XII - Unipegaso

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INSEGNAMENTO DI
STORIA DELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE
LEZIONE XII
“JOHN DEWEY”
PROF. CARMINE PISCOPO
Storia delle istituzioni educative
Lezione XII
Indice
1
La pedagogia di Dewey ----------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Critiche mosse alla pedagogia di Herbert ------------------------------------------------------------ 4
3
Le fasi del pensiero ---------------------------------------------------------------------------------------- 7
4
Il laboratorio sperimentale di pedagogia ----------------------------------------------------------- 12
5
Esperienza ed educazione: una revisione critica -------------------------------------------------- 14
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Storia delle istituzioni educative
Lezione XII
1 La pedagogia di Dewey
John Dewey (1859-1952) ha impostato tutta la sua ricerca in campo educativo
polemizzando contro le chiusure ideologiche, politiche e sociali, nemiche del rinnovamento
metodologico e didattico: una «scuola nuova» alimenta lo spirito democratico, ma, per essere
avviata, richiede il superamento di vecchi steccati, propri dei sistemi autoritari e delle democrazie
oligarchiche: la contrapposizione tra studi umanistici e tecnici, tra scuola del sapere e scuola del
fare.
Originario di Burlington, nel piccolo stato del Vermont, Dewey ha avvertito la sua
vocazione pedagogica nell’incontro presso l’Università di Baltimora, dove si era iscritto nel 1882 al
corso di filosofia. Subito dopo la laurea, Dewey inizia la sua carriera universitaria, che lo vede nel
1894 docente a Chicago. Il suo crescente interesse per l’educazione culmina, nel 1896, con la
fondazione di una “scuola-laboratorio” elementare annessa all’Università di Chicago.
Nel 1897 esce Il mio credo pedagogico, e nel 1900 Scuola e società, in cui si divulgano i
risultati dell’esperimento. Lasciata Chicago nel 1904, Dewey, pur continuando a seguire varie
scuole sperimentali, delle quali si occupa soprattutto a livello di insegnamento elementare, passa
alla Columbia University di New York e nel corso dell’attività accademica pubblica Principi morali
nell’educazione (1909), Come pensiamo (1910), L’interesse e lo sforzo in educazione (1913) e
Democrazia ed educazione (1916), che assieme a Le fonti di una scienza dell’educazione (1929) ed
Esperienza ed educazione, costituiscono la fonte più importante della sua teorizzazione pedagogica.
Dopo il 1930, ritiratosi dall’insegnamento, Dewey continuerà a studiare e a considerare
sempre inscindibili la ricerca filosofica, la ricerca sociale ela formazione dell’uomo, pubblicando
anche opere come Logica, teoria dell’indagine (1938) e Teoria dei valori (1939), di grande
importanza per la comprensione della sua filosofia.
Nel frattempo si interessa attivamente di problemi politici e sociali si scala planetaria,
meritandosi l’appellativo di «ambasciatore intellettuale degli Stati Uniti nel mondo» e conseguendo
diverse lauree honoris causa in atenei internazionali.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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2 Critiche mosse alla pedagogia di Herbert
L’intero sviluppo della ricerca, della riflessione pedagogica in Italia e nel mondo, è legato
a due ampi filoni di indagine che potremmo classificare, secondo un criterio che già Bogdan
Suchodolski aveva fissato intorno alla metà del secolo scorso, secondo le metafore della:

pedagogia dell’essenza: si configura come l’insieme della speculazione della
ricerca, dell’indagine pedagogica che focalizza l’intera riflessione intorno al soggetto in
quanto produttore anche di fini e di valori sussistenti, impliciti nella soggettività.
Il capostipite, di tale filone è Giovanni Gentile.
Il filosofo riduce l’intera indagine, o quanto meno fa compattare intorno
all’indagine sul soggetto, sulla soggettività, lo “Spirito”, che diventa protagonista assoluto
dello sviluppo, della evoluzione formativa del soggetto.

pedagogia dell’esistenza: rappresenta una ricerca esistenzialista che è attenta
alle variabili dello sviluppo storico nel quale il soggetto vive, costruisce la sua identità,
enfatizzando la natura, l’esperienza, il pensiero considerato come strumento e strategia
dell’azione, rispetto ad un’indagine che finisce per ricavare le sue categorie fondative e
logiche dal soggetto stesso. Con la pedagogia dell’esistenza ci troviamo su una costituzione,
storica e sociale, in cui i fini e i valori, assiologia e teologia sono costruiti progressivamente.
E’ possibile cogliere, all’interno di questi due ampi filoni, elementi relativi alla scuola,
all’apprendimento/insegnamento, ai processi di apprendimento e anche alla didattica.
Infatti:

la pedagogia dell’essenza: si basa sulla parola, sul dialogo, sul rapporto
personale, su una equilibrazione omeostatica, costante, realizzando le famose tre “D”
della didattica:
1)
docente,
2)
discente,
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3)

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disciplina.
la pedagogia dell’esistenza: conferisce maggiore rilevanza a quella che viene
chiamata la didattica tecnomorfa, rispetto alla didattica antropomorfica delle
pedagogie dell’essenza. La didattica tecnomorfa è fondata prevalentemente sull’uso
delle tecnologie educative multimedialità, apprendimento di tipo standard, rete, web.
Quindi, possiamo far discendere l’intero corpus delle dottrine e delle concezioni
pedagogiche di tutto il secolo scorso, fino ai nostri giorni, attraverso questi due grandi percorsi.
Dewey è fondatore, rappresentante della pedagogia dell’esistenza.
Nessun pedagogista contemporaneo dice Visalberghi ha esercitato un’azione tanto vasta
sulla prassi educativa come John Dewey.
John Dewey, inizialmente si interessa in maniera anche appassionata alla filosofia di Kant
e di Hegel, tanto che qualcuno lo ha considerato il giovane hegeliano per eccellenza.
Ben presto capovolge la concezione della logica, diventando teoria dell’indagine, dando
vita ad una epistemologia fondata sull’oggettività del mondo esterno e non più sulla soggettività,
come invece si era diffusa a partire da Hegel fino a Gentile.
Dewey, quindi pone l’accento sulla natura e sull’esperienza, abbandonando ogni traccia
metafisica e ponendo l’accento sull’azione, sulla prassi. In questo modo fonda quello che è stato
chiamato il nuovo “pragmatismo”, che si serve del pensiero come strumento per l’agire.
Dewey nelle opere “Il mio credo pedagogico”, “Democrazia ed educazione” e “Esperienza
ed educazione”, afferma che i fini e i valori assoluti, devono essere sciolti da ogni legame, desunti
cioè, dalla consistenza stessa dell’essere uomo, dalla soggettività.
Per Dewey infatti, fini e valori non esistono perché verità e utile coincidono.
Nel periodo tra la fine dell’800 e i primi anni del secolo scorso, negli Stati Uniti
d’America, si afferma la pedagogia di Herbert, il cui realismo rispondeva, sia alle esigenze del
mondo tecnologico che avanzava, sia alle necessità pratiche dell’uomo americano.
Dewey prende atto di questo sviluppo, che investe anche la scuola, muovendo una critica
all’impostazione herbertiana.
Il pedagogista critica soprattutto il sistema scolastico americano, in quanto troppo selettivo,
aristocratico, rivolto a pochi, ai migliori, fondato soprattutto sul programma e sull’insegnante,
mettendo, in questo modo, in secondo piano la seconda “D” della didattica: il discente.
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Quest’ultimo, infatti, risulta essere sottomesso all’influenza preponderante, sia della
disciplina, sia del docente, che rappresenta l’autorità intellettuale e morale.
Dewey accetta di Herbert soprattutto la “teoria dell’interesse”, “interesse” legato alla
natura dell’uomo, o meglio, all’enfatizzazione della natura.
Il pedagogista ritiene che la natura dell’uomo è essenzialmente sociale, perché per sua
implicita consistenza, tensione, l’uomo è portato a vivere, a convivere, a cercare l’altro come un
elemento naturale implicito. Quindi la natura si manifesta nell’uomo attraverso una spinta che lo
proietta e lo sospinge verso l’altro. La spinta è anche quella che Dewey chiama la “libertà”, che
deve accompagnare costantemente il rapporto con l’altro, attraverso la democrazia.
Nell’opera “Democrazia ed educazione”, il pedagogista afferma che la democrazia è figlia
e madre dell’educazione, in quanto il soggetto è mosso dall’esigenza del vivere in società.
Tuttavia, nel momento in cui il soggetto fa esperienza, cambia la natura, infatti anche per
Dewey “l’educazione conferisce all’uomo una seconda natura”, la natura, cioè l’ambiente in cui
vive l’uomo, viene trasformato attraverso l’impegno a vivere con gli atri. Da qui nasce il bisogno
dell’azione e quindi anche dell’ottimismo pragmatico, infatti, senza ottimismo non c’è né
educazione, né azione.
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3 Le fasi del pensiero
Dewey è un pensatore che rifiuta i dualismi e cerca costantemente di comporre la
distinzione in unità.
La formazione di Dewey passa principalmente attraverso la lezione del Darwinismo,
filtrato attraverso l’insegnamento di psicologi, pragmatisti ed empiristi come William James e
l’Hegelismo, che gli insegna la stretta interdipendenza fra uomo, natura e società. Ne scaturisce una
concezione che lega strettamente il piano biologico, quello psicologico e quello sociale, nel quadro
di una visione generale che fa dell’adattamento all’ambiente il criterio fondamentale per l’analisi
della realtà umana. Per Dewey pragmatisticamente, la categoria centrale dell’uomo è l’azione,
attraverso la quale egli si adatta alle richieste dell’ambiente. Le diverse caratteristiche specifiche
degli esseri umani si sono stabilizzate grazie alla loro funzionalità, come strumenti, per rispondere
alle necessità adattive. Per Dewey il pensiero scaturisce solo nel momento in cui l’azione
immediata, istintiva, volta al soddisfacimento del bisogno, non riesce, per un ostacolo, a conseguire
il proprio risultato. La socialità dell’uomo, funzionale ad un miglior soddisfacimento delle necessità
biologiche, si collega ala nascita del linguaggio, strumento fondamentale per l’interazione e lo
sviluppo cognitivo: lo strumentalismo di Dewey è uno strumentalismo concettuale.
Nel cuore di tutto il pensiero filosofico e pedagogico di Dewey si colloca dunque l’idea di
esperienza. La sua concezione dell’esperienza supera la visione che la identifica semplicemente con
il “fare”umano: per Dewey nell’esperienza sono compresi tanto i fatti fisici che quelli mentali. C’è
dunque una transazione continua fra i diversi piani dell’esperienza, e l’uomo non è un olimpico
spettatore di ciò che accade: immerso con la sua azione nel flusso continuo degli eventi, egli deve
continuamente accettarne i rischi, derivati dall’impossibilità di prevederne o definirne il corso.
Questa prospettiva dell’interazione uomo-mondo, ben diversa da quella scaturita dal Positivismo,
avrà profondi influssi sulla pedagogia del suo ideatore.
Di fronte al perpetuo fluire dell’esperienza, l’uomo ha bisogno di innescare strategie
complesse di sopravvivenza. Il pensiero e l’intelligenza, che assolvono questa funzione, sono
dunque pienamente immersi e inscindibili dal “fare”. Il pensiero, secondo Dewey, si rapporta con la
problematicità del reale attraverso un percorso di indagine sintetizzabile nei punti del dubbio
(l’arresto dell’azione), dell’osservazione (mediante la quale l’individuo analizza i dati a
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disposizione), dei tentativi di soluzione (come primo scenario di diverse possibilità per il
superamento del problema), dell’ipotesi definitiva e della sua verifica mediante esperimento.
La teoria dell’indagine per Dewey è indicativa di ogni processo di pensiero: il pensiero
comune e il pensiero scientifico, il pensiero artistico e il pensiero morale, poiché essa segnala che
l’unico criterio di validità delle idee è l’esperimento, non esistono dunque valori precostituiti e
assoluti. Di fronte ai problemi morali, filosofici, politici, economici, pratici, occorre perciò
ragionare su diverse ipotesi, scegliere quella che si ritiene migliore, e porla in atto. Lo studio della
valutazione , intesa come individualizzazione e conferimento di valore, dimostra secondo Dewey
che in definitiva i giudizi morali dipendono da una valutazione dei fatti, cioè degli effetti pratici
dell’azione: i fini non sono separati dai mezzi, e non sono mai giudicabili a priori. Ancora una
volta, per Dewey, occorre riferirci alla dimensione dell’esperienza e della sua precarietà: a fronte di
questa situazione sono gli atteggiamenti dello scienziato (sempre disponibile a verificare,
correggere, ritornare sui propri passi) e del sistema democratico (fondato sulla discussione e sul
confronto) le basi su cui edificare l’attività di valutazione.
Per Dewey il pensiero si risolve interamente nell’esperienza. Essa è congiunzione del
futuro nel presente, adattamento all’ambiente come impulso progressivo alla vita. Ma l’esperienza
umana è anzitutto e costitutivamente, esperienza sociale. Nella sua esperienza l’uomo tende a far
progredire la realtà naturale e sociale. L’educazione è ricostruzione e riorganizzazione continua
dell’esperienza, allo stesso tempo personale e sociale, in cui, a differenza delle società tradizionali,
le comunità progressive si sforzano di sollecitare nei giovani non la riproduzione delle abitudini
correnti bensì l’elaborazione di migliori forme di vita.
In Il mio credo pedagogico Dewey sintetizza in cinque punti i fondamenti di una
convinzione pedagogica che sessant’anni dopo verranno definiti da Jerome Bruner «destinati ad
influenzare enormemente il pensiero pedagogico degli Stati Uniti»:
1. l’istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell’individuo al
patrimonio comune del genere umano;
2. l’istruzione è un processo sociale e la scuola il fulcro di questo processo, quindi
è inerente alla vita e non preparatoria ad essa;
3. il centro dei programmi di insegnamento è l’insieme delle attività del bambino
nel quadro sociale;
4. il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo;
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5. l’istruzione è il fondamento del processo sociale e politico.
Il processo educativo richiede dunque sia la partecipazione dell’individuo, senza la quale
ogni sforzo educativo si ridurrebbe a pura pressione esterna, sia quella della società, poiché l’uomo
necessita per affrontare l’esperienza degli strumenti foggiati dalla cultura. Per Dwey la società è
quindi il fine dell’individuo e l’individuo è il fine della società, perciò l’educazione mira a suscitare
attitudini alla comprensione e alla critica dello stato esistente, esalta l’intelligenza del singolo e la
sua capacità di lavorare per sé e per la società, in un rapporto di mutuo arricchimento.
Questa finalità educativa implica una concezione democratica della società, senza
gerarchie e senza distinzioni tra dominanti e dominati, tra intellettuali e lavoratori, tra l’opera d’arte
e la produzione artigianale. Per Dewey la società è anche comunità, e questo diviene principalmente
evidente nel mondo della scuola. La funzione docente non può ridursi ad una attività burocratica. Il
circolo scuola-società implica la partecipazione degli insegnanti per la promozione della
democrazia nella scuola e in tutti gli aspetti della vita sociale, orientando e riorientando i giovani
nel fluire dell’esperienza all’uso di una mente aperta e di una coscienza partecipativa.
L’analisi pedagogica del rapporto tra educazione e società trova nell’opera Democrazia ed
educazione la sua forma più compiuta. Dewey attribuisce all’educazione una funzione adattiva
indispensabile di trasmissione sociale, che ha nella scuola una particolare realizzazione. Essa
scaturisce dall’impossibilità di fornire direttamente “nel contesto” gli insegnamenti necessari, a
causa della stratificazione di conoscenze codificate in forma concettuale. L’educazione è legame
organico tra individuo e società, la scuola un ambiente speciale deputato a guidare l’esperienza
infantile nel passaggio della famiglia ad un accostamento graduale all’ambiente sociale più vasto.
La funzione della scuola è dunque quella di mediare fra società e fanciullo, con esperienze
semplificate che evitino a questo ultimo di essere travolto dall’ambiente sociale. Il rischio è che la
condizione di separazione della scuola dalla famiglia e dalla società possa essere fonte di
formalismo ed autofinalizzazione, cioè di un separarsi e di un richiudersi della scuola su se stessa:
occorre evitare una scissione fra ciò che gli uomini sanno coscientemente e ciò che hanno appreso
inconsciamente perché lo hanno assorbito nella formazione del loro carattere nel rapporto con gli
altri. Per questo la scuola deve organizzarsi, tramite il lavoro e l’impegno educativo, a mantenere il
contatto con ciò che le è esterno.
Nell’educazione coesistono un fine sociale e un fine individuale; c’è la ricerca
dell’adattamento, ma anche lo sforzo di non rendere questo adattamento un puro e semplice
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dressage per trasformarlo in qualcosa di attivo e costruttivo. Questo può essere possibile soltanto a
condizione che il metodo d’insegnamento e quello di apprendimento non siano altro che capitoli del
metodo generale della ricerca. L’esperienza ci pone infatti continuamente a contatto, nel suo
dinamico divenire, con situazioni nuove, con questioni aperte, con problemi da affrontare.
L’apprendimento non è altro che una conoscenza per problemi e cioè la capacità di organizzare i
dati, pianificare le ipotesi e verificare le soluzioni e il pensiero rappresenta lo strumento attraverso il
quale operiamo la modificazione dell’ambiente (per questa ragione la teoria di Dewey si può anche
definire una forma di “strumentalismo”).
Dewey prospetta, nel suo fondamentale Come pensiamo del 1910, le sue famose cinque
fasi del pensiero riflessivo che costituiscono la trama del metodo dell’apprendimento per problemi.
Il primo passo della conoscenza è rappresentato da una situazione di difficoltà o di disagio
nella quale ci troviamo e dalla quale dobbiamo uscire. L’apprendimento per problemi comincia, a
sua volta, proprio in una situazione pratica ricca di interrogativi e aperta a svariate soluzioni;
l’osservazione è un ottimo strumento didattico, perché consente di scoprire problemi e di
promuovere interessi.
La seconda fase è costituita dal processo di intellettualizzazione: per portare a termine
quello stato di incertezza iniziale occorre trasformare in problema la situazione emozionale.
Occorre perciò osservare più attentamente le difficoltà che abbiamo incontrato e di fronte alle quali
la nostra azione si è arrestata. Sul piano del metodo didattico il secondo momento si presenta con le
caratteristiche di un puzzle da riordinare: occorre procedere alla ricognizione delle conoscenze in
nostro possesso e delle questioni aperte e alla loro razionalizzazione; l’interrogazione degli allievi,
per esempio, non deve avere lo scopo di far loro ripetere quanto hanno studiato, ma stimolare e
mobilitare le loro potenzialità e indirizzarne le menti verso la sistemazione del sapere nella
prospettiva di conoscenze nuove.
Il terzo momento è dato dall’ipotesi: sulla base delle conoscenze in nostro possesso
formuliamo una ipotesi di soluzione. È l’idea che salta in mente e che, tuttavia, fino a quando non è
verificata non ci consente di acquisire elementi certi. Il maestro e l’allievo sulla base delle
conoscenze già acquisite e delle suggestioni scaturite dal problema che sta di fronte, predispongono
una ipotesi di lavoro e di ricerca comune per raggiungere un livello più alto do conoscenza e
sciogliere gli interrogativi iniziali; questo è possibile raggiungere, per esempio, attraverso un lavoro
per piccoli gruppi nei quali si confrontano le posizioni e le proposte di ciascuno, scegliendo infine
quelle che appaiono più valide e costruttive.
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La quarta fase del pensiero riflessivo è strettamente associata alla precedente: formulata
l’ipotesi, occorre mettere in campo un ragionamento congruente per verificarne la consistenza, che
sia fondato non soltanto sulle conoscenze personali già acquisite, ma anche sui contributi scientifici
e sulle esperienze già compiute. Stabilito l’obiettivo che s’intende raggiungere, il maestro e gli
allievi definiscono un piano di azione e predispongono le diverse fasi della ricerca, avvalendosi,
quando questo sia necessario, anche di competenze esterne alla scuola: è la cosiddetta fase della
progettazione.
La fase conclusiva è data dal controllo mediante l’azione e cioè, la convalida o meno
dell’ipotesi a suo tempo formulata; tale verifica può avvenire in modi diversi: attraverso
l’osservazione diretta oppure mediante un esperimento. Il ciclo del pensiero in tal modo si chiude: o
perché abbiamo raggiunto l’obiettivo di una conoscenza nuova, o perché, non essendo riusciti a
valicare l’ipotesi, dobbiamo riconoscerla e rifare l’iter progettuale. Il pensare, secondo Dewey, non
tanto ciò che passa nell’interiorità dell’individuo, ma ciò che comporta la modificazione
dell’esperienza ed è perciò attività incessante e continuo studio e ricerca. Nella scuola il problema si
può dire risolto quando la ricerca porta a conoscenze nuove che, messe alla prova dell’esperienza,
consentono di arricchire il nostro sapere, aprendo la strada ad ulteriori aspetti problematici e così
via.
Pensare, educare a pensare e apprendere sono, per Dewey, aspetti diversi aspetti diversi di
un medesimo processo attivo, in cui l’individuo stabilisce un rapporto di interazione con la realtà al
fine di modificarla. Quando egli prospetta la scuola attiva incentrata sugli interessi degli allievi e
sulle loro energie, non lo fa soltanto per ragioni psicologiche (il bisogno di muoversi, di
manipolare, di costruire, ecc.), ma sulla base di una concezione del sapere inteso come processo
continuo nel quale la verità non e data una volta per tutte, ma è continuamente sottoposta alla
verifica sperimentale: è vero (e dunque utile) ciò che siamo in grado di produrre in modo concreto e
tangibile, capace di modificare positivamente l’ambiente e la società nella quale operiamo.
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4 Il laboratorio sperimentale di pedagogia
In Democrazia ed educazione Dewey considera la necessità di un metodo per ottenere che
le attività siano efficacemente formative per lo sviluppo della capacità di pensare. Il metodo non è
preliminare all’apprendimento, ma parte di esso.
I principi del metodo sono cinque:
1. l’allievo deve partire da un’attività genuina di esperienza; occorre muovere
dagli interessi infantili;
2. va affrontato un problema reale, affinché esso sia stimolo al pensiero;
3. all’alunno va fornito materiale informativo, che permetta le opportune ricerche
e indagini;
4. l’alunno potrà sviluppare in modo organico le soluzioni che gli vengono in
mente;
5. l’alunno deve avere l’opportunità di verificare le sue idee per mezzo
dell’applicazione.
Dewey spiega, nell’opera Come pensiamo (1910) in che modo la scuola può educare a una
capacità di pensiero razionale e allo stesso tempo creativo, in grado di sfruttare le situazioni di
incertezza per escogitare possibilità ulteriori di azione. È necessario per questo muovere anzitutto
da alcune condizioni già presenti nella situazione educativa:
1. la curiosità: il soggetto va in cerca di un’occasione per agire e ha bisogno, a
questo scopo di qualche oggetto;
2. la suggestione: nel fanciullo le idee sono suggestioni, per cui esperienze
presenti suggeriscono sempre, fatalmente, qualche cosa o qualità connessa alla
totalità dell’esperienza precedente;
3. l’ordine: la curiosità e la suggestione trovano nell’ordine, cioè nella
consequenzialità e nel controllo delle idee, l’espressione tipica del pensiero
riflesso.
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Lo scenario dell’attività didattica proposta da Dewey individua certamente un insegnante
con una preparazione culturale e professionale di alto livello, espressa in una vasta e organica
cultura di base e in una precisa conoscenza tecnico-professionale. Si tratta di competenze
fondamentali, necessarie perché in realtà l’insegnante è il leader intellettuale di un gruppo sociale.
Egli è il capo, non in virtù di una carica sociale, ma in ragione della sua ampia e più profonda
conoscenza e della sua più matura esperienza.
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5 Esperienza ed educazione: una revisione critica
Sia negli Stati Uniti sia in Europa, la tesi che più viene criticata nel pensiero di Dewey
riguarda il concetto di esperienza. Viene osservato che l’educazione non può essere risolta nel fluire
dell’esperienza, in quanto vi sono esperienze non educative, che non contribuiscono a promuove lo
sviluppo. Su questo punto anche Dewey concorda e, nel volumetto Esperienza ed educazione,
ammette che non tutte le esperienze sono educative: occorre dunque valorizzare la funzione del
maestro, che orienta il fanciullo nell’esperienza, indicando contenuti che promuovono esperienze
ulteriori: incombe all’educatore il dovere di predisporre un genere di piano molto più intelligente, e
di conseguenza molto più difficile. Deve esaminare la capacità e i bisogni del gruppo di allievi con
cui ha a che fare e disporre nello stesso tempo le condizioni che forniscano materia di studio o
contenuto per esperienze che appaghino questi bisogni e sviluppino queste capacità.
La scuola deve permettere agli allievi di accedere al sapere organizzato dell’adulto, pur
nella consapevolezza che anche le conoscenze organiche sono equilibri provvisori e quadri di
sapere destinati a essere superati e risolti in nuove organizzazioni. Pertanto occorre biasimare le
scuola nuove che tendono a dare un peso minimo o nullo alla materia di studio organizzata; a
comportarsi come se qualsiasi forma di direzione o di guida da parte degli adulti fosse
un’usurpazione della libertà individuale; e come se l’idea che l’educazione deve riguardare il
presente o l’avvenire implicasse che il passato ha poco o nulla a che fare nell’educazione.
Dewey offre a questo punto una serie di suggerimenti didattici:

tutto ciò che può essere chiamato materia di studio, deve essere trattato dal
materiale che rientra nell’ambito della ordinaria esperienza quotidiana;

ciò che è stato sperimentato (ovvero appreso) deve progressivamente assumere
una forma più piena e ricca e meglio organizzata;

i nuovi apprendimenti devono sempre collegarsi con quelli già consueti
nell’esperienza infantile;

il passato deve essere considerato in quanto deposito di strumenti per la
comprensione del presente, e quindi per il progetto di nuove azioni nel futuro;

la materia del sapere organizzato dell’adulto o dello specialista non può
costituire il punto di partenza. Rappresenta tuttavia la meta;
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
Lezione XII
il lavoro scolastico deve essere sempre attivo, ma, attraverso laboratori e
progetti di ricerca, tale attività deve indirizzarsi verso un’organizzazione
progressiva della documentazione e delle idee.
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