La scolastica - Corso di Filosofia

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CRISTIANESIMO E FILOSOFIA– LA SCOLASTICA.
Per filosofia scolastica, o più semplicemente Scolastica, si intende la filosofia e la teologia insegnate nelle scuole
medievali (scuole monacali, episcopali e palatine) nel periodo che va dall'8° fino al 14º secolo e che termina con l'avvento
dell'Umanesimo.
Il crollo dell'impero romano e l'avvento dei regni romano-barbarici comporta una generale decadenza politica,
economica, sociale e culturale della società latina. Le città si spopolano e le popolazione latine preferiscono ritirarsi nelle
campagne per allontanarsi e difendersi dai pericoli delle invasioni barbariche. Si passa da una civiltà urbana ad una civiltà
rurale. Sono questi i secoli più bui dell'alto medioevo.
Anche gli studi e le arti vengono trascurati e spesso abbandonati. Gli unici centri di cultura rimanenti sono presso i
monasteri e i conventi, dove sorgono le scuole monacali, e presso le cattedrali, dove sorgono le scuole episcopali.
L'insegnamento svolto in tali scuole è per lo più ispirato dalla religione cristiana e dai problemi religiosi (soprattutto il
problema del rapporto tra fede e ragione). Il compito di queste scuole è principalmente quello di istruire i religiosi
(monaci, chierici, sacerdoti) e prepararli allo svolgimento della loro missione. Ma hanno avuto anche il merito di
conservare e di trascrivere molte opere della cultura e della filosofia classica ed ellenistica, impedendo che andassero
distrutte.
Solo con Carlo Magno e con la costituzione del Sacro Romano Impero, nell'800 d.C., si ha una certa rinascita della
cultura e degli studi anche presso i castelli, i palazzi e le corti dei principali signori e sovrani del feudalesimo. Si parla in
proposito di "rinascita carolingia". Accanto alle scuole monacali ed episcopali, sorgono così anche le scuole palatine
(da "palazzo"), con sede nei palazzi e nei castelli, con il compito di istruire e preparare i funzionari dell'impero.
Importante al riguardo è stata l'attività di Alcuino di York, cui Carlo Magno ha affidato l'organizzazione delle scuole
palatine stesse.
Alcuino imposta gli studi e l'istruzione in tre gradi:
1. leggere, scrivere, nozioni elementari di latino volgare, comprensione sommaria della Bibbia e dei testi liturgici;
2. studio delle sette arti liberali, suddivise in trivio (grammatica, retorica, dialettica) e in quadrivio (aritmetica, geometria,
astronomia, musica);
3. studio approfondito delle Sacre scritture.
Come si può notare, anche nelle scuole palatine erano curati gli studi religiosi oltre a quelli laici.
Due sono le fondamentali forme di insegnamento nelle scuole medievali:
1. La "lectio", che consiste nel commento di un testo;
2. la "disputatio", che consiste nel dibattere un argomento sulla base di tutti gli elementi pro e contro.
Una rinascita e un risveglio culturale maggiore si ha in Europa intorno all'anno mille, grazie anche all'avvento di un
periodo di ripresa e di crescita economica e sociale: vi è un aumento della popolazione ed il sistema feudale comincia, sia
pur lentamente, a decadere; le città cominciano a ripopolarsi e nascono i primi governi cittadini dal cui sviluppo sorgerà
alla civiltà comunale.
A partire dal 13º secolo sorgono le prime Università degli Studi, a Parigi e a Bologna.
Nel corso dei sette secoli di durata, si suole suddividere la Scolastica in quattro fasi:
1. La prima scolastica, detta anche pre-scolastica, che va dall'ottavo al nono secolo: sorge dapprima in un ambiente di
decadenza culturale ma poi, con la rinascita carolingia e l'instaurazione del Sacro Romano Impero, prende avvio la
restaurazione delle scuole e quindi della cultura. È affermata l'identità di ragione e fede nei termini di un'assimilazione
della prima alla seconda. Il principale esponente di questa prima fase è Giovanni Scoto Eriugena.
2. La seconda fase, detta anche alta scolastica, va dal 10° al 12º secolo. È l'età della riforma monastica, del rinnovamento
politico della Chiesa con la lotta per le investiture, delle crociate e dell'incipiente civiltà comunale. Il problema del
rapporto tra ragione e fede comincia ad essere approfondito sulla base della potenziale antitesi dei due ambiti. I maggiori
esponenti sono Anselmo d'Aosta, Pietro Abelardo, nonché le cosiddette Scuola di Chartres e la Scuola di San Vittore.
Appartiene a questo periodo la famosa disputa sugli "universali".
3. La terza fase è quella della fioritura della scolastica, dell'età aurea, che si svolge nel 13º secolo. Sono elaborati i grandi
sistemi scolastici. La ragione e la fede, pur distinte fra di esse, vengono concepite come armonicamente conducenti a
medesimi risultati. Le figure di rilievo sono quelle di Bonaventura da Bagnoregio, Alberto Magno, Tommaso
d'Aquino, Giovanni Duns Scoto.
4. La quarta fase, che copre il 14º secolo, è segnata dal dissolvimento della scolastica e dal divorzio tra ragione e fede,
considerati ambiti eterogenei e non conciliabili. Si dubita che vi sia corrispondenza tra ragione e fede, distinguendo la
fede da una parte, con una propria autonomia ed indipendenza, e la ragione dall'altra, con una sua propria e differente
autonomia e indipendenza. Figura di rilievo è Guglielmo di Ockham.
Anselmo d'Aosta (Aosta nel 1033-Canterbury 1109).
È dapprima abate del monastero di Bec, in Normandia, e poi arcivescovo di Canterbury.
Opere principali: Monologion (soliloquio) e Proslogion (colloquio).
Nel Monologion procede a dare dimostrazioni a posteriori dell'esistenza di Dio, partendo cioè dall'osservazione delle cose
e dell'ordine del mondo; nel Proslogion fornisce una prova a priori dell'esistenza di Dio, cioè indipendentemente
dall'osservazione e dall'esperienza ma basata solo sul concetto di Dio come essere perfettissimo.
Fede e ragione.
Anche per Anselmo, come per Agostino, vi è accordo tra fede e ragione. Pur ritenendo che la fede sia superiore, è
tuttavia convinto che fede e ragione non siano in contrasto. Il suo motto è infatti "credo ut intelligam" (credo per capire
meglio). Non si può capire perché c'è il mondo e la vita se non si ha fede, ma occorre dimostrare e spiegare meglio la fede
con argomenti razionali (con il ragionamento). Certo, precisa Anselmo, qualora su di una questione dovesse sorgere un
contrasto tra fede e ragione, bisognerebbe allora far prevalere la fede, ma Anselmo è persuaso che un tale contrasto non vi
sia perché anche la ragione, come la fede, deriva dalla medesima illuminazione divina. La stessa esistenza di Dio è
infatti, per Anselmo, una pura verità di ragione, che la ragione può cioè dimostrare da sola, con le sue sole forze, senza
bisogno di rivelazione, la quale ci svela invece gli attributi e i precetti divini.
Nel Monologion, come detto, dà dimostrazioni dell'esistenza di Dio a posteriori (partendo cioè dalle cose, dal creato,
che è posteriore a Dio), per risalire quindi a Dio con l'argomento dei gradi: vi sono molte cose buone nel mondo ma
tutte hanno un grado maggiore o minore di bontà. Vi deve essere allora, sopra le cose, una bontà assoluta, cioè un bene
assoluto da cui deriva la maggiore o minore bontà delle cose del mondo. Questo bene assoluto è Dio. Lo stesso
ragionamento si può fare per ogni altro valore o perfezione esistenti nel mondo (per i diversi gradi di grandezza, di
perfezione, di causa efficiente): tutti rimandano al Valore e alla Perfezione assoluta che è Dio.
La prova ontologica dell'esistenza di Dio.
Tuttavia, rispetto alle prove a posteriori dell'esistenza di Dio, quella più famosa fornita da Anselmo, espressa nel
Proslogion, è la cosiddetta prova a priori o prova ontologica.
È a priori ed ontologica perché non parte dall'osservazione e dall'esperienza sensibile delle cose ma invece, in modo a
priori, ossia prima dell'esperienza, parte dal concetto, dall'idea di Dio, cioè dall'analisi dell’essenza ontologica di Dio
(ontologia= filosofia dell'essere, dell'essenza delle cose) per giungere a dimostrarne l'esistenza. E quale è il concetto,
l'idea che noi abbiamo di Dio? È certamente quella di un Essere perfettissimo, che possiede tutte le perfezioni, che
possiede tutto. Allora, se l'idea di Dio è quella di un Essere che possiede ogni perfezione, al quale non manca nulla,
Egli deve possedere per forza anche l'esistenza, deve per forza esistere, altrimenti non potremmo pensare a Dio come
Essere perfettissimo.
Questa prova ontologica e a priori dell'esistenza di Dio è in particolare rivolta nei confronti degli atei, che Anselmo
chiama insipienti. Gli atei, dice Anselmo, affermano che Dio non c'è, però anche per gli atei la parola "Dio" significa
Essere perfettissimo. Anche l'ateo ha questa idea di Dio pur non credendo che esista. Ma in questo modo, dice Anselmo,
l'ateo si contraddice, perché non può avere l'idea di un essere perfettissimo, al quale non manca nulla, e
contemporaneamente dichiarare che gli manca all'esistenza, che non esiste. Quindi l'ateo si sbaglia.
Tale prova ontologica dell'esistenza di Dio non ha trovato però d'accordo tutti i filosofi, sia contemporanei ad
Anselmo sia successivi. Hanno accettato questa prova Alberto Magno e Bonaventura di Bagnoregio nel Medioevo ed in
età moderna Cartesio, Spinoza, Leibniz ed Hegel. Ma già un filosofo-teologo contemporaneo di Anselmo, il monaco
Gaunilone, l’ha criticata affermando che, pur avendo l'idea di Dio come essere perfettissimo, non si può per questo
concludere che egli debba allora, necessariamente, anche esistere, così come dall'idea di un'isola perfettissima o di un
cavallo alato non deriva per forza anche l'esistenza di tale isola o di tale cavallo. In effetti, non si può passare direttamente
ed automaticamente dal piano delle idee al piano della realtà, sostenendo che le idee che passano nella mente, anche le
migliori e più logiche, esistono necessariamente anche nella realtà. Per dire con sicurezza che ad una mia idea corrisponde
una realtà concreta devo prima verificarla sperimentalmente, ossia posso dire che un'idea esiste anche nella realtà solo se
vedo e tocco concretamente una cosa corrispondente a tale idea, ma Dio non si vede e non si tocca (questo ad esempio
sarà l'argomento usato da Kant nell'affermare che la prova ontologica di Anselmo non ha valore).
Con la sua critica il monaco Gaunilone non vuole negare l'esistenza di Dio, vuole semplicemente affermare che l'esistenza
di Dio è questione di fede e non di dimostrazione e che sono comunque preferibili le prove a posteriori dell'esistenza di
Dio (risalendo cioè dalle cose del mondo, ossia dagli effetti, alla loro causa prima che è Dio).
Anche lo stesso Tommaso d'Aquino, come vedremo, non accetta la prova ontologica a priori di Anselmo, ma fornisce
invece prove a posteriori, simili a quelle fornite da Aristotele.
Tommaso d'Aquino (1225-1274).
È il maggior esponente della fase aurea della scolastica. Nasce nel 1225 a Roccasecca, tra Lazio e Campania, da
famiglia nobile. Frequenta l'università di Napoli iniziando anche gli studi di filosofia. In particolare comincia a leggere le
opere di Aristotele, riscoperte diffuse per merito dei filosofi arabi, soprattutto Avicenna e Averroè.
Se la filosofia di Agostino e la filosofia patristica in generale sono influenzate dalla filosofia di Platone, la filosofia di
Tommaso e la tarda Scolastica sono invece influenzate dalla filosofia di Aristotele, adattando comunque sia la filosofia
platonica sia la filosofia aristotelica alla filosofia cristiana.
A Napoli Tommaso decide di farsi frate domenicano. Si reca poi a studiare a Colonia, in Germania. Dal 1252 fino al 1259
è docente di teologia all'università di Parigi. Nel 1259 fino al 1269 si trasferisce in Italia e diventa consigliere teologico
presso la Corte pontificia.
Opere principali: De ente et essentia (L'ente e l'essenza); Summa contra gentiles (Summa contro i pagani); Summa
theologiae (Summa teologica). Summa significa esposizione sistematica, completa e ordinata, di un argomento o di una
dottrina.
Fede e ragione.
Ai tempi di Tommaso sul rapporto tra fede e ragione vi erano due punti di vista contrapposti:
1. per i seguaci della filosofia aristotelica esisteva un'unica forma di conoscenza, cioè la conoscenza razionale, senza il
bisogno di conoscenze rivelate da Dio e accolte per fede;
2. per i francescani invece l'unica forma di conoscenza era quella della fede, della teologia, per cui anche le verità che la
ragione potrebbe giungere a conoscere da sola non sono complete se non c'è la fede che illumina l'intelletto.
Tommaso non accetta nessuno di questi due punti di vista. Per lui vi è invece accordo tra fede e ragione ed anzi la
ragione e la filosofia sono di aiuto alla fede in tre modi:
1. la ragione è in grado di dimostrare i "preamboli" (=i preliminari) della fede, ossia quelle verità che non sono
oggetto di rivelazione divina ma che sono raggiungibile mediante il solo ragionamento, come la dimostrazione
dell'immortalità dell'anima o dell'esistenza di Dio, perché non si può credere a ciò che Dio ha rivelato se non si sa che Dio
c'è; queste verità che possono essere raggiunte con la sola ragione aiutano l'uomo ad avere fede;
2. la ragione può aiutarci a chiarire ed esemplificare i dogmi e i misteri della fede mediante similitudini e paragoni;
certamente i misteri della fede non si possono dimostrare con la ragione, altrimenti non sarebbero più tali; essi vanno
accettate per fede; ma la ragione, se non può dimostrare questi misteri, può dimostrare però che essi non sono irrazionali
ed assurdi, che non sono cioè contrari alla ragione;
3. la ragione può controbattere le obiezioni contro la fede, dimostrando che sono false o che, almeno, non sono
convincenti.
Inoltre, dice Tommaso come del resto altri filosofi scolastici, poiché sia la ragione che la rivelazione (la fede) derivano
entrambe da Dio, allora non possono essere in contrasto fra di esse perché Dio non ci vuole ingannare. Non ci può essere
una doppia verità, cioè una verità di ragione in contrasto con la verità di fede. Se la ragione arrivasse ad affermazioni in
contrasto con la fede, non vuol dire che c'è contrasto tra ragione e fede, ma semplicemente che quel certo particolare al
ragionamento è sbagliato, per cui la ragione stessa è in grado di capire il suo errore e correggersi, giungendo all'accordo
con la fede.
Tommaso non accoglie la prova ontologica dell'esistenza di Dio formulata da Sant'Anselmo d'Aosta (VEDI SOPRA).
Per Tommaso la dimostrazione dell'esistenza di Dio può essere solo a posteriori, partendo cioè dal mondo e dalle cose
da lui create, in quanto tali posteriori a Dio, per poi risalire da esse, cioè dagli effetti, alla loro prima causa, cioè a Dio
creatore. Tommaso non può accettare la prova ontologica, che è a priori, perché si basa solo sul concetto di Dio, ma in
quanto concetto è un ente logico e non un ente reale e, come già da Tommaso sostenuto, non sempre gli enti logici
esistono realmente. Però, una volta che sia stata dimostrata a posteriori l'esistenza di Dio come causa prima e
creatore del mondo, risulta del tutto evidente che la sua esistenza coincide con la sua essenza di creatore , ossia di
colui che dona l'essere (l'esistenza) a tutte le cose finite del mondo.
Dio è quindi l'Essere, l'Essere supremo, mentre il mondo e le cose del mondo non sono l'essere ma hanno l'essere
ossia ricevono il loro essere da Dio. Infatti, a differenza di Dio, l'essenza delle cose finite non implica necessariamente
anche la loro esistenza, poiché l'essenza delle cose finite è la semplice possibilità di essere (di esistere), ossia è potenza e
non atto. e.
Le cinque prove o "vie" dell'esistenza di Dio.
Abbiamo visto che per Tommaso l'essenza divina, che implica anche l'esistenza, non ci è nota a priori perché la
conoscenza umana comincia dai sensi. Perciò egli non accoglie la prova ontologica a priori dell'esistenza di Dio di
Anselmo d'Aosta. Per Tommaso la dimostrazione dell'esistenza di Dio non può essere che a posteriori, partendo cioè
dei sensi, dall'esperienza del mondo e delle cose del mondo, che sono appunto posteriori a Dio, e risalendo quindi a Dio
stesso come loro causa, vale a dire partendo dagli effetti per conoscerne la causa. Solo dopo aver dimostrato a posteriori
l'esistenza di Dio diventa allora possibile conoscere anche la sua essenza. Tommaso condivide come Anselmo d'Aosta il
concetto di Dio come "colui del quale non si può pensare nulla di maggiore", però, dichiara Tommaso, non consegue
necessariamente che un concetto presente nell'intelletto sussista anche nella realtà. Ecco perché la dimostrazione
dell'esistenza di Dio deve essere a posteriori.
Tommaso fornisce cinque prove a posteriori dell'esistenza di Dio, chiamate cinque "vie", tutte tratte in modo vario
dalla cosmologia (=filosofia sul cosmo, sull'universo) di Aristotele.
1. La prova del movimento (ex motu). Parte dalla constatazione empirica che tutto ciò che si muove è mosso da
qualcosa d'altro. Ma nell'individuare la catena (la serie) delle cause del movimento delle cose non si può procedere
all'infinito. Ci deve essere una causa prima del movimento che fa muovere le cose senza essere mossa a sua volta: ci deve
essere cioè un primo motore immobile e questo è Dio. Infatti non è possibile che le cose sensibili siano al tempo stesso in
atto e in potenza, che siano cioè sia l’effetto che, contemporaneamente, la causa del loro movimento.
2. La prova causale (ex causa). Nella serie delle cause efficienti dei vari fenomeni non si può risalire all'infinito. Nessuna
cosa può essere effetto di se stessa, perché ciò che produce un effetto deve esistere prima di questo. Perciò deve esistere
una causa prima di tutte le cose che non sia a sua volta effetto di un'altra causa e questa causa prima è Dio.
3. La prova della contingenza (ex possibili et necessario), cioè del rapporto tra ciò che è contingente (=possibile) e ciò
che è necessario. Le cose possibili esistono perché sono l'effetto di una cosa necessaria che le fa necessariamente esistere.
Ma anche qui non è possibile procedere all'infinito, bisogna per forza che ci sia una cosa necessaria in sé, quale causa
dell'esistenza delle cose contingenti, senza che essa sia stata fatta esistere da un'altra cosa pure necessaria. Questa prima
cosa necessaria, che spiega l’esistenza delle altre cose contingenti, è Dio.
4. La prova dei gradi di perfezione (ex gradu). Fra le cose ve ne sono di più o meno vere, buone e perfette. Vi deve
essere allora un ente assolutamente perfetto rispetto al quale misurare e distinguere i diversi gradi di perfezione delle altre
cose. Questo ente assolutamente perfetto è Dio.
5.
La prova del finalismo (ex fine). Nel mondo vi sono cose che, pur essendo sprovviste di intelligenza, appaiono
tuttavia dirette ad un fine, ad uno scopo, e ciò non potrebbe essere se non fossero guidate da un essere dotato di
un'intelligenza suprema: questo essere è Dio.
Anche Tommaso condivide la dottrina platonico-agostiniana secondo cui il Male in sé, il Male metafisico, non
esiste, essendo esso, piuttosto, mancanza del bene. Dio non può essere creatore anche del Male, inteso come forza
maligna immessa nel mondo, poiché ciò sarebbe in contraddizione con l'attributo della bontà divina. La presenza di spiriti
demoniaci non è opera di Dio bensì di una libera scelta contraria a Dio operata dai démoni medesimi, pure ai quali Dio ha
concesso il libero arbitrio. Invece tutte le cose che esistono, già per il solo fatto di esistere, sono un bene secondo il grado
di essere di ogni cosa. Ma poiché l'ordine del mondo richiede la sussistenza anche dei gradi inferiori dell'essere e del
bene, derivano allora da esso due specie di mali: la pena e la colpa.
La pena è il male fisico, che discende dalla natura delle cose del mondo, che sono finite e imperfette e quindi non
possiedono quella perfezione somma che è solo di Dio. Del resto il creato non può essere costituito da una perfezione pari
a quella divina perché, in tal caso, sarebbe un doppione di Dio, il che è assurdo, un controsenso.
La colpa è il male morale, è il peccato commesso dagli uomini, che consiste nel contravvenire l'ordine della ragione e
della legge divina. Mentre la pena, dunque, è la condizione naturale delle cose, del mondo e degli uomini in quanto esseri
finiti, il vero male è la colpa, che la Provvidenza cerca di eliminare o correggere con la pena.
SECOLO XIV: LA QUARTA FASE DELLA SCOLASTICA. LA SUA CRISI E DISSOLVIMENTO.
Il Trecento è un secolo di grandi mutamenti storici e politici, economici e sociali, culturali e filosofici.
Dal punto di vista storico-politico l'Impero e il Papato perdono di importanza: l'Impero, perché in Europa cominciano a
sorgere le monarchie nazionali, che vogliono rendersi autonome e indipendenti oppure, dove non sorge l'unità nazionale
come in Italia e in Germania, si formano Signorie e Principati che pure vogliono l'indipendenza dall'Impero; il Papato,
perché si comincia a criticare il potere temporale della Chiesa e a pensare che il compito della Chiesa debba essere solo di
tipo spirituale e che il governo politico spetti al solo potere civile, al Re e non al Papa.
Dal punto di vista economico-sociale il Trecento è il secolo del progressivo declino delle classi feudali nobiliari ed
ecclesiastiche per il sorgere invece di una nuova classe sociale destinata ad espandersi, cioè la borghesia, composta da
mercanti, da banchieri e da imprenditori artigianali. Dall'altro lato, nel Trecento si aggrava la miseria dei più poveri, con
conseguente rivolte popolari (la rivolta dei Ciompi o quella dei contadini francesi).
Anche dal punto di vista culturale molte sono le novità: con Dante, Petrarca e Boccaccio si afferma una nuova cultura e
una nuova letteratura, mentre in campo artistico sorge l'arte gotica, tutte espressioni queste di un nuovo modo di concepire
la natura e la divinità.
In filosofia viene meno la fiducia e l'idea che tra fede e ragione vi sia accordo. Già Duns Scoto aveva dichiarato che fede
e ragione sono tra di esse distinte ed autonome, per cui non vi è intreccio fra teologia e filosofia ma ognuna studia e si
occupa di cose diverse. Il filosofo Guglielmo d’Ockham non solo dirà che fede e ragione sono distinte ma che anzi
sono separate: la filosofia non deve più occuparsi di questioni metafisico-religiose, lasciandole alla sola teologia, bensì
occuparsi della logica e del processo della conoscenza umana, cioè del modo in cui la conoscenza umana si svolge,
avviene, nonché della sua validità ma anche dei suoi limiti.
Questo nuovo modo di pensare conduce al tramonto e alla fine della Scolastica e favorisce lo sviluppo di una cultura più
laica che porterà nei secoli successivi all'avvento dell'Umanesimo e del Rinascimento.
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