I principi fondamentali del sindacato cattolico

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OCST Corso di formazione
12 maggio 2014
Prof. Dr. Markus Krienke
Cattedra “Antonio Rosmini”
Facoltà di Teologia di Lugano
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* “Nella presente questione, lo scandalo maggiore è questo:
supporre una classe sociale nemica naturalmente dell'altra;
quasi che la natura abbia fatto i ricchi e i proletari per
battagliare tra loro un duello implacabile; cosa tanto
contraria alla ragione e alla verità. In vece è verissimo che,
come nel corpo umano le varie membra si accordano
insieme e formano quell'armonico temperamento che si
chiama simmetria, così la natura volle che nel civile
consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi, e ne
risultasse l'equilibrio. L'una ha bisogno assoluto dell'altra:
né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza
il capitale” (n° 15)
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* “Ben diversa è la cosa se con la personalità si considera la necessità:
due cose logicamente distinte, ma realmente inseparabili. Infatti,
conservarsi in vita è dovere, a cui nessuno può mancare senza colpa.
Di qui nasce, come necessaria conseguenza, il diritto di procurarsi i
mezzi di sostentamento, che nella povera gente sí riducono al
salario del proprio lavoro. L'operaio e il padrone allora formino pure
di comune consenso il patto e nominatamente la quantità della
mercede; vi entra però sempre un elemento di giustizia naturale,
anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti, ed è che il
quantitativo della mercede non deve essere inferiore al
sostentamento dell'operaio, frugale si intende, e di retti costumi”
(Rerum novarum, n° 34)
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* “crescendo il reddito, giustizia ed equità esigono, come si è già
visto, che venga pure elevata, nei limiti acconsentiti dal bene
comune, la rimunerazione del lavoro. Ciò permette più facilmente
ai lavoratori di risparmiare e perciò di costituirsi un patrimonio.
Non si comprende dunque come possa essere contestato il
carattere naturale di un diritto che trova la sua prevalente fonte
e il suo perenne alimento nella fecondità del lavoro; che
costituisce un mezzo idoneo alla affermazione della persona
umana e all’esercizio della responsabilità in tutti i campi; un
elemento di consistenza e serenità per la vita familiare e di
pacifico e ordinato sviluppo nella convivenza” (n° 99)
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* “l’uomo deve lavorare per riguardo al prossimo, specialmente
per riguardo alla propria famiglia, ma anche alla società, alla
quale appartiene, alla nazione, della quale è figlio o figlia,
all’intera famiglia umana, di cui è membro, essendo erede del
lavoro di generazioni e insieme co-artefice del futuro di coloro
che verranno dopo di lui nel succedersi della storia. Tutto ciò
costituisce l’obbligo morale del lavoro” (n° 16)
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* Aristotele: il lavoro vive nella sfera della costrizione e della
subordinazione (poiesis), l’agire in quella della libertà (praxis)
* Schiavo = “strumento animato”; ma se la tecnica si potesse
assumere direttamente la strumentalità, allora non ci sarebbe
più bisogno degli schiavi.
* Oggi però il pericolo è il contrario: la pervasività del modello
dell’operare tecnico-poietico sembra colonizzare tutte le
forme di vita e i modi nei quali il vivere si esprime
* Recuperare il senso della “praxis”
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* Il lavoro è diventato un aspetto centrale della società
* L’economia come spazio autonomo emancipato sia rispetto
alla dimensione sociale che a quella politica o religiosomorale: la pretesa di essere preminente
* Poiché il lavoro produttivo costituisce il motore di questa
“grande trasformazione”, ciò costringe la stessa “praxis”
all’interno della struttura logico-concettuale del produrre
* “La società fornisce un rimedio a questi tre svantaggi (a
considerarlo di per sé l’uomo non è fornito né di armi, né di
forza, né di altre capacità naturali). Con l’unione delle forze
il nostro potere si accresce; …
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… con la divisione dei compiti le nostre capacità aumentano, e
con l’aiuto reciproco siamo meno esposti al caso e alle
disgrazie. E’ proprio in questo supplemento di forza, capacità
e sicurezza che risiedono i vantaggi della società” (T.
Hobbes).
* T. Hobbes: “Il lavoro è un bene: ed invero è il moto della
vita”.
* Il lavoro sociale è l’attività caratterizzante l’uomo rispetto
agli animali. La scarsità è il postulato di base; il lavoro
moltiplica i beni al di là dei puri limiti della necessità.
* Rovesciamento di Aristotele: il lavoro è il fondamento del
valore della stessa natura.
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* “Il prezzo reale di ogni cosa, ciò che ogni cosa costa realmente
a chi ha bisogno di procurarsela, è la pena e il disturbo di
procurarsela. Il valore reale di ogni cosa per chi se l’è
procurata e ha bisogno di collocarla o di scambiarla con
qualche altra è la pena e il disturbo che essa può risparmiargli
imponendoli ad altri. Il lavoro è il primo prezzo, l’originaria
moneta d’acquisto con cui si pagano tutte le cose”.
* Marx: “ciò che viene chiamato sacrificio del riposo, può anche
esser chiamato sacrificio della pigrizia, dell’illibertà,
dell’infelicità; ossia negazione di una condizione negativa […]
ma il lavoro è certamente anche qualcos’altro […]. Esso è
attività positiva, creativa”.
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* F. Balbo: “La prima cosa che invece si può affermare è che
nulla di ciò di cui ha bisogno l’uomo esiste adatto all’uomo.
Quindi tutto può essere visto come lavoro, anche se il lavoro
non esaurisce le caratteristiche dell’attività umana, ossia
anche se il lavoro non è tutto. Nulla di umano è dato senza
lavoro. Il cosmo, esterno ed interno (psiche, memoria,
immaginazione ecc.) è materia prima. L’uomo deve
lavorare, e non è uomo se non lavora”
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* “Quella solidarietà che deriva dalla lettera e dallo spirito
del Vangelo, non ha bisogno di un nemico per essere forte
e per potersi sviluppare. Essa si rivolge a tutti e non
contro qualcuno. La base e la fonte della solidarietà è ciò
che veramente importa ad ognuno nella sua vita […]. A tutti
noi importa che la verità significhi sempre la verità e la
giustizia sempre la giustizia. Si deve fare ordine nella casa.
Proprio ciò che è da fare, unisce gli uomini e li chiama
all’azione. Questo li unisce in un modo più profondo e più
duraturo che non la paura nei confronti dei nemici. Noi
vogliamo che sia il nostro dovere umano più essenziale ciò
che ci unisce”
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* “Il lavoro ha come sua caratteristica che, prima di tutto, esso
unisce gli uomini, ed in ciò consiste la sua forza sociale: la forza di
costruire una comunità. In definitiva, in questa comunità devono in
qualche modo unirsi tanto coloro che lavorano, quanto coloro che
dispongono dei mezzi di produzione, o che ne sono i proprietari.
Alla luce di questa fondamentale struttura di ogni lavoro – alla luce
del fatto che, in definitiva, in ogni sistema sociale il «lavoro» e il
«capitale» sono le indispensabili componenti del processo di
produzione – l’unione degli uomini per assicurarsi i diritti che loro
spettano, nata dalle necessità del lavoro, rimane un fattore
costruttivo di ordine sociale e di solidarietà, da cui non è
possibile prescindere”.
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* LE 3: “il lavoro umano è una chiave, e
probabilmente la chiave essenziale, di tutta la
questione sociale”.
* L’umanizzazione del lavoro come chiave per
l’umanizzazione della società, cioè per la
soluzione della “questione sociale”.
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* La dignità della persona: “Come persona, l’uomo è quindi soggetto
del lavoro […] il fondamento per determinare il valore del lavoro
umano non sia prima di tutto il genere di lavoro che si compie, ma
il fatto che colui che lo esegue è una persona” (LE 6)
* Essa è fondata nella dimensione trascendente
* “il lavoro non cessa di essere un bene, sicché l’uomo si sviluppa
mediante l’amore per il lavoro” (LE 11)
* Senso oggettivo e soggettivo del lavoro (LE 5–6)
* La differenza culturale cristiana
* Il lavoro come obbligo, religioso e morale, e quindi anche come
fonte di diritti soggettivi
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* Il pericolo capitalistico (inversione dell’ordine dignità–mezzo: il
“lavoro umano è soltanto uno strumento di produzione e che il
capitale e il fondamento, il coefficiente e lo scopo della
produzione”; LE 8) può verificarsi ovunque, cioè il:
* “trattare il lavoro come una ‘merce sui generis’, o come una
anonima ‘forza’ necessaria alla produzione (si parla addirittura
di ‘forza-lavoro’)” (LE 7)
* in una civiltà unilateralmente materialistica (importanza solo
per il senso oggettivo e non per quello soggettivo del lavoro), e
perciò Giovanni Paolo II denuncia ugualmente il pericolo del
capitalismo come quello del collettivismo
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* “il reale conflitto, che esisteva tra il mondo del lavoro
ed il mondo del capitale, si è trasformato nella lotta
programmata di classe, condotta con metodi non solo
ideologici, ma addirittura, e prima di tutto, politici” (LE
11).
* Giovanni Paolo II ricorda invece “un principio sempre
insegnato dalla Chiesa. Questo è il principio della
priorità del «lavoro» nei confronti del «capitale»” (LE
12).
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* Come “reazione contro la degradazione dell’uomo come soggetto del
lavoro”
* Una “solidarietà che non deve mai essere chiusura al dialogo e alla
collaborazione con gli altri”
* Estendere a tutti i ceti che subiscono “un’effettiva ‘proletarizzazione’”
* “Per realizzare la giustizia sociale nelle varie parti del mondo, nei vari
Paesi e nei rapporti tra di loro, sono necessari sempre nuovi movimenti di
solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del
lavoro. Tale solidarietà deve essere sempre presente là dove lo richiedono
la degradazione sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei
lavoratori e le crescenti fasce di miseria e addirittura di fame”
* I poveri come il “risultato della violazione della dignità del lavoro umano”
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* “Si può parlare di socializzazione solo quando sia assicurata la
soggettività della società, cioè quando ognuno, in base al proprio
lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il «comproprietario» del grande banco di lavoro, al quale s’impegna insieme
con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di
associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale
e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità
economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva
autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro
specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole,
subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino
forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi
membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a
prendere parte attiva alla loro vita”.
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* Il compito pubblico dei sindacati: “una prudente
sollecitudine per il bene comune” (LE 20).
* Il loro “impegno di carattere istruttivo, educativo e di
promozione dell’auto-educazione” (LE 20).
* Educazione dei lavoratori alla coscienza sociale (CDSC
307).
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* Il lavoro dei sindacati è “politico” nel senso che è un agire
pubblico, che mira a conseguenze politiche
* Il lavoro dei sindacati, però, non è “politico”, nel senso di un
partito, di un interesse particolare, della “lotta politica” (LE 20)
* Il loro ambito è nella società civile (CV 64)
* Non viene gestita “dall’alto” ma si organizza a livello della società
e combatte per l’uomo in quanto tale
* Sarebbe “illecito” (QA 80), di politicizzare questo impegno, di
organizzarla a livello statale
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* LE 20: “I giusti sforzi per assicurare i diritti dei lavoratori,
che sono uniti dalla stessa professione, devono sempre tener
conto delle limitazioni che impone la situazione economica
generale del paese. Le richieste sindacali non possono
trasformarsi in una specie di «egoismo» di gruppo o di
classe”.
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* Il sindacato cristiano si basa sul principio della dignità dell’uomo, della
sua difesa, e del riconoscimento dei suoi diritti. La sua prima intenzione
non è quella di dividere ma di unire.
* Pertanto, si oppone a qualsiasi antropologia materialistica.
* Il suo orientamento non è la contrapposizione alla “classe” dei
capitalisti/industriali/imprenditori, ma la base è l’universalità
dell’essere umano, e perciò mira all’accordo, non alla lotta.
* Lo sciopero, perciò, non è “strumento” dell’azione, ma ultima ratio;
rimane comunque sempre un diritto assicurato.
* Lo sguardo va sull’uomo in quanto tale, non è ristretto semplicemente
al mercato; il lavoro non viene considerato unicamente all’interno di
una teoria sul mercato e sul capitale, ma viene considerato nel suo
valore umano.
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* Non mira al sovvertimento dell’ordinamento politico-
economico, ma alla sua giusta organizzazione, secondo la
dignità della persona.
* Essa si esprime a livello sociale soprattutto nella “proprietà
privata” (la coscienza del lavoratore di lavorare “in proprio”)
e nella “famiglia”, questi due fattori determinano l’idea della
“giusta remunerazione”.
* La solidarizzazione, in chiave cristiana, non è esclusiva, ma
inclusiva.
* Il principio non è lo “Stato perfetto” ma l’antiperfettismo
politico (Rosmini), insieme alla perfettibilità morale della
persona e la sua responsabilità individuale.
* In questo senso, i sindacati sono “un esponente della lotta
per la giustizia sociale” (LE 20).
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* Positivo
* Creativo
* Educativo
* Meritorio
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* “Il contesto socio-economico odierno, caratterizzato da
processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più
rapidi, spinge i sindacati a rinnovarsi. Oggi i sindacati sono
chiamati ad agire in forme nuove” (CDSC 308).
* “L’insieme dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le
organizzazioni sindacali sperimentino maggiori difficoltà a
svolgere il loro compito di rappresentanza degli interessi dei
lavoratori, anche per il fatto che i Governi, per ragioni di
utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la
capacità negoziale dei sindacati stessi” (CV 25).
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* Il rapporto lavoratore – consumatore (CV 64)
* “Il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche
che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente
chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano
lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i
lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali
vengono spesso violati” (CV 64)
* LE 24-27: una spiritualità del lavoro
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* Prima conseguenza etica, secondo LE 19, la “giusta
remunerazione”: “Non c’è nel contesto attuale un altro
modo più importante per realizzare la giustizia nei rapporti
lavoratore-datore di lavoro, di quello costituito appunto
dalla remunerazione del lavoro. […] il rapporto tra il datore
di lavoro […] e il lavoratore si risolve in base al salario, cioè
mediante la giusta remunerazione del lavoro che è stato
eseguito”
* Anche nei riguardi della famiglia
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* “Chi non sa infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza
dei salari è stata la cagione per la quale gli operai non
potessero aver lavorato? Il quale inconveniente, riscontratosi
specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in danno di
molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò
in rovina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e
la tranquillità di tutto il mondo. È contrario dunque alla
giustizia sociale che, per badare al proprio vantaggio senza
aver riguardo al bene comune, il salario degli operai venga
troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia
richiede che, nel consenso delle menti e delle volontà, per
quanto è possibile, il salario venga temperato in maniera che
a quanti più è possibile, sia dato di prestare l'opera loro e
percepire i frutti convenienti per il sostentamento della
vita” (Quadragesimo anno, n°75)
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