Cap. 1 - Saranno Magistrati

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P RIMO
CAPITOLO
IL POSSESSO
Sommario:
1. Introduzione. - 2. Natura giuridica dell’impossessamento. - 3. Distinzione
tra detenzione e possesso. - 4. Il possesso del chiamato all’eredità. - 5. Le
presunzioni in materia possessoria. - 6. Qualifiche del possesso. - 7. Effetti
del possesso. - 8. Acquisto, modificazione del titolo e perdita del possesso.
- 9. Tutela del possesso.
Capitolo Primo
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1. INTRODUZIONE
Nozione di possesso
Art. 1140 cod. civ.
Cass. 5016/1978,
4681/1978
Scissione tra titolarità e possesso
di un diritto
Ai sensi dell’art. 1140 cod. civ. il possesso può essere definito come
il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente
all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale (Cass. Civ., Sez.
II, 1798/1997) (1).
La titolarità di un diritto reale assicura la protezione giuridica per l’esercizio di determinati poteri sulle cose: una cosa è l’astratto diritto di esercitare un potere (di utilizzare un bene, di costruirvi, di appropriarsi dei frutti,
di passarvi etc.), un’altra è il fatto di esercitarlo effettivamente.
Normalmente colui che ha diritto di esercitare un potere è anche
colui che di fatto lo esercita.
Il titolare di un diritto è il solo legittimato a goderne i vantaggi, sia
che provveda egli stesso ad effettuarne l’esercizio sia che, per volontà sua o per legge, ne dia incarico ad un’altra persona (rappresentanza volontaria o legale, mandato etc.) (Cass. Civ., Sez. II, 5016/
1978, Cass. Civ., Sez. II, 4681/1978), sia che un terzo (gestione d’affari) lo assuma spontaneamente nell’interesse del titolare stesso. In
tutti questi casi titolarità e possesso sono congiunti: il titolare del
diritto soggettivo è anche possessore (2).
Mediante il concetto di titolarità solitamente si evoca l’appartenenza di un diritto ad un soggetto (si dice infatti che il diritto di proprietà o di usufrutto appartiene a Tizio, a Caio etc.) (3).
Usualmente titolarità del diritto ed esercizio del possesso vanno di
pari passo: se sono titolare del diritto di proprietà sul fondo Tuscolano e faccio uso delle facoltà ricomprese nel mio diritto coltivandolo,
passeggiandovi, ne esercito parimenti il possesso: allo jus possidendi corrisponde in questo caso lo jus possessionis.
È tuttavia possibile che i poteri corrispondenti all’esercizio di un
diritto vengano esplicati in fatto da un soggetto che non ne è titolare
nel proprio interesse.
In questa ipotesi, il possesso disgiunto dalla titolarità del diritto può
essere qualificato come dato di fatto, come mero factum possessionis,
il che non è senza conseguenze con riferimento ad una serie di effetti
(1) In generale si confrontino DE MARTINO, Del possesso. Della denunzia di nuova opera e di danno temuto , in Comm.
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1984; TENELLA S ILLANI, Possesso e detenzione, in Dig. disc. priv., XIV, 1996, 8;
FEDELE, Nozioni generali sulla fattispecie del possesso , Torino, 1974, e Possesso ed esercizio del diritto , Torino, 1950;
GENTILE, Il possesso, in Giur. sist. civ. e comm., diretta da Bigiavi, Torino, 1977.
(2) BARBERO, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, 168.
(3) BIANCA , Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, 714.
Il possesso
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che saranno partitamente sottoposti a disamina, quali usucapione, risoluzione dei conflitti tra più aventi causa dallo stesso dante causa in
tema di beni mobili non registrati etc. (cfr. infra par. 7 e ss.).
Tale situazione possessoria, del tutto distinta dallo jus possidendi (nozione strettamente correlata con il diritto soggettivo rivolto al potere
di fatto sulla res), è definibile come esercizio di fatto dei poteri corrispondenti al contenuto d’un diritto reale su una cosa, nel proprio interesse, da parte di un soggetto che non è titolare del diritto stesso.
L’ordinamento appronta una tutela del possesso come fatto in sé, indipendentemente dallo jus possidendi, ferma restando la possibilità
che in altra sede sia data la prova e possa esser fatta valere la mancanza o difettosità della situazione giuridica soggettiva di diritto idonea a
supportare l’esercizio dei poteri di fatto propri del possesso.
La definizione della situazione possessoria che scaturisce dalle cose
dette può essere riassunta con il riferimento ad un elemento oggettivo (il corpus), vale a dire il potere di fatto sulla res, e ad un elemento
soggettivo (l’animus), cioè l’intenzione del soggetto di tenere la cosa
quale proprietario o titolare di altro diritto reale (4).
A questo proposito si sono confrontate in dottrina due teorie: quella
oggettiva, secondo la quale l’animus non sarebbe essenziale. Conterebbe principalmente il rapporto di fatto con la res, mentre l’animus
non dovrebbe essere inteso come intenzione, come volontà determinata e diretta all’esercizio del potere, bensì come mero intento di voler mantenere il potere di fatto sulla cosa nell’interesse proprio (5).
Secondo la teoria soggettiva, invece, sarebbe proprio l’animus a decidere della consistenza del possesso (possesso a titolo di proprietà,
a titolo di usufrutto etc.) valendo anche a distinguere il possesso
dalla mera detenzione (6).
Corpus e animus
2. NATURA GIURIDICA DELL’IMPOSSESSAMENTO
L’impossessamento, inteso come la condotta di un soggetto volta ad
instaurare una situazione di possesso in capo a sé medesimo, non è
(4) Così ad esempio BIGLIAZZI GERI-BRECCIA -BUSNELLI-NATOLI, Istituzioni di diritto civile, Genova, 1979, 347.
(5) Si vedano, tra gli altri, FUNAIOLI, L’animus nel possesso e il dogma della volontà, in Giust. civ., 1951, 16 e ss.;
NATUCCI, Titolo e «animus» nella disciplina del possesso, in Quadr., 1989, 470.
(6) Cfr. SACCO, Il possesso , Milano, 1988, 79; BARASSI, Diritti reali e possesso, II, Il possesso, Milano, 1952, 88; AIELLO,
Sulla conservazione del possesso «solo animo» , in Giur. agraria it., II, 1967, 448 e ss. In tal senso anche MASI, Il
possesso, la nuova opera e il danno temuto, in Tratt. Rescigno, Torino, 1982, 434, il quale tuttavia sottolinea la
difficoltà della valutazione di un elemento interno quale la volontà possessoria.
Capitolo Primo
Atti giuridici
in senso stretto
Meri atti giuridici:
le fattispecie
L’impossessamento
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indubbiamente connotato dalla volizione in ordine agli effetti che
l’istituto è idoneo a produrre. Occorre, a questo proposito, analizzare la nozione e la consistenza del c.d. animus spoliandi che connoterebbe il comportamento mediante il quale il possesso viene acquisito (Cass. Civ., Sez. II, 1383/1976). Deve escludersi che si tratti di
una condotta qualificata dalla consapevole volontà della produzione
degli effetti propri della situazione possessoria, che l’agente si rappresenti e che investa di volizione (7).
L’efficacia propria della situazione possessoria (l’usucapione, la tutela possessoria) è, infatti, prevista dalla legge in relazione alla mera
constatazione della sussistenza di una situazione di fatto (nella quale è comunque dedotto l’animus rem sibi habendi, elemento da valutarsi in capo al possessore) rispetto alla quale un siffatto atteggiamento soggettivo risulta del tutto estraneo (8).
Ciò che conta è il riferito animus rem sibi habendi, che consta della
semplice consapevolezza soggettiva della materialità della condotta
di apprensione, connotata da un potere di fatto corrispondente a quello
assicurato da un diritto reale (9).
A questa costruzione si attaglia pertanto il riferimento non già alla
categoria negoziale, bensì a quella dei semplici atti giuridici.
3. DISTINZIONE TRA DETENZIONE E POSSESSO
Un diritto non può avere ad oggetto un altro diritto: si tratta di un
concetto che ha a che fare con il tema dell’oggetto della relazione
giuridica che esula dalla presente trattazione. Tuttavia una cosa può
essere contemporaneamente oggetto di diritti concorrenti (proprietà, usufrutto, servitù etc.); Tizio può essere proprietario dell’appartamento in Roma, Via Appia n. 5 del quale Caio vanta l’usufrutto
per dieci anni, avendolo locato a Sempronio per quattro anni (10).
Tali diversi possessi si distinguono tra loro in relazione alla diversità di contenuto: Tizio esercita sul bene un potere corrispondente al
diritto di proprietà, Caio un potere corrispondente al diritto di usu-
(7) MASI, Il possesso, la nuova opera e il danno temuto , in Tratt. Rescigno, Torino, 1982, 464; DEJANA, Un requisito non
richiesto per lo spoglio: l’animus spoliandi, in Giur. completa cass. , I, 1946, 142.
(8) Cfr. BIANCA, Diritto civile , vol. VI, Milano, 1999, 746; G AZZONI, Manuale di diritto privato , Napoli, 1996, 215.
(9) BIGLIAZZI GERI-BRECCIA -BUSNELLI-NATOLI, Istituzioni di diritto civile, Genova, 1979, 354.
(10) BARBERO, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, 170.
Il possesso
11
frutto etc. Queste considerazioni rendono già evidente che, quando
sulla medesima cosa si appuntano più situazioni possessorie non
risulta quasi mai possibile che l’elemento oggettivo (il corpus) del
possesso sussista in capo a ciascun possessore. Se Tizio è nudo proprietario di un appartamento in relazione al quale Caio è l’usufruttuario, è evidente che la materiale disponibilità del bene non può
che sussistere a favore soltanto di quest’ultimo. A dire il vero è possibile una concorrenza di possessi «materiali»: si pensi all’esercizio
di una servitù di passo pedonale e carraio sul fondo altrui. Al possesso diretto del proprietario del fondo si affianca l’esercizio, altrettanto diretto, del possesso del titolare della servitù. Diverso è il caso
del compossesso (11), che ha luogo quando vi siano più soggetti
contitolari del medesimo diritto (es.: alcuni condomini rispetto alle
parti comuni di un fabbricato).
Le precisazioni che precedono ci consentono di meglio introdurre la
distinzione fra possesso e detenzione (12). Quest’ultimo concetto
viene evocato dal 2° comma dell’art. 1140 cod. civ., ai sensi del
quale il possesso è esercitabile direttamente, ovvero anche per il
tramite di un’altra persona che ha la detenzione della cosa (possesso
indiretto o mediato) (13) intesa come materiale disponibilità del bene
disgiunta dall’animus rem sibi habendi. Ciò significa che, ai fini
della nozione di possesso (quale esercizio di fatto del contenuto di
un diritto), non risulta essenziale la detenzione materiale dell’oggetto: è infatti evidente che un bene detenuto da un soggetto non
può esserlo da un altro.
La detenzione consiste infatti nell’avere la disponibilità di una cosa,
ossia nell’avere la possibilità di utilizzarla tutte le volte che si desideri, pur nella consapevolezza che essa appartiene ad altri, ai quali
comunque si deve rendere conto (animus detinendi) (14). Da queste
considerazioni traggono forza i fautori della tesi soggettiva ai fini
della nozione del possesso, i quali evidenziano la prevalenza della
considerazione dell’animus sul mero corpus. Questa priorità dell’elemento soggettivo sarebbe stata normativamente accolta proprio
nella disposizione già citata: se il possesso può essere esercitato anche
Detenzione
Teoria soggettiva del possesso
(11) Sull’argomento si vedano, tra gli altri, POLLICE, Contributo allo studio del compossesso, Napoli, 1993; LEVONI, La
tutela del possesso, I. L’oggetto della tutela e le azioni, Milano, 1979, 153 e ss.; PORTALE, Note in tema di compossesso
e usucapione , in Riv. trim. dir. e proc. civ. , 1966, 473 e ss.
(12) Cfr. LIOTTA , Detenzione, in Enc. giur. Treccani, X, 1988; M ONTEL, Detenzione (dir. civ.), in N. Dig. it., V, 554.
(13) G ALGANO, Diritto privato, Padova, 1994, 130.
(14) Così M ONTEL, Il contenuto del rapporto possessorio , in Giur. agraria it., 1965, 525 e ss., e La disciplina del
possesso, Torino, 1951, 24; TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, 384.
Capitolo Primo
Differenze tra possesso e detenzione
Prova dell’animus
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mediatamente per il tramite di un detentore, è chiaro che risulta essenziale ad esso soltanto l’animus, venendo degradato il corpus a
mero accidente che può essere o meno congiunto all’animus (possesso diretto nel primo caso, indiretto o mediato nel secondo).
Come è evidente possesso e detenzione sono del tutto indipendenti: in ogni caso la differenza va ricercata nell’elemento psicologico. Nella detenzione esso si atteggia quale mero animus detinendi,
inteso come consapevolezza di vantare determinati poteri nella relazione di fatto con la res in quanto derivati dal diritto reale altrui
che si riconosce esistente. Nel possesso si tratta invece del c.d.
animus rem sibi habendi o possidendi. La detenzione è una relazione di fatto con la cosa che, a differenza del possesso, non giova
ai fini dell’usucapione e della tutela possessoria (se si fa eccezione
per l’azione di manutenzione riconosciuta tuttavia al sano detentore qualificato).
Sia la detenzione sia il possesso possono dirsi usualmente costituiti
dai due componenti relativi al corpus (potere di fatto di esercitare
sul bene un diritto) ed all’animus. Tuttavia, mentre nel possesso il
corpus può in concreto mancare (possesso mediato), nella detenzione esso mai può fare difetto (15). Per converso l’animus, inteso come
intenzione di avere la cosa per sé, è presente solo nel possesso. Il
c.d. animus detinendi infatti è qualcosa di assolutamente diverso
dall’animus rem sibi habendi: il primo consiste, al contrario di quanto
si può dire per il secondo, proprio nel riconoscimento dell’esistenza
di avere il potere di fatto in quanto derivato dall’altrui diritto reale.
A questo punto si pone un problema: se può essere agevole dar conto dell’elemento esteriore, cioè del corpus (Tizio ha la disponibilità
delle chiavi di un appartamento), non altrettanto è a dirsi per quanto
attiene alla prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’animus (Tizio
ha le chiavi dell’appartamento e si comporta come se fosse suo oppure è consapevole di averne la disponibilità come conduttore, riconoscendo l’altrui proprietà dell’immobile?).
Come fare a distinguere tra detenzione e possesso? La differenza
implica infatti l’esame dell’elemento soggettivo, dell’animus, il che
evidentemente non è percepibile in modo immediato, poiché esso
(15) Tuttavia alcuni Autori addirittura ammettono l’esistenza di una detenzione mediata o indiretta, quando cioè il
detentore affidi il potere di fatto su una cosa ad altri. In tal senso DALMARTELLO, La consegna della cosa , Milano, 1950;
SACCO, Il possesso , in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1988, 144. Al contrario, sull’impossibilità di una detenzione
indiretta, si vedano NATOLI, Il possesso. Appunti delle lezioni , Pisa, 1971, 132; FEDELE, Possesso ed esercizio del
diritto, Torino, 1950, 107; GENTILE , Il possesso nel diritto civile , Napoli, 1956, 64.
Il possesso
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non si deduce se non all’esito di un’indagine probatoria complessa
e non certamente in forza di elementi visibili in fatto.
Si tratta, a ben vedere, di una difficoltà simile a quella che si riscontra a proposito dell’apprezzamento della esistenza del diritto (jus
possidendi) a supporto del semplice possesso (jus possessionis).
Anche in questo caso infatti non è esteriormente percepibile se al
potere di fatto corrisponda un diritto soggettivo sussistente in capo a
colui che lo esercita.
La legge ha previsto proprio per rispondere, almeno provvisoriamente, all’interrogativo circa la natura della situazione di fatto, la
presunzione di possesso di cui al 1° comma dell’art. 1141 cod. civ.
Incombe su colui che nega la natura possessoria del potere di fatto
esercitato sulla res l’onere di provare che non già corrisponda al
possesso, bensì alla mera detenzione (Cass. Civ., Sez. II, 966/1983,
Cass. Civ., Sez. II, 1172/1980). Ciò normalmente implica la prova
del fatto che la situazione abbia avuto inizio come detenzione, che
sia scaturita cioè come tale da un titolo (es.: un comodato, una locazione). Una volta che questa prova fosse stata raggiunta incomberebbe su colui che esercita il potere sulla res dar conto del sopraggiungere di un fatto modificativo della detenzione in possesso (art.
1141, 2° comma, cod. civ.).
3.1. Detenzione qualificata e non qualificata
A proposito della situazione di potere sulla res che corrisponde alla
detenzione è possibile distinguere tra una detenzione qualificata ed
una non qualificata (16). Si pensi a colui che per ragioni di ospitalità
è alloggiato in un appartamento di cui gli sono state consegnate le
chiavi: egli ha la disponibilità materiale del bene, tuttavia senza che
possa dirsi esistente un diritto o una posizione giuridica soggettiva
di vantaggio a fondamento del potere di fatto sulla res. Questa situazione corrisponde a quella della detenzione non qualificata.
Chi invece conduce in locazione un appartamento esercita, relativamente ad esso, un potere di fatto corrispondente al contenuto di un
diritto, ancorché non avente natura reale; un diritto che non esclude la
concorrenza del diritto reale facente capo al proprietario (o all’usufruttuario) del bene locato. Il titolare del diritto reale ne ha il possesso
(16) BIANCA, Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, 725.
Art. 1141 cod. civ.
Cass. 966/1983,
1172/1980
Capitolo Primo
Cass. 1323/1992
Art. 1168 cod. civ.
Cass. 6485/1992,
2111/1994
14
mediato, il conduttore la detenzione, da considerarsi come qualificata. È stato altresì deciso che l’immissione nella disponibilità di un
fondo in esito all’emissione di un provvedimento che autorizzi l’occupazione di urgenza determina l’insorgenza in capo all’ente occupante della qualità di detentore qualificato, mentre il proprietario rimane possessore mediato (Cass. Civ., Sez. II, 1323/1992) (17).
La distinzione tra detenzione qualificata e non qualificata rileva principalmente per quanto attiene alla tutela offerta dall’azione di reintegrazione o spoglio (18), in relazione alla quale cfr. infra, par. 9.2.
L’art. 1168 cod. civ., infatti, prevede che la legittimazione attiva sia
concessa non soltanto al possessore bensì anche a favore di chi ha la
detenzione (qualificata) di una cosa, ad eccezione di colui che abbia
la disponibilità di essa per ragioni di ospitalità o di servizio (Cass.
Civ., Sez. III, 6485/1992). A tal proposito è l’attore onerato della
prova del titolo che costituisce il presupposto ai fini della qualificazione della situazione possessoria (Cass. Civ., Sez. II, 10477/1998,
Cass. Civ., Sez. II, 2111/1994).
3.2. Possesso mediato
La nozione di possesso mediato (19) vale non solo a meglio illustrare la rilevanza delle due componenti di cui propriamente consta il
possesso (quella soggettiva e quella oggettiva: il corpus e l’animus),
ma anche a più chiaramente distinguere tra detenzione e possesso.
Tanto il legittimo possessore (es.: il proprietario della res) quanto
chi possieda sine titulo (es.: il ladro) esercitano un potere di fatto
corrispondente al contenuto del diritto (di proprietà nell’esempio
fatto), ciò che si compendia sotto il profilo soggettivo con il c.d.
animus rem sibi habendi. Se costoro mantengono il bene presso di
sé, ne hanno anche il corpus (ciò che corrisponderebbe, di per sé,
prescindendo dall’animus, alla mera detenzione).
Quando l’uno o l’altro consegnassero la cosa ad un amico perché ne
facesse uso, ovvero ad una persona affinché la custodisse (es.: con(17) Si veda ad esempio PROTETTÌ, Le azioni possessorie: la responsabilità e il procedimento in materia possessoria,
Milano, 1974, 308 e ss.
(18) Cfr. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, 213; BIANCA, Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, 727.
(19) Si confrontino TORRENTE-SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 1985, 384; G ALGANO, Diritto privato, Padova, 1994, 130; BIANCA, Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, 724; BIGLIAZZI GERI-BRECCIA -BUSNELLI-NATOLI, Istituzioni di
diritto civile, Genova, 1979, 351.
Il possesso
15
segna di un autoveicolo ad un parcheggiatore) non si spoglierebbero
certo del possesso. Essi non farebbero altro se non perdere (momentaneamente) la relazione materiale con il bene, vale a dire la detenzione, tuttavia mantenendone il possesso. L’amico al quale è stata
comodata la cosa ne ha la detenzione, mentre colui che ne ha fatto
consegna deve qualificarsi come il possessore mediato: mediato appunto in quanto il potere sulla cosa non viene più esercitato direttamente, bensì mediatamente attraverso il detentore.
4. IL POSSESSO DEL CHIAMATO ALL’EREDITÀ
Ai sensi del 1° comma dell’art. 460 cod. civ., colui che è chiamato
all’eredità ha la possibilità di esercitare le azioni possessorie a tutela
dei beni ereditari, pur in difetto di materiale apprensione.
La norma pone il quesito se al semplice chiamato competa la tutela
possessoria indipendentemente da un possesso effettivo e reale, ovvero se costui possa dirsi rivestire la qualità di possessore vero a far
tempo dall’apertura della successione, prescindendo dall’accettazione
dell’eredità.
A questo proposito occorre far presente che l’art. 1146 cod. civ. prevede la successione dell’erede nel possesso già facente capo al de
cuius come un fenomeno produttivo della continuazione del possesso connotato da caratteristiche omogenee ed indipendenti dal mutamento del titolare (20).
Il chiamato tuttavia è tale proprio perché a suo favore esiste una
mera delazione ereditaria che potrà concretarsi nell’assunzione della qualità di erede così come nella perdita definitiva del diritto di
accettare l’eredità (21). La norma in esame vale proprio ad attribuire a colui che è semplicemente delato la legittimazione attiva in ordine alle azioni possessorie, indipendentemente dal fatto che si tratti
di chiamato nel possesso (ciò che può determinare l’acquisto dell’eredità ai sensi dell’art. 485 cod. civ.) o di chiamato che non ha la
disponibilità dei beni ereditari (22).
Art. 460 cod. civ.
Art. 1146 cod. civ.
(20) Cfr. DE MARTINO, Del possesso, della denunzia di nuova opera e di danno temuto, in Comm. Scialoja e Branca,
Bologna-Roma, 1984, 26; MASI, Il possesso, la nuova opera e il danno temuto, in Tratt. Rescigno, Torino, 1982, 452;
G AZZONI, Manuale di diritto privato , Napoli, 1996, 217.
(21) Si vedano ad esempio GANGI , Interpretazione dell’art. 460 del nuovo codice civile, in Temi emil., II, 1943, 84 e ss.;
M ONTEL, Il possesso, in Tratt. Vassalli , Torino, 1962, 252.
(22) Tra gli altri cfr. BARASSI, Diritti reali e possesso, II, Il possesso , Milano, 1952.
Capitolo Primo
Teoria dell’attribuzione del possesso giuridico
Teoria dell’attribuzione delle sole
azioni possessorie
Cass. 11831/1992,
9228/1991
16
Secondo una parte della dottrina (23) la norma si richiamerebbe all’antico istituto della saisine (il morto impossessa il vivo). Si tratterebbe pertanto di vero e proprio possesso che, per effetto della mera
delazione ereditaria, deve ritenersi sussistere in capo al chiamato
ipso iure. Seguendo questa impostazione il delato sarebbe subito
possessore dei beni, mentre diventerebbe titolare del diritto corrispondente soltanto in esito all’accettazione. In particolare, viene fatta
osservare l’irrazionalità dell’attribuzione della sola tutela possessoria svincolata dall’oggetto di essa (il possesso), ostacolo logico che
non verrebbe eliminato configurando il possesso come fittizio e non
reale.
In ogni caso i fautori di tale tesi distinguono il possesso di cui all’art. 460 cod. civ. (possesso giuridico) dal possesso materiale, al
quale fanno riferimento gli artt. 485 e 528 cod. civ. allo scopo di
riconnettervi determinate conseguenze giuridiche (l’accettazione c.d.
presunta d’eredità, la valutazione dei presupposti affinché si faccia
luogo alla nomina di un curatore dell’eredità giacente). Il primo sussisterebbe ex lege, automaticamente in capo al chiamato, il secondo
avrebbe quale presupposto la disponibilità materiale dei beni ereditari (24).
Secondo un’altra opinione (25), seguita anche dalla giurisprudenza, l’art. 460 cod. civ. avrebbe piuttosto il significato di attribuire
al chiamato, indipendentemente dall’operatività dell’art. 1146 cod.
civ., la quale è collegata all’assunzione della qualità di erede, le
sole azioni possessorie del tutto svincolate dal vero ed effettivo
possesso. La ratio della tutela sarebbe proprio quella di evitare
che, durante il tempo intercorrente tra l’apertura della successione
e l’accettazione dell’eredità possa verificarsi un pregiudizio (la
dispersione dei beni ereditari, l’apprensione da parte di altri) conseguente alla mancanza di un soggetto legittimato all’esperimento
delle azioni possessorie (Cass. Civ., Sez. II, 11831/1992, Cass. Civ.,
Sez. II, 9228/1991).
(23) Così CICU , Successioni per causa di morte , Milano, 1961, 130 e ss.; FERRI, Successioni in generale, Artt. 456511, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1980; PRESTIPINO , Delle successioni in generale, Artt. 456-535, in
Comm. De Martino, Roma, 1981.
(24) CAPOZZI , Successioni e donazioni, Milano, 1983, 77.
(25) Cfr. BIANCA , Diritto civile, vol. VI, Milano, 1999, 755; COLASURDO, Chiamato all’eredità e tutela possessoria, in Giust.
civ., I, 1955, 1750 e ss.; CARIOTA FERRARA, Le successioni per causa di morte, Napoli, 1977, 87.
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