Cos’è la Filosofia? a cura di Enzo Galbiati [email protected] filosofiacapriate.Enzogalbiati Per iniziare Ringraziamenti (AC, GAEAF, tutti i presenti) e presentazione Premessa: Lasciare a casa i problemi e le ansie e i dolori … Ascoltare, domandare e leggere. Per tutti? Per alcuni? Aperto a tutti e comprensibile a tutti a patto che: • Pazienza, molta pazienza, molta molta pazienza; • Capacità di ascoltare, di porre e di porsi le domande; • Voglia di apprendere, curiosità per la conoscenza (scienze umane – filologiche e scienze naturali – esatte). Il metodo: ascolto, dialogo continuo, studio. Libro di testo: Platone: Simposio, Apologia di Socrate, Critone e Fedone, Mondadori Editore, Collana Oscar classici greci e latini (2005). Programma del corso (1) Il percorso: Introduzione alla filosofia e poi Aristotele e tarda età classica, medioevo età moderna e contemporanea, con focus sulla condizione odierna (Schopenhauer, Kierkegaard, Marx, Freud, Nietzsche e Darwin). Facciamo sul serio! Vediamo ora il I corso. Venerdì 24 gennaio: Cos’è la filosofia? Presentazione del concetto di filosofia sulla base dei diversi approcci alla filosofia (per epoche storiche o per problemi) e sulla base delle idee / presunzione che ne abbiamo. Panoramica della situazione filosofica attuale. Passo verso la Grecia: excursus storico sul mondo dell’antica Grecia (letteratura, teatro, arte, scienza e democrazia) e finalmente la “filosofia”. Come testo da leggere e commentare il dialogo «Simposio» di Platone in cui si presenta il prototipo del filosofo (Socrate). Programma del corso (2) Venerdì 31 gennaio: i Presocratici fra essere e divenire. ripresa del concetto di filosofia e analisi della figura del filosofo descritto nel «Simposio»; breve trattazione dei Presocratici e in particolare di Parmenide ed Eraclito con il commento di alcuni loro frammenti e loro importanza nella formazione filosofica di Socrate. Come testi da leggere e commentare alcuni frammenti di Parmenide e Eraclito. Venerdì 7 febbraio: L’elogio del nulla dei Sofisti. La figura di Socrate nei confronti dei Sofisti e dei Naturalisti. Breve introduzione alla Sofistica e analisi del poema di Gorgia «Sul non essere o sulla natura» in rapporto con la logica parmenidea e con i tentativi di descrizione della «natura» (φύσις) da parte dei Fisici. Programma del corso (3) Venerdì 21 febbraio: Socrate, la filosofia come scelta di vita. Il «problema Socrate: «i Socrate» di Aristofane, Platone, Aristotele, Senofonte e dei socratici minori. Il «sapere di non sapere», l’ironia, la dialettica, la maieutica, il demone. «Conosci te stesso». Il processo e la condanna a morte. L’importanza della figura di Socrate per la storia della filosofia e per la filosofia in generale. Venerdì 28 febbraio: Platone e l’invenzione dell’anima. Presentazione della vita e della filosofia di Platone (conoscenza come anamnesi, l’idea come essere, la politica come inveramento della filosofia, l’anima e l’amore platonico); superamento delle posizioni dei filosofi precedenti e fondazione della metafisica. Come testi di Platone da leggere e commentare il «Fedone» e alcuni passi dalla VII Lettera. Programma del corso (4) Venerdì 7 marzo: Platone e la repubblica perfetta. Ancora sulla filosofia di Platone: ripresa del «Fedone» e conclusione della presentazione della filosofia platonica con la lettura del «mito della caverna» esposta nel dialogo «La Repubblica». Postilla: oralità e scrittura. In Grecia e in Platone. Alla conclusione del corso una breve considerazione sulla filosofia greca con l’aiuto di tre testi di Nietzsche (scritti fra il 1871 e il 1873 quando aveva meno di 30 anni): 1. «La Nascita della Tragedia dallo Spirito della Musica»; 2. «La filosofia nell’epoca tragica dei Greci»; 3. «Su verità e menzogna in senso extramorale». Cosa è la Filosofia? L’approccio storico: FILOSOFIA (greco: φιλοσοφία, latino: Philosophia, inglese: Philosophy, francese: Philosophie, tedesco: Philosophie) è un nome composto da φιλεῖν (=amare) e da σοφία (=sapere, scienza). Quindi il termine filosofia significa letteralmente: amore per il sapere, passione per la conoscenza, tensione alla scienza. Tre definizioni «classiche» di filosofia: Aristotele (Metafisica Libro I, 982 b, 12-15): «Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia». Platone (Eutidemo, 288 e – 290 d): «Quale è la scienza che, posseduta, costituisce una giusta acquisizione? Non è forse quella che ci sarà di giovamento? Solo la scienza capace sia di produrre, sia di utilizzare il proprio oggetto può rendere felici». Oppure ancora Platone (Teeteto, 173 c – 176 a). Il rischio dell’inizio (1) Questo inizio classico, addirittura didattico, può però essere depistante e fuorviante. Per capire le ragioni della filosofia occorre avere già delle basi scolastiche e culturali adeguate (studi liceali e/o universitari, lunghe ed approfondite letture, una buona conoscenza del mondo…) Giovanni Gentile: lo studio della filosofia come coronamento del sapere e del corso di studi della classe dirigente italiana. Se non si è così «fortunati», si può rischiare di fraintendere lo specifico della filosofia, la sua originalità che da più di 2.500 anni affascina ed attira le menti migliori. «Vuoi ottenere la vera libertà? Renditi schiavo della filosofia» (Seneca). Il rischio dell’inizio (2) Per esempio: che idea abbiamo oggi della filosofia? 1. sforzo inutile e vano di capire la vita: «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia» (W. Shakespeare, Amleto, atto I scena V); «Non sarai mai felice se continui a cercare in che cosa consista la felicità. Non vivrai mai se stai cercando il significato» della vita» (A. Camus, Il mito di Sisifo). 2. Archivio o regesto di massime utili per abbellire discorsi e lezioni o trasmissioni televisive, ottimamente compendiate dalle due seguenti citazioni: «Sembra impossibile, ma tutto quello che c’è di divertente nella vita dicono i filosofi che sia immorale oppure illegale. Al minimo fa ingrassare!» (P.G. Wodehouse) «Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno» (O. Wilde) Il rischio dell’inizio (2) Eppure, molti uomini per millenni si sono affaticati introno a quella cosa che chiamiamo filosofia, nonostante la supposta sua inutilità. Forse uno dei modi migliori per afferrarne la forza di attrazione è la testimonianza e/o le scelte di vita di chi ha deciso di percorrere lo studio della filosofia. Cosa c’era vent’anni fa e c’è ancora oggi dentro la filosofia (l’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera…): • Heidegger, ermeneutica, fenomenologia, decostruzionismo, pensiero debole e le varie mode post-moderne; • Il contrasto analitici / continentali; • la tradizione marxista e la tradizione cattolica; • alcuni pensatori italiani significativi (Severino, Sini, Ferraris, Vattimo) ma anche alcuni grandi della letteratura italiana (Dante, Machiavelli, Galilei, Vico, Manzoni, Calvino); • e infine il più grande di tutti: Leopardi. Il rischio dell’inizio (3) Tante opzioni per capire le quali occorre però avere chiaro preliminarmente che cosa è la filosofia (il cosiddetto approccio per problemi) Facciamoci aiutare da un filosofo contemporaneo americano: Thomas Nagel: What Does It All Mean? A Very Short Introduction to Philosophy (1987, trad. it. Il Saggiatore): 1. Cosa NON E’ la filosofia: «La filosofia è diversa dalla scienze e dalla matematica. Diversamente dalla scienza non fa assegnazione sugli esprimenti e sull’osservazione, ma solo sul pensiero. E diversamente dalla matematica non ha un metodo formale di dimostrazione. Si fa filosofia solo ponendo questioni, argomentando, elaborando idee e pensando ad argomenti possibili per confutarle e chiedendosi come davvero funzionano i nostri concetti». [segue] Il rischio dell’inizio (4) 2. Cosa E’ la filosofia: La filosofia sembra consistere in una catena di domande e tentativi di risposte ricorrenti nel tempo. Domande e risposte sono di un tipo particolare e relativamente facili da riconoscere. Secondo Nagel i problemi filosofici ricorrenti nella storia dell’uomo (e non solo della filosofia!) sono: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. La conoscenza del mondo al di là delle nostre menti La conoscenza di menti al di là della nostra La relazione tra mente e corpo Come è possibile il linguaggio Libero arbitrio Il fondamento della moralità Quali ineguaglianze sono ingiuste La natura della morte Il significato della vita. [segue] Il rischio dell’inizio (5) Ogni problema filosofico può essere affrontato (ed è stato effettivamente trattato nel corso della storia dell’uomo e non solo della storia della filosofia!) da almeno due diversi e contrapposti punti di vista (seguendo lo stesso ordine dell’elenco dei problemi): 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. scetticismo / realismo solipsismo / criticismo fisicalismo / spiritualismo nominalismo / concettualismo libertà / determinismo relativismo / tradizionalismo contrattualismo / giusnaturalismo fideismo / razionalismo materialismo / idealismo [segue] Il rischio dell’inizio (6) 3. La filosofia come infanzia / adolescenza dell’intelletto: «Le nostre capacità analitiche sono spesso altamente sviluppate prima che abbiamo imparato gran che sul mondo, e intorno ai 14 anni di età le persone cominciano a pensare per conto loro ai problemi filosofici. Si è scritto per centinaia di anni su questi problemi ma il materiale filosofico grezzo viene direttamente dal mondo, dalla nostra relazione con esso, e non dagli scritti del passato. Ecco perché quei problemi si ripresentano continuamente nella testa della gente che non ha letto nulla in proposito». Se è così allora occorre tornare all’infanzia della nostra civiltà dove queste domande sono state poste per la prima volta in modo autentico e radicale. L’approccio storico e l’approccio per problemi trovano un punto di contatto. Una definizione di filosofia La voce fuori campo del bambino nel film «Il cielo sopra Berlino» di Wim Wenders (studi di filosofia e teologia alle spalle prima di fare il regista) che a mo' di filastrocca ripeteva: «Quando il bambino era bambino era il tempo di queste domande: perché io sono io e perché non sei tu? Perché sono qui e perché non sono lì? Quando comincia il tempo e dove finisce lo spazio? La vita sotto il sole è forse solo un sogno? C'è veramente il male e persone veramente cattive? Come può essere che io, che sono io, non c'ero, e che un giorno io, che sono io ora e qui, non sarò più quello che sono qui ed ora?». Considerazioni emerse nel primo incontro La filosofia come disciplina superflua. La filosofia come teoria importantissima soprattutto per definire / influenzare la politica e/o le ideologie politiche e culturali. La filosofia come critica dei limiti del sapere, come discorso - mai conclusivo o definitivo - sulla verità della natura, della realtà e della cultura. Confronto con gli altri «saperi» (scientifici e/o letterari). La filosofia come scelta di vita (oggi e soprattutto nel passato). Tornare alle origini! Premesse e contesto della filosofia Procederemo usando sia l’approccio storico che l’approccio per problemi con riferimento alla Grecia classica (VI – IV secolo avanti Cristo) analizzando in particolare: 1. 2. 3. 4. 5. la storia dell’antica Grecia in breve il concetto e la pratica della democrazia ad Atene l’arte e la letteratura il teatro la scienza Suggerimenti bibliografici: M. Finley: Il mondo dei Greci, 1987, Einaudi Editore. L. Canfora: Il mondo di Atene, 2011, Laterza Editore Storia greca in breve (1) Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo) 1196: data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia 800/700: Licurgo a Sparta elabora e applica la mitica e severa costituzione; diviene comune la denominazione di Elleni. Inizio della colonizzazione greca (estesa migrazione ellenica verso nordest e ovest) 776: data della prima Olimpiade 621: costituzione di Dracone ad Atene: primo codice legislativo scritto 594: Solone arconte e riforma censitaria censitaria con la popolazione divisa in quattro classi e rafforzamento dell’Areopago. Dopo Solone: prima anarchia in Atene con tre fazioni 561/556: tirannide di Pisistrato ad Atene e nascita della polis democratica 528–511/510: Tirannia dei pisistratidi Ippia e Ipparco; 514: congiura di Armodio e Aristogitone, con morte di Ipparco; 511/510: Spartani e Alcmeonidi pongono fine alla tirannide di Ippia [segue] Storia greca in breve (2) Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo) 508: riforma di Clistene: si forma un consiglio di cinquecento membri 490: prima guerra persiana per iniziativa di Dario (i persiani Data e Artaferne occupano l’Eubea) Battaglia di Maratona: Ateniesi e Plateesi contro Persiani > vittoria greca grazie a Milziade 481: congresso panellenico di Corinto: costituita la Lega contro la Persia con a capo Sparta. 480/478: seconda guerra persiana voluta da Serse (generale persiano Mardonio in Tessaglia per scendere in Grecia) Battaglia delle Termopili con resistenza di Leonida e trecento spartani; Battaglia di Salamina progettata da Temistocle dopo la distruzione persiana dell’Attica e di Atene. Vittoria greca di Platea (sulla terra) e Micale (sul mare) 477: nasce la Lega di Delo, un accordo con caposaldo ateniese 471: ostracismo di Temistocle (filoautonomista) e dominio di Cimone (filospartano) [segue] Storia greca in breve (3) Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo) 459/429: Pericle sulla scena politica ad Atene: prime azioni della politica periclea antipersiana e antispartana 454: trasferimento del tesoro della Lega da Delo ad Atene, con trasformazione della Lega stessa in Lega delio-attica 432: congresso Lega Peloponnesiaca decide la guerra al rifiuto ateniese degli accordi proposti 431/404: Guerra del Peloponneso; […]; 411 colpi di stato ad Atene: il potere, tornato all’oligarchia dei Quattrocento, viene subito abbattuto dai democratici. Trasibulo, capo dei democratici, richiama Alcibiade, che prende il controllo della flotta di stanza a Samo. 405: Vittoria spartana a Egospotami 404: Atene assediata di arrende agli Spartani: instaurazione dell’oligarchia filospartana dei Trenta Tiranni (Crizia) [segue] Storia greca in breve (4) Le date sono tutte A.C. (= avanti Cristo) 404/379: pace generale e fine della Guerra del Peloponneso. Egemonia di Sparta su tutta la Grecia 403: restaurazione ad Atene del governo democratico dei Cinquecento ad opera di Trasibulo 399: processo e condanna a morte di Socrate 379/362: egemonia di Tebe su tutta la Grecia Pace generale e fine dell’egemonia tebana 359/336: l’egemonia macedone di Filippo II 337: congresso panellenico a Corinto riconosce il potere di Filippo, che prepara una spedizione contro la Persia 336: assassinio di Filippo II e ascesa al trono di Alessandro 336/323: l’età di Alessandro Magno e del suo impero. La democrazia ad Atene (1) Le poleis (= le città - stato) erano veri e propri centri politici, economici e militari, retti da governi autonomi e indipendenti. L'agglomerato urbano era costituito dalla città, solitamente circondata da mura, e dal territorio circostante, adibito prevalentemente all'agricoltura e all'allevamento. Il centro vitale della polis era l'agorà, sede del mercato e delle assemblee popolari, assieme all'acropoli, luogo fortificato per la difesa dei cittadini e che ospitava il tempio della divinità tutelare. Secondo alcuni studiosi, la struttura della città-stato, associata alla particolare conformazione geografica del territorio, fu uno dei principali ostacoli all'unità politica greca. Anche i giochi pubblici contribuirono a rinsaldare l'unità culturale ellenica. Oltre a quelli nemei, istmici e pitici, i più importanti furono i giochi Olimpici in onore di Zeus. Questa manifestazione, che si svolgeva ogni quattro anni ad Olimpia, divenne tanto famosa che la data della prima Olimpiade (776 a.C.) servì da punto di partenza della datazione greca. [segue] La democrazia ad Atene (2) Ad Atene, nel 507 a.C., Clistene realizza la più importante riforma politica della storia: la costituzionalizzazione della democrazia. Il suo obiettivo è limitare il potere degli aristocratici e fare partecipare al governo anche i meno ricchi (i cosiddetti «molti»). Clistene riorganizza la città-stato di Atene: abolisce le quattro classi di cittadini basate sulla ricchezza decise da Solone, organizza il territorio di Atene (più propriamente l’Attica) in tre parti: la città di Atene e il suo porto, le pianure sulla costa, l’entroterra collinare e montuoso. La città –stato era divisa in 100 piccole parti chiamate demes (unità di governo locale) riunite a loro volta in 10 tribù. Alla vita politica di ogni demos potevano partecipare tutti i cittadini ateniesi maschi con più di 20 anni; erano esclusi gli schiavi, i meteci (stranieri) e le donne. [segue] La democrazia ad Atene (3) I cittadini appartenevano a un demos / tribù per territorio di residenza e non per nascita. Tutti i cittadini potevano partecipare all’assemblea (ἐκκλησία), l’organo politico sovrano fondamentale che si riuniva per un minimo di 40 sedute all’anno e un quorum di 6.000 cittadini per le sedute plenarie ed altre speciali occasioni (in quest’ultimo caso la presenza era retribuita). L’assemblea discuteva ed approvava le proposte del Consiglio soprattutto eleggeva e controllava i propri rappresentanti alle diverse cariche. Metodi di selezione o elezione dei rappresentanti: per essere rappresentati nel Consiglio, nella Magistratura e nei Tribunali (ma NON fra gli Strateghi), i demes eleggevano un numero di candidati proporzionali alla loro grandezza La scelta dei candidati era fatta mediante sorteggio. [segue] La democrazia ad Atene (4) La durata delle cariche era breve e di solito non era prevista la possibilità di rielezione. Tutti i rappresentanti / funzionari era remunerati per i loro incarichi. Con la scelta sistematica del sorteggio come metodo di selezione della classe politica gli Ateniesi ritenevano che tutti i cittadini avessero le stesse possibilità di tenere le cariche. I rappresentanti delle 10 tribù formavano la bulé (βουλή) ossia il Consiglio dei 500 (ogni tribù sceglieva 50 rappresentanti con più di 30 anni di età). Il Consiglio dei 500 durava all’incirca un anno ed era la commissione esecutiva e organizzativa dell’Assemblea: si occupava di politica estera, esercito, religione e lavori pubblici, oltre a proporre nuove leggi al voto dell’Assemblea. [segue] La democrazia ad Atene (5) A guidare i lavori del Consiglio c’era la Commissione dei 50 (scelti a rotazione fra i componenti del Consiglio in modo proporzionale alle tribù); l’incarico dei Commissari durava 1/10 della durata del Consiglio. A capo della Commissione vi era il Presidente che teneva la carica per un solo giorno. Altri incarichi scelti a sorteggio erano: a) Magistrati (una carica tenuta di regola da un Consiglio dei 10); b) i Tribunali (grandi giurie popolari composte da 201 e spesso oltre 501 cittadini). Infine gli Strateghi, cioè i Generali militari: erano 10 (uno per ogni tribù) e venivano scelti dai cittadini ateniesi mediante elezione diretta ed erano anche rieleggibili (è il caso per esempio di Pericle). La pratica della democrazia ad Atene: l’ Epitaffio di Pericle da Tucidide «La guerra del Peloponneso», libro II, 34-36. La democrazia ad Atene (6) Arte: il Canone (1) Alcune immagini per l’arte. Vedi a lato quello che è considerato il Canone (=la regola): il Doriforo (=il portatore di lancia) dello scultore Policleto (conservato al Museo Archeologico di Napoli). Secondo il canone di Policleto, l’unità di misura da cui bisogna partire è l’altezza della testa, pari a 1/8 dell’altezza totale del corpo intero. Per ricostruire lo schema strutturale della figura umana, quindi, basta prendere come riferimento la misura della testa e riportarla altre 7 volte su un asse verticale. [segue] Arte: il Canone (2) Cominciando dall'alto, il primo segmento si ferma all'altezza del mento; il secondo, alle ascelle; il terzo ai fianchi; il quarto all'inguine; il quinto a metà della coscia, il sesto alle ginocchia; il settimo a metà della parte inferiore delle gambe; l'ottavo arriva fino a terra. Altri parametri del corpo dell'uomo ideale sono ad esempio: il viso, se misurato dal mento alla sommità della fronte, alla radice dei capelli, corrisponde a un decimo dell'altezza del corpo. La stessa proporzione si presenta nella mano aperta se viene misurata dalla sua articolazione fino alla punta del dito medio. L'altezza del viso si divide in tre parti uguali: dal mento alla base delle narici, dal naso fino al punto d'incontro con le sopracciglia e da queste alla radice dei capelli. Il piede è la sesta parte dell'altezza del corpo e così via. Rispettando tali proporzioni i pittori e gli scultori dell'antichità ottennero risultati strabilianti (vedi i due allegati sulla storia dell’arte). Letteratura «Cantami, o diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor salme abbandonò (così di Giove l'alto consiglio s'adempia), da quando primamente disgiunse aspra contesa il re de' prodi Atride e il divo Achille» Ovviamente è il proemio dell’Iliade…. Suggerimenti bibliografici: Omero: Iliade, 2005, Einaudi Editore Omero: Odissea, 2004, Einaudi Editore Entrambe le versioni sono di Rosa Calzecchi Onesti (consigliata). Tragedia greca: origini (1) Le Dionisie erano delle celebrazioni liturgiche dedicate al dio Dioniso. Nel corso di tali festività gli autori erano chiamati a gareggiare in agoni tragici e agoni comici. L'istituzione delle Dionisie è generalmente attribuita al tiranno Pisistrato e riconducibile agli anni compresi tra il 535 ed il 532 a.C. circa. L'importanza di celebrare questo culto ha radici profonde, da ricercarsi non solo in ambito religioso, ma in quello più strettamente culturale e socio-politico. Durante le Dionisie ogni attività della città si fermava e tutti i cittadini erano invitati a collaborare all'evento (circa 30.000). Tale era la necessità di coesione sociale che i procedimenti legali venivano interrotti mentre i reclusi nelle carceri venivano temporaneamente rilasciati per partecipare alle feste. Le Grandi Dionisie si svolgevano ad Atene tra l’8 ed il 14 del mese di Elafebolione del calendario attico, corrispondente ai mesi di marzo-aprile. [segue] Tragedia greca: origini (2) Luogo e periodo non sono certo casuali: in primavera, infatti, le condizioni di navigabilità del mar Egeo erano ottimali, garantendo alla polis la presenza di un numero considerevole di stranieri. Questa particolare condizione di cosmopolitismo permetteva agli ateniesi sia di mostrare la propria superiorità culturale, sia di farne occasione di propaganda politica e militare di fronte alle altre città greche. All'apertura delle Dionisie, dopo una processione di vergini, un araldo presentava agli spettatori gli orfani di guerra che avevano raggiunto l'età efebica: questi ultimi venivano rivestiti di un'armatura, segno di maturità, e prendevano posto in teatro. La vestizione degli efebi era seguita dalla celebrazione della potenza militare di Atene ma anche dell'istituzione civica stessa, in quanto i giovani orfani erano allevati e vestiti a spese dello stato. In quell'occasione venivano esposti anche i tributi che ogni anno le città alleate versavano ad Atene, segno anche questo distintivo di un'egemonia della polis sulle altre. [segue] Tragedia greca: origini (3) Il cosmopolitismo che si respirava nel corso delle Dionisie cittadine si riflesse anche sugli argomenti delle tragedie presentate, che affrontavano temi di ampio respiro. L'organizzazione delle feste era affidata all'arconte eponimo. L'arconte eponimo, appena assunta la carica, provvedeva a scegliere tre dei cittadini più ricchi ai quali affidare la "coregia", cioè l'allestimento di un coro tragico: nell'Atene democratica i cittadini più abbienti erano tenuti a finanziare servizi pubblici come "liturgia", cioè come tassa speciale. Le Dionisie seguivano un calendario predeterminato. Il giorno 8 di Elafebolione si svolgeva il preagone, a cui partecipavano in pompa magna gli autori, i coreghi, i musicisti, i coreuti e gli attori che informavano il pubblico dell'argomento delle tragedie in programma. [segue] Tragedia greca: origini (4) Il giorno 9 veniva invece fatta una processione nel corso della quale la statua di Dioniso veniva trasportata dal tempio al teatro dopo un percorso specifico. Usuali erano riti sacrificali ed offerte votive. Il giorno 10 iniziava la festa vera e propria: aveva infatti luogo una solenne processione cui partecipavano tutti gli ateniesi e gli stranieri presenti in città e che culminava con il sacrificio di un toro e con offerte votive a Dioniso. La festa religiosa era intesa come momento di grande coesione sociale. Nel corso del pomeriggio si svolgevano gli agoni ditirambici istituiti nel 508 a.C. La competizione vedeva in gara dieci cori, ciascuno in rappresentanza di una delle dieci tribù in cui l'Attica era divisa. Probabilmente la stessa notte aveva luogo una festa istituzionalizzata che durava fino a tardi e alla quale il vino, il furore orgiastico e l'euforia non dovevano essere estranei. . [segue] Tragedia greca: origini (5) Il giorno 11 si presentavano in teatro cinque commedie, ridotte poi a tre nel corso della guerra del Peloponneso per via delle condizioni economiche nelle quali Atene versava La riduzione del numero delle commedie diminuì la durata delle Dionisie di un giorno, perché le tre rappresentazioni furono spostate ciascuna in coda ad una tetralogia, che venivano messe in scena in tre giorni differenti. Gli agoni comici si svolsero a partire dal 486 a.C. circa. Proprio gli ultimi tre giorni festivi, il 12, il 13 e il 14 di Elafebolione, erano dedicati allo svolgimento degli agoni tragici, nel corso dei quali veniva proposta la rappresentazione di una tetralogia (= 4 tragedie) per giorno. Al termine delle rappresentazioni veniva proclamato il vincitore. Tragedia greca: struttura (1) La tragedia greca è strutturata secondo uno schema rigido: 1. la tragedia inizia generalmente con un prologo (da prò e logos = discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il dramma; 2. segue la pàrodo, che consiste nell'entrata in scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi; 3. l'azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la situazione che si sta sviluppando sulla scena; 4. la tragedia si conclude con l'esodo (èxodos). La tragedia veniva inscenata da un gruppo di 15 persone, chiamato Coro, narrava l'antefatto cantandolo. Dal coro si staccavano poi dai 2 ai 5 attori che mettevano in scena lo spettacolo. [segue] Tragedia greca: struttura (2) Ma ben presto prende importanza l'attore (il "protagonista"), che viene affiancato da un secondo attore ("deuteragonista") e poi (ad opera di Sofocle) da un terzo ("tritagonista"). A causa dell'interazione tra gli attori, che dialogano tra di loro, ecco che il baricentro dell'azione si sposta sul loro dialogo. Il Coro tende a diventare quasi uno sfondo scenico, agendo in modo complesso con l'azione. Gli attori recitano in trimetri giambici, metro che produce una cadenza molto vicina al parlato e non sono accompagnati da musica, mentre il Coro è continuamente accompagnato dal suono del flauto. Il compito del Coro è anche quello di spiegare al pubblico azioni e reazioni che avvengono sulla scena, le quali, per motivi ovvi, non sono di facile e immediata comprensione. Il Coro è neutrale rispetto agli attori e alle loro azioni, e svolge la funzione di "narratore". [segue] Tragedia greca: struttura (3) I cittadini greci infatti erano obbligati a partecipare agli spettacoli (Dionisie), in modo che tramite questi si arrivasse a quella purificazione dei mali e presa visione dei proprio limiti che era chiamata da Aristotele catarsi. Nella Poetica (1452 b) Aristotele afferma che la situazione più adatta alla tragedia greca è quella di un uomo che non abbia qualità fuori dal comune né per virtù né per giustizia, e che si ritrovi a passare da una condizione di felicità ad una di infelicità, non per colpa della propria malvagità, ma a causa di un errore. Il mutamento può avvenire a causa di una peripezia o di un riconoscimento, oppure, nei casi migliori, di entrambi (Poetica 1452 a). Questo, come riconosce Aristotele stesso, è il caso della tragedia di Sofocle “Edipo re”, che in questo modo rappresenta uno degli esempi più paradigmatici dei meccanismi di funzionamento della tragedia greca. Edipo re di Sofocle « Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà » (Tiresia ad Edipo, Edipo re, v. 438) «Edipo re» (in lingua originale Οιδίπoυς τύραννoς , Oidípus týrannos) è una tragedia di Sofocle, ritenuta il suo capolavoro, nonché il più paradigmatico esempio dei meccanismi della tragedia greca. La data di rappresentazione è ignota, ma si ipotizza che essa possa collocarsi al centro della attività artistica del tragediografo (430-420 a.C. circa). Trama in sintesi (si suggerisce l’edzione pubblicata nei Meridiani Mondadori a cura di Dario Del Corno) Interpretazioni della tragedia: la fragilità dell’esperienza umana, volontà divina e responsabilità individuale, la tragicità del conoscere, l’interpretazione psicanalitica. La Poetica di Aristotele Citazione da Poetica 1449 b 24: «Tragedia è dunque imitazione di un'azione seria e compiuta, avente una propria grandezza, con parola ornata, distintamente per ciascun elemento nelle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni». La catarsi è la liberazione da ciò che è estraneo all'essenza o natura di una cosa e che perciò la disturba o corrompe. Il termine è di origine medica e significa purga, purificazione da un male. In Aristotele indica quella specie di liberazione o di rasserenamento che l'uomo subisce ad opera della poesia, del dramma e della musica. La catarsi dunque come una specie di cura delle affezioni (corporee e/o spirituali) che non le abolisce ma le porta alla misura in cui esse sono compatibili con la ragione. La scienza (1) La Grecia è il luogo di nascita del vero e proprio sapere scientifico: la matematica, la geometria, l'astronomia, la statica e la medicina trovarono le condizioni per costituirsi come discipline con metodo e contenuto definiti. Iniziatori del lungo processo che portò all'affermazione di un orientamento razionale, liberando la cultura greca nel suo complesso dalle influenze mitico-religiose precedenti, furono i filosofi o fisici della Scuola di Mileto (sec. VI a. C.: Talete, Anassagora, Anassimene). Ma fu con Pitagora e la sua scuola che vennero poste le basi della matematica, intesa come scienza razionale formulata nei suoi fondamenti astratti e avulsa da ogni contesto empirico. Pitagora basava la sua concezione del mondo sui rapporti tra numeri interi ovvero sui numeri razionali (p.e.: ⅔) e pensava che ogni cosa esistente al mondo potesse essere ridotta a tali numeri. La scoperta dell'irrazionalità (cioè della non commensurabilità) della √2 nel calcolo della diagonale di un quadrato a partire dal lato distrusse questa concezione. [segue] La scienza (2) Il punto più alto raggiunto dalla matematica greca si colloca però tra il sec. IV e il III a. C. durante il quale operarono Euclide, Archimede di Siracusa ed altri. Euclide (323 a.C. – 286 a.C.) ebbe il merito di raccogliere nel suo libro «Gli Elementi» (in greco Στοιχεῖα) tutte le ricerche precedenti nel campo della geometria in una rappresentazione così organica e completa che, per il rigore delle argomentazioni e per la chiarezza concettuale, fu guardata per millenni come esempio prestigioso di cosa deve essere “scienza”. «Gli Elementi» sono composti da 13 libri: 1. i primi 4 parlano della planimetria elementare (punto, retta, piano, segmento ecc.); 2. il 5º ed il 6º delle principali proprietà dei segmenti e dei poligoni relativi alle proporzioni; 3. dal 7º al 10º libro dell'aritmetica dei numeri razionali ed irrazionali; 4. gli ultimi due libri della geometria solida. [segue] La scienza (3) Archimede di Siracusa (287 a.C./212 a.C.) giunse a trattare problemi attinenti coni e cilindri e superfici limitate da sezioni coniche e loro solidi di rivoluzione; ad Archimede si devono pure la fondazione della statica, nonché ricerche sulle leve e sull'equilibrio dei liquidi (il principio di Archimede: ogni corpo immerso parzialmente o completamente in un fluido liquido o gassoso riceve una spinta verticale dal basso verso l'alto, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato dal corpo). Tipi di sezioni coniche: i piani, intersecando il cono, descrivono una circonferenza (in giallo), un'ellisse (in rosso), una parabola (in blu) e un'iperbole (in verde) Apollonio di Perga studiò le proprietà delle figure coniche elementari: ellisse, iperbole, parabola (con sezione conica si intende una curva piana che sia luogo dei punti ottenibili intersecando la superficie di un cono circolare retto con un piano). [segue] La scienza (4) Strettamente collegate con la matematica furono le ricerche di astronomia che culminarono nel sec. IV a. C. con l'ipotesi di Eraclide Pontico secondo cui, mentre il Sole gira intorno alla Terra, Mercurio e Venere ruoterebbero intorno al Sole, di contro alla tradizionale teoria geocentrica. Da ricordare la geniale teoria eliocentrica di Aristarco di Samo (una teoria astronomica nella quale il Sole e le stelle fisse sono immobili mentre la Terra ruota attorno al Sole percorrendo una circonferenza) e soprattutto Eratostene di Cirene (273 a. C. - 192 a. C.) che misurò per primo con ottima approssimazione le dimensioni (la circonferenza) della Terra con il solo calcolo. Metodo di Eratostene: partendo dal presupposto che la Terra è sferica e non piatta, il 21 giugno del 230 - il giorno del solstizio d'estate -, aveva potuto constatare che a Siene - l'attuale Assuan, in Egitto - a mezzogiorno gli oggetti non avevano ombra in quanto il Sole era esattamente sulla verticale, cioè allo zenit. Inoltre era riuscito ad appurare che, nello stesso istante, ad Alessandria d'Egitto il Sole formava con la verticale un angolo di 7° 12', che equivale a 1/50 circa di una circonferenza completa. Poiché secondo Eratostene Alessandria si trovava esattamente a nord di Siene sullo stesso meridiano e poiché conosceva in modo preciso la [segue] La scienza (5) la distanza fra Siene e Alessandria - 5.000 stadi, che corrispondono a circa 890 km -, moltiplicò questa distanza per 50 ottenendo la lunghezza della circonferenza terrestre e quindi del Meridiano stesso. Secondo il suo calcolo la circonferenza del globo doveva quindi essere di 44.500 km. Oggi sappiamo che sbagliò, ma non di molto: con gli strumenti di precisione a nostra disposizione, sappiamo che la circonferenza della Terra è di 40.009, 152 km. Considerando l'epoca, il risultato di Eratostene è perciò strabiliante. Egli comunque partiva da due presupposti errati: 1) la Terra non è perfettamente sferica; 2) Alessandria e Siene non sono esattamente sullo stesso meridiano (le loro longitudini divergono di circa 3°). [segue] La scienza (6) Una profonda svolta si ebbe anche nell'ambito della medicina che da scienza o arte puramente empirica e pratica, acquistò una dignità teoretica notevole. La scienza medica non poteva fondarsi su un'osservazione immediata dei vari casi, ma esigeva una specificazione dei metodi e dei concetti in base a un'esperienza criticamente concepita. Era questo l’indirizzo della scuola di Cos che, con un complesso di lavori ascritti (il «Corpus Hippocraticum») a Ippocrate (460 a.C. – 377 a. C.), introdusse il concetto innovativo secondo cui la malattia e la salute di una persona dipendono da circostanze umane della persona stessa, non da superiori interventi divini, dal fato e dalla sfortuna. Ippocrate fu anche il primo a studiare l'anatomia e la patologia (per farlo applicò la dissezione sui cadaveri), teorizzò la necessità di osservare i pazienti prendendone in considerazione l'aspetto ed i sintomi e introdusse per primo i concetti di diagnosi e prognosi. Egli credeva infatti che solo la considerazione dello stile di vita del malato permetteva di comprendere e sconfiggere la malattia da cui era affetto. [segue] La scienza (7) Se tale prospettiva è tutt'oggi tipica della pratica medica, la ricchezza degli elementi che Ippocrate chiama in causa (dietetici, atmosferici, psicologici, perfino sociali) suggerisce un'ampiezza di vedute che raramente sarà in seguito praticata. L’innovazione di Ippocrate appare ancora più chiara dalle sue critiche alle teorie della scuola di Cnido. Quest’ultima, sotto l'influenza delle prime osservazioni scientifiche compiute in area ionica (Talete, Anassimandro), aveva rafforzato lo spirito di osservazione tipico dei primi medici itineranti greci, nominati nei poemi omerici. In sostanza la scuola di Cnido sosteneva una medicina empirica, rozza, che prescriveva una molteplicità illimitata di rimedi alquanto incontrollati, taluni stranissimi, alla cui base stava la mancanza assoluta di una prognosi. Da una parte Ippocrate ha grande stima di tale approccio sperimentale, ritenendo che grazie ad esso la verità potrà, gradualmente, essere scoperta; dall'altra parte egli critica il fatto che le osservazioni empiriche non siano inserite in un quadro scientifico complessivo, che metta ordine nell'infinita varietà dei fenomeni con i quali il medico si deve confrontare. Solo questa conoscenza di tipo universale rende il medico veramente tale. I Templi di Paestum e la Porta Rosa di Elea Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (1) Provenienza: Paestum, località Tempa del Prete Datazione: 480/470 a.C.; data scoperta: 1968 Conservata presso il Museo Archeologico Nazionale di Paestum (SA) Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (2) Lastra Nord: Scene conviviali e gioco del cottabus, 480/470 a.C., affresco su travertino (cm 224 x 80 x 11) Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (3) Lastra Sud: Scene conviviali musicali, 480/470 a.C., affresco su travertino (cm 225 x 80 x 11) Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (4) Lastra Est: Efebo coppiere 480/470 a.C., affresco su travertino (cm 100 x 79 x 12) Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (5) Lastra Ovest: Corteo simposiale 480/470 a.C., affresco su travertino (cm 100 x 79 x 12) Il simposio: la tomba del Tuffatore di Paestum (6) Lastra di copertura della Tomba del Tuffatore, 480/470 a.C., affresco su travertino (cm 215 x 112 x 20) Platone: Il Simposio (1) Il Simposio (in greco Συμπόσιον, noto anche con il titolo latino di Convivio – si rinvia all’edizione consigliata) è forse il più conosciuto dei dialoghi di Platone. In particolare, si differenzia dagli altri scritti del filosofo per la sua struttura, che si articola non tanto in un dialogo, quanto nelle varie parti di un agone oratorio, in cui ciascuno degli interlocutori, scelti tra il fior fiore degli intellettuali ateniesi, espone con un ampio discorso la propria teoria su Eros ("Amore"). Alcune date importanti per la comprensione del testo: • 385 a.C.: anno della composizione del Simposio; • 400 a.C.: anno in cui Apollodoro narra l'avvenimento al suo conoscente (per l'individuazione di questa data si deve fare riferimento al fatto che in quel periodo Agatone era ancora ad Atene e Socrate ancora vivo); Apollodoro è a conoscenza dell’avvenimento grazie ad Aristodemo che ha partecipato al simposio in quanto invitato da Socrate che l’ha incontrato casualmente per strada; • 416 a.C., anno in cui si svolge il racconto del banchetto. Questa data è importante anche dal punto di vista della situazione politica, per la partenza imminente della flotta ateniese, in vista della conquista della Sicilia (sacrilegio delle erme). [segue] Platone: Il Simposio (2) La cornice in cui si inseriscono i vari interventi è rappresentata dal banchetto, offerto dal poeta tragico Agatone per festeggiare la sua vittoria negli agoni delle Lenee (come le Grandi Dionisie con la differenza che si svolgevano a gennaio – febbraio, erano frequentate essenzialmente da Ateniesi e si rappresentavano prevalentemente commedie) del 416 a.C. Fra gli invitati, oltre a Socrate e al suo discepolo Aristodemo, il medico Eurissimaco, il commediografo Aristofane, lo storico Pausania con il suo amico Fedro. Ognuno di loro, su invito di Eurissimaco (177 a - e: differenza fra ornare e dire la verità su Eros) terrà un discorso che ha per oggetto un elogio di Eros. Verso la fine del dialogo, fa una clamorosa irruzione anche Alcibiade, completamente ubriaco, incoronato di edera e di viole, accompagnato dal suo komos (= corteo rituale), che si presenta per festeggiare Agatone ma che in realtà descriverà Socrate e la sua pratica di vita (filosofica). [segue] Platone: Il Simposio (3) Attenzione: nota su Alciabiade e sulla scelta dell’anno 416. Sequenza degli interventi: Il primo a parlare tra gli invitati è Fedro. Egli afferma che Amore è il più antico fra tutti gli dei ad essere onorato, come attestano diversi poeti. È amore a spingere amante e amato a gareggiare in coraggio, valore, nobiltà d'animo: gli eserciti, se costituiti da tutti amanti e amati, sono imbattibili (178 e-179 a). Fedro porta alcuni esempi, primo fra tutti quello di Alcesti (che sacrificò la propria vita per il marito Admeto e che venne riportata alla vita grazie ad Eracle), Orfeo ed Achille. Verso la fine del discorso di Fedro si assiste a un rovesciamento del concetto greco secondo il quale l'amato è superiore all'amante, perché autosufficiente, non soggetto a urti e scossoni. Qui invece la superiorità è dell'amante (Alcesti non amata, ma amante). L'ultima parte del discorso di Fedro sottolinea ed esalta l’importanza di Amore (180 b). [segue] Platone: Il Simposio (4) Il secondo intervento è di Pausania. Così come esistono due generi di «Afroditi» (l’Afrodite Urania o Celeste, figlia di Urano, e l’Afrodite Pandemia o Volgare, figlia di Zeus e di Dione) così esistono anche due tipi di Amori: il primo detto Celeste, si accompagna ad Afrodite Urania, il secondo chiamato Volgare, si accompagna invece ad Afrodite “Pandèmia” (180 d – e). L'Amore Volgare è volto ad amare i corpi più che le anime, mentre l’Amore Celeste trascende l’aspetto corporale e si fa guida verso una dimensione non materiale. L'Amore Volgare, infatti, ha come unico scopo la brutale soddisfazione dei sensi, mentre quello Celeste, infinitamente più elevato, spinge ad educare a cose nobili ed alte colui che si ama. Il suo discorso si conclude con una ricerca della giustificazione dell'amore omofilo basandosi sui nomoi (cioè le norme, siano esse leggi scritte o no) delle varie regioni della Grecia esaltando infine quello di Atene il cui nomos considera lecito farlo in privato e riprovevole farlo in pubblico (184 c – 185 c). [segue] Platone: Il Simposio (5) Come terzo, in sostituzione di Aristofane che è colto dal singhiozzo, interviene Eurissimaco, il quale, da buon medico, considera l'amore un fenomeno naturale e ne distingue gli aspetti normali da quelli morbosi. Nell'esporre la sua teoria si trova d'accordo sulle due specie di Amore individuate da Pausania con una piccola differenza però: al posto di Afrodite Pandemia Eurissimaco pone Afrodite Polimnia (“dai molti inni”, cioè portatrice di disordine). Amore infatti, come ogni cosa in natura, deve essere armonico ed equilibrato in ogni sua azione (comunione di opposti). Infatti il disordine e lo squilibrio insiti in ogni forma di attrazione non possono riuscire a buon fine, ma determinano contagi, malattie e distruzione: «ma quando invece l'Amore diventa incontenibile e infuria violento durante le stagioni dell'anno, produce guasti e distrugge molte cose» (187 e – 188 c). Come Pausania, Eurissimaco cerca anch'egli una giustificazione per l’amore omofilo, trovandola in maniera più fondata nella Natura piuttosto che nelle leggi e nei costumi. [segue] Platone: Il Simposio (6) Come quarto, rimessosi dal singhiozzo, interviene Aristofane (189 c - 193 e), il quale spiega la sua devozione verso Amore per mezzo di un mito. All'origine del mondo gli esseri umani erano differenti dagli attuali: formati da due degli uomini della nostra stessa forma congiunti però tramite la parte frontale (pancia e petto); inoltre essi erano di tre generi: il maschile, il femminile e l'androgino, che partecipa del maschio e della femmina (cioè ἀνδρόγυνος, “uomo-donna”). La forma degli uomini era inoltre circolare: quattro mani, quattro gambe, due volti su una sola testa, quattro orecchie, due organi genitali e tutto il resto come ci si può immaginare. Questa natura doppia venne però spezzata da Zeus, il quale fu indotto a tagliare a metà questi esseri per la loro tracotanza, al fine di renderli più deboli ed evitare che attentassero al potere degli dei; d’altro canto, eliminarli del tutto avrebbe comportato la perdita dell’unica forma vivente da cui gli dei erano venerati. [segue] Platone: Il Simposio (7) Di nuovo Aristofane: « Ecco dunque da quanto tempo l’amore reciproco è connaturato negli uomini: esso ci restaura con l’antico nostro essere perché tenta di fare di due una creatura sola e di risanare così la natura umana. Ciascuno di noi è dunque la metà (σύμβολον = simbolo) di un uomo resecato a mezzo» (191 c- d). Ma da questa divisione in parti nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che stringersi l’una all’altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire l’unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere: « Questo è il motivo per il quale la nostra natura antica era così e noi eravamo tutti interi: e il nome d'amore dunque è dato per il desiderio e l'aspirazione all'intero» (192 e). [segue] Platone: Il Simposio (8) Per quinto parla il padrone di casa, Agatone, che definisce Amore il dio più bello e più nobile. Egli si incarica di dire «qual è e di quali beni artefice» è Amore: «Amore è il più felice perché è il più bello e il migliore. È il più bello perché è tale: anzitutto è il più giovane tra gli dei» (195 a); inoltre «è il più giovane e il più soave, e oltre a ciò è come flessuoso nell'aspetto. Non sarebbe infatti in grado di abbracciarsi ovunque, né di entrare in ogni anima di nascosto e poi uscirne se fosse inflessibile» (196 a - b). Da sottolineare l'affermazione che «tra Amore e bruttezza c’è sempre guerra», poiché Amore simboleggia la bellezza, «la sua esistenza tra i fiori reca una testimonianza della bellezza della carnagione del dio». Egli non fa ingiustizia né la subisce, perché “giustizia”, “morigeratezza”, “potenza” e “sapienza” sono le virtù che lo contraddistinguono (196 b - e). Agatone compone anche versi in onore di Amore (197 c): «la pace agli uomini e la calma al mare, / tregua dei venti, riposo e sonno a chi pena». E conclude il suo discorso tessendone un elogio molto poetico. [segue] Platone: Il Simposio (9) Socrate interviene per sesto. Sulle prime tenta di schermirsi per la sua incapacità come oratore (198 a – 199 c), ma sostenuto dalla convinzione che su ogni cosa «basta dire la verità» (e non tanto “ornare” come hanno fatto tutti gli altri), decide di fare lo stesso anche con Eros, scegliendo ed ordinando nel modo migliore le cose più belle. Infatti gli elogi di Eros fatti dai precedenti oratori poggiavano tutta la loro efficacia sul dispiego della retorica e su argomentazioni sofistiche, arrivando a gareggiare nell'associare ad Eros i migliori benefici. Socrate invece, come detto, parte dalla verità, sottoponendo Agatone ad un dialogo serrato per raggiungere la definizione o essenza di Eros (199 c – 201 c). Il risultato cui mette capo il dialogo fra Socrate e Agatone è che «Amore è amore di alcune cose», in particolare «di quelle di cui si avverte mancanza» sia oggi che in futuro»; Eros è «desiderio che l’oggetto resti nostra intatta proprietà, attuale sempre, in avvenire» [segue] Platone: Il Simposio (10) A questo punto Socrate continua il proprio intervento raccontando il suo dialogo con Diotìma, sacerdotessa di Mantinea, maestra di Socrate stesso nella concezione di Amore (201 d - 212 c). Secondo Diotìma «Amore non è bello [...] e non è neanche buono», ma un qualcosa di mezzo tra bello e brutto, tra buono e cattivo, tra mortale e immortale (202 b 1-5), insomma un dèmone, un semidio (202 e - 203 a). Fu concepito da Penía (Povertà, Fame), che come detto dalla sacerdotessa approfittò di Póros (Espediente, Bravo), ubriaco, alla festa della nascita di Afrodite: egli è quindi un essere intermedio tra il divino e l'umano che ha le qualità, positive e negative, sia della madre che del padre (caratteristiche di Eros e del filosofo: 203 c – 204 c 6). Ma quale utilità ha Eros per gli uomini? Diotima differisce la risposta, per chiarire, preliminarmente la definizione di eros: stabilito che amore è desiderio del bello con lo scopo di possederlo. Ma che cosa avrà chi ottiene questo possesso? Socrate non lo sa. Per rendere la risposta più facile, Diotima trasforma il bello nel bene, che è da noi perseguito per essere felici (204 d - e). [segue] Platone: Il Simposio (11) La felicità, a sua volta, non è desiderata per qualcos'altro: è dunque lo scopo finale (telos), comune a tutti gli uomini. Ma se tutti hanno il medesimo scopo, perché alcuni amano e altri no? Perché, spiega Diotima, si designa come eros solo una certa forma di amore e gli si dà impropriamente il nome di una totalità più ampia, cioè si assegna il suo nome a una sola specie del genere eros (205 a - b). Ci si comporta analogamente anche con la poiesis (produzione) che fa venire all'essere qualcosa che non c'era. E' produzione ogni attività compiuta tramite tecniche: tutti gli artigiani, a rigore, meritano di essere detti poeti (poietai). Comunemente, però, si chiama poesia solo una piccola parte di queste attività, quella concernente la mousiké e il metro (205 c). Anche l'eros, in senso generico, è qualcosa di più dell'amore nell'accezione ordinaria: è il desiderio del bene e della felicità, variamente perseguito con la finanza, la ginnastica o la filosofia (205 d). In questo senso, dire che l'amore è ricerca della propria metà è definirlo in modo accidentale (205 e): [segue] Platone: Il Simposio (12) la metà o l'intero vengono perseguiti se sono un bene: se crediamo che non siano più buoni, ci lasciamo piuttosto amputare anche mani e piedi. Eros, in generale, è il desiderio che il bene sia con per sempre (206 a). Lo spostamento della discussione sull'eros dallo specifico al generale è parte di una strategia platonica di approssimazione alla filosofia: per il suo successo diventa necessario contrapporsi ad Aristofane, che aveva offerto - da buon poeta - una rappresentazione dell'amore vivida, ma incatenata alla sua istanza sensibile. Diotima integra la sua definizione con qualcosa che Socrate non capisce: l'amore è il desiderio di procreare - o, meglio, di partorire - nel bello secondo il corpo e secondo l'anima (206 b). Tutti gli esseri umani concepiscono, nel corpo o nell'anima. Il concepimento ha luogo nella bellezza e non nella bruttezza (206 c): è generazione e procreazione nel bello (206 e), alla ricerca dell'immortalità (207 a). Perché gli esseri umani - e anche quelli non umani - sono così disposti verso l'eros (207 c)? [segue] Platone: Il Simposio (13) Perché i mortali possono partecipare dell'immortalità solo essendo continuamente in divenire e lasciando dietro di sé qualcosa di nuovo a sostituirli (207 d). Ciò vale non solo per il corpo (207 e), ma anche per la conoscenza (208 a), continuamente minacciata dall’oblio: mentre gli dei rimangono sempre gli stessi, i mortali devono rinnovarsi continuamente, per non perire e per non essere dimenticati. Gli esempi di Diotima riguardano: • l'ambizione che fa compiere le azioni più irragionevoli per conquistare una gloria immortale, come mostrano le vicende di Alcesti e Achille o dell'ultimo re di Atene Codro (208 c - d); • la generazione di figli (208 e); • il concepimento dell'anima, che produce prudenza e ogni altra virtù che è propria dei poeti e degli artigiani inventivi; i suoi frutti più nobili sono la giustizia e la saggezza per l'ordinamento delle case e delle città (209 a). Così s'instaurano relazioni con una affettività molto più forte di quella dei figli, perché hanno esiti più belli e immortali (209 b - c) - come sono illustrati nelle opere di Omero ed Esiodo e nelle leggi di Licurgo e Solone (209 d). [segue] Platone: Il Simposio (14) Diotima dice a Socrate che fino al punto in cui sono arrivati avrebbe anche potuto iniziarsi da solo (209 e). Non è però certa che sarebbe capace di farlo in merito a ciò che si appresta a introdurre (presentazione di eros filosofico: 210 a – 212 c) Diotima presenta a Socrate un processo di ascesa dall’amore particolare verso l‘amore universale, i cui gradi sono i seguenti: 1. amare un bel corpo che ispiri a produrre bei ragionamenti (210 a); 2. capire che la bellezza di un singolo corpo è sorella di quella di qualsiasi altro e che, se bisogna perseguire il bello nella sua forma ideale, sarebbe mancanza d'intelletto non ritenere unica e identica la bellezza in tutti i corpi: occorre dunque diventare amante di ogni bel corpo e svalutare l'amore per un corpo solo (210 b); 3. passare dall'apprezzamento della bellezza del corpo a quella dell'anima, rendendosi conto che l'aspetto fisico è ben poco rilevante, cercando i ragionamenti che migliorano i giovani, scoprire la bellezza delle istituzioni e delle norme (nomoi) e constatare che è dovunque simile a se stessa (210 b - c); [segue] Platone: Il Simposio (15) 4. passare alle scienze, liberandosi dalla schiavitù di un singolo ragazzo, di un singolo essere umano o di una singola istituzione, per rivolgersi al gran mare del bello e, contemplandolo, generare molti bei ragionamenti e pensieri in un fruttuoso amore di sapienza (210 c - d); 5. comprendere quell'unica scienza che ha per oggetto il bello in sé: la filosofia (210 d). La filosofia, nella forma, specificamente platonica, della dialettica, è il culmine di una progressione che mette in evidenza quanto eros, attrazione per la bellezza e filosofia hanno in comune: la capacità di essere apprezzati in modo disinteressato. Quando ci innamoriamo e quando diamo un giudizio estetico mettiamo fra parentesi ogni considerazione di utilità: anche nella prospettiva della persona ordinaria, chi si innamora per un calcolo economico non è propriamente innamorato e un giudizio sulla funzionalità di un oggetto non dice nulla sulla sua bellezza. [segue] Platone: Il Simposio (16) Chi sia stato educato fin qui in quanto concerne l'eros, contemplando ordinatamente e correttamente ciò che è bello, giunto ormai al suo compimento, avrà all'improvviso davanti agli occhi qualcosa di meraviglioso e di bello nella sua natura. Proprio per questo a Socrate sono stati offerti da Diotima tutti i precedenti travagli: qualcosa che in primo luogo è per sempre, e non nasce né muore, e non cresce né diminuisce (210 e) e inoltre non è bello per un verso e per un verso brutto, né ora sì e ora no, né bello rispetto a una cosa e brutto rispetto a un'altra, né qui bello e là brutto, così da essere bello per alcuni e brutto per altri (211 a); né questo bello gli si presenterà come un viso, o delle mani o altro di cui il corpo partecipi, né come un discorso o una qualche scienza, né come qualcosa che sia in qualcos'altro, per esempio in un animale o in terra o in cielo o altrove; bensì esso stesso in sé e per sé, per sempre uniforme (211 b). E tutte le altre cose belle ne partecipano in modo tale, che mentre queste divengono e muoiono, esso non cresce, né diminuisce, né subisce modificazioni o alterazioni. [segue] Platone: Il Simposio (17) Il percorso corretto, fatto da sé o guidati da altri, su quanto riguarda l'eros (211 c) è il seguente: cominciando dalle cose belle di questo mondo e salire sempre più, quasi usandole come gradini, in vista del bello supremo, da uno a due e da due a tutti i bei corpi, e dai bei corpi alle belle istituzioni, e dalle belle istituzioni alle belle nozioni, finché dalle nozioni e dalle scienze si trovi compimento in quella sapienza, che non è scienza d'altro se non del bello stesso, e così, in conclusione, si conosca ciò che è il bello in sé (210 e - 211 c). La progressione di Diotima è un'ascensione dal sensibile all'intelligibile, dall'esperienza al concetto, dal particolare all'universale, dal contingente al necessario, dal divenire all'essere, dal temporale all'eterno, alla ricerca dei paradigmi razionali della realtà. Questo processo è illustrato da un mito che racconta della nostra condizione perché nessuno degli strumenti del nostro conoscere è di per sé in grado di farci possedere delle verità e delle realtà eterne. [segue] Platone: Il Simposio (18) Ma la conclusione del processo dialettico / filosofico è rappresentabile solo in un mito: per questo Socrate, l'uomo del dialogo, la fa raccontare ad un’entità semidivina Diotima, la forestiera di Mantinea. Dopo che Socrate ha concluso il suo discorso, irrompe nella sala del banchetto Alcibiade ubriaco e, dopo una breve schermaglia con Socrate, ne tesse il più splendido elogio. Pur senza aver udito le considerazioni di Socrate, Alcibiade viene a darne la più viva e diretta dimostrazione: 1. Socrate gli è stato maestro, amico, gli ha salvato la vita in battaglia, gli ha fatto attribuire dagli strateghi, in guerra, quei riconoscimenti che avrebbe meritato per sé (220 d – e); 2. Socrate gli ha resistito quando egli gli ha fatto dono della propria bellezza, perché non a questo mirava; era attratto piuttosto dalla bellezza in sé (216 d - e); 3. Socrate con i suoi discorsi strani è diverso da ogni altro uomo, né di oggi né del passato; lo si potrebbe forse paragonare con i Sileni o i Satiri (221 c - d). Chiusura del dialogo e atteggiamento finale di Socrate.