Cos’è la Filosofia?
a cura di Enzo Galbiati
[email protected]
filosofiacapriate.Enzogalbiati
Per iniziare
Ringraziamenti (AC, GAEAF, tutti i presenti) e presentazione
Premessa:
Lasciare a casa i problemi e le ansie e i dolori …
Ascoltare, domandare e leggere.
Per tutti? Per alcuni?
Aperto a tutti e comprensibile a tutti a patto che:
• Pazienza, molta pazienza, molta molta pazienza;
• Capacità di ascoltare, di porre e di porsi le domande;
• Voglia di apprendere, curiosità per la conoscenza (scienze
umane – filologiche e scienze naturali – esatte).
Il metodo: ascolto, dialogo continuo, studio.
Libro di testo: Platone: Simposio, Apologia di Socrate,
Critone e Fedone, Mondadori Editore, Collana Oscar classici
greci e latini (2005).
Programma del corso (1)
Il percorso: Introduzione alla filosofia e poi Aristotele e tarda
età classica, medioevo età moderna e contemporanea, con
focus sulla condizione odierna (Schopenhauer, Kierkegaard,
Marx, Freud, Nietzsche e Darwin). Facciamo sul serio! Vediamo
ora il I corso.
Venerdì 24 gennaio: Cos’è la filosofia?
Presentazione del concetto di filosofia sulla base dei diversi
approcci alla filosofia (per epoche storiche o per problemi) e
sulla base delle idee / presunzione che ne abbiamo.
Panoramica della situazione filosofica attuale. Passo verso la
Grecia: excursus storico sul mondo dell’antica Grecia
(letteratura, teatro, arte, scienza e democrazia) e finalmente la
“filosofia”. Come testo da leggere e commentare il dialogo
«Simposio» di Platone in cui si presenta il prototipo del filosofo
(Socrate).
Programma del corso (2)
Venerdì 31 gennaio: i Presocratici fra essere e divenire.
ripresa del concetto di filosofia e analisi della figura del
filosofo descritto nel «Simposio»; breve trattazione dei
Presocratici e in particolare di Parmenide ed Eraclito con il
commento di alcuni loro frammenti e loro importanza nella
formazione filosofica di Socrate. Come testi da leggere e
commentare alcuni frammenti di Parmenide e Eraclito.
Venerdì 7 febbraio: L’elogio del nulla dei Sofisti.
La figura di Socrate nei confronti dei Sofisti e dei
Naturalisti. Breve introduzione alla Sofistica e analisi del
poema di Gorgia «Sul non essere o sulla natura» in
rapporto con la logica parmenidea e con i tentativi di
descrizione della «natura» (φύσις) da parte dei Fisici.
Programma del corso (3)
Venerdì 21 febbraio: Socrate, la filosofia come scelta di
vita.
Il «problema Socrate: «i Socrate» di Aristofane, Platone,
Aristotele, Senofonte e dei socratici minori. Il «sapere di non
sapere», l’ironia, la dialettica, la maieutica, il demone. «Conosci
te stesso». Il processo e la condanna a morte. L’importanza
della figura di Socrate per la storia della filosofia e per la
filosofia in generale.
Venerdì 28 febbraio: Platone e l’invenzione dell’anima.
Presentazione della vita e della filosofia di Platone (conoscenza
come anamnesi, l’idea come essere, la politica come
inveramento della filosofia, l’anima e l’amore platonico);
superamento delle posizioni dei filosofi precedenti e fondazione
della metafisica. Come testi di Platone da leggere e
commentare il «Fedone» e alcuni passi dalla VII Lettera.
Programma del corso (4)
Venerdì 7 marzo: Platone e la repubblica perfetta.
Ancora sulla filosofia di Platone: ripresa del «Fedone» e
conclusione della presentazione della filosofia platonica
con la lettura del «mito della caverna» esposta nel dialogo
«La Repubblica».
Postilla: oralità e scrittura. In Grecia e in Platone.
Alla conclusione del corso una breve considerazione sulla
filosofia greca con l’aiuto di tre testi di Nietzsche (scritti
fra il 1871 e il 1873 quando aveva meno di 30 anni):
1. «La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica»;
2. «La filosofia nell’epoca tragica dei Greci»;
3. «Su verità e menzogna in senso extramorale».
Cosa è la Filosofia?
L’approccio storico:
FILOSOFIA (greco: φιλοσοφία, latino: Philosophia, inglese:
Philosophy, francese: Philosophie, tedesco: Philosophie) è un nome
composto da φιλεῖν (=amare) e da σοφία (=sapere, scienza).
Quindi il termine filosofia significa letteralmente: amore per il
sapere, passione per la conoscenza, tensione alla scienza.
Tre definizioni «classiche» di filosofia:
Aristotele (Metafisica Libro I, 982 b, 12-15):
«Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a
causa della meraviglia».
Platone (Eutidemo, 288 e – 290 d):
«Quale è la scienza che, posseduta, costituisce una giusta
acquisizione? Non è forse quella che ci sarà di giovamento? Solo la
scienza capace sia di produrre, sia di utilizzare il proprio oggetto può
rendere felici».
Oppure ancora Platone (Teeteto, 173 c – 176 a).
Il rischio dell’inizio (1)
Questo inizio classico, addirittura didattico, può però
essere depistante e fuorviante. Per capire le ragioni della
filosofia occorre avere già delle basi scolastiche e culturali
adeguate (studi liceali e/o universitari, lunghe ed
approfondite letture, una buona conoscenza del mondo…)
Giovanni Gentile: lo studio della filosofia come
coronamento del sapere e del corso di studi della classe
dirigente italiana.
Se non si è così «fortunati», si può rischiare di fraintendere
lo specifico della filosofia, la sua originalità che da più di
2.500 anni affascina ed attira le menti migliori.
«Vuoi ottenere la vera libertà? Renditi schiavo della
filosofia» (Seneca).
Il rischio dell’inizio (2)
Per esempio: che idea abbiamo oggi della filosofia?
1. sforzo inutile e vano di capire la vita: «Ci sono più cose in
cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia»
(W. Shakespeare, Amleto, atto I scena V); «Non sarai mai felice
se continui a cercare in che cosa consista la felicità. Non vivrai
mai se stai cercando il significato» della vita» (A. Camus, Il mito
di Sisifo).
2. Archivio o regesto di massime utili per abbellire discorsi e
lezioni o trasmissioni televisive, ottimamente compendiate dalle
due seguenti citazioni:
«Sembra impossibile, ma tutto quello che c’è di divertente nella
vita dicono i filosofi che sia immorale oppure illegale. Al minimo
fa ingrassare!» (P.G. Wodehouse)
«Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che
sanno» (O. Wilde)
Il rischio dell’inizio (2)
Eppure, molti uomini per millenni si sono affaticati introno a
quella cosa che chiamiamo filosofia, nonostante la supposta
sua inutilità.
Forse uno dei modi migliori per afferrarne la forza di attrazione è
la testimonianza e/o le scelte di vita di chi ha deciso di percorrere
lo studio della filosofia.
Cosa c’era vent’anni fa e c’è ancora oggi dentro la filosofia
(l’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera…):
• Heidegger, ermeneutica, fenomenologia, decostruzionismo,
pensiero debole e le varie mode post-moderne;
• Il contrasto analitici / continentali;
• la tradizione marxista e la tradizione cattolica;
• alcuni pensatori italiani significativi (Severino, Sini, Ferraris,
Vattimo) ma anche alcuni grandi della letteratura italiana
(Dante, Machiavelli, Galilei, Vico, Manzoni, Calvino);
• e infine il più grande di tutti: Leopardi.
Il rischio dell’inizio (3)
Tante opzioni per capire le quali occorre però avere chiaro
preliminarmente che cosa è la filosofia (il cosiddetto
approccio per problemi) Facciamoci aiutare da un
filosofo contemporaneo americano:
Thomas Nagel: What Does It All Mean? A Very Short
Introduction to Philosophy (1987, trad. it. Il Saggiatore):
1. Cosa NON E’ la filosofia:
«La filosofia è diversa dalla scienze e dalla matematica.
Diversamente dalla scienza non fa assegnazione sugli
esprimenti e sull’osservazione, ma solo sul pensiero. E
diversamente dalla matematica non ha un metodo formale
di dimostrazione. Si fa filosofia solo ponendo questioni,
argomentando, elaborando idee e pensando ad argomenti
possibili per confutarle e chiedendosi come davvero
funzionano i nostri concetti».
[segue]
Il rischio dell’inizio (4)
2. Cosa E’ la filosofia:
La filosofia sembra consistere in una catena di domande e
tentativi di risposte ricorrenti nel tempo. Domande e
risposte sono di un tipo particolare e relativamente facili da
riconoscere. Secondo Nagel i problemi filosofici ricorrenti
nella storia dell’uomo (e non solo della filosofia!) sono:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
La conoscenza del mondo al di là delle nostre menti
La conoscenza di menti al di là della nostra
La relazione tra mente e corpo
Come è possibile il linguaggio
Libero arbitrio
Il fondamento della moralità
Quali ineguaglianze sono ingiuste
La natura della morte
Il significato della vita.
[segue]
Il rischio dell’inizio (5)
Ogni problema filosofico può essere affrontato (ed è
stato effettivamente trattato nel corso della storia
dell’uomo e non solo della storia della filosofia!) da
almeno due diversi e contrapposti punti di vista
(seguendo lo stesso ordine dell’elenco dei problemi):
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
scetticismo / realismo
solipsismo / criticismo
fisicalismo / spiritualismo
nominalismo / concettualismo
libertà / determinismo
relativismo / tradizionalismo
contrattualismo / giusnaturalismo
fideismo / razionalismo
materialismo / idealismo
[segue]
Il rischio dell’inizio (6)
3. La filosofia come infanzia / adolescenza dell’intelletto:
«Le nostre capacità analitiche sono spesso altamente
sviluppate prima che abbiamo imparato gran che sul mondo,
e intorno ai 14 anni di età le persone cominciano a
pensare per conto loro ai problemi filosofici.
Si è scritto per centinaia di anni su questi problemi ma il
materiale filosofico grezzo viene direttamente dal mondo,
dalla nostra relazione con esso, e non dagli scritti del
passato. Ecco perché quei problemi si ripresentano
continuamente nella testa della gente che non ha letto nulla in
proposito».
Se è così allora occorre tornare all’infanzia della nostra
civiltà dove queste domande sono state poste per la prima
volta in modo autentico e radicale.
L’approccio storico e l’approccio per problemi trovano un
punto di contatto.
Una definizione di filosofia
La voce fuori campo del bambino nel film «Il cielo sopra
Berlino» di Wim Wenders (studi di filosofia e teologia alle
spalle prima di fare il regista) che a mo' di filastrocca
ripeteva:
«Quando il bambino era bambino era il tempo di queste
domande: perché io sono io e perché non sei tu?
Perché sono qui e perché non sono lì?
Quando comincia il tempo e dove finisce lo spazio?
La vita sotto il sole è forse solo un sogno?
C'è veramente il male e persone veramente cattive?
Come può essere che io, che sono io, non c'ero, e che un
giorno io, che sono io ora e qui, non sarò più quello che
sono qui ed ora?».
Considerazioni emerse nel primo incontro
La filosofia come disciplina superflua.
La filosofia come teoria importantissima soprattutto per
definire / influenzare la politica e/o le ideologie politiche e
culturali.
La filosofia come critica dei limiti del sapere, come
discorso - mai conclusivo o definitivo - sulla verità della
natura, della realtà e della cultura. Confronto con gli altri
«saperi» (scientifici e/o letterari).
La filosofia come scelta di vita (oggi e soprattutto nel
passato).
Tornare alle origini!
Premesse e contesto della filosofia
Procederemo usando sia l’approccio storico che
l’approccio per problemi con riferimento alla Grecia
classica (VI – IV secolo avanti Cristo) analizzando in
particolare:
1.
2.
3.
4.
5.
la storia dell’antica Grecia in breve
il concetto e la pratica della democrazia ad Atene
l’arte e la letteratura
il teatro
la scienza
Suggerimenti bibliografici:
M. Finley: Il mondo dei Greci, 1987, Einaudi Editore.
L. Canfora: Il mondo di Atene, 2011, Laterza Editore
Storia greca in breve (1)
Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo)
1196: data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia
800/700: Licurgo a Sparta elabora e applica la mitica e severa
costituzione; diviene comune la denominazione di Elleni. Inizio
della colonizzazione greca (estesa migrazione ellenica verso nordest e ovest)
776: data della prima Olimpiade
621: costituzione di Dracone ad Atene: primo codice legislativo
scritto
594: Solone arconte e riforma censitaria censitaria con la
popolazione divisa in quattro classi e rafforzamento dell’Areopago.
Dopo Solone: prima anarchia in Atene con tre fazioni
561/556: tirannide di Pisistrato ad Atene e nascita della polis
democratica
528–511/510: Tirannia dei pisistratidi Ippia e Ipparco; 514:
congiura di Armodio e Aristogitone, con morte di Ipparco; 511/510:
Spartani e Alcmeonidi pongono fine alla tirannide di Ippia [segue]
Storia greca in breve (2)
Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo)
508: riforma di Clistene: si forma un consiglio di cinquecento membri
490: prima guerra persiana per iniziativa di Dario (i persiani Data e
Artaferne occupano l’Eubea) Battaglia di Maratona: Ateniesi e
Plateesi contro Persiani > vittoria greca grazie a Milziade
481: congresso panellenico di Corinto: costituita la Lega contro la
Persia con a capo Sparta.
480/478: seconda guerra persiana voluta da Serse (generale
persiano Mardonio in Tessaglia per scendere in Grecia) Battaglia
delle Termopili con resistenza di Leonida e trecento spartani;
Battaglia di Salamina progettata da Temistocle dopo la distruzione
persiana dell’Attica e di Atene. Vittoria greca di Platea (sulla terra) e
Micale (sul mare)
477: nasce la Lega di Delo, un accordo con caposaldo ateniese
471: ostracismo di Temistocle (filoautonomista) e dominio di Cimone
(filospartano)
[segue]
Storia greca in breve (3)
Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo)
459/429: Pericle sulla scena politica ad Atene: prime azioni della
politica periclea antipersiana e antispartana
454: trasferimento del tesoro della Lega da Delo ad Atene, con
trasformazione della Lega stessa in Lega delio-attica
432: congresso Lega Peloponnesiaca decide la guerra al rifiuto
ateniese degli accordi proposti
431/404: Guerra del Peloponneso; […];
411 colpi di stato ad Atene: il potere, tornato all’oligarchia dei
Quattrocento, viene subito abbattuto dai democratici. Trasibulo,
capo dei democratici, richiama Alcibiade, che prende il controllo
della flotta di stanza a Samo.
405: Vittoria spartana a Egospotami
404: Atene assediata di arrende agli Spartani: instaurazione
dell’oligarchia filospartana dei Trenta Tiranni (Crizia)
[segue]
Storia greca in breve (4)
Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo)
404/379: pace generale e fine della Guerra del Peloponneso.
Egemonia di Sparta su tutta la Grecia
403: restaurazione ad Atene del governo democratico dei
Cinquecento ad opera di Trasibulo
399: processo e condanna a morte di Socrate
379/362: egemonia di Tebe su tutta la Grecia
Pace generale e fine dell’egemonia tebana
359/336: l’egemonia macedone di Filippo II
337: congresso panellenico a Corinto riconosce il potere di Filippo,
che prepara una spedizione contro la Persia
336: assassinio di Filippo II e ascesa al trono di Alessandro
336/323: l’età di Alessandro Magno e del suo impero.
La democrazia ad Atene (1)
Le poleis (= le città - stato) erano veri e propri centri politici,
economici e militari, retti da governi autonomi e indipendenti.
L'agglomerato urbano era costituito dalla città, solitamente
circondata da mura, e dal territorio circostante, adibito
prevalentemente all'agricoltura e all'allevamento.
Il centro vitale della polis era l'agorà, sede del mercato e delle
assemblee popolari, assieme all'acropoli, luogo fortificato per la
difesa dei cittadini e che ospitava il tempio della divinità tutelare.
Secondo alcuni studiosi, la struttura della città-stato, associata alla
particolare conformazione geografica del territorio, fu uno dei
principali ostacoli all'unità politica greca.
Anche i giochi pubblici contribuirono a rinsaldare l'unità culturale
ellenica. Oltre a quelli nemei, istmici e pitici, i più importanti
furono i giochi Olimpici in onore di Zeus. Questa manifestazione,
che si svolgeva ogni quattro anni ad Olimpia, divenne tanto famosa
che la data della prima Olimpiade (776 a.C.) servì da punto di
partenza della datazione greca.
[segue]
La democrazia ad Atene (2)
Ad Atene, nel 507 a.C., Clistene realizza la più importante
riforma politica della storia: la costituzionalizzazione della
democrazia. Il suo obiettivo è limitare il potere degli aristocratici
e fare partecipare al governo anche i meno ricchi (i cosiddetti
«molti»).
Clistene riorganizza la città-stato di Atene: abolisce le quattro
classi di cittadini basate sulla ricchezza decise da Solone,
organizza il territorio di Atene (più propriamente l’Attica) in tre
parti: la città di Atene e il suo porto, le pianure sulla costa,
l’entroterra collinare e montuoso.
La città –stato era divisa in 100 piccole parti chiamate demes
(unità di governo locale) riunite a loro volta in 10 tribù. Alla vita
politica di ogni demos potevano partecipare tutti i cittadini
ateniesi maschi con più di 20 anni; erano esclusi gli schiavi, i
meteci (stranieri) e le donne.
[segue]
La democrazia ad Atene (3)
I cittadini appartenevano a un demos / tribù per territorio
di residenza e non per nascita.
Tutti i cittadini potevano partecipare all’assemblea (ἐκκλησία),
l’organo politico sovrano fondamentale che si riuniva per un
minimo di 40 sedute all’anno e un quorum di 6.000 cittadini per
le sedute plenarie ed altre speciali occasioni (in quest’ultimo
caso la presenza era retribuita). L’assemblea discuteva ed
approvava le proposte del Consiglio soprattutto eleggeva e
controllava i propri rappresentanti alle diverse cariche.
Metodi di selezione o elezione dei rappresentanti: per
essere rappresentati nel Consiglio, nella Magistratura e nei
Tribunali (ma NON fra gli Strateghi), i demes eleggevano un
numero di candidati proporzionali alla loro grandezza La scelta
dei candidati era fatta mediante sorteggio.
[segue]
La democrazia ad Atene (4)
La durata delle cariche era breve e di solito non era prevista
la possibilità di rielezione. Tutti i rappresentanti / funzionari
era remunerati per i loro incarichi.
Con la scelta sistematica del sorteggio come metodo di
selezione della classe politica gli Ateniesi ritenevano che tutti
i cittadini avessero le stesse possibilità di tenere le cariche.
I rappresentanti delle 10 tribù formavano la bulé (βουλή)
ossia il Consiglio dei 500 (ogni tribù sceglieva 50
rappresentanti con più di 30 anni di età). Il Consiglio dei
500 durava all’incirca un anno ed era la commissione
esecutiva e organizzativa dell’Assemblea: si occupava di
politica estera, esercito, religione e lavori pubblici, oltre a
proporre nuove leggi al voto dell’Assemblea.
[segue]
La democrazia ad Atene (5)
A guidare i lavori del Consiglio c’era la Commissione dei 50
(scelti a rotazione fra i componenti del Consiglio in modo
proporzionale alle tribù); l’incarico dei Commissari durava 1/10
della durata del Consiglio. A capo della Commissione vi era il
Presidente che teneva la carica per un solo giorno.
Altri incarichi scelti a sorteggio erano:
a) Magistrati (una carica tenuta di regola da un Consiglio dei
10); b) i Tribunali (grandi giurie popolari composte da 201 e
spesso oltre 501 cittadini).
Infine gli Strateghi, cioè i Generali militari: erano 10 (uno per
ogni tribù) e venivano scelti dai cittadini ateniesi mediante
elezione diretta ed erano anche rieleggibili (è il caso per
esempio di Pericle).
La pratica della democrazia ad Atene: l’ Epitaffio di Pericle da
Tucidide «La guerra del Peloponneso», libro II, 34-36.
La democrazia ad Atene (6)
Arte: il Canone (1)
Alcune immagini per l’arte. Vedi a
lato quello che è considerato il
Canone (=la regola):
il Doriforo (=il portatore di lancia)
dello scultore Policleto
(conservato al Museo Archeologico
di Napoli). Secondo il canone di
Policleto, l’unità di misura da cui
bisogna partire è l’altezza della
testa, pari a 1/8 dell’altezza totale
del corpo intero. Per ricostruire lo
schema strutturale della figura
umana, quindi, basta prendere
come riferimento la misura della
testa e riportarla altre 7 volte su un
asse verticale.
[segue]
Arte: il Canone (2)
Cominciando dall'alto, il primo segmento si ferma
all'altezza del mento; il secondo, alle ascelle; il
terzo ai fianchi; il quarto all'inguine; il quinto a metà
della coscia, il sesto alle ginocchia; il settimo a metà
della parte inferiore delle gambe; l'ottavo arriva fino
a terra. Altri parametri del corpo dell'uomo ideale
sono ad esempio: il viso, se misurato dal mento alla
sommità della fronte, alla radice dei capelli,
corrisponde a un decimo dell'altezza del corpo. La
stessa proporzione si presenta nella mano aperta
se viene misurata dalla sua articolazione fino alla
punta del dito medio.
L'altezza del viso si divide in tre parti uguali: dal
mento alla base delle narici, dal naso fino al punto
d'incontro con le sopracciglia e da queste alla
radice dei capelli. Il piede è la sesta parte
dell'altezza del corpo e così via.
Rispettando tali proporzioni i pittori e gli scultori
dell'antichità ottennero risultati strabilianti (vedi i
due allegati sulla storia dell’arte).
Letteratura
«Cantami, o diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempia), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille»
Ovviamente è il proemio dell’Iliade….
Suggerimenti bibliografici:
Omero: Iliade, 2005, Einaudi Editore
Omero: Odissea, 2004, Einaudi Editore
Entrambe le versioni sono di Rosa Calzecchi Onesti (consigliata).
Tragedia greca: origini (1)
Le Dionisie erano delle celebrazioni liturgiche dedicate al dio
Dioniso. Nel corso di tali festività gli autori erano chiamati a
gareggiare in agoni tragici e agoni comici.
L'istituzione delle Dionisie è generalmente attribuita al tiranno
Pisistrato e riconducibile agli anni compresi tra il 535 ed il 532 a.C.
circa. L'importanza di celebrare questo culto ha radici profonde, da
ricercarsi non solo in ambito religioso, ma in quello più strettamente
culturale e socio-politico.
Durante le Dionisie ogni attività della città si fermava e tutti i
cittadini erano invitati a collaborare all'evento (circa 30.000).
Tale era la necessità di coesione sociale che i procedimenti legali
venivano interrotti mentre i reclusi nelle carceri venivano
temporaneamente rilasciati per partecipare alle feste.
Le Grandi Dionisie si svolgevano ad Atene tra l’8 ed il 14 del mese
di Elafebolione del calendario attico, corrispondente ai mesi di
marzo-aprile.
[segue]
Tragedia greca: origini (2)
Luogo e periodo non sono certo casuali: in primavera, infatti, le
condizioni di navigabilità del mar Egeo erano ottimali, garantendo
alla polis la presenza di un numero considerevole di stranieri.
Questa particolare condizione di cosmopolitismo permetteva agli
ateniesi sia di mostrare la propria superiorità culturale, sia di farne
occasione di propaganda politica e militare di fronte alle altre città
greche.
All'apertura delle Dionisie, dopo una processione di vergini, un
araldo presentava agli spettatori gli orfani di guerra che avevano
raggiunto l'età efebica: questi ultimi venivano rivestiti di
un'armatura, segno di maturità, e prendevano posto in teatro. La
vestizione degli efebi era seguita dalla celebrazione della potenza
militare di Atene ma anche dell'istituzione civica stessa, in quanto i
giovani orfani erano allevati e vestiti a spese dello stato.
In quell'occasione venivano esposti anche i tributi che ogni anno le
città alleate versavano ad Atene, segno anche questo distintivo di
un'egemonia della polis sulle altre.
[segue]
Tragedia greca: origini (3)
Il cosmopolitismo che si respirava nel corso delle Dionisie
cittadine si riflesse anche sugli argomenti delle tragedie
presentate, che affrontavano temi di ampio respiro.
L'organizzazione delle feste era affidata all'arconte eponimo.
L'arconte eponimo, appena assunta la carica, provvedeva a
scegliere tre dei cittadini più ricchi ai quali affidare la "coregia",
cioè l'allestimento di un coro tragico: nell'Atene democratica i
cittadini più abbienti erano tenuti a finanziare servizi pubblici
come "liturgia", cioè come tassa speciale.
Le Dionisie seguivano un calendario predeterminato.
Il giorno 8 di Elafebolione si svolgeva il preagone, a cui
partecipavano in pompa magna gli autori, i coreghi, i musicisti, i
coreuti e gli attori che informavano il pubblico dell'argomento
delle tragedie in programma.
[segue]
Tragedia greca: origini (4)
Il giorno 9 veniva invece fatta una processione nel corso della
quale la statua di Dioniso veniva trasportata dal tempio al teatro
dopo un percorso specifico. Usuali erano riti sacrificali ed offerte
votive.
Il giorno 10 iniziava la festa vera e propria: aveva infatti luogo una
solenne processione cui partecipavano tutti gli ateniesi e gli
stranieri presenti in città e che culminava con il sacrificio di un toro
e con offerte votive a Dioniso. La festa religiosa era intesa come
momento di grande coesione sociale.
Nel corso del pomeriggio si svolgevano gli agoni ditirambici
istituiti nel 508 a.C. La competizione vedeva in gara dieci cori,
ciascuno in rappresentanza di una delle dieci tribù in cui l'Attica era
divisa.
Probabilmente la stessa notte aveva luogo una festa istituzionalizzata che durava fino a tardi e alla quale il vino, il furore orgiastico e
l'euforia non dovevano essere estranei.
.
[segue]
Tragedia greca: origini (5)
Il giorno 11 si presentavano in teatro cinque commedie, ridotte
poi a tre nel corso della guerra del Peloponneso per via delle
condizioni economiche nelle quali Atene versava La riduzione
del numero delle commedie diminuì la durata delle Dionisie di un
giorno, perché le tre rappresentazioni furono spostate ciascuna
in coda ad una tetralogia, che venivano messe in scena in tre
giorni differenti. Gli agoni comici si svolsero a partire dal 486
a.C. circa.
Proprio gli ultimi tre giorni festivi, il 12, il 13 e il 14 di
Elafebolione, erano dedicati allo svolgimento degli agoni tragici,
nel corso dei quali veniva proposta la rappresentazione di una
tetralogia (= 4 tragedie) per giorno.
Al termine delle rappresentazioni veniva proclamato il vincitore.
Tragedia greca: struttura (1)
La tragedia greca è strutturata secondo uno schema rigido:
1. la tragedia inizia generalmente con un prologo (da prò e logos
= discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il
dramma;
2. segue la pàrodo, che consiste nell'entrata in scena del coro
attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi;
3. l'azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre
o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli
intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la
situazione che si sta sviluppando sulla scena;
4. la tragedia si conclude con l'esodo (èxodos).
La tragedia veniva inscenata da un gruppo di 15 persone, chiamato
Coro, narrava l'antefatto cantandolo. Dal coro si staccavano poi
dai 2 ai 5 attori che mettevano in scena lo spettacolo.
[segue]
Tragedia greca: struttura (2)
Ma ben presto prende importanza l'attore (il "protagonista"),
che viene affiancato da un secondo attore ("deuteragonista")
e poi (ad opera di Sofocle) da un terzo ("tritagonista").
A causa dell'interazione tra gli attori, che dialogano tra di loro,
ecco che il baricentro dell'azione si sposta sul loro dialogo. Il
Coro tende a diventare quasi uno sfondo scenico, agendo in
modo complesso con l'azione.
Gli attori recitano in trimetri giambici, metro che produce una
cadenza molto vicina al parlato e non sono accompagnati da
musica, mentre il Coro è continuamente accompagnato dal
suono del flauto.
Il compito del Coro è anche quello di spiegare al pubblico
azioni e reazioni che avvengono sulla scena, le quali, per
motivi ovvi, non sono di facile e immediata comprensione. Il
Coro è neutrale rispetto agli attori e alle loro azioni, e svolge
la funzione di "narratore".
[segue]
Tragedia greca: struttura (3)
I cittadini greci infatti erano obbligati a partecipare agli spettacoli
(Dionisie), in modo che tramite questi si arrivasse a quella
purificazione dei mali e presa visione dei proprio limiti che era
chiamata da Aristotele catarsi.
Nella Poetica (1452 b) Aristotele afferma che la situazione più
adatta alla tragedia greca è quella di un uomo che non abbia
qualità fuori dal comune né per virtù né per giustizia, e che si
ritrovi a passare da una condizione di felicità ad una di infelicità,
non per colpa della propria malvagità, ma a causa di un errore.
Il mutamento può avvenire a causa di una peripezia o di un
riconoscimento, oppure, nei casi migliori, di entrambi (Poetica
1452 a).
Questo, come riconosce Aristotele stesso, è il caso della tragedia
di Sofocle “Edipo re”, che in questo modo rappresenta uno degli
esempi più paradigmatici dei meccanismi di funzionamento della
tragedia greca.
Edipo re di Sofocle
« Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà »
(Tiresia ad Edipo, Edipo re, v. 438)
«Edipo re» (in lingua originale Οιδίπoυς τύραννoς , Oidípus
týrannos) è una tragedia di Sofocle, ritenuta il suo capolavoro,
nonché il più paradigmatico esempio dei meccanismi della
tragedia greca.
La data di rappresentazione è ignota, ma si ipotizza che essa
possa collocarsi al centro della attività artistica del tragediografo
(430-420 a.C. circa).
Trama in sintesi (si suggerisce l’edzione pubblicata nei Meridiani
Mondadori a cura di Dario Del Corno)
Interpretazioni della tragedia: la fragilità dell’esperienza umana,
volontà divina e responsabilità individuale, la tragicità del
conoscere, l’interpretazione psicanalitica.
La Poetica di Aristotele
Citazione da Poetica 1449 b 24:
«Tragedia è dunque imitazione di un'azione seria e compiuta,
avente una propria grandezza, con parola ornata, distintamente
per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono
e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e
paura porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni».
La catarsi è la liberazione da ciò che è estraneo all'essenza o
natura di una cosa e che perciò la disturba o corrompe. Il termine
è di origine medica e significa purga, purificazione da un male.
In Aristotele indica quella specie di liberazione o di
rasserenamento che l'uomo subisce ad opera della poesia, del
dramma e della musica.
La catarsi dunque come una specie di cura delle affezioni
(corporee e/o spirituali) che non le abolisce ma le porta alla
misura in cui esse sono compatibili con la ragione.
La scienza (1)
La Grecia è il luogo di nascita del vero e proprio sapere
scientifico: la matematica, la geometria, l'astronomia, la statica e
la medicina trovarono le condizioni per costituirsi come discipline
con metodo e contenuto definiti. Iniziatori del lungo processo che
portò all'affermazione di un orientamento razionale, liberando la
cultura greca nel suo complesso dalle influenze mitico-religiose
precedenti, furono i filosofi o fisici della Scuola di Mileto (sec. VI
a. C.: Talete, Anassagora, Anassimene).
Ma fu con Pitagora e la sua scuola che vennero poste le basi
della matematica, intesa come scienza razionale formulata nei
suoi fondamenti astratti e avulsa da ogni contesto empirico.
Pitagora basava la sua concezione del mondo sui rapporti tra
numeri interi ovvero sui numeri razionali (p.e.: ⅔) e pensava che
ogni cosa esistente al mondo potesse essere ridotta a tali
numeri. La scoperta dell'irrazionalità (cioè della non
commensurabilità) della √2 nel calcolo della diagonale di un
quadrato a partire dal lato distrusse questa concezione.
[segue]
La scienza (2)
Il punto più alto raggiunto dalla matematica greca si colloca però tra il
sec. IV e il III a. C. durante il quale operarono Euclide, Archimede di
Siracusa ed altri.
Euclide (323 a.C. – 286 a.C.) ebbe il merito di raccogliere nel suo
libro «Gli Elementi» (in greco Στοιχεῖα) tutte le ricerche precedenti nel
campo della geometria in una rappresentazione così organica e
completa che, per il rigore delle argomentazioni e per la chiarezza
concettuale, fu guardata per millenni come esempio prestigioso di
cosa deve essere “scienza”.
«Gli Elementi» sono composti da 13 libri:
1. i primi 4 parlano della planimetria elementare (punto, retta, piano,
segmento ecc.);
2. il 5º ed il 6º delle principali proprietà dei segmenti e dei poligoni
relativi alle proporzioni;
3. dal 7º al 10º libro dell'aritmetica dei numeri razionali ed irrazionali;
4. gli ultimi due libri della geometria solida.
[segue]
La scienza (3)
Archimede di Siracusa (287 a.C./212 a.C.) giunse a trattare problemi
attinenti coni e cilindri e superfici limitate da sezioni coniche e loro solidi
di rivoluzione; ad Archimede si devono pure la fondazione della statica,
nonché ricerche sulle leve e sull'equilibrio dei liquidi (il principio di
Archimede: ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un
fluido liquido o gassoso riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto,
uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato dal corpo).
Tipi di sezioni
coniche: i piani,
intersecando il
cono,
descrivono una
circonferenza (in
giallo), un'ellisse
(in rosso), una
parabola (in blu)
e un'iperbole (in
verde)
Apollonio di Perga
studiò le proprietà delle
figure coniche elementari:
ellisse, iperbole, parabola
(con sezione conica si
intende una curva piana
che sia luogo dei punti
ottenibili intersecando la
superficie di un cono
circolare retto con un
piano).
[segue]
La scienza (4)
Strettamente collegate con la matematica furono le ricerche di astronomia
che culminarono nel sec. IV a. C. con l'ipotesi di Eraclide Pontico secondo
cui, mentre il Sole gira intorno alla Terra, Mercurio e Venere ruoterebbero
intorno al Sole, di contro alla tradizionale teoria geocentrica.
Da ricordare la geniale teoria eliocentrica di Aristarco di Samo (una teoria
astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra
ruota attorno al Sole percorrendo una circonferenza) e soprattutto
Eratostene di Cirene (273 a. C. - 192 a. C.) che misurò per primo con
ottima approssimazione le dimensioni (la circonferenza) della Terra con il
solo calcolo.
Metodo di Eratostene: partendo dal presupposto che la Terra è sferica e
non piatta, il 21 giugno del 230 - il giorno del solstizio d'estate -, aveva
potuto constatare che a Siene - l'attuale Assuan, in Egitto - a mezzogiorno
gli oggetti non avevano ombra in quanto il Sole era esattamente sulla
verticale, cioè allo zenit. Inoltre era riuscito ad appurare che, nello stesso
istante, ad Alessandria d'Egitto il Sole formava con la verticale un angolo di
7° 12', che equivale a 1/50 circa di una circonferenza completa. Poiché
secondo Eratostene Alessandria si trovava esattamente a nord di Siene
sullo stesso meridiano e poiché conosceva in modo preciso la
[segue]
La scienza (5)
la distanza fra Siene e Alessandria - 5.000 stadi,
che corrispondono a circa 890 km -,
moltiplicò questa distanza per 50
ottenendo la lunghezza della circonferenza terrestre e quindi del Meridiano
stesso. Secondo il suo calcolo la circonferenza del globo doveva quindi essere
di 44.500 km. Oggi sappiamo che sbagliò,
ma non di molto: con gli strumenti di
precisione a nostra disposizione, sappiamo che
la circonferenza della Terra è di 40.009, 152 km. Considerando
l'epoca, il risultato di Eratostene è perciò strabiliante.
Egli comunque partiva da due presupposti errati: 1) la Terra non è
perfettamente sferica; 2) Alessandria e Siene non sono
esattamente sullo stesso meridiano (le loro longitudini divergono
di circa 3°).
[segue]
La scienza (6)
Una profonda svolta si ebbe anche nell'ambito della medicina che da
scienza o arte puramente empirica e pratica, acquistò una dignità
teoretica notevole. La scienza medica non poteva fondarsi su
un'osservazione immediata dei vari casi, ma esigeva una
specificazione dei metodi e dei concetti in base a un'esperienza
criticamente concepita.
Era questo l’indirizzo della scuola di Cos che, con un complesso di
lavori ascritti (il «Corpus Hippocraticum») a Ippocrate (460 a.C. – 377
a. C.), introdusse il concetto innovativo secondo cui la malattia e la
salute di una persona dipendono da circostanze umane della persona
stessa, non da superiori interventi divini, dal fato e dalla sfortuna.
Ippocrate fu anche il primo a studiare l'anatomia e la patologia (per
farlo applicò la dissezione sui cadaveri), teorizzò la necessità di
osservare i pazienti prendendone in considerazione l'aspetto ed i
sintomi e introdusse per primo i concetti di diagnosi e prognosi. Egli
credeva infatti che solo la considerazione dello stile di vita del malato
permetteva di comprendere e sconfiggere la malattia da cui era
affetto.
[segue]
La scienza (7)
Se tale prospettiva è tutt'oggi tipica della pratica medica, la ricchezza
degli elementi che Ippocrate chiama in causa (dietetici, atmosferici,
psicologici, perfino sociali) suggerisce un'ampiezza di vedute che
raramente sarà in seguito praticata.
L’innovazione di Ippocrate appare ancora più chiara dalle sue critiche
alle teorie della scuola di Cnido. Quest’ultima, sotto l'influenza delle
prime osservazioni scientifiche compiute in area ionica (Talete,
Anassimandro), aveva rafforzato lo spirito di osservazione tipico dei primi
medici itineranti greci, nominati nei poemi omerici. In sostanza la scuola
di Cnido sosteneva una medicina empirica, rozza, che prescriveva una
molteplicità illimitata di rimedi alquanto incontrollati, taluni stranissimi,
alla cui base stava la mancanza assoluta di una prognosi.
Da una parte Ippocrate ha grande stima di tale approccio sperimentale,
ritenendo che grazie ad esso la verità potrà, gradualmente, essere
scoperta; dall'altra parte egli critica il fatto che le osservazioni empiriche
non siano inserite in un quadro scientifico complessivo, che metta ordine
nell'infinita varietà dei fenomeni con i quali il medico si deve confrontare.
Solo questa conoscenza di tipo universale rende il medico
veramente tale.
I Templi di Paestum e la Porta Rosa di Elea
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (1)
Provenienza: Paestum, località Tempa del Prete
Datazione: 480/470 a.C.; data scoperta: 1968
Conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Paestum (SA)
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (2)
Lastra Nord: Scene conviviali e gioco del cottabus,
480/470 a.C., affresco su travertino (cm 224 x 80 x 11)
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (3)
Lastra Sud: Scene conviviali musicali,
480/470 a.C., affresco su travertino (cm 225 x 80 x 11)
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (4)
Lastra Est: Efebo coppiere
480/470 a.C., affresco su travertino (cm 100 x 79 x 12)
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (5)
Lastra Ovest: Corteo simposiale
480/470 a.C., affresco su travertino (cm 100 x 79 x 12)
Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (6)
Lastra di copertura della Tomba del Tuffatore,
480/470 a.C., affresco su travertino (cm 215 x 112 x 20)
Platone: Il Simposio (1)
Il Simposio (in greco Συμπόσιον, noto anche con il titolo latino di
Convivio – si rinvia all’edizione consigliata) è forse il più conosciuto dei
dialoghi di Platone. In particolare, si differenzia dagli altri scritti del
filosofo per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo,
quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli
interlocutori, scelti tra il fior fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un
ampio discorso la propria teoria su Eros ("Amore").
Alcune date importanti per la comprensione del testo:
• 385 a.C.: anno della composizione del Simposio;
• 400 a.C.: anno in cui Apollodoro narra l'avvenimento al suo
conoscente (per l'individuazione di questa data si deve fare
riferimento al fatto che in quel periodo Agatone era ancora ad Atene e
Socrate ancora vivo); Apollodoro è a conoscenza dell’avvenimento
grazie ad Aristodemo che ha partecipato al simposio in quanto invitato
da Socrate che l’ha incontrato casualmente per strada;
• 416 a.C., anno in cui si svolge il racconto del banchetto. Questa data
è importante anche dal punto di vista della situazione politica, per la
partenza imminente della flotta ateniese, in vista della conquista della
Sicilia (sacrilegio delle erme).
[segue]
Platone: Il Simposio (2)
La cornice in cui si inseriscono i vari interventi è rappresentata dal
banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua
vittoria negli agoni delle Lenee (come le Grandi Dionisie con la
differenza che si svolgevano a gennaio – febbraio, erano
frequentate essenzialmente da Ateniesi e si rappresentavano
prevalentemente commedie) del 416 a.C.
Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, il
medico Eurissimaco, il commediografo Aristofane, lo storico
Pausania con il suo amico Fedro.
Ognuno di loro, su invito di Eurissimaco (177 a - e: differenza fra
ornare e dire la verità su Eros) terrà un discorso che ha per
oggetto un elogio di Eros. Verso la fine del dialogo, fa una
clamorosa irruzione anche Alcibiade, completamente ubriaco,
incoronato di edera e di viole, accompagnato dal suo komos (=
corteo rituale), che si presenta per festeggiare Agatone ma che in
realtà descriverà Socrate e la sua pratica di vita (filosofica). [segue]
Platone: Il Simposio (3)
Attenzione: nota su Alciabiade e sulla scelta dell’anno 416.
Sequenza degli interventi:
Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Amore è
il più antico fra tutti gli dei ad essere onorato, come attestano
diversi poeti. È amore a spingere amante e amato a gareggiare in
coraggio, valore, nobiltà d'animo: gli eserciti, se costituiti da tutti
amanti e amati, sono imbattibili (178 e-179 a).
Fedro porta alcuni esempi, primo fra tutti quello di Alcesti (che
sacrificò la propria vita per il marito Admeto e che venne riportata
alla vita grazie ad Eracle), Orfeo ed Achille.
Verso la fine del discorso di Fedro si assiste a un rovesciamento
del concetto greco secondo il quale l'amato è superiore all'amante, perché autosufficiente, non soggetto a urti e scossoni. Qui
invece la superiorità è dell'amante (Alcesti non amata, ma
amante). L'ultima parte del discorso di Fedro sottolinea ed esalta
l’importanza di Amore (180 b).
[segue]
Platone: Il Simposio (4)
Il secondo intervento è di Pausania. Così come esistono due
generi di «Afroditi» (l’Afrodite Urania o Celeste, figlia di Urano, e
l’Afrodite Pandemia o Volgare, figlia di Zeus e di Dione) così
esistono anche due tipi di Amori: il primo detto Celeste, si
accompagna ad Afrodite Urania, il secondo chiamato Volgare, si
accompagna invece ad Afrodite “Pandèmia” (180 d – e).
L'Amore Volgare è volto ad amare i corpi più che le anime,
mentre l’Amore Celeste trascende l’aspetto corporale e si fa
guida verso una dimensione non materiale. L'Amore Volgare,
infatti, ha come unico scopo la brutale soddisfazione dei sensi,
mentre quello Celeste, infinitamente più elevato, spinge ad
educare a cose nobili ed alte colui che si ama.
Il suo discorso si conclude con una ricerca della giustificazione
dell'amore omofilo basandosi sui nomoi (cioè le norme, siano
esse leggi scritte o no) delle varie regioni della Grecia esaltando
infine quello di Atene il cui nomos considera lecito farlo in privato
e riprovevole farlo in pubblico (184 c – 185 c).
[segue]
Platone: Il Simposio (5)
Come terzo, in sostituzione di Aristofane che è colto dal singhiozzo,
interviene Eurissimaco, il quale, da buon medico, considera
l'amore un fenomeno naturale e ne distingue gli aspetti normali da
quelli morbosi.
Nell'esporre la sua teoria si trova d'accordo sulle due specie di
Amore individuate da Pausania con una piccola differenza però: al
posto di Afrodite Pandemia Eurissimaco pone Afrodite Polimnia
(“dai molti inni”, cioè portatrice di disordine).
Amore infatti, come ogni cosa in natura, deve essere armonico ed
equilibrato in ogni sua azione (comunione di opposti). Infatti il
disordine e lo squilibrio insiti in ogni forma di attrazione non possono
riuscire a buon fine, ma determinano contagi, malattie e distruzione:
«ma quando invece l'Amore diventa incontenibile e infuria violento
durante le stagioni dell'anno, produce guasti e distrugge molte
cose» (187 e – 188 c). Come Pausania, Eurissimaco cerca anch'egli
una giustificazione per l’amore omofilo, trovandola in maniera più
fondata nella Natura piuttosto che nelle leggi e nei costumi. [segue]
Platone: Il Simposio (6)
Come quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane (189
c - 193 e), il quale spiega la sua devozione verso Amore per
mezzo di un mito.
All'origine del mondo gli esseri umani erano differenti dagli attuali:
formati da due degli uomini della nostra stessa forma congiunti
però tramite la parte frontale (pancia e petto); inoltre essi erano
di tre generi: il maschile, il femminile e l'androgino, che partecipa
del maschio e della femmina (cioè ἀνδρόγυνος, “uomo-donna”).
La forma degli uomini era inoltre circolare: quattro mani, quattro
gambe, due volti su una sola testa, quattro orecchie, due organi
genitali e tutto il resto come ci si può immaginare.
Questa natura doppia venne però spezzata da Zeus, il quale fu
indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine
di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei;
d’altro canto, eliminarli del tutto avrebbe comportato la perdita
dell’unica forma vivente da cui gli dei erano venerati.
[segue]
Platone: Il Simposio (7)
Di nuovo Aristofane: « Ecco dunque da quanto tempo l’amore
reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura con l’antico
nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di
risanare così la natura umana. Ciascuno di noi è dunque la metà
(σύμβολον = simbolo) di un uomo resecato a mezzo» (191 c- d).
Ma da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio di
ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che
stringersi l’una all’altra, e così muoiono di fame e di torpore per
non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si
estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il
ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire l’unità perduta,
così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle
altre incombenze cui devono attendere:
« Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e
noi eravamo tutti interi: e il nome d'amore dunque è dato per il
desiderio e l'aspirazione all'intero» (192 e).
[segue]
Platone: Il Simposio (8)
Per quinto parla il padrone di casa, Agatone, che definisce Amore
il dio più bello e più nobile.
Egli si incarica di dire «qual è e di quali beni artefice» è Amore:
«Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello
perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei» (195 a);
inoltre «è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come
flessuoso nell'aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi
ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se
fosse inflessibile» (196 a - b). Da sottolineare l'affermazione che
«tra Amore e bruttezza c’è sempre guerra», poiché Amore
simboleggia la bellezza, «la sua esistenza tra i fiori reca una
testimonianza della bellezza della carnagione del dio». Egli non fa
ingiustizia né la subisce, perché “giustizia”, “morigeratezza”,
“potenza” e “sapienza” sono le virtù che lo contraddistinguono (196
b - e). Agatone compone anche versi in onore di Amore (197 c):
«la pace agli uomini e la calma al mare, / tregua dei venti, riposo e
sonno a chi pena». E conclude il suo discorso tessendone un
elogio molto poetico.
[segue]
Platone: Il Simposio (9)
Socrate interviene per sesto.
Sulle prime tenta di schermirsi per la sua incapacità come oratore
(198 a – 199 c), ma sostenuto dalla convinzione che su ogni cosa
«basta dire la verità» (e non tanto “ornare” come hanno fatto
tutti gli altri), decide di fare lo stesso anche con Eros, scegliendo
ed ordinando nel modo migliore le cose più belle. Infatti gli elogi di
Eros fatti dai precedenti oratori poggiavano tutta la loro efficacia
sul dispiego della retorica e su argomentazioni sofistiche,
arrivando a gareggiare nell'associare ad Eros i migliori benefici.
Socrate invece, come detto, parte dalla verità, sottoponendo
Agatone ad un dialogo serrato per raggiungere la definizione o
essenza di Eros (199 c – 201 c). Il risultato cui mette capo il
dialogo fra Socrate e Agatone è che «Amore è amore di alcune
cose», in particolare «di quelle di cui si avverte mancanza» sia
oggi che in futuro»; Eros è «desiderio che l’oggetto resti nostra
intatta proprietà, attuale sempre, in avvenire»
[segue]
Platone: Il Simposio (10)
A questo punto Socrate continua il proprio intervento raccontando il
suo dialogo con Diotìma, sacerdotessa di Mantinea, maestra di
Socrate stesso nella concezione di Amore (201 d - 212 c).
Secondo Diotìma «Amore non è bello [...] e non è neanche buono»,
ma un qualcosa di mezzo tra bello e brutto, tra buono e cattivo, tra
mortale e immortale (202 b 1-5), insomma un dèmone, un semidio
(202 e - 203 a). Fu concepito da Penía (Povertà, Fame), che come
detto dalla sacerdotessa approfittò di Póros (Espediente, Bravo),
ubriaco, alla festa della nascita di Afrodite: egli è quindi un essere
intermedio tra il divino e l'umano che ha le qualità, positive e
negative, sia della madre che del padre (caratteristiche di Eros e
del filosofo: 203 c – 204 c 6).
Ma quale utilità ha Eros per gli uomini? Diotima differisce la
risposta, per chiarire, preliminarmente la definizione di eros: stabilito
che amore è desiderio del bello con lo scopo di possederlo. Ma che
cosa avrà chi ottiene questo possesso? Socrate non lo sa. Per
rendere la risposta più facile, Diotima trasforma il bello nel bene,
che è da noi perseguito per essere felici (204 d - e).
[segue]
Platone: Il Simposio (11)
La felicità, a sua volta, non è desiderata per qualcos'altro: è
dunque lo scopo finale (telos), comune a tutti gli uomini.
Ma se tutti hanno il medesimo scopo, perché alcuni amano e altri
no? Perché, spiega Diotima, si designa come eros solo una certa
forma di amore e gli si dà impropriamente il nome di una totalità
più ampia, cioè si assegna il suo nome a una sola specie del
genere eros (205 a - b).
Ci si comporta analogamente anche con la poiesis (produzione)
che fa venire all'essere qualcosa che non c'era. E' produzione
ogni attività compiuta tramite tecniche: tutti gli artigiani, a rigore,
meritano di essere detti poeti (poietai). Comunemente, però, si
chiama poesia solo una piccola parte di queste attività, quella
concernente la mousiké e il metro (205 c). Anche l'eros, in
senso generico, è qualcosa di più dell'amore nell'accezione
ordinaria: è il desiderio del bene e della felicità, variamente
perseguito con la finanza, la ginnastica o la filosofia (205 d). In
questo senso, dire che l'amore è ricerca della propria metà è
definirlo in modo accidentale (205 e):
[segue]
Platone: Il Simposio (12)
la metà o l'intero vengono perseguiti se sono un bene: se crediamo
che non siano più buoni, ci lasciamo piuttosto amputare anche mani
e piedi. Eros, in generale, è il desiderio che il bene sia con per
sempre (206 a).
Lo spostamento della discussione sull'eros dallo specifico al
generale è parte di una strategia platonica di approssimazione alla
filosofia: per il suo successo diventa necessario contrapporsi ad
Aristofane, che aveva offerto - da buon poeta - una
rappresentazione dell'amore vivida, ma incatenata alla sua istanza
sensibile.
Diotima integra la sua definizione con qualcosa che Socrate non
capisce: l'amore è il desiderio di procreare - o, meglio, di
partorire - nel bello secondo il corpo e secondo l'anima (206 b).
Tutti gli esseri umani concepiscono, nel corpo o nell'anima. Il
concepimento ha luogo nella bellezza e non nella bruttezza (206 c):
è generazione e procreazione nel bello (206 e), alla ricerca
dell'immortalità (207 a). Perché gli esseri umani - e anche quelli non
umani - sono così disposti verso l'eros (207 c)?
[segue]
Platone: Il Simposio (13)
Perché i mortali possono partecipare dell'immortalità solo essendo
continuamente in divenire e lasciando dietro di sé qualcosa di nuovo
a sostituirli (207 d). Ciò vale non solo per il corpo (207 e), ma anche
per la conoscenza (208 a), continuamente minacciata dall’oblio:
mentre gli dei rimangono sempre gli stessi, i mortali devono rinnovarsi
continuamente, per non perire e per non essere dimenticati. Gli
esempi di Diotima riguardano:
• l'ambizione che fa compiere le azioni più irragionevoli per
conquistare una gloria immortale, come mostrano le vicende di
Alcesti e Achille o dell'ultimo re di Atene Codro (208 c - d);
• la generazione di figli (208 e);
• il concepimento dell'anima, che produce prudenza e ogni altra virtù
che è propria dei poeti e degli artigiani inventivi; i suoi frutti più
nobili sono la giustizia e la saggezza per l'ordinamento delle case e
delle città (209 a). Così s'instaurano relazioni con una affettività
molto più forte di quella dei figli, perché hanno esiti più belli e
immortali (209 b - c) - come sono illustrati nelle opere di Omero ed
Esiodo e nelle leggi di Licurgo e Solone (209 d).
[segue]
Platone: Il Simposio (14)
Diotima dice a Socrate che fino al punto in cui sono arrivati avrebbe
anche potuto iniziarsi da solo (209 e). Non è però certa che sarebbe
capace di farlo in merito a ciò che si appresta a introdurre
(presentazione di eros filosofico: 210 a – 212 c)
Diotima presenta a Socrate un processo di ascesa dall’amore
particolare verso l‘amore universale, i cui gradi sono i seguenti:
1. amare un bel corpo che ispiri a produrre bei ragionamenti (210 a);
2. capire che la bellezza di un singolo corpo è sorella di quella di
qualsiasi altro e che, se bisogna perseguire il bello nella sua
forma ideale, sarebbe mancanza d'intelletto non ritenere unica e
identica la bellezza in tutti i corpi: occorre dunque diventare amante
di ogni bel corpo e svalutare l'amore per un corpo solo (210 b);
3. passare dall'apprezzamento della bellezza del corpo a quella
dell'anima, rendendosi conto che l'aspetto fisico è ben poco
rilevante, cercando i ragionamenti che migliorano i giovani,
scoprire la bellezza delle istituzioni e delle norme (nomoi) e
constatare che è dovunque simile a se stessa (210 b - c); [segue]
Platone: Il Simposio (15)
4. passare alle scienze, liberandosi dalla schiavitù di un singolo
ragazzo, di un singolo essere umano o di una singola
istituzione, per rivolgersi al gran mare del bello e,
contemplandolo, generare molti bei ragionamenti e pensieri in
un fruttuoso amore di sapienza (210 c - d);
5. comprendere quell'unica scienza che ha per oggetto il bello
in sé: la filosofia (210 d).
La filosofia, nella forma, specificamente platonica, della dialettica,
è il culmine di una progressione che mette in evidenza quanto
eros, attrazione per la bellezza e filosofia hanno in comune: la
capacità di essere apprezzati in modo disinteressato.
Quando ci innamoriamo e quando diamo un giudizio estetico
mettiamo fra parentesi ogni considerazione di utilità: anche nella
prospettiva della persona ordinaria, chi si innamora per un calcolo
economico non è propriamente innamorato e un giudizio sulla
funzionalità di un oggetto non dice nulla sulla sua bellezza. [segue]
Platone: Il Simposio (16)
Chi sia stato educato fin qui in quanto concerne l'eros,
contemplando ordinatamente e correttamente ciò che è bello,
giunto ormai al suo compimento, avrà all'improvviso davanti agli
occhi qualcosa di meraviglioso e di bello nella sua natura.
Proprio per questo a Socrate sono stati offerti da Diotima tutti i
precedenti travagli: qualcosa che in primo luogo è per sempre, e
non nasce né muore, e non cresce né diminuisce (210 e)
e inoltre non è bello per un verso e per un verso brutto, né ora sì e
ora no, né bello rispetto a una cosa e brutto rispetto a un'altra, né
qui bello e là brutto, così da essere bello per alcuni e brutto per altri
(211 a); né questo bello gli si presenterà come un viso, o delle
mani o altro di cui il corpo partecipi, né come un discorso o una
qualche scienza, né come qualcosa che sia in qualcos'altro, per
esempio in un animale o in terra o in cielo o altrove; bensì esso
stesso in sé e per sé, per sempre uniforme (211 b).
E tutte le altre cose belle ne partecipano in modo tale, che mentre
queste divengono e muoiono, esso non cresce, né diminuisce, né
subisce modificazioni o alterazioni.
[segue]
Platone: Il Simposio (17)
Il percorso corretto, fatto da sé o guidati da altri, su quanto riguarda
l'eros (211 c) è il seguente:
cominciando dalle cose belle di questo mondo e salire sempre più,
quasi usandole come gradini, in vista del bello supremo, da uno a
due e da due a tutti i bei corpi, e dai bei corpi alle belle istituzioni, e
dalle belle istituzioni alle belle nozioni, finché dalle nozioni e dalle
scienze si trovi compimento in quella sapienza, che non è scienza
d'altro se non del bello stesso, e così, in conclusione, si conosca ciò
che è il bello in sé (210 e - 211 c).
La progressione di Diotima è un'ascensione dal sensibile
all'intelligibile, dall'esperienza al concetto, dal particolare
all'universale, dal contingente al necessario, dal divenire all'essere,
dal temporale all'eterno, alla ricerca dei paradigmi razionali della
realtà. Questo processo è illustrato da un mito che racconta della
nostra condizione perché nessuno degli strumenti del nostro
conoscere è di per sé in grado di farci possedere delle verità e delle
realtà eterne.
[segue]
Platone: Il Simposio (18)
Ma la conclusione del processo dialettico / filosofico è rappresentabile
solo in un mito: per questo Socrate, l'uomo del dialogo, la fa
raccontare ad un’entità semidivina Diotima, la forestiera di Mantinea.
Dopo che Socrate ha concluso il suo discorso, irrompe nella sala del
banchetto Alcibiade ubriaco e, dopo una breve schermaglia con
Socrate, ne tesse il più splendido elogio.
Pur senza aver udito le considerazioni di Socrate, Alcibiade viene a
darne la più viva e diretta dimostrazione:
1. Socrate gli è stato maestro, amico, gli ha salvato la vita in
battaglia, gli ha fatto attribuire dagli strateghi, in guerra, quei
riconoscimenti che avrebbe meritato per sé (220 d – e); 2. Socrate gli
ha resistito quando egli gli ha fatto dono della propria bellezza,
perché non a questo mirava; era attratto piuttosto dalla bellezza in sé
(216 d - e); 3. Socrate con i suoi discorsi strani è diverso da ogni
altro uomo, né di oggi né del passato; lo si potrebbe forse paragonare
con i Sileni o i Satiri (221 c - d).
Chiusura del dialogo e atteggiamento finale di Socrate.