DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Cattedra di Diritto

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Cattedra di Diritto Commerciale 2
CRISI DELLA SGR E
LIQUIDAZIONE DEI FONDI COMUNI DI INVESTIMENTO
RELATORE
Chiar.mo Prof.
Antonio Nuzzo
CANDIDATA
Martina Gagliardi
Matr.110853
CORRELATORE
Chiar.mo Prof.
Gian Domenico Mosco
ANNO ACCADEMICO 2014/2015
“Crisi della Sgr e liquidazione dei fondi comuni di investimento”
Introduzione ................................................................................................................ 1
I Capitolo: La separazione patrimoniale negli affari ............................... 4
1 Il patrimonio e la responsabilità patrimoniale .......................................................... 4
1.1 Le limitazioni della responsabilità patrimoniale ............................................... 6
2 La segregazione patrimoniale ................................................................................... 7
2.1 I patrimoni separati e i patrimoni autonomi ...................................................... 9
3 La separazione patrimoniale nel diritto societario.................................................. 10
3.1 Le società unipersonali .................................................................................... 12
3.2 I patrimoni destinati a uno specifico affare ..................................................... 13
3.3 I finanziamenti destinati ad uno specifico affare ............................................. 15
4 Il trust ..................................................................................................................... 17
4.1 La Convenzione dell’Aja e l’operatività del trust in Italia .............................. 18
5 La separazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie ...................................... 20
5.1 La separazione patrimoniale nella gestione di portafogli ................................ 21
5.2 I fondi comuni di investimento........................................................................ 22
5.3 Le società di cartolarizzazione ........................................................................ 29
I
II Capitolo: Le società di gestione del risparmio (Sgr)…………33
Introduzione: i mercati regolamentati......................................................................... 33
1 Il mercato finanziario: gli operatori ........................................................................ 34
2 L’intermediazione finanziaria................................................................................. 35
2.1 La gestione individuale del risparmio ............................................................. 35
2.2 La gestione collettiva del risparmio................................................................. 36
2.3 Gestione individuale e gestione collettiva a confronto .................................... 39
3 Need for protection: la riserva di attività. ............................................................... 40
4 L'autorizzazione per l’esercizio dell’attività........................................................... 43
4.1 Le altre attività esercitabili .............................................................................. 44
5 Le regole di comportamento ................................................................................... 45
5.1 I principi di diligenza, correttezza e trasparenza ............................................. 46
5.2 La disciplina dei conflitti di interesse .............................................................. 47
5.3 Il dovere di best execution ............................................................................... 48
5.4 L’esercizio del diritto di voto .......................................................................... 48
6 Il regolamento del fondo......................................................................................... 49
6.1 Il regolamento del fondo come fonte di disciplina del rapporto tra le parti .... 52
6.2 Le quote di partecipazione............................................................................... 53
7 La classificazione dei fondi comuni di investimento ............................................. 54
7.1 Fondi chiusi e fondi aperti ............................................................................... 55
7.1.1 Fondi aperti: armonizzati e non armonizzati ............................................ 57
II
7.1.2 Fondi chiusi: i fondi immobiliari .............................................................. 59
7.2 Fondi riservati .................................................................................................. 60
7.3 Fondi speculativi.............................................................................................. 62
7.4 Fondi garantiti.................................................................................................. 64
8 La gestione dei fondi .............................................................................................. 64
8.1 Corporate goverance e fund governance ........................................................ 66
9 Il depositario ........................................................................................................... 67
10 L’assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi ........................................................ 69
III Capitolo: La crisi delle Società di gestione ......................................... 71
1 Ratio e finalità della disciplina speciale della crisi delle banche e degli
intermediari finanziari ................................................................................................ 71
2 I provvedimenti ingiuntivi ...................................................................................... 74
2.1 Il divieto di nuove operazioni .......................................................................... 75
2.2 La sospensione degli organi amministrativi e la gestione provvisoria ............ 77
3 I provvedimenti di crisi........................................................................................... 79
3.1 L’amministrazione straordinaria. I presupposti ............................................... 80
3.1.1 La procedura ............................................................................................. 84
3.2 La liquidazione coatta amministrativa ............................................................. 86
3.2.1 Le nuove norme per la liquidazione coatta amministrativa delle Sgr ...... 93
III
IV Capitolo: Analisi del caso Tribunale di Milano sent. 29 marzo
2012 ....................................................................................................... 100
1 Il caso .................................................................................................................... 100
2 Le questioni di diritto ........................................................................................... 103
3 La domanda di rivendica dei beni conferiti nel fondo .......................................... 108
Conclusioni .............................................................................................................. 116
Bibliografia .............................................................................................................. 118
IV
Introduzione
Il presente lavoro ha ad oggetto l’esame delle regole applicabili alla
liquidazione dei fondi comuni d’investimento, sia in caso di crisi della Società di
gestione del risparmio (Sgr) che li gestisce, sia in caso di crisi di un solo fondo.
In particolare, viene qui affrontato un caso deciso dal Tribunale di Milano
il 29 marzo 2012: la Corte veniva adita dai partecipanti ad un fondo immobiliare
chiuso che richiedevano la restituzione dei beni dagli stessi conferiti nel fondo al
momento dell’acquisto delle quote di partecipazione. Disposta la liquidazione
coatta amministrativa della Sgr - e quindi anche la liquidazione dei fondi dalla
stessa gestiti - i partecipanti, non vedendosi riconosciuto nell’ambito della
procedura il diritto alla restituzione degli assets conferiti, presentavano
opposizione allo stato passivo della Sgr in l.c.a..
Prima di esaminare nel dettaglio il caso e la decisione dei giudici, si
analizzerà la disciplina speciale applicabile alle società di gestione del risparmio,
prestando maggiore attenzione alle norme che regolano i fondi comuni di
investimento, tanto nella fase di gestione ordinaria, tanto nella fase di
liquidazione. La disamina degli istituti sarà condotta con il precipuo scopo di
fornire al lettore gli strumenti necessari per comprendere ed analizzare la
decisione della Corte.
La scelta del tema è stata dettata sostanzialmente dall’attualità e dalla
rilevanza dello stesso. Come dimostrano i dati forniti da Assogestioni,
l’Associazione italiana del risparmio gestito, oggi circa 1.700 miliardi di euro1
vengono affidati agli intermediari finanziari perché li gestiscano, quindi investano,
nei mercati. Attualmente investono non soltanto ricchi possidenti che hanno a
disposizione ingenti patrimoni, ma anche piccoli risparmiatori e famiglie che, a
fronte della vasta offerta di prodotti finanziari, trovano forme di investimento
adatte anche alle proprie esigenze.
I mercati finanziari sono in continua espansione: nuovi servizi vengono
continuamente articolati al fine di far fronte alle plurime istanze della clientela e
ovviamente il diritto non può restare immune da tali cambiamenti. Organizzare un
1
Fonte Assogestioni, dati aggiornati a maggio 2015, reperibili su
http://www.assogestioni.it/index.cfm/1,143,10873,49,html/mappa-trimestrale-del-risparmio-gestito-1-trim-2015.
1
nuovo servizio significa infatti studiare i mercati, i flussi finanziari e i rendimenti
dei diversi beni negoziati, ma significa anche articolare un corpo di norme che lo
regoli. A monte delle prestazioni dei servizi vi è infatti un contratto stipulato tra
l’investitore e l’intermediario con il quale il primo affida al secondo i propri
risparmi.
Ogni rapporto contrattuale non può non rinvenire la propria disciplina
innanzitutto nei principi generali dell’ordinamento, principi generalmente
inderogabili dettati nel Codice Civile. A volte però la disciplina codicistica può
non essere sufficiente a disciplinare tutti i rapporti: alcuni possono non essere
perfettamente inquadrabili negli schemi tradizionali. Negli ultimi decenni tale
eventualità si è spesso verificata poiché l’articolazione di nuovi servizi finanziari
ha posto gli operatori del diritto di fronte all’esigenza di apprestare soluzioni
nuove, non ancora contemplate nell’ordinamento; nella presente trattazione si
cercherà quindi di esaminare quanto accaduto.
Nel primo capitolo si analizzeranno i principi generali relativi alla
responsabilità patrimoniale generica per poi esaminare i casi di separazione
patrimoniale – e quindi di limitazione della responsabilità - prestando particolare
attenzione alle nuove forme che essa ha assunto nell’ambito delle operazioni
finanziare.
Nel secondo capitolo invece si analizzerà la disciplina speciale applicabile
alle Società di gestione del risparmio. Come noto, la normativa dettata in via
generale per le Società per azioni è spesso integrata da normative speciali che
disciplinano particolari aspetti rilevanti solo per singoli tipi societari; si
esamineranno quindi le norme che regolano la governance delle Sgr e l’esercizio
dell’attività di gestione.
Nel terzo capitolo invece si esaminerà la disciplina della crisi della società
di gestione per arrivare al cuore del problema che qui si intende analizzare: la
liquidazione dei fondi comuni di investimento.
Come anticipato, nel quarto capitolo si esaminerà la sentenza emessa dal
Tribunale di Milano il 29 marzo 2012. Si avrà modo di vedere come i giudici di
Milano pur conformandosi a quanto già stabilito dalla Suprema Corte di
Cassazione (Cass. 16605/2010) in merito alla natura dei fondi comuni di
2
investimento - ribadendo che essi sono patrimoni autonomi della società di
gestione e non hanno invece propria soggettività giuridica – si siano in realtà
spinti oltre. Nel caso alla nostra attenzione infatti, i giudici si sono pronunciati
anche in merito alla liquidazione dei fondi comuni ritenendo applicabile in via
analogica l’art. 155 l. fall. - dettato in tema di liquidazione di patrimoni destinati
costituiti da società per azioni - mancando, al tempo della decisione, una
normativa ad hoc introdotta solo pochi mesi dopo.
Scopo del presente lavoro è dunque di evidenziare come, a fronte di nuove
istanze del mercato, alcuni principi ed istituti del nostro sistema giuridico siano
mutati sia grazie all’attività ermeneutica dei giudici di merito e di legittimità, sia
grazie alle innovazioni legislative.
3
I CAPITOLO: La separazione patrimoniale negli affari
1. Il patrimonio e la responsabilità patrimoniale
Il patrimonio è tradizionalmente definito come «il complesso dei rapporti
attivi e passivi, suscettibili di valutazione economica, facenti capo a un
soggetto»2. Quand’anche comunemente si ritengano rientranti nel patrimonio di
un soggetto solo i beni dallo stesso materialmente posseduti, in realtà,
giuridicamente, un soggetto ha un patrimonio anche nel caso in cui non possieda
alcunché ed anzi sia soggetto passivo di diversi rapporti giuridici.
Il patrimonio non è considerato come un unico bene, come un “oggetto” e
pertanto esso non è classificabile come universitas 3. Sin dall’Ottocento, nel nostro
ordinamento è stata accolta la concezione soggettivistico – egalitaria
del
patrimonio secondo la quale esso sarebbe «unico e indivisibile attributo del
soggetto titolare (persona fisica o giuridica) nonché […] estensione della sua
personalità 4 nel mondo degli affari» 5. In tale ottica dunque, il soggetto è
antecedente logico e cronologico necessario di tutti i patrimoni, punto costante di
riferimento per l’imputazione degli stessi. D’altra parte soltanto la soggezione ad
un’unica volontà – quella del titolare – permette la considerazione del patrimonio
come un unicum, benché composto da elementi tra loro eterogenei 6.
Ratio sottesa a tale concezione personalistica del patrimonio è il principio di
responsabilità 7. Esso, come noto, prevede che «il debitore rispond[a]
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (art.
2740, comma 1, c.c.). In caso di inadempimento, il creditore ha diritto al
risarcimento del danno e, per soddisfare la propria pretesa, ha il diritto di
aggredire il patrimonio del proprio debitore inadempiente. Su tutti i beni del
2
A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato (a cura di F. Anelli, C. Granelli), Milano, 2010, p. 193.
Ibidem.
4
Concezione teorizzata dalla pandettistica germanica e importata in Francia da G. AUBRY e G. RAU. V. Course de
droit civil français d’après l’ouvrage de C. S. Zachariae, Parigi, 1917.
5
L. EGIZIANO, Separazione patrimoniale e tutela dei creditori. I patrimoni destinati a uno specifico affare, Torino,
2009, p. 15.
6
L., BULLO, Trust, destinazione patrimoniale ex art. 2645 ter c.c. e fondi comuni di investimento ex art. 36, comma
6°, del TUF: quale modello di segregazione patrimoniale?, in Rivista di Diritto civile, 2012, fasc. 4, pt. 1, p. 535.
7
L. EGIZIANO, op. cit., p. 16.
3
debitore grava dunque un vincolo di destinazione a favore di tutti i suoi creditori
(c.d. garanzia patrimoniale generica) 8.
La Relazione al codice civile 9 specificava – ed è opportuno riferirci al
passato perché tale visione, come si avrà modo di vedere, è profondamente mutata
- che una tale impostazione era strumentale all’efficiente funzionamento del
sistema economico del tempo. In passato, infatti, la valutazione del merito
creditizio si basava principalmente sulla stima del patrimonio del debitore e
dunque «l’interesse a favorire la concessione del credito in funzione dello
sviluppo economico si [sarebbe realizzato] garantendo ai creditori la possibilità di
soddisfare il proprio credito su tutti i beni»10 del debitore. Alla luce di tale
visione, l’inespropriabilità di uno o più beni da parte della generalità dei creditori,
perché posti a garanzia solo di un ristretto gruppo di essi, risultava in contrasto
con l’utilità sociale del tempo 11 e dunque siffatte situazioni non erano contemplate
dalla legislazione allora vigente.
Corollari della responsabilità patrimoniale generica sono la par condicio
creditorum (art. 2741 c.c.) e l’impossibilità di limitare detta responsabilità se non
nei casi previsti dalla legge (art. 2740, comma 2 c.c.) 12.
Quanto al primo dei due corollari, l’art. 2741, comma 1, c.c., stabilisce che
«i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le
cause legittime di prelazione» che, come specifica il secondo comma, sono
privilegio, pegno e ipoteca. In tali casi, i creditori possono beneficiare, oltre che
della garanzia patrimoniale generica, anche di una garanzia specifica, un quid
pluris che rafforza la loro posizione: in questi casi è, infatti, individuato un bene
che il creditore può aggredire prioritariamente rispetto agli altri per soddisfare la
propria pretesa.
8
P. CARLUCCIO, La garanzia patrimoniale generica, in Giurisprudenza ragionata. Gli approfondimenti, (diretta da
R. GAROFOLI), Obbligazioni e responsabilità (a cura di P. Carluccio), Roma, 2010, Tomo II, p. 259.
9
Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, Roma 1943, n. 1124, p. 788.
10
M. NUZZO, L’evoluzione del principio di responsabilità patrimoniale illimitata, in Gli strumenti di articolazione del
patrimonio: profili di competitività del sistema (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 307 ss..
11
G. DORIA, Vincoli di destinazione e patrimonio del soggetto, in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio, (a
cura di G. DORIA), Torino, 2010, p.8.
12
P. CARLUCCIO, op. cit., p. 260.
5
La separazione patrimoniale negli affari
1.1
Le limitazioni della responsabilità patrimoniale
L’altro corollario - citato nel precedente paragrafo – del principio di
responsabilità patrimoniale generica, è quello per cui non è permesso ai consociati
di limitare la propria responsabilità per le obbligazioni contratte al di fuori dei casi
previsti dalla legge (art. 2740, comma 2, c.c.). Per lungo tempo la qualificazione
di tale norma come di ordine pubblico aveva fortemente limitato l’introduzione di
ipotesi nelle quali fosse concesso di limitare la responsabilità 13; a conferire
rigidità a tale impostazione, aveva contribuito anche la Corte Costituzionale
riconoscendo alla tutela dei creditori copertura costituzionale 14.
Il nostro ordinamento, ormai da diversi decenni, contempla diverse ipotesi
di limitazione della responsabilità patrimoniale generica. Si pensi al fondo
patrimoniale (ex art. 167 ss. c.c.) che i coniugi o terzi possono costituire per
soddisfare i bisogni della famiglia e dunque solo dei creditori le cui obbligazioni
siano sorte per esigenze familiari; o ai fondi di previdenza e assistenza che, ex art.
2117 c.c., sono fondi speciali costituiti dall’imprenditore - con o senza il
contributo dei lavoratori – destinati esclusivamente alla previdenza e
all’assistenza e in quanto tali insensibili alle pretese degli altri creditori
dell’imprenditore 15.
In particolare, la legislazione dell’ultimo ventennio ha comportato un netto
aumento dei casi di limitazione della responsabilità patrimoniale e quindi
l’introduzione di nuovi casi di separazione di patrimoni 16. Sebbene procedendo
per tale via si rischi di svuotare di contenuto ed effettività la garanzia patrimoniale
generica, analisi di law and economics dimostrano ormai da tempo l’efficienza
dell’aumento dell’autonomia contrattuale in tale ambito. La separazione
patrimoniale, infatti, consentirebbe il contenimento dei costi di agency, intesi
come i costi sostenuti dai creditori per controllare i comportamenti elusivi e gli
atti distrattivi dei propri debitori. Per effetto della separazione delle masse si
creano due categorie di creditori – quella dei creditori generali e quella dei
13
L. EGIZIANO, op. cit., p. 19.
C. SCOGNAMIGLIO, Negozi di destinazione, trust e negozio fiduciario, in Gli strumenti di articolazione del
patrimonio: profili di competitività del sistema (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano, 2010, p. 14.
15
L. EGIZIANO, op. cit., p. 11 e ss..
16
P. CARLUCCIO, op. cit., p. 260.
14
6
La separazione patrimoniale negli affari
creditori particolari – ciascuna delle quali può concentrare la propria attività di
monitoring solo sulla porzione di patrimonio a sé destinata, con conseguente
riduzione dei costi 17. Si noti dunque come sia cambiato l’approccio alla questione
dal 1942 a oggi: se al momento dell’introduzione del Codice la tutela dei creditori
implicava necessariamente l’affermazione dell’unità e dell’inscindibilità del
patrimonio del debitore - con conseguente imbrigliamento dei casi di segregazione
patrimoniale a tutela di “creditori speciali” - oggi, la necessità di facilitare
l’accesso al credito, riducendo i costi dei finanziamenti, permette di vedere sotto
una nuova luce la specializzazione della responsabilità patrimoniale 18.
Si tenga comunque presente che lo stesso risultato – e cioè assicurare una
più forte tutela a determinati creditori tramite l’articolazione di un patrimonio –
può essere raggiunto percorrendo o la via della c.d. soggettivizzazione,
consistente nella creazione di un nuovo soggetto di diritto che risponda delle
proprie obbligazioni con il proprio patrimonio (ad es. costituzione di Srl o Spa
unipersonali), o quella della segregazione patrimoniale 19.
2. La segregazione patrimoniale
Nell’approcciarsi allo studio della separazione patrimoniale latu sensu
intesa non si può non notare immediatamente la varietà terminologica che
caratterizza la materia: patrimoni di destinazione, patrimoni autonomi, patrimoni
separati. La mancanza di univocità di tali espressioni alimenta una gran
confusione, un uso promiscuo e quindi improprio, dei citati termini, riscontrabile
non solo in dottrina ma anche in giurisprudenza 20. Le tre espressioni sono
generalmente riferite ad una massa patrimoniale che, in forza di una specifica
destinazione dei beni in essa ricompresi, è sottoposta a uno speciale regime di
responsabilità patrimoniale, in deroga all’art. 2740, comma 1, c.c. 21.
17
L. EGIZIANO, op. cit., p. 24 e ss..
Ibidem.
19
L. BULLO, op. cit., p. 535.
20
M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, pp. 21 e 24.
21
L. BULLO, op. cit., p. 536.
18
7
La separazione patrimoniale negli affari
Per iniziare a far luce sui temi qui trattati si consideri innanzitutto che tra
“destinazione allo scopo” e “separazione patrimoniale” vi è una stretta relazione,
da alcuni definita biunivoca 22, che in una certa misura giustifica l’uso confuso
delle espressioni. Richiamiamo quindi le parole di chi ha colto la stretta
interconnessione tra i due fenomeni 23, notando che l’affermarsi della separazione
patrimoniale «non solo consegue al vincolo eziologico che si imprime ad una
massa di beni ma è anche lo strumento che assicura il perseguimento della finalità
ambita: l’efficacia della destinazione trae vigore dalla descrizione di un perimetro
che segna la misura entro la quale determinate risorse vengono sottratte al potere
satisfattivo della generalità dei creditori, per essere stabilmente rivolte al
perseguimento di un obiettivo giuridicamente rilevante. Fisiologicamente, dunque,
i due termini si completano a vicenda» 24.
Per chiarezza espositiva sembra opportuno muovere dall’analisi della
segregazione patrimoniale. Con tale termine ci si riferisce 25 ad una situazione in
cui delle posizioni soggettive, pur appartenendo a un soggetto, «non risentono
delle sue vicende obbligatorie generali e quindi non formano parte integrante del
patrimonio che costituisce la garanzia per [tutti gli altri] creditori» 26. La
segregazione causa dunque un’eccezione al principio di responsabilità
patrimoniale generica e, perché possa considerarsi legittima, deve avere lo scopo
di «distinguere nel patrimonio del soggetto […] talune parti nell’interesse di
alcuni creditori, in deroga al principio del par conconcursus creditorum, quando
la legge ciò preveda oppure lo permetta all’autonomia privata» 27.
22
P. GABRIELE, Dall’unità alla segmentazione del patrimonio: forme e prospettive del fenomeno, in Giurispr. Comm.,
2010, fasc. 4, p. 593.
23
Non manca però chi ritiene che fra separazione e destinazione patrimoniale non vi sia una relazione necessaria, ma
anzi che «la derivazione della separazione dalla destinazione non comporta la necessaria assimilazione tra patrimonio di
destinazione e patrimonio separato, in quanto non ogni forma di destinazione del patrimonio realizza la fattispecie del
patrimonio separato», ex plurimis M. BIANCA, op. cit., p. 189.
24
P. GABRIELE, op. cit., p. 595.
25
Nell’approcciarsi alla materia si tenga comunque presente che, nonostante lo sforzo ricostruttivo compiuto da una
parte della dottrina (di cui si dà conto nel presente lavoro), ancora oggi vi sono diversi autori che non aderiscono a tali
classificazioni sulla base della supposta inidoneità e insufficienza degli elementi distintivi posti alla base delle varie
categorie. V. amplius P. GABRIELE, op. cit., p. 596 e ss..
26
M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, pp. 450 e 569.
27
F. MASTROPAOLO, Garanzie additive e segregazioni patrimoniali, in Studi in onore di Nicolò Lipari, (a cura di V.
CUFFARO - G. DI ROSA), Milano, 2008, Tomo II, p. 1699.
8
La separazione patrimoniale negli affari
2.1
I patrimoni separati e i patrimoni autonomi
I patrimoni separati e quelli autonomi sono stati da lungo tempo introdotti
nel nostro ordinamento giuridico e sebbene in entrambi i casi si faccia riferimento
a un compendio di beni, ciò che permette di distinguere gli uni dagli altri è la
diversa situazione possessoria.
Un complesso di beni che – pur restando riconducibile al medesimo
proprietario – si distingua dal restante patrimonio per un diverso regime di
amministrazione e circolazione, è qualificabile come patrimonio separato. In tal
caso non si assiste ad alcun mutamento di titolarità e il differente regime ad esso
applicabile è posto a tutela di interessi altrui che travalicano la sfera giuridica del
titolare 28. Oggi non è più necessario ricorrere alla costituzione di un nuovo
soggetto di diritto, dotato di un proprio patrimonio, in ossequio al dogma “un solo
soggetto, un solo patrimonio, una sola responsabilità” 29. È infatti pacifico che il
patrimonio separato sia un centro autonomo che ha, con il patrimonio generale, un
unico punto di contatto: la riconducibilità ad un unico titolare. Tale impostazione
determina la configurabilità tra i due patrimoni di relazioni giuridiche in forza
delle quali dei beni possono essere ceduti e contemporaneamente acquistati da
uno stesso soggetto e dunque uscire da una massa per confluire nell’altra 30.
Diversamente, si ha un patrimonio autonomo nel caso in cui venga
costituito un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici e venga ad esso
trasferita la titolarità di un determinato compendio di beni. In tal caso il titolare
originario perderà «la facoltà di disporre liberamente [dei propri beni], mentre
l’ente che lo [riceverà] avrà un potere dispositivo sottoposto ai vincoli derivanti
dallo scopo per cui è stato istituito»31.
Nonostante lo sforzo ricostruttivo della dottrina, vi sono dei casi concreti
che sfuggono a una rigida classificazione. Si consideri ad esempio il caso dei
patrimoni autonomi: sebbene debba crearsi una sorta di isolamento tra il
patrimonio generale e quello autonomo, non sempre l’autonomia riesce ad
28
P. GABRIELE, op. cit., p. 599.
G. AUBRY - G. RAU., op. cit.
30
M. NUZZO, Il principio di indivisibilità del patrimonio in Le nuove forme di organizzazione del patrimonio (a cura
di G. DORIA), Torino, 2010, p. 33 e ss.. Cfr. F. FERRARA Sr., Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, I, p. 875.
31
Ivi, p. 606.
29
9
La separazione patrimoniale negli affari
affermarsi nella sua manifestazione più completa che implicherebbe una reciproca
insensibilità fra le masse. Tale situazione si riscontra ad esempio nel caso della
c.d. autonomia patrimoniale imperfetta che, per i suoi tratti essenziali, pare quindi
riconducibile più alla categoria dei patrimoni separati che non a quella dei
patrimoni autonomi 32.
3. La separazione patrimoniale nel diritto societario
L’insieme dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa
costituisce l’azienda (art. 2555 c.c.).
L’esercizio dell’attività d’impresa non determina di per sé una separazione
patrimoniale: come stabilisce l’art. 2217 c.c. l’inventario redatto dall’imprenditore
individuale «deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle
passività
relative
all’impresa,
nonché
delle
attività
e
delle
passività
dell’imprenditore estranee alla medesima». In tal caso dunque, non si ha alcuna
distinzione tra patrimonio personale e patrimonio aziendale e quindi non si
concreta alcuna deroga al principio di responsabilità patrimoniale generica ex art.
2740 c.c. 33.
Come l’attuale realtà economica dimostra, l’attività di impresa è molto
spesso esercitata in maniera collettiva piuttosto che individuale: si può quindi
costituire un consorzio o una società e in entrambi i casi, seppur con diverse
intensità e forme, si otterrà la separazione del patrimonio del c.d. ente allo scopo
dai patrimoni personali di coloro i quali partecipano all’iniziativa economica 34.
Prime aperture verso nuove forme di articolazione patrimoniale nell’ambito
dell’attività di impresa si sono avute sin dal 1989, anno dell’adozione della XII
Direttiva comunitaria di armonizzazione del diritto delle società 35. Detta direttiva,
a proposito delle società a responsabilità limitata, stabiliva che «uno Stato
membro può non consentire la società unipersonale quando la sua legislazione
32
P. GABRIELE, op. cit., p. 607.
P. SPADA, Destinazioni patrimoniali ed impresa (patrimoni dell’imprenditore e patrimoni aziendali), in Le nuove
forme di organizzazione del patrimonio, (a cura di G. DORIA) Torino, 2010, p.42.
34
Ibidem.
35
Direttiva 89/667/CEE.
33
10
La separazione patrimoniale negli affari
preveda, a favore degli imprenditori unici, la possibilità di costituire imprese a
responsabilità limitata a un patrimonio destinato a una determinata attività» (art. 7
Dir.). Intento della direttiva era quello di creare strumenti idonei a limitare la
responsabilità dell’imprenditore unico, lasciando ai singoli Stati la possibilità di
scegliere tra le due alternative suggerite 36.
L’autonomia riconosciuta ai legislatori nazionali in materia ha sin da subito
indotto la dottrina a rilevare l’equivalenza funzionale dei due strumenti offerti 37.
Si osservi, infatti, come la costituzione di una Srl o una Spa unipersonale permetta
di beneficiare della responsabilità limitata, senza che l’unicità del socio osti
all’applicazione di tale regime 38. Alternativamente, l’imprenditore individuale
potrebbe decidere di limitare la propria responsabilità per l’impresa esercitata a
una sola frazione del proprio patrimonio, tramite la costituzione di un patrimonio
destinato ad una determinata attività, patrimonio la cui titolarità resterebbe
comunque in capo a sé 39.
Ferma restando l’equivalenza funzionale dei due istituti, vi è stato anche chi
ha ritenuto di dover mettere in luce la differenza esistente tra le due ipotesi:
mentre nel secondo caso si ha l’inidviduazione di una massa di beni destinati ad
uno scopo e quindi isolata dal restante patrimonio ma pur sempre imputabile al
medesimo titolare, nel primo caso esaminato invece, si ha la creazione di un
nuovo soggetto di diritto, responsabile di tutte le vicende giuridiche ed
economiche relative allo svolgimento dell’attività 40.
Con la riforma organica del diritto societario 41 sono stati introdotti e
disciplinati nel nostro ordinamento tanto i patrimoni destinati (ex art. 2447 bis,
c.c.) quanto le società per azioni unipersonali 42. In base a quanto si legge nella
Relazione Mirone, la riforma avrebbe perseguito un duplice obiettivo: da un lato,
quello di rendere superflui accorgimenti costosi e poco trasparenti, come la
costituzione di società ad hoc anche per un singolo affare e, dall’altro, quello di
36
V. V Considerando Dir. 89/667/CEE.
P. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio: spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv.
di dir. civ., 2002, fasc. 6, pt. 1, p. 842.
38
Per le condizioni poste dal legislatore per l’ottenimento del beneficio della responsabilità limitata, V. amplius par. 3.1
del presente capitolo.
39
P. SPADA, op. cit., p. 843.
40
R. QUADRI, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli, 2004, p. 138.
41
D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6.
42
Le società a responsabilità limitata unipersonali erano già state introdotte con il D. Lgs. Del 3 marzo 1993, n. 88.
37
11
La separazione patrimoniale negli affari
rendere possibile una più concreta tutela per coloro che intervengano nel
finanziamento dell’affare, permettendogli di circoscrivere il loro rischio agli esiti
economici dell’affare stesso 43. In tale ottica, dunque, si osserva che, qualora la
costituzione di una società fosse preordinata esclusivamente all’ottenimento del
beneficio della separazione patrimoniale, lo stesso risultato ben potrebbe essere
raggiunto tramite la costituzione di un patrimonio destinato. Ciò permetterebbe
all’imprenditore di raggiungere lo stesso obiettivo con un mezzo meno costoso ed
economicamente più efficiente; in tal modo, infatti, egli eviterebbe i costi di
gestione del nuovo soggetto di diritto creato (ad esempio quelli per la redazione
dell’atto costitutivo, quelli per la gestione degli organi sociali, la cui creazione
comporterebbe anche l’insorgere di nuovi oneri amministrativi) e inoltre si
eliminerebbero dal mercato le cc.dd. societates unius negotii 44.
3.1
Le società unipersonali
La disciplina di Srl e Spa unipersonali ha contribuito alla progressiva
“erosione” del principio di responsabilità patrimoniale generica, ex art. 2740 c.c..
Con l’introduzione delle Srl unipersonali, il tradizionale binomio “unicità del
socio - responsabilità illimitata per l’attività esercitata” è stato definitivamente
scisso perché, avendo individuato nella società a responsabilità limitata
unipersonale lo strumento che consente, attraverso lo schermo societario, di
limitare la responsabilità dell’imprenditore individuale, è venuto a mancare il suo
ancoraggio legislativo 45. Con la riforma del 2003, che ha tra l’altro introdotto le
Spa unipersonali, è stata resa più organica l’intera disciplina. Il beneficio
dell’autonomia patrimoniale perfetta è garantito alle società unipersonali al
ricorrere di requisiti e di condizioni più stringenti di quelli previsti per le società
43
Tratto dalla c.d. “Relazione Mirone”, allegata allo schema di legge delega di riforma del diritto societario, trasfusa poi
nella legge delega 366/2001.
44
Quaderni di ricerca giuridica della Consulenza Legale della Banca d’Italia, n. 57, Roma, 2004, p. 14. Nello stesso
senso si veda anche la Relazione Ministeriale al D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella quale si legge, relativamente ai
patrimoni separati che «siamo essenzialmente in presenza dell’individuazione, all’interno del patrimonio della società,
di una parte di questo, la sua separazione giuridica dall’interno, e la sua destinazione a uno specifico affare, una
particolare operazione economica. Nella sostanza l’ipotesi è operativamente equivalente alla costituzione di una nuova
società, col vantaggio dell’eliminazione dei costi di costituzione, mantenimento ed estinzione della stessa».
45
M. BIANCA, op. cit., p. 67.
12
La separazione patrimoniale negli affari
costituite per contratto. A tutela dei terzi e delle loro ragioni creditorie, si prevede
che il socio unico effettui integralmente, già al momento della costituzione della
società, i conferimenti dovuti (art. 2342, comma 2, c.c.). Qualora invece la
pluralità dei soci venga meno durante la vita della società, l’unico socio dovrà
immediatamente eseguire i conferimenti ancora dovuti (art. 2342, comma 4, c.c.).
Altre norme speciali sono previste anche in tema di pubblicità (art. 2362 c.c.) 46 al
fine di tutelare nella maniera più ampia possibile coloro i quali entrino in contatto
con la società. Qualora tali norme siano violate, l’unico socio della società, in caso
di insolvenza della stessa, risponderà illimitatamente delle obbligazioni sociali
(art. 2325 c.c. 47) 48.
3.2
I patrimoni destinati a uno specifico affare
Passando ora all’esame delle forme di segregazione patrimoniale che non
presuppongono una duplicazione soggettiva, viene in rilievo l’art. 2447 bis,
comma 1, lett. a), c.c., che disciplina i patrimoni destinati a uno specifico affare,
fattispecie di separazione patrimoniale c.d. operativa. La costituzione di tali
patrimoni è subordinata al rispetto di due limiti: l’uno quantitativo, per cui il
patrimonio o i patrimoni non possono essere costituiti per un valore
complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società 49;
46
Art. 2362 c.c. Unico azionista «Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona
dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione
contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di
costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio.
Quando si costituisce o ricostituisce la pluralità dei soci, gli amministratori ne devono depositare apposita dichiarazione
per l'iscrizione nel registro delle imprese.
L'unico socio o colui che cessa di essere tale può provvedere alla pubblicità prevista nei commi precedenti.
Le dichiarazioni degli amministratori previste dai precedenti commi devono essere depositate entro trenta giorni
dall'iscrizione nel libro dei soci e devono indicare la data di iscrizione.
I contratti della società con l'unico socio o le operazioni a favore dell'unico socio sono opponibili ai creditori della
società solo se risultano dal libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione o da atto scritto
avente data certa anteriore al pignoramento».
47
Art. 2325 c.c. Responsabilità «Nella società per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il
suo patrimonio.
In caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui le azioni sono appartenute ad una
sola persona, questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto
dall'articolo 2342 o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'articolo 2362».
48
R. QUADRI, op. cit., p. 142 e ss..
49
R. QUADRI, op. cit., p. 106, criticamente osserva che «la limitazione quantitativa imposta dal legislatore sembra non
tenere nel debito conto la circostanza che l’effettività della garanzia patrimoniale non dipende esclusivamente dal valore
13
La separazione patrimoniale negli affari
l’altro qualitativo, per cui essi non possono essere costituiti per lo svolgimento di
attività riservate in base alle leggi speciali (art. 2447 bis, comma 2, c.c.) 50. La
costituzione del patrimonio deve essere deliberata dall’organo amministrativo 51
della società e, una volta approvata, la delibera deve essere depositata e iscritta
presso il registro delle imprese. I creditori anteriori all’iscrizione possono fare
opposizione entro sessanta giorni dall’iscrizione, decorsi i quali il regime di
separazione patrimoniale diviene operativo 52. Detto regime comporta per un verso
che i creditori della società non possano far valere alcun diritto sul patrimonio
destinato allo specifico affare né sui frutti o proventi da esso derivanti e, per altro
verso, che per le obbligazioni contratte per la realizzazione dell’affare, la società
risponda solo con il patrimonio ad esso destinato (separazione c.d. bilaterale).
Tale regime è però inapplicabile ai creditori cc.dd. involontari della società, cioè a
coloro che vantano il diritto al risarcimento del danno per un illecito di cui sia
responsabile la società (art. 2447 quinquies c.c.); forzando il dato letterale si
ritiene che la società sia illimitatamente responsabile - e dunque non possa più
opporre ad alcun creditore la segregazione patrimoniale - per le obbligazioni
derivanti da fatto illecito sia qualora il fatto sia connesso all’attività generale sia
qualora sia connesso allo specifico affare 53.
La legge inoltre contempla ipotesi nelle quali la società, quand’anche abbia
costituito un patrimonio per svolgere un certo affare, possa essere chiamata a
rispondere delle relative obbligazioni anche con il patrimonio c.d. generale; ciò
può avvenire o qualora non sia stato espressamente menzionato il vincolo di
destinazione nell’atto o nel negozio posto in essere, o qualora una siffatta
responsabilità sia già contemplata nell’atto costitutivo del patrimonio destinato. In
tale ultima ipotesi i creditori sociali non potrebbero aggredire il patrimonio
destinato ma i “creditori del patrimonio destinato” potrebbero soddisfare le
della massa patrimoniale oggetto della garanzia, ma anche dalla sua composizione qualitativa: risulta intuitivo, infatti,
che altro significa essere garantiti da un immobile di un certo valore, altro significa essere garantiti da una somma di
denaro di corrispondente valore. Se è vero, allora, che il legislatore è stato mosso da timori legati ad una possibile
fruizione fraudolenta dell’istituto, non sembra che la soluzione prescelta sia da reputarsi del tutto soddisfacente in
termini di tutela per i creditori».
50
Ivi, p. 95.
51
Salvo diversa disposizione dello statuto (art. 2447 ter, comma 2, c.c.).
52
Il tribunale, nonostante l’opposizione, può disporre che la deliberazione sia eseguita previa prestazione da parte della
società di idonea garanzia (art. 2447 quater, comma 2, c.c.).
53
D. U. SANTOSUOSSO, Atti atipici di destinazione del patrimonio e patrimoni destinati a uno specifico affare, in Le
nuove forme di organizzazione del patrimonio (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p. 126.
14
La separazione patrimoniale negli affari
proprie pretese - non soltanto aggredendo il patrimonio destinato ma aggredendo, in concorso con i creditori generali, anche il patrimonio generale
della società, così determinando una separazione unilaterale 54. Il legislatore,
inserendo questa norma di natura dispositiva, lascia all’autonomia privata (rectius
agli amministratori) la scelta circa il carattere autonomo o non perfettamente
autonomo del costituendo patrimonio 55.
3.3
I finanziamenti destinati ad uno specifico affare
L’art. 2447 bis, comma 1, c.c., alla lett. b) disciplina i finanziamenti
destinati a specifici affari, speciali contratti di finanziamento che possono essere
stipulati tra una società ed un finanziatore nel caso in cui la società non disponga
delle finanze necessarie per intraprendere una nuova iniziativa economica e
dunque necessiti del prestito di un soggetto terzo 56.
Connotati essenziali di questo finanziamento – che permettono di tenerlo
distinto dai normali contratti di mutuo – sono il peculiare regime di separazione
dei flussi finanziari che la sua stipulazione comporta e il particolare metodo di
rimborso dello stesso.
La separazione che si determina in questo caso – c.d. separazione
finanziaria - concerne esclusivamente i proventi e i frutti dell’affare e non invece i
beni e i rapporti giuridici del patrimonio sociale - come invece previsto in tema di
patrimoni destinati a specifici affari (ex art. 2447 bis, comma 1, lett. a), c.c.) 57 – e
pertanto sotto questo profilo appare più debole. D’altro canto, non intaccando in
alcun modo la consistenza e la disponibilità del patrimonio sociale, il legislatore
54
R. QUADRI, op. cit., p. 107.
Per un approccio critico alla questione, V. L. EGIZIANO, op. cit., p. 100, nota 132. Cfr. G. CAPALDO, Autonomia
privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati a uno specifico affare, in Gli strumenti di
articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema, (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano,
2010, p. 70.
56
G. CAPALDO, Autonomia privata e statuti di responsabilità patrimoniale. I finanziamenti destinati a uno specifico
affare, op. cit., p. 70.
57
P. BALZANI – G. STRAMPELLI, I finanziamenti destinati ad uno specifico affare, in Riv. Soc., 2012, fasc. 1, p.
112.
55
15
La separazione patrimoniale negli affari
non ha ritenuto necessario introdurre il limite del dieci per cento del patrimonio
netto della società, quale limite quantitativo dell’ammontare del finanziamento 58.
Affinché si realizzi la separazione dei proventi dell’affare è necessario che
una copia del contratto di finanziamento sia depositata e iscritta presso l’ufficio
del registro delle imprese per rendere nota ai terzi l’avvenuta stipulazione del
contratto, ed inoltre che la società adotti sistemi di incasso e contabilizzazione
idonei ad individuare i proventi dell’affare e tenerli separati dal restante
patrimonio sociale (art. 2447 decies, comma 3, c.c.). Al ricorrere di tali
condizioni, si realizzerà la separazione patrimoniale dei proventi e dei frutti
derivanti dallo svolgimento dell’affare in ragione del quale il finanziamento è
stato richiesto; essi dovranno dunque essere destinati al rimborso del finanziatore
e perciò sarà preclusa ai creditori generali la possibilità di soddisfare le proprie
pretese aggredendo dette sostanze.
Quanto al particolare regime di rimborso del finanziatore, si consideri anche
l’eventualità in cui la società decida di garantire in parte detto rimborso,
determinando così una segregazione patrimoniale imperfetta. Qualora i flussi di
cassa derivanti dallo svolgimento dell’affare non siano sufficienti a ripagare il
finanziatore e la società abbia prestato garanzia, dovrà in parte essere intaccato il
patrimonio generale della stessa (art. 2447 decies, comma 2, lett. f), c.c.). La
garanzia prestata può essere però solo parziale: qualora si consentisse di garantire
l’intero rimborso del finanziatore, la responsabilità della società si sovrapporrebbe
completamente a quella del patrimonio separato, determinando di fatto la
postergazione dei creditori sociali generici rispetto a quelli del patrimonio
destinato 59.
Sebbene tra i due istituti disciplinati dall’art. 2447 bis – costituzione di
patrimoni separati e stipulazione di finanziamenti destinati - vi siano delle
differenze, in particolare per quanto attiene alla maggiore o minore intensità della
separazione patrimoniale, ciò che emerge dalla disciplina nel suo complesso è che
il legislatore abbia voluto comunque offrire particolari garanzie ad un determinato
ceto creditorio, inserendo delle nuove ipotesi di limitazione della responsabilità
58
59
Ibidem.
P. BALZANI – G. STRAMPELLI, op. cit., p. 104.
16
La separazione patrimoniale negli affari
derogatorie del principio contenuto nell’art. 2740 c.c., al fine di incentivare gli
investimenti in una prospettiva di sviluppo del mercato 60.
4. Il trust
Il trust è un istituto di derivazione anglosassone creato dalle Corti di equity.
Si è diffuso in tutti gli ordinamenti di common law grazie al mancato
riconoscimento da parte degli stessi - a differenza di ciò che avviene in quelli di
civil law - di dogmi quali l’assolutezza del diritto di proprietà e la responsabilità
patrimoniale generica del debitore 61. Il trust è definito «an arrangement in which
a settlor transfers property to one or more trustees, who will hold it for the benefit
of one or more persons (the beneficiaries, who may include the trustee(s) or the
settlor) who are entitled to enforce the trust, if necessary by action in Court» 62.
La costituzione del trust implica dunque la nascita di situazioni giuridiche
peculiari, non esattamente riconducibili né ai diritti reali, né ai diritti di credito
tradizionalmente intesi; è proprio il diverso background culturale e soprattutto
giuridico che ha consentito questo particolare innesto tra diritti reali e diritti di
credito che il trust determina 63. In un’ottica comparativa è stato osservato che «il
trust ha consentito nella tradizione di common law di disciplinare le diverse
pretese intorno a un patrimonio, dando rilievo alla destinazione e separazione dei
diritti sui beni che lo compongono, senza dover ricorrere come nella tradizione di
civil law a una soluzione di secondo grado, quale la costruzione di un soggetto
(persona giuridica) distinto dalle persone interessate al patrimonio e di un rapporto
organico in virtù del quale altre persone fisiche traducono in atti produttivi di
effetti giuridici le esigenze di tali persone interessate»64.
60
R. QUADRI, op. cit., p. 119.
F. DI CIOMMO, Il trust e l’art. 2645 ter c.c.: profili di diritto italiano, in Le nuove forme di organizzazione del
patrimonio, (a cura di G. DORIA), Torino, 2010, p. 212.
62
Oxford Dictionary of Law, Oxford, 1997.
63
D. CORAPI, Introduzione al libro di G.C.Cheshire, Il concetto del trust secondo la common law inglese (1933), con
traduzione di C. GRASSETTI, Torino, 1998, p. VIII.
64
D. CORAPI, op. cit., p. XIX.
61
17
La separazione patrimoniale negli affari
4.1
La Convenzione dell’Aja e l’operatività del trust in Italia
Negli anni Settanta e Ottanta lo sviluppo dei mercati finanziari, e la
correlata articolazione di operazioni sempre più complesse, hanno fatto sorgere
l’esigenza di blindare i capitali al fine di evitare che esiti infausti di singole
operazioni li intaccassero, anche in maniera rilevante 65. L’emersione di tale nuova
esigenza ha indotto gli operatori ad apprezzare sin da subito la poliedricità
dell’istituto del trust e a farvi sempre più spesso ricorso. Il primo luglio 1985
viene perciò siglata a L’Aja l’omonima Convenzione che ha lo scopo «di stabilire
disposizioni comuni relative alla legge applicabile al trust e di risolvere i problemi
più importanti relativi al suo riconoscimento»66. Ratificata dall’Italia nel 198967
ed entrata in vigore nel 1992, essa ha permesso di rimuovere, almeno in parte, gli
ostacoli che anteriormente alla sua ratifica impedivano l’operatività dei trust nel
nostro ordinamento a causa dell’assenza di istituti interni ad essi assimilabili, dai
quali ricavare una disciplina applicabile almeno in via analogica 68.
L’art. 2 della Convenzione stabilisce che «per trust si intendono i rapporti
giuridici istituiti da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa –
qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un
beneficiario o per un fine specifico». La costituzione del trust deve essere
volontaria e comprovata per iscritto 69; essa comporta che:
a) i beni del trust costituiscano una massa distinta e non rientrino nel
patrimonio del trustee;
b) i beni del trust siano intestati a nome del trustee o di un'altra persona per
conto del trustee;
c) il trustee sia investito del potere e onerato dell'obbligo, di cui deve rendere
conto, di amministrare, gestire o disporre beni secondo i termini del trust e
le norme particolari impostegli dalla legge.
65
F. DI CIOMMO, op. cit., p. 213.
V. amplius Preambolo della Covenzione de L’Aja.
67
La Convenzione è stata ratificata con la l. 16 ottobre 1989, n. 364.
68
G. TUCCI, Fiducie, trust e atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c., in Studi in onore di Nicolò Lipari, (a cura di V.
CUFFARO - G. DI ROSA), Milano, 2008, II, p. 2944.
69
G. TUCCI, op. cit., p. 2945, ricorda che la necessità di “provare per iscritto” la costituzione del trust non va confusa
con la richiesta di forma scritta ad probationem in quanto un trust sorto con dichiarazione orale del disponente, la cui
esistenza risulti da un documento scritto, è comunque idoneo a rientrare nell’ambito di applicazione della Convenzione.
66
18
La separazione patrimoniale negli affari
Ai fini di una completa comprensione dell’istituto in esame, si tenga nel
debito conto il dato letterale della norma – “porre i beni costituiti in trust sotto il
controllo del trustee” – e si noti che la norma non fa alcun riferimento agli
eventuali atti traslativi strumentali all’ottenimento di quel risultato e parli
esclusivamente e direttamente di intestazione di beni a nome del trustee o di altra
persona per suo conto. Diversamente, nel modello tradizionale inglese «a settlor
transfers property to one or more trustees» e non si limita invece a porre i beni
sotto il controllo di un trustee 70. Appurata la differenza tra il modello tradizionale
e quello c.d. convenzionale, e dunque la configurabilità di diverse forme di trust,
si palesa un problema: quid iuris in Italia nei casi in cui vengano costituiti dei
trust non rientranti nell’ambito di operatività della Convenzione? Non essendo
stata finora adottata una normativa interna in materia, non può essere ancora
individuata una soluzione certa al problema e dunque non resta che lasciare alla
dottrina e alla giurisprudenza l’arduo compito di ipotizzare delle soluzioni
astrattamente applicabili. 71
Relativamente alla legge applicabile ai trust, la Convenzione lascia al
costituente la scelta della legge regolatrice del trust; i redattori della Convenzione
però, consci degli ostacoli ancora frapposti da diversi ordinamenti all’operatività
di tale figura, hanno riconosciuto la possibilità di sostituire 72 la legge regolatrice
prescelta dal disponente con quella con cui il trust ha “più stretti legami”, qualora
quella prescelta non contempli l’istituto del trust 73.
Alla luce di tale possibilità, riconosciuta dalla Convenzione ai disponenti, si
è posto il problema dell’ammissibilità dei cc. dd. trust interni, cioè quei trust che
hanno come unico elemento di estraneità rispetto al nostro ordinamento la legge
regolatrice prescelta, essendo tutti gli altri elementi (residenza delle parti e
localizzazione dei beni) interni al nostro ordinamento. Sebbene per lungo tempo
70
F. DI CIOMMO, op. cit., p. 224.
Senza alcuna pretesa di completezza può qui essere menzionata una delle soluzioni ipotizzate dalla dottrina per
risolvere il problema esposto. In forza dei tale ipotesi, al fine di rendere opponibile ai terzi sia l’atto traslativo che
quello di destinazione, si dovrebbe procedere ad una doppia trascrizione: una prima trascrizione dell’atto di
trasferimento del diritto di proprietà sui beni immobili (costituiti in trust) a favore del trustee e contro il disponente ex
art. 2643, comma 1, n. 1), c.c., e una seconda dell’atto di destinazione patrimoniale esclusivamente contro il trustee ex
art. 2645 ter c.c.. V. F. DI CIOMMO, op. cit., p. 226 e ss..
72
Per i criteri da osservare per l’individuazione della legge con cui il trust ha più stretti legami, V. art. 7, comma 2,
Conv.
73
V. amplius Cap. II Conv. .
71
19
La separazione patrimoniale negli affari
sia stata sostenuta l’inammissibilità di tale forma di trust 74, oggigiorno non appare
più accettabile una siffatta ricostruzione sia perché la Convenzione riconosce ai
disponenti un’assoluta libertà di scelta della legge regolatrice, sia perché nessuna
norma della Convezione impone la presenza, nel trust, di elementi di estraneità in
aggiunta alla legge straniera da applicare. Alla luce delle presenti considerazioni,
pare che unico presupposto per l’applicazione della Convenzione sia che il trust
spieghi i propri effetti in uno Stato diverso da quello la cui legge lo regola 75 e
pertanto ad oggi non sembrano più permanere ostacoli alla configurabilità dei
trust interni.
5.
La separazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie
Premesso che si avrà modo di trattare diffusamente dell’intermediazione
finanziaria nel prosieguo della trattazione 76, è opportuno far cenno sin da ora al
tema della separazione patrimoniale nell’ambito delle operazioni finanziarie. Si è
già avuto modo di mettere in luce la particolare correlazione esistente tra
specializzazione
della
responsabilità
patrimoniale,
conseguenza
della
segregazione patrimoniale, e contenimento dei costi dei finanziamenti, ma è bene
considerare anche gli altri fattori che hanno contribuito alla progressiva
affermazione della separazione patrimoniale nel diritto contemporaneo.
Il ricorso sempre più massiccio, da parte dei risparmiatori, ai servizi prestati
dagli intermediari finanziari ha spinto gli operatori a fornire servizi sempre più
complessi e conseguentemente più rischiosi; da qui l’esigenza di tutelare gli
investitori dai possibili abusi dei gestori 77. Per far fronte a tale esigenza è stato
imposto sia a chi presta servizi e attività di investimento (art. 22 TUF 78), sia a chi
74
G. TUCCI, op. cit., p. 2945 e ss.. Per una completa disamina della questione, V. M. LUPOI, I trust nel diritto civile,
in Trattato di diritto civile, (diretto da R.SACCO), Torino, 2004. Cfr. S. BARTOLI, Il trust, Milano, 2001, pp. 517 –
523.
75
G. TUCCI, op. cit., p. 2946.
76
V. infra Cap. II, par. 1-2.
77
P. GABRIELE, op. cit., p. 621.
78
Decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58: Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria
(TUF), ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52.
20
La separazione patrimoniale negli affari
gestisce in monte il risparmio raccolto presso il pubblico (art. 36 TUF)
79
, il
regime di separazione patrimoniale nell’esercizio dell’attività. Giacché si ravvisa
«una simbiotica combinazione tra la “segregazione” di taluni asset, e dei correlati
flussi finanziari, e la loro “destinazione” ad una finalità specifica» 80, la
segregazione patrimoniale permette di garantire che il servizio venga prestato
conformemente alle finalità indicate dal singolo cliente - nel caso di gestione di
portafogli - o fissate nel regolamento del fondo - nel caso di partecipazione ad un
fondo comune di investimento 81. Nell’ambito delle operazioni finanziarie si fa
dunque ricorso all’istituto in esame tutte le volte che vi è la «necessità di
distinguere – all’interno di una massa patrimoniale – una o più situazioni
giuridiche rispetto ad altre o perché il titolo di appartenenza può non essere di
agevole determinazione, o perché sono funzionali al conseguimento di scopi
particolari»82.
5.1
La separazione patrimoniale nella gestione di portafogli
Nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento (artt. 18 e ss.
TUF) i risparmiatori – investitori affidano agli intermediari i propri capitali perché
siano investiti in strumenti finanziari e denaro. La natura fungibile di tali beni
determina l’insorgere del rischio di confusione tra patrimoni: i beni del cliente
potrebbero essere confusi con quelli del gestore o addirittura sottratti dal gestore o
potrebbero essere favoriti alcuni clienti, a scapito di altri, qualora il gestore
attribuisca a un cliente risorse spettanti ad altri 83. Per arginare questo rischio
dunque, si stabilisce che gli strumenti finanziari e le somme di denaro dei singoli
clienti, a qualunque titolo detenuti dall'impresa di investimento, costituiscano un
patrimonio separato. L’art. 22 TUF stabilisce che la separazione patrimoniale si
ha sia rispetto al patrimonio dell'intermediario che rispetto ai patrimoni (rectius
79
Per una completa disamina della disciplina delle attività e dei servizi di investimento e della gestione collettiva del
risparmio, V. infra Cap. II, par. II.
80
Ivi, p. 622.
81
C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, in Diritto del mercato finanziario. Saggi,
(diretto da R. LENER) Torino, 2011, p. 313.
82
P. GABRIELE, op. cit., p. 622.
83
G. GOBBO, Commento all’art. 22 TUF, in Commentario al T.U.F., (a cura di F. VELLA), Torino , 2010, Tomo I, p.
267.
21
La separazione patrimoniale negli affari
portafogli) degli altri clienti. La norma specifica inoltre che sui singoli patrimoni
non sono ammesse azioni dei creditori dell'intermediario o nell'interesse degli
stessi, né quelle dei creditori dell'eventuale depositario o sub-depositario o
nell'interesse degli stessi; tale impostazione pare essere un’applicazione del
principio più generale enunciato nell’art. 21, comma 1 bis, lett. c), TUF, in base al
quale gli intermediari adottano tutte le misure idonee a salvaguardare i diritti dei
clienti sui beni affidatigli 84. La separazione patrimoniale inoltre implica che le
azioni dei creditori dei singoli clienti siano ammesse soltanto nei limiti del
patrimonio di proprietà di questi ultimi.
Al fine di ribadire lo specifico vincolo di destinazione che grava sui beni di
pertinenza dei singoli clienti, è stabilito che, salvo consenso scritto degli stessi,
l'impresa di investimento non possa utilizzare, nell'interesse proprio o di terzi, né
gli strumenti finanziari né le disponibilità liquide di pertinenza dei clienti, detenuti
a qualsiasi titolo 85.
5.2
I fondi comuni di investimento
Trattando di separazione patrimoniale nell’ambito delle operazioni
finanziarie non si può non esaminare il tema dei fondi comuni di investimento.
Per comprendere appieno il tema è opportuno premettere che esigenza dei
risparmiatori è innanzitutto quella di ridurre quanto più possibile i rischi connessi
ai propri investimenti e tale esigenza ha trovato nella possibilità di acquistare
quote di fondi comuni di investimento una soluzione ottimale. L’apparizione e la
susseguente affermazione nei mercati delle Società di gestione del risparmio (Sgr)
e degli organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr) hanno
comportato, nel corso degli ultimi decenni, l’abbandono da parte dei risparmiatori
delle vecchie abitudini di investimento. Esse consistevano principalmente
nell’impiego dei risparmi in “grandi imprese” o in enti pubblici, anche al fine di
sostenere l’economia nazionale ma, poiché tali investimenti non avevano sempre
84
85
Ivi, p. 268.
Analogo divieto è previsto per il depositario (art. 22, comma 3, TUF).
22
La separazione patrimoniale negli affari
portato risultati profittevoli 86, si è iniziato a ritenere più conveniente investire in
quote di fondi comuni di investimento – scelta questa, d’altra parte, più coerente
anche con la citata esigenza di diversificazione e contenimento dei rischi.
È opportuno partire dalla definizione generale degli Organismi di
investimento collettivi del risparmio (Oicr) contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. k),
TUF, da cui emergono i seguenti elementi:
 l'Organismo è istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva
del risparmio;
 il patrimonio dell’Oicr è raccolto tra una pluralità di investitori mediante
l'emissione e l'offerta di quote o azioni;
 la gestitone del patrimonio comune è effettuata in monte in base a una
politica di investimento predeterminata 87;
 il patrimonio dell’Oicr può essere costituito da strumenti finanziari, crediti,
inclusi quelli erogati a valere sul patrimonio dell'Oicr stesso,
partecipazioni o altri beni mobili o immobili 88.
La lett. j) dello stesso articolo, per definire il fondo comune di investimento,
si limita a stabilire che «fondo comune di investimento è l’Oicr costituito in forma
di patrimonio autonomo, suddiviso in quote, istituito e gestito da un gestore».
Dall’analisi congiunta delle due norme emerge innanzitutto che tra Oicr e fondi
comuni di investimento vi è un rapporto di genus ad speciem perché se da un lato
si includono i fondi nella categoria generale degli Oicr, dall’altro si aggiunge che
gli stessi sono costituiti nella forma di patrimoni autonomi.
Non è il caso di dilungarsi eccessivamente sulle diverse ricostruzioni
formulate in passato dalla dottrina in materia di fondi comuni di investimento, ma
sembra nondimeno opportuno richiamare almeno le principali:
 il fondo comune di investimento dà luogo a una forma di comproprietà tra
gli investitori, una comunione sui generis tra i partecipanti 89;
86
V. LEMMA, I fondi immobiliari tra investimento e gestione, Bari, 2006, p. 124.
V. infra Cap. II, par. 7.
88
Per un’analisi dettagliata delle varie tipologie di fondi, dei beni che possono comporre i patrimoni dei fondi e per la
correlazione tra politiche di investimento e composizione dei patrimoni, V. amplius Cap. II, par. 8.
89
In merito a tale ricostruzione è stata subito sollevata un’obiezione: mentre i comunisti sono animati da uno scopo di
mero godimento, i partecipanti ad un fondo sono animati da uno scopo di investimento, tanto che essi non possono né
godere né disporre dei beni che lo compongono. D’altra parte, la comunione ha natura essenzialmente statica mentre il
fondo è caratterizzato dalla mutevolezza, per quanto riguarda sia l’identità dei partecipanti sia la composizione del
87
23
La separazione patrimoniale negli affari
 il fondo comune è un centro autonomo di imputazione di situazioni
giuridiche caratterizzato da un’autonomia patrimoniale perfetta 90;
 il fondo comune di investimento è una parte segregata del patrimonio della
Società di gestione del risparmio che ne è la titolare formale benché la
gestione debba essere effettuata nell’interesse dei sottoscrittori, soggetti
realmente interessati al buon esito degli investimenti 91.
È
quest’ultima
la
ricostruzione
ad
oggi
pacificamente
accolta
nell’ordinamento, avallata anche dalla Suprema Corte che, con una rivoluzionaria
sentenza 92, contenente diversi obiter dicta, ha chiarito molti aspetti della materia.
Nel Testo Unico della Finanza, tra le norme che disciplinano la gestione
collettiva del risparmio, assume primario rilievo l’art. 36, ed in particolare il
quarto comma. Esso stabilisce che ciascun fondo comune di investimento, o
ciascun comparto di uno stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo 93, distinto
a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello
di ciascun partecipante, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima
società. Tale forma di separazione è definita bilaterale ed integrale 94 perché da un
lato, delle obbligazioni contratte per conto del fondo la Sgr risponde
esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo e, dall’altro, sul fondo non
patrimonio. Cfr. F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati,
società, (diretto da G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 253.
90
In tal senso si erano espressi il Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III, 11 maggio 1999, n. 608) e l’Agenzia del
Territorio con la circolare n. 218 del 1999, relativa alle modalità di trascrizione dei beni immobili rientranti nei
patrimoni dei fondi immobiliari. In forza di tale ricostruzione si sarebbe creato un terzo soggetto, accanto ai partecipanti
– investitori e alla Sgr. Rilevato il contrasto tra una siffatta ricostruzione e i dati normativi, la dottrina ha sin da subito
accantonato tale ricostruzione.
91
L. BULLO, op. cit., p. 541.
92
Nella Sent. Cass. Civ. 15 luglio 2010, n. 16605, sez. I, si legge: «la configurazione del fondo comune di investimento
quale soggetto autonomo finisce per essere foriera di distorsioni […]. La separazione garantisce adeguatamente la
posizione dei partecipanti, i quali sono i proprietari sostanziali dei beni di pertinenza del fondo, lasciando però la
titolarità formale di tali beni in capo alla società di gestione […]. La particolare insistenza del legislatore nel
sottolineare l’autonomia del patrimonio del fondo comune è evidentemente frutto della preoccupazione di assicurare
una tutela forte agli interessi degli investitori partecipanti al fondo, evitando loro il rischio di vedere intaccato il
patrimonio del fondo da possibili azioni di terzi. Sotto questo profilo, ciò che soprattutto caratterizza tale patrimonio è
la sua esclusiva destinazione allo scopo d’investimento per il quale è stato costituito e che perciò ne rappresenta la
principale ragion d’essere. Da qui discende appunto l’impossibilità che quel medesimo patrimonio sia, al tempo stesso,
anche posto a garanzia e a beneficio dei creditori della società di gestione e di altri soggetti estranei alla predetta
destinazione».
93
Alla luce della distinzione, seppur sottile e non pacifica, tra patrimoni separati e autonomi (V. Cap. I, par. 2.2), L.
BULLO, op. cit., p. 574, osserva che «forse l’espressione patrimonio autonomo utilizzata dal TUF con riguardo al
fondo comune di investimento non appare più adeguata, facendo trasparire detta espressione una sottostante visione del
fondo comune ancorata più ad una presupposta titolarità da parte di una pluralità di partecipanti che non all’unicità del
soggetto gestore unico titolare formale dei beni del fondo».
94
P. CARLUCCIO, op. cit., p. 266.
24
La separazione patrimoniale negli affari
sono ammesse azioni né dei creditori della società di gestione del risparmio o
nell'interesse della stessa, né quelle dei creditori del depositario o del sub
depositario o nell'interesse degli stessi 95.
Soffermiamoci per il momento sul secondo periodo del quarto comma, nella
parte in cui menziona i diversi soggetti coinvolti nella gestione del fondo e
disciplina le pretese che eventualmente possono avanzare. Vi sono innanzitutto i
“creditori della società di gestione”: tali sono soltanto i creditori della Sgr, le cui
ragioni di credito non sono affatto collegate con il fondo e con la relativa attività
di investimento; la regola per cui essi non possano vantare alcuna pretesa sul
patrimonio del fondo è oggi più comprensibile che in passato perché risulta essere
precipitato logico della qualificazione del fondo quale patrimonio separato della
Sgr 96.
Altro soggetto menzionato perché coinvolto nella gestione del fondo è il
depositario, il cui ruolo e le cui funzioni saranno esaminate più nel dettaglio nel
prosieguo della trattazione 97; ai fini che qui interessano è sufficiente rilevare che
l’obbligo imposto ai gestori di depositare i beni costituenti i fondi presso un
soggetto terzo ha la funzione di garantire il rispetto del principio di separazione
patrimoniale e medesima ratio ha anche la disciplina del sub-deposito, che
permette al depositario, a sua volta, di depositare presso un altro soggetto i beni
ricevuti dal gestore 98. Al fine di evitare la confusione tra patrimoni poiché il
depositario potrebbe avere presso di sé sia beni propri che beni depositati da terzi,
il legislatore e le Autorità di vigilanza hanno fissato delle norme a disciplina del
deposito (e del sub-deposito) che obbligano il depositario a rubricare i beni di
pertinenza dei diversi fondi in appositi conti intestati all’Oicr o al comparto, in
95
Per un altro caso di separazione c.d. bilaterale ed il parallelismo con la separazione c.d. unilaterale, V. “I patrimoni
destinati ad uno specifico affare”, Cap. I, par. 3.2.
96
Per cogliere appieno la portata innovativa di tale inquadramento giuridico si confronti l’attuale formulazione dell’art.
36 TUF con la previgente (prima che l’art. 36 TUF venisse riformato dall’art. 32 del d.l. n. 78 del 2010): in forza della
norma previgente, il fondo comune era sottratto alle pretese di tutti i creditori della società di gestione del risparmio,
senza alcuna distinzione, risultando dunque compresi – e quindi incapaci di vantare pretese sul patrimonio del fondo –
anche quei creditori il cui credito derivava da un’attività funzionale all’investimento. Cfr. L. BULLO, op. cit., p. 576 e
ss..
97
V. Cap. II, par. 10.
98
C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, op. cit., p. 314. Nello stesso senso C.
PETRONZIO, I patrimoni distinti nel diritto del mercato finanziario, in I contratti del mercato finanziario, (a cura di E.
GABRIELLI – R. LENER), Torino, 2011, Tomo I, p. 404.
25
La separazione patrimoniale negli affari
modo tale da evitare l’apprensione di beni di un fondo al patrimonio generale del
depositario 99.
Infine, nella parte in cui si stabilisce che “non sono ammesse azioni
nell’interesse” della Sgr, del depositario o del sub-depositario, s’intende
specificare che sono precluse sul patrimonio del fondo anche le azioni
eventualmente esercitabili in via surrogatoria dai creditori dei menzionati soggetti
per crediti vantati dagli stessi nei confronti del fondo (ad esempio il credito
derivante dalla provvigione per la gestione) 100.
È sempre l’art. 36, comma 4, TUF, a stabilire che «le azioni dei creditori dei
singoli investitori sono invece ammesse soltanto sulle quote di partecipazione dei
medesimi». Tale previsione è coerente con l’essenza della gestione collettiva del
risparmio: al momento dell’acquisto delle quote di partecipazione ad un fondo,
l’investitore non affida alla Sgr una parte del proprio patrimonio perché resti
separata dai patrimoni di altri investitori ma la affida al gestore perché la gestisca
in monte, collettivamente. Ciò significa che l’apporto del singolo va a confluire e
confondersi in un patrimonio unico, costituito dagli investimenti di tutti i soggetti
che aderiscono al fondo 101, e ai singoli investitori sono assegnate delle quote
rappresentative della partecipazione 102. I partecipanti al fondo non possono
dunque chiedere la divisione del fondo ma solo il rimborso delle loro quote, che
deve essere eseguito in denaro. Di conseguenza neanche i creditori personali dei
partecipanti potranno agire direttamente sui beni costituenti il patrimonio del
fondo e pertanto potranno soddisfarsi solo sul ricavato della vendita coattiva delle
quote dei propri debitori 103.
Passando ora ad analizzare il primo periodo del quarto comma dell’art. 36,
TUF, si legge che «delle obbligazioni contratte per conto del fondo, la Sgr
risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo». Per
99
L. BULLO, op. cit., p. 578.
Ivi, p. 577.
101
V. RENZULLI, A. TUCCI, I fondi comuni di investimento, in Diritto del mercato finanziario. Saggi (diretto da R.
LENER), Torino, 2011, p. 324.
102
V. amplius infra Cap. II, par. 7.2.
103
L. BULLO, op. cit., p. 580. A tal proposito l’A. richiama la disciplina della comunione per evidenziare la differente
posizione riconosciuta ai creditori personali dei comunisti. Ricorda infatti che «il creditore personale del partecipante ad
una comunione in senso tecnico ex art. 1100 c.c. […] può agire sui beni indivisi ai sensi degli artt. 599 e 600 c.p.c.
anche quando non è creditore di tutti i comunisti». Per mezzo di tale richiamo l’A. ha voluto far emergere le peculiarità
della disciplina dei fondi comuni di investimento e dunque le differenze con la comunione.
100
26
La separazione patrimoniale negli affari
comprendere l’effettivo significato di questa prescrizione, occorre tenere a mente
innanzitutto che il fondo non è dotato di autonoma capacità di agire poiché è un
patrimonio separato della Sgr che lo ha costituito; perciò tutte le obbligazioni,
sebbene contratte per conto del fondo, sono in primis necessariamente
obbligazioni della società gerente perché dalla stessa contratte. È infatti la Sgr
che, tramite i propri organi, pone in essere l’attività di gestione del fondo 104: tutte
le operazioni concluse dalla società di gestione sul mercato sono quindi effettuate
dalla società in nome proprio e solo successivamente imputate ai singoli fondi105.
È dunque onere del gestore designare i beneficiari degli atti posti in essere,
individuando tra i diversi patrimoni (autonomi) gestiti quello che godrà o risentirà
degli effetti giuridici degli stessi. Tale operazione, equiparabile alla “menzione del
vincolo di destinazione” prevista in tema di patrimoni destinati ad uno specifico
affare (ex art. 2447-quinquies, ult. comma, c.c.) 106, è «l’indice esterno di
riferibilità dell’atto al patrimonio destinato» 107; in tal modo «l’atto è
immediatamente riferito all’uno piuttosto che all’altro patrimonio, in ciò
concorrendovi anche l’agire del terzo, il quale partecipa alla menzione del vincolo
di destinazione e aderisce alla scelta del compendio patrimoniale che – più o
meno intensamente a seconda del codice organizzativo adottato – rappresenterà
l’oggetto di garanzia generica nell’eventualità di inadempimento delle
obbligazioni con lui contratte»108.
Partendo da tale assunto, comprendiamo che sebbene la norma stabilisca
apertis verbis che delle obbligazioni contratte per conto del fondo la Sgr risponda
esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo, ciò non implica che siano
automaticamente precluse ai creditori insoddisfatti le azioni nei confronti del
soggetto cui si riferisce il patrimonio separato 109. L’attuale formulazione del
104
F. GENTILONI SILVERI, Limiti di responsabilità patrimoniale nei fondi comuni di investimento. Novità recenti:
tra giurisprudenza e legislazione (nota a: Cass. Civ., 15 luglio 2010, n. 16605, sez. 1), in Banca borsa tit. cred., 2011,
fasc. 4, p. 439.
105
Ivi, p. 441.
106
V. Cap. I, par. 3.2.
107
A. GEMMA, Destinazione e finanziamento, Torino, 2005, p. 113.
108
A. D. SCANO, Fondi comuni immobiliari e imputazione degli effetti dell’attività di investimento (nota a Cass. Civ.,
15 luglio 2010, n. 16605, sez. 1), in Giurisprudenza commerciale, 2011, fasc. 5, p. 1141 e ss..
109
F. GENTILONI SILVERI, op. cit., p. 443 e ss., sostiene inoltre che «la modifica dell’art. 36, comma 6, TUF [oggi
comma 4] […] potrebbe accreditare interpretazioni incompatibili con il sistema dei fondi comuni di investimento (tanto
da impegnare le società di gestione in contenziosi di lunga e complessa definizione) […] In particolare, dovendosi dare
per scontato che il patrimonio del fondo comune costituisca la garanzia per le obbligazioni contratte nel suo interesse,
27
La separazione patrimoniale negli affari
quarto comma dell’art. 36, TUF, non è stata giudicata positivamente dalla
dottrina; al contrario, è stata criticata in quanto si ritiene presti il fianco a diverse
interpretazioni e causi dunque incertezze applicative 110. Nonostante tali
osservazioni e tali obiezioni, la dottrina prevalente oggi ritiene - come già
accennato sopra - che viga, rispetto ai fondi comuni di investimento, un regime di
segregazione patrimoniale bilaterale che non permette al “creditore del fondo”,
anche a fronte dell’eventuale incapienza di quest’ultimo, per ciò solo di aggredire
il patrimonio generale del gestore 111. A tal proposito è stato osservato che le
separazioni patrimoniali nell’esercizio dell’impresa rispondono a una ratio ben
precisa: limitare il rischio economico sopportato dall’imprenditore. Alla luce di
ciò, nel caso in esame, invocare una responsabilità patrimoniale anche solo
sussidiaria della società gerente nei confronti dei “creditori del fondo” si
risolverebbe nell’affermare una posizione di garanzia della società rispetto
all’attività
di
investimento,
«trasformando
la
relativa
obbligazione
da
obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato: ciò che non risponde alla
filosofia dei fondi comuni e al ruolo che il gestore è chiamato a interpretare» 112.
Questa appena delineata è l’impostazione generale dei fondi comuni di
investimento, cui riferire tutti i fondi indipendentemente dalla loro natura (fondi
aperti o chiusi, riservati ecc.). I criteri cui devono uniformarsi e le norme di
dettaglio in merito alle varie categorie di fondi istituibili sono oggi contenuti nel
d. m. 24 maggio 1999, n. 228 113. Benché prima dell’introduzione del TUF la
da ciò difficilmente può trarsi la conseguenza che i creditori insoddisfatti rimangano tali». L’Autore dunque conclude
auspicando un intervento del legislatore che completi la disciplina delle azioni dei creditori, delineando, se possibile,
una disciplina generale della limitazione di responsabilità nella gestione per conto terzi.
110
L. BULLO, op. cit., p. 583 e ss., inoltre sostiene che si sarebbe giunti a un risultato più soddisfacente «prevedendo
che “per le obbligazioni contratte dalla Sgr per conto di ciascun fondo, o di ciascun comparto dello stesso fondo,
risponde esclusivamente il patrimonio dello stesso fondo o comparto” […] L’avverbio esclusivamente sembrerebbe
voler […] limitare le azioni dei creditori del fondo al solo patrimonio gestito».
111
Ivi, p. 584. Cfr. F. GENTILONI SILVERI, op. cit., p. 443 e ss.. e TROIANO, Commento sub art. 36 e 37, in Testo
unico della finanza, (a cura di FRATINI - GASPARRI), Torino, 2012.
112
A. D. SCANO, op. cit., p. 1145.
113
Con il citato decreto, il Ministro dell’economia e delle finanze ha dato attuazione alla delega contenuta nell’art. 39
TUF in base alla quale «il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la
Consob, determina i criteri generali cui devono uniformarsi gli Oicr italiani con riguardo: a) all'oggetto
dell'investimento; b) alle categorie di investitori cui è destinata l'offerta delle quote o azioni; c) alla forma aperta o
chiusa e alle modalità di partecipazione, con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote,
all'eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire; d) all'eventuale durata minima e
massima; e) alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti dei beni, sia
in fase costitutiva che in fase successiva alla costituzione del fondo».
28
La separazione patrimoniale negli affari
materia fosse regolata da norme di rango primario 114, è stato osservato come oggi
la regolamentazione da parte di norme di rango secondario garantisca la
possibilità di un suo rapido adeguamento alle mutevoli esigenze delle attività
finanziarie, come innegabilmente dimostrato dai numerosi interventi modificativi
che hanno riguardato il citato decreto 115.
5.3
Le società di cartolarizzazione
La separazione patrimoniale è la pietra angolare delle cartolarizzazioni ed è
lo strumento che consente la loro corretta realizzazione. La cartolarizzazione 116 è
un’operazione che consiste nella cessione di una massa di crediti «ad una società
veicolo appositamente costituita (Special Purpose Vehicle o SPV) 117 che emette i
titoli di cartolarizzazione (cc. dd. titoli derivati), poi collocati presso il pubblico e
rimborsati con i flussi finanziari provenienti da attivi ceduti ed acquistati a loro
volta con i proventi derivanti dal collocamento dei titoli»118.
Le prime operazioni di cartolarizzazione sono state articolate negli anni
Settanta dalle banche statunitensi al fine di smobilizzare i mutui fondiari concessi
114
V. RENZULLI,, A. TUCCI, , op. cit. , p. 345, nota 71.
L., BULLO, op. cit., p. 555.
116
Questo termine deriva da chartula, il documento che incorpora i diritti di credito. Esso ha per un verso il vantaggio
di esprimere l’essenza della cartolarizzazione, poiché evoca il meccanismo dell’incorporazione, ma, per altro verso, è
stato giudicato poco appropriato poiché nella maggior parte dei casi i titoli in questione sono gestiti in maniera
accentrata e assoggettati al regime della dematerializzazione.
117
Il legislatore ha predisposto tre diversi moduli per la realizzazione delle operazioni di cartolarizzazione. Il modulo
tradizionale – e privilegiato nel nostro ordinamento - prevede la cessione di crediti ad una società veicolo. La cessione
può anche avvenire a favore di un fondo comune di investimento – purché di tipo chiuso - nel qual caso i titoli non sono
altro che quote di partecipazione al fondo e l’investitore ottiene interessi e rimborso secondo le scadenze predeterminate
nel regolamento del fondo, V. L. PICARDI, “Fondo comune di crediti” e separazione patrimoniale, in Patrimoni
separati e cartolarizzazione, (a cura di M. TAMPONI), Roma, 2006 p. 106 e ss.. Infine l’operazione può realizzarsi
mediante l’erogazione di un finanziamento al cedente (originator - finanziato) da parte della società che emette i titoli
(c.d. subparticipation). In tal caso la separazione si ha su due fronti. Da un lato il finanziato e cioè l’originario soggetto
generatore dei crediti, pur conservando la titolarità degli stessi, li distacca dal restante patrimonio per destinarli ad
esclusiva garanzia degli investitori. Dall’altro il finanziatore, pur essendo il soggetto emittente i titoli, non risponde nei
confronti dei portatori di questi con tutto il suo patrimonio, ma solo con il flusso finanziario generato dai crediti
cartolarizzati. Tale ultimo modulo attuativo comporta una speciale forma di separazione patrimoniale caratterizzata
dalla riserva di una parte del patrimonio dell’originator - finanziato a garanzia dei creditori di un soggetto diverso
(finanziatore - emittente). V. L. CAROTA, La cartolarizzazione dei crediti, in I contratti del mercato finanziario, (a
cura di E. GABRIELLI – R. LENER), Torino, 2011, Tomo II, p. 1532 e ss.. Nel presente lavoro si farà comunque
riferimento al modulo tradizionale di cartolarizzazione che prevede la cessione dei crediti a uno SPV perché più
frequentemente utilizzato nella pratica degli affari e dunque più diffusamente studiato.
118
S. MACCARONE, Gli strumenti di articolazione del patrimonio nell’esperienza bancaria, in Gli strumenti di
articolazione del patrimonio: profili di competitività del sistema, (a cura di G. CAPALDO – M. BIANCA), Milano,
2010, p. 82.
115
29
La separazione patrimoniale negli affari
e ottenere nuova liquidità. Originandosi in un sistema di common law e
realizzandosi tramite il ricorso a istituti tipici di quella tradizione giuridica - in
particolare il trust - le operazioni di cartolarizzazione hanno tardato ad apparire
nell’Europa continentale: le prime sono state realizzate solo alla fine degli anni
Ottanta e in Italia addirittura alle porte degli anni Duemila. È infatti del 1999 la
legge che regola le cartolarizzazioni (L. 30 aprile 1999, n. 130) e che permette
quindi anche alle banche italiane di godere dei benefici che queste operazioni
comportano 119.
L’operazione di cartolarizzazione è particolarmente complessa e richiede
l’intervento di diversi soggetti. Vi è innanzitutto un originator (cedente) che,
nell’esercizio dell’attività bancaria o di intermediazione finanziaria, eroga crediti.
Egli può decidere di cedere in blocco, a titolo oneroso, crediti pecuniari sia
esistenti sia futuri; le somme corrisposte dai debitori ceduti dovrà però destinarle
in via esclusiva al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli che ha emesso
nell’ambito dell’operazione per ottenere liquidità e acquistare quei crediti (art. 1,
comma 1, lett. b), l.130/1999).
La materiale esecuzione dell’operazione è invece gestita da un altro
soggetto, il c.d. servicer, che sorveglia sulla regolarità dei flussi, riscuote i crediti
ed effettua i servizi di cassa 120 .
Infine, qualora i titoli oggetto delle operazioni di cartolarizzazione siano
offerti a investitori non professionali, interviene nell’operazione anche un’agenzia
di rating esterna che assegna ai titoli emessi un rating 121. In ogni caso, tutti gli
investitori, prima di acquistare dei titoli, saranno tenuti a valutare il rendimento
degli stessi e quindi in primis il grado di probabilità di realizzazione dell’insieme
119
L. CAROTA, op. cit., p. 1502.
Servicer è generalmente lo stesso originator, avvantaggiato, nello svolgimento del compito, dal rapporto privilegiato
con i debitori. L’attività del servicer è però soggetta a riserva di attività in forza della quale solo banche e intermediari
finanziari, iscritti nell’apposito elenco speciale previsto dall’art. 107 TUB possono esercitarla (art. 2, comma 6, l.
130/1999). Ne deriva che, qualora l’originator non sia né una banca né un intermediario finanziario, servicer dovrà
essere un soggetto terzo. V. L. CAROTA, op. cit., p. 1520.
121
Art. 2, comma 4, l. 130/1999. L. CAROTA, in op. cit., p. 1519, sottolinea l’importanza di una simile previsione alla
luce della difficoltà, per gli investitori non professionali, di definire il grado di affidabilità dell’affare. Si noti inoltre
che, a tutela dell’imparzialità di tale giudizio, l’art. 2, comma 5, l. 130/1999, prevede che la Consob stabilisca con
proprio regolamento i requisiti di professionalità ed i criteri idonei ad assicurare l’indipendenza degli operatori che
svolgono la valutazione del merito del credito. La Consob ha a ciò provveduto adottando, con la delibera 2 novembre
1999, n. 12175, un apposito regolamento. In merito ai diversi livelli di rating V. amplius S. MACCARONE, op. cit., p.
83.
120
30
La separazione patrimoniale negli affari
dei crediti posti a garanzia del soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli
emessi 122.
Obiettivo primario di chi decide di cartolarizzare i crediti che ha in pancia è
quello di ottenere liquidità senza ricorrere ai normali strumenti di finanziamento
(prestito bancario, emissione di obbligazioni, aumento di capitale), trasferendo
completamente – qualora la cessione avvenga pro soluto – il rischio di insolvenza
del debitore allo SPV 123.
A chi acquista i titoli emessi è assicurata la possibilità di soddisfare le
proprie pretese sul patrimonio separato costituito dai flussi finanziari derivanti
dalla riscossione dei crediti ceduti e, al tempo stesso, è negata a tutti gli altri
creditori della società veicolo la possibilità di avanzare pretese su detto
patrimonio. La disciplina completa della separazione patrimoniale nelle
operazioni di cartolarizzazione è data dalla lettura congiunta dell’art. 1, comma 1,
lett. b), con l’art. 3, comma 2 e l’art. 4, comma 2, della l. 130/1999 124. Da una
siffatta lettura si ricava che i crediti relativi a ciascuna operazione di
cartolarizzazione effettuata da uno SPV costituiscono un “patrimonio separato a
tutti gli effetti” 125 sia da quello della società, sia da quello relativo alle altre
operazioni da essa eventualmente realizzate. Dalla data di efficacia della cessione
dei crediti - e cioè dalla pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale - su
ciascun patrimonio separato sono esercitabili soltanto le azioni dei portatori dei
titoli emessi dalla società di cartolarizzazione.
Come già messo in luce negli altri casi di separazione patrimoniale già
esaminati, anche nel caso delle operazioni di cartolarizzazione sorge un problema:
comprendere l’effettiva portata della segregazione che il legislatore ha introdotto.
Sebbene la legge specifichi che sul patrimonio separato non sono ammesse azioni
di soggetti che non siano portatori di titoli derivati, la legge non si pronuncia in
merito alla possibilità, per i portatori dei titoli, di agire sul patrimonio generale
122
L. CAROTA, op. cit., p. 1516. Alla luce di ciò S. MACCARONE, op. cit., p. 83, spiega che «i titoli emessi in
operazioni di questo genere sono normalmente divisi in categorie, senior, mezzanine e junior, in regressione di qualità e
con rendimenti e rischio quindi crescenti».
123
L. CAROTA, op. cit., p. 1522.
124
P. CARLUCCIO, op. cit., p. 265.
125
Si noti come la medesima espressione “patrimonio distinto a tutti gli effetti” sia stata usata dal legislatore per
definire il regime di separazione patrimoniale sia in tema di gestione di portafogli (art. 22 TUF) sia in tema di gestione
in monte (art. 36 TUF). V. supra par. 5.1 – 5.2.
31
La separazione patrimoniale negli affari
della società di cartolarizzazione per soddisfare le proprie pretese qualora il
patrimonio separato a sé destinato risultati insufficientemente capiente. La
questione quindi, non può essere risolta se non in via interpretativa. A tal
proposito è stato osservato che «obiettivo della l. 130/1999 è consentire
l’importazione nel nostro sistema di un modello giuridico proveniente dal mondo
anglosassone,
la
cui
realizzazione
in
quell’ambito
avviene
attraverso
l’utilizzazione dell’istituto del trust»126. Parte della dottrina ha anche sottolineato
la inidoneità di una “separazione” che non provochi una vera e propria
segregazione, analogamente a quanto avviene per i beni costituiti in trust.
Considerando quindi tanto il dato letterale della legge – che parla di patrimonio
separato - quanto la ratio legis e le osservazioni della dottrina, si può concludere
che la separazione prevista dalla l. 130/1999 può essere classificata come
“separazione in senso stretto”, il che comporterebbe l’esclusiva destinazione del
flusso finanziario generato dai crediti cartolarizzati al soddisfacimento delle
pretese dei portatori dei titoli emessi. A ciò, d’altra parte, dovrebbe corrispondere
un’equivalente circoscrizione della responsabilità patrimoniale della società. In un
siffatto sistema il soddisfacimento dei diritti degli investitori dipenderebbe dunque
in modo diretto ed esclusivo dalla realizzazione dei crediti cartolarizzati 127.
126
L. CAROTA, op. cit., p. 1530.
L. CAROTA, op. cit., p. 1531. Contra F. SANTONASTASO, il quale sostiene che è da escludere una separazione
biunivoca tra il patrimonio della società e il patrimonio della singola operazione di cartolarizzazione. Egli ritiene che,
sebbene sia indubbio che i creditori della società non abbiano azione sul patrimonio separato, non è vero l’inverso, in
quanto i creditori del patrimonio separato hanno azione sul patrimonio della società. V amplius F. SANTONASTASO,
Le società di diritto speciale in Trattato di diritto commerciale, (diretto da V. BUONOCORE), Torino, 2009, sez. IV,
Tomo X, p. 249; cfr. GUERRIERI, Art. 1. Ambito di applicazione e definizioni, in Legge 30 aprile 1999, n. 130.
Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti, Commentario, (a cura di MAFFEI – ALBERTI), Leggi civ. comm.,
2000, Tomo V, p. 1020.
127
32
La separazione patrimoniale negli affari
II CAPITOLO: Le società di gestione del risparmio (Sgr)
INTRODUZIONE: I mercati regolamentati
L’attività di impresa è nel nostro ordinamento regolata da numerose norme
contenute sia nel Codice Civile che nella legislazione di settore.
Il Codice civile detta un corpo di norme, generalmente definito come
“Statuto generale dell’imprenditore”, applicabile sempre a imprenditori
individuali e collettivi; poi, ogni qualvolta alla luce dei criteri fissati dal Codice
l’imprenditore considerato svolga attività qualificabile come commerciale 128 (art.
2195 c.c.), dovrà essere applicato, in aggiunta allo Statuto generale, lo “Statuto
dell’imprenditore commerciale”.
Individuando in tali norme il sostrato della disciplina di tutte le attività
economiche, è necessario, di volta in volta, considerare anche le eventuali
discipline speciali previste per i singoli settori (c.d. “Statuti settoriali”) 129.
Diverse sono le ragioni che spingono il legislatore a introdurre queste norme
speciali ma, ai fini della presente trattazione, viene in rilievo in particolare
l’esigenza di tutelare il risparmio perché, come stabilito dall’art. 47 Cost., «la
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme».
Il risparmio, nella sua accezione macroeconomica, può essere definito come
«l’insieme delle risorse della collettività che non vengono destinate al
consumo»130; tali risorse pertanto possono essere impiegate in vari modi, ad
esempio depositate presso una banca o investite sul mercato. Le operazioni che
hanno a oggetto il risparmio sono effettuate generalmente nel mercato bancario, in
quello finanziario e in quello assicurativo. Nonostante le peculiarità di ciascun
mercato, e quindi delle rispettive discipline, il dettato dell’art. 47 Cost. pare essere
il leitmotiv della normativa nel complesso considerata.
128
G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Diritto dell’impresa, Torino, 2012, p.22.
Aa. Vv. , Diritto delle imprese. Manuale breve, Milano, 2012, p. 331.
130
Aa. Vv. , ivi, p.332.
129
1. Il mercato finanziario: gli operatori
Il mercato finanziario, a volte definito anche mercato mobiliare, è
«l’insieme degli scambi e delle attività avanti ad oggetto i valori mobiliari o gli
strumenti finanziari»131. L’art. 1 del TUF, commi 1 bis, 1 ter e 2, definisce i valori
mobiliari e gli strumenti finanziari. Dalla lettura delle citate norme si evince che,
oggigiorno, sono numerosissimi i beni che possono essere scambiati nei mercati
finanziari. Oltre ad azioni ed obbligazioni (art. 1, comma 1 bis, lett. a) e b) ),
figurano infatti anche titoli di Stato (art. 1, comma 1 ter), quote di organismi di
investimento collettivo del risparmio (art. 1, comma 2 lett. c) ) e strumenti derivati
per il trasferimento del rischio del credito, cc.dd. derivati (art. 1, comma 2, lett. h).
Nel mercato finanziario i principali operatori sono gli emittenti e gli
intermediari finanziari: mentre i primi sono imprese che per finanziarsi emettono
valori mobiliari e strumenti finanziari, i secondi provvedono alla distribuzione e al
collocamento di tali beni presso i risparmiatori 132.
L’attività degli intermediari finanziari è di fondamentale importanza per un
corretto ed efficiente funzionamento del mercato, poiché l’incontro tra l’offerta di
valori mobiliari e la domanda degli stessi può, solo in rari casi, realizzarsi senza
l’ausilio di soggetti terzi. I risparmiatori, infatti, potrebbero non essere a
conoscenza dei diversi prodotti offerti sul mercato e delle relative caratteristiche
ma, ancor di più, potrebbero non essere capaci di (o disposti a) finanziare la
società emittente per l’intero suo fabbisogno. Si pongono inoltre problemi di
concentrazione del rischio che generalmente spingono gli operatori del mercato a
diversificare gli investimenti, evitando di impiegare tante risorse in un’unica
azienda o in uno stesso settore 133. Tutte queste problematiche sono attenuate e in
parte risolte grazie all’attività svolta dagli intermediari finanziari che, appunto, si
interpongono tra le imprese emittenti e i risparmiatori-investitori.
131
Aa.Vv. , op. cit., p.332.
Aa.Vv. , op. cit., p. 337.
133
R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2013, p.3.
132
34
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
2. L’intermediazione finanziaria
Gli intermediari finanziari prestano servizi riconducibili alternativamente a
una delle seguenti categorie:
 Gestione individuale del risparmio (servizi e attività di investimento, artt.
da 18 a 32 ter TUF),
 Gestione collettiva del risparmio (artt. da 32 quater a 50 quinquies).
2.1
La gestione individuale del risparmio
La gestione individuale del risparmio consiste nella prestazione di servizi ed
attività di investimento, aventi ad oggetto strumenti finanziari, effettuati su
richiesta di singoli investitori e consistenti, in base a quanto disposto dall’art. 1,
comma 5, in:
a. negoziazione per conto proprio;
b. esecuzione di ordini per conto dei clienti;
c. sottoscrizione e/o collocamento con assunzione a fermo ovvero con assunzione di
garanzia nei confronti dell'emittente;
c-bis) collocamento senza assunzione a fermo né assunzione di garanzia nei confronti
dell'emittente;
d. gestione di portafogli;
e. ricezione e trasmissione di ordini;
f. consulenza in materia di investimenti;
g. gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.
L’esercizio di tali attività, elencate tassativamente dal legislatore, è riservato alle
sole imprese di investimento - società di intermediazione mobiliare (Sim) e
imprese di investimento estere - e alle banche (art. 18 TUF). Tali enti, per poter
esercitare queste attività, devono essere autorizzati dalla Consob che procede, con
apposito provvedimento, sentita la Banca d’Italia (art. 19 TUF).
Tra le attività sopra elencate la gestione di portafogli, di cui alla lett. e), è la più
caratterizzante dell’ambito perché ha in sé l’essenza della gestione individuale.
Essa, infatti, è definita come una «gestione su base discrezionale e
35
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
individualizzata», effettuata in forza di un mandato conferito dal cliente (art. 1,
comma 5 quinquies TUF). Tratto essenziale dunque della gestione individuale che la contraddistingue da quella collettiva - è il diritto del singolo investitore di
«impartire [all’intermediario] istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da
compiere» (art. 24 comma 1 T.U.F.).
2.2
La gestione collettiva del risparmio
Dare una definizione di gestione collettiva del risparmio – anche nota come
gestione in monte - non è oggi semplice: il continuo recepimento, da parte del
nostro legislatore, delle direttive comunitarie che disciplinano la materia ha
determinato un «complesso gioco di “scatole cinesi” che rimbalzano il lettore da
una definizione all’altra» 134. Da ultimo, si è proceduto al recepimento della
direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva
AIFM), tramite il D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44, che, oltre ad aver innovato la
disciplina del c.d. “passaporto europeo”, ha riformulato alcune definizioni
contenute nell’art. 1 TUF «in termini certamente più efficaci e meno
autoreferenziali»135.
L’attuale formulazione dell’art. 1, comma 1, lett. n), TUF stabilisce che la
gestione collettiva del risparmio è «il servizio che si realizza attraverso la gestione
di organismi di investimento collettivi del risparmio (Oicr) e dei relativi rischi». A
sua volta la lettera k) dello stesso articolo definisce l’Oicr come «l'organismo
istituito per la prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio, il cui
patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l'emissione e
l'offerta di quote o azioni, gestito in monte nell'interesse degli investitori e in
autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, […] o
altri beni mobili o immobili, in base a una politica di investimento
predeterminata».
134
F. SIGNORELLI, La gestione individuale e collettiva del risparmio. Gli intermediari finanziari non bancari, in
Manuale del mercato mobiliare (a cura di F. Iudica), Torino, 2012, p. 176.
135
P. CARRIÈRE, La riformulazione della riserva di attività alla gestione collettiva del risparmio e le SICAF: luci e
ombre, in Rivista delle soc., 2014, p.453.
36
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
Le precedenti formulazioni delle norme appena richiamate erano lacunose e
ciò aveva comportato frequenti fenomeni di abusivismo136. Pertanto, è stato
ritenuto opportuno modificarle, introducendo prescrizioni più generali al fine di
«rendere “riservata” qualsiasi modalità o forma con cui quella stessa attività [di
gestione collettiva del risparmio] possa essere svolta»137.
Si noti, infatti, il diverso e più specifico tenore delle norme previgenti. L’attività
di gestione collettiva del risparmio poteva concretarsi in:
 promozione, istituzione e organizzazione di fondi comuni di
investimento e amministrazione dei rapporti con i partecipanti;
 gestione del patrimonio di Oicr, di propria o altrui istituzione, mediante
l’investimento avente ad oggetto strumenti finanziari, crediti o altri beni
mobili o immobili.
D’altra parte, Oicr erano soltanto i fondi comuni di investimento e le società di
investimento a capitale variabile (Sicav), costituiti rispettivamente in forma
“contrattuale” e “societaria”.
Dal combinarsi di queste disposizioni ne derivava che l’attività di gestione
collettiva poteva avere a oggetto esclusivamente fondi comuni o Sicav 138 e
«risultavano, dunque, sostanzialmente sottratte alla riserva [di attività] tutte quelle
modalità di svolgimento dell’attività in questione che – pur venendo a integrare
nella sostanza […] un servizio gestorio di patrimoni “in monte” – non fossero
formalmente riconducili ad alcuno dei due (soli) schemi operativi allora
disponibili agli operatori per il suo svolgimento (fondi comuni di investimento e
Sicav)»139.
A questo punto, prescindendo dall’esame dei soli dati normativi e
abbandonando un approccio puramente dogmatico 140, emerge che la gestione
collettiva del risparmio consiste nello svolgimento di operazioni di investimento e
disinvestimento, aventi ad oggetto i beni che compongono gli Oicr, seguendo le
politiche e le strategie fissate nel regolamento. È una gestione effettuata in forza
136
P. CARRIÈRE., ivi , p. 451.
P. CARRIÈRE, ibidem.
138
P. CARRIÈRE, op. cit. , p.451.
139
P. CARRIÈRE, op. cit. , p. 452.
140
F. SIGNORELLI, op. cit., p. 176.
137
37
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
di criteri standardizzati, «preconfezionati e prestabiliti dal gestore» 141, come tali
tendenzialmente immutabili, che «non lasciano spazio alla considerazione delle
esigenze individuali degli investitori»142, tanto da determinare il loro
“assorbimento” nell’interesse facente capo alla massa 143. I partecipanti all’Oicr
non hanno «alcun rapporto “interlocutorio” con il gestore»144 e pertanto, diritti di
interferenza e indirizzo delle politiche di gestione vengono riconosciuti, non ai
quotisti uti singuli, ma al più ad una collettività di investitori, solo nei casi
espressamente stabiliti dalla legge (art. 37, comma 3 TUF) 145.
L’obiettivo di una tale gestione è di determinare un «incremento del valore
del patrimonio dell’Oicr»146, realizzando mediatamente l’interesse degli
investitori che «partecipano pro quota ai risultati della gestione del patrimonio
comune»147. Gli investitori, dunque, sopporteranno le eventuali perdite conseguite
dall’Oicr o beneficeranno degli incrementi di valore dello stesso, ma pur sempre
in una dimensione collettiva. Allo scadere del contratto di investimento i
risparmiatori, non potendo vantare alcun diritto sui singoli beni costituenti il
patrimonio comune, potranno richiedere solo il «rimborso della [propria] quota [di
partecipazione], sotto forma di liquidazione di una somma di denaro»148.
È opportuno però mettere in luce che, nonostante l’essenza della gestione in
monte sia quella appena delineata e non sia mutata in forza delle recenti riforme,
le modifiche introdotte nel 2014 hanno comunque comportato l’eliminazione dal
dato testuale della distinzione tra le due attività esercitabili dalle Sgr: promozione
e organizzazione del fondo e amministrazione dei rapporti con i partecipanti da un
lato e gestione del patrimonio dall’altro. Tale scissione comportava la possibilità
di qualificare le Sgr come “di promozione” o “di gestione”, a seconda del servizio
concretamente prestato. Il risultato complessivo dell’investimento poteva dunque
essere il frutto del combinarsi delle attività di due società distinte, impegnate in
141
F. SIGNORELLI, op. cit., p. 176.
F. ANNUNZIATA, op. cit. , p. 249
143
V. RENZULLI, A. TUCCI, I fondi comuni di investimento in Diritto del mercato finanziario. Saggi (diretto da R.
LENER), Torino, 2011, p. 325.
144
V. RENZULLI, A. TUCCI, ibidem.
145
F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società,
(diretto da G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 249.
146
C. PETRONZIO, La nozione di gestione e la separazione patrimoniale, in Diritto del mercato finanziario. Saggi,
(diretto da R. LENER) Torino, 2011, p. 297.
147
C. PETRONZIO, ivi, p. 296.
148
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 325.
142
38
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
due fasi diverse ma successive della gestione del risparmio altrui. Questa
impostazione si ripercuoteva sul regime di responsabilità dei gestori verso la
clientela: il previgente art. 36, comma 5 TUF, prevedeva infatti la responsabilità
solidale della Sgr di gestione e di quella di promozione nei confronti degli
investitori 149. Oggi però «sembra che le dette attività debbano essere esercitate
congiuntamente dalla stessa Sgr» 150. Tale lettura sembra corroborata dalla
Relazione illustrativa al D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44 che testualmente stabilisce
che «l'attuazione della direttiva AIFMD comporta il superamento del modello
italiano che [consentiva] alle Sgr di prestare disgiuntamente le attività di gestione
di patrimoni e di promozione»151 152.
È necessario ricordare infine che la normativa di settore, a seguito delle
recenti modifiche, classifica gli organismi di investimento collettivi del risparmio
in base all’oggetto dell’investimento e alla normativa ad essi applicabile. Si
distinguono Oicr aperti e chiusi, Oicr alternativi, e tanti altri. Per un’elencazione
completa e per le relative definizioni si rinvia al TUF e in particolare all’art. 1.
Nella presente trattazione si farà più semplicemente riferimento a “fondi comuni
di investimento”, termine a lungo utilizzato e ormai invalso nell’uso comune.
2.3
Gestione individuale e gestione collettiva a confronto
Dopo aver tracciato i contorni della gestione individuale e di quella
collettiva, è opportuno individuare i caratteri comuni ai due servizi che sono:
 lo svolgimento di un’attività di investimento,
 il regime di separazione patrimoniale nella prestazione del servizio.
Tali elementi pur caratterizzando entrambe le forme di gestione, si atteggiano
diversamente nei due casi.
149
F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa, p. 250.
M. ROBERTI, L’attuazione della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi in Italia,
reperibile su
http://pluriscedam.utetgiuridica.it/main.html#mask=show_doc,ds_name=default,pos=2,opera=33,id=33CS1000112543,mode=quic
k_search,tipo=,_menu=quotidiano,highlight=marta roberti,_npid=331301663,__m=quotidiano.
151
Relazione illustrativa allo schema di D. Lgs. 4 marzo 2014 n. 44, p. 16.
152
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2014, p. 202.
150
39
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
L’intermediario finanziario svolge sempre un’attività di investimento ma,
mentre nella gestione individuale interagisce con un singolo investitore per
l’intera durata del rapporto, nella gestione collettiva egli raccoglie il risparmio di
tanti investitori per gestirlo in monte, agendo quindi per perseguire l’interesse
della collettività. Nei due casi diverso è l’oggetto dell’investimento: mentre nella
gestione individuale l’intermediario investe i risparmi del proprio cliente solo in
strumenti finanziari, nella gestione collettiva il risparmiatore, tramite il gestore,
acquista una quota di partecipazione a un Oicr, costituito, non solo da strumenti
finanziari, ma anche da altri beni (ad esempio crediti, beni mobili e/o immobili).
Per quanto attiene al secondo tratto comune delle due forme di gestione - e
cioè al regime di separazione patrimoniale – si noti che nella gestione individuale
ogni investitore conserva pieni diritti sui propri risparmi pur affidando la loro
gestione ad una Sim o ad altro intermediario autorizzato. Pertanto, il patrimonio di
ciascun cliente deve essere tenuto distinto sia dai patrimoni di altri, sia dal
patrimonio generale del gestore. Diversamente, nella gestione collettiva ogni
risparmiatore, impiegando parte dei propri averi per acquistare una quota di
partecipazione in un Oicr, non vanta alcun diritto sui singoli beni che
compongono il patrimonio comune. Non è dunque più possibile distinguere i
risparmi dei singoli investitori perché, a seguito della sottoscrizione del contratto
di investimento, ai singoli viene attribuita solo una quota di partecipazione al
patrimonio nel suo complesso considerato 153. Resta però fermo il regime di
separazione patrimoniale tra i diversi Oicr costituiti dal medesimo gestore.
3
Need for protection: la riserva di attività.
Da sempre le banche hanno avuto un ruolo centrale nella raccolta e nella
gestione del risparmio. Sin dagli anni Settanta però, si è iniziata ad avvertire
l’esigenza di superare tale regime di monopolio154, anche al fine di far fronte a
153
F. BILOTTI, La gestione collettiva, in Manuale di diritto del mercato finanziario (a cura di S. AMOROSINO),
Milano, 2014, p. 151.
154
V. LEMMA, La società di gestione del risparmio (SGR), in L’ordinamento finanziario italiano (a cura di F.
CAPRIGLIONE), Padova, 2010, II, p. 674.
40
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
nuove e diverse esigenze della clientela, soprattutto di quella che intendeva
investire – e non solo depositare – i propri risparmi.
In tale ambito, il primo intervento normativo, risalente al 1983 155, ha introdotto
nel nostro ordinamento un particolare tipo di società per azioni, avente per oggetto
esclusivo la gestione di fondi mobiliari aperti; nel decennio altri provvedimenti
hanno disciplinato anche i fondi chiusi 156 e quelli immobiliari 157.
Tali provvedimenti, se da un lato innovavano il quadro normativo
introducendo norme a disciplina dei gestori e dei vari tipi di fondi, dall’altro però
imponevano un regime di specializzazione operativa, che comportava una
“differenziazione soggettiva” delle società di gestione del risparmio, le quali
potevano gestire alternativamente o fondi mobiliari o immobiliari 158. Solo nel
1998, con l’emanazione del Testo Unico della Finanza, è stata introdotta la figura
del gestore unico, un soggetto che, previa autorizzazione, può sia gestire singoli
portafogli che gestire in monte il risparmio altrui, essendo del tutto irrilevante, ai
fini della disciplina (societaria) applicabile, l’impiego dei risparmi raccolti in
fondi aperti piuttosto che chiusi. Oggi dunque, le diverse politiche di investimento
seguite in concreto dalle Sgr si ripercuotono solo sull’assetto interno della società
e sulle sue strutture organizzative, di volta in volta da adattare alla luce delle
diverse linee di gestione seguite 159.
Per completezza espositiva, bisogna ricordare che l’ultimo passo verso una
completa omogeneizzazione dei soggetti abilitati alla gestione collettiva del
risparmio è stato compiuto nel 2007 quando, con provvedimento della Banca
d’Italia 160, è stata eliminata la riserva di attività prevista dalla normativa
secondaria 161 in favore delle Sgr speculative, uniche società allora abilitate a
gestire gli omonimi fondi.
155
Legge 23 marzo 1983, n. 77.
Legge 14 agosto 1993, n. 344.
157
Legge 25 gennaio 1994, n. 86.
158
V. LEMMA, op. cit., p. 676.
159
V. LEMMA, op. cit. , p. 677.
160
Provvedimento della Banca d’Italia del 21 giugno 2007 di modifica dell’allora vigente Regolamento 14 aprile 2005
in materia di gestione collettiva del risparmio.
161
Il d.m. Tesoro 229 del 1998 aveva rimesso alla discrezionalità tecnica della Banca d’Italia l’individuazione dei casi
in cui solo speciali società, con oggetto esclusivo, avrebbero potuto istituire particolari fondi. La Banca d’Italia aveva
disciplinato tale materia nell’allora vigente Regolamento 14 aprile 2005.
156
41
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
L’attuale formulazione dell’art. 32 quater TUF, rubricato “Riserva di
attività”, individua i soggetti che oggi possono essere autorizzati dalla Banca
d’Italia, sentita la Consob, ad esercitare in via professionale il servizio di gestione
collettiva del risparmio. Essi sono: le società di gestione del risparmio (Sgr), le
società di investimento a capitale variabile (Sicav), le società di investimento a
capitale fisso (Sicaf), le società di gestione UE che gestiscono Oicvm italiani 162, i
GEFIA UE 163 e i GEFIA non UE 164 che gestiscono un FIA italiano 165. Eccettuate
le Sgr, le Sicav e le Sicaf, gli altri soggetti possono oggi essere autorizzati a
svolgere anche in Italia attività di gestione in monte in forza delle nuove norme166
che disciplinano l’operatività transfrontaliera degli intermediari finanziari.
L’introduzione della riserva di attività ha avuto, sin dai primi provvedimenti
normativi degli anni Ottanta, lo scopo di «limitare solo a certi soggetti […] lo
svolgimento di attività considerate “pericolose”, e per ciò stesso meritevoli di
vigilanza pubblicistica, il c.d. need for protection» 167. È opportuno a tal proposito
richiamare ancora una volta l’art. 47 Cost. che “tutela il risparmio in tutte le sue
forme”, e quindi determina la necessità di difendere i singoli risparmiatori dai
possibili abusi degli intermediari 168. Tale protezione è garantita dalle due Autorità
di vigilanza del settore, la Banca d’Italia e la Consob, a due livelli:
 in principio, tramite il controllo all’accesso al mercato (rilascio
dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività – art. 34 TUF);
 durante la prestazione dei servizi, tramite l’esercizio dei poteri di
vigilanza, c.d. “vigilanza permanente” 169. L’art. 5 TUF, infatti, tra le
finalità della vigilanza espressamente prevede, alla lett. b), la tutela degli
investitori.
162
«Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari italiani (OICVM italiani): il fondo comune di investimento
e la Sicav rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/65/CE» (art. 1, comma 1, lett. m) TUF).
163
«Gestore di FIA UE (GEFIA UE): la società autorizzata ai sensi della direttiva 2011/61/UE in uno Stato dell’UE
diverso dall’Italia, che esercita l’attività di gestione di uno o più FIA (art. 1, comma 1, lett. p) TUF).
164
Gestore di FIA non UE (GEFIA non UE): la società autorizzata ai sensi della direttiva 2011/61/UE con sede legale in
uno Stato non appartenente all’UE, che esercita l’attività di gestione di uno o più FIA» (art. 1, comma 1, lett. q) TUF).
165
«“Oicr alternativo italiano” (FIA italiano): il fondo comune di investimento, la Sicav e la Sicaf rientranti nell’ambito
di applicazione della direttiva 2011/61/UE» (art. 1, comma 1, lett. m ter) TUF).
166
Direttiva 2009/65/CE (AIFMD), attuata con il D. Lgs. Del 4 marzo 2014, n. 44.
167
P. CARRIÈRE, op. cit. , p. 452.
168
P.CARRIÈRE, op. cit. , p. 453.
169
V. LEMMA, op. cit., p. 678.
42
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
4.
L’autorizzazione per l’esercizio dell’attività
Affinché possa essere esercitata l’attività di gestione collettiva del risparmio
e le altre attività indicate dalla legge, le Sgr, così come gli altri enti indicati
nell’art. 32 quater TUF, devono ottenere un’apposita autorizzazione. L’autorità
competente al rilascio è la Banca d’Italia che procede 170, sentita la Consob, entro
90 giorni dal ricevimento della richiesta 171.
L’art. 34, comma 1 TUF elenca le condizioni che devono sussistere per il
conseguimento della predetta autorizzazione che sono:
a) l’adozione della forma di società per azioni;
b) la fissazione della sede legale e della direzione generale della società nel
territorio della Repubblica;
c) il versamento dell’intero capitale sociale, per l’ammontare determinato
dalla Banca d'Italia 172;
d) il possesso da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
direzione e controllo dei requisiti di professionalità, indipendenza e
onorabilità 173;
e) il possesso da parte dei titolari delle partecipazioni “rilevanti” (così come
definite nell’art. 15, comma 1 TUF) dei requisiti di onorabilità 174;
f) la presenza di una struttura di gruppo (di cui è eventualmente parte la
società) che non pregiudichi l'esercizio della vigilanza sulla società stessa;
g) la presentazione, unitamente all'atto costitutivo e allo statuto, di un
programma concernente l'attività iniziale nonché di una relazione sulla
struttura organizzativa;
h) l’inserimento nella denominazione sociale delle parole "società di gestione
del risparmio".
170
Per la procedura di autorizzazione, v. Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. I, sez. VI.
F. BILOTTI, op. cit., p. 152.
172
Il Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015 fissa l’ammontare minimo del capitale sociale in 1 milione di euro,
fatta eccezione per le Sgr con capitale ridotto (Tit. II, Cap. I, sez. II).
173
L’art. 34, comma 1, lett d) rinvia all'art. 13 TUF (“Requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza degli
esponenti aziendali”) che, a sua volta, rinvia ai regolamenti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite
la Banca d’Italia e la Consob.
174
L’art. 34 comma 1 lett. e) rinvia all'articolo 14 TUF (“Requisiti di onorabilità”) che, a sua volta, rinvia ai
regolamenti adottati dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob.
L’art. 15 comma 2 TUF stabilisce inoltre che la Banca d’Italia può vietare l’acquisizione di suddette partecipazioni
«quando ritenga che non ricorrono condizioni atte a garantire una gestione sana e prudente dell’intermediario».
171
43
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
Dall’analisi delle condizioni sopra elencate emerge l’attenzione prestata dal
legislatore all’organizzazione della Sgr nel suo complesso: controlli sull’assetto
proprietario e sugli eventuali rapporti infragruppo (lett. e) ed f)), verifica del
possesso dei requisiti previsti per chi esercita la governance (lett. d)), serietà
dell’impegno finanziario 175 (lett. c)) e vaglio sull’idoneità del programma di
attività da svolgere (lett. g)). Tutto ciò mette in luce l’intento del legislatore di
«garantire, oltre alla quantità, anche livelli qualitativi ottimali nella definizione del
capitale sociale 176».
Il secondo comma dell’art. 34 testualmente stabilisce che «l'autorizzazione è
negata quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulta
garantita la sana e prudente gestione». Questa norma, dunque, eleva a criterio
cardine 177, per l’esercizio del servizio di gestione collettiva del risparmio, il
rispetto di una sana e prudente gestione.
Occorre in ultimo rilevare che l’autorizzazione è esclusivamente condizione
per l’esercizio delle attività sottoposte a riserva 178: a seguito del suo rilascio, la
Banca d’Italia iscrive la Sgr in un apposito albo (art. 35 TUF). In forza della
delega contenuta nell’art. 34, comma 3 TUF, il Regolamento della Banca
d’Italia 179 specifica i casi di decadenza dall’autorizzazione - casi ricollegati al
mancato inizio, o alla prolungata sospensione, dell’esercizio delle attività.
4.1
Le altre attività esercitabili
Oltre all’attività di gestione collettiva del risparmio, come definita dalla lett.
n) dell’art. 1, comma 1 TUF, le Sgr, ex art. 33, comma 2 TUF, possono altresì:
a) prestare il servizio di gestione di portafogli,
b) istituire e gestire fondi pensione,
175
Cfr. V. LEMMA, op. cit. , p. 679, ove osserva che richiedendo l’integrale versamento del capitale sociale (per
ammontare almeno pari a un milione di euro) si rischia di ridurre (effettivamente o potenzialmente) il numero dei
soggetti presenti sul mercato, il che potrebbe compromettere il raggiungimento dell’obiettivo della competitività del
sistema finanziario (finalità propria della vigilanza, art. 5 TUF).
176
V. LEMMA, op. cit., p. 680.
177
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 331.
178
Cfr. V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 331, per cui la carenza dell’autorizzazione non è dunque ostativa
all’iscrizione della società del registro delle imprese.
179
Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. I, sez. IX, par. 1.
44
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
c) svolgere le attività connesse o strumentali 180,
d) prestare i servizi accessori di cui all'articolo 1, comma 6, lettera a),
limitatamente alle quote di Oicr gestiti;
e) prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti;
f) commercializzare quote o azioni di Oicr gestiti da terzi, in conformità alle
regole di condotta stabilite dalla Consob, sentita la Banca d’Italia;
g) prestare il servizio di ricezione e trasmissione di ordini, qualora autorizzate
a prestare il servizio di gestione di FIA.
L’autorizzazione per l’esercizio di queste attività può essere rilasciata
contestualmente all’autorizzazione al servizio di gestione collettiva, o anche
successivamente.
La possibilità di esercitare tanto gestione in monte, quanto gestione di
portafogli, ha determinato, come sopra specificato 181, l’attribuzione alle Sgr della
qualifica di “gestore unico” e ha permesso alle stesse di acquisire non solo una
posizione di primario rilievo nel panorama del risparmio gestito 182 ma anche una
grande importanza sociale ed economica 183.
5. Le regole di comportamento
Le regole di comportamento (o anche regole di condotta) «delineano una
disciplina speciale in punto di obblighi pre-contrattuali e contrattuali in capo agli
intermediari 184 [finanziari] ». La disciplina prevista nell’ambito della gestione
collettiva sostanzialmente ricalca quella prevista per lo svolgimento dell’attività di
gestione individuale di patrimoni 185: ferme restando ovviamente alcune diversità
dovute alle peculiarità dei due settori, la loro pressoché coincidenza è espressione
180
Ai sensi del Reg. Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. II, Cap. III, par. 4 «è connessa l’attività che consente di
promuovere e sviluppare l’attività principale esercitata». Ai sensi del par. 5, invece, «è strumentale l’attività che ha
carattere ausiliario rispetto a quella principale svolta». La norma poi procede con un’elencazione esemplificativa di
attività che possono avere carattere strumentale (ad es. studio, ricerca e analisi in materia economica e finanziaria, lett.
a)).
181
V. Cap. II, par. 3.
182
F. BILOTTI, op. cit., p. 153.
183
F. BILOTTI, op. cit., p. 151.
184
P. LUCANTONI, Le regole di condotta, in Diritto del mercato finanziario. Saggi, (a cura di R. LENER), Torino,
2011, p. 119.
185
Cfr. artt. 21 e ss. TUF.
45
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
dell’esigenza di conformare le condotte degli intermediari finanziari a principi di
correttezza e buona fede nei rapporti con i clienti 186.
Le regole di condotta sono contenute innanzitutto nell’art 35 decies TUF e sono
poi ampiamente integrate da norme di rango secondario, in particolare dal c.d.
Regolamento Intermediari 187 e dal Regolamento Congiunto della Banca d’Italia e
della Consob 188.
5.1
I principi di diligenza, correttezza e trasparenza
In forza dell’art. 35 decies TUF, le Sgr devono anzitutto operare «con
diligenza, correttezza e trasparenza nel miglior interesse degli Oicr gestiti, dei
relativi partecipanti e dell'integrità del mercato» (comma 1, lett. a)). La diligenza
cui si fa riferimento, non è la mera diligenza del buon padre di famiglia, prevista
nell’art. 1176 c.c., e neanche la correttezza è quella generalmente richiesta
nell’adempimento delle obbligazioni (ex art. 1175 c.c.). Nell’intermediazione
finanziaria, infatti, la natura professionale dell’attività esercitata determina
l’esigibilità di condotte qualificate e dunque, il grado di diligenza e correttezza
dell’operato degli intermediari dovrà essere molto elevato 189. In particolare
l’obbligo di agire diligentemente comporterà, a sua volta, l’obbligo per il gestore
di acquisire informazioni affidabili ed aggiornate, di assicurare che le decisioni di
investimento siano conformi a - e coerenti con - gli obiettivi e le strategie di
investimento dell’Oicr gestito 190.
Per quanto attiene all’obbligo di trasparenza invece, pur essendo lo stesso
strettamente connesso con gli obblighi informativi diffusamente previsti in diverse
norme dell’ordinamento, bisogna riconoscergli «una autonoma valenza precettiva
[…], con funzione di integrazione e di ampliamento»191 degli stessi obblighi
informativi. L’intermediario deve infatti fornire al cliente tutte le informazioni
186
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 340.
Regolamento Consob 29 ottobre 2007, n. 16190, e successive modificazioni.
188
Regolamento congiunto Banca d'Italia e Consob del 29 ottobre 2007 e successivamente modificato con atti congiunti
Banca d' Italia/Consob del 9 maggio 2012 e del 25 luglio 2012, in materia di organizzazione e procedure degli
intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio.
189
F. SIGNORELLI, op. cit. , p.166.
190
Cfr. art. 66 Regolamento Intermediari.
191
P. LUCANTONI, op. cit. , p. 134.
187
46
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
necessarie affinché lo stesso possa compiere scelte oculate ed agire
consapevolmente 192 (c.d.
risparmio consapevole) nonostante la naturale
asimmetria informativa che vi è tra risparmiatore e società emittente.
La norma in commento (art. 35 decies, comma 1, lett. a)), inoltre,
individuando le finalità della disciplina nella tutela del singolo cliente, e nella
tutela dell’integrità del mercato, mette in correlazione una prospettiva
microprudenziale con una macroprudenziale: è infatti evidente che le violazioni
delle regole di comportamento nei rapporti con i singoli clienti possano anche
compromettere l’affidabilità del mercato finanziario nel suo complesso 193.
5.2
La disciplina dei conflitti di interesse
Le regole di condotta imposte agli esponenti delle Sgr si intersecano con le
regole di organizzazione interna nel momento in cui il rispetto delle prime
comporta l’adozione di moduli organizzativi idonei a ridurre al minimo il rischio
di conflitti di interesse. Tali conflitti possono sorgere a causa di particolari
dinamiche infragruppo, a causa della prestazione congiunta di più attività;
possono anche insorgere conflitti tra i diversi patrimoni gestiti da un unico
intermediario. Nell’eventualità in cui gli accorgimenti adottati non siano idonei
e/o sufficienti a eliminare tali rischi, il gestore deve comunque agire in modo da
assicurare un equo trattamento degli Oicr gestiti (art. 35 decies, comma 1, lett. b)):
l’attuale normativa, infatti, ha lo scopo di disciplinare i conflitti di interessi e non
ha invece la pretesa di eliminarli totalmente. Tale conclusione prende atto della
relazione tra intermediario e cliente, qualificabile come tipico rapporto di agency,
tale per cui «l’interesse perseguito nell’operazione dall’intermediario […] può
essere in conflitto con quello di cui è portatore il cliente» 194.
192
F. SIGNORELLI, op. cit. , p. 166.
P. LUCANTONI, op. cit. , p. 133.
194
P. LUCANTONI, op. cit. , p. 151.
193
47
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
5.3
Il dovere di best execution
Nell’attività di trasmissione o esecuzione di ordini per conto degli Oicr
gestiti, le Sgr devono operare rispettando il principio di best execution: esso
rappresenta l’obbligo per i gestori di adottare tutte le misure necessarie per
ottenere il “miglior risultato possibile” per i propri clienti. La valutazione dei
risultati conseguiti deve essere effettuata avendo riguardo a diversi fattori, indicati
nell’art. 68 Regolamento Intermediari, tra i quali: prezzo, costi e dimensione
dell’operazione e rapidità dell’esecuzione 195.
In stretta connessione sia con la disciplina dei conflitti di interesse che con il
dovere di best execution, l’art. 71 Regolamento Intermediari disciplina i cc.dd.
incentivi stabilendo che «le Sgr […] non possono, in relazione all’attività di
gestione del patrimonio di un Oicr, versare o percepire compensi o commissioni»,
al di fuori dei casi previsti dalla legge. Tale disciplina ha lo scopo di «impedire
che gli incentivi corrisposti o percepiti da parte della Sgr […] possano costituire
un ostacolo all’obbligo di servire al meglio gli interessi degli Oicr 196».
5.4
L’esercizio del diritto di voto
Gli Oicr possono essere costituiti da beni di diversa natura tra cui gli
strumenti finanziari che, come noto, possono attribuire non solo diritti di natura
patrimoniale, ma anche diritti di natura amministrativa, e dunque il diritto di voto.
Qualora degli strumenti finanziari siano ricompresi nel patrimonio di un Oicr e
attribuiscano il diritto di voto, sorge un problema di coordinamento tra la formale
titolarità di tali beni e la titolarità degli interessi sostanziali ad essi ricollegabili.
In forza delle norme che disciplinano la gestione in monte del risparmio,
generalmente la titolarità dei beni costituenti i patrimoni degli Oicr spetta alla
“Sgr di promozione”, seppur i titolari sostanziali degli strumenti finanziari - e
quindi i soggetti realmente interessati alla loro gestione - siano i risparmiatori-
195
196
F. BILOTTI, op. cit., p. 166-167; V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 343.
F. BILOTTI, op. cit. , p. 167.
48
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
investitori, quotisti del fondo 197 e dunque la società di gestione ad assumere lo
status di socio qualora, tra i beni ricompresi nel fondo, vi siano strumenti
finanziari che attribuiscono il diritto di voto.
Preso atto di una siffatta scissione soggettiva, la lett. e), dell’art. 35 decies,
comma 1, TUF, stabilisce che è la “Sgr di gestione” che provvede «nell'interesse
dei partecipanti all'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di
pertinenza degli Oicr». A tal proposito assume primario rilievo la previsione
secondo la quale i voti devono essere comunque esercitati nell’esclusivo interesse
dei partecipanti al fondo, secondo una specifica strategia definita dalla Sgr 198. La
predetta scissione soggettiva tra titolare formale e titolare sostanziale degli
strumenti finanziari e la conseguente esigenza di tener conto degli interessi dei
secondi fa sì che l’esercizio del diritto di voto da parte della Sgr sia considerato
esecuzione del “mandato gestorio” e non esercizio di una prerogativa propria della
Sgr in quanto proprietaria degli strumenti finanziari. In tale ottica pertanto, la
società di gestione ben potrà astenersi dall’esercitare i voti spettanti agli strumenti
finanziari gestiti, senza, con ciò, violare alcuna prescrizione normativa 199.
6. Il regolamento del fondo
Preliminare rispetto all’istituzione del fondo è la deliberazione del
regolamento 200 da parte della società di gestione 201. Tale premessa è coerente con
il dettato dell’art. 36, comma 2, TUF in base al quale «il rapporto di
partecipazione al fondo comune di investimento è disciplinato dal regolamento del
fondo [stesso]». Il rapporto tra l’investitore e la Sgr si instaura con la
sottoscrizione da parte del primo del regolamento formulato dal secondo; tale
rapporto è di natura contrattuale: sottoscrivendo il regolamento il cliente riceve le
quote di partecipazione al fondo ed è tenuto a liberarle effettuando i versamenti –
197
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 343.
C. PETRONZIO, op. cit. , p. 298.
199
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 345.
200
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 332.
201
L’approvazione del regolamento può spettare sia all’assemblea sia al consiglio di amministrazione; questa scelta è
lasciata all’autonomia della società.
198
49
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
o se del caso gli apporti - dovuti 202; in tal modo è raccolto il risparmio tra il
pubblico e formato il patrimonio comune da gestire.
In forza dell’art. 37, commi 1 e 2, il regolamento del fondo:
 definisce le caratteristiche del fondo,
 disciplina il suo funzionamento,
 indica il gestore e il depositario e definisce la ripartizione dei compiti tra
tali soggetti,
 regola i rapporti intercorrenti tra gestore, depositario e partecipanti al
fondo 203.
Si noti come già la normativa primaria incida fortemente sul contenuto del
regolamento. Il sopra citato comma 2, dell’art. 36, inoltre, ha delegato la Banca
d’Italia a integrare, d’intesa con la Consob, i criteri generali di redazione e i
contenuti dei regolamenti; essa ha a ciò ampiamente provveduto nel Regolamento
sulla gestione collettiva del risparmio 204.
Tale ipertrofica disciplina aveva in passato indotto la dottrina a dubitare
della natura negoziale del regolamento, data la sostanziale etero determinazione
del suo contenuto 205. I dubbi in merito aumentavano in considerazione della
necessità di far approvare i regolamenti dei fondi dalla Banca d’Italia. Tale
previsione, d’altra parte ancora oggi vigente, aveva spinto la dottrina a individuare
in tale momento una fase amministrativa talmente pregnante da annullare - o
quantomeno da compromettere sensibilmente - l’essenza negoziale della
successiva sottoscrizione.
Tale lettura è stata nel corso del tempo abbandonata ed oggi è pacifico che il
regolamento sia atto di diritto privato 206. La vigilanza della Banca d’Italia e della
202
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 329.
«Il regolamento stabilisce in particolare: a) la denominazione e la durata del fondo; b) le modalità di partecipazione
al fondo, i termini e le modalità dell'emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle
quote nonché le modalità di liquidazione del fondo; c) gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di
ripartizione degli investimenti medesimi; d) il tipo di beni, di strumenti finanziari e di altri valori in cui è possibile
investire il patrimonio del fondo; e) i criteri relativi alla determinazione dei proventi e dei risultati della gestione nonché
le eventuali modalità di ripartizione e distribuzione dei medesimi; f) le spese a carico del fondo e quelle a carico della
società di gestione del risparmio; g) la misura o i criteri di determinazione delle provvigioni spettanti alla società di
gestione del risparmio e degli oneri a carico dei partecipanti; h) le modalità di pubblicità del valore delle quote di
partecipazione; i) se il fondo è un fondo feeder (art. 37, comma 2 TUF).
204
Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. I, sez. II.
205
M. TRECCANI, Il regolamento dei fondi comuni di investimento, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati,
società, (a cura di G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 260.
206
R. COSTI, op. cit., p. 190.
203
50
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
Consob sui mercati regolamentati è attualmente talmente pervasiva sotto più
profili che il vaglio preliminare sui regolamenti non è più ritenuto idoneo a
svuotarli della loro essenza negoziale.
D’altro canto, nonostante oggi sia pacifico che il rapporto tra Sgr e clientela
abbia natura negoziale, esso non può comunque ritenersi disciplinato
esclusivamente dalla volontà delle parti (rectius, dal regolamento del fondo)
poiché alcuni suoi aspetti sono disciplinati da norme imperative, come tali
immodificabili dall’autonomia privata. La disciplina delle quote di partecipazione,
quella della sollecitazione del pubblico risparmio, la qualificazione giuridica del
fondo comune di investimento, sono esempi di temi non disciplinati e soprattutto
non disciplinabili dai singoli regolamenti, per la cui definizione non può che
rinviarsi alla disciplina primaria e secondaria 207.
Altro elemento che aveva portato la dottrina a sostenere l’assenza di
autonomia patrimoniale nella negoziazione tra Sgr e clienti era la predisposizione
unilaterale - da parte della società - del regolamento del fondo. Mera accettazione
del regolamento, tramite l’adesione 208 allo stesso, e impossibilità per l’investitore
di modificare le clausole contrattuali sono elementi ancora oggi riscontrabili che
però devono essere visti alla luce della generale disciplina della gestione in monte.
Come visto ampiamente sopra 209, questa è svolta nell’interesse della collettività
degli investitori, non essendo affatto rilevanti le esigenze dei singoli, al contrario
determinanti sia nella gestione individuale di portafogli che, più in generale, nella
definizione dei negozi tra privati.
L’autorità di vigilanza ha il potere di verificare la completezza e la
conformità alle norme dei regolamenti, non soltanto al momento della loro
approvazione, ma anche in occasione delle loro successive modificazioni 210. Al
fine di rendere più celeri tali fasi, sono stati elaborati degli schemi di regolamenti
cc.dd. “riconosciuti”, la cui adozione permette alle Sgr di accedere a un iter
amministrativo di approvazione semplificato 211, soprattutto per quanto attiene alla
durata del procedimento: questi modelli predisposti dalla Banca d’Italia recependo
207
M. TRECCANI, op. cit., p. 261.
R. COSTI, op. cit., p. 190.
209
V. Cap. II, par. 2.2.
210
Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. II, sez. II-III.
211
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 333.
208
51
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
prassi stratificatesi nel tempo, consentono lo svolgimento di controlli di legittimità
meno penetranti.
6.1
Il regolamento del fondo come fonte di disciplina del rapporto tra le parti
Considerata, dunque, tendenzialmente pacifica la natura contrattuale del
regolamento del fondo comune di investimento è necessario qualificare il rapporto
giuridico che scaturisce dalla sua sottoscrizione. Occorre sin da subito costatare
che il Testo Unico della Finanza non contiene indicazioni in merito.
Al fine di colmare tale vuoto normativo, in passato c’è stato chi ha
ipotizzato la generale applicabilità dei principi in tema mandato (artt. 1703 e ss.
c.c.), partendo dall’assunto che esso «costituisce nel nostro regolamento lo
schema negoziale predisposto per l’agire per conto altrui»212: nella gestione in
monte, l’amministrazione del fondo è infatti effettuata dalla Sgr per conto e
nell’interesse degli investitori.
Più di recente, tale visione è in parte mutata perché si è iniziato a ritenere
necessario prestare una maggiore attenzione al dato letterale contenuto nell’art. 36
TUF, e in particolare nel comma 3 - unica norma che fa esplicitamente riferimento
al contratto di mandato. Occorre però sin da subito delimitare i confini di tale
rinvio, notando che la norma stabilisce solo che «la Sgr che ha istituito il fondo o
la società di gestione che è subentrata nella gestione agiscono […] assumendo
verso questi ultimi (gli investitori) gli obblighi e le responsabilità del mandatario».
È dunque evidente che il richiamo alle norme del mandato (artt. 1703 e ss. c.c.) ha
il solo scopo di definire gli obblighi e le responsabilità del gestore nei confronti
degli
investitori 213
e
non,
invece,
l’intento
di
comportare
l’integrale
inquadramento del rapporto investitore - Sgr in quello mandante – mandatario. A
tal proposito è importante porre l’accento sul fatto che connotato essenziale della
gestione in monte è il mancato riconoscimento in capo al singolo investitore di
poteri di ingerenza e direzione dell’attività gestoria. È dunque in primis questo
212
G. VISENTINI, La gestione del fondo da parte della Sgr: inquadramento giuridico, in La disciplina delle gestioni
patrimoniali. Sgr, fondi comuni e Sicav, Quaderno Assogestioni, n. 23, Roma, 2001, p. 133.
213
M. TRECCANI, op. cit., p. 256.
52
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
aspetto che non permette di qualificare tout court l’investitore quale mandante
della gestione (in monte) del proprio investimento perché egli non ricopre la
posizione di dominus, posizione riconosciuta invece sempre al mandante 214.
Sulla scorta delle presenti considerazioni, la dottrina sembra oggi orientarsi
verso la qualificazione del contratto stipulato tra Sgr e investitori quale “contratto
di gestione” o “di investimento” che ha la sua genesi nella sottoscrizione del
regolamento, con la conseguente attribuzione delle quote di partecipazione al
fondo comune 215.
6.2
Le quote di partecipazione
Con la sottoscrizione del regolamento del fondo si instaura tra investitore e
Sgr un rapporto contrattuale. La partecipazione al fondo è incorporata in “quote di
partecipazione” 216: esse rientrano nella più generale categoria degli “strumenti
finanziari” perché espressamente menzionate nella relativa definizione217.
Secondo un’opinione ormai consolidata, le quote sono «veri e propri titoli di
credito»; si tende a qualificarli quali titoli causali in considerazione del peculiare
rapporto che si instaura tra la società e i partecipanti e per i riflessi che il
regolamento e le vicende del fondo possono avere su detto rapporto 218.
Le quote di partecipazione al fondo hanno uguale valore, attribuiscono
uguali diritti e sono rappresentate da “certificati” nominativi o al portatore 219. Il
regolamento del fondo può però prevedere che i certificati non siano
materialmente emessi e siano sostituiti da un solo “certificato cumulativo”,
depositato presso una banca 220 e rappresentativo di più quote di pertinenza di una
pluralità di sottoscrittori. Questa soluzione permetterebbe di ottenere due
vantaggi: il primo consistente in semplificazioni amministrative perché,
214
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 333.
Ivi, p. 332.
216
ivi, p. 329.
217
«Per “strumenti finanziari” di intendono: […] quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio» art. 1,
comma 2, lett. c) TUF).
218
F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, in I contratti per l’impresa. Banca, mercati, società, (a cura
di G. GITTI – M. MAUGERI – M. NOTARI), Bologna, 2012, II, p. 247.
219
F. BILOTTI, op. cit. , p. 158.
220
Regolamento Banca d’Italia 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. I, sez. II, par. 4.3.
215
53
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
quand’anche le quote venissero cedute, non dovrebbero essere poste in essere
operazioni sui certificati; il secondo consistente invece nella riduzione dei rischi
connessi alla circolazione dei titoli (smarrimento, furto, distruzione ecc.) 221,
considerato che il certificato cumulativo resterebbe custodito presso il depositario.
Questo regime, per come congegnato dal legislatore, garantisce in ogni caso a
ciascun partecipante il diritto di ottenere l’emissione del certificato “singolo”, con
conseguente ritorno al normale regime “cartolare”. È eventualmente la banca
depositaria a dover a ciò provvedere senza oneri, né per il partecipante, né per il
fondo, qualora qualcuno ne faccia richiesta. Tale disciplina conferma l’assunto
secondo il quale l’emissione di un unico certificato non intacca i diritti e le facoltà
dei singoli partecipanti che restano titolari di diritti autonomamente e liberamente
esercitabili.
Tale situazione, benché innegabilmente molto simile a quella che si
determina nel caso di dematerializzazione dei titoli, se ne differenzia perché
l’investitore conserva comunque il diritto di richiedere ed ottenere il certificato
singolo nonostante l’originaria emissione del solo certificato cumulativo, mentre
lo stesso diritto non è garantito a chi ha dei titoli completamente
dematerializzati 222.
7. La classificazione dei fondi comuni di investimento
Nel primo capitolo 223 sono stati esaminati i caratteri essenziali dei fondi
comuni di investimento; è opportuno a questo punto dar conto delle diverse forme
che essi in concreto possono assumere.
Alla base della creazione di diversi tipi di fondi vi è l’esigenza di soddisfare
plurime e variegate esigenze dei risparmiatori. Al fine di accogliere al meglio le
loro istanze, gli analisti hanno nel tempo articolato diverse politiche di
investimento, alla luce di studi e criteri economico-finanziari, che influenzano la
composizione di ciascun tipo di fondo. L’appetibilità dell’investimento in un
221
F. BILOTTI, op. cit. , p. 158; V. anche F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 247.
F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 247.
223
V. Cap. I, par. 5.2.
222
54
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
fondo dipende esclusivamente dalla sua composizione; generalmente infatti
«fondi aventi il medesimo oggetto di investimento ed analoghe modalità di
gestione non [possano], ipsa natura, assicurare rendimenti diversi» 224, considerato
che altri costi (ad esempio le commissioni di gestione) incidono solo
marginalmente sul rendimento complessivo dell’investimento.
Benché oggi siano disciplinati nel nostro ordinamento diversi tipi di fondi,
tutti, in prima battuta, possono essere ricondotti a una delle due categorie di base:
quella dei fondi aperti e quella dei fondi chiusi. In posizione di complementarietà
rispetto a queste si pongono poi le categorie dei fondi riservati e dei fondi
speculativi 225.
Il d. m. del 24 maggio 1999, n. 228 226 (di seguito “Decreto”) contempla, nel
Titolo II, delle disposizioni comuni a tutti i fondi: mentre l’art. 4 elenca i beni che
possono comporli, l’art. 6 disciplina la loro durata, stabilendo che «il termine [di
durata] dei fondi deve essere coerente con la natura degli investimenti» ed
aggiunge che, in ogni caso, «la durata dei fondi chiusi non può essere superiore a
cinquanta anni». La stessa norma poi fa salvo il caso di proroga della durata,
rinviando all’art. 14, comma 6: esso stabilisce che tale eventualità può realizzarsi
solo rispetto ai fondi chiusi, per un periodo massimo di tre anni, e solo qualora sia
necessaria per il completamento dello smobilizzo degli investimenti.
7.1
Fondi chiusi e fondi aperti
Il carattere che permette di distinguere i fondi aperti da quelli chiusi è il
«diverso
atteggiarsi
della
posizione
dei
partecipanti
rispetto
al
disinvestimento»227. La partecipazione a un fondo aperto è connotata da una
maggiore flessibilità che si estrinseca nella possibilità, riconosciuta all’investitore,
di richiedere in qualsiasi tempo il rimborso della propria quota (art. art. 10,
224
V. LEMMA, op. cit., p. 127.
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, in L’ordinamento
finanziario italiano (a cura di F. CAPRIGLIONE), Padova, 2010, II, p. 465.
226
Gli artt. citati nei par. 7, 7.1, 7.1.1, 7.1.2, 7.2, 7.3, 7.4 sono, se non diversamente specificato, del d. m. 24 maggio
1999, n. 228.
227
F. ANNUNZIATA, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, in Riv. soc.,
2000, p. 350.
225
55
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
comma 3, del Decreto). Di contro, la partecipazione a un fondo chiuso vincola
maggiormente l’investitore che può ottenere la liquidazione del proprio
investimento solo alla scadenza del termine di durata del fondo, qualora non sia
stabilito diversamente dal regolamento (art. 14, comma 6).
Non solo l’uscita dal fondo ma anche l’entrata nel fondo è caratterizzata da
una maggiore rigidità. I fondi aperti raccolgono capitali “in via continuativa”228,
consentendo la sottoscrizione delle quote in qualsiasi momento. Tale
sottoscrizione può avvenire o mediante il versamento di un importo pari al valore
delle quote sottoscritte o, se il regolamento lo prevede, mediante il conferimento
di strumenti finanziari (art. 10, comma 1). La possibilità riconosciuta agli
investitori di entrate e/o uscire sempre dal fondo e la conseguente sottoscrizione
e/o
liquidazione
delle
quote
comportano
l’esigenza
di
(ri)calcolare
periodicamente 229 il loro valore e a ciò deve provvedere la Sgr (art. 10, comma2).
Così come per i fondi aperti, anche per i fondi chiusi i soggetti interessati a
partecipare al fondo possono sottoscrivere le quote effettuando dei versamenti
(art. 14, comma 1) ma, in questo caso, possono farlo solo al momento della
costituzione del fondo. Sottoscrizioni successive sono ammissibili solo se
espressamente previste dal regolamento e, qualora una simile possibilità sia
contemplata, dovranno parimenti ritenersi ammissibili i rimborsi anticipati che
dovranno dunque essere effettuati «con la medesima frequenza e in coincidenza
con le nuove emissioni» (art. 14, comma 6 bis) 230. Il comma 2 dell’art. 14
disciplina la fase di costituzione dei patrimoni dei fondi chiusi stabilendo che le
quote devono essere interamente sottoscritte entro ventiquattro mesi dalla
pubblicazione del prospetto informativo se le stesse sono offerte al pubblico 231 o,
sempre entro ventiquattro mesi, ma decorrenti dall’approvazione del regolamento
del fondo da parte della Banca d’Italia, qualora non ci sia appello al pubblico
risparmio 232.
228
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 346.
Periodicità settimanale per i fondi armonizzati; periodicità mensile per i fondi non armonizzati (art. 10, comma 2).
230
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 346.
231
Artt. 93 bis e ss. del TUF.
232
M. SUTERA, I fondi immobiliari e le società d’investimento immobiliare quotate, in Manuale di diritto del mercato
finanziario, (a cura di S. AMOROSINO), Milano, 2014, p.170.
229
56
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
Nonostante la qualifica del fondo come aperto piuttosto che come chiuso
«vada riferita direttamente […] al diritto che l’investitore ha di disinvestire in
qualsiasi momento le quote»233, essa non può non ripercuotersi sulle politiche di
investimento e quindi sui beni che possono (o non possono) comporre il fondo.
Pertanto, se da un lato si offre ai quotisti la possibilità di disinvestire sempre,
dall’altro si espone il fondo a un elevato rischio di illiquidità 234, qualora più
quotisti esercitino contestualmente il diritto di recesso. Per prevenire una simile
eventualità
il
legislatore
ha
introdotto
delle
norme
che
disciplinano
dettagliatamente la composizione dei fondi a seconda che siano aperti o chiusi: in
tal senso si scorge dunque una “relazione biunivoca” tra la tipologia del fondo e le
sue politiche di investimento 235. La costante esposizione alle possibili richieste di
liquidazione delle quote da parte dei partecipanti a fondi aperti impone al gestore
di investire in beni facilmente e prontamente liquidabili 236, in particolare in
strumenti finanziari, quotati e non quotati e depositi bancari. Specularmente, la
tendenziale stabilità che connota i fondi chiusi giustifica la previsione normativa
secondo la quale solo tali fondi possono investire in beni immobili e diritti reali
immobiliari. In quest’ottica dunque «fondi […] che investono prevalentemente in
[…] beni per i quali non esiste un mercato ufficiale [possono] essere istituiti
soltanto in forma chiusa»237.
7.1.1
Fondi aperti: armonizzati e non armonizzati
Sebbene l’essenza di tutti i fondi comuni di investimento aperti sia quella
sopra delineata, essi possono essere ulteriormente distinti in fondi aperti
armonizzati e non armonizzati.
Sono armonizzati quei fondi il cui patrimonio è investito nei beni individuati
dalle direttive comunitarie, in particolare la Direttiva 85/611/CEE e successive
233
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 466.
Ibidem.
235
F. ANNUNZIATA, Gestione collettiva del risparmio e nuove tipologie di fondi comuni di investimento, op. cit., p.
347.
236
F. BILOTTI, op. cit. , p. 160.
237
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 466.
234
57
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
modificazioni 238 (art. 8 del Decreto). Anche il Regolamento della Banca d’Italia
sulla gestione collettiva del risparmio contempla tale distinzione e disciplina nel
dettaglio l’oggetto dell’investimento, muovendosi anche fuori dai confini tracciati
dalle citate direttive 239. Le norme del Regolamento tendono a garantire al
massimo il contenimento del rischio e la liquidabilità dell’investimento 240: a tal
fine esse stabiliscono che, nell’individuazione dei beni acquisibili, debba essere
data assoluta preferenza a quelli negoziati nei mercati regolamentati e, inoltre,
fissano limiti all’acquisto di beni di natura diversa. Una siffatta composizione del
fondo fa sì che la partecipazione ad esso sia un investimento indirizzato
principalmente al pubblico e come tale debba essere sottoposto alla disciplina
della sollecitazione dell’investimento.
L’art. 9 del Decreto, per contro, stabilisce, tramite rinvio all’art. 4, che il
patrimonio di un fondo aperto non armonizzato possa essere investito solo in:
a) strumenti finanziari quotati in un mercato regolamentato,
b) strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato,
c) depositi bancari di denaro.
Pare, dunque, che i fondi non armonizzati si distinguano da quelli armonizzati per
la maggiore varietà dei beni che li compongono: da ciò deriverebbe anche una
maggiore libertà per i loro gestori, non sottoposti a tutti i limiti che invece
circoscrivono le scelte di quelli dei fondi armonizzati 241.
Tali libertà incontrano però un limite: è infatti prevista l’applicabilità anche
ai fondi aperti non armonizzati dell’art. 12, comma 3. Esso vieta l’investimento
del patrimonio del fondo in beni direttamente o indirettamente ceduti da un
esponente della Sgr e vieta inoltre di cedere i beni costituenti il fondo ai medesimi
soggetti. Questa norma - dettata nell’ambito della disciplina dei fondi chiusi - ha
lo scopo di prevenire i «conflitti di interessi che nel caso del fondo aperto possono
essere particolarmente “pericolosi” stante la naturale “esposizione” del fondo alle
238
La Direttiva 85/611/CEE c.d. “Ucits I” è stata successivamente modificata dalla Direttiva 2001/107/CEE c.d.
“Direttiva gestore”, dalla Direttiva 2001/108/CEE c.d. “Direttiva prodotto” e da ultimo dalla Direttiva 2009/65/CE c.d.
“Ucits IV”.
239
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 470.
240
Ivi, p. 467.
241
Ivi, p. 470.
58
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
continue richieste di rimborso delle quote - il che richiede […] attività liquide e
liquidabili […] che abbiano un valore per così dire “oggettivo”» 242.
7.1.2 Fondi chiusi: i fondi immobiliari
La predeterminazione dei tempi per investire o disinvestire in un fondo è,
come detto sopra, il connotato essenziale dei fondi chiusi. D’altra parte è stata
anche messa in luce la relazione sussistente tra le tempistiche di entrata e uscita
dal fondo e le politiche di investimento. È proprio per tener conto di tale fattore
che l’art. 12 del Decreto stabilisce che debbano necessariamente essere costituiti
in forma chiusa quei fondi i cui patrimoni siano investiti in:
 beni immobili, diritti reali immobiliari, e partecipazioni in società
immobiliari, parti di altri fondi immobiliari (art. 4, comma 2 lett. d));
 crediti e titoli rappresentativi di crediti (art. 4, comma 2, lett. e));
 altri beni per i quali esiste un mercato e che abbiano un valore
determinabile con certezza con una periodicità almeno semestrale (art. 4,
comma 2, lett.f));
 strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, diversi dalle
quote di Oicr aperti, in misura superiore al 10% (art. 4, comma 2, lett. f);
art. 12, comma 1).
Il più elevato grado di immobilizzo dell’investimento in un Oicr chiuso ha
spinto il legislatore a introdurre l’obbligo di quotazione, in un mercato
regolamentato, delle quote di partecipazione qualora l’investimento minimo nel
fondo sia inferiore a venticinquemila euro (art. 5, comma 2). In questo modo è
stata riconosciuta ai piccoli risparmiatori, che abbisognano di tutele più penetranti,
la concreta possibilità di disinvestire anche prima delle scadenze previste dal
regolamento 243; una simile previsione non è invece stata introdotta per coloro i
quali abbiano effettuato investimenti più cospicui 244, presupponendo una loro
maggiore indifferenza alla vincolatività dell’impiego.
242
Ibidem.
F. BILOTTI, op. cit., p. 161.
244
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 472.
243
59
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
I fondi immobiliari, più che una categoria distinta di fondi, rappresentano
una “derivazione” di quella più generale costituita dai fondi chiusi 245. Il loro
patrimonio è investito in beni immobili, diritti reali immobiliari, e partecipazioni
in società immobiliari o parti di altri fondi immobiliari (art. 4, comma 2 lett. d)) in
misura non inferiore ai due terzi del valore complessivo del fondo 246 (art. 12 bis,
comma 2). Il regolamento può contemplare la possibilità per i partecipanti di
aderire a un simile fondo non soltanto versando un importo pari al valore della
quota che s’intende sottoscrivere ma anche conferendo le attività appena sopra
elencate (cc.dd. fondi ad apporto) 247. A tal fine sarebbe necessario sia fornire la
relazione di stima del bene che si intende conferire, sia acquisire la valutazione di
un intermediario finanziario che attesti la compatibilità e la redditività dei
conferimenti rispetto alle politiche di gestione del fondo. Nonostante il rapporto di
genere a specie intercorrente tra i fondi chiusi e quelli immobiliari, è opportuno
rilevare l’asimmetrico regime di applicazione dell’art. 12, comma 3. Tale norma che disciplina le operazioni in conflitto di interesse 248 - è in questo caso
applicabile ai soli fondi chiusi e non a quelli immobiliari. Questi ultimi, infatti,
sono spesso promossi da gruppi di società al fine di dismettere il proprio
patrimonio immobiliare e, pertanto, tali operazioni – pur essendo sottoposte a una
rigida disciplina (vd. art. 12, comma 4) - sono state legittimate dal legislatore che
invece ha ritenuto opportuno vietarle nell’ambito dei fondi chiusi 249.
7.2
I fondi riservati
Un fondo è riservato se è interamente partecipato da “investitori qualificati”
(art. 15). A definire tale categoria di soggetti è l’art. 1, comma 1, lett. h) del D.M.
228/1999 che, dopo avervi incluso banche e intermediari finanziari, stabilisce che
245
Ivi, p. 473.
“Detta percentuale è ridotta al 51 per cento qualora il patrimonio del fondo sia altresì investito in misura non
inferiore al 20 per cento del suo valore in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi
ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca immobiliare” (art. 12 bis, comma 2, sec.
periodo).
247
M. SUTERA, op. cit., p. 171.
248
Disciplina già esposta nell’ambito della disamina dei fondi non armonizzati (V. par. 8.1.1) in riferimento ai quali ne è
stata rilevata l’applicabilità.
249
V. RENZULLI , A. TUCCI, op. cit. , p. 349 ss.
246
60
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
sono altresì investitori qualificati «le persone fisiche e giuridiche e gli altri enti in
possesso di specifica competenza ed esperienza in operazioni in strumenti
finanziari espressamente dichiarata per iscritto dalla persona fisica o dal legale
rappresentante della persona giuridica o dell'ente». Si noti innanzitutto come la
terminologia qui impiegata diverga da quella adoperata nel Testo Unico della
Finanza che, al più, si riferisce a “controparti qualificate” 250 e a “clienti
professionali” 251. Emerge dunque che, sulla scorta della definizione fornita dal
decreto in esame, qualunque soggetto possa assumere la qualifica di investitore
qualificato purché lo dichiari consapevolmente per iscritto, non essendo più
necessario, al fine della sua attribuzione, la sussistenza di condizioni oggettive 252.
Ulteriore considerazione merita di esser fatta a proposito dell’attribuzione a
un cliente della qualifica di “investitore qualificato”. Essa, come appena detto, è
attribuibile anche in forza di una dichiarazione scritta prestata dall’interessato che
dovrebbe ovviamente riflettere una situazione effettiva. Ma come discernere le
dichiarazioni vere da quelle false? E soprattutto, quali le conseguenze in caso di
dichiarazioni false? Inoltre si consideri che l’inattendibilità delle dichiarazioni
potrebbe dipendere dalla volontà (fraudolenta) dell’investitore o dalla cattiva
informazione prestata dall’intermediario o addirittura da una truffa dallo stesso
perpetrata ai danni del cliente. È dunque palese che la disciplina dei fondi
riservati, relativamente a tale profilo, faccia sorgere dei problemi non risolvibili
entro i confini della sola normativa sulla gestione collettiva, implicando il
richiamo dei principi generali dell’ordinamento, in primis quello di buona fede 253.
Dopo aver individuato in tal modo i potenziali investitori in fondi riservati,
quanto alla disciplina ad essi applicabile, è importante puntualizzare che dovrà
essere in ogni caso rispettata quella generale dei fondi aperti e chiusi 254, in base
alla forma in concreto assunta dagli stessi. I fondi riservati, infatti, sono esonerati
solo dal rispetto delle norme sul contenimento e frazionamento dei rischi: i loro
regolamenti possono derogare anche integralmente ai limiti previsti per i fondi
non riservati. Il riconoscimento di una simile possibilità si giustifica alla luce della
250
Art. 6, comma 2 quarter, lett. d).
Art. 6, comma 2 quinquies e sexies.
252
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 477.
253
Ivi, p. 478.
254
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 350.
251
61
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
considerazione che tali fondi sono accessibili solo a particolari categorie di
investitori e non possono pertanto essere partecipati dalla c.d. “clientela retail”
che potrebbe invece essere danneggiata, a causa della propria inesperienza, da
investimenti molto rischiosi.
Alla luce della presente disciplina appare evidente che i fondi riservati si
differenzino dagli altri per la carenza di una caratteristica tipica: l’essere destinati
al pubblico. Mancando tale destinazione essi sono di fatto partecipati da una
clientela “di nicchia”, determinando nel caso di specie la rottura della
interrelazione tra fondo comune e natura “pubblica” dell’investimento 255.
7.3
I fondi speculativi
Nel 1998, insieme con il Testo unico della Finanza, sono stati introdotti nel
nostro ordinamento i fondi speculativi, noti nella prassi internazionale come hedge
funds. Essi, a differenza di tutti gli altri fondi, non sono riconducibili né alla
categoria dei fondi aperti, né a quella dei fondi chiusi. Il loro patrimonio può
essere investito in via del tutto eccezionale «in beni anche diversi da quelli
individuati nell’art. 4, comma 2», purché specificatamente indicati nel
regolamento del fondo. Le politiche di investimento di tali fondi possono essere
definite «in deroga alle norme prudenziali di contenimento e frazionamento del
rischio»256 (art. 16 del Decreto); a tale estrema libertà però, fa da contraltare
l’obbligo di «menzionare [nel regolamento] la rischiosità dell’investimento e la
circostanza che esso avviene in deroga alle norme prudenziali» (art. 16, comma
5). In realtà, la dottrina osserva che tale previsione debba essere contenuta nei
regolamenti dei fondi speculativi indipendentemente dall’effettiva rischiosità
dell’investimento; è stato sostenuto che «il regolamento del fondo deve dare
contezza della potenziale natura rischiosa, a prescindere dalla concreta politica di
investimento intrapresa e dal grado effettivo di rischio»257.
255
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 478.
La materia è regolata dall’art. 6, comma 1, lett. c), nn. 1 e 2 del TUF e dalle norme di attuazione.
257
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit. , p. 352.
256
62
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
La particolare politica di investimento che contraddistingue i fondi
speculativi giustifica inoltre la previsione secondo la quale le quote di siffatti
fondi non possano essere oggetto di “offerta al pubblico” (art. 16, comma 4). Sarà
dunque possibile offrirle a terzi a condizione di non integrare i requisiti, al
ricorrere dei quali scatta l’applicazione delle norme sull’offerta al pubblico di
quote di Oicr. Ciò avviene principalmente 258 in due casi:
 qualora le quote siano offerte solo a investitori qualificati 259,
 qualora le quote siano offerte a un numero di soggetti non superiore a
settantacinque 260.
I casi di esclusione appena elencati vanno considerati disgiuntamente: è pertanto
sufficiente che l’offerta delle quote integri una sola delle due ipotesi sopra
considerate affinché scatti l’applicabilità della disciplina dell’offerta al pubblico.
L’attività di pubblicizzazione e promozione delle quote di siffatti fondi può
dunque indirizzarsi solo a categorie ristrette di investitori e deve svolgersi secondo
le modalità fissate dal regolamento del fondo dovendo, in ogni caso, essere
conforme alle norme sulla prestazione dei servizi di investimento dettate dal
Regolamento Intermediari 261.
Avendo a questo punto delineato la disciplina dei fondi speculativi, si noti
come, seppur per altra via, la presente abbia un obiettivo non dissimile da quello
perseguito dalla normativa sui fondi riservati: consentire l’investimento in siffatti
fondi soltanto a una ristretta cerchia di investitori. Si colga però una differenza:
mentre la “selezione” degli investitori in fondi speculativi è fatta “in via indiretta”
- agendo su parametri quali ad esempio l’ammontare minimo dell’investimento –
nel caso dei fondi riservati è fatta sulla base del possesso del requisito di
qualificazione dell’investitore, seppur con i limiti sopra evidenziati 262.
258
L’art. 100 TUF individua altri casi di inapplicabilità della disciplina di offerta al pubblico qui non menzionati perché
non rilevanti ai fini della presente esposizione. Vd. anche Art. 34 ter, Reg. Emittenti. Cfr. F. ANNUNZIATA, Fondi
comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 485.
259
L’art. 100 TUF rinvia ai Regolamenti Consob per la definizione di “investitore qualificato”. L’art. 34 ter, comma 1,
lett. b) del Reg. Emittenti rinvia a sua volta all’art. 26, comma 1, lett. d) del Reg. Intermediari.
260
La delibera Consob n. 18079 del 20 gennaio 2012 ha sostituito la parola “cento” con “settantacinque”.
261
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 486.
262
V. Cap. II, par. 8.2. F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio,
op. cit., p. 481.
63
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
7.4
Fondi garantiti
I fondi garantiti sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel 2003 263 e
sono anch’essi da ricondurre in principio alle due categorie generali di fondi aperti
o chiusi.
Un fondo è garantito qualora si garantisca ai quotisti o la restituzione del
capitale investito o un rendimento minimo (art. 15). Tale garanzia tecnicamente
non è prestata dalla Sgr ma da un soggetto terzo col quale la Sgr stipula
un’apposita convenzione; garante può essere, non solo una banca, ma anche
un’impresa di investimento o un altro intermediario finanziario purché sottoposto
a vigilanza prudenziale. Tale impostazione, oltre ad assicurare al gestore una
maggiore stabilità finanziaria e patrimoniale, evita in nuce il rischio di violazioni
della riserva di attività bancaria, consistente nella raccolta del risparmio tra il
pubblico e nell’esercizio del credito 264. A tale attività sarebbe dunque del tutto
assimilabile quella eventualmente svolta dalla Sgr qualora decidesse di garantire
essa stessa il rimborso degli investimenti effettuati nei propri fondi 265.
8. La gestione dei fondi
La complessità della gestione in monte del risparmio fa sorgere l’esigenza di
coinvolgere più soggetti nella prestazione del servizio. Come sopra specificato 266,
sebbene a oggi non sia più ammessa una completa e definitiva scissione delle
attività di istituzione e di gestione dei fondi comuni di investimento, l’art. 36,
comma 1, TUF, stabilisce che il fondo può essere gestito, oltre che dalla società
che lo costituisce, anche dalla «società di gestione [che] subentra nella gestione,
in conformità alla legge e al regolamento».
La Banca d’Italia, in data 19 gennaio 2015, ha approvato il nuovo
regolamento sulla gestione collettiva del risparmio che ha abrogato e sostituito
263
Introdotti dal d.m. 31 gennaio 2003, n. 47.
Artt. 10, 11 del D. L.vo 1 settembre 1993, n. 385, Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB).
265
F. ANNUNZIATA, Fondi comuni di investimento e forme di gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 492.
266
V. Cap. II, par. 2.2.
264
64
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
quello precedente 267. Tale provvedimento ha permesso l’adeguamento della
disciplina regolamentare ai principi europei contenuti nella direttiva AIFMD, così
com’era già avvenuto per la disciplina primaria, tramite il D. Lgs. 44/2014. A tal
proposito, si noti come la nuova formulazione del regolamento non contenga più
la norma - invece presente nella versione previgente 268 - che disciplinava l’ipotesi
di affidamento della gestione del fondo a una Sgr diversa da quella che lo ha
promosso e istituito.
Sarebbero comunque sufficienti le norme del TUF per affermare che la
gestione dei fondi debba essere determinata in primis dagli organi della Sgr
promotrice. Essi, nello svolgimento della propria attività, possono solo essere
coadiuvati da altre società di gestione. Nonostante le innovazioni è infatti ancora
oggi garantita alle Sgr la possibilità di delegare proprie funzioni a soggetti terzi.
Coerentemente con la ratio delle ultime riforme, l’art. 33, comma 4 TUF,
stabilisce però che tale delega debba essere effettuata «con modalità tali da evitare
lo svuotamento di attività della società stessa». Come specifica anche il
Regolamento Congiunto della Banca d’Italia e della Consob 269, la delega può
avere ad oggetto anche la gestione dell’intero patrimonio degli Oicr gestiti ma
l’attività, seppur in concreto svolta dal delegato, non può non essere conforme agli
obiettivi, alle politiche di investimento e al profilo di rischio dei singoli Oicr 270, in
base anche a quanto fissato nei relativi
regolamenti. In ogni caso resta
impregiudicata la responsabilità della Sgr nei confronti degli investitori per
l'operato dei soggetti delegati 271 e perciò alla Sgr delegante è sempre consentito
impartire istruzioni vincolanti in ordine alle operazioni da compiere. In tal caso
dunque il delegato svolge un servizio in favore della Sgr delegante e solo nei suoi
confronti assume una responsabilità di tipo contrattuale 272. Nella specie, si ritiene
si configuri un rapporto di mandato - avente ad oggetto l’esecuzione di funzioni
gestorie dei patrimoni comuni – che, come noto, determina una ripartizione tanto
267
Regolamento Banca d’Italia 8 maggio 2012 e successive modificazioni.
Cfr. Regolamento Banca d’Italia dell’8 maggio 2012, Tit. V, Cap. I, sez. II, par. 4.1.1.
269
Regolamento congiunto Banca d'Italia e Consob del 29 ottobre 2007.
270
Art. 33, Regolamento Congiunto.
271
Art. 33, comma 4 TUF.
272
F. BILOTTI, op. cit., p. 155.
268
65
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
di competenze quanto di responsabilità meramente interna, non essendo in tali
rapporti in alcun modo coinvolti i partecipanti 273.
8.1
Corporate goverance e fund governance
Le politiche di investimento in base alle quali sono gestiti i fondi sono
stabilite, nonostante le restrizioni e i vincoli sopra esaminati 274, dagli organi di
governo delle Sgr e fissate nel regolamento. In cosa investire? Quando
disinvestire piuttosto che investire? Sono questi gli interrogativi che si pongono
gli amministratori delle Sgr 275 nell’esercizio dell’attività. Le loro scelte
comportano immediatamente una variazione qualitativa e/o quantitativa della
composizione del patrimonio dell’Oicr gestito, incidendo così sugli interessi dei
risparmiatori.
Nelle società di gestione del risparmio, ai tradizionali conflitti di interessi - e
quindi ai problemi di agency 276 - generalmente riscontrati in tutte le società
azionarie, occorre aggiungerne un altro: il conflitto tra i soci della Sgr e i
partecipanti ai fondi da questa gestiti, comunemente definito come l’oggetto della
fund governance. La dottrina oggi cerca di individuare l’interesse che la società di
gestione è chiamata a perseguire, in considerazione anche - o soprattutto - degli
interessi dei sottoscrittori delle quote dei fondi gestiti. L’attuale disciplina, in
particolare quella regolamentare, impone rigidi requisiti di onorabilità,
professionalità e indipendenza per gli esponenti aziendali, cercando per tale via di
garantire una corretta gestione della società e mediatamente dei fondi. D’altro
canto, come sopra esaminato 277, le norme di comportamento tendono a
salvaguardare i diritti degli investitori. Nonostante tali presidi il problema
peculiare della governance delle Sgr risiede nell’esigenza di conciliare il
perseguimento dell’interesse al profitto dei suoi soci con l’esigenza di tutelare i
273
V. RENZULLI , A. TUCCI, op. cit. , p. 336ss.
V. Cap. II, par. 7 e 8.
275
V. LEMMA, op. cit., p. 682.
276
«Per problema di agency si intende ogni situazione nella quale il benessere di una parte dipende dall’attività svolta
fiduciariamente da un’altra parte nell’interesse della prima». M. STELLA RICHTER jr, La governance delle società di
gestione del risparmio, in Giurisprudenza Commerciale, 2009, I, p. 670.
277
V. Cap. II, par. 5.
274
66
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
quotisti. Come opportunamente messo in luce «si deve fare in modo che […] si
acquisisca consapevolezza del fatto che l’interesse che la società di gestione del
risparmio deve perseguire non è solo quello dei soci, ma anche quello dei
partecipanti al fondo»278.
9
Il depositario
Altro soggetto coinvolto nella gestione degli Oicr è il depositario. La legge
stabilisce che per ciascun fondo il gestore, con il regolamento, conferisca
l’incarico a un unico soggetto. L’incarico può essere assunto da banche operanti in
Italia, sia se italiane, sia se comunitarie purché con succursali sul territorio della
Repubblica, sia da Sim e succursali italiane di imprese di investimento. La Banca
d’Italia, insieme con la Consob, disciplina l’esercizio di tale attività: è innanzitutto
stabilito che l’autorizzazione, indispensabile per lo svolgimento del servizio, è
rilasciata dalla Banca d’Italia, accertato il possesso da parte del richiedente degli
specifici requisiti previsti dalla normativa di settore (art. 47, commi 1, 2, 3 TUF).
Oggetto di deposito sono sempre gli strumenti finanziari ricompresi in un
patrimonio comune. In seguito al recepimento dell’AIFMD non è più previsto
come obbligatorio il deposito delle somme di denaro presso il medesimo soggetto
(art. 48, comma 2, TUF) 279 e, d’altro canto, ovviamente non è affatto contemplata
la custodia di beni diversi - ad esempio immobili o crediti - che, pur potendo
comporre il patrimonio dell’Oicr, non possono essere depositati presso terzi 280.
Il compito principale del depositario è di custodire gli strumenti finanziari
ed eventualmente le disponibilità liquide affidatigli. Il depositario, nell’esercizio
della propria attività, tutela degli interessi degli investitori impedendo il
compimento di abusi da parte della Sgr 281. Benché già la regola di separazione
patrimoniale, sancita nell’art. 36, comma 4 TUF, permetta di qualificare i singoli
fondi come patrimoni autonomi – sia distinti gli uni dagli altri, nel caso in cui la
società costituisca più fondi, sia distinti dal patrimonio generale della società –
278
M. STELLA RICHTER jr, op. cit., p.677.
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 202.
280
Ivi, p. 203.
281
F. BILOTTI, op. cit., p. 155.
279
67
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
sono la materiale sottrazione dei beni alla Sgr e la custodia presso terzi che
effettivamente permettono di prevenire indebite attività appropriative o distrattive
dei beni del fondo che altrimenti potrebbero essere poste in essere dalla società di
gestione. Si cerca dunque, per tale via, di garantire il rispetto del principio per cui
la società di gestione non può in alcun caso utilizzare, nell’interesse proprio o di
terzi, i beni di pertinenza dei fondi gestiti (art. 36, comma 4, ult. periodo) 282.
Altro compito del depositario è di controllare l’operato del gestore e la sua
conformità alle previsioni di legge e di regolamenti. Nella specie, egli non deve
controllare soltanto le operazioni aventi ad oggetto beni presso di sé depositati,
bensì tutte le operazioni, anche se aventi ad oggetto beni di cui il depositario non
ha la custodia 283.
In questo senso pertanto, le mansioni attribuite al depositario sono ben più
numerose e complesse di quelle nascenti da un comune contratto di deposito; il
soggetto è infatti «chiamato a controllare e a vigilare in via continuativa l’attività
della società di gestione» 284 poiché alla deminutio delle facoltà riconosciute al
singolo investitore fa evidentemente da contrappeso il riconoscimento di tale
posizione “di garanzia” al depositario 285. Al fine di garantire l’indipendenza del
controllante (depositario) dal controllato (Sgr), la disciplina regolamentare
impone specifici requisiti di indipendenza che gli esponenti aziendali del
depositario devono necessariamente possedere, cercando in tal modo di assicurare
un adeguato distacco dal soggetto vigilato 286.
A fronte della rilevanza delle mansioni attribuite al depositario, è stato
previsto un rigido regime di responsabilità che sanzioni il depositario in caso di
danni arrecati al gestore o agli investitori, alla luce della (maggiore)
282
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 337.
L’art. 48, comma 3, TUF stabilisce che il depositario:
a) accerta la legittimità delle operazioni di vendita, emissione, riacquisto, rimborso e annullamento delle quote del
fondo, nonché la destinazione dei redditi dell’Oicr;
b) accerta la correttezza del calcolo del valore delle parti dell’Oicr o, nel caso di OICVM italiani, su incarico del
gestore, provvede esso stesso a tale calcolo;
c) accerta che nelle operazioni relative all’Oicr la controprestazione sia rimessa nei termini d'uso;
d) esegue le istruzioni del gestore se non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di
vigilanza;
e) monitora i flussi di liquidità dell’Oicr, nel caso in cui la liquidità non sia affidata al medesimo.
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 205.
284
F. ANNUNZIATA, ivi, p. 206.
285
Ivi, p. 249.
286
F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 252.
283
68
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
professionalità e perizia esigibile dallo stesso. La responsabilità in cui incorre
eventualmente il depositario è dunque una responsabilità specifica che si aggiunge
a quella generale ricollegabile alla violazione degli obblighi connessi con il
deposito 287. In particolare, la responsabilità del depositario verso la società di
gestione è indubbiamente di natura contrattuale (ex art. 1218 c.c.) poiché tra le
parti vi è un rapporto giuridico diretto, in genere una apposita convenzione 288. Più
controversa è invece la natura della responsabilità del depositario verso i
partecipanti ai fondi, non essendo prima facie individuabile un rapporto giuridico
diretto tra gli stessi. Alla luce di tale constatazione, la dottrina prevalente
propende per la qualificazione della responsabilità in cui incorre in questo caso il
depositario come extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) 289.
10
L’assemblea dei partecipanti ai fondi chiusi
Tratto essenziale della gestione in monte del risparmio è l’irrilevanza
dell’interesse del singolo a fronte di quello della collettività. Un’eccezione a
questo principio è prevista per i fondi chiusi, la partecipazione ai quali, come
noto, attribuisce ai partecipanti il diritto di disinvestire soltanto alle scadenze
previste nel regolamento 290. Data dunque la maggiore vincolatezza dell’affare, nel
2010 è stato introdotto nel D.M. 228/1999 il Titolo V 291, rubricato “Assemblea dei
partecipanti ai fondi chiusi”. È stata così riconosciuta la possibilità, per i
partecipanti ai suddetti fondi, di riunirsi in assemblea per adottare deliberazioni
vincolanti per la Sgr 292.
Occorre però dar conto di una modifica intervenuta in tale settore, in
occasione del recente adeguamento della disciplina nazionale a quella
comunitaria. Mentre l’art. 18 bis del sopra citato decreto a tutt’oggi stabilisce che
l’assemblea dei partecipanti delibera sulla modifica delle politiche di gestione,
sulla richiesta di ammissione a quotazione delle quote di partecipazione e sulla
287
Ivi, p. 251.
V. RENZULLI, A. TUCCI, op. cit., p. 338.
289
F. BILOTTI, op. cit., p. 157. Cfr. F. ANNUNZIATA, La gestione collettiva del risparmio, op. cit., p. 252.
290
V. amplius par. 8.1 e 8.1.2.
291
Titolo aggiunto con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 5 ottobre 2010, n.197.
292
F. BILOTTI, op. cit., p. 158.
288
69
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
sostituzione della Sgr, il novellato art. 37 TUF, al terzo comma, stabilisce
testualmente che «il regolamento dei fondi chiusi diversi dai FIA riservati prevede
che i partecipanti poss[a]no riunirsi in assemblea esclusivamente per deliberare
sulla sostituzione del gestore».
Si noti anzitutto come l’art. 37 TUF rimetta all’autonomia privata la
creazione dell’organo assembleare nel caso di fondi riservati, potendo in questo
caso il regolamento indifferentemente prevedere o non prevedere la sua
istituzione, con l’eventuale conseguente compressione dei poteri di indirizzo degli
investitori. Su un piano più generale, invece, si noti come l’art. 37 sia baluardo
dell’autonomia riconosciuta al gestore, autonomia altrimenti compressa dalle
possibili – e potenzialmente ingerenti - deliberazioni dell’assemblea sulle scelte di
investimento 293.
293
P. CARRIÈRE, op. cit., p. 458.
70
Le società di gestione del risparmio (Sgr)
III CAPITOLO: La crisi delle società di gestione
1. Ratio e finalità della disciplina speciale della crisi delle banche e degli
intermediari finanziari
La crisi delle banche e degli intermediari finanziari è ormai, in tutti gli
ordinamenti più avanzati, disciplinata da specifiche norme che differiscono sotto
più profili da quelle che invece sono dettate per la crisi degli altri imprenditori.
Nell’ambito dei servizi finanziari, la presenza di più parti (clienti, intermediari,
emittenti ecc.) e l’incontro dei relativi interessi hanno fatto sorgere l’esigenza di
regolare separatamente - e non fare soggiacere alla disciplina di diritto comune –
tanto l’attività, quanto la crisi, degli operatori dei mercati finanziari.
La vigilanza sui mercati è esercitata dalla Banca d’Italia e dalla Consob, e
alcune delle finalità che essa intende garantire sono: la salvaguardia della fiducia
nel sistema finanziario, la tutela degli investitori, la stabilità e il buon
funzionamento del sistema e l’osservanza delle disposizioni (art. 5, comma 1,
TUF). L’esigenza di garantire la tutela dei citati valori ha contribuito
all’articolazione dell’attuale sistema normativo.
È stato rilevato che le procedure ordinarie di composizione delle crisi
d’impresa - fallimento, concordato preventivo, amministrazione controllata disciplinate nella legge fallimentare 294 tutelino principalmente, se non
esclusivamente, i creditori delle società, garantendo il soddisfacimento delle loro
pretese attraverso un riparto concorsuale di quanto ottenuto tramite la liquidazione
dell’attivo. Una modifica rilevante è stata introdotta nel 1999, con il D. Lgs. 8
luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi bis), che ha radicalmente riformato la
disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di
insolvenza «al fine di evitare l’artificiosa permanenza in vita, a spese della
collettività, di organismi produttivi privi di qualsiasi prospettiva di ripresa»295. È
stata quindi ridefinita la finalità della procedura, stabilendo che essa ha lo scopo di
294
295
Legge fallimentare, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.
G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali, Torino, 2011, p. 327.
garantire la conservazione del patrimonio produttivo mediante prosecuzione,
riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali (art. 1, d. lgs. 270/1999).
Nonostante detta riforma sia intervenuta su una disciplina speciale, perché
applicabile solo a imprese di grandi dimensioni, cercando per di più di ampliare le
finalità proprie delle procedure di risoluzione delle crisi delle imprese contemplate
nella legge fallimentare, la disciplina generale è stata comunque ritenuta inadatta a
fronteggiare la crisi degli operatori del settore finanziario, alla luce della varietà
degli interessi coinvolti e delle esigenze testé citate 296.
Pertanto, il legislatore ha elaborato una complessa disciplina contenuta
prevalentemente nel Testo Unico Bancario, quindi applicabile alle banche, ed
oggi, in forza di numerosi rinvii contenuti nel Testo Unico della Finanza, anche
agli intermediari finanziari.
Antecedentemente all’adozione del TUF, il panorama normativo in materia
era molto variegato: la crisi delle banche e quella degli intermediari finanziari
soggiacevano a discipline differenti e il legislatore era giunto persino a introdurre
previsioni speciali per singoli intermediari. Il sempre più frequente intreccio tra le
varie attività esercitabili nei mercati e soprattutto la presenza di complessi legami
partecipativi fra società - si pensi ad una banca che tramite una propria controllata
presti anche altri servizi - hanno indotto il legislatore a riformare la materia al fine
di renderla più organica ed armonica 297. Oggi dunque, salvo alcune previsioni
speciali applicabili esclusivamente alla crisi degli intermediari finanziari, vi è una
disciplina sostanzialmente unitaria dettata nel TUB 298.
Presupposto per l’adozione dei provvedimenti o per l’apertura di una delle
procedure previste è, non soltanto la crisi economico – finanziaria della società,
ma anche la sussistenza di una situazione di irregolarità (ad esempio, la violazione
di norme di legge), campanello di allarme di una eventuale crisi 299. Tale
impostazione permette alle autorità di vigilanza di attivarsi subito nell’intento di
296
L. DI BRINA, La crisi della banca e degli intermediari finanziari, in Ordinamento finanziario italiano, (a cura di F.
CAPRIGLIONE) Padova, 2010, Tomo II, p. 692.
297
F. GIORGIANNI, C. M. TARDIVO, La disciplina delle crisi – Le crisi degli intermediari finanziari, in Manuale di
diritto bancario, Roma, 2009, p. 312.
298
Poiché l’oggetto della presente trattazione è circoscritto all’esame della disciplina della crisi delle Società di gestione
del risparmio, nel prosieguo della trattazione, si farà riferimento esclusivamente alle norme ad esse applicabili, sebbene,
per le ragioni ricordate, la disciplina abbia oggi carattere generale e sia quindi applicabile a tutti gli intermediari
finanziari, riferendoci con tale termine a banche, Sim, Sgr, Sicav e Sicaf.
299
L. DI BRINA, op. cit., p. 693.
72
La crisi delle società di gestione
tamponare situazioni che altrimenti, aggravandosi, potrebbero compromettere la
sana e prudente gestione dell’intermediario e finanche gli interessi degli
investitori. Se fossero adottabili solo provvedimenti successivi all’insorgere della
crisi, la tutela del risparmio - costituzionalmente imposta ex art. 47 Cost. potrebbe non risultare effettiva; invece, consentendo alle autorità di vigilanza di
agire già al ricorrere di meri indizi (e non soltanto di vere e proprie prove) di crisi
dell’intermediario, si anticipa la tutela per meglio salvaguardare l’integrità del
mercato e il suo efficiente funzionamento 300.
All’interno di un siffatto sistema si inserisce anche il potere riconosciuto
alle autorità di vigilanza di convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti
delle società, nonché di ordinare la convocazione (o procedere direttamente alla
convocazione in caso di inottemperanza) degli organi collegiali, fissandone
l'ordine del giorno (art. 7, comma 1, TUF). È l’esigenza di tutela di molteplici
interessi che giustifica un così pregnante controllo, e persino l’interferenza di un
soggetto esterno nelle attività degli organi sociali 301.
Altro tratto caratterizzante la disciplina in esame è il rilevante ruolo
riconosciuto al Ministero dell’economia e delle finanze e alle autorità di vigilanza
(Banca d’Italia e Consob). Si avrà modo di notare come il controllo pubblico sul
mercato bancario e finanziario sia particolarmente pregnante nonostante l’ormai
conclusa privatizzazione delle banche e delle imprese di investimento: il controllo
all’ingresso nel mercato, al fine di ottenere l’autorizzazione per l’esercizio
dell’attività, insieme alla costante vigilanza prudenziale, consentono da un lato di
tutelare investitori e mercati e dall’altro di giustificare anche la sottrazione di
questi speciali imprenditori all’applicazione della disciplina di diritto comune 302.
Svolte queste brevi considerazioni di carattere generale, procediamo con
l’analisi dei singoli provvedimenti - adottabili dal Ministro dell’economia e delle
finanze o dalle autorità di vigilanza – che possono essere distinti in ingiuntivi
300
M. FOSCHINI, Su provvedimenti e procedure finalizzati a prevenire e risolvere la crisi delle Sim, delle Sgr e delle
Sicav, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, (a cura di S. AMOROSINO, G. ALPA, V. TROIANO, M. SEPE,
G. CONTE, M. PELLEGRINI, A. ANTONICCI), Padova, 2010, Tomo I, p. 441. Sul punto F. GIORGIANNI, C. M.
TARDIVO, Manuale di diritto bancario, op. cit., p. 302 e ss..
301
L. DI BRINA, op. cit., p. 702.
302
L. DI BRINA, op. cit., p. 696.
73
La crisi delle società di gestione
(artt. 51 e 52 TUF), sospensivi (artt. 53 – 55 TUF) e provvedimenti di crisi (artt.
56 – 58 TUF).
2
I provvedimenti ingiuntivi
Al fine di prevenire quanto più possibile l’insorgere di una situazione di
crisi, è attribuito alle autorità di vigilanza (Banca d’Italia e Consob), nei rispettivi
ambiti di competenza303, il potere di adottare “provvedimenti ingiuntivi”. Tali
sono quei provvedimenti che hanno una funzione correttiva e non già
sanzionatoria 304, idonei a «monitorare situazioni emergenti in un momento
precedente al verificarsi dei presupposti per l’apertura delle procedure di
amministrazione straordinaria ovvero di liquidazione coatta amministrativa»305.
Tali provvedimenti hanno carattere inibitorio e natura preventiva, cautelare,
poiché mirano a prevenire, o almeno limitare, danni gravi e irreparabili.
I provvedimenti ingiuntivi sono atti amministrativi di natura cautelare,
adottati a seguito di un procedimento sommario che comprime, almeno
inizialmente, il diritto al contraddittorio al fine di assicurare una tutela effettiva in
tempi rapidi 306. Le Autorità di Vigilanza devono infatti verificare l’esistenza del
fumus boni iuris e del periculum in mora e, in base al caso concreto, devono
determinare il contenuto del provvedimento 307. La mancata predeterminazione dei
303
La ripartizione delle competenze è operata dall’art. 5 TUF, il quale stabilisce che «la vigilanza sulle attività
disciplinate dalla presente parte ha per obiettivi: a) la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario; b) la tutela degli
investitori; c) la stabilità e il buon funzionamento del sistema finanziario; d) la competitività del sistema finanziario; e)
l’osservanza delle disposizioni in materia finanziaria.
2. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Banca d' Italia è competente per quanto riguarda il
contenimento del rischio, la stabilità patrimoniale e la sana e prudente gestione degli intermediari.
3. Per il perseguimento degli obiettivi di cui al comma 1, la Consob è competente per quanto riguarda la trasparenza e la
correttezza dei comportamenti». A causa della presente ripartizione delle competenze possono porsi dei problemi di
coordinamento nell’esercizio dell’attività; anche per risolvere tali problemi è stato stipulato tra la Banca d’Italia e la
Consob un Protocollo d’intesa per disciplinare la loro collaborazione operativa. Sul punto V. A. DI AMATO, op. cit., p.
203.
304
M. FRATINI, Provvedimenti ingiuntivi e crisi degli intermediari, in Diritto dei mercati finanziari, Bari, 2013, p.
280.
305
M. FOSCHINI, Su provvedimenti e procedure finalizzati a prevenire e risolvere la crisi delle Sim, delle Sgr e delle
Sicav, in Scritti in onore di Francesco Capriglione, (a cura di S. AMOROSINO, G. ALPA, V. TROIANO, M. SEPE,
G. CONTE, M. PELLEGRINI, A. ANTONICCI), p. 441.
306
A. DI AMATO, Disfunzioni e crisi degli intermediari ed interventi di vigilanza, in Manuale di diritto del mercato
finanziario, (a cura di S. AMOROSINO), Milano 2014, p. 195.
307
F. GIORGIANNI, C. M. TARDIVO, op. cit., p. 314. Nello stesso senso A. DI AMATO, op. cit., p. 196. Contra M.
FRATINI, op. cit., p. 279, il quale sostiene che, per adottare un provvedimento ingiuntivo, non sia sufficiente verificare
74
La crisi delle società di gestione
contenuti dei provvedimenti ingiuntivi permette di plasmare il provvedimento
tenendo conto dei connotati della situazione, stante l’impossibilità di prevedere, in
via astratta e generale, provvedimenti idonei ed efficaci per tutti i casi in concreto
configurabili.
I provvedimenti possono avere sia contenuto inibitorio, e
quindi vietare la continuazione di determinati comportamenti o, nei casi più gravi,
vietare l’esercizio dell’attività, sia contenuto ordinatorio, e quindi ordinare di fare
quanto necessario per eliminare le violazioni commesse e le loro conseguenze 308.
2.1
Il divieto di nuove operazioni
L’art. 51 è la prima norma dettata dal TUF relativamente ai provvedimenti
ingiuntivi. Essa stabilisce che, in caso di violazione da parte degli intermediari
nazionali ed extracomunitari aventi sede in Italia delle disposizioni loro
applicabili, la Banca d’Italia o la Consob, nell’ambito delle rispettive competenze,
possano ordinare di porre termine a tali irregolarità, intimando dunque al
destinatario del provvedimento di cessare il comportamento antigiuridico (art. 51,
comma 1, TUF). Ai fini dell’adozione del provvedimento in esame sono
qualificabili come antigiuridici non tutti i comportamenti posti in essere in
violazione di una qualsiasi norma dell’ordinamento, bensì solo quelli contrari alle
norme del Testo Unico della Finanza e delle disposizioni attuative dello stesso 309.
Qualora le violazioni poste in essere siano in grado di pregiudicare interessi
di carattere generale o in casi di urgenza per la tutela degli interessi degli
investitori, l’Autorità di Vigilanza procedente, sentita l’altra autorità, può vietare
alle Sgr di intraprendere nuove operazioni (art. 51, comma 2, TUF). Con tale
provvedimento, evidentemente più incisivo di quello adottabile ex comma 1, non
si può imporre all’intermediario un divieto assoluto e generalizzato di
acquisizione di nuova clientela, poiché in tal caso si avrebbe un provvedimento di
carattere sostanzialmente liquidativo, con ciò esorbitando dalle finalità tipiche dei
l’esistenza del fumus boni iuris, essendo piuttosto necessario un accertamento di tipo definitivo dell’irregolarità del
comportamento.
308
A. DI AMATO, op. cit., p. 196.
309
A. DI AMATO, op. cit., p. 196.
75
La crisi delle società di gestione
provvedimenti ingiuntivi 310. Nelle summenzionate ipotesi, l’autorità procedente
può altresì «imporre ogni altra limitazione riguardante singole tipologie di
operazioni, singoli servizi o attività, anche limitatamente a singole succursali o
dipendenze dell’intermediario» (art. 51, comma 2, TUF).
I presupposti indicati dalla norma per l’adozione del provvedimento in
esame stanno tra loro in rapporto di alternatività, essendo sufficiente la sussistenza
di uno soltanto dei due per la sua adozione. Relativamente al primo – pericolo di
pregiudizio per interessi di carattere generale – occorre chiarire che ci si riferisce a
«interessi di dimensioni metaindividuali, non risolvibili nella sfera soggettiva del
singolo investitore»311. In merito al secondo presupposto invece, occorre
specificare che si ha una situazione di urgenza per la tutela degli investitori tutte le
volte che una o più irregolarità possano generare pregiudizio per gli investitori
(intesi non uti singuli, bensì, anche stavolta, come categoria) e l’adozione di un
provvedimento ingiuntivo si imponga poiché la gravità della situazione non
consente l’adozione di provvedimenti di altra specie (periculum in mora) 312.
Per completezza espositiva è necessario fare alcune precisazioni a proposito
degli intermediari stranieri operanti sul territorio italiano. Mentre l’art. 51 TUF è
applicabile non solo agli intermediari italiani ma anche a quelli extracomunitari,
l’art. 52 disciplina separatamente i provvedimenti ingiuntivi adottabili nei
confronti degli intermediari comunitari e le relative procedure da seguire. Ad essi
infatti, non sono applicabili le norme previste per gli intermediari italiani o per
quelli extracomunitari con sede in Italia, poiché il principio dell’home country
control prevede che gli intermediari comunitari operanti nel territorio dell’Unione
siano assoggettati al controllo delle autorità di vigilanza del Paese in cui hanno la
sede legale 313. Gli articoli 51 e 52 si ispirano comunque a principi analoghi. Le
discipline in essi contenute sono pertanto tra loro simili ma non uguali: l’autorità
italiana, pur potendo adottare provvedimenti inibitori nei confronti degli operatori
comunitari, è obbligata a comunicarli all’autorità del Paese d’origine del
310
M. FRATINI, op. cit., p. 281.
Ibidem.
312
Ibidem.
313
A. DI AMATO, op. cit., p. 197.
311
76
La crisi delle società di gestione
destinatario; presupposti più stringenti 314 sono invece previsti per l’adozione di
quei
provvedimenti
che
incidono
anche
sull’operatività
del
soggetto
(parallelamente a quelli disciplinati nell’art. 51, comma 2, TUF) 315.
2.2
La sospensione degli organi amministrativi e la gestione provvisoria
La procedura di sospensione degli organi amministrativi degli intermediari
finanziari e la conseguente nomina di organi commissariali, incaricati di
provvedere alla gestione provvisoria dell’ente, è stata introdotta per la prima volta
dalla legge 2 gennaio 1991, n. 1. Nel corso del tempo detta procedura è stata più
volte modificata e oggi la sua disciplina è contenuta nell’art. 53 del TUF. Esso
prevede che il Presidente della Consob possa disporre in via d’urgenza la
sospensione degli organi di amministrazione delle Sgr e la nomina di un
commissario che assuma la gestione dell’ente qualora ricorra una situazioni di
pericolo per i clienti o per i mercati e risultino alternativamente, o gravi
irregolarità nell’amministrazione, o gravi violazioni delle disposizioni legislative,
amministrative o statutarie (art. 53, commi 1 e 6, TUF).
I presupposti per l’adozione del provvedimento ingiuntivo in esame sono
solo prima facie uguali a quelli che giustificano l’avvio dell’amministrazione
straordinaria (art. 56, comma 1, lett. a), TUF). Perché sia adottato un
provvedimento ingiuntivo – e non venga invece attivato il complesso iter che
termina con l’apertura dell’amministrazione straordinaria - è necessario che
sussistano anche ragioni di assoluta urgenza che, nel caso degli intermediari
finanziari, sono individuabili in «situazioni di pericolo per i clienti o per i
mercati»316. Si noti inoltre che presupposto per la sospensione degli organi
amministrativi è la violazione delle disposizioni sia legislative, sia amministrative,
314
«L'autorità di vigilanza che procede può adottare i provvedimenti necessari, sentita l'altra autorità, compresa
l'imposizione del divieto di intraprendere nuove operazioni, nonché ogni altra limitazione riguardante singole tipologie
di operazioni, singoli servizi o attività anche limitatamente a singole succursali o dipendenze dell'intermediario, ovvero
ordinare la chiusura della succursale, quando: a) manchino o risultino inadeguati i provvedimenti dell'autorità
competente dello Stato in cui l'intermediario ha sede legale; b) risultino violazioni delle norme di comportamento; c) le
irregolarità commesse possano pregiudicare interessi di carattere generale; d) nei casi di urgenza per la tutela degli
interessi degli investitori» (art. 52, comma 2, TUF).
315
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 236.
316
L. DI BRINA, op. cit., p. 705.
77
La crisi delle società di gestione
sia statutarie; il provvedimento può pertanto essere adottato non soltanto nei casi
di violazione del Testo Unico della Finanza e delle relative norme di attuazione,
come previsto nel caso dei provvedimenti ingiuntivi ex art. 51 TUF. In questo
caso, sussistendo ovviamente anche gli altri presupposti previsti dalla legge, è
dunque sufficiente la violazione di una qualsiasi norma, purché sia valutabile
come grave 317.
La necessità di far fronte a situazioni urgenti, idonee a compromettere
interessi generali, giustifica l’adozione di provvedimenti cautelari - come già
messo in luce precedentemente - inaudita altera parte, per giunta, in questo
specifico caso, da parte di un organo monocratico, il Presidente della Consob 318.
Il provvedimento in esame comporta la sospensione degli organi di
amministrazione dell’intermediario e la nomina di un commissario provvisorio.
Con “organi amministrativi” ci si riferisce al consiglio di amministrazione o al
diverso organo al quale lo statuto abbia conferito i poteri gestori; nessuna
restrizione o conseguenza si produce invece sugli organi di controllo 319. Il
commissario resta in carica sessanta giorni (art. 53, comma 2, TUF); egli è
chiamato ad accertare le violazioni contestate e ad adottare misure idonee a
ristabilire una situazione di normalità nell’ente e di legittimità dell’attività. Così
strutturata, la gestione provvisoria è potenzialmente una procedura autonoma e
completa, al termine della quale, eliminata ogni irregolarità, il commissario
restituisce la società nelle mani degli organi amministrativi momentaneamente
sospesi perché riprendano l’ordinaria attività 320.
È però possibile che ricorrano delle situazioni talmente gravi da non poter
essere risanate nel breve periodo, che pertanto non permettono al commissario
straordinario di restituire la società ai vecchi amministratori. Al contrario, in tali
casi, la gestione provvisoria non si configura come una misura autonoma per la
gestione di una situazione di mera irregolarità sanabile, ma ha una «funzione
meramente preparatoria e conservativa, che prelude all’intervento degli organi
delle altre procedure (amministrazione straordinaria o liquidazione coatta
317
M. FRATINI, op. cit., p. 284.
L. DI BRINA, op. cit., p. 706.
319
M. FRATINI, op. cit., p. 285.
320
L. DI BRINA, op. cit., p. 706.
318
78
La crisi delle società di gestione
amministrativa)»321; in tal senso la gestione provvisoria permetterà di anticipare
gli effetti della successiva procedura che potrà essere aperta con un apposito
provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze 322.
3
I provvedimenti di crisi
Nel Capo II, del Titolo IV del TUF è dettata la disciplina della crisi degli
intermediari finanziari. Per comprenderne appieno la ratio e la portata, occorre
tenere in considerazione alcuni fattori. Primo fra tutti il c.d. rischio sistemico e
cioè il rischio che la crisi di un singolo operatore si propaghi ad altri o, nei casi
più gravi, ad un intero settore 323. Qualora tale rischio si realizzasse, potrebbero
essere compromessi gravemente la stabilità e il buon funzionamento del mercato,
con conseguenze poi non facilmente arginabili.
A causa di particolari intrecci partecipativi tra vari intermediari operanti
nello stesso settore o in settori contigui, l’insolvenza di una società potrebbe
propagarsi anche ad altre, provocando l’insolvenza di operatori facenti parti dello
stesso gruppo (c.d. effetto domino).
Ancora, il default di un intermediario potrebbe ingenerare sfiducia negli
investitori che, ritenendo di non poter fare più affidamento sulla stabilità dei
mercati, potrebbero essere indotti a ridurre notevolmente i propri investimenti,
provocando così l’allontanamento dei capitali dal mercato 324.
Per prevenire tali situazioni evidentemente molto pericolose, l’attuale
disciplina prevede la possibilità di sottoporre gli intermediari finanziari ad
amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa. Le due
procedure, nettamente divergenti per finalità e presupposti, sono dirette
rispettivamente alla ricostituzione della normalità e dell’equilibrio nella società, la
prima, e alla liquidazione dell’attivo con conseguente eliminazione dell’ente dal
mercato, la seconda.
321
L. DI BRINA, op. cit., p. 706
M. FOSCHINI, op. cit., p. 443. Nello stesso senso L. DI BRINA, op. cit., p. 706 e ss..
323
M. FRATINI, op. cit., p. 288.
324
A. DI AMATO, op. cit., p. 200.
322
79
La crisi delle società di gestione
3.1
L’amministrazione straordinaria. I presupposti
L’amministrazione straordinaria può essere attivata nel caso in cui strumenti
di pressione esogena o di temporanea sospensione degli organi sociali non siano
stati sufficientemente incisivi e si siano quindi rilevati, o ex ante o ex post,
inidonei a ristabilire la regolarità all’interno della società 325. In siffatte situazioni
diviene necessario sostituire autoritativamente gli organi di amministrazione e
controllo dell’ente con dei soggetti qualificati, nominati dall’autorità di vigilanza,
che subentrino in luogo dei primi. Si configura dunque una sorta di “gestione
coattiva” dell’impresa. Tale gestione non ha finalità liquidatorie tende piuttosto a
rimuovere le irregolarità e riportare in bonis la società 326. Per tal via, si cerca
altresì di prevenire il peggioramento della situazione, evitando l’insorgere di una
crisi irreversibile, di fronte alla quale dovrebbe disporsi la liquidazione coatta
amministrativa della società 327.
«Il Ministero dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia
o della Consob, nell’ambito delle rispettive competenze, può disporre con decreto
lo scioglimento degli organi con funzione di amministrazione e di controllo […]
delle società di gestione del risparmio» (art. 56, comma 1, TUF). I presupposti
previsti dalla legge 328 per l’attivazione della procedura sono:
a) Presenza di gravi irregolarità nell’amministrazione ovvero di gravi
violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che ne
regolano l’attività. “Gravi irregolarità nell’amministrazione” è una
formulazione talmente ampia da essere atta a ricomprendere tutte le
condotte contrarie al principio generale di sana e prudente gestione e
quelle contrarie ai principi di prudenza e correttezza e, al contempo,
325
L. DI BRINA, op. cit., p. 707.
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 241.
327
G. PESCATORE, Commento all’art. 56 TUF, in Commentario al T.U.F., (a cura di F. VELLA), Torino , 2010,
Tomo I, p. 541.
328
«Il Ministero dell’economia e delle finanze, […] può disporre con decreto lo scioglimento degli organi con funzione
di amministrazione e di controllo delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav e delle Sicaf quando:
a) risultino gravi irregolarità nell'amministrazione ovvero gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative
o statutarie che ne regolano l'attività;
b) siano previste gravi perdite del patrimonio della società;
c) lo scioglimento sia richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi o dall'assemblea straordinaria ovvero
dal commissario nominato ai sensi dell'articolo 53».
326
80
La crisi delle società di gestione
sintomatiche di una situazione di crisi 329. La gravità delle condotte deve
essere valutata alla luce dei principi generali che regolano la materia,
potendo assumere rilievo, ai fini dell’attivazione della procedura di
amministrazione straordinaria, anche comportamenti contrari ai principi
generali, quand’anche non siano in violazione di specifiche norme di legge
o
di
regolamento 330.
Come
esempi
di
irregolarità
commesse
nell’amministrazione della società possiamo citare: carenza di controlli
interni, scarsa indipendenza degli amministratori causata dall’ingerenza
dei soci di controllo, confusione e non affidabilità degli assetti contabili 331.
Quanto alle “gravi violazioni delle disposizioni legislative,
amministrative o statutarie che ne regolano l’attività”, si ritiene che, per
sottoporre la società ad amministrazione straordinaria, si debba essere alla
presenza di «violazioni che incidano sull’attività e non sul funzionamento
degli intermediari; laddove infatti dalla violazione di una norma
derivassero
indirettamente
riflessi
sulla
gestione
tecnica
dell’intermediario, l’anomalia sarebbe da ascrivere al novero delle attività
amministrative piuttosto che a quello delle violazioni di norme
sull’attività»332. Pur potendo assumere rilievo sia le violazioni di norme
primarie, sia quelle di norme secondarie, l’avvio dell’amministrazione
straordinaria è subordinato alla valutazione della gravità delle suddette
poiché, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo della trattazione,
sono sempre le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle
disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l’attività,
purché di eccezionale gravità, che giustificano l’adozione del più grave
provvedimento di messa in liquidazione coatta amministrativa 333.
b) La previsione di gravi perdite del patrimonio della società. Si presti subito
attenzione al dato letterale: le perdite da monitorare non sono soltanto
quelle emerse, già risultanti, bensì anche quelle previste. Sebbene prima
329
A. DI AMATO, op. cit., p. 201 e ss.
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242.
331
Per una più completa disamina dei vari esempi di irregolarità nell’amministrazione V. F. ANNUNZIATA, La
disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242; G. PESCATORE, op. cit., p. 542 e ss.; A. DI AMATO, op. cit., p.
202.
332
G. PESCATORE, op. cit., p. 543.
333
Cfr. M. FOSCHINI, op. cit.,p. 449.
330
81
La crisi delle società di gestione
dell’approvazione del bilancio sia tecnicamente più corretto esprimersi in
termini di previsione 334, in questo caso il legislatore ha voluto rendere
giuridicamente rilevante una situazione che generalmente non lo è. È stato
stabilito infatti che, per avviare l’amministrazione straordinaria, non è
necessario che le perdite si siano già manifestate definitivamente, essendo
sufficiente la loro previsione: è il caso ad esempio di un credito, ritenuto
irrecuperabile, anche qualora non sia stata già infruttuosamente conclusa la
procedura di recupero forzoso. Inoltre le perdite - seppur solo previste devono inoltre essere gravi, ossia idonee ad incidere in modo significativo
sulla stabilità patrimoniale della società 335; la gravità deve essere valutata
in una prospettiva dinamica e non statica, nell’ottica – propria
dell’amministrazione straordinaria – di riconduzione dell’impresa alla
normalità operativa 336. Le perdite devono risultare dalle scritture contabili
dell’ente; molto spesso però esse emergono solo a seguito delle rettifiche
contabili effettuate dalle Autorità di Vigilanza in sede ispettiva, rettifiche
effettuate in forza di criteri tecnico – contabili utilizzabili dalle stesse
nell’attività di accertamento 337.
Per
essere
rilevanti
ai
fini
dell’attivazione
dell’amministrazione
straordinaria, le perdite inoltre devono riguardare il patrimonio sociale e
non i patrimoni gestiti dalla società per conto dei propri clienti. Qualora
però si siano verificate delle perdite in uno o più patrimoni gestiti, e
qualora esse siano causate da irregolarità amministrative o violazioni di
norme, idonee a rientrare nel presupposto di cui alla lett. a), si potrebbe
sottoporre la società ad amministrazione straordinaria per la sussistenza di
tale presupposto e non per quella di cui alla lett. b) 338.
c) L’istanza motivata di scioglimento promanante dagli organi amministrativi
o dall’assemblea straordinaria ovvero dal commissario straordinario
334
G. PESCATORE, op. cit., p. 543.
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 243.
336
A. DI AMATO, op. cit., p. 203. Sul punto l’A. prosegue osservando che «la gravità delle perdite deve essere
apprezzata in relazione ai tempi in cui si sono manifestate, all’andamento reddituale in atto, alle eventuali iniziative
concrete di concentrazione (come fusioni, che assicurino condizioni di maggiore solidità patrimoniale), di
ricapitalizzazione o di cessione del controllo dei soggetti economici in grado di assicurare la continuità dell’impresa».
337
Cfr. sul punto M. FRATINI, op. cit., p. 289; A. DI AMATO, op. cit., p. 202.
338
G. PESCATORE, op. cit., p. 543.
335
82
La crisi delle società di gestione
nominato ex art. 53 TUF. Sebbene la collocazione di tale fattispecie (nel
primo comma dell’art. 56) possa indurre l’interprete a qualificarla come
terzo presupposto per l’attivazione della procedura di amministrazione
straordinaria, la dottrina è oggi concorde nel ritenere che una tale delibera
sia idonea solo a sollecitare il controllo delle Autorità di Vigilanza,
affinché verifichino la sussistenza di uno dei presupposti di cui alle lett. a)
e b). Non si è dunque alla presenza di un terzo presupposto, al ricorrere del
quale si attiva automaticamente la procedura speciale, ma si tratta piuttosto
di una specificazione in merito alla legittimazione ad attivare il
procedimento 339.
Ricevuta una specifica richiesta dall’Autorità di Vigilanza, o dai soggetti
indicati nella lett. c), di cui all’art. 56, comma 1, TUF, il Ministro dell’economia e
delle finanze effettua una valutazione discrezionale circa la sussistenza di almeno
uno dei presupposti indicati dalla legge 340, sindacabile in sede giurisdizionale solo
nei limiti della manifesta illogicità 341. Il Ministro, se ritiene, dispone quindi con
decreto lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della società.
Si è già accennato 342 all’apparente sovrapponibilità dei presupposti previsti
per l’adozione dei provvedimenti ex articoli 53 e 56 TUF e all’affinità esistente tra
i due. Si è detto che solo il provvedimento di sospensione degli organi
amministrativi, in quanto provvedimento ingiuntivo, presuppone una “situazione
di pericolo per i clienti o per i mercati” poiché l’amministrazione straordinaria, in
quanto soluzione per la crisi dell’intermediario, presuppone piuttosto una
situazione di perdurante irregolarità e può perciò anche seguire il primo. Ma le
differenze non attengono solo ai presupposti dei due provvedimenti: mentre con
l’apertura dell’amministrazione straordinaria si ha lo scioglimento degli organi di
amministrazione e controllo e pertanto, all’atto di cessazione della procedura,
dovranno essere nominati nuovi organi, in caso di provvedimento ingiuntivo ex
art. 53, si ha una mera sospensione del solo organo amministrativo e, allo scadere
339
L. DI BRINA, op. cit., p. 708. Nello stesso senso F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p.
243; G. PESCATORE, op. cit., p. 543; A. DI AMATO, op. cit., p. 203.
340
L. DI BRINA, op. cit., p. 709.
341
V. amplius G. PESCATORE, op. cit., p. 544 e ss.. In questo senso, TAR Lazio, sez. I, 29 agosto 2002, n. 7462, in
Dir. banca e mercato fin., 2003, 1, 1, p. 96 ss. e Banca, borsa, tit. cred., 2004, II, p. 105 e ss., con nota di DE GIORGI,
Amministrazione straordinaria delle Sim.
342
V. par. 2.2. del presente capitolo.
83
La crisi delle società di gestione
del sessantesimo giorno dall’adozione del provvedimento, i precedenti organi
sociali riprendono regolarmente le loro funzioni 343.
3.1.1
La procedura
Nei quindici giorni successivi all’adozione del decreto che dichiara aperta
l’amministrazione straordinaria – decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – la
Banca d’Italia nomina uno o più commissari straordinari 344 e un comitato di
sorveglianza. Alla luce della “derivazione bancaria” della procedura in esame, la
sua direzione è affidata alla Banca d’Italia, anche nell’ipotesi in cui sia stata
aperta su istanza della Consob 345. La procedura dura un anno - decorrente dalla
data di emanazione del decreto - salvo che la Banca d’Italia preveda una durata
più breve o ne autorizzi la chiusura anticipata. In casi eccezionali può essere
disposta una proroga di sei mesi e una ulteriore della durata massima di due mesi
per il completamento degli adempimenti relativi alla chiusura della procedura (ex
art. 70, commi 5 e 6, TUB).
La
disciplina
dell’amministrazione
straordinaria
applicabile
agli
intermediari finanziari e quindi, per i fini che qui interessano, alle Società di
gestione del risparmio, non è dettata direttamente nel Testo Unico della Finanza
poiché l’art. 56 TUF si limita a rinviare alle norme del TUB che regolano
l’amministrazione straordinaria delle banche. Salvo alcune previsioni speciali, la
disciplina prevista per le banche è quasi integralmente applicabile agli
intermediari finanziari e il mancato rinvio ad alcune norme è più apparente che
reale: il legislatore, infatti, ha riscritto nel TUF le previsioni del TUB alle quali
non si fa espressamente rinvio 346. Si specifica inoltre che le norme del TUB si
intendono riferite agli investitori in luogo dei depositanti, alle società di gestione
343
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 242.
Qualora se ne presenti la necessità, la Banca d’Italia può medio tempore nominare un commissario straordinario, per
assicurare continuità tra la gestione ordinaria e quella straordinaria (ex art. 71, comma 5, TUB, applicabile in forza del
rinvio operato dall’art. 56, comma 3, TUF).
345
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 241.
346
G. PESCATORE, op. cit., p. 545 osserva che «le uniche norme del TUB a non essere espressamente richiamate sono
infatti l’art. 77 (il cui contenuto, d’altra parte, è riportato all’art. 56, comma 2, TUF), l’art. 76 (stante la presenza, quanto
alla gestione provvisoria, dell’art. 53 TUF) e l’art. 70, comma 7 (solo in parte coincidente con il disposto del comma 4
dell’art. 56 TUF)».
344
84
La crisi delle società di gestione
del risparmio piuttosto che alle banche ed infine, l’espressione “strumenti
finanziari” deve essere intesa come riferita tanto agli strumenti finanziari quanto
al denaro (art. 56, comma 3, TUF).
Per quanto attiene alle funzioni degli organi della procedura, è stabilito che i
commissari straordinari esercitino i poteri dei disciolti organi amministrativi in
un contesto di continuità aziendale, quindi senza soluzione di continuità 347; essi
«provvedono ad accertare la situazione aziendale, a rimuovere le irregolarità ed a
promuovere le soluzioni utili nell’interesse» degli investitori (art. 72 TUB).
Autorevole dottrina suole distinguere tre diversi gruppi di attività e qualificare le
attività volte ad accertare la reale situazione aziendale come “attività istruttorie”,
quelle dirette alla rimozione delle irregolarità come “attività gestionali correttive”
ed infine quelle volte a promuovere e recuperare la fiducia degli investitori nel
sistema come “attività propositive” 348. Per quanto attiene invece ai poteri attribuiti
ai commissari straordinari, merita specifica menzione il potere di esercitare
l’azione sociale di responsabilità contri i componenti dei disciolti organi sociali,
sentito il comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia.
Pendente l’amministrazione straordinaria, le funzioni dell’assemblea della
società sono sospese (art. 70, comma 2, TUB) ed è esclusa ogni distribuzione di
utili (art. 73, ult. comma, TUB). In aggiunta, i commissari straordinari, sentito il
comitato di sorveglianza e previa autorizzazione della Banca d’Italia, qualora
ricorrano circostanze eccezionali, al fine di tutelare gli interessi degli investitori,
possono sospendere il pagamento delle passività di qualsiasi genere da parte della
Sgr e la restituzione degli strumenti finanziari. Si chiarisce che tale sospensione
non costituisce stato di insolvenza, per l’assenza nella fattispecie concreta dei
presupposti tipici dello stato di insolvenza e pertanto il provvedimento deve essere
visto nell’ottica della salvaguardia del valore aziendale 349 (art. 74 TUB) 350.
347
L. DI BRINA, op. cit., p. 711.
F. GIORGIANNI – C. M. TARDIVO, Diritto bancario, Milano, 2006, p. 271 e ss.
349
L. DI BRINA, op. cit., p. 713.
350
«La sospensione ha luogo per un periodo non superiore a un mese, prorogabile eventualmente, con le stesse
formalità, per altri due mesi. Durante il periodo della sospensione non possono essere intrapresi o proseguiti atti di
esecuzione forzata o atti cautelari sui beni della banca e sugli strumenti finanziari dei clienti. Durante lo stesso periodo
non possono essere iscritte ipoteche sugli immobili o acquistati altri diritti di prelazione sui mobili della banca se non in
forza di provvedimenti giudiziali esecutivi anteriori all’inizio del periodo di sospensione».
348
85
La crisi delle società di gestione
Il comitato di sorveglianza può essere costituito da tre o cinque membri, i
quali eleggono al proprio interno un presidente. Tale comitato sostituisce l’organo
di controllo della società e fornisce pareri ai commissari straordinari.
Al termine del loro incarico, i commissari straordinari e il comitato di
sorveglianza redigono separati rapporti sull’attività svolta e li trasmettono alla
Banca d’Italia, la quale cura la chiusura dell’amministrazione straordinaria,
provvedendo a darne notizia mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale. Entro
quattro mesi dalla chiusura della procedura, i commissari redigono il bilancio che
deve essere presentato alla Banca d’Italia perché lo approvi. Ultimo step della
procedura è la ricostituzione, ad opera dei commissari straordinari, degli organi
dell’amministrazione ordinaria - che tipicamente avviene con la convocazione
dell’assemblea dei soci 351 - perché prendano in consegna l’azienda dai commissari
(art. 75 TUB).
Non si potrà procedere in tal senso nell’eventualità in cui i commissari
straordinari non siano riusciti, tramite l’esercizio dei poteri conferitigli, a riportare
in bonis la società; in tali casi, peraltro molto frequenti nella pratica, la procedura
straordinaria terminerà con la richiesta da parte dei commissari straordinari della
messa in liquidazione coatta amministrativa della società (art. 57, comma 2,
TUF).
3.2
La liquidazione coatta amministrativa
La liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) è la procedura prevista per la
gestione della crisi degli enti sottoposti a forme pubbliche di vigilanza e controllo:
banche, imprese assicuratrici, intermediari finanziari, enti pubblici ecc. La
considerazione delle particolarità delle attività svolte dai menzionati soggetti e il
coinvolgimento di interessi tanto individuali (interessi dei depositanti, degli
investitori, degli assicurati, a seconda del mercato in cui la società opera) quanto
generali, hanno indotto il legislatore a sottrarre tali enti alle ordinarie procedure
concorsuali per assoggettarli a liquidazione coatta amministrativa 352.
351
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 244.
Ivi, p. 245.
352
86
La crisi delle società di gestione
La liquidazione coatta amministrativa può essere disposta direttamente dal
Ministro dell’economia e delle finanze o, come già anticipato, può configurarsi
quale step successivo all’amministrazione straordinaria qualora non sia stato
possibile risanare la situazione della società. Tale procedura, infatti, può essere
aperta solo qualora la crisi sia irreversibile e dunque non vi sia più alcuna
possibilità di recupero. Considerando i provvedimenti e le procedure predisposti
dalla legge per tentare di ristabilire la legalità e risanare le finanze delle società,
può dedursi che la liquidazione dell’ente è oggi attivabile solo in via residuale.
Qualora dunque tali strumenti siano stati inutilmente utilizzati o qualora la
situazione sia già talmente compromessa da rendere inutile persino il tentativo di
recupero, la Banca d’Italia o la Consob, nell’ambito delle rispettive competenze,
possono richiedere al Ministero dell’economia e delle finanze di disporre la
liquidazione coatta amministrativa della società. Come già visto in tema di
amministrazione straordinaria, anche relativamente alla liquidazione coatta, il
legislatore ha inserito, tra i presupposti per l’inizio della procedura, l’istanza
motivata
degli
organi
amministrativi,
dell’assemblea
straordinaria,
del
commissario nominato a seguito della sospensione degli organi amministrativi ex
art. 53 TUF, dei commissari straordinari o dei liquidatori. Anche in questo caso, la
dottrina è concorde nel ritenere che si tratti semplicemente di un’ipotesi di
legittimazione a richiedere il provvedimento e non di un autonomo presupposto
per la disposizione della liquidazione353. Il Ministro, con decreto, dichiara aperta
la procedura e revoca l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività.
I presupposti per la messa in liquidazione sono uguali a quelli previsti per
l’apertura dell’amministrazione straordinaria 354 ma perché si disponga la
liquidazione dell’ente è necessario che le irregolarità nell’amministrazione, le
violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite
previste siano di eccezionale gravità. È stato osservato che «l’eccezionale gravità
non costituisce un criterio assoluto bensì relativo, da commisurare al caso
concreto per mezzo di una valutazione discrezionale da compiersi sulla base di un
giudizio della situazione dell’intermediario sotto il profilo dinamico delle
353
354
L. DI BRINA, op. cit., p. 716.
Per un esame dettagliato dei singoli presupposti, V. supra par. 3.1 del presente capitolo.
87
La crisi delle società di gestione
prospettive di soluzione della crisi»355. Alla luce dell’eccezionalità qualitativa e/o
quantitativa 356 delle irregolarità, delle violazioni o delle perdite riscontrate, il
Ministro disporrà l’amministrazione straordinaria qualora vi sia «una residua
possibilità di salvataggio del soggetto»357; qualora tale margine non ci sia,
disporrà la liquidazione della società che, per l’eccezionalità e l’irrecuperabilità
della situazione in cui versa, risulta sostanzialmente inidonea a proseguire
nell’attività e pertanto le si revoca l’autorizzazione necessaria per l’esercizio 358.
La liquidazione deve essere inoltre disposta qualora vi sia una dichiarazione
giudiziale dello stato di insolvenza. Si prevede infatti che il Tribunale del luogo in
cui la società ha la sede legale, su richiesta di uno o più creditori, su istanza del
Pubblico Ministero o d’ufficio, sentita la Banca d’Italia e i rappresentati legali
dell’ente, possa dichiarare lo stato di insolvenza con sentenza (art. 82 TUB). Di
fronte a tale provvedimento giudiziale, il Ministro dell’economia e delle finanze
non effettua alcuna valutazione discrezionale della situazione in cui la società
versa, essendone evidente la gravità; egli è pertanto obbligato a disporre la
liquidazione 359.
Occorre infine notare che ciascun presupposto previsto per la messa in
liquidazione delle società ha un autonomo rilievo e dunque è sufficiente che, nel
caso concreto, ne sussista uno solo. Una tale impostazione «deriva dal fatto che
essi attengono a momenti diversi del processo degenerativo dell’organismo
aziendale, in quanto – quasi sempre – le condotte illecite sono antecedenti alle
perdite e queste ultime precedono l’insolvenza»360. Coniugando questa
constatazione empirica con la ben nota esigenza di anticipare quanto più possibile
l’intervento sulle situazioni di crisi e/o di irregolarità nell’attività, comprendiamo
che la liquidazione delle società può essere disposta a fronte di gravi condotte
illegittime, quand’anche essa non versi (ancora) in stato di insolvenza 361.
355
G. PESCATORE, op. cit., p. 553.
M. FOSCHINI, op. cit.,p. 449.
357
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 246.
358
Ibidem.
359
G. PESCATORE, op. cit., p. 553. Nello stesso senso F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op.
cit., p. 246.
360
A. DI AMATO, op. cit., p. 206.
361
Ibidem.
356
88
La crisi delle società di gestione
Giacché l’adozione del decreto da parte del Ministro comporta ad un tempo
la messa in liquidazione della società e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio
dell’attività, è opportuno considerare gli effetti – e la relativa decorrenza - che tale
provvedimento provoca sulla vita e sui rapporti della società. Dalla data di
emanazione del decreto 362 decorrono gli effetti ablativi della potestà degli organi
ordinari (cessano le funzioni dell’assemblea, degli organi amministrativi e di
controllo) 363. Gli effetti di paralisi del patrimonio 364 decorrono invece dalla data
di insediamento degli organi liquidatori, e comunque dal terzo giorno successivo
alla data di emanazione del provvedimento (art. 83 TUB). Tale impostazione si
discosta notevolmente dal sistema di immediata operatività dei provvedimenti,
tipico delle procedure concorsuali (si vedano ad esempio gli artt. 51 e ss. della L.
fall.
365
). Tale disciplina permette infatti di far fronte a esigenze proprie del
sistema finanziario, prima fra tutte quella di evitare una drastica interruzione dei
rapporti degli intermediari: è per garantire la certezza delle transazioni e per non
recidere in maniera irreversibile i rapporti giuridici, che il legislatore ha elaborato
questa peculiare soluzione 366.
Si segnala una particolare eventualità. Benché ordinariamente dalla messa in
liquidazione della società derivi anche la risoluzione automatica di tutti i contratti
conclusi, compresi quelli stipulati con gli investitori, tale effetto non si produce
nel caso di continuazione dell’esercizio dell’attività (art. 90, comma 3, TUB). La
recisione dei rapporti giuridici sarebbe evidentemente in contrasto con la disposta
continuazione dell’attività, tesa ad evitare la perdita di valore del complesso
aziendale in vista di una possibile cessione a terzi 367.
Una volta disposta la l.c.a., la Banca d’Italia provvede alla nomina (e
successivamente all’eventuale sostituzione) degli organi della procedura: i
362
Tali effetti sono dunque anticipati ad un momento anteriore a quello della pubblicazione del decreto in Gazzetta
Ufficiale (art. 80, commi 4 e 5, TUB).
363
L. DI BRINA, op. cit., p. 717.
364
Per tali intendendosi: la sospensione dei pagamenti e delle passività di qualsiasi genere e delle restituzioni di beni di
terzi; lo spossessamento dei beni; l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti compiuti successivamente
all’assoggettamento alla procedura liquidatoria; la possibilità, per i commissari, di intraprendere tutte le iniziative
giudiziarie (le azioni revocatorie, sia ordinaria che fallimentare) volte alla ricostruzione del patrimonio della società;
l’improcedibilità delle azioni, anche esecutive e cautelari, a carico dell’intermediario in liquidazione. Sul punto V. A.
DI AMATO, op. cit., p. 207.
365
Legge fallimentare, Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.
366
L. DI BRINA, op. cit., p. 718.
367
L. DI BRINA, op. cit., p. 718. Cfr A. DI AMATO, op. cit., p. 207.
89
La crisi delle società di gestione
commissari liquidatori e il comitato di sorveglianza, parallelamente a quanto
accade nell’amministrazione straordinaria. Anche in questo caso, la supervisione
sulla procedura è affidata alla Banca d’Italia che può adottare direttive per
indirizzare l’operato degli organi e riservarsi di autorizzare delle operazioni 368.
In base a quanto disposto dalle norme del TUB, cui l’art. 57 TUF rinvia, i
commissari liquidatori hanno la rappresentanza legale della società, esercitano
tutte le azioni ad essa spettanti (sentito il comitato di sorveglianza e previa
autorizzazione della Banca d’Italia) e procedono alla liquidazione della società. I
commissari devono inoltre presentare annualmente alla Banca d’Italia una
relazione sulla situazione contabile e patrimoniale dell’intermediario e
sull’andamento della liquidazione, con allegato un rapporto del comitato di
sorveglianza.
Il comitato di sorveglianza, composto anche in questo caso da tre o cinque
membri, assiste i commissari liquidatori nell’esercizio delle loro funzioni,
controlla l’operato degli stessi e fornisce pareri nei casi previsti dalla legge o dai
regolamenti (art. 84 TUB).
La procedura di liquidazione coatta amministrativa è particolarmente
complessa e si snoda attraverso il susseguirsi di atti e operazioni posti in essere
dagli organi della procedura. Essa può essere suddivisa in quattro fasi: formazione
dello stato passivo, liquidazione dell’attivo, restituzioni e riparti e adempimenti
finali 369.
Le attività relative alla formazione dello stato passivo 370 (art. 86 TUB) sono
le prime ad essere poste in essere dai commissari liquidatori, dopo aver preso in
consegna l’azienda. L’accertamento del passivo della società avviene d’ufficio:
non è necessario un atto di impulso dei creditori perché si proceda e perciò i
commissari devono tener conto di tutti i crediti e di tutti i diritti spettanti a terzi,
risultanti dalle scritture contabili 371. I commissari inviano a tutti gli interessati una
comunicazione relativa alle situazioni giuridiche accertate e successivamente,
tenendo conto delle eventuali contestazioni e/o osservazioni ricevute dai
368
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 247.
V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 247.
370
Sul punto V. amplius M. FOSCHINI, op. cit.,p. 452 e ss.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p.
860 e ss.
371
R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 860.
369
90
La crisi delle società di gestione
destinatari delle comunicazioni, redigono lo stato passivo. Entro il termine
massimo di novanta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto di
liquidazione, i commissari devono presentare alla Banca d’Italia e depositare
presso la cancelleria del Tribunale del luogo ove la società ha la sede legale 372,
l’elenco di tutti i creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno, nonché
gli elenchi dei titolari dei diritti reali sui beni in possesso della Sgr e di coloro cui
è stato negato il riconoscimento delle pretese. 373 A questi ultimi, i commissari
comunicano senza indugio la decisione assunta nei loro riguardi e con questo
adempimento si conclude la fase amministrativa della l.c.a.; a seguire, qualora
venissero proposte opposizioni allo stato passivo, potrebbe aprirsi una fase
giurisdizionale 374.
I soggetti le cui pretese non siano state accolte, in tutto o in parte, possono
proporre opposizione allo stato passivo con ricorso al Tribunale del luogo ove ha
sede la società in l.c.a., relativamente alla propria posizione e contro il
riconoscimento dei diritti in favore dei soggetti inclusi negli elenchi predisposti
dai commissari 375.
372
Lo stato passivo, una volta presentato alla Banca d’Italia e depositato presso la cancelleria del Tribunale, diventa
esecutivo (art. 86, comma 9,TUB).
373
Più precisamente, «i commissari […] presentano alla Banca d’Italia, sentiti i cessati amministratori della banca,
l’elenco dei creditori ammessi e delle somme riconosciute a ciascuno, indicando i diritti di prelazione e l’ordine degli
stessi, nonché gli elenchi dei titolari dei diritti indicati nel comma 2 e di coloro cui è stato negato il riconoscimento delle
pretese. I clienti aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari relativi ai servizi previsti dal D. L.vo 24
febbraio 1998, n. 58 sono iscritti in apposita sezione dello stato passivo» (art. 86, comma 6, TUB). I diritti indicati nel
comma 2 sono i «diritti reali sui beni e sugli strumenti finanziari relativi ai servizi previsti dal decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58 in possesso della banca» (rectius della Sgr).
374
R. COSTI, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 862.
375
L’opposizione allo stato passivo nell’ambito della l.c.a. degli intermediari finanziari è disciplinata dall’art. 57,
comma 5 TUF e, per quanto espressamente non disposto, dagli artt. 87 e 88 TUB. L’art. 57, comma 5, TUF, in deroga a
quanto disposto in via generale dall’art. 87, comma 1, TUB, dispone che l’opposizione allo stato passivo deve essere
proposta entro 15 giorni decorrenti, per i soggetti esclusi dalla comunicazione dell’esclusione (ex art. 86, comma 8,
TUB), e invece decorrenti, per i soggetti inclusi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avvenuto deposito dello
stato passivo (ex art. 86, comma 8, TUB). L’art. 87 TUB, ai commi 3, 4 e 5, inoltre stabilisce che «il Presidente del
Tribunale assegna a un unico giudice istruttore tutte le cause relative alla stessa liquidazione. Nei tribunali divisi in più
sezioni il presidente assegna le cause a una di esse e il presidente di questa provvede alla designazione di un unico
giudice istruttore. Il giudice istruttore fissa con decreto l'udienza in cui i commissari e le parti devono comparire davanti
a lui, dispone la comunicazione del decreto alla parte opponente almeno quindici giorni prima della data fissata per
l'udienza e assegna il termine per la notificazione del ricorso e del decreto ai commissari e alle parti. L'opponente deve
costituirsi almeno cinque giorni liberi prima dell'udienza, altrimenti l'opposizione si reputa abbandonata.
Il giudice istruttore provvede all'istruzione delle varie cause di opposizione, che rimette al collegio perché siano definite
con un'unica sentenza. Tuttavia, quando alcune opposizioni sono mature per la decisione e altre richiedono una più
lunga istruzione, il giudice pronuncia ordinanza, con la quale separa le cause e rimette al collegio quelle mature per la
decisione.
Quando sia necessario per decidere sulle contestazioni, il giudice richiede ai commissari l'esibizione di un estratto
dell'elenco dei creditori chirografari previsto dall'articolo 86, comma 6; l'elenco non viene messo a disposizione».
91
La crisi delle società di gestione
Definiti gli eventuali giudizi di opposizione allo stato passivo, si può
procedere con la seconda fase della procedura: la liquidazione dell’attivo. Come
stabilito espressamente dall’art. 90 TUB, i commissari liquidatori hanno tutti i
poteri occorrenti per realizzare l’attivo. Nei casi di necessità o per un miglior
realizzo dell’attivo, potrebbero essere autorizzati dalla Banca d’Italia a continuare
l’esercizio dell’attività e, in tal caso, come già accennato in precedenza, non si
avrebbe la risoluzione dei rapporti giuridici di cui l’intermediario è parte, per
consentire appunto la prosecuzione dell’attività. Si tenga d’altra parte presente
che, in qualsiasi stadio della procedura, i commissari potrebbero cedere le attività
e le passività, l’azienda o singoli rami della stessa, beni e rapporti giudici
individuabili in blocco, con il parere favorevole del comitato di sorveglianza e
previa autorizzazione della Banca d’Italia (art. 90 TUB) 376.
Una volta liquidato l’attivo, i commissari devono:
 restituire i beni e gli strumenti finanziari relativi ai servizi di investimento
prestati ex artt. 18 e ss. TUF;
 effettuare i rimborsi e i pagamenti a favore degli organi della procedura;
 ripartire l’attivo liquidato, secondo l’ordine stabilito dall’art. 111 L. fall.
(art. 91 TUB).
Prima di effettuare l’ultimo riparto a favore dei creditori, o prima dell’ultima
restituzione ai clienti, i commissari liquidatori sottopongono il bilancio finale di
liquidazione, il rendiconto finanziario e il piano di riparto, insieme a due relazioni,
una propria e una predisposta dal comitato di sorveglianza, alla Banca d’Italia che
ne autorizza il deposito presso la cancelleria del Tribunale competente. Si dà
notizia del deposito nella Gazzetta Ufficiale perché gli interessati ne prendano
conoscenza e propongano, ove lo ritengano necessario, le proprie contestazioni.
Definite con sentenze passate in giudicato le eventuali contestazioni proposte, i
commissari liquidatori completano le operazioni di restituzione e ripartizione 377.
Sul punto V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 248; R. COSTI, L’ordinamento
bancario, Bologna, 2012, p. 862 e ss..
376
Il cessionario, in deroga alle regole generali disciplinanti la cessione di azienda, risponde unicamente delle passività
risultati dallo stato passivo. V. F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 249.
377
M. FOSCHINI, op. cit.,p. 454.
92
La crisi delle società di gestione
Prima della chiusura della liquidazione coatta amministrativa, i commissari
liquidatori chiedono la cancellazione della società dal registro delle imprese 378.
3.2.1
Le nuove norme per la liquidazione coatta amministrativa delle Sgr
Quella tracciata sinora è la disciplina della crisi applicabile a tutti gli
intermediari finanziari, quindi ovviamente anche alle Società di gestione del
risparmio.
Per comprendere meglio le ragioni della specialità di quella parte di
disciplina applicabile solo alle Sgr, è opportuno richiamare brevemente dei temi
già ampiamente trattati nei capitoli precedenti. Innanzitutto la summa divisio delle
attività di intermediazione finanziaria nelle due macro categorie “gestione
individuale” e “gestione in monte” del risparmio. Ancora, si rammenti il regime di
separazione patrimoniale che caratterizza tutti gli intermediari e che ha il fine di
garantire maggiormente la sicurezza degli investimenti dei clienti; si ricordi che
ciò implica che si tenga il patrimonio sociale distinto da quello dei clienti e per di
più, nella gestione individuale, si tengano i portafogli dei singoli clienti separati
tra loro.
La funzione di garanzia propria del regime di separazione patrimoniale
imposto agli operatori, sarebbe del tutto svilita se non se ne assicurasse il rispetto
anche in sede di liquidazione poiché «le vicende patologiche della vita
dell’intermediario rappresentano la cartina di tornasole dell’efficacia del principio
di separazione, ed è importante che la disciplina dell’insolvenza non frustri gli
obiettivi della normativa […] e consenta ai clienti di rientrare in possesso del loro
patrimonio»379. Questa considerazione, riferibile sia a chi presta servizi
individuali sia a chi effettua gestione collettiva, è oggi leitmotiv delle discipline
della crisi di tutti gli intermediari finanziari, seppur la sua materializzazione passa
per moduli attuativi diversi in ragione delle differenze esistenti tra i vari operatori.
È stato già ampiamente esaminato il regime di separazione patrimoniale che
si ha nell’ambito della gestione individuale di portafogli, e in generale, della
378
379
L. DI BRINA, op. cit., p. 724.
G. GOBBO, op. cit., p. 271.
93
La crisi delle società di gestione
prestazione di servizi di investimento (art. 22 TUF) 380. La disciplina che
garantisce, durante la l.c.a. della società, il rispetto della separazione patrimoniale
è dettata dall’art. 91 TUB - rubricato “Restituzioni e riparti” – applicabile anche
agli intermediari finanziari in forza del rinvio operato dall’art. 57, comma 3, TUF.
Come noto, i risparmiatori - investitori che affidano a un’impresa di investimento
(Sim o altro intermediario) i propri risparmi perché li gestisca nel proprio
interesse, hanno in linea di principio diritto alla restituzione di quanto loro
affidato. Dei problemi possono però porsi nell’eventualità in cui non sia stata
rispettata la disciplina della separazione patrimoniale e dunque non siano
esattamente individuabili i patrimoni di pertinenza dei singoli clienti. L’art. 91
TUB detta due discipline diverse in ragione della maggiore o minore intensità
delle violazioni commesse: da un lato vi è la disciplina applicabile nei casi in cui
sia stata rispettata la separazione del patrimonio dell’intermediario da quello dei
clienti aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del denaro ma
siano state comunque commesse delle irregolarità (art. 91, comma 2, TUB), e
dall’altra, vi è quella applicabile ai più gravi casi in cui sia del tutto impossibile
distinguere il patrimonio dell’intermediario da quello della clientela nel suo
complesso, a causa della massiccia violazione delle norme disciplinanti la
separazione patrimoniale (art. 91, comma 3, TUB) 381.
Con il D. Lgs. 16 aprile 2012, n. 47, attuativo della Dir. Ucits IV 382, è stata
innovata la disciplina contenuta nell’art. 57 TUF, nella parte applicabile alle
Società di gestione del risparmio ed ai fondi comuni di investimento dalle stesse
gestiti. Questa riforma ha comportato l’introduzione dei commi 3 bis e 6 bis,
recanti rispettivamente la disciplina della gestione dei fondi nei casi di crisi della
sola società e la disciplina applicabile ai fondi “insolventi” qualora la società sia
ancora in bonis. L’introduzione della seconda fattispecie, tutt’altro che scontata
alla luce della stratificata impostazione soggettivistica delle procedure
concorsuali 383, è stata ritenuta indispensabile al fine di conferire autonomo rilievo
380
V. supra Cap. I, par. 5.1.
Sul punto V. BRIOLINI, F., Brevi note in tema di separazione (e confusione) degli strumenti finanziari in ipotesi di
crisi dell’intermediario, in Banca borsa titoli di credito, 2014, fasc. 3, p. 252 e ss.; G. GOBBO, op. cit., p. 272.
382
Direttiva 2009/65/CE c.d. “Ucits IV”, già precedentemente menzionata, V. Cap. II, par. 7.1.1.
383
Concezione in base alla quale è la persona dell’imprenditore ad essere dichiarata fallita se insolvente. Da una siffatta
impostazione, incentrata sulla riferibilità del fallimento a una persona fisica o giuridica, discende l’inapplicabilità di
381
94
La crisi delle società di gestione
alla crisi dei fondi comuni, considerata la pervasività dell’attuale crisi economica
e finanziaria e quindi la configurabilità di una situazione di “crisi” dei soli
fondi 384. È stato osservato che tale disciplina «tenda, da un lato, a evitare il rischio
che l’incapienza di un singolo fondo possa comportare interventi destabilizzanti
per la stessa Sgr e per tutti i fondi, anche capienti, gestiti dalla stessa, e dall’altro,
a fornire adeguata tutela ai creditori del fondo insolvente, prevedendo una
specifica possibilità di ricorso al tribunale per far cessare la gestione del fondo e
un conseguente intervento dell’autorità di vigilanza per assicurare modalità idonee
di liquidazione o di cessione del fondo stesso» 385.
Dopo queste considerazioni di carattere generale, passiamo ora ad esaminare
i nuovi dati normativi introdotti. Il comma 3 bis dell’art. 57 TUF prevede che,
qualora sia disposta la liquidazione coatta di una Sgr, i commissari liquidatori
debbano provvedere, oltre che alla liquidazione della società secondo la procedura
prevista per tutti gli intermediari finanziari, anche alla liquidazione o alla cessione
dei fondi e dei relativi comparti, gestiti dalla società in l.c.a., anche nell’ipotesi di
“capienza” degli stessi, esercitando a tali fini tutti i poteri di amministrazione. In
linea con quanto previsto in tema di liquidazione dei patrimoni separati costituti
da Spa fallite (art. 155 L. fall.), la norma in esame introduce nel TUF il principio
per cui la liquidazione coatta della Sgr comporta la liquidazione o la cessione dei
fondi da questa gestiti 386. La liquidazione dei fondi segue il regime ordinario,
integrato da alcune norme proprie della liquidazione coatta 387 al fine di
qualsiasi procedura di soluzione delle crisi ai fondi comuni di investimento, in ragione della mancanza di personalità
giuridica dei fondi stessi. Sulla concezione soggettivistica delle procedure concorsuali e sugli effetti del fallimento, V.
amplius G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Contratti, titoli di credito, procedure concorsuali, Torino, 2011,
p. 327 e ss.. Per l’inapplicabilità delle procedure concorsuali ai fondi comuni di investimento, V. S. BONFATTI, La
liquidazione coatta amministrativa delle Sgr. La liquidazione giudiziale del fondo o del comparto insolvente, in Riv.
Dir. bancario, 2013, 25, reperibile su http://www.dirittobancario.it/rivista/fallimento/disciplina-particolareliquidazione-coatta-amministrativa-sgr-liquidazione-giudiziale-fondo-o-comparto
384
P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa,
in Il Fallimento, 2014, fasc. 6, p. 617.
385
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 250.
386
G. PESCATORE, op. cit., p. 557. L’A. inoltre sostiene che, al fine di salvaguardare l’operatività dei fondi “non
insolventi”, debba preferirsi la cessione alla liquidazione, procedendo in quest’ultimo senso solo ove la cessione risulti
impossibile da realizzare. Nello stesso senso S. BONFATTI,op. cit.
387
L’art. 57, comma 3 bis, TUF, stabilisce che «si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 83, 86, ad eccezione dei
commi 6 e 7, 87, commi 2, 3 e 4, 88, 89, 90, 91 ad eccezione dei commi 2 e 3, 92, 93 e 94 del TUB, nonché i commi 4 e
5 del presente articolo».
95
La crisi delle società di gestione
salvaguardare la par condicio creditorum e tutelare appieno gli interessi degli
investitori 388.
È il secondo periodo del comma 3 bis a destare maggiore interesse; esso
stabilisce che «i partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente
alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle
rispettive quote di partecipazione». La sentenza che sarà oggetto di esame nel
prossimo capitolo (Trib. Milano, 29 marzo 2012, n. 65566/10 R.G.) - rigettando
un’opposizione allo stato passivo proposta dai partecipanti ad un fondo
immobiliare chiuso gestito da una Sgr in l.c.a. - benché precedente
all’introduzione della norma in esame, aveva già affermato lo stesso principio389.
Tale constatazione pare confermare la condivisibilità dell’impostazione
tradizionale del fondo quale istituto assimilabile alla proprietà fiduciaria (in
particolare al trust) e ai patrimoni destinati, impostazione che pertanto non
garantisce ai partecipanti al fondo alcun diritto di restituzione né dei beni conferiti
né del valore delle quote sottoscritte 390. È stato osservato che, nei casi di Sgr in
l.c.a., i partecipanti ai fondi dalla stessa gestiti:
 non godono di un diritto di rivendica (che invece è riconosciuto agli
investitori nell’ambito della gestione individuale) ma esclusivamente di un
diritto di credito sul residuo netto di liquidazione in misura proporzionale
alle rispettive quote di partecipazione;
 non godono del diritto di affidare la gestione del fondo ad un’altra Sgr,
poiché dalla data di emanazione del decreto di liquidazione coatta cessano
le funzioni degli organi del fondo 391.
Passando ora ad esaminare il comma 6 bis, introdotto anch’esso nel 2012,
notiamo subito che esso disciplina una ipotesi ben diversa da quella di cui al
comma 3 bis: esso definisce gli strumenti di tutela riconosciuti ai partecipanti di
fondi incapienti gestiti da Sgr in bonis. La norma testualmente recita: «qualora le
attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni
388
F. ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, op. cit., p. 250.
Si riporta un passo della parte motiva della sentenza citata: «gli odierni ricorrenti non possono, pertanto, affermarsi
titolari di diritti di proprietà sui beni conferiti nel fondo, bensì titolari di un diritto di credito al valore residuo della
quota, all’esito della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori».
390
S. BONFATTI, op. cit.
391
G. PESCATORE, op. cit., p. 557; nello stesso senso S. BONFATTI, op. cit.
389
96
La crisi delle società di gestione
dello stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa
essere superata, uno o più creditori o la Sgr possono chiedere la liquidazione del
fondo al tribunale del luogo in cui la Sgr ha la sede legale». Si può trarre
immediatamente una prima conclusione: la l.c.a. della Sgr oggi non è più
presupposto indispensabile per la liquidazione di un fondo comune di
investimento o di un suo comparto. Può, infatti, determinarsi la necessità di
liquidare un fondo incapiente nonostante la regolarità della situazione della Sgr.
Tale necessità sorgere allorquando le attività del fondo o del comparto non
consentano di soddisfare le obbligazioni dello stesso; per ricostruire il significato
di questo inciso, nel quale non si fa espressamente riferimento né all’incapienza
né all’insolvenza - termini in gergo utilizzati molto di frequente - uno spunto
ricostruttivo può trarsi dalla Relazione Illustrativa del Provvedimento di
Introduzione del comma 6 bis, nel quale viene utilizzato più volte il termine
“incapienza” per indicare la situazione di “crisi” del fondo comune 392.
Il comma 6 bis prosegue stabilendo inoltre che «il tribunale, sentiti la Banca
d’Italia e i rappresentati legali della Sgr, quando ritenga fondato il pericolo di
pregiudizio, dispone la liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera
di consiglio». Oltre all’incapacità del fondo di soddisfare le proprie obbligazioni e
alla mancanza di ragionevoli prospettive di recupero, la norma richiede dunque
anche la sussistenza di quest’ulteriore presupposto – il fondato pericolo di
pregiudizio – che peraltro risulterebbe in re ipsa, una volta accertata la sussistenza
delle altre due circostanze 393.
Disposta la liquidazione, la Banca d’Italia nomina uno o più liquidatori
affinché provvedano alla cessione o alla liquidazione dei fondi, similmente a ciò
che accade nel caso di Sgr in l.c.a.. I commissari liquidatori provvedono alle
operazioni di liquidazione e rendono conto delle attività svolte alla Banca d’Italia
(art. 84 TUB 394).
Un problema di non poco momento si è posto relativamente alla portata del
rinvio al comma 3 bis, operato dal comma 6 bis, dell’art. 57 TUF. Si stabilisce
392
P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa,
op. cit., p. 619.
393
S. BONFATTI, op. cit.
394
Non sono applicabili ai liquidatori dei fondi i commi 2 e 5 dell’art. 84 TUB.
97
La crisi delle società di gestione
infatti che i commissari liquidatori incaricati di liquidare i fondi comuni
provvedano «secondo quanto disposto dal comma 3 bis». Il rinvio si potrebbe
dunque interpretare in maniera estensiva, ritenendo richiamato l’intero contenuto
del comma 3 bis, oppure si potrebbe ritenere applicabile solo l’inciso che impone
la cessione o la liquidazione dei fondi. Sebbene la letteratura sul punto sia
tutt’altro che ampia, gli autori che si sono espressi in merito sembrano propendere
per la prima alternativa, riconoscendo quindi al rinvio in esame una portata ampia
e ritenendo richiamate e perciò applicabili alla liquidazione giudiziale dei fondi
comuni di investimento tutte le disposizioni sulla liquidazione coatta
amministrativa della Sgr 395. Gli autori ritengono che solo per tale via si possa
ricostruire e conferire una dimensione “consorsuale” alla procedura di
liquidazione dei fondi. Qualora invece si ritenesse applicabile solo l’ultimo inciso
ricordato – cessione e liquidazione dei fondi - non risulterebbero applicabili le
norme relative alla par condicio creditorum e alla protezione del patrimonio da
azioni individuali dei singoli creditori, compromettendo così i diritti degli
investitori 396.
Dei dubbi sono sorti relativamente alla legittimazione ad attivare la
procedura di liquidazione. Stando al dato letterale, essa sarebbe riconosciuta solo
alla Sgr – riferendoci in questo caso ai suoi rappresentanti legali – e ai creditori
del fondo; non essendoci alcuna specificazione, dovrebbe ritenersi configurabile
la liquidazione di un fondo “insolvente” nonostante l’eventuale (e verosimile)
opposizione dei partecipanti 397. Di avviso parzialmente diverso pare essere
Carrière, il quale ritiene di dover riconoscere la legittimazione a richiedere la
liquidazione del fondo comune di investimento anche all’assemblea dei
partecipanti. Per giungere a tale conclusione egli interpreta estensivamente e
sistematicamente il terzo comma dell’art. 37 TUF, disciplinante le competenze
395
Per una riflessione più ampia sulla portata del rinvio al comma 3 bis dell’art. 57 TUF, contenuto nel comma 6 bis, V.
P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa, op.
cit., p. 622 e ss.
396
S. BONFATTI, op. cit.
397
S. BONFATTI, op. cit., a sostegno della propria tesi, cita un precedente giudiziario (Trib. Milano, Sez. II, 22
gennaio 2013, n. 19/13), nel quale l’istanza di liquidazione giudiziale proposta da un creditore, e condivisa dalla Sgr,
seguiva il rigetto da parte dell’assemblea dei partecipanti della proposta di liquidazione ordinaria del fondo avanzata
dalla Sgr.
98
La crisi delle società di gestione
della citata assemblea, ritenendo, alla luce dell’impostazione della materia, di non
poterle negare una competenza così radicale per la vita del fondo 398.
L’ultimo periodo del comma 6 bis disciplina infine l’ipotesi di
sottoposizione della Sgr a liquidazione coatta amministrativa, pur essendo già in
atto la liquidazione di uno o più fondi di sua pertinenza. La legge si limita a
stabilire che, in tali casi, i commissari incaricati di liquidare la Sgr debbano
provvedere anche alla liquidazione dei fondi; essi devono dunque subentrare in
luogo dei commissari liquidatori già nominati per i fondi, dando così luogo a una
soluzione efficiente, retta da principi di economicità, semplificazione e celerità399.
398
P. CARRIÈRE, Fondi comuni di investimento tra liquidazione giudiziale e soluzioni negoziali della crisi d’impresa,
op. cit., p. 621.
399
Ibidem.
99
La crisi delle società di gestione
IV CAPITOLO: Analisi del caso
Tribunale di Milano sent. del 29 Marzo 2012
1. Il caso
Nel presente capitolo analizzeremo una sentenza emessa dalla Seconda
Sezione Civile del Tribunale di Milano, in data 29 marzo 2012, a conclusione di
un procedimento di opposizione allo stato passivo di una società di gestione del
risparmio in l.c.a., promosso dai partecipanti ad uno dei fondi comuni di
investimento dalla stessa gestiti. Per comprendere appieno quanto disposto dalla
Corte, è opportuno ricostruire le vicende che hanno indotto le parti a ricorrere
all’autorità giudiziaria.
Opponenti, in questo giudizio, sono tutti i partecipanti al fondo comune di
investimento Ermes Real Estate (d’ora in avanti Fondo ERE); la doglianza è
dunque comune a più soggetti, per lo più enti, non risparmiatori - investitori
persone fisiche.
Parte opposta è Alfa Sgr, la società che ha istituito e gestito il fondo comune
di investimento ERE, partecipato dai ricorrenti.
I partecipanti, nei primi mesi del 2006, richiedono alla società Alfa di
effettuare uno studio di fattibilità di un fondo comune di investimento
immobiliare chiuso. Intento dei richiedenti è di costituire un fondo nel quale far
confluire propri immobili per promuoverne, in sostanza, la riqualificazione. Alla
luce dell’esito positivo dello studio, il 27 luglio 2006, il Consiglio di
Amministrazione di Alfa delibera l’istituzione del Fondo ERE, come richiesto
dagli interessati, odierni ricorrenti.
Il fondo comune di investimento istituito è di tipo chiuso: i partecipanti
possono acquistare e/o cedere le quote di partecipazione soltanto a scadenze
prefissate 400. Il fondo, inoltre, è immobiliare ad apporto; come specificato nella
sentenza che qui commentiamo - che a sua volta riprende alcune delle previsioni
del Regolamento del Fondo ERE - i partecipanti hanno la «possibilità di
sottoscrivere quote mediante apporto di beni immobili, diritti reali immobiliari,
partecipazioni in società immobiliari o versamenti in denaro. Il fondo [ha] per
400
V. amplius Cap. II, par. 7.1 e 7.1.2.
scopo l’investimento di capitali in misura non inferiore a 2/3 del proprio
patrimonio in immobili o partecipazioni in società immobiliari e [può] assumere
prestiti sino alla misura massima del 60% del valore degli immobili e diritti reali
immobiliari e partecipazioni in società immobiliari, pena l’obbligo di riportare
l’investimento nei limiti previsti».
Scopo precipuo della costituzione del fondo è dunque di promuovere latu
sensu la riqualificazione dei beni conferiti. Secondo i partecipanti, la società di
gestione dovrebbe promuovere la ristrutturazione di alcuni degli immobili
conferiti e la costruzione di nuovi. Essa dovrebbe adoperarsi da un lato, per
ottenere finanziamenti garantiti dai beni immobili conferiti nel fondo e, dall’altro,
per ridurre l’esposizione finanziaria gravante sui beni conferiti. Nel fondo comune
di investimento i partecipanti individuano dunque lo strumento per trasformare
investimenti immobiliari, per definizione di difficile smobilizzo, in attività
finanziarie negoziabili, grazie alla parcellizzazione dell’investimento immobiliare
in una serie di quote.
Il rapporto tra uno dei partecipanti al fondo, Beta S.p.A., odierno ricorrente,
e Alfa Sgr, si rivela sin da subito peculiare; due eventi di segno opposto
caratterizzano il loro rapporto: mentre il conferimento degli immobili da parte di
Beta S.p.A. nel Fondo ERE viene effettuato con estrema puntualità, la stessa
puntualità non caratterizza l’esecuzione dei versamenti in danaro nel fondo dallo
stesso dovuti. Ma c’è di più. Un netto ritardo connota anche il pagamento, sempre
da parte di Beta S.p.A., dei canoni di affitto e di locazione dovuti a Alfa Sgr, in
forza di diversi contratti di affitto e locazione tra gli stessi stipulati, aventi ad
oggetto gran parte degli immobili costituenti il Fondo ERE.
A seguito di numerose contestazioni e solleciti inviati a Beta S.p.A., Alfa
Sgr decide di rendere pubbliche le proprie riserve in merito alla capacità
dell’affittuario di onorare i suoi impegni, con ciò inasprendo ulteriormente (se non
definitivamente) i rapporti tra sé e i partecipanti al fondo – in primis Beta S.p.A.
Si consideri d’altro canto che il Fondo ERE, all’infuori dei beni dati in
locazione al sopracitato partecipante moroso, non possiede alcun altro bene
immobile suscettibile di impiego a reddito attraverso la locazione a terzi; alla luce
di questo ulteriore dato si comprende ad un tempo la gravità della situazione
101
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
finanziaria in cui versa il fondo e l’incisività del ruolo giocato da Beta S.p.A. in
detta situazione.
A causa del costante peggioramento dei rapporti tra i partecipanti al fondo e
Alfa Sgr, l’assemblea dei partecipanti, in data 25 maggio 2007, revoca il mandato
di gestione del Fondo ERE a Alfa Sgr, riservandosi di designare una nuova società
di gestione. In base alle previsioni contenute nel Regolamento del fondo,
l’assemblea dei partecipanti dovrebbe nominare il nuovo gestore entro tre mesi
dalla revoca del precedente ma, in realtà, ciò non avviene. Più precisamente,
l’assemblea, pur individuando il nuovo gestore del fondo, non comunica tale
scelta alla Banca d’Italia, rendendo così inefficace la designazione 401.
La situazione finanziaria del fondo peggiora ogni giorno di più: le
esposizioni debitorie gravanti sugli immobili divengono sempre più elevate
rendendo il risanamento del fondo sempre più difficile. Pertanto, l’assemblea dei
partecipanti, il 22 febbraio 2008, dispone la liquidazione anticipata 402 del Fondo
ERE. Considerato il mancato perfezionamento della procedura di nomina di un
nuovo gestore, Alfa Sgr è ancora, a tutti gli effetti, gestore del Fondo ERE:
esercitando dunque i propri poteri, il 25 marzo 2008, delibera un primo piano di
dismissione di parte degli assets del fondo.
Poco dopo, è il 5 maggio 2008, Alfa Sgr viene posta in Amministrazione
Straordinaria con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze. Il
Commissario Straordinario, nel settembre del 2008, imponendo un cambio di
direzione per la liquidazione dei beni del fondo, delibera un nuovo piano che però
non sortisce esito positivo.
I canoni di locazione relativi agli immobili locati a Beta non vengono
riscossi ormai da diversi mesi, l’esposizione debitoria è sempre più massiccia e le
quote di partecipazione al fondo hanno ormai un valore quasi pari a zero. A fronte
della constatata irreversibilità della crisi del fondo, il 4 novembre 2009 Alfa Sgr,
401
In base a quanto disposto dall’art. 37, comma 4, TUF, le modifiche dei regolamenti dei fondi devono essere
comunicate ed approvate dalla Banca d’Italia, pena la loro inefficacia.
402
Si noti che la liquidazione anticipata del fondo fu disposta dall’Assemblea dei partecipanti in forza dello specifico
potere riconosciutole dal Regolamento del Fondo ERE poiché, una simile competenza, non è invece in via generale
attribuita alle Assemblee dei partecipanti né dal TUF (art. 37), né dal d.m. 228/1999 (art. 18 bis). Si vedrà che i giudici
non hanno mancato di “criticare” tale scelta in quanto ritenuta, tra l’altro, una delle cause della discordia insorta tra
investitori e gestore.
102
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
già in amministrazione straordinaria, viene posta in liquidazione coatta
amministrativa.
2. Le questioni di diritto
Passiamo ora ad esaminare le pretese avanzate dai ricorrenti (partecipanti al
fondo) e le soluzioni apprestate dai giudici.
Il procedimento in esame è un’opposizione allo stato passivo di Alfa Sgr
promosso dai partecipanti al fondo ERE. I ricorrenti, a seguito della mancata
inclusione dei propri crediti nello stato passivo di Alfa Sgr, chiedono all’Autorità
giudiziaria sia l’accertamento degli illeciti dagli stessi addebitati alla società di
gestione, sia il riconoscimento dei loro crediti e il conseguente inserimento degli
stessi nel passivo di Alfa.
Come già messo in luce nel precedente capitolo 403, la formazione dello stato
passivo di una società di gestione del risparmio in l.c.a. avviene d’ufficio, e infatti
i commissari liquidatori sono tenuti a inserire nello stato passivo tutti i crediti e
tutti i diritti spettanti a terzi risultanti dalle scritture contabili della società. Tale
procedura ha natura amministrativa - a differenza della formazione del passivo
fallimentare che ha invece natura giurisdizionale - e pertanto, chi decide del
riconoscimento piuttosto che dell’esclusione di un credito non è un giudice.
Alla luce di tale differenza, di non poco momento, l’opposizione allo stato
passivo costituisce per i creditori (o presunti tali) il primo momento utile per
richiedere all’autorità giudiziaria il riconoscimento del proprio diritto. Come
chiaramente messo in luce nella sentenza in commento «il deposito dello stato
passivo rappresenta, cioè, il momento a partire dal quale può aprirsi, nell’ambito
della procedura di liquidazione coatta amministrativa, una fase giurisdizionale,
“giacché gli interessati recuperano la facoltà di rivolgersi al giudice, nelle forme
dell’opposizione, al fine di ottenere l’accertamento dei crediti (e degli eventuali
privilegi) o delle pretese restitutorie che lamentano essere stati pretermessi,
oppure al fine di contestare l’ammissione di crediti (e di privilegi) o delle pretese
403
V. amplius Cap. III, par. 3.2.
103
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
altrui 404”. E d’altronde, a differenza di quanto accade nel procedimento
fallimentare, in cui l'opposizione allo stato passivo costituisce lo sviluppo in sede
contenziosa della precedente fase di verifica dei crediti ad opera del giudice
delegato e può essere, almeno per certi aspetti, assimilata all'impugnazione di un
provvedimento giurisdizionale, "nella liquidazione coatta amministrativa esiste
una ben più marcata soluzione di continuità tra la fase della formazione del
passivo, affidata ad un organo amministrativo e destinata a concludersi con un
atto ugualmente di carattere amministrativo 405, e la successiva eventuale fase
contenziosa, che si celebra dinanzi ad un giudice ed ha, essa sola, natura
giurisdizionale» 406.
In tal senso, l’opposizione allo stato passivo nell’ambito di una liquidazione
coatta si configura come un ordinario giudizio di cognizione, non “limitato” alla
verifica delle ragioni dell’esclusione del credito dallo stato passivo, non essendoci
d’altra parte alcuna istanza di inserimento da parte dei creditori. In tali giudizi
bisogna dunque accertare l’esistenza o meno, e l’eventuale ammontare, dei crediti
degli opponenti 407. È questa la richiesta avanzata dai partecipanti al Fondo ERE ai
giudici di Milano, giacché, in data 23 settembre 2010, ricevevano la
comunicazione relativa all’esclusione dei propri crediti risarcitori e al rigetto della
domanda di rivendica dei beni precedentemente conferiti nel fondo.
In forza del rinvio operato dall’art 57, comma 3 bis, TUF, all’art. 88 del
TUB, un giudizio di questo tipo va definito con sentenza – quella che qui si
commenta – e non con decreto, come invece previsto per il giudizio di
opposizione al passivo fallimentare.
404
Si noti che l’art. 98 l. fall. definisce “opposizioni” i giudizi proposti da soggetti che lamentano la propria esclusione
dallo stato passivo e “impugnazioni” i giudizi per mezzo dei quali alcuni soggetti contestano l’inserimento di altro/i
creditore/i nello stato passivo. Diversamente, il TUB e il TUF inglobano in un’unica categoria - quella delle
“opposizioni” - i due giudizi senza che ciò comporti conseguenze dal punto di vista pratico. V. F. DE SANTIS, La
formazione e le impugnazioni dello stato passivo nella l.c.a. dell’impresa bancaria: tracce per una riflessione de jure
condendo, in Il fallimento, 2015, fasc. 2, p. 141.
405
Così Cass., SS.UU., 15 ottobre 2008, n. 25174. Le Sezioni Unite hanno precisato che il carattere definitivo ed
immutabile (salvo che a seguito di ricorso al giudice) dello stato passivo una volta depositato, "discende dalle esigenze
proprie della procedura concorsuale e non è affatto incompatibile con la natura amministrativa di un atto che il
legislatore vuole suscettibile di eventuale modifica solo per effetto di un successivo intervento giurisdizionale, entro i
limiti e con la lex formae previste per tale intervento".
406
F. DE SANTIS, op. cit., p. 135.
407
Ibidem. In merito V. Cass. 3 maggio 2005, n. 9163.
104
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
Analizzeremo prima le domande relative all’accertamento dei crediti vantati
a titolo di risarcimento del danno; si rinvia invece al prossimo paragrafo per
l’esame delle domande di rivendica.
I ricorrenti addebitano alla società di gestione innanzitutto una
responsabilità contrattuale. Nella specie, essi ritengono che Alfa Sgr sia venuta
meno all’obbligazione di reperire risorse finanziarie per realizzare il programma
di riqualificazione dei beni conferiti nel Fondo ERE. I giudici, a tal proposito,
ritengono non addebitabile ad Alfa Sgr tale responsabilità in quanto i problemi
finanziari del fondo sono, al contrario, da addebitare quasi integralmente a Beta
S.p.A., società affittuaria che non corrispondendo puntualmente i canoni di affitto
e di locazione dovuti, ha sottratto al fondo la liquidità necessaria per operare. Alla
luce di tale constatazione, i giudici dichiarano infondata la prima pretesa dei
ricorrenti.
Si noti inoltre la contraddittorietà tra la prima e la seconda contestazione
degli opponenti: si può addebitare al gestore l’insufficienza dei finanziamenti
ottenuti e allo stesso tempo anche il superamento dei limiti di leva finanziaria
imposti ai fondi comuni di investimento408? A proposito i giudici innanzitutto
ritengono che i limiti di indebitamento non siano stati affatto superati 409,
contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti. Per di più, gli stessi riscontrano,
negli atti di causa, il consenso prestato dagli odierni ricorrenti alla stipulazione di
alcuni finanziamenti; il consenso prestato appare consapevole perché fornito dagli
investitori nella piena conoscenza delle condizioni contrattuali e della situazione
finanziaria del Fondo ERE; in ciò può individuarsi la “ratifica”, effettuata dagli
investitori, dell’operato della Sgr. La Corte, riscontrando l’infondatezza delle
(nonché l’incongruenza tra le) asserzioni dei ricorrenti, rigetta anche questa
seconda pretesa risarcitoria.
408
I limiti di leva finanziaria per i fondi comuni di investimento sono fissati, in via generale, nel d.m. 228/1999 e, nel
caso di specie, anche nel Regolamento del fondo ERE.
409
L’art. 12 bis, commi 7 e ss., d.m. 228/1999, testualmente stabilisce: «i fondi immobiliari possono assumere prestiti
sino ad un valore del 60 per cento del valore degli immobili, dei diritti reali immobiliari, delle partecipazioni in società
immobiliari e delle parti di fondi immobiliari e del 20 per cento degli altri beni. Detti prestiti possono essere assunti
anche al fine di effettuare operazioni di valorizzazione dei beni in cui è investito il fondo per tali operazioni
intendendosi anche il mutamento della destinazione d'uso ed il frazionamento dell'immobile […].
I fondi immobiliari possono assumere prestiti per i rimborsi anticipati delle quote, nei limiti indicati al comma 7 e
comunque per un ammontare non superiore al 10 per cento del valore del fondo fermo restando quanto previsto dall'
articolo 12, comma 2-ter».
105
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
I ricorrenti contestano inter alia la violazione di obblighi informativi
preventivi da parte della società di gestione, ritenendo a tal proposito sussistente
una responsabilità precontrattuale in capo a Alfa Sgr. Gli opponenti - riprendendo
parte motiva della sentenza - «si dolgono […] del fatto che Alfa Sgr non avrebbe
fornito le opportune informazioni a ché l’investimento da loro fatto mediante
conferimento dei beni nel Fondo ERE fosse proficuo». I giudici ritengono tale
deduzione troppo generica per poter essere accolta, non avendo i ricorrenti
specificato quali informazioni il gestore abbia omesso di comunicare. Tale
contestazione, d’altra parte, appare pretestuosa: si consideri che il fondo fu
costituito su richiesta dei partecipanti, odierni ricorrenti, desiderosi di
“smobilizzare” e ristrutturare i propri immobili.
La Corte statuisce - collegandosi ad un’altra delle questioni controverse tra
le parti - che «il fallimento del progetto non è dovuto alla asserita carenza di
informazioni prenegoziali di Alfa Sgr ai partecipanti ma, diversamente, [dipende
dal fatto di] aver sovrastimato il valore dei beni (soprattutto immobili) da
conferire nel fondo». Infatti, come previsto dall’art. 12 bis del d.m. 228/1999, per
poter effettuare validamente degli apporti nei fondi immobiliari è necessario
acquisire un'apposita relazione di stima elaborata da esperti indipendenti, che
attesti che il valore del conferimento non è inferiore al valore delle quote attribuite
al partecipante conferente. È inoltre necessario acquisire la valutazione di un
intermediario finanziario incaricato di accertare la redditività dei conferimenti e la
loro compatibilità rispetto alla politica di gestione del fondo medesimo 410. È con
riferimento a tali previsioni che sorgono seri dubbi circa la legittimità dell’operato
della società di gestione e dei partecipanti al fondo. Le stime effettuate sono
valutate dai giudici «sommarie, apodittiche e costellate da una serie di caveat».
Dalla documentazione allegata dalle parti, emerge, infatti, che i tecnici non
abbiano, nelle valutazioni, seguito i criteri generalmente ritenuti più attendibili,
compromettendo in tal modo l’affidabilità delle stime 411. D’altra parte già la
Banca d’Italia, in sede di ispezione, aveva considerato come possibile concausa
410
V. amplius Cap. II, par. 7.1.2.
Gli immobili erano stati stimati principalmente sulla base del metodo di trasformazione (attualizzazione dei flussi di
cassa o Discounted Cash Flow) che non considera l’aspetto fiscale, del metodo sintetico comparativo (criterio di
mercato), nonché del metodo di capitalizzazione del reddito (canone annuo globale/tasso capitalizzazione). Le
partecipazioni societarie erano, invece, state stimate secondo il metodo patrimoniale semplice (attività patrimoniali al
netto delle passività).
411
106
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
dell’esito negativo del Fondo ERE la sommarietà delle relazioni di stima dei beni
conferiti.
Nei precedenti capitoli si è già avuto modo di accennare ai poteri che le due
Autorità di Vigilanza del settore, Banca d’Italia e Consob 412, possono esercitare
sugli operatori finanziari. Nel caso in esame, tra l’ottobre 2007 e il gennaio 2008,
è stata la Banca d’Italia ad eseguire un’ispezione presso Alfa Sgr, ai sensi dell’art.
10 TUF. «Le ispezioni sono volte ad accertare che l’attività dei soggetti abilitati
risponda a criteri di sana e prudente gestione e sia espletata nell’osservanza delle
disposizioni vigenti. In particolare, l’accertamento ispettivo è volto a valutare la
complessiva situazione tecnica e organizzativa degli [intermediari] nonché a
verificare l’attendibilità delle informazioni fornite alla Banca d’Italia» 413.
Nella relazione redatta al termine dell’ispezione ed acquisita agli atti del
giudizio, i tecnici analizzano quelle che, a loro avviso, sono state le cause della
crisi del Fondo ERE. Essi ritengono che più fattori abbiano concorso ma
considerano come più incisivi:
 l’insufficiente considerazione dell’elevato rischio associato all’operazione;
immobili e partecipazioni conferiti erano, infatti, già pesantemente gravati
da debiti al momento della costituzione del fondo e tale circostanza
incideva sin dal principio sulla realizzabilità del piano degli investitori;
 il conferimento di beni immobili sulla base di una stima considerata
gravemente lacunosa ed eccessivamente ottimistica;
 la conflittualità tra gli organi espressione dei partecipanti al fondo Assemblea dei partecipanti - e la Sgr.
I tecnici rimarcano l’influenza che ha avuto quest’ultimo fattore nel costante
declino del Fondo ERE. È evidente che, in questo caso, si è posto un problema di
coordinamento tra la corporate governance e la fund governance. Come si è già
avuto modo di vedere 414, afferiscono alla fund governance i conflitti tra i soci
della Sgr e i partecipanti ai fondi da questa gestiti. Essi sorgono tutte le volte che
il perseguimento dell’interesse di una delle parti non risulti compatibile con il
perseguimento di quello dell’altra: infatti, mentre l’interesse dei soci della Sgr è di
massimizzare i profitti della società nel suo complesso (e pertanto solo
412
Per la ripartizione delle competenze operata dall’art. 5 TUF, V. Cap. III, par. 1, nota 308.
Regolamento Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, Tit. IV, Cap. IV, sez. I, par. 1.
414
V. amplius Cap. II, par. 8.1.
413
107
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
indirettamente essi hanno interesse a una corretta e proficua gestione dei singoli
fondi), gli investitori hanno come obiettivo quello di aumentare il valore della
propria partecipazione nel fondo, attuando le politiche fissate nel regolamento,
risultando dunque potenzialmente indifferenti alle vicende della società di
gestione e degli altri fondi di sua pertinenza.
I giudici pongono l’accento sul ruolo giocato, nel caso di specie, da alcune
previsioni del Regolamento del Fondo ERE: secondo la Corte l’attribuzione
all’Assemblea dei partecipanti del potere di disporre la liquidazione anticipata del
fondo e del potere di deliberare sulle scelte gestorie della Sgr (in assenza di uno
specifico divieto), ha alimentato la contrapposizione tra l’organo gestorio della
Sgr e i partecipanti al fondo. Conseguenza della scarsa (o nulla) comunicazione e
collaborazione tra l’Assemblea dei partecipanti e il Cda della Sgr è stata
indubbiamente la revoca del mandato di gestione, seppur non seguita dal
conferimento di un nuovo mandato ad altra Sgr.
3. La domanda di rivendica dei beni conferiti nel fondo
Altra richiesta avanzata dai ricorrenti è quella relativa al rilascio da parte di
Alfa Sgr dei beni immobili costituenti il Fondo ERE. Tali beni sono stati in parte
direttamente conferiti dai partecipanti che - piuttosto che versare delle somme di
denaro - hanno appunto conferito dei beni immobili, in parte sono indirettamente
confluiti nel fondo, essendo state conferite in esso partecipazioni in società
immobiliari. Alla luce della ricostruzione articolata dai ricorrenti circa la natura
del fondo comune di investimento e dei (marginali) poteri da riconoscere alla
società di gestione, la Corte qualifica come domande di rivendica quelle proposte
dagli opponenti. Secondo questi ultimi Alfa Sgr sarebbe mera mandataria dei
partecipanti al fondo e pertanto non gestirebbe i beni uti dominus ma si
limiterebbe a dare attuazione alle precise istruzioni dei mandanti. In tale
prospettiva, a seguito della revoca del mandato gestorio, la Sgr perderebbe ogni
potere e sarebbe perciò obbligata a restituire i beni conferiti nel fondo ai
partecipanti. I ricorrenti qualificano il fondo centro autonomo di imputazione di
interessi, titolare di un’autonoma soggettività giuridica: al fondo spetterebbe
108
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
dunque, in tale ottica, sia la proprietà formale sia quella sostanziale dei beni che
lo compongono.
I ricorrenti hanno rinvenuto e il fondamento, e la conferma, di questa
ricostruzione - inter alia - nell’istituzione dell’Assemblea dei partecipanti:
l’attribuzione ad essa di compiti di netta rilevanza, sarebbe la conferma
dell’ineliminabile centralità della posizione dei partecipanti al fondo che in essa si
riuniscono 415.
Nonostante lo sforzo ricostruttivo fatto, la tesi dei ricorrenti appare
comunque fallace: essa non permette di individuare il soggetto al quale spetta la
legittimazione a far valere i diritti del fondo. Ciò è confermato dal fatto che nella
comparsa conclusionale i ricorrenti «chiedono il “rilascio” dei beni in favore del
fondo “previa nomina di un soggetto terzo curatore speciale”, ossia di un soggetto
che rappresenti il fondo».
È evidente che i ricorrenti, così motivando le domande di rivendica dei beni,
si discostino da uno dei leading case in materia di fondi comuni di investimento, e
cioè dalla sentenza della Suprema Corte di Cassazione 15 luglio 2010, n. 16605.
Essi giustificano tale linea asserendo che l’oggetto della controversia di cui sono
parti (opposizione allo stato passivo di una Sgr in l.c.a.) differisce in maniera
sostanziale dall’oggetto del processo ad esito del quale è stata emessa la sentenza
di legittimità (in quel caso si discuteva dell’opponibilità della trascrizione di un
acquisto immobiliare effettuato da una Sgr); pertanto, essi ritengono di potersi
discostare dai principi, in quell’occasione, enunciati dalla Cassazione.
Parte resistente chiede invece il rigetto della domanda di rivendica proposta
dai ricorrenti, sostenendo che il fondo non ha soggettività giuridica. Alfa Sgr
«eccepisce l’insussistenza di un rapporto intersoggettivo tra il Fondo ERE e la
Sgr, deducendo […] l’esistenza di un rapporto endosoggettivo tra Sgr e fondo. In
forza di detto rapporto endosoggettivo […] il fondo non assume personalità
giuridica, bensì quella di patrimonio separato privo di soggettività giuridica, la cui
gestione spetta – indipendentemente dalla revoca o meno del mandato gestorio –
alla Sgr (ancorché in l.c.a.), senza che vi sia alcun diritto reale alla restituzione
spettante in capo al Fondo o, per esso, ai suoi partecipanti».
415
V. amplius Cap. II, par. 10.
109
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
Chiarite le posizioni assunte dalle parti, esaminiamo ora la sentenza emessa
dai giudici di Milano il 29 marzo 2012.
La parte motiva della sentenza che statuisce in merito alla domanda di
rivendica avanzata dai partecipanti al fondo, si apre con un richiamo alla sentenza
della Cassazione 16605/2010 nella parte in cui statuisce che i fondi comuni di
investimento sono privi di un’autonoma soggettività giuridica, costituiscono
patrimoni separati della società di gestione del risparmio, la quale ne assume la
titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di
pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia. Nel decidere il
caso in esame i giudici non paventano mai la possibilità di distaccarsi, neanche in
maniera marginale, dal precedente della Suprema Corte.
D’altra parte, tanto al tempo della decisione dei giudici, quanto al momento
della stesura del presente lavoro, i dati normativi dimostrano inconfutabilmente il
definitivo accoglimento nel nostro ordinamento della ricostruzione dei fondi quali
patrimoni separati della società di gestione. La versione dell’art. 1, comma 1, lett.
j), TUF, vigente al tempo dell’emissione della sentenza in esame, definiva infatti
il fondo comune di investimento patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di
pertinenza di una pluralità di partecipanti. La versione oggi vigente - modificata
nel 2014 - definisce i fondi quali Oicr costituiti in forma di patrimoni autonomi,
suddivisi in quote, istituito e gestito da un gestore. Sebbene la definizione
normativa sia stata in parte modificata - al fine di avvicinarla alle definizioni
vigenti in ambito comunitario – si noti come non sia stata affatto intaccata la parte
in cui si qualifica il fondo quale patrimonio autonomo.
A sua volta l’art. 36 TUF conteneva al tempo della decisione - al comma 6 e contiene ancora oggi - al comma 4 - una previsione cardine che recita: «ciascun
fondo comune di investimento, o ciascun comparto di uno stesso fondo,
costituisce patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della
società di gestione del risparmio e da quello di ciascun partecipante, nonché da
ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società; delle obbligazioni contratte
per conto del fondo, la Sgr risponde esclusivamente con il patrimonio del fondo
medesimo. Su tale patrimonio non sono ammesse azioni dei creditori della società
di gestione del risparmio o nell'interesse della stessa, né quelle dei creditori del
depositario o del sub depositario o nell'interesse degli stessi. Le azioni dei
110
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
creditori dei singoli investitori sono ammesse soltanto sulle quote di
partecipazione dei medesimi. La società di gestione del risparmio non può in
alcun caso utilizzare, nell'interesse proprio o di terzi, i beni di pertinenza dei fondi
gestiti»416.
I giudici di legittimità prima, e i giudici di merito poi, nell’accogliere la
qualificazione dei fondi comuni di investimento quali patrimoni separati di
proprietà del soggetto che li ha istituiti, negano fondamento alle altre ricostruzioni
formulate in passato da dottrina e giurisprudenza.
Si è già avuto modo di accennare, a dette ricostruzioni e alle ragioni per le
quali esse, nel corso del tempo, sono state superate 417. Preme qui richiamarle
perché adoperate dai giudici, nei rispettivi iter argomentativi, per mettere in luce
dei connotati essenziali dei fondi, “dimenticati” da chi avallava dette ricostruzioni.
In passato è stato sostenuto che i fondi comuni dessero luogo a una forma di
comproprietà tra gli investitori, partecipanti al fondo. I giudici, escludono
l’attendibilità di tale assunto, asserendo che i partecipanti ai fondi hanno veste di
creditori nei confronti delle società di gestione e non sono invece titolari di alcun
diritto reale sulle quote 418.
L’altra ricostruzione destituita di fondamento, prima dalla Suprema Corte,
poi dai giudici del Tribunale di Milano, è quella riferibile al Consiglio di Stato che
voleva il fondo comune d’investimento centro autonomo di imputazione di
situazioni giuridiche, dotato di autonomia patrimoniale perfetta. I giudici, al fine
di far emergere l’infondatezza anche di questa ipotesi ricostruttiva, osservano che
le disposizioni disciplinanti gli organi dei fondi, in particolare l’Assemblea dei
partecipanti, non sono di per sé sufficienti a delinearne un’organizzazione propria,
distinta da quella delle società di gestione. La costituzione di un organo
assembleare nel quale siedano più soggetti, portatori di interessi omogenei – in
questo caso i partecipanti ad un fondo - è rinvenibile anche in altri casi disciplinati
dalla legge. In nessun caso però la costituzione di questi organi interni è di per sé
sufficiente per ritenere esistente un nuovo soggetto di diritto. Si pensi alle
assemblee degli obbligazionisti (art. 2415 c.c.), alle assemblee dei portatori di
416
Per un’esegesi completa della norma, V. Cap. I, par. 5.2.
V. amplius Cap. I, par. 5.2; per le ragioni del superamento delle singole ricostruzioni V. note a piè di pagina 388 e ss.
418
Tale posizione era stata già assunta dalla Suprema Corte in passato. V. Cass., Sez. III, 14 luglio 2003, n.
10990, e ribadito di recente da Cass., Sez. I, 27 dicembre 2011, n. 28900.
417
111
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
strumenti finanziari partecipativi (artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2, c.c.) e
alle assemblee speciali di azionisti (art. 2376). Si ritiene pertanto che, se da un
lato la separazione patrimoniale rafforza la tutela dei partecipanti, nella misura in
cui permette di tenere distinti i beni e le situazioni giuridiche del fondo da quelli
della società di gestione e da quelli degli altri fondi eventualmente dalla stessa
gestiti, dall’altro non si può enfatizzare troppo tale aspetto, al punto da farne
discendere la creazione di un diverso soggetto giuridico. È stato infatti osservato,
in parte richiamando quanto disposto dalla citata Cassazione nel 2010, che «il
fondo, privo come è di una struttura organizzativa minima, di rilevanza anche
esterna, è privo del potere di autodeterminare le proprie scelte e le linee guida del
proprio comportamento, nel che consisterebbe invece appunto l’essenza
dell’autonomia»419.
Ecco dunque che, una volta giustificato il distacco dalle ricostruzioni nel
tempo elaborate da dottrina e giurisprudenza, la Suprema Corte di Cassazione, al
fine di sgombrare il campo da ogni dubbio e ogni incertezza in materia, statuisce
quanto segue: «atteso che l’ordinamento mal sopporta l’esistenza di un patrimonio
privo di titolare, la soluzione che meglio sembra rispondere alle esigenze sottese
alla costituzione dei fondi comuni di investimento e che trova più solidi agganci
nella relativa disciplina resta quella che ravvisa nel fondo un patrimonio
separato».
Chi ha interpretato tale statuizione ha sostenuto che «non vi è un patrimonio
senza titolare; titolare, cioè proprietario; ma la proprietà è un, anzi il, diritto
soggettivo per antonomasia; dunque nei fondi deve trovarsi un “soggetto” titolare
– proprietario; scartato il fondo stesso (ed anche i partecipanti), titolare –
proprietario non può allora essere che la Sgr, sebbene si debba riconoscere che la
sua è una proprietà “formale”, non sostanziale, cioè piena»420. La Suprema Corte
specifica infatti che, sebbene la titolarità formale del fondo e la legittimazione
attiva e passiva relativa all’esercizio dei diritti spetti alla società di gestione, la
419
P. FERRO – LUZZI, Un problema di metodo: la “natura giuridica” dei fondi comuni di investimento (a proposito
di Cass. 15 luglio 2010, n. 16605), in Riv. delle soc., 2012, fasc. 4, p. 752.
420
P. FERRO – LUZZI, op. cit., p. 753. In linea con la statuizione della Suprema Corte l’autore sostiene che i
partecipanti al fondo non possano essere considerati comproprietari dei beni costituenti il fondo ma solo creditori della
Sgr.
112
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
proprietà sostanziale dei beni di pertinenza del fondo vada comunque
riconosciuta ai partecipanti al fondo stesso.
D’altra parte non può negarsi la coerenza di una siffatta ricostruzione con il
quadro normativo. Si consideri ad esempio la norma che prevede la prorogatio del
mandato gestorio della Sgr revocata o dimissionata fino a che la sostituzione del
vecchio gestore con il nuovo non sia approvata dalla Banca d’Italia. La
sostituzione del gestore implica infatti una modifica del Regolamento del fondo
che, in base a quanto stabilito dall’art. 37, comma 4, TUF, deve essere approvata
dall’Autorità di vigilanza 421, pena la sua inefficacia. In ciò non può non rinvenirsi
chiaro segno della preoccupazione del legislatore di non lasciare il fondo
“acefalo”, con ciò indirettamente dimostrando l’impossibilità, anche solo medio
tempore, di un (ri)trasferimento della titolarità formale dei beni costituenti il
fondo in capo ai suoi partecipanti.
Assodata l’impossibilità di configurare il fondo quale soggetto di diritto
distinto ed autonomo dalla società di gestione, la Cassazione individua la matrice
culturale del fondo comune di investimento nel trust 422. Secondo la Corte il fondo
costituirebbe infatti “applicazione specifica” del noto istituto di origine
anglosassone: disponenti, nel caso dei fondi, sarebbero i partecipanti mentre, la
società di gestione opererebbe quale trustee, che ben potrebbe essere sostituita dai
disponenti – partecipanti. Ci si troverebbe dunque, in entrambi i casi, di fronte a
forme di proprietà fiduciaria, patrimoni separati, segregati sia in danno dei
creditori dei titolari formali dei beni - trustee piuttosto che Sgr - sia in danno dei
creditori dei disponenti - partecipanti.
Conformandosi al precedente di legittimità del 2010 e dunque definiti i
fondi comuni di investimento patrimoni separati della società di gestione, i giudici
di Milano nel marzo del 2012 hanno ritenuto applicabile ad essi la disciplina dei
patrimoni destinati costituiti da società per azioni. Si tenga presente che, al
momento della decisione, il Testo unico della Finanza non contemplava ancora
all’art. 57 i commi 3 bis e 6 bis 423 - introdotti rispettivamente dalle lett. a) e b) di
421
Uguale previsione è contenuta anche nel Regolamento Banca d’Italia del 19 gennaio 2015, Tit. V, Cap. II, sez. III.
V. amplius Cap. I, par. 4 e 4.1.
423
L’art. 57 statuisce al comma 3-bis «Se è disposta la liquidazione coatta di una società di gestione del risparmio, i
commissari liquidatori provvedono alla liquidazione o alla cessione dei fondi da questa gestiti e dei relativi comparti,
esercitando a tali fini i poteri di amministrazione degli stessi. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 83, 86, ad
eccezione dei commi 6 e 7, 87, commi 2, 3 e 4, 88, 89, 90, 91 ad eccezione dei commi 2 e 3, 92, 93 e 94 del T.U.
422
113
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
cui all’art. 1 del d. lgs. 16 aprile 2012, n. 47 - disciplinanti la liquidazione dei
fondi comuni di investimento nei casi di società di gestione del risparmio tanto in
bonis quanto in liquidazione coatta
424
. Prescindendo dunque per ora da quanto
contemplato nel TUF in seguito alla citata modifica, analizziamo la norma allora a
disposizione dei giudici e dagli stessi applicata.
Nel caso di specie essi hanno ritenuto applicabile l’art. 155 l. fall. che
disciplina la gestione e la liquidazione dei patrimoni destinati ad uno specifico
affare costituiti ex art. 2447 bis, comma 1, lett. a), c.c. da società per azioni
dichiarate fallite. Tale norma stabilisce che l’amministrazione di tali patrimoni
debba essere attribuita al curatore fallimentare, affinché vi provveda con gestione
separata (comma 1).
Il secondo comma, al fine di garantire la conservazione della funzione
produttiva del comparto patrimoniale, attribuisce al curatore il potere di cedere a
terzi l’intero patrimonio.
Qualora non sia possibile realizzare una siffatta cessione, il curatore deve
provvedere alla liquidazione del patrimonio separato, facendo applicazione delle
norme disciplinanti la liquidazione ordinaria delle società, in quanto compatibili
(artt. 2484 e ss. c.c.).
Emerge dunque che, nel caso di fallimento di una società – nel caso alla
nostra attenzione è una Sgr ad essere stata posta in l.c.a. – permane l’obbligo di
gestire separatamente i patrimoni destinati, a prescindere dalla loro capienza
piuttosto che incapienza. Dietro tale norma si cela la difficoltà di effettuare una
valutazione della consistenza del comparto patrimoniale al momento dalla
bancario, nonché i commi 4 e 5 del presente articolo. I partecipanti ai fondi o ai comparti hanno diritto esclusivamente
alla ripartizione del residuo netto di liquidazione in misura proporzionale alle rispettive quote di partecipazione; dalla
data dell’emanazione del decreto di liquidazione coatta amministrativa cessano le funzioni degli organi del fondo».
Il comma 6 bis recita «Qualora le attività del fondo o del comparto non consentano di soddisfare le obbligazioni dello
stesso e non sussistano ragionevoli prospettive che tale situazione possa essere superata, uno o più creditori o la Sgr
possono chiedere la liquidazione del fondo al tribunale del luogo in cui la Sgr ha la sede legale. Il tribunale, sentiti la
Banca d’Italia e i rappresentanti legali della Sgr, quando ritenga fondato il pericolo di pregiudizio, dispone la
liquidazione del fondo con sentenza deliberata in camera di consiglio. In tale ipotesi, la Banca d’Italia nomina uno o più
liquidatori che provvedono secondo quanto disposto dal comma 3-bis; possono essere nominati liquidatori anche Sgr o
enti. Il provvedimento della Banca d’Italia è pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Si
applica ai liquidatori, in quanto compatibile, l’articolo 84, ad eccezione dei commi 2 e 5, del T.U. bancario. Se la Sgr
che gestisce il fondo è successivamente sottoposta a liquidazione coatta amministrativa, i commissari liquidatori della
Sgr assumono l’amministrazione del fondo sulla base di una situazione dei conti predisposta dai liquidatori del fondo
stesso».
424
Per un’analisi approfondita delle citate norme, V. Cap. III, par. 3.2.1.
114
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
dichiarazione di fallimento; si lascia quindi al curatore il compito di verificarla
successivamente 425.
Qualora il patrimonio destinato sia valutato capiente, si applica il secondo
comma dell’art. 155 l. fall. che, come già ricordato, prevede in via preferenziale la
cessione in blocco del patrimonio destinato e solo in via residuale la sua
liquidazione.
È l’ultimo comma dell’art. 155 l. fall. a destare maggiore interesse,
soprattutto ai fini della risoluzione del caso in esame. Esso testualmente stabilisce:
«il corrispettivo della cessione al netto dei debiti del patrimonio o il residuo attivo
della liquidazione sono acquisiti dal curatore nell'attivo fallimentare, detratto
quanto spettante ai terzi che vi abbiano effettuato apporti, ai sensi dell'articolo
2447-ter, primo comma, lettera d), del codice civile». Alla luce di tale
disposizione, i giudici di Milano hanno stabilito che «gli odierni ricorrenti non
possono, pertanto, affermarsi titolari di diritti di proprietà sui beni conferiti nel
fondo, bensì titolari di un diritto di credito al valore residuo della quota, all’esito
della liquidazione del fondo e del pagamento dei creditori. La domanda di
restituzione dei beni conferiti nel fondo va, pertanto, rigettata».
425
G. LO CASCIO, Commento all’art. 155 l. fall, in Codice commentato del fallimento, Milano, 2013, p. 1836.
115
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
Conclusioni
Dopo aver analizzato la disciplina applicabile ai fondi comuni di
investimento, tanto nella fase di gestione ordinaria, tanto in caso di crisi, si
conclude mettendo in luce la “particolare” coincidenza verificatasi in occasione
del caso giurisprudenziale qui esaminato.
I giudici di Milano, al tempo della decisione, non disponevano di specifiche
norme disciplinanti né la crisi dei fondi comuni di investimento, né l’ipotesi di
crisi della società di gestione e delle conseguenze dalla stessa provocate sui fondi
gestiti.
I giudici hanno deciso il caso alla loro attenzione innanzitutto facendo
applicazione dei principi già enunciati nel 2010 dalla Suprema Corte di
Cassazione nel citato precedente di legittimità, ribadendo che i fondi comuni sono
patrimoni separati della società di gestione e sono quindi privi di autonoma
soggettività giuridica. Di conseguenza, essi hanno ritenuto applicabile in via
analogica, alla liquidazione degli stessi, la normativa dettata dalla legge
fallimentare in merito alla liquidazione di patrimoni destinati costituiti da società
per azioni.
Si potrebbe da un lato enfatizzare la lungimiranza dei giudici di Milano:
leggendo attentamente la parte motiva della sentenza da loro emessa si potrebbe
quasi avere l’impressione che gli stessi abbiano anticipato quello che di li a pochi
mesi sarebbe stato un importante intervento del legislatore. Infatti, come
accennato nel capitolo precedente, nell’aprile 2012 - quindi solo due mesi dopo la
pubblicazione della sentenza in commento - il legislatore ha introdotto specifiche
previsioni in materia di liquidazione di fondi comuni di investimento, previsioni
che innegabilmente combaciano con quanto statuito dai giudici di Milano.
D’altro canto, potrebbe anche sostenersi che il caso in esame non ha
“connotati speciali” poiché i giudici hanno deciso la causa alla loro attenzione
conformandosi al precedente della Suprema Corte di Cassazione in materia, come
prassi vuole. Una volta richiamati i principi affermati dalla Corte e ormai più o
meno pacificamente accolti nel nostro ordinamento 426, essi hanno applicato
426
Gli stessi principi qui enunciati sono stati riaffermati, seppur a volte con percorsi argomentativi leggermente
divergenti, sia dai giudici di merito (V. G. MARCHETTI, La natura dei fondi comuni di investimento e la liquidazione
coatta amministrativa delle società di gestione del risparmio, (nota a Corte d’Appello Civile, Venezia, decreto, 1 marzo
116
Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
analogicamente la disciplina dei patrimoni destinati, contenuta nel codice civile e
nella legge fallimentare. Qualora ci si collochi in questa seconda prospettiva,
appare ragionevole dedurre che il legislatore, con l’intervento del 2012, si sia
limitato a codificare quei principi che nella prassi erano ormai stati elaborati,
applicati ed accettati.
Benché la gestione in monte del risparmio costituisca ormai da decenni un
settore importante della finanza e, dunque, i fondi comuni di investimento e per
numero, e per ammontare del risparmio che in essi confluisce, siano organismi
ben noti agli ordinamenti moderni, l’attuale crisi economica e finanziaria ha posto
gli operatori del diritto di fronte a situazioni nuove e sempre più complesse.
Se nei decenni scorsi la liquidazione di un fondo comune di investimento
era ovviamente configurabile ma rimaneva un fenomeno marginale, la diffusione
capillare del risparmio gestito da un lato, e la massiccia portata della crisi
finanziaria odierna dall’altro, hanno indotto il legislatore, per garantire tra l’altro
la certezza del diritto, a recepire nell’ordinamento quei principi che fino a qualche
tempo fa ben potevano essere applicati semplicemente in via analogica.
2012), in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2012, fasc. 10, parte I, p. 818 ss.), sia dai giudici di legittimità (V.
A. TERLIZZI, I fondi comuni d’investimento non hanno autonoma soggettività giuridica, (nota a Cass. Civ., 20 maggio
2013, n. 12187, sez. VI), in Diritto e giustizia, 2013, fasc. 0, p. 681).
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Analisi del caso: sent. Tribunale di Milano 29 marzo 2012
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