DE SANTIS, La formazione e le impugnazioni dello stato passivo nella l.c.a. dell’impresa bancaria: tracce per una riflessione de jure condendo, in Il fallimento, 2015, fasc. 2, p. 141. 405 Così Cass., SS.UU., 15 ottobre 2008, n. 25174. Le Sezioni Unite hanno precisato che il carattere definitivo ed immutabile (salvo che a seguito di ricorso al giudice) dello stato passivo una volta depositato, "discende dalle esigenze proprie della procedura concorsuale e non è affatto incompatibile con la natura amministrativa di un atto che il legislatore vuole suscettibile di eventuale modifica solo per effetto di un successivo intervento giurisdizionale, entro i limiti e con la lex formae previste per tale intervento". 406 F. DE SANTIS, op. cit., p. 135. 407 Ibidem. In merito V. Cass. 3 maggio 2005, n. 9163. 104 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 Analizzeremo prima le domande relative all’accertamento dei crediti vantati a titolo di risarcimento del danno; si rinvia invece al prossimo paragrafo per l’esame delle domande di rivendica. I ricorrenti addebitano alla società di gestione innanzitutto una responsabilità contrattuale. Nella specie, essi ritengono che Alfa Sgr sia venuta meno all’obbligazione di reperire risorse finanziarie per realizzare il programma di riqualificazione dei beni conferiti nel Fondo ERE. I giudici, a tal proposito, ritengono non addebitabile ad Alfa Sgr tale responsabilità in quanto i problemi finanziari del fondo sono, al contrario, da addebitare quasi integralmente a Beta S.p.A., società affittuaria che non corrispondendo puntualmente i canoni di affitto e di locazione dovuti, ha sottratto al fondo la liquidità necessaria per operare. Alla luce di tale constatazione, i giudici dichiarano infondata la prima pretesa dei ricorrenti. Si noti inoltre la contraddittorietà tra la prima e la seconda contestazione degli opponenti: si può addebitare al gestore l’insufficienza dei finanziamenti ottenuti e allo stesso tempo anche il superamento dei limiti di leva finanziaria imposti ai fondi comuni di investimento408? A proposito i giudici innanzitutto ritengono che i limiti di indebitamento non siano stati affatto superati 409, contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti. Per di più, gli stessi riscontrano, negli atti di causa, il consenso prestato dagli odierni ricorrenti alla stipulazione di alcuni finanziamenti; il consenso prestato appare consapevole perché fornito dagli investitori nella piena conoscenza delle condizioni contrattuali e della situazione finanziaria del Fondo ERE; in ciò può individuarsi la “ratifica”, effettuata dagli investitori, dell’operato della Sgr. La Corte, riscontrando l’infondatezza delle (nonché l’incongruenza tra le) asserzioni dei ricorrenti, rigetta anche questa seconda pretesa risarcitoria. 408 I limiti di leva finanziaria per i fondi comuni di investimento sono fissati, in via generale, nel d.m. 228/1999 e, nel caso di specie, anche nel Regolamento del fondo ERE. 409 L’art. 12 bis, commi 7 e ss., d.m. 228/1999, testualmente stabilisce: «i fondi immobiliari possono assumere prestiti sino ad un valore del 60 per cento del valore degli immobili, dei diritti reali immobiliari, delle partecipazioni in società immobiliari e delle parti di fondi immobiliari e del 20 per cento degli altri beni. Detti prestiti possono essere assunti anche al fine di effettuare operazioni di valorizzazione dei beni in cui è investito il fondo per tali operazioni intendendosi anche il mutamento della destinazione d'uso ed il frazionamento dell'immobile […]. I fondi immobiliari possono assumere prestiti per i rimborsi anticipati delle quote, nei limiti indicati al comma 7 e comunque per un ammontare non superiore al 10 per cento del valore del fondo fermo restando quanto previsto dall' articolo 12, comma 2-ter». 105 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 I ricorrenti contestano inter alia la violazione di obblighi informativi preventivi da parte della società di gestione, ritenendo a tal proposito sussistente una responsabilità precontrattuale in capo a Alfa Sgr. Gli opponenti - riprendendo parte motiva della sentenza - «si dolgono […] del fatto che Alfa Sgr non avrebbe fornito le opportune informazioni a ché l’investimento da loro fatto mediante conferimento dei beni nel Fondo ERE fosse proficuo». I giudici ritengono tale deduzione troppo generica per poter essere accolta, non avendo i ricorrenti specificato quali informazioni il gestore abbia omesso di comunicare. Tale contestazione, d’altra parte, appare pretestuosa: si consideri che il fondo fu costituito su richiesta dei partecipanti, odierni ricorrenti, desiderosi di “smobilizzare” e ristrutturare i propri immobili. La Corte statuisce - collegandosi ad un’altra delle questioni controverse tra le parti - che «il fallimento del progetto non è dovuto alla asserita carenza di informazioni prenegoziali di Alfa Sgr ai partecipanti ma, diversamente, [dipende dal fatto di] aver sovrastimato il valore dei beni (soprattutto immobili) da conferire nel fondo». Infatti, come previsto dall’art. 12 bis del d.m. 228/1999, per poter effettuare validamente degli apporti nei fondi immobiliari è necessario acquisire un'apposita relazione di stima elaborata da esperti indipendenti, che attesti che il valore del conferimento non è inferiore al valore delle quote attribuite al partecipante conferente. È inoltre necessario acquisire la valutazione di un intermediario finanziario incaricato di accertare la redditività dei conferimenti e la loro compatibilità rispetto alla politica di gestione del fondo medesimo 410. È con riferimento a tali previsioni che sorgono seri dubbi circa la legittimità dell’operato della società di gestione e dei partecipanti al fondo. Le stime effettuate sono valutate dai giudici «sommarie, apodittiche e costellate da una serie di caveat». Dalla documentazione allegata dalle parti, emerge, infatti, che i tecnici non abbiano, nelle valutazioni, seguito i criteri generalmente ritenuti più attendibili, compromettendo in tal modo l’affidabilità delle stime 411. D’altra parte già la Banca d’Italia, in sede di ispezione, aveva considerato come possibile concausa 410 V. amplius Cap. II, par. 7.1.2. Gli immobili erano stati stimati principalmente sulla base del metodo di trasformazione (attualizzazione dei flussi di cassa o Discounted Cash Flow) che non considera l’aspetto fiscale, del metodo sintetico comparativo (criterio di mercato), nonché del metodo di capitalizzazione del reddito (canone annuo globale/tasso capitalizzazione). Le partecipazioni societarie erano, invece, state stimate secondo il metodo patrimoniale semplice (attività patrimoniali al netto delle passività). 411 106 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 dell’esito negativo del Fondo ERE la sommarietà delle relazioni di stima dei beni conferiti. Nei precedenti capitoli si è già avuto modo di accennare ai poteri che le due Autorità di Vigilanza del settore, Banca d’Italia e Consob 412, possono esercitare sugli operatori finanziari. Nel caso in esame, tra l’ottobre 2007 e il gennaio 2008, è stata la Banca d’Italia ad eseguire un’ispezione presso Alfa Sgr, ai sensi dell’art. 10 TUF. «Le ispezioni sono volte ad accertare che l’attività dei soggetti abilitati risponda a criteri di sana e prudente gestione e sia espletata nell’osservanza delle disposizioni vigenti. In particolare, l’accertamento ispettivo è volto a valutare la complessiva situazione tecnica e organizzativa degli [intermediari] nonché a verificare l’attendibilità delle informazioni fornite alla Banca d’Italia» 413. Nella relazione redatta al termine dell’ispezione ed acquisita agli atti del giudizio, i tecnici analizzano quelle che, a loro avviso, sono state le cause della crisi del Fondo ERE. Essi ritengono che più fattori abbiano concorso ma considerano come più incisivi: l’insufficiente considerazione dell’elevato rischio associato all’operazione; immobili e partecipazioni conferiti erano, infatti, già pesantemente gravati da debiti al momento della costituzione del fondo e tale circostanza incideva sin dal principio sulla realizzabilità del piano degli investitori; il conferimento di beni immobili sulla base di una stima considerata gravemente lacunosa ed eccessivamente ottimistica; la conflittualità tra gli organi espressione dei partecipanti al fondo Assemblea dei partecipanti - e la Sgr. I tecnici rimarcano l’influenza che ha avuto quest’ultimo fattore nel costante declino del Fondo ERE. È evidente che, in questo caso, si è posto un problema di coordinamento tra la corporate governance e la fund governance. Come si è già avuto modo di vedere 414, afferiscono alla fund governance i conflitti tra i soci della Sgr e i partecipanti ai fondi da questa gestiti. Essi sorgono tutte le volte che il perseguimento dell’interesse di una delle parti non risulti compatibile con il perseguimento di quello dell’altra: infatti, mentre l’interesse dei soci della Sgr è di massimizzare i profitti della società nel suo complesso (e pertanto solo 412 Per la ripartizione delle competenze operata dall’art. 5 TUF, V. Cap. III, par. 1, nota 308. Regolamento Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, Tit. IV, Cap. IV, sez. I, par. 1. 414 V. amplius Cap. II, par. 8.1. 413 107 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 indirettamente essi hanno interesse a una corretta e proficua gestione dei singoli fondi), gli investitori hanno come obiettivo quello di aumentare il valore della propria partecipazione nel fondo, attuando le politiche fissate nel regolamento, risultando dunque potenzialmente indifferenti alle vicende della società di gestione e degli altri fondi di sua pertinenza. I giudici pongono l’accento sul ruolo giocato, nel caso di specie, da alcune previsioni del Regolamento del Fondo ERE: secondo la Corte l’attribuzione all’Assemblea dei partecipanti del potere di disporre la liquidazione anticipata del fondo e del potere di deliberare sulle scelte gestorie della Sgr (in assenza di uno specifico divieto), ha alimentato la contrapposizione tra l’organo gestorio della Sgr e i partecipanti al fondo. Conseguenza della scarsa (o nulla) comunicazione e collaborazione tra l’Assemblea dei partecipanti e il Cda della Sgr è stata indubbiamente la revoca del mandato di gestione, seppur non seguita dal conferimento di un nuovo mandato ad altra Sgr. 3. La domanda di rivendica dei beni conferiti nel fondo Altra richiesta avanzata dai ricorrenti è quella relativa al rilascio da parte di Alfa Sgr dei beni immobili costituenti il Fondo ERE. Tali beni sono stati in parte direttamente conferiti dai partecipanti che - piuttosto che versare delle somme di denaro - hanno appunto conferito dei beni immobili, in parte sono indirettamente confluiti nel fondo, essendo state conferite in esso partecipazioni in società immobiliari. Alla luce della ricostruzione articolata dai ricorrenti circa la natura del fondo comune di investimento e dei (marginali) poteri da riconoscere alla società di gestione, la Corte qualifica come domande di rivendica quelle proposte dagli opponenti. Secondo questi ultimi Alfa Sgr sarebbe mera mandataria dei partecipanti al fondo e pertanto non gestirebbe i beni uti dominus ma si limiterebbe a dare attuazione alle precise istruzioni dei mandanti. In tale prospettiva, a seguito della revoca del mandato gestorio, la Sgr perderebbe ogni potere e sarebbe perciò obbligata a restituire i beni conferiti nel fondo ai partecipanti. I ricorrenti qualificano il fondo centro autonomo di imputazione di interessi, titolare di un’autonoma soggettività giuridica: al fondo spetterebbe 108 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 dunque, in tale ottica, sia la proprietà formale sia quella sostanziale dei beni che lo compongono. I ricorrenti hanno rinvenuto e il fondamento, e la conferma, di questa ricostruzione - inter alia - nell’istituzione dell’Assemblea dei partecipanti: l’attribuzione ad essa di compiti di netta rilevanza, sarebbe la conferma dell’ineliminabile centralità della posizione dei partecipanti al fondo che in essa si riuniscono 415. Nonostante lo sforzo ricostruttivo fatto, la tesi dei ricorrenti appare comunque fallace: essa non permette di individuare il soggetto al quale spetta la legittimazione a far valere i diritti del fondo. Ciò è confermato dal fatto che nella comparsa conclusionale i ricorrenti «chiedono il “rilascio” dei beni in favore del fondo “previa nomina di un soggetto terzo curatore speciale”, ossia di un soggetto che rappresenti il fondo». È evidente che i ricorrenti, così motivando le domande di rivendica dei beni, si discostino da uno dei leading case in materia di fondi comuni di investimento, e cioè dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione 15 luglio 2010, n. 16605. Essi giustificano tale linea asserendo che l’oggetto della controversia di cui sono parti (opposizione allo stato passivo di una Sgr in l.c.a.) differisce in maniera sostanziale dall’oggetto del processo ad esito del quale è stata emessa la sentenza di legittimità (in quel caso si discuteva dell’opponibilità della trascrizione di un acquisto immobiliare effettuato da una Sgr); pertanto, essi ritengono di potersi discostare dai principi, in quell’occasione, enunciati dalla Cassazione. Parte resistente chiede invece il rigetto della domanda di rivendica proposta dai ricorrenti, sostenendo che il fondo non ha soggettività giuridica. Alfa Sgr «eccepisce l’insussistenza di un rapporto intersoggettivo tra il Fondo ERE e la Sgr, deducendo […] l’esistenza di un rapporto endosoggettivo tra Sgr e fondo. In forza di detto rapporto endosoggettivo […] il fondo non assume personalità giuridica, bensì quella di patrimonio separato privo di soggettività giuridica, la cui gestione spetta – indipendentemente dalla revoca o meno del mandato gestorio – alla Sgr (ancorché in l.c.a.), senza che vi sia alcun diritto reale alla restituzione spettante in capo al Fondo o, per esso, ai suoi partecipanti». 415 V. amplius Cap. II, par. 10. 109 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 Chiarite le posizioni assunte dalle parti, esaminiamo ora la sentenza emessa dai giudici di Milano il 29 marzo 2012. La parte motiva della sentenza che statuisce in merito alla domanda di rivendica avanzata dai partecipanti al fondo, si apre con un richiamo alla sentenza della Cassazione 16605/2010 nella parte in cui statuisce che i fondi comuni di investimento sono privi di un’autonoma soggettività giuridica, costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio, la quale ne assume la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia. Nel decidere il caso in esame i giudici non paventano mai la possibilità di distaccarsi, neanche in maniera marginale, dal precedente della Suprema Corte. D’altra parte, tanto al tempo della decisione dei giudici, quanto al momento della stesura del presente lavoro, i dati normativi dimostrano inconfutabilmente il definitivo accoglimento nel nostro ordinamento della ricostruzione dei fondi quali patrimoni separati della società di gestione. La versione dell’art. 1, comma 1, lett. j), TUF, vigente al tempo dell’emissione della sentenza in esame, definiva infatti il fondo comune di investimento patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti. La versione oggi vigente - modificata nel 2014 - definisce i fondi quali Oicr costituiti in forma di patrimoni autonomi, suddivisi in quote, istituito e gestito da un gestore. Sebbene la definizione normativa sia stata in parte modificata - al fine di avvicinarla alle definizioni vigenti in ambito comunitario – si noti come non sia stata affatto intaccata la parte in cui si qualifica il fondo quale patrimonio autonomo. A sua volta l’art. 36 TUF conteneva al tempo della decisione - al comma 6 e contiene ancora oggi - al comma 4 - una previsione cardine che recita: «ciascun fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società di gestione del risparmio o nell'interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub depositario o nell'interesse degli stessi. Le azioni dei 110 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in alcun caso utilizzare, nell'interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti»416. I giudici di legittimità prima, e i giudici di merito poi, nell’accogliere la qualificazione dei fondi comuni di investimento quali patrimoni separati di proprietà del soggetto che li ha istituiti, negano fondamento alle altre ricostruzioni formulate in passato da dottrina e giurisprudenza. Si è già avuto modo di accennare, a dette ricostruzioni e alle ragioni per le quali esse, nel corso del tempo, sono state superate 417. Preme qui richiamarle perché adoperate dai giudici, nei rispettivi iter argomentativi, per mettere in luce dei connotati essenziali dei fondi, “dimenticati” da chi avallava dette ricostruzioni. In passato è stato sostenuto che i fondi comuni dessero luogo a una forma di comproprietà tra gli investitori, partecipanti al fondo. I giudici, escludono l’attendibilità di tale assunto, asserendo che i partecipanti ai fondi hanno veste di creditori nei confronti delle società di gestione e non sono invece titolari di alcun diritto reale sulle quote 418. L’altra ricostruzione destituita di fondamento, prima dalla Suprema Corte, poi dai giudici del Tribunale di Milano, è quella riferibile al Consiglio di Stato che voleva il fondo comune d’investimento centro autonomo di imputazione di situazioni giuridiche, dotato di autonomia patrimoniale perfetta. I giudici, al fine di far emergere l’infondatezza anche di questa ipotesi ricostruttiva, osservano che le disposizioni disciplinanti gli organi dei fondi, in particolare l’Assemblea dei partecipanti, non sono di per sé sufficienti a delinearne un’organizzazione propria, distinta da quella delle società di gestione. La costituzione di un organo assembleare nel quale siedano più soggetti, portatori di interessi omogenei – in questo caso i partecipanti ad un fondo - è rinvenibile anche in altri casi disciplinati dalla legge. In nessun caso però la costituzione di questi organi interni è di per sé sufficiente per ritenere esistente un nuovo soggetto di diritto. Si pensi alle assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 c.c.), alle assemblee dei portatori di 416 Per un’esegesi completa della norma, V. Cap. I, par. 5.2. V. amplius Cap. I, par. 5.2; per le ragioni del superamento delle singole ricostruzioni V. note a piè di pagina 388 e ss. 418 Tale posizione era stata già assunta dalla Suprema Corte in passato. V. Cass., Sez. III, 14 luglio 2003, n. 10990, e ribadito di recente da Cass., Sez. I, 27 dicembre 2011, n. 28900. 417 111 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 strumenti finanziari partecipativi (artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2, c.c.) e alle assemblee speciali di azionisti (art. 2376). Si ritiene pertanto che, se da un lato la separazione patrimoniale rafforza la tutela dei partecipanti, nella misura in cui permette di tenere distinti i beni e le situazioni giuridiche del fondo da quelli della società di gestione e da quelli degli altri fondi eventualmente dalla stessa gestiti, dall’altro non si può enfatizzare troppo tale aspetto, al punto da farne discendere la creazione di un diverso soggetto giuridico. È stato infatti osservato, in parte richiamando quanto disposto dalla citata Cassazione nel 2010, che «il fondo, privo come è di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche esterna, è privo del potere di autodeterminare le proprie scelte e le linee guida del proprio comportamento, nel che consisterebbe invece appunto l’essenza dell’autonomia»419. Ecco dunque che, una volta giustificato il distacco dalle ricostruzioni nel tempo elaborate da dottrina e giurisprudenza, la Suprema Corte di Cassazione, al fine di sgombrare il campo da ogni dubbio e ogni incertezza in materia, statuisce quanto segue: «atteso che l’ordinamento mal sopporta l’esistenza di un patrimonio privo di titolare, la soluzione che meglio sembra rispondere alle esigenze sottese alla costituzione dei fondi comuni di investimento e che trova più solidi agganci nella relativa disciplina resta quella che ravvisa nel fondo un patrimonio separato». Chi ha interpretato tale statuizione ha sostenuto che «non vi è un patrimonio senza titolare; titolare, cioè proprietario; ma la proprietà è un, anzi il, diritto soggettivo per antonomasia; dunque nei fondi deve trovarsi un “soggetto” titolare – proprietario; scartato il fondo stesso (ed anche i partecipanti), titolare – proprietario non può allora essere che la Sgr, sebbene si debba riconoscere che la sua è una proprietà “formale”, non sostanziale, cioè piena»420. La Suprema Corte specifica infatti che, sebbene la titolarità formale del fondo e la legittimazione attiva e passiva relativa all’esercizio dei diritti spetti alla società di gestione, la 419 P. FERRO – LUZZI, Un problema di metodo: la “natura giuridica” dei fondi comuni di investimento (a proposito di Cass. 15 luglio 2010, n. 16605), in Riv. delle soc., 2012, fasc. 4, p. 752. 420 P. FERRO – LUZZI, op. cit., p. 753. In linea con la statuizione della Suprema Corte l’autore sostiene che i partecipanti al fondo non possano essere considerati comproprietari dei beni costituenti il fondo ma solo creditori della Sgr. 112 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 proprietà sostanziale dei beni di pertinenza del fondo vada comunque riconosciuta ai partecipanti al fondo stesso. D’altra parte non può negarsi la coerenza di una siffatta ricostruzione con il quadro normativo. Si consideri ad esempio la norma che prevede la prorogatio del mandato gestorio della Sgr revocata o dimissionata fino a che la sostituzione del vecchio gestore con il nuovo non sia approvata dalla Banca d’Italia. La sostituzione del gestore implica infatti una modifica del Regolamento del fondo che, in base a quanto stabilito dall’art. 37, comma 4, TUF, deve essere approvata dall’Autorità di vigilanza 421, pena la sua inefficacia. In ciò non può non rinvenirsi chiaro segno della preoccupazione del legislatore di non lasciare il fondo “acefalo”, con ciò indirettamente dimostrando l’impossibilità, anche solo medio tempore, di un (ri)trasferimento della titolarità formale dei beni costituenti il fondo in capo ai suoi partecipanti. Assodata l’impossibilità di configurare il fondo quale soggetto di diritto distinto ed autonomo dalla società di gestione, la Cassazione individua la matrice culturale del fondo comune di investimento nel trust 422. Secondo la Corte il fondo costituirebbe infatti “applicazione specifica” del noto istituto di origine anglosassone: disponenti, nel caso dei fondi, sarebbero i partecipanti mentre, la società di gestione opererebbe quale trustee, che ben potrebbe essere sostituita dai disponenti – partecipanti. Ci si troverebbe dunque, in entrambi i casi, di fronte a forme di proprietà fiduciaria, patrimoni separati, segregati sia in danno dei creditori dei titolari formali dei beni - trustee piuttosto che Sgr - sia in danno dei creditori dei disponenti - partecipanti. Conformandosi al precedente di legittimità del 2010 e dunque definiti i fondi comuni di investimento patrimoni separati della società di gestione, i giudici di Milano nel marzo del 2012 hanno ritenuto applicabile ad essi la disciplina dei patrimoni destinati costituiti da società per azioni. Si tenga presente che, al momento della decisione, il Testo unico della Finanza non contemplava ancora all’art. 57 i commi 3 bis e 6 bis 423 - introdotti rispettivamente dalle lett. a) e b) di 421 Uguale previsione è contenuta anche nel Regolamento Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. II, sez. III. V. amplius Cap. I, par. 4 e 4.1. 423 L’art. 57 statuisce al comma 3-bis «Se è disposta la liquidazione coatta di una società di gestione del risparmio, i commissari liquidatori provvedono alla liquidazione o alla cessione dei fondi da questa gestiti e dei relativi comparti, esercitando a tali fini i poteri di amministrazione degli stessi. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 83, 86, ad eccezione dei commi 6 e 7, 87, commi 2, 3 e 4, 88, 89, 90, 91 ad eccezione dei commi 2 e 3, 92, 93 e 94 del T.U. 422 113 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 cui all’art. 1 del d. lgs. 16 aprile 2012, n. 47 - disciplinanti la liquidazione dei fondi comuni di investimento nei casi di società di gestione del risparmio tanto in bonis quanto in liquidazione coatta 424 . Prescindendo dunque per ora da quanto contemplato nel TUF in seguito alla citata modifica, analizziamo la norma allora a disposizione dei giudici e dagli stessi applicata. Nel caso di specie essi hanno ritenuto applicabile l’art. 155 l. fall. che disciplina la gestione e la liquidazione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare costituiti ex art. 2447 bis, comma 1, lett. a), c.c. da società per azioni dichiarate fallite. Tale norma stabilisce che l’amministrazione di tali patrimoni debba essere attribuita al curatore fallimentare, affinché vi provveda con gestione separata (comma 1). Il secondo comma, al fine di garantire la conservazione della funzione produttiva del comparto patrimoniale, attribuisce al curatore il potere di cedere a terzi l’intero patrimonio. Qualora non sia possibile realizzare una siffatta cessione, il curatore deve provvedere alla liquidazione del patrimonio separato, facendo applicazione delle norme disciplinanti la liquidazione ordinaria delle società, in quanto compatibili (artt. 2484 e ss. c.c.). Emerge dunque che, nel caso di fallimento di una società – nel caso alla nostra attenzione è una Sgr ad essere stata posta in l.c.a. – permane l’obbligo di gestire separatamente i patrimoni destinati, a prescindere dalla loro capienza piuttosto che incapienza. Dietro tale norma si cela la difficoltà di effettuare una valutazione della consistenza del comparto patrimoniale al momento dalla bancario, nonché i commi 4 e 5 del presente articolo. I partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione; dalla data dell’emanazione del decreto di liquidazione coatta amministrativa cessano le funzioni degli organi del fondo». Il comma 6 bis recita «Qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la Sgr possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la Sgr ha la sede legale. Il tribunale, sentiti la Banca d’Italia e i rappresentanti legali della Sgr, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio. In tale ipotesi, la Banca d’Italia nomina uno o più liquidatori che provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis; possono essere nominati liquidatori anche Sgr o enti. Il provvedimento della Banca d’Italia è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Si applica ai liquidatori, in quanto compatibile, l’articolo 84, ad eccezione dei commi 2 e 5, del T.U. bancario. Se la Sgr che gestisce il fondo è successivamente sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, i commissari liquidatori della Sgr assumono l’amministrazione del fondo sulla base di una situazione dei conti predisposta dai liquidatori del fondo stesso». 424 Per un’analisi approfondita delle citate norme, V. Cap. III, par. 3.2.1. 114 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 dichiarazione di fallimento; si lascia quindi al curatore il compito di verificarla successivamente 425. Qualora il patrimonio destinato sia valutato capiente, si applica il secondo comma dell’art. 155 l. fall. che, come già ricordato, prevede in via preferenziale la cessione in blocco del patrimonio destinato e solo in via residuale la sua liquidazione. È l’ultimo comma dell’art. 155 l. fall. a destare maggiore interesse, soprattutto ai fini della risoluzione del caso in esame. Esso testualmente stabilisce: «il corrispettivo della cessione al netto dei debiti del patrimonio o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti dal curatore nell'attivo fallimentare, detratto quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti, ai sensi dell'articolo 2447-ter, primo comma, lettera d), del codice civile». Alla luce di tale disposizione, i giudici di Milano hanno stabilito che «gli odierni ricorrenti non possono, pertanto, affermarsi titolari di diritti di proprietà sui beni conferiti nel fondo, bensì titolari di un diritto di credito al valore residuo della quota, all’esito della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori. La domanda di restituzione dei beni conferiti nel fondo va, pertanto, rigettata». 425 G. LO CASCIO, Commento all’art. 155 l. fall, in Codice commentato del fallimento, Milano, 2013, p. 1836. 115 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 Conclusioni Dopo aver analizzato la disciplina applicabile ai fondi comuni di investimento, tanto nella fase di gestione ordinaria, tanto in caso di crisi, si conclude mettendo in luce la “particolare” coincidenza verificatasi in occasione del caso giurisprudenziale qui esaminato. I giudici di Milano, al tempo della decisione, non disponevano di specifiche norme disciplinanti né la crisi dei fondi comuni di investimento, né l’ipotesi di crisi della società di gestione e delle conseguenze dalla stessa provocate sui fondi gestiti. I giudici hanno deciso il caso alla loro attenzione innanzitutto facendo applicazione dei principi già enunciati nel 2010 dalla Suprema Corte di Cassazione nel citato precedente di legittimità, ribadendo che i fondi comuni sono patrimoni separati della società di gestione e sono quindi privi di autonoma soggettività giuridica. Di conseguenza, essi hanno ritenuto applicabile in via analogica, alla liquidazione degli stessi, la normativa dettata dalla legge fallimentare in merito alla liquidazione di patrimoni destinati costituiti da società per azioni. Si potrebbe da un lato enfatizzare la lungimiranza dei giudici di Milano: leggendo attentamente la parte motiva della sentenza da loro emessa si potrebbe quasi avere l’impressione che gli stessi abbiano anticipato quello che di li a pochi mesi sarebbe stato un importante intervento del legislatore. Infatti, come accennato nel capitolo precedente, nell’aprile 2012 - quindi solo due mesi dopo la pubblicazione della sentenza in commento - il legislatore ha introdotto specifiche previsioni in materia di liquidazione di fondi comuni di investimento, previsioni che innegabilmente combaciano con quanto statuito dai giudici di Milano. D’altro canto, potrebbe anche sostenersi che il caso in esame non ha “connotati speciali” poiché i giudici hanno deciso la causa alla loro attenzione conformandosi al precedente della Suprema Corte di Cassazione in materia, come prassi vuole. Una volta richiamati i principi affermati dalla Corte e ormai più o meno pacificamente accolti nel nostro ordinamento 426, essi hanno applicato 426 Gli stessi principi qui enunciati sono stati riaffermati, seppur a volte con percorsi argomentativi leggermente divergenti, sia dai giudici di merito (V. G. MARCHETTI, La natura dei fondi comuni di investimento e la liquidazione coatta amministrativa delle società di gestione del risparmio, (nota a Corte d’Appello Civile, Venezia, decreto, 1 marzo 116 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 analogicamente la disciplina dei patrimoni destinati, contenuta nel codice civile e nella legge fallimentare. Qualora ci si collochi in questa seconda prospettiva, appare ragionevole dedurre che il legislatore, con l’intervento del 2012, si sia limitato a codificare quei principi che nella prassi erano ormai stati elaborati, applicati ed accettati. Benché la gestione in monte del risparmio costituisca ormai da decenni un settore importante della finanza e, dunque, i fondi comuni di investimento e per numero, e per ammontare del risparmio che in essi confluisce, siano organismi ben noti agli ordinamenti moderni, l’attuale crisi economica e finanziaria ha posto gli operatori del diritto di fronte a situazioni nuove e sempre più complesse. Se nei decenni scorsi la liquidazione di un fondo comune di investimento era ovviamente configurabile ma rimaneva un fenomeno marginale, la diffusione capillare del risparmio gestito da un lato, e la massiccia portata della crisi finanziaria odierna dall’altro, hanno indotto il legislatore, per garantire tra l’altro la certezza del diritto, a recepire nell’ordinamento quei principi che fino a qualche tempo fa ben potevano essere applicati semplicemente in via analogica. 2012), in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, fasc. 10, parte I, p. 818 ss.), sia dai giudici di legittimità (V. A. TERLIZZI, I fondi comuni d’investimento non hanno autonoma soggettività giuridica, (nota a Cass. Civ., 20 maggio 2013, n. 12187, sez. VI), in Diritto e giustizia, 2013, fasc. 0, p. 681). 117 Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012 Bibliografia AA.VV., Diritto delle imprese. Manuale breve, Milano, 2012. AA. VV., La disciplina delle gestioni patrimoniali. 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