Dario Mangano - Ec

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Fig. 18 – Il primo modello di
Walkman della Sony del 1979
Fig. 15 – Fatman iTube 252,
amplificatore a valvole per l’iPod
Fig. 19 – Griffin Powermate,
una manopola per il controllo
del volume per computer
Fig. 17 – Grohe Ondus,
rubinetto per la doccia
Fig. 14 – Apple iTunes Store, il negozio on line Apple
per la vendita di singoli brani musicali o di interi album
8
Fig. 16 – Bticino Axolute Video Station,
sistema di controllo per la domotica
Fig. 13 – Il software Apple iTunes per la gestione dei brani
musicali. Nella finestra superiore compaiono le copertine
degli album, mentre in quella inferiore l’elenco dei file dei
brani che lo compongono
Fig. 11 – Una cassetta
Dario Mangano · I-Pod, and you?
Fig. 12 – Un 45 giri in vinile della Apple
Records, la casa di produzione fondata dai
Beatles nel 1968
Fig. 10 – Copertina del disco 45 giri
dei Beatles che ospita sul lato A “Come
together” e sul lato B “Something”
EC
Fig. 2 – Una
cuffia a padiglioni
sovraurali
Fig. 3 – Auricolari
AKG K324P
I-Pod, and you?
Fig. 1 – Apple iPod
Dario Mangano
Fig. 4 – iCarta, dispenser di carta igienica
con integrato un sistema di casse per
amplificare l’iPod
Fig. 5 – Edifier iF200, accessorio per
trasformare l’iPod in una sveglia
Fig. 9 – Phonophone II, amplificatore
passivo (non fa uso di corrente elettrica)
che riprende la linea dei vecchi
grammofoni
Fig. 8 – Un giradischi contemporaneo
E|C Serie Speciale
Anno III, nn. 3/4, 2009, pp. 8-28
Fig. 6 –Technics Sl-1200, prodotto dal 1972 è
considerato il giradischi più affidabile mai realizzato,
nato per l’alta fedeltà è diventato un riferimento per
i DJ di tutto il mondo
Fig. 7 – Technics SL-DZ1200, lettore
CD e MP3, riprende il look and feel
del Technics SL-P1200 (fig. 6), nonché
le sue funzioni (spin, scratch, break
etc.) cambiando il tipo di supporto
riprodotto da vinile a CD, MP3 etc.
ISSN (on-line): 1970-7452
ISSN (print): 1973-2716
© 2009 AISS - Associazione Italiana di Studi Semiotici
T. reg. Trib. di Palermo n. 2 - 17.1.2005
«Ciao, Richard»
Lui armeggia nervosamente con le gigantesche cuffie, ne allontana una dall’orecchio e l’altra gli scivola sull’occhio.
«Oh, ciao. Ciao, Rob»
«Scusami, ho fatto tardi.»
«Non c’è problema»
«Bello il finesettimana?»
Mentre apro il negozio, lui annaspa raccattando la sua
roba.
«Tutto bene, sì, ok. A Camden ho trovato il primo album
dei Liquorice Comfits. Quello pubblicato dalla Testament
of Youth. Qui non l’hanno mica stampato. Solo importato
dal Giappone»
«Magnifico.» Non so di che cazzo stia parlando.
«Ti faccio un nastro.»
«Grazie.»
«Perché mi ricordo che dicesti che il loro secondo disco t’era
piaciuto, Pop, girls etc… Quello con Hattie Jacques in copertina. La copertina però non l’hai mai vista. Hai visto solo il
nastro che t’ho fatto io.»
Non nutro alcun dubbio circa il fatto che Dick possa avermi registrato un nastro dal secondo album dei Liquorice
Comfits, e anche che io possa avergli detto che mi piaceva.
Ho la casa piena di nastri che Dick mi ha registrato, e che io,
nella maggior parte dei casi, non ho mai ascoltato.
10
Martedì sera riordino la mia collezione di dischi; mi capita
speso di farlo nei momenti di stress emotivo. Certi lo considererebbero un modo stupidissimo di passare una serata,
ma io non sono fra quelli. Questa è la mia vita, ed è bello
sguazzarci in mezzo, immergerci dentro le braccia, toccarla.
Quando c’era Laura avevo i dischi sistemati in ordine alfabetico; prima li avevo in ordine cronologico, a cominciare
da Robert Johnson, e finendo con, non so, gli Wham!, o
qualche musicista africano, o qualsiasi altra cosa stessi ascoltando quando conobbi Laura. Stasera però voglio cambiare
ancora, così provo a ricordare l’ordine in cui li ho comprati:
è un po’ come se scrivessi la mia autobiografia, e senza dover mettere mano alla penna. Tolgo i dischi dagli scaffali,
li metto in pila per tutto il pavimento del soggiorno, cerco
Revolver, e vado avanti da lì, e quando ho finito mi sento tutto
infervorato e pieno di me, perché questo, dopo tutto, è ciò
che io sono. Mi piace vedere come sono passato dai Deep
Purple agli Howling Wolf in venticinque mosse; non mi ferisce più il ricordo di me che ascolto «Sexual healing» durante
un lungo periodo di celibato coatto, né mi imbarazza più
ricordare di aver formato un club del rock, a scuola, quando
facevo la quinta, così io e i miei compagni potevamo incontrarci per poter parlare di Ziggy Stardust e di Tommy.
Ma quello che mi piace veramente è il senso di sicurezza che
mi viene dal mio sistema di archiviazione; mi sono fatto più
complicato di quello che sono in realtà. Siccome possiedo
un paio di migliaia di dischi, devi essere me – o almeno un
dottore in Fleminologia [il protagonista del libro si chiama
Rob Fleming N.d.R] – per sapere come ripescarli. Per esempio, se vuoi sentire Blue di Joni Mitchell, devi sapere che lo
comprai per regalarlo a qualcuno nell’autunno del 1983, ma
che poi decisi di tenerlo io, per ragioni in cui adesso preferisco non addentrarmi. Beh, sono storie che non conosci, per
cui non sai dove mettere le mani, vero? Dovrai chiedermi di
trovartelo io, e per qualche ragione io lo trovo enormemente
confortante.
Dario Mangano · I-Pod, and you?
Ci stiamo gingillando, in negozio, noi tre, ci prepariamo ad
andare a casa e ironizziamo ognuno sulle cinque migliori
«canzone 1 – lato A» di tutti i tempi scelte dagli altri (le mie:
«Janie Jones» dei Clash, da The Clash; «Thunder road» di
Bruce Springsteen, da Born to run; «Smells like a teen spirit» dei Nirvana, da Nevermind; «Let’s get it on», di Marvin
Gaye, da Let’s get it on; «Return of the grievous angel», di
Gram Parsons, da Grievous Angel. Barry: «Non ti viene in
mente niente di più ovvio? E i Beatles? E i Rolling Stones?
E…e…e Beethoven, cazzo? Il primo pezzo del lato A della
Quinta Sinfonia. Non dovrebbero permetterti di tenere un
negozio di dischi». E allora discutiamo se lui sia uno snob
oscurantista
Mi ci vollero delle ore per mettere insieme quel nastro. Per
me, fare una cassetta è un po’ come scrivere una lettera – è
tutto un cancellare e ripensarci e ricominciare daccapo – e
ci tenevo che venisse fuori un buon nastro, perché…perché,
ad essere sinceri, da quando facevo il dee-jay non avevo
mai incontrato nessuno tanto promettente quanto Laura, e
davo per scontato che l’attività di dee-jay comportasse anche l’incontrare donne promettenti. Registrare una buona
compilation per rompere il ghiaccio non è mica facile. Devi
attaccare con qualcosa di straordinario, per catturare l’attenzione (all’inizio pensai di cominciare con «Got to get off
my mind», ma poi mi resi conto che c’era il richio che Laura
non andasse mai oltre la prima canzone del lato A, se le
davo subito quello che si aspettava, così finii col seppellire
Solomon Burke in mezzo al lato B), poi devi alzare un filino
tono, o raffreddarlo un filino, e non devi mescolare musica
nera e muscia bianca, a meno che la musica bianca non
sembri musica nera, e non devi mettere due canzoni dello
stesso cantante di seguito, a meno che tu non imposti tutto il
nastro a coppie, e…beh, ci sono un sacco di regole.
Nick Hornby, Alta fedeltà, Guanda, pp. 40, 41; pp. 52, 53; p.
122; p. 78.
1. Una domanda
Tutti sanno cosa sia l’iPod1. Un lettore musicale, certo,
un dispositivo che serve ad ascoltare i propri brani preferiti mentre si è in giro, ma è davvero soltanto questo?
Se fosse così non sarebbe molto diverso dal Walkman2
(fig. 18), il riproduttore portatile di audiocassette che
Sony lanciò nei primi anni Ottanta e che l’apparecchio
di Apple ha surclassato quanto a notorietà e diffusione.
È chiaro che questa definizione gli va stretta, ed allora,
per cercare di saperne di più, proviamo a guardare il
manuale, voce dell’azienda produttrice e dunque, per
definizione, dotato dell’autorità necessaria a risponderci:
iPod classic è un lettore musicale e molto altro. Utilizza iPod
classic per:
• Sincronizzare brani, video e foto digitali da ascoltare e visualizzare ovunque
• Ascoltare podcast, programmi audio e video scaricabili da
Internet
• Visualizzare video su iPod classic o su un televisore con un
cavo opzionale
• Visualizzare foto come una presentazione con musica su
iPod classic o su un televisore
con un cavo opzionale
• Ascoltare audiolibri acquistati presso iTunes Store oppure
audible.com
• Archiviare o fare una copia di backup di documenti e altri
dati usando iPod classic
come disco esterno
• Sincronizzare contatti, calendari e informazioni su elenchi
attività dal computer
• Giocare, archiviare note di testo, impostare una sveglia e
molto altro
Subito ci viene detto trattarsi di un lettore musicale,
eppure tale funzione quasi scompare accanto alle molteplici altre che è in grado di compiere e che sono elencate di seguito. Una gran confusione che ha una precisa
origine tecnica: il fatto che l’iPod sia un dispositivo di
archiviazione digitale, legato dunque alla tecnologia informatica (fig. 20). È per questo che può avere la forma
che ha e non quella del Walkman (fig. 18) che invece
registrava in maniera analogica sulla ormai estinta audiocassetta. Ed è per lo stesso motivo che fa tutte quelle
cose che ci suggerisce il manuale. Da un punto di vista
meramente tecnico, questa digital device (come qualche
volta la sentiamo chiamare da coloro che vogliono togliersi ogni problema definitorio), non è che un dispositivo di archiviazione, un hard disk in miniatura, dotato di
qualche circuito che gli consente di riprodurre autonomamente (ossia senza un computer che lo faccia per lui)
certi formati di file tra cui (ma non solo) quelli musicali.
Non a caso, come prima cosa, si dice che questo apparecchio è in grado di “sincronizzare” certi “contenuti”,
ossia, nel gergo informatico ormai diffuso, fare in modo
che due dispositivi contengano gli stessi dati. Se il computer è dunque “personal” per definizione, anche iPod
deve esserlo.
Fig. 20 – Immagine dal manuale dell’iPod classic che
chiarisce il rapporto esistente tra esso, il calcolatore e
i contenuti che attraverso quest’ultimo si possono poi
riversare su di lui.
Ma torniamo alla capacità dell’iPod di riprodurre musica, che è quella che qui ci interessa maggiormente.
A ogni ulteriore discorso va premesso un particolare
tecnico inerente il processo di conversione dei segnali
digitali in analogico (e viceversa). È bene sapere che,
per quanto sofisticato, da questo apparecchio non usciranno mai esattamente le frequenze che un pianoforte o
un sassofono hanno prodotto durante la fase di registrazione, e ciò perché il file in cui la musica è contenuta è
di un tipo particolare chiamato Mp3 (al secolo Motion
Picture Expert Group-1/2 Audio Layer 3). Un formato
basato su un algoritmo che è in grado di ridurre lo spazio occupato dalla musica eliminando dalla forma d’onda originaria tutte quelle frequenze che l’orecchio non
può udire, secondo un modello di compressione che è
detto per questo lossy. Insomma, se anche registrassimo
da un microfono perfetto che riesce a convertire senza
alcun errore le frequenze che rileva in segnali elettrici,
e se, dalla parte opposta, il sistema con cui riascoltiamo
tali frequenze fosse anch’esso ideale, nel momento in
cui musica passa attraverso la compressione in Mp3 viene irrimediabilmente compromessa, tanto che non c’è
alcuna possibilità che sia identica in frequenza a quella
che un ascoltatore fisicamente presente nella sala di incisione potrebbe avere ascoltato.
Ma ridurre l’iPod di Apple soltanto a questo sarebbe
intollerabile, specialmente dal punto di vista di un designer. Una delle più importanti rivoluzioni estetiche,
tecnologiche e sociali della contemporaneità soltanto il
prodotto di un algoritmo, qualche chip, un hard disk e
un paio di cuffiette? Presentato in questi termini l’iPod
è roba da ingegneri, un’accozzaglia di trovate tecnologiche, non certamente l’oggetto che ha portato Apple
a un successo commerciale e a una notorietà che aveva
potuto unicamente sognare quando vendeva soltanto
computer. Diciamolo pure: l’iPod è un bell’oggetto.
Talmente bello da essere diventato un punto di riferimento estetico non solo per l’informatica (i computer
bianchi e neri abbondano, e non solo in casa Apple,
come anche le superfici lucide giustapposte a quelle
opache e tutte le altre particolarità stilistiche che lo contraddistinguono) ma anche per l’arredamento e il design
in generale, con quelle sue linee essenziali che – come
ricorda Polidoro in questo stesso volume – riprendono
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
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la filosofia progettuale (e anche qualcosa in più della
sola filosofia) adottata da Dieter Rams alla Braun negli anni Cinquanta e Sessanta. Eppure è ancora poco.
Non basta dire che l’iPod è carino per coglierne il valore, per capire quanto possa avere cambiato un insieme vasto di pratiche; come non basta dire che design è
semplicemente dare una forma graziosa, un bel vestito,
a qualcosa che esiste già (se non altro come ipotetica
“funzione”). La lampada Arco dei fratelli Castiglioni è
semplicemente una declinazione del concetto di lampada a sospensione? Naturalmente no, la Arco è la Arco.
Viene dopo il fatto che è una lampada a sospensione
come altre ne esistono. Lo spremiagrumi Juicy Salif di
Starck è solo un modo di assolvere a una funzione o
piuttosto costruisce un nuovo concetto di spremitura insieme a quello di utensile da cucina? (Mattozzi 2004).
12
2. La musica, per cominciare
A questo punto è necessario fare un passo indietro,
ripartendo da quello che scrive Nick Hornby nel romanzo Alta fedeltà. Perché l’iPod è in parte il prodotto e
in parte il produttore di una trasformazione profonda
nella musica, in particolare nel “senso” che essa assume. Non soltanto perché ha reso possibile portarla fuori
dalle case, dovunque vogliamo, ascoltandola mentre
facciamo la spesa o camminiamo per strada o siamo
in metropolitana – questo lo aveva già reso possibile
il Walkman – ma perché ci consente di gestirne l’ascolto
in maniera diversa. Se una canzone può diventare file
ed essere trasportata e ordinata come si fa con questi
particolari “oggetti” informatici, ogni brano diventa un
“singolo” e il concetto stesso di album inteso come raccolta organizzata dal musicista scompare. E insieme a
questo anche la copertina, quella stretta busta di cartone che serviva a preservare il vinile da graffi e sporcizia
ma che gli dava anche una riconoscibilità visiva (figg. 10
e 12). Si poteva dimenticare il nome di un cantante o di
un brano e ritrovarlo semplicemente ricordando cosa
era stampato sul cartone che avvolgeva il disco. I colori, le forme, un qualunque appiglio era sufficiente per
tirar fuori dallo scaffale proprio ciò che desideravamo
ascoltare. Un modo di percorrere il proprio patrimonio
musicale che al protagonista del libro di Hornby, Rob,
dona addirittura un certo “senso di sicurezza”.
Non abbiamo smesso di parlare di design e dell’iPod, di
interrogarci sulla natura di questo oggetto, stiamo solo
cercando di vedere dove ci portano le piste che si dipartono da esso per darne una definizione soddisfacente.
Non possiamo accontentarci di considerarlo la conseguenza esteticamente gradevole del bisogno di portare
con sé la propria musica e della possibilità tecnica di
farlo attraverso i computer. Trasformare la musica in
file significa ridisegnare un insieme di pratiche, cambiare dei gesti, delle sensazioni (visive, tattili, olfattive
etc.), ma anche il modo in cui memorizziamo la nostra
collezione e come dunque siamo capaci di percorrerla.
Nessuno di noi probabilmente ha mai tirato giù dagli
Dario Mangano · I-Pod, and you?
scaffali tutti i suoi dischi alla fine di un amore, ma di
certo ciascuno ha una precisa immagine mentale della musica che conosce, gli dà un senso, e tale immagine non è mai puramente astratta, non è fatta di nomi,
titoli, date etc. come in una memoria elettronica, ma
comprende il disegno di una copertina, il ricordo di una
certa situazione, la posizione in uno scaffale etc. Al semiologo tocca allora il compito di mettere tutto questo
senso in condizione di significare.
Gli oggetti con i quali abbiamo a che fare, le modalità
con cui li percepiamo, le pratiche alle quali ci obbligano
ma anche il nostro personale modo di agirli entrano in
presupposizione reciproca con la nostra identità: siamo
quel che siamo perché facciamo le cose in quel modo e
le facciamo in quel modo perché siamo noi. Il progetto del design è dunque per prima cosa un progetto di
senso.
3. Perdite e recuperi
Come spiegare altrimenti quelle operazioni progettuali
il cui intento ultimo è recuperare pratiche – e dunque
modi di dare senso – che certe trasformazioni hanno
fatto perdere? È quanto è accaduto con iTunes, il software che Apple fornisce in dotazione con il suo iPod,
che dopo avere a lungo rappresentato i brani sotto forma di stringhe di testo (nome, autore, genere etc.), di
recente ha integrato la possibilità di assegnare a ognuno
l’immagine della copertina del disco da cui proviene (fig.
13). A un certo momento deve essere diventato chiaro
per i progettisti che la memoria visiva ha un’importanza cruciale e da essa può dipendere la soddisfazione dell’utente nel riuscire a trovare quello che davvero vuole
ascoltare. Per non parlare del fatto che molti scelgono
un disco (ma anche un film, un libro etc.) solo perché
sono attratti dalla sua copertina. Fondamentale allora
implementare tale modalità anche in iTunes Store, il
negozio di musica on-line gestito sempre da Apple che
vende singoli brani o di interi album dando la possibilità di scaricarli da casa sul proprio computer pagando il
tutto con la carta di credito.
Ogni cosa contribuisce a creare il senso di un disco: la
musica ma anche la grafica, la pubblicità, il contatto fisico con il supporto. Rob di Hornby, facendo riferimento
alla pila di dischi, dice: “questa è la mia vita, ed è bello
sguazzarci in mezzo, immergerci dentro le braccia, toccarla” (Hornby 1995, p. 52). Non a caso nella recente
riedizione di Kind of Blue, lo storico disco di Miles Davis
che è stato ripubblicato in occasione del suo cinquantesimo anniversario in un cofanetto speciale, si trova la
musica del grande trombettista sia in CD che in vinile;
un disco tutto blu che farà la felicità anche di coloro che
il giradischi lo hanno messo via già da tempo.
Ricapitolando: dal disco si passa al file, dal file nasce
l’iPod, con l’iPod viene iTunes, da iTunes viene iTunes
Store e spariscono i negozi di dischi, e con essi quei negozianti come il Rob del libro di Hornby che ci conoscevano, erano al corrente dei nostri gusti, e quando
entravamo nel loro negozio ci facevano ascoltare subito
le novità che pensavano ci sarebbero potute piacere. E
cambia anche il modo di porre fine a una storia d’amore e via dicendo. Ma dove si ferma questa catena? Sulla
base di quale principio possiamo stabilirlo? E soprattutto, fino a che punto tutto ciò fa parte del design dell’iPod? Intendiamo dire: se l’iPod con le sue forme e le
sue caratteristiche ci porta a trasformare altri oggetti e
pratiche, possiamo dire che il loro re-design fa a qualche
titolo parte del progetto del lettore multimediale? Fino
a che punto il progettista può o deve considerare questo
insieme di artefatti e pratiche “altre” per poter svolgere
bene il suo lavoro, massimizzando l’impatto sociale (e
dunque il successo commerciale) del proprio progetto?
Più che scomparire, i negozi di dischi (e i negozianti), a ben pensare, cambiano: qualche volta diventano
“virtuali” come nel caso di iTunes Store, ma quando
rimangono “reali” (qualunque cosa significhi), devono
adeguare il proprio sistema di vendita alle nuove modalità di acquisto che nel frattempo sono sorte. Proprio
come devono fare i ristoranti tradizionali in un epoca di
cibo fast. Saranno costretti per esempio a offrire le stesse
possibilità di ascolto e confronto, nonché di scelta, che si
trovano sul Web (da cui la scomparsa dei piccoli negozi). A meno che, al contrario, non decidano di costruire
la propria identità sulla differenza, massimizzando ciò
che è prerogativa della presenza fisica: il coinvolgimento sensoriale complesso, il contatto con altri individui
(l’ascolto delle loro conversazioni, la visione del loro
carrello…), in una parola, un modello di esperienza opposto a quello della rete.
È proprio l’esperienza la chiave per capire un’altra filiazione diretta dell’iPod: la cuffia. Un accessorio che
viene fornito in dotazione all’apparecchio e del quale
dunque l’utente non dovrebbe avere necessità, a meno
che quella Apple non si guasti. Eppure, oggi il mercato delle cuffie è estremamente fiorente, vasto e diversificato come non mai. Non soltanto si trovano negli
scaffali le cuffie intraurali, i cosiddetti auricolari (fig.
3), sul modello di quelli forniti da Apple, ma anche
tantissimi modelli di cuffie a padiglioni sovraurali (fig.
2) sul modello di quelle in voga negli anni Settanta e
Ottanta, quando la tecnologia che avrebbe consentito
la loro miniaturizzazzione era ancora di là da venire.
La giustificazione ufficiale al proliferare di modelli così
scomodi da portare in giro, si sa, è la qualità: i generosi
padiglioni dovrebbero garantire livelli di ascolto migliori, anche se poi, nei fatti, moltissimi auricolari sembra
riescano a batterle di misura. Ma il punto è un altro: la
qualità non può essere la priorità di qualcuno che ascolti
la musica dall’iPod. Non soltanto per le caratteristiche
del formato che viene utilizzato per memorizzarla, ma
anche perché, se ascoltiamo la musica dall’iPod, spesso
è perché non siamo in casa, perché stiamo camminando rapidamente per la strada o siamo dentro il vagone
di una metropolitana, tutte situazioni in cui il rumore
esterno impedisce un’esperienza d’ascolto qualitativa-
mente ottimale. O almeno, così è stato fino adesso, perché il proliferare dei sistemi di amplificazione sembra
voler dare un segnale che questa destinazione d’uso sta
cambiando. Ad ogni modo, i sistemi per difendersi dal
rumore esterno abbondano: dagli auricolari in-ear (fig.
3) che è possibile spingere fin dentro il condotto uditivo
sigillandolo; ai modelli sovraurali Noise Cancelling, che
incorporano dei circuiti in grado di eliminare il rumore esterno producendo dei suoni a esso complementari
(per il principio fisico secondo cui due forme d’onda
perfettamente opposte che si incontrano si azzerano a
vicenda). Ma, ancora una volta, l’obiettivo di tutto questo sforzo tecnologico (ed economico) non può essere
semplicemente la qualità del suono tout court; ma piuttosto quello della qualità del suono in quella particolare
situazione d’ascolto. La metropolitana, il caos delle strade
affollate di automobili, le voci delle persone sul marciapiede, non possono essere considerate semplicemente le
“circostanze” nelle quali si svolge l’ascolto, sono piuttosto parte integrante di questa esperienza: senza la città
– senza un certo tipo di città – non ci sarebbe l’iPod.
Città allora non è soltanto un sistema di abitazioni, di
mezzi di trasporto, di negozi etc. ma è soprattutto un
sistema di persone che, nel modo di entrare in relazione, di guardarsi (o di non guardarsi), di ascoltarsi (o di
non ascoltarsi), di parlarsi (o di non farlo), costruiscono
la propria identità. Diciamolo: la cuffia a padiglioni sovraurali non ha alcuna utilità pratica. È scomodissima,
non funziona meglio delle altre, è ingombrante. Non
ha senso da questo punto di vista, ma lo acquista se
la consideriamo simbolicamente, come l’espressione di
una soggettività che si delinea anche attraverso di essa,
per mezzo del rapporto che ci consente di avere con
ciò che ci sta intorno (cose e persone) e per il modo in
cui lo comunica a chi ci sta intorno. La cuffia non serve
soltanto ad ascoltare ma anche a dire qualcosa, parla di
noi agli altri. Può essere di moda. Esiste in quella forma
– è ritornata malgrado fosse ampiamente superata dal
punto di vista tecnico – perché ha assunto un preciso
valore semiotico, proprio ora che la sorgente che le fornisce la musica è grande quanto un francobollo della
Repubblica Dominicana e pesa poco più di quindici
grammi.
Verrebbe da chiedersi se Jonathan Ive, il designer che
ha progettato iPod, avesse intuito tutto questo. Sapeva
di dare l’avvio con il suo lettore a una rivoluzione di
questa portata? Di incidere così profondamente sulla
socialità, riconfigurando spazi come quelli delle metropolitane di tutto il mondo3? Non ha alcuna importanza
per noi decidere quanta coscienza ne avesse e quanto
invece abbia lavorato per istinto. Quello che è certo è
che un designer che ha idea della portata sociale di ciò
che progetta, non solo è in condizione di realizzare un
prodotto migliore – più efficace, più funzionale, più innovativo – ma soprattutto di renderlo più intelligibile.
Migliorare il suo impatto “ecologico”, sull’ “ambiente” inteso non solo come unione di piante e animali,
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
13
ma anche persone e cose, un sistema che si regge non
sulla presunta “natura” intrinseca degli elementi che lo
compongono, ma sulla qualità delle relazioni che essi
intrattengono fra loro. Non c’è concetto di natura che
non abbia una radice culturale e dunque che non abbia
a che vedere con degli artefatti di qualche tipo (Latour
1999b).
14
4. Uno, nessuno e centomila
Dall’iPod discendono persone – gli ascoltatori mobili
–, musica – quella che si può ascoltare mentre si fanno
altre cose –, spazi perfino – quelli delle metropolitane,
ma anche gli autobus, i marciapiedi etc. –, ma soprattutto altre cose. Uno degli aspetti del design di iPod più
riusciti è senz’altro la sua capacità di “interfacciarsi”.
Per prima cosa in senso informatico, attraverso un connettore posto nella sua parte inferiore tramite il quale
può comunicare elettronicamente con oggetti di diverso
genere, trasmettendo e ricevendo informazioni (l’audio
innanzitutto, ma anche molto altro). È tramite questo
canale che diventa la sorgente musicale da utilizzare per
avere a disposizione la propria musica ovunque ci troviamo. Anche al bagno, come dimostra iCarta (fig. 4),
il dispenser per carta igienica che incorpora un sistema
di amplificazione con quattro casse acustiche. In questo
modo non corriamo mai il rischio di imbatterci nella
musica di qualcun’altro, né in senso negativo – trovando
qualcosa che non ci piace ascoltare – ma nemmeno positivo – scoprendo un musicista che non conoscevamo.
Un problema cui le case discografiche devono pensare
molto seriamente: se ciascuno di noi porta sempre con
sé la propria musica le possibilità di ascolto incidentale si
riducono e diventa più difficile lanciare nuovi artisti.
Fortuna che, al contrario delle previsioni, la radio non
è morta. Soprattutto quando è una radiosveglia, come
il modello iF200 prodotto da Edifier, che integra anche l’iPod nella sua struttura facendo comparire questa nuova funzione nel suo stesso display. La forma è
quella vintage di una vecchia sveglia a campanelli, ma
le funzionalità sono quelle di un apparecchio moderno, un connubio che la rende affascinante. È il nuovo
che consente di ripensare il vecchio, di risemantizzare
una forma antica: l’iPod proietta nel futuro la sveglia
a campanelli e quest’ultima accompagna il lettore di
Apple nel passato delle buone cose di gusto non proprio
ottimo.
Il lettore di Apple dialoga quindi sia formalmente sia
tecnologicamente con altri oggetti, “cose” che esercitano una loro funzione indipendentemente da esso (il supporto per la carta igienica) o che non possono farlo (la
sveglia), costruendo una rete di relazioni interoggettive.
Un’espressione con la quale implicitamente si assimila
l’oggettività delle cose alla soggettività delle persone,
secondo una prospettiva che ci obbliga a considerare
una socialità degli oggetti (Landowski e Marrone 2002,
Latour 1992, 1996a, 1996b) accanto a quella più facilmente accettata degli individui. Gli oggetti (e dunque i
Dario Mangano · I-Pod, and you?
progetti) non soltanto entrano in relazioni di varia natura con noi: sono odiati, amati, usati (come anche, per
certi versi, usano noi), ma fanno le stesse cose fra di
loro: si cercano, si odiano, si coalizzano, si inventano,
si ricordano etc.
5. Il ritorno dell’alta fedeltà
Prendiamo il giradischi: è un oggetto che abbiamo considerato estinto insieme al disco in vinile. E per lungo
tempo è stato davvero così, i dischi erano praticamente
spariti (a eccezione di quelli di musica da discoteca sui
quali torneremo) e nessuna vetrina dei negozi di alta
fedeltà esponeva più alcun “piatto”. Eppure di recente
si è cominciato a vederli di nuovo, anche se – bisogna
precisare – non sono esattamente uguali a quelli che
potevamo comprare prima che scomparissero. Non
solo per la ovvia evoluzione tecnologica, ma per delle
differenze che ci verrebbe di attribuire specificatamente
al design.
Consideriamo il modello di fig. 8 e confrontiamolo con
quello di fig. 6. Quest’ultimo è il Technics SL 1200, probabilmente il più celebre giradischi della passata “era”,
il punto di arrivo di quella tecnologia, il modello preferito tanto dagli intenditori quanto da utenti professionali come i DJ, presso i quali era allora, ed è rimasto a
lungo, un oggetto imprescindibile. A dargli questa notorietà erano alcune caratteristiche tecniche molto precise: a) la trazione diretta, che consentiva di ottenere una
velocità costante ma anche ampie possibilità di modulazione (per accelerare e rallentare la rotazione del vinile);
b) l’avvio rapido, ottenuto mediante il grosso tasto quadrato posto in basso a sinistra; c) le forme essenziali e
nello stesso tempo eleganti che non lo facevano sfigurare in salotto ma riuscivano a garantirgli una dignità anche fra le luci colorate della discoteca. Le differenze con
un modello di giradischi contemporaneo come quello
di fig. 8, allora, saltano all’occhio: la trasmissione torna a essere affidata a una cinghia (con tutto quello che
comporta), ma soprattutto è la sua estetica a colpirci.
Tutto adesso viene reso esplicito: l’alloggiamento del disco viene sopraelevato rispetto alla base; i meccanismi,
fra cui la cinghia, sono perfettamente visibili, come lo è
la meccanica del braccio, o i quattro piedi che vengono
richiamati sulla superficie dell’oggetto. Per non parlare dei materiali, non molto differenti dal passato, che
subiscono però un trattamento nuovo. L’acciaio viene
lucidato, il nero delle plastiche reso riflettente, il vetro
opacizzato, l’alluminio spazzolato. Colori chiari si alternano a colori scuri, trasparenze a opacità, superfici lisce
a superfici ruvide secondo un gioco di contrasti cercato,
voluto, esibito, con il preciso scopo di ottenere un effetto estetico. Insomma, il nuovo giradischi è soprattutto
un bell’oggetto, appariscente nella sua essenzialità. E
dire che il ritorno al vinile viene considerato da molti il
segnale del ritorno alla “sostanza” dell’alta fedeltà contro la “forma” del digitale, al calore e alla profondità
dell’analogico contro la freddezza del file. Anche l’im-
purità, il rumore dell’ineliminabile fruscio (quello che a
suo tempo portò Philips a sviluppare il Compact Disk),
può diventare allora un valore, tanto che lo si aggiunge
spesso digitalmente anche alla musica incisa su CD che
non ce l’ha4 (lo fanno Amy Winehouse e Lauryn Hill,
fra gli altri).
Recuperare il giradischi significa però soprattutto riattualizzare un insieme di pratiche. Il disco in vinile va
maneggiato con cura5, va girato, e questo significa che
possiamo ascoltare musica soltanto per una ventina di
minuti di seguito, molto diversamente da quanto accade con le playlist, ovvero le liste di brani informatiche,
che possono tirare avanti per giorni interi. Non soltanto
questo fa variare ciò che sentiamo, ma si costruisce tutta
una nuova poetica dell’ascolto. Quella dei lati B e dei lati A,
ma anche quella del posare la puntina più vicino possibile alla traccia che ci interessa, oppure del costringersi
ad ascoltare anche il primo pezzo quando è il secondo
che ci interessa davvero solo per non sentire il graffiare
della puntina sul vinile. L’esperienza del 33 giri è innanzitutto un’esperienza estetica in senso lato, e questo
i progettisti dei nuovi apparecchi sembrano averlo capito perfettamente a giudicare da come la valorizzano
attraverso il design. Un modo molto diverso di comportarsi rispetto a quello che avevano i loro predecessori
che curarono l’SL 1200, inscrivendo in esso un modello
di ascolto della musica – un’estetica dell’atto oltre che
dell’oggetto in sé – essenziale.
Ed è sempre all’estetica cui dobbiamo fare riferimento
a proposito della qualità del suono, che sembra ritornare come una qualunque moda. La fig. 13 mostra l’iTube 252 di Fatman, un amplificatore valvolare dotato di
un particolare dock, ossia di una sorta di satellite in cui
inserire il nostro fido iPod, restituendo, almeno a detta del produttore, al suono prodotto dal lettore digitale
tutto il corpo e lo spessore di quello analogico di una
volta. Lasciamo da parte le considerazioni sui limiti del
formato Mp3, quello che ci interessa è, ancora una volta, l’esperienza nel suo complesso e il modo in cui si fa
design. C’è design nella qualità del suono che si vorrebbe ottenere (senza poterci riuscire veramente) e c’è
design anche nel modo di presentare le costose valvole
dell’amplificatore: tutte ben esposte sulla base in acciaio
lucidato a specchio e allineate davanti a una scenografia
nera (il parallelepipedo posto alle loro spalle) in modo
che, quando finalmente vengono attraversate dalla corrente, risalti la leggera luminescenza arancio che assumono. Per non parlare delle manopole dei controlli,
di dimensioni generose e ben calibrate nella resistenza che offrono alla rotazione, in modo da offrire una
sensazione tattile quando aumentiamo o diminuiamo
il volume. Proprio il genere di percezione cui i cursori
virtuali dei sistemi operativi ci hanno disabituato, e che
ritorna adesso anche nei contesti più specificatamente
informatici grazie ad accessori come il PowerMate di
Griffin (fig. 19), niente di più che un barilotto rotante
da appoggiare sul tavolo per controllare il volume restituendoci l’antica esperienza percettiva.
Alla luce di quanto abbiamo detto, si capisce come funzioni e da dove venga – ovvero che senso abbia – un
altro riproduttore musicale, il Technics SL-DZ 1200
(fig. 7), un lettore di CD e file Mp3 questa volta, che
rimanda in maniera evidente al suo illustre predecessore analogico: l’SL 1200 (fig. 7). L’operazione di design
è chiara, per quanto sofisticata: riprendere gli stilemi
e i modi di interazione del vecchio giradischi senza rinunciare a ciò che la moderna tecnologia offre. Capra
e cavoli insomma. C’è il tasto quadrato per la partenza
e l’arresto immediati (tecnicamente molto più facili da
ottenere con un CD o un file Mp3 che con un disco), c’è
il cursore (a destra) per regolare la velocità di riproduzione. Ma soprattutto c’è il “piatto” che gira grazie a un
motore direct drive analogo a quello dell’SL 1200, su cui
è possibile fare tutte le cose che fanno normalmente i
DJ (scratch, spin, break etc.), con l’unico particolare che
qui esso non assolve più al compito di far girare il disco.
È una sorta di “emulatore di disco” che sta lì soltanto
per regalare ai DJ di tutto il mondo quella sensazione
di “manipolazione” che è connaturata al loro modo di
fare musica. C’è anche il caratteristico disegno sul profilo del piatto (quei tondini cromati di diversa grandezza) che quando viene illuminato mentre il giradischi è
in movimento, crea un “disegno” con cui il DJ esperto
può rendersi conto di quanto stia variando la velocità
del brano in riproduzione6. Manca soltanto l’etichetta
al centro del disco (prontamente recuperata attraverso
una barra-segnale), il cui disegno aiutava i DJ a decidere quando “staccare” (“quando la foglia della mela
raggiunge la tal posizione”).
Soltanto il tempo ci dirà se questo adattamento tra il
vecchio giradischi e il moderno lettore sarà in grado di
farne replicare il successo. Da parte nostra dobbiamo
considerarlo semioticamente come una traduzione, ossia un modo di mantenere inalterata una materia del
contenuto (la musica distorta ed elaborata intesa come
prodotto di un atto creativo) cambiando la sostanza dell’espressione (dal vinile al file o al CD), una operazione
che riesce, come sanno bene i traduttori, solo quando
si ha il coraggio di tradire opportunamente l’originale,
facendo attenzione più che alle sostanze, alle forme che
le precedono e generano. Non è importante allora la
forma dei controlli o la loro presenza analoga a quella
dell’SL-P 1200 ma la relazione che riusciranno a creare
tra un DJ, la musica che entra nella sua consolle e quella
che ne esce.
6. Oltre la musica
Fino a questo momento abbiamo considerato l’iPod in
gran parte per ciò che fa, piuttosto che per ciò che è o
per come lo fa. Eppure la sua forma, nonché le modalità di interazione che la sua interfaccia prevede, sono
certamente le chiavi del successo di questo progetto. A
testimoniarlo non sono soltanto le imitazioni del lettore
di Apple che è possibile trovare nei negozi (fig. 26, 27 e
28), ma soprattutto altri artefatti, oggetti che c’entrano
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poco o nulla con la musica. Due esempi fra i tanti sono
raffigurati in fig. 16 e 17. Si tratta rispettivamente di un
interruttore, o meglio, di un “pannello di controllo per
la domotica” progettato da Bticino il cui nome è Axolute
Video Station, e un rubinetto, o meglio, un “programma
di rubinetteria” di Grohe chiamato Ondus. Cos’hanno a
che vedere un interruttore e un rubinetto con un lettore
musicale? Nulla naturalmente. Eppure in entrambi i casi
fa bella mostra di sé una ghiera circolare in tutto simile
a quella che caratterizza il lettore Apple. C’erano – ci
sono sempre – infinite possibilità di disporre i controlli
in questi due apparecchi, eppure il progettista ha voluto
richiamare proprio quella forma cui le nostre mani e il
nostro occhio sono più che abituati e che gradiscono.
Le forme passano così da un oggetto all’altro: il cerchio,
ma anche la posizione del display rispetto alla rotella
(in alto sia nel rubinetto che nell’interruttore Bticino),
creando somiglianze che generano familiarità, che richiamano alla mente cose a noi note anche se magari,
sul momento, non siamo in grado di dire quali. Come
la ghiera cliccabile e il 45 giri (figg. 12 e 1), che soltanto
quando vengono messi uno accanto all’altro rendono
esplicita la pur ovvia rima plastica.
Il design, si sa, è citazione. Quello che si dice meno è
che citazione non significa che una sedia debba citare
obbligatoriamente un’altra sedia, o una cucina una cucina. Un rubinetto può benissimo citare un lettore musicale, e così può fare un interruttore. Riferimenti che
non sono soltanto legati alle forme fisiche o ai materiali,
ma più in generale alle forme semiotiche, agli artefatti
come configurazioni complesse, strutture che enucleano un
modo di entrare in relazione indipendente dalla sostanza fisica che poi assumeranno concretamente. La lingua sono le parole che udiamo, ma anche le strutture
morfologiche e sintattiche che stanno nella nostra testa
che ci consentono di interpretarle e, prima ancora, di
costruirle in maniera sensata, di metterle in forma. La vera
essenza delle lingue, spiega Hjelmslev (1943), non sta
nel diverso vocabolario o nella diversa grammatica, ma
nel modo in cui queste danno vita a (e sono contemporaneamente il prodotto di) una cultura. Tra il contenuto astratto di una frase, e i diversi modi in cui varie
lingue propongono tale contenuto, ci sono le forme con
le quali ognuna di esse lo riproduce e, nel farlo, lo caratterizza. Il design, come la lingua, in quanto prodotto
culturale non è legato alle forme sensibili, alle parole,
ma alle regole che vi stanno dietro, al modo di mettere
in forma il mondo.
7. Il design come discorso
Pensare il design come una forma di discorso significa dunque cambiare il punto di vista che abbiamo non
soltanto sul sistema di artefatti che ci circondano ma
anche sull’attività progettuale: sul modo di procedere
nell’affrontare il design di un prodotto, sul punto da
cui cominciare per farlo e su quello in cui decidiamo
di aver finito, nonché sull’opportunità di disegnare pro-
Dario Mangano · I-Pod, and you?
prio quell’artefatto e non un altro. Tutto per ottenere
maggiore chiarezza, maggiore intelligibilità e maggiore differenziazione, come predicava Jean Marie Floch
(1990, 1995), senz’altro il semiotico che più di tutti non
soltanto si è occupato di design, ma ha pensato la semiotica e il design insieme, come progetti di senso.
Il primo effetto che si produce abbracciando questa
prospettiva è quello dell’allargamento dei confini dell’oggetto. È ciò di cui abbiamo provato a dare un assaggio qui: vedere dove ci conduce un artefatto e come.
Per farlo basta cambiare la propria prospettiva di osservazione, da una incentrata sugli enunciati – sugli artefatti così come si attestano – all’enunciazione, ossia alle
procedure attraverso le quali essi si propongono come
oggetti significanti, diventando ciò che sono grazie alla
relazione che li lega da un lato agli attori umani (che
le producono e ne fanno uso), e dall’altro agli artefatti che li circondano, ri-enunciandoli e cambiandone la
destinazione. Come nel caso della cuffia a padiglioni
sovraurali, che viene resa nuovamente pertinente in un
determinato contesto sociotecnico grazie all’iPod che
la ri-enuncia insieme con alcuni elementi che compongono la città (la metropolitana, i marciapiedi etc.). E
ancora: l’iPod è l’iPod non soltanto perché ha quella
forma, quei colori e materiali, e perché consente di interagire con la musica in un certo modo, ma perché tutta
una serie di artefatti lo hanno preceduto e altri seguito.
Perché nella sua ghiera ha la forma del 45 giri (cfr. fig.
1 e fig. 12); nel nome di chi lo produce (Apple) quello
della casa discografica dei Beatles; perché ci fa perdere
certi modi di concettualizzare la musica, la nostra musica,
e ce ne fa guadagnare altri; perché cancella un certo
tipo di gestualità – quella legata al modo di maneggiare
il vinile, di girarlo, di pizzicarlo al punto giusto con una
puntina – ma poi tutto questo, in qualche modo ritorna, e può avere ancora senso proprio perché c’è lui. È
questo il concetto chiave, quello che la dimensione discorsiva ci consente non soltanto di scoprire ma anche
– cosa ben più difficile – di maneggiare in senso progettuale. La cuffia, il giradischi, l’amplificatore a valvole, i
controlli del volume, la sveglia così come il porta carta
igienica, sono parte dell’esperienza dell’iPod in quanto
rientrano nel discorso al centro del quale troviamo il lettore
di Apple.
8. Progettare un discorso
Maneggiare in senso progettuale la discorsività dicevamo, ma come? Qui possono venire in aiuto i modelli
semiotici per dare a una riflessione del genere una struttura rigorosa. Non basta dire che gli oggetti costruiscono delle reti e che una trasformazione che si verifica
in uno di essi comporta delle conseguenze sugli altri.
Bisogna rendere tutto questo progettabile, e l’unico
modo per farlo è trovare un criterio con cui strutturare
questa sorta di “pensiero laterale” che ci porta a saltare
da un oggetto a un altro nel nome di un concetto vago
e soggettivo come quello di esperienza.
Emittente
Enunciatore
Enunciato
Enunciatario
Destinatario
Designer
Azienda
Artefatto
Target
Utente
Tab. 1
Il primo passo che la semiotica fa in questo senso è disinteressarsi di tutto ciò che non è un testo o che non
può essere considerato sub specie testuale. Tutto quello
a cui abbiamo collegato l’iPod era già lì, inscritto nelle
sue stesse forme: il disco, la copertina, la questione della
fedeltà del suono, il problema delle cuffie, dell’amplificazione, la possibilità di interfacciarsi fisicamente (attraverso il connettore) con altri oggetti etc. L’iPod parla
esplicitamente di altre cose, perché esse sono inscritte
nelle sue forme. Queste “altre cose” sono legate da un
lato a chi produce quell’oggetto-testo (l’enunciatore), ossia Apple, di cui il lettore Mp3 riproduce inconfondibilmente l’identità, e dall’altro all’utente (l’enunciatario),
ossia colui per il quale questo prodotto è pensato, il suo
“utente modello”. Una figura che è sì costruita sulla
base del pubblico reale che prevedibilmente userà questo apparecchio, ma che, allo stesso tempo, se ne allontana, ne è la sua immagine ideale, quello che si vorrebbe che questo pubblico fosse. Un “essere” che sta nella
mente del progettista – come in quella dello scrittore o
del musicista o dell’architetto –, di tutti coloro insomma
che realizzano qualcosa che andrà soggetto a una interpretazione, a una forma di “uso” di qualche tipo. Un
modello che è al contempo etereo come un pensiero ma
si trova anche molto concretamente inscritto nelle scelte
progettuali (Tab. 1).
Il designer compie dunque un doppio movimento contrastante: da un lato prova ad avvicinarsi al suo utente reale, cerca di conoscerlo, di dargli un oggetto che
lo interessi e che riesca a usare; dall’altro si allontana,
non solamente perché può conoscerlo solo fino a un
certo punto, ma anche perché realizzare un qualche
tipo di innovazione significa necessariamente produrre nuovi utenti, esattamente come è avvenuto per l’iPod
che li ha creati “inventando” modi e tempi di ascolto
della musica che prima non c’erano. Per questo alla
presentazione dell’iPod, Bill Gates, allora presidente di
Microsoft, e dunque persona ben al corrente delle dinamiche di mercato, riuscì a pronunciare una delle profezie peggiori della storia dell’informatica affermando
che il riproduttore si sarebbe estinto prima della fine di
quell’anno. Non solo non si è estinto, ma, cosa ben più
interessante dal nostro punto di vista (anche questa non
prevista da Gates), ha finito per cambiare Apple, ossia
il suo creatore-enunciatore. Non limitandosi a “lanciare in un nuovo mercato” l’azienda di Cupertino, ma
cambiando anche il suo modo di essere nel suo mercato
storico, quello informatico. Consolidando certi aspetti
strutturali della sua “personalità” di azienda (concezione “creativa” dell’informatica, attenzione per la multimedialità, per il computer come strumento di vita e non
solo di lavoro etc.) ma anche stimolando nuove politi-
che (l’abbassamento del proprio target di riferimento, il
compromesso con Microsoft e con Intel che ha portato
i computer della mela a funzionare anche con Windows
etc.) che hanno condotto allo sviluppo di nuovi prodotti
come l’iPhone.
Tutto questo l’iPod ce lo dice chiaramente: sta scritto
nelle sue forme, nei suoi colori (prima bianco, poi bianco e nero, poi vari colori con iPod Nano e Shuffle che
hanno fatto il paio per un certo periodo con i colori di
iMac), nei suoi menù, nella sua interfaccia. Particolari
attraverso i quali ci parla di altro da sé: di moda, di
musica, di spazi (metropolitana, marciapiede, autobus).
Parla di altre cose ma parla anche le altre cose, le mette
insieme, le (ri)articola, le enuncia nuovamente inserendole in un nuovo discorso di cui è l’artefice primo (ma
certamente non unico). Un fenomeno che con i libri
capita in continuazione: si legge un libro, poi se ne legge un altro, e si ritorna al primo per rileggerlo nuovamente, perché la seconda lettura ci ha dato una chiave
originale che ci spinge a riprenderlo in mano e farlo
“vivere” ancora. Pensare in termini discorsivi anziché
testuali significa allora estendere il concetto di enunciazione non solamente al testo specifico con il quale
ci confrontiamo ma anche agli altri testi-artefatti che
contribuiscono a definire l’universo discorsivo nel quale muoviamo le nostre osservazioni. L’enunciazione è
l’insieme degli elementi assenti ma in qualche modo previsti:
dall’iPod, ma anche dai giradischi, dalle sveglie, dalle
cuffie. Il giradischi muore a causa del CD, e chi avrebbe
dovuto dargli il colpo di grazia, ossia l’iPod, lo riporta
invece in vita. Ma ciò che si alza dalle ceneri è un oggetto nuovo, che presuppone, per esempio, di trovare
collocazione in bella vista su un mobile in salotto, in
maniera antitetica ai suoi predecessori che ci si affannava a nascondere dietro i vetri fumè dei mobili rack.
L’iPod ri-enuncia il giradischi e questi a sua volta lo fa
con i mobili del salotto. Aver chiara questa dinamica
significa non soltanto guardare in modo diverso a ciò
che stiamo progettando, poniamo il giradischi, ma anche essere spinti a riconsiderare divani e tavolini, perché è chiaro che nell’epoca dell’iPod è l’intera estetica
della fruizione musicale che cambia. Come il calice dà
senso al vino (Galofaro 2005), tanto che nessuno mai
si sognerebbe di bere uno Chateau Latour del 1996 in
un bicchiere di plastica, così giradischi e salotto danno
senso alla musica, secondo un concetto di estetica che
va oltre la semplice forma delle cose e pertiene piuttosto
alle relazioni che queste intrattengono fra loro e con le
persone che le toccano, le odorano, le guardano, vi si
siedono sopra etc.
L’intertestualità è dunque una forma di enunciazione:
il discorso che si produce dal modo in cui un artefatto
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ne prende in carico un altro inserendolo in una storia
di vita e dunque nell’identità di qualcuno. Ovvero, se
vogliamo spingere sul parallelismo latouriano fra soggetti e oggetti nel nome della nozione di attante (Latour
1992, 1996a), dovremo pensare che oltre a una enunciazione intersoggettiva, quella messa in atto da soggetti
che producono artefatti pensando ad altri soggetti, ne
esista una interoggettiva, nella quale sono gli oggetti a
ri-enunciare altri oggetti. Sulle prime portandoci a riprenderli in mano, riattualizzandoli, ed in seguito facendone nascere di nuovi che incorporano le istanze di
questa ricontestualizzazione. Come nel caso dell’iPod e
del giradischi che ci hanno portato dapprima a riscoprire i vecchi Hi-Fi, a rimettere sul piatto il vinile e a
maneggiare vecchie copertine (che acquisivano senso in
quella estetica vintage che nasceva dalla loro stessa ripresa), ed in seguito a creare gli apparecchi con i quali si
stanno cominciando a comporre oggi i nuovi impianti
Hi-Fi (e i nuovi salotti).
Può essere utile allora ricordare che, da un punto di
vista semiotico, l’esistenza di un artefatto non ha nulla
a che vedere con la sua presupposta presenza fisica nel
mondo. L’oggetto guadagna la sua evidenza per pura
abitudine, grazie al senso comune che tende a cancellare quella natura “dubbia” che invece la filosofia gli
riconosce mettendo in discussione il suo darsi a priori
rispetto al soggetto che lo pensa (Cogito ergo sunt, verrebbe da dire) (cfr. Marrone in questo stesso volume). Ogni
artefatto esiste in quanto è reso pertinente da qualcuno
in una certa situazione secondo precise modalità. Il giradischi esiste perché, grazie all’iPod, viene ri-enunciato, inserito in una struttura costituita dall’insieme degli
artefatti contemporanei ma, nel farlo, il lettore Mp3
compie una azione ben più radicale, modificando ed
allargando tale insieme, portando al suo interno altri
oggetti del passato (o anche del presente) che non ne
facevano parte ma che erano, per così dire, virtualmente
presenti in esso: il vinile, le copertine, le valvole dell’amplificatore, il tavolo basso del salotto ma anche la sveglia
etc.
Ci torneremo fra un attimo. Intanto vorremmo far notare come questa forma di “convocazione” ne abbia di
quel “dispiegamento del paradigma nel sintagma” che
Jakobson (1958) considerava la caratteristica della poeticità: presentificare l’insieme degli elementi assenti. Un
artefatto come l’iPod sarebbe allora poetico in quanto
ha la capacità di agire come un operatore semantico in
grado di evocare altri oggetti (e pratiche, ovviamente
mai scindibili da quelli) magari dimenticati, riportandoli nuovamente in vita, ma a una vita che chiaramente
non può essere più quella che avevano precedentemente.
9. Quattro stati di esistenza
I quattro stati che la semiotica attribuisce all’esistenza
– potenziale, virtuale, attuale e realizzato – possono
allora contribuire a gettare nuova luce sul design. Si
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tratta di definire il tipo di relazione che un artefatto intrattiene con un soggetto, ma anche, aggiungiamo noi,
con altri oggetti/artefatti. Le teorie della percezione lo
dicono chiaramente: riusciamo a vedere qualcosa solo
se lo sfondo, ossia ciò che non guardiamo, è adeguato.
L’invisibile, spiega Merleau-Ponty (1964), è la condizione di possibilità del visibile, non il contrario. L’esistenza
di un artefatto si impone quando non è solo, quando
sta insieme a qualcos’altro che non percepiamo (se non,
eventualmente, per precisa scelta). Si capisce allora il
motivo per cui Latour (1999c) preferisce parlare di quasi-oggetti e quasi-soggetti: non vuole cedere al ricatto
della lingua che pretende oggettivi tutti gli oggetti e soggettivi i soggetti; mentre, se uno stato “naturale” esiste
(in opposizione a uno culturale), è quello ben espresso
dall’avverbio “quasi”, per cui l’oggetto non è oggetto se
non per un soggetto e viceversa7. Le modalità di esistenza che presentiamo sono pertanto forme di relazione, di
esistenza “in rapporto a”.
Un oggetto/artefatto sarà considerato virtuale quando
esiste in quanto eventualità: è riconoscibile, qualcuno
può sentirsene attratto (volere o dovere raggiungerlo),
ma rimane niente più che una alternativa, non viene
“attivato”. Come il giradischi quando è arrivato il CD:
continuava a esistere ma nessuno lo voleva più o aveva
la necessità di averlo. Le modalità di esistenza, però,
non hanno nulla di statico, al contrario, si evolvono in
continuazione, come dimostra proprio il giradischi che
diventa attuale quando, in seguito a una certa trasformazione nel contesto-sfondo della fruizione musicale, cambia il suo valore, iniziando a svolgere un (nuovo) ruolo.
Quando l’iPod ha fatto il suo ingresso nell’universo della fruizione della musica, con le sue caratteristiche di
portabilità, di gestione dei brani e di fedeltà sonora, di
colpo il giradischi è stato convocato dal limbo in cui si
trovava all’interno di una struttura che è diventata pertinente nel suo complesso: quella fatta dalle copertine,
dai lati A e lati B, dai gesti, dal calore del suono analogico, dall’ascolto concentrato e dai salotti con i loro
tavolini bassi. Il giradischi non era più semplicemente
lì, era lì “insieme con”, era l’anello di una catena che si
costituiva (o ri-costituiva) in virtù di un potere e di un
sapere che la caratterizzavano.
Fino qui la configurazione interoggettiva prevede semplicemente la riattualizzazione di oggetti del passato, di
vecchi amplificatori, delle cuffie sovraurali rimaste per
anni chiuse nei cassetti, e dunque più che di design si
tratta di riuso. Il vero design si trova nell’oggetto realizzato. Chiamiamo così l’esito di una performance progettuale grazie alla quale soggetti e oggetti sono trasformati l’uno in rapporto all’altro; l’oggetto perché perché
esito di una nuova produzione, il soggetto perché costretto ad adattarsi a una nuova situazione sociotecnica
(nuovi modi di svolgere vecchi compiti, ma anche nuovi
compiti e nuovi valori). Nel nostro caso si tratta del nuovo giradischi, quello di fig. 8, che è stato riprogettato in
seguito all’esser ritornato pertinente grazie alle trasfor-
mazioni subite dal contesto, ma anche del nuovo amplificatore a valvole per iPod (fig. 15), o della sveglia (fig.
5) etc. E con essi del nuovo “appassionato di musica”.
Il design entra in scena al momento di trasformare le
cose, in modo che “funzionino” sul tavolino basso del
salotto buono. E poi ovviamente arrivano i nuovi tavolini bassi, le nuove cuffie sovraurali con il meccanismo di
riduzione del rumore e quant’altro; una nuova rete di
oggetti che nasce sull’onda di un primo slancio progettuale che ha cambiato il modo di guardare a una data
attività e a uno o più oggetti che la caratterizzano.
A questo punto, però, quando un nuovo oggetto si
diffonde fra la gente e comincia per così dire la sua
“vita attiva”, ha inizio una nuova trasformazione. Per
quanto il progettista possa aver svolto accuratamente
il suo compito, capita assai di rado che il modo in cui
gli utenti “prendono in carico” un prodotto coincida
perfettamente con quello da lui previsto. Gran parte dei
problemi che abbiamo con i computer dipendono dal
fatto che non ci comportiamo mai esattamente come
qualche ingegnere ha pensato che avremmo fatto: clicchiamo dove non dovremmo, invertiamo l’ordine delle
operazioni prescritte, ne dimentichiamo qualcuna, e
questo, in un ambiente ricco di variabili come quello
informatico, conduce alla babele che sappiamo. Ma il
principio si mantiene uguale anche quando le variabili sono molte di meno. Non abbiamo ancora elementi
per dire come la gente userà il moderno giradischi di
fig. 8, ma la storia del suo antenato SL 1200 di fig. 6
è molto chiara al proposito: nato per l’alta fedeltà domestica è poi diventato il giradischi dei DJ perché essi
hanno saputo sfruttare certe sue caratteristiche tecniche
(trazione diretta, variazione di velocità etc.) per manipolare i dischi in riproduzione e fare nuova musica, la
loro musica8. I DJ hanno enunciato il giradischi in un
certo modo non previsto dal progettista (fermando il disco con la mano, aumentando o diminuendo la velocità
di rotazione durante la riproduzione etc.) e questo ha
cambiato la musica. Poi però quest’ultima è tornata sul
giradischi trasformandolo a sua volta. Risulta evidente
considerando i modelli successivi all’originale (distinti
da una sigla: da mk2 a mk6) che, per adeguarsi all’esigenza dei DJ, consentono di variare la velocità in un
intervallo più ampio, o che, molto più semplicemente,
mancano del coperchio (un inutile impaccio per questo
tipo di utenti).
È il fenomeno della prassi enunciativa, ovvero le conseguenze che hanno su una certa “struttura” i modi
particolari di assumerla all’interno di certe pratiche.
Pensiamo alle “scorciatoie” che vediamo ogni tanto
nei parchi sotto forma di una striscia di terra spoglia in
un bel prato verde. Quando il progettista ha dato forma alle aiuole, ha definito dei percorsi e realizzato dei
vialetti che poi però la gente ha deciso di non seguire.
Qualcuno ha preso a “tagliare” il tale angolo, qualcun
altro ad attraversare la tal’altra aiuola. Non casi sporadici – il singolo che decide di scavalcare la siepe per suo
vezzo – ma gruppi di persone che sistematicamente “tagliano” fino a disegnare viottoli che rimangono a lungo
(o anche per sempre) semplice terra battuta, sancendo
un uso, come lo chiama Hjelmslev. Solo in qualche caso
accade che essi vengano ricoperti, magari con delle
assi di legno o dei mattoni e, ben più di rado ancora,
che si decida di agire sulla struttura del giardino modificando la pavimentazione e ridisegnando i cordoli.
Nel frattempo, comunque, da quando c’è la scorciatoia,
il frammento di strada interessato dalla deviazione ha
smesso di essere usato e si è riempito di foglie secche e
di sporcizia.
I DJ, come i visitatori del parco, hanno saputo cogliere
l’oggetto potenziale che era racchiuso in quelle forme e
tecnologie attivandolo e creando così qualcosa di nuovo
(nuova musica per gli uni, un risparmio di tempo per
gli altri). In tutto questo gli altri oggetti, in particolare gli altri giradischi, proprio come i viali pavimentati,
venivano anche loro “trasformati”, sfrattati dalle discoteche, diventavano virtuali, possibili alternative sempre
più raramente attivate. Riportando queste modalità di
esistenza a uno schema che ci consenta di percepire le
relazioni che esse intrattengono fra loro, avremo il seguente quadrato:
Virtuale
disgiunzione
Realizzato
congiunzione
19
non-congiunzione
Potenziale
non-disgiunzione
Attuale
Qui ognuna delle modalità trova collocazione rispetto
alla categoria semantica congiunzione vs disgiunzione che
rende conto del rapporto tra l’oggetto, il soggetto e l’insieme di altri oggetti che definiscono la struttura sociotecnica di riferimento9.
10. Forme dell’innovazione
Possiamo dunque considerare un oggetto sulla base dello stato di esistenza che assume rispetto ad altri. Ma ciò
che è più importante non è il posizionamento (e con
esso l’opportunità di individuare differenze e attribuire
spazi all’interno dei mercati) ma la possibilità di rendere
conto delle trasformazioni che si verificano. Un oggetto
non è mai intrinsecamente virtuale, attuale, realizzato o potenziale, ma assume di volta in volta un tale ruolo in ragione di quello assunto da altri artefatti. Sono le operazioni
che si possono realizzare tra i diversi stati che devono
interessarci, soprattutto in un’ottica progettuale. Dai
quattro stati di esistenza Fontanille e Zilberberg (1998)
ricavano allora quattro operazioni diverse ( in seguito
riprese in Fontanille 1998 e Marrone 2003), due delle
quali diremo di carattere ascendente in quanto portano
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
verso la concretezza di una realizzazione, e due di carattere discendente poiché conducono a una forma di virtualità. Seguendo i due autori le chiameremo: emergenza
(virtuale>>attuale), che consiste nella ripresa di certe
proprietà di un artefatto che lo riattualizzano; apparizione (attuale>>realizzato), che si ha quando certe forme
d’uso emerse precedentemente vengono introiettate in
un nuovo artefatto; declino (realizzato>>potenziale) che
si verifica quando, attraverso l’uso, emergono forme di
prassi enunciativa che vanno oltre le volontà del progettista; ed infine scomparsa (potenziale>>virtuale) che
si verifica quando un artefatto o parte di esso (come nel
caso del viale) perde pertinenza rispetto a una struttura
sociotecnica.
ascendenza
emergenza
virtuale>attuale
apparizione
attuale>realizzato
declino
realizzato>potenziale
distorsione
fluttuazione
scomparsa
potenziale>virtuale
rimaneggiamento
rivoluzione
decadenza
20
Ora, come il paragone con la visione ci ha aiutato a
chiarire, ogni trasformazione coinvolge almeno due entità: perché qualcosa passi in primo piano è necessario
che qualcos’altro diventi sfondo e viceversa. La condizione del progetto non è dunque la semplice apparizione di qualcosa che non c’era prima; perché qualcosa
compaia è necessario che qualcos’altro segua il percorso inverso, in una riconfigurazione che è sempre complessiva. Il vecchio giradischi ritorna quando arriva
l’iPod, il nuovo giradischi quando cambiano i salotti,
tutto questo mentre il lettore CD che aveva scalzato il
giradischi, si trova a sua volta messo da parte, nascosto alla vista, dato per scontato o addirittura eliminato
(pensiamo ai lettori di CD portatili ormai impossibili da
trovare). È così che il design produce altro design. Da
qui la possibilità di combinare le operazioni elementari
che abbiamo descritto individuando quattro processi
che caratterizzano l’attività progettuale.
Quando a una apparizione si associa una scomparsa si
parlerà di rivoluzione: dove c’era un certo artefatto adesso
ne troviamo un altro che lo sostituisce completamente.
È stato il caso del passaggio dal cavallo all’automobile,
dalla ghiacciaia al frigorifero ed è quello che è successo
con l’iPod (e con i lettori Mp3 in generale) che ha provocato la scomparsa sia dei riproduttori portatili di CD
sia di quelli di musicassette come il Walkman Sony. C’è
dunque una variabile che si manifesta ma a scomparire può essere più d’una. Al contempo, la medesima
apparizione provoca all’interno del “sistema” di oggetti rivolti all’ascolto della musica una distorsione, ovvero
l’emergenza di qualcosa e il declino di qualcos’altro.
Chi emerge è come abbiamo detto il vecchio giradischi
che ritorna d’un tratto pertinente mentre al contempo
declina il CD player da tavolo che viene messo in crisi
Dario Mangano · I-Pod, and you?
sotto vari fronti: quello del suono (più caldo nella riproduzione analogica), quello della capienza e dell’organizzazione della musica (rispetto a cui l’iPod è senz’altro più efficace), ma soprattutto quello delle interazioni
(in special modo quelle tipicamente realizzate dai DJ,
per i quali, non a caso, verrà inventato il nuovo SL-DZ
1200 di fig. 7, una nuova apparizione che non potrà che
portarsi dietro nuovi cambiamenti). Una fluttuazione è
invece quella che interessa le cuffie. Assistiamo infatti
all’apparizione di modelli che combattono il rumore
esterno (elettronicamente o fisicamente) e al contempo
al declino di quelli che non hanno questa caratteristica.
Infine possiamo considerare un rimaneggiamento la scomparsa del formato Super Audio CD che sta coincidendo
con il ritorno del vinile. Il primo è un formato di incisione digitale molto più sofisticato di quello del normale
Compact Disk10 che le case discografiche hanno tentato
di lanciare qualche anno addietro e che, con la ripresa
del vinile e della sua “estetica” della fruizione ci sembra
essere del tutto tramontato (virtualizzato, almeno per il
momento). Prova ne sia il fatto che all’interno dei negozi di musica non ci sono più tracce di questi supporti
mentre, al contrario, si cominciano a vedere nuovamente le sezioni dedicate ai Long Playing.
I quattro movimenti che abbiamo elencato ci offrono dunque la possibilità di analizzare il modo in cui
l’entrata nel mercato di un oggetto come il lettore di
Apple possa trasformare, in maniera più o meno diretta, il senso di un ampio numero di oggetti. Rispetto alle
quattro possibilità indicate da Fontanille e Zilberberg
(1998), però, dobbiamo precisare che in un sistema
come quello che stiamo studiando, caratterizzato dalla
contemporanea presenza di più variabili/oggetti, anche
altre due possibilità di variazione concomitante si manifestano. Due opportunità che sono matematicamente
possibili11 risultano in questo caso attivate. Si tratta di
quelle situazioni che non trovano nome nella teoria dei
semiologi francesi in cui assistiamo a una emergenza
e una apparizione insieme, e a un declino e una sparizione. L’iPod da un lato fa tornare pertinenti i vecchi
giradischi (emergenza: virtuale>>attuale) e dall’altro
stimola la progettazione dei nuovi modelli (apparizione: attuale>>realizzato). Parimenti comporta il declino
(reale>>potenziale) del CD player e la contemporanea
sparizione (potenziale>>virtuale) dell’audiocassetta.
Una particolarità che qui ci limitiamo solamente a far
rilevare rimandando a un futuro approfondimento la
disamina delle conseguenze teoriche.
Dal ragionamento che abbiamo seguito risulta evidente
che rimane poco spazio per quella “creazione” che tanto fa parte della mitologia del design. Le invenzioni ex
abrupto sono davvero poche: il telaio a vapore deriva dal
precedente telaio manuale, l’automobile dalla carrozza,
l’iPod dagli hard disk esterni, e gli esempi potrebbero
continuare a lungo. D’altronde, che l’innovazione fosse
un fenomeno sistemico lo si sapeva da tempo, quello
che va sottolineato è l’importanza che rivestono al suo
Fig. 21 – iPod Classic, faccia
superiore.
Fig. 22 – iPod Classic, faccia
inferiore e lato lungo.
interno i fenomeni più strettamente semiotici. Prima di
diventare prodotto, l’innovazione è insomma sempre
progetto di senso.
11. Dalle strutture profonde al discorso: spazi,
tempi e attori
Da quanto abbiamo detto finora appare chiaro che la
discorsività intesa come dimensione del senso privilegi il
piano del contenuto su quello dell’espressione. Il ragionamento che bisogna costruire per coglierla presuppone infatti di fare astrazione dalle differenze materiali fra
artefatti per andare direttamente a ciò che li accomuna,
quella relazione a partire dalla quale, nel nostro caso
specifico, si dà senso alla musica attraverso le circostanze
del suo ascolto (intese come esperienza cognitivamente
e sensorialmente complessa e non semplicemente come
il modo o il luogo in cui esso avviene). In quest’ottica
si rischia però di dimenticare il legame fondamentale
con la materialità degli oggetti, una perdita che un designer evidentemente non può permettersi, pena il venir
meno della sua stessa attività. È questo che è successo,
in fondo, negli anni Ottanta e Novanta del Novecento
quando i designer, dopo aver manifestato interesse per
la disciplina semiotica e intavolato con i suoi maggiori protagonisti un promettente dialogo, interruppero bruscamente ogni contatto. Se ne disinteressarono
quando smisero di vederla come un possibile strumento
progettuale, convincendosi che essa sarebbe potuta essere unicamente una filosofia dell’oggetto, in grado di
“commentare” ciò che già esisteva senza mai poter veramente incidere sulla sua realizzazione. Un passaggio
che, oggi ben più che allora, la semiotica riesce perfettamente a realizzare avendo ben chiaro il percorso generativo
attraverso il quale da un sistema semantico profondo (e
astratto) si perviene a concrete occorrenze materiali, e
dunque potendo far luce sull’attività del designer che
continuamente passa da un livello astratto – quello delle
relazioni che crea attraverso ciò che progetta – a uno
concreto – quello degli oggetti nei quali queste ultime
vengono enucleate.
Fig. 23 – iPod Classic, lati corti,
in alto quello superiore e in basso
quello inferiore
11.1. Spazi
Le tre categorie di spazi, tempi e attori che individuano
le dimensioni costitutive di un enunciato possono allora essere considerate la base per analizzare il processo
creativo attraverso il quale dall’astrazione di un sistema di relazioni si passa alla concretezza di un prodotto
– sia esso l’interfaccia fisica di un apparecchio elettronico come l’iPod, o quella meno strettamente “materiale” del suo software. Un artefatto, qualunque esso sia,
ha infatti sempre a che vedere con almeno uno spazio:
quello che occupa fisicamente (un rettangolo, un quadrato, un cerchio, qualcosa che ha uno spessore o che
non ce l’ha come un foglio) o all’interno di un ambiente
virtuale come quello visualizzato sul monitor.
Nel nostro caso abbiamo entrambe queste tipologie di
spazi: fisici, ovvero dell’oggetto con le sue dimensioni,
e virtuali, ovvero del sistema operativo con il quale dal
piccolo monitor si possono gestire le sequenze di brani
(ma anche i video e tutti i contenuti del dispositivo). Per
quanto riguarda i primi, abbiamo un totale di sei superfici, due “facce”, quella superiore e inferiore, e quattro
“lati”. Le prime due sono occupate rispettivamente dal
gruppo monitor/ghiera cliccabile (faccia superiore, fig.
21) e dal logo Apple insieme a una eventuale scritta con
la quale, se acquistiamo il riproduttore presso l’Apple
Store, possiamo chiedere che venga personalizzato (faccia inferiore, fig. 22). Dei quattro lati, invece, solo quelli
corti (fig. 23), ovvero il superiore e l’inferiore ospitano
qualcosa. In particolare, quello superiore, il foro in cui
inserire lo spinotto della cuffia e il piccolo cursore per il
blocco della ghiera, mentre l’inferiore, l’ampio pettine
di contatti dell’interfaccia-oggetto.
Ma non facciamoci trarre in inganno dalle parole:
ognuno di questi spazi configura in realtà un’interfaccia, ovvero un luogo di relazione. I due lati lunghi lo
fanno con le dita della mano che grazie a essi possono
reggere l’apparecchio dando modo al pollice (o all’indice dell’altra mano) di agire sulla ghiera cliccabile. I
due lati corti con il computer e altri possibili oggetti
(interfaccia inferiore) nonché con la mano (cursore di
blocco) e la cuffia. Per finire con la faccia posteriore,
che con la sua superficie cromata e il logo serigrafato
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
21
a
b
c
Figg. 24 – Fotogrammi del primo spot pubblicitario dell’iPod (2001)
comunica al mondo che quello che stiamo adoperando
è un prodotto della casa di Cupertino (il nostro personale prodotto, nel caso in cui oltre al logo di Apple vi sia
anche una scritta fatta incidere da noi stessi). Ognuno
degli spazi individuati dall’oggetto è dunque uno spazio
di relazione: nei nostri confronti ma anche in quelli di
altri oggetti, soggetti o spazi.
22
11.1.1. Di tasche e ballerini: il primo spot per
l’iPod
Grazie alle sue dimensioni, per esempio, iPod si interfaccia bene con le “tasche” (è “tascabile” appunto)
e dunque si trova perfettamente a proprio agio nelle
metropolitane o sui marciapiedi. La prima pubblicità
dell’iPod, un altro dei testi che a buon diritto contribuiscono a costruire il discorso del lettore di Apple, lo
mostra chiaramente. Comincia con l’immagine di un
portatile della casa di Cupertino dietro al quale intravediamo operare un uomo (non un adolescente!) (fig.
24a). Dopo qualche secondo cominciamo a sentire una
musica ritmata e vediamo l’uomo che comincia a muovere la testa. A questo punto l’inquadratura passa dal
lato opposto, sul monitor, mostrandoci iTunes e l’azione con la quale l’uomo sta “trascinando” un brano sul
suo lettore. La musica si fa sempre più incalzante, ed
è a questo punto che l’inquadratura passa finalmente
sull’iPod che viene disconnesso.
A questo punto la musica si interrompe bruscamente.
L’uomo si alza, mette la cuffia, seleziona il brano con
la ghiera (fig. 24b), preme il bottone centrale, e la musica ricomincia, ancora più coinvolgente di prima. A
questo punto, nulla trattiene più l’uomo che comincia
a muovere tutto il corpo in una danza sfrenata all’interno di quello che sembra essere l’appartamento di un
giovane lavoratore (fig. 24c), arredato secondo il miglior
stile “casual ricercato” che ha contraddistinto da sempre il “tipo” Macintosh12. Dopo qualche passo di danza
prende il giubbotto: è chiaro ormai che si sta avviando
all’uscita, e infatti l’inquadratura lo segue nel corridoio
fino alla porta (fig. 24d) dove si stringe sul taschino per
mostrare chiaramente il momento in cui vi viene riposto il lettore (fig. 24e). Un momento dopo si chiude la
porta e la musica cessa di colpo. L’inquadratura è ancora interna all’appartamento, fissa sulla porta bianca,
ma la musica è scomparsa: è andata in giro con il nostro
amico ballerino.
Dario Mangano · I-Pod, and you?
Non è un caso allora che quando, di recente, Apple ha
voluto rinnovare il design dell’iPod ha pensato di cambiarne la forma (accorciandolo e rendendolo leggermente più tozzo) e la finitura dei materiali (dal lucido
all’opaco), lasciando invece inalterate le funzioni e il
sistema di gestione.
Anche lo spazio del sistema operativo è interessante.
Pur essendo bidimensionale e privilegiando la direzione
verticale (con i menu a cascata) viene tradotto a livello
dell’interfaccia esterna in uno spazio e un movimento circolari, quello della ghiera cliccabile. Apple paga
il prezzo di rinunciare a un’affordance (spostamento in
verticale attraverso due pulsanti) (Norman 1988) per
creare una relazione ancora più profonda con l’utente.
Il movimento per “navigare” la musica su iPod non è
quello “digitale”, “a scatti”, di un pulsante, ma quello
“analogico”, fluido, di una ghiera circolare che risponde alla velocità del gesto con il quale la sfioriamo, proprio come accade con la manopola del volume di un
impianto stereofonico. Solo che qui il gesto deve obbligatoriamente essere quello morbido di una “carezza”
affettuosa.
Spazi che configurano altri spazi dunque, ma anche
spazi le cui direzioni di percorrenza vengono tradotte
in altre direzioni, riconfigurando quelli di partenza. A
ben guardare, fra l’altro, l’insieme di oggetti che abbiamo considerato è tenuto insieme dal modo in cui
vengono trattati gli spazi che il lettore offre. Come il
Phonophone II di fig. 9, un amplificatore passivo13 che
sfrutta i minuscoli altoparlanti delle cuffiette in dotazione all’apparecchio per amplificarne il segnale (fig 25).
Ma anche iCarta (fig. 4), il dispenser di carta igienica
grazie al quale iPod invade un luogo intimo come il
bagno. Se ognuno può portare il suo iPod con sé, la
condivisione un’unica stanza da bagno da parte di tutta
la famiglia non sarà più un problema perché essa potrà essere “personalizzata” attraverso la musica: quella
di un iPod che – lui sì – deve obbligatoriamente essere
personale.
11.2. Tempi
Per quanto la temporalità non sia di immediata percezione nel caso del design, a ben guardare i prodotti
industriali hanno spesso a che vedere con essa. Come
i racconti, che fin dalle prime battute ci portano in un
altro tempo con il tipico “c’era una volta”, così il design
d
tende anch’esso a spostarsi nel futuro o nel passato con
diversi stratagemmi, come l’utilizzo di certe forme e
materiali. Può evocare una dimensione temporale dunque, ma ciò che ci pare più interessante, è che spesso
serve ad articolarla. I primi a farlo sono stati gli orologi,
che le hanno dato visibilità. Sono stati loro, tra l’altro,
la prima vera “macchina” inventata dall’uomo, ben
prima dei telai meccanici che tanta importanza ebbero
nella rivoluzione industriale. Ma da allora il design ha
prodotto agende elettroniche, telefoni cellulari, computer, navigatori satellitari etc., tutti oggetti che giocano con questa sostanza rigida e inarrestabile ma allo
stesso tempo duttile e malleabile nella percezione che
ne abbiamo. Possiamo restringerla o allargarla, come
quando, grazie al portatile “comprimiamo il tempo”
mettendo a frutto i tempi morti che trascorriamo nei
mezzi che ci portano al lavoro rispondendo alle e-mail,
o quando, grazie alla sua capacità di calcolo, riusciamo
a sviluppare rapidamente progetti complessi. Ma anche, del tutto all’opposto, quando grazie alle possibilità
multimediali del nostro palmare, rimaniamo incollati
a fissare l’ultimo video scaricato in podcast dalla rete,
allungando senza rendercene conto una pausa che sarebbe dovuta essere rapida.
Anche nel caso dell’iPod la dimensione temporale è
ben presente, le sue capacità multimediali (da un po’
di modelli a questa parte si possono anche guardare i
video), unite alla sua portabilità, ci consentono di riempire dei “vuoti” sia temporali (un’attesa) che spaziali (un
percorso in autobus) trasformando la percezione che ne
abbiamo. È grazie a un diverso modo di dar forma al
tempo dell’ascolto musicale, come abbiamo detto più
volte, che proprio nell’epoca dell’iPod si torna a usare
il vinile, con i suoi 25-30 minuti per lato che ci obbligano a interrompere di tanto in tanto l’ascolto, e dunque a “seguirlo” più di quanto faremmo se facessimo
affidamento unicamente sulle capacità di riproduzione
pressoché infinita del lettore digitale. Ed è proprio sul
tempo che si basa il successo di iTunes Store, il servizio
di vendita di brani musicali on line che ci consente di
acquistare l’ultima novità del nostro cantante preferito
senza dover neanche andare in negozio per farlo.
11.3. Attori
Infine gli attori, struttura portante nel caso dei racconti, possiamo riconoscergli un ruolo analogo a proposito
e
f
di un artefatto se solo siamo disposti a intenderli non
come “personaggi” ma come parti del suo “corpo” che
ne figurativizzano alcune “forze profonde”. La ghiera
cliccabile, per esempio, che consente di cercare il file da
riprodurre all’interno di quelli presenti nel riproduttore
di Apple, serve di fatto a “muoversi” nella struttura ad
albero con la quale essi sono rappresentati sul display,
che è a sua volta una traduzione di quella con cui sono
archiviati nella sua memoria. Nell’iPod, come in ogni
oggetto peraltro, si passa dunque attraverso vari livelli
di funzionamento ognuno dei quali è strettamente collegato a una precisa figurativizzazione. Semplificando:
dalla struttura dei bit sull’hard disk, all’organizzazione
delle informazioni nei file (il record di un database che
comprende nome e cognome dell’artista o del gruppo
musicale, titolo del brano, disco dal quale è tratto, posizione etc.), alla rappresentazione dei file nel dispositivo di visualizzazione (gli elenchi per autore, titolo etc.),
all’insieme di comandi attraverso i quali si interagisce
con tale rappresentazione (la ghiera circolare invece
dei più immediati pulsanti). Ognuno di questi passaggi implica una trasformazione di natura semiotica, una
traduzione da un sistema di rappresentazione all’altro
in cui si assiste a una progressiva “antropomorfizzazione”. Non il mero “adattamento” dell’oggetto al corpo
di colui che lo deve utilizzare (Marsciani 1999), come
vorrebbe certa ergonomia, bensì la “costruzione” di
tale soggetto. Proprio come nel caso della ghiera, che
Fig. 25 – Le cuffiette dell’iPod appoggiate sul Phonophone
che ne amplifica il livello di pressione sonora fino a 55 db.
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
23
24
nega il sistema ormai convenzionale (e la gestualità che
implica) dei pulsanti dando vita a una diversa modalità di interazione con la struttura logica dei file (movimento rotatorio in rapporto a quello lineare nel display,
sfioramento anziché pressione e dunque percezione di
una “durata” invece di una interazione puntuale) e, con
essa, una particolare gestualità del corpo dell’utente.
Recuperando, peraltro, alcune caratteristiche di quella
implicata dal vinile: la circolarità innanzitutto (il disco
non gira più, ma al suo posto lo fanno le dita), ma anche
l’importanza del “tocco” (la delicatezza che si doveva
usare per non danneggiare il vinile è ora necessaria per
far scorrere rapidamente il cursore sui brani).
Una gestualità e una sensibilità (e dunque un corpo)
che – per rimanere in tema di discorsività – ha guidato
la recente riprogettazione da parte di Apple delle tastiere date in dotazione con i computer da tavolo, in
cui tasti a sfioramento hanno rimpiazzato quelli convenzionali dalla corsa ben maggiore, la cui unica ragion
d’essere (dal momento che tecnicamente una tastiera
di questo tipo è realizzabile da molto tempo), è stata la
somiglianza che si è voluta mantenere a lungo con le
antiche macchine da scrivere e con il modo di battervi
su, facendo scattare con violenza un tasto alla volta e
compiacendosi dello schiocco che si produce anziché
sfiorando rapidamente e silenziosamente una superficie
quasi piatta. Traduzioni che non sono per nulla specifiche degli oggetti elettronici o informatici, per quanto
queste tecnologie consentano più di altre di sganciare il
gesto dall’azione. Anche una piccola zappa da giardiniere è la figurativizzazione di un livello profondo: quello dei principi fisici che danno forma alla sua struttura
(la fisica della leva), dal quale, attraverso l’impugnatura,
si sale ad un livello di superficie in cui diventa pertinente la gestualità della mano che viene più o meno rigidamente suggerita dalla conformazione della plastica.
11.3.1. Il design come attorializzazione
Se attorializzare significa ricoprire figurativamente un
livello tecnico, dar corpo a una logica operativa e con
essa agire sulla carne dell’utente modificando i sintagmi gestuali che ne caratterizzano l’azione14, allora non
è difficile immaginare che l’insieme di oggetti che abbiamo presentato si costruisca proprio intorno a forme
diverse di attorializzazione. Un esempio è il lettore CD
e Mp3 Technics SL-DZ 1200 di fig. 7 che si presenta
come il tentativo di mantenere inalterati sintagmi gestuali e aspetto, look and feel, dello storico giradischi SL
1200 (fig. 6) cambiando il sostrato tecnico più profondo e “astratto” (almeno per l’utente comune). Stessa
cosa per l’interruttore di fig. 16 e il rubinetto di fig.
17, che si legano all’iPod attraverso la forma circolare della ghiera come fanno anche tantissimi altri lettori
Mp3 concorrenti del modello di Apple (figg. 26, 27 e
28). Apparecchi nei quali, tale ghiera, è spesso solo una
marca estetica dal momento che non può essere sfiorata
con movimento circolare ma unicamente cliccata nei
suoi punti cardine a mo’ di joystick.
Dario Mangano · I-Pod, and you?
Fig. 26 – Mediacom ME-XS758G riprende la posizione
dei comandi dell’iPod intorno a una ghiera solo
“suggerita” ma di fatto assente, facendo perdere ogni
giustificazione a tale organizzazione dell’interfaccia se
non quella di “citare” il lettore Apple. Notiamo come
Mediacom nomini il suo prodotto con una sigla per
nulla friendly (ME-XS758G) secondo un uso che proprio
Apple ha messo in discussione.
Fig. 27 – Nortek Veejay 4150 utilizza una ghiera che non
offre la possibilità di un movimento rotatorio consentendo
solo la pressione ai quattro punti cardine come se si
trattasse di altrettanti pulsanti.
12. Temi e figure per seguire il discorso del design
Il concetto di figurativizzazione cui siamo pervenuti attraverso le tre categorie di spazi, tempi e attori, risulta
utile per ripensare il sistema di oggetti che ruota intorno all’iPod come un sistema coerente, ovvero come un
discorso, in cui da un lato il lettore musicale parla d’altro da sé, e dall’altro gli oggetti in cui questo “altro” si
concretizza finiscono per parlare l’iPod, inserendolo all’interno di contesti spesso anche molto diversi da quelli
Fig. 28 – Anche Creative Zen V fa bella mostra di una
forma circolare che può essere unicamente cliccata. Da
notare come in questo caso l’interfaccia operativa sia
distribuita anche sui lati lunghi dell’apparecchio (ben
visibile il controllo del volume realizzato secondo una
struttura verticale a due pulsanti).
rativizzazione di un certo “tema”. L’iPod, così come il
Walkman o l’impianto stereofonico, non sono che figurativizzazioni di un unico tema-funzione che è quello
dell’ascolto della musica. Con la parola funzione non
intendiamo però semplicemente “la possibilità di ascoltare dei suoni”, bensì l’offrire un senso a tali suoni inserendoli in una esperienza di ascolto complessa.
Progettare un oggetto tenendo conto dei discorsi nei
quali si inserisce o, come nel caso dell’iPod, di quelli che
può contribuire a generare, significa poter contare su
una sua maggiore efficacia sia in termini commerciali
che operativi. L’utilità dei modelli semiotici, pertanto,
si realizza non a posteriori, nell’analisi di quello che già
esiste, ma in quella fase preliminare al progetto in cui
è necessario far chiarezza sulle condizioni stesse di esistenza del prodotto. Quel metaprogetto senza l’ausilio
del quale la progettazione perde ogni scientificità e diventa un modo di tirare a indovinare cosa potrà funzionare sul mercato e come.
nei quali ci aspetteremmo di trovarlo. Le figure, pensate
in questi termini, non sono soltanto, come il senso comune di questa parola ci indurrebbe a pensare, forme
esteriori. In un campo come quello del design, bisogna
considerare le forme dell’interazione come figuratività. Nel
caso della musica, l’ascolto (seduti in poltrona, seduti
nella metro, passeggiando etc.), o i sintagmi gestuali con
i quali interagiamo con gli apparecchi (e con i dischi
naturalmente), sebbene si possano considerare costituiti
da enunciati-gesti privi di senso, come quelli per fare il
nodo alla cravatta (Greimas 1970), comportano “una
significazione precisa entro un determinato contesto
culturale, non solo per lo spettatore-recettore del messaggio visuale, ma anche e soprattutto […] per il soggetto produttore del programma medesimo” (Greimas
1970, pp. 66-67) e non ha nessuna importanza che il
contenuto del sintagma gestuale rimanga conscio o
inconscio (Greimas 1970). Non è semplice – spiega il
semiologo – stabilire un discrimine tra una gestualità
pratica e una mitica. Piegare in basso il busto lasciando
le gambe ben dritte è al contempo “chinarsi” (pratico)
e “salutare” (mitico); la danza che precede la caccia all’elefante fa uso della stessa gestualità che servirà in seguito per cacciare l’animale ma con un valore diverso;
non serve a comunicare qualcosa ma a farla accadere, è “un’intenzionalità che, in quanto tale, trasforma
il mondo” (Greimas 1970, p. 70), secondo il principio
dell’efficacia simbolica (Lévi-Strauss).
Le figure entrano in questo modo in presupposizione reciproca con i temi: come un tema all’interno di
una storia può essere figurativizzato di volta in volta in
modo diverso producendo un effetto di senso specifico, così possiamo pensare gli artefatti come una figu-
25
E|C Serie Speciale · Anno III, nn. 3/4, 2009
Note
1
26
In questo articolo ci occuperemo di preferenza del modello Classic dell’iPod. Sull’iPod in generale e sul ruolo che sta
avendo sulla musica si è scritto moltissimo, si vedano fra gli
altri Dylan 2005, Kelly 2007, Leander 2005, Pucci 2006,
Sibilla 2008.
2
Sul Walkman si vedano Montagno, a cura, 1990; Calabrese
1993; Du Gay, Hall, Janes1997.
3
Pensiamo ai musicisti di strada che hanno sempre fatto degli
spazi della metropolitana il proprio teatro ideale e che ora,
per colpa dell’iPod, cominciano ad avere qualche problema
di pubblico.
4
Cfr. Spaziante 2000.
5
I lettori non giovanissimi ricorderanno che quando fu lanciato sul mercato il CD uno dei punti di forza che gli veniva
riconosciuto, oltre all’assenza di fruscio, era che i supporti potevano essere maneggiati con disinvoltura, senza fare troppa
attenzione a graffi o polvere. Tutto questo comportò l’immediata sparizione dei “kit di pulizia” che contenevano una attrezzatura completa per pulire sia la puntina sia il vinile e che
comprendevano solitamente dei tamponi speciali e dei liquidi.
A quell’epoca l’appassionato aveva una vera ossessione per la
pulizia. Valeva anzi l’equazione per cui tanto più vero e intenso era il suo trasporto quanto più doveva curarsi della pulizia. Fino ovviamente alla proverbiale distruzione dell’oggetto
amato. Come quando venne messo sul mercato un prodotto
spray miracoloso che avrebbe risolto per sempre il problema
della polvere e che tutti si affannarono a passare sui propri
dischi, scoprendo più tardi che, per qualche misterioso motivo
chimico, a lungo andare li rendeva leggibili dalla puntina solo
se erano stati irrorati immediatamente prima dal misterioso
composto che, proprio per questo, dopo breve tempo fu ritirato dal mercato.
6
Con grande intelligenza i grafici hanno utilizzato proprio
questo “disegno” per costruire la comunicazione legata a questo prodotto. Lo storico giradischi viene reso in questo modo
un discorso che può essere declinato tanto nel corpo del nuovo lettore, quanto caratterizzarne con i suoi particolari la comunicazione (fig. 29).
7
Scrive Latour: “La circolazione dei quasi-oggetti […], non
prende di mira tanto il quasi-oggetto stesso quanto il tracciato
del collettivo che questa incessante circolazione permette di
eseguire. Quanti enunciatori/tari ci sono? Chi è enunciatore? Chi enunciatario? Chi rappresenta chi? […]. Il collettivo
non esiste da solo, questa è la grande scoperta della sociologia
e dell’antropologia moderne. Non si regge da solo. Bisogna
tracciarlo, eseguirlo. Non si mantiene presente senza essere
costantemente ripresentato” (1999c, p. 74)
8
Attenzione però, non facciamoci trarre in ingenno dalla
sequenza delle parole: è indecidibile se sia venuta prima la
Fig. 29 – Il motivo grafico che caratterizza la comunicazione legata al Technics SL-DZ 1200
Dario Mangano · I-Pod, and you?
musica nella testa dei DJ e poi le manipolazioni sul disco cui
l’SL 1200 ha fornito un adeguato supporto tecnico, oppure
se sia stato quest’ultimo con le sue caratteristiche a far sì che
si “pensasse” a distorcere la normale riproduzione in modo
creativo.
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Questo quadrato semiotico differisce da quello proposto
in Greimas e Fontanille (1991) mostrato più in basso per il
modo in cui sono associati gli stati di esistenza ai termini della categoria ai quali si legano. L’evoluzione canonica degli
stati di esistenza del binomio soggetto/oggetto che prevede
il passaggio da virtuale ad attuale e poi a realizzato disegnava in quel caso un percorso sul quadrato che non seguiva la
processualità tipica basata su negazione e conseguente affermazione. Ora, dal momento che l’evoluzione tra gli stati di
esistenza è stata confermata da numerose analisi, siamo portati a ripensare l’associazione tra questi termini e quelli della
categoria semantica di base alla quale vengono fatti risalire.
Riconsiderando il virtualizzato come stato disgiuntivo (si veda
schema nel corpo dell’articolo) il quadrato assume la forma
che qui proponiamo, con la conseguenza che la sequenza dei
movimenti di negazione e affermazione risulta rispettata.
Attualizzato
disgiunzione
Realizzato
congiunzione
non-congiunzione
Virtualizzato
non-disgiunzione
Potenziale
Facciamo notare, inoltre, che, nel caso che prendiamo in esame, gli stati congiuntivi e disgiuntivi non riguardano, come
avviene tipicamente in semiotica narrativa, un soggetto e un
oggetto ma, in senso più ampio, un oggetto e una struttura
sociotecnica popolata da soggetti e altri oggetti (per quanto,
naturalmente, la figura chiave rimanga quella del soggetto in
quanto è al suo giudizio che è subordinata la coerenza di tale
struttura).
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Nel Super Audio CD il campionamento delle frequenze
avviene ad una frequenza 64 volte più alta di quella usata per
il normale CD. Questo aumento di dati consente di ottenere
forme d’onda più accurate e comporta la necessità di avvalersi di supporti di memoria più capienti quali i DVD.
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Secondo il calcolo combinatorio le combinazioni possibili
di quattro elementi (emergenza, apparizione, declino, sparizione) presi a gruppi di due sono infatti sei.
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Si veda a questo proposito la grande serie di pubblicità
Apple con i due “tipi” a confronto, di cui uno si presenta dicendo “I’m a Mac” e l’altro dicendo “ I’m a PC”. Ma anche
l’abbigliamento da sempre usato da Steve Jobs per i suoi celebri keynote: jeans e maglietta nera.
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Un amplificatore passivo è un amplificatore che non usa
la corrente elettrica per amplificare un segnale ma semplicemente le proprietà delle onde sonore, come avviene nella cassa di risonanza di una chitarra o di un pianoforte. In questo
caso le vibrazioni vengono trasmesse al corpo dell’amplificatore dalla cuffia dell’iPod (fig. 25).
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E, attraverso questi, sullo sviluppo di certe masse muscolari,
nonché di una certa sensibilità, come quella che le persone
più avanti nell’età non riescono ad avere quando utilizzano
il mouse.
Bibliografia
I rinvii bibliografici presenti nel testo fanno riferimento alle
edizioni originali, mentre i rimandi ai numeri di pagina sono
da considerarsi relativi all’edizione italiana qualora la stessa
figuri fra gli estremi sotto riportati.
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