STFDLING 9_2014_15

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Prof. Stefano Gensini
Storia della filosofia del linguaggio
Lezioni per il corso di laurea in Filosofia
Dell’a.a. 2014-15
Unità didattica 8.
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La teoria crociana del linguaggio
Con l’opera di Benedetto Croce (1866-1952), la ricerca linguistica torna a incrociarsi
con la filosofia: un nesso che si era fortemente indebolito durante la seconda metà
dell’Ottocento, nonostante (anzi, per certi versi, in stretta relazione con) la
tecnicizzazione che tale ricerca aveva subito grazie al magistero ascoliano. L’approccio
positivista al linguaggio (di cui era modello, nel mondo tedesco, il lavoro degli
Junggrammatiker 1878-) implicava infatti (1) una visione organicista (naturalista) del
fatto linguistico, (2) il privilegio assoluto accordato ai fattori fonetici e (3) alla
dimensione diacronica, e (4) la dismissione dei problemi tradizionali della filosofia del
linguaggio, quali il rapporto pensiero/linguaggio, il ruolo da annettere ai fattori
soggettivi, la dimensione storico-sociale. Con Croce questi temi tornano di attualità e
s’impongono autorevolmente all’attenzione degli studiosi, e di una parte almeno degli
stessi specialisti di glottologia, grazie a un gruppo di opere uscite in rapida successione
nei primi anni del Novecento. Fra di esse, hanno per noi particolare importanza le Tesi
fondamentali di una Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale
(1900), presentate presso l’Accademia Pontaniana, la celeberrima Estetica come
scienza dell’espressione e linguistica generale (1902; che sviluppa sistematicamente
le Tesi citate), la Logica come scienza del concetto puro (1909).
Per intendere la concezione linguistica di Croce, è necessario partire dalla sua
identificazione di Estetica e Linguistica.
1. L’atto linguistico viene ridefinito come atto espressivo, individuale e soggettivo
(e dunque storico), e considerato una cosa sola con la poesia. Nella vera poesia
(e in generale in ogni forma d’arte) opera infatti lo stesso principio di
individualità, autonomia e libertà espressiva che opera nel comportamento
linguistico vero e proprio, dell’adulto e del bambino. Il linguaggio viene dunque
fatto consistere nella dimensione espressiva compiuta, fatta insieme di suono e
di senso, aderente a un bisogno spontaneo di rappresentazione del sentimento.
2. Le categorie con cui la glottologia lavora (grammatica normativa, lessico,
morfologia, regola, fonema ecc.) sono dunque delle pure e semplici astrazioni.
Esse non hanno alcun senso se guardiamo all’unica realtà importante, quella
dell’espressione intesa come sopra: nell’espressione tutti i componenti (foni,
parole, regole ecc.) si fondono inscindibilmente e non hanno esistenza
autonoma. Fuori del testo concretamente realizzato lo stesso vocabolario è solo
un “cimitero di parole”. Lo stesso può dirsi delle categorie della retorica: le
tradizionali nozioni di ‘genere’ hanno carattere estrinseco e classificatorio, non
hanno a che fare con l’essenza del fenomeno espressivo.
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Nelle Tesi (edite a Napoli, Stabil. Tipogr. della Reale Univ. 1900) Croce definisce che
cosa intende con ‘espressione’ utilizzando i seguenti parametri:
1. ‘espressione’ è anzitutto ‘attività’: diversamente dall’impressione (sensoriale) che ha carattere
passivo (ad es.:, percepisco che lì c’è un fiore), e dalla pura e semplice emozione (che può
determinare pseudo-espressioni meccaniche come l’impallidimento o il rossore),
l’espressione è una forma di fare: alla sua base c’è un impulso affettivo e cognitivo insieme,
che chiede d’essere estrinsecato. Ciò accade in molte possibili situazioni diverse: nella pittura,
nel canto, nella poesia, e naturalmente anche nel linguaggio. Quando assimilo i prati illuminati
dal sole in primavera al sorriso umano (Prata rident…), il dato fisico e sensoriale viene
trasceso in una intuizione che ci dice qualcosa di nuovo (e a suo modo “vero”) dei prati. Da
questo punto di vista ha avuto ragione G. B. Vico di sostenere nella Scienza Nuova (1744)
che gli uomini primitivi furono “naturalmente poeti”, cioè “creatori”.
2. Pertanto l’espressione è attività ‘teoretica’, cioè è vera e propria conoscenza. Croce sostiene
che la teoresi include due momenti, quello ‘intuitivo’ (consistente in una rappresentazione
nella quale si elabora e trasfigura il dato sensibile) e quello ‘logico’ (grazie al quale gli
elementi intuitivi vengono ordinati e classificati su base razionale). Mentre nel pensiero
tradizionale (da Aristotele agli Illuministi) il momento intuitivo è subordinato al momento
logico, e cioè la vera conoscenza è identificata con la sola logica, Croce ritiene che la
conoscenza intuitiva abbia una propria autonomia, una propria legittimità teoretica. Il poeta
che intuisce a suo modo la situazione notturna e si esprime col verso “Dolce e chiara è la notte
e senza vento…” coglie cioè una forma di verità intuitiva diversa da quella logica o scientifica,
ma – appunto – autonoma e solo differente da essa, non subordinata o di secondo grado. L’idea
di Croce è che il logico abbia bisogno dell’estetico (espressivo) per costruire i suoi schemi;
mentre l’estetico non ha bisogno del logico, non lo presuppone, essendo la prima, aurorale
forma della coscienza umana.
3. L’intuizione e il momento estetico si situano pertanto nel sistema della vita dello spirito,la
quale si articola in quattro momenti, fra loro non opposti, ma ‘distinti’: il momento estetico
appunto e quello logico (che formano la dimensione teoretica), quello economico (o dell’utile)
e quello morale (che formano la dimensione pratica). Vi è insieme autonomia dei diversi
momenti e circolarità fra di essi. Nel caso del momento estetico-espressivo, è ovvio che il
poeta ha (anche) propri giudizi logici, ha una certa morale, una visione politica ecc., ma tutto
ciò non ha alcun interesse ai fini della genesi e della comprensione della sua poesiaespressione. Dall’utile non nasce la poesia, né la poesia può valutarsi come tale in quanto utile
o moralmente giusta o ‘vera’ nel senso della scienza. L’unico criterio di valutazione
dell’espressione è la sua riuscita in quanto tale, in quanto cioè assurge a una speciale verità e
universalità coi suoi soli mezzi intuitivi/rappresentativi.
Passiamo adesso alla lettura del capitolo VIII delle Tesi (pp. 83-91) dove Croce prende
di petto il problema del linguaggio e svolge la sua critica della ‘lingustica’ come
comunemente intesa.
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La linguistica non può dunque essere considerata una scienza naturale, come hanno inteso fare i
glottologi di orientamento positivista, nel desiderio di dare alla linguistica lo statuto e il rigore di una
discipline come la fisica o la biologia. Le lingue sono realtà storiche e pertanto la linguistica va
completamente riassorbita nelle scienze dello spirito (si ricorderà che la contrapposizione fra
Naturwissenschften e Geistwissenschaften era stata ampiamente dibattuta in Germania nell’ultima
parte del XIX secolo. Cfr. Wilhelm Dilthey (1833-1911), Einleitung in die Geisteswissenschaften,
1883).
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Con questa impostazione Croce distrugge dunque le basi teoriche non solo della disciplina
‘glottologia’ sul piano scientifico, ma anche quelle dell’insegnamento linguistico tradizionale,
fondato sullo studio di classificatorie esterne (desinenze verbali, tipologie di sostantivi e avverbi ecc.)
che non hanno base scientifica alcuna, ma solo utilità pratica. Sono esperienti mnemonici e didattici,
non ci dicono nulla di serio sull’essenza del linguaggio né, soprattutto, è per mezzo di essi che
impariamo a esprimerci.
Era, questa, la tesi di Wilhelm von Humboldt, che come si ricorderà aveva spiegato nella sua postuma
Einleitung zum Kawi-Werk (1836) che la lingua madre forma un cerchio intorno al parlante dal quale
si esce solo entrando nel cerchio di un’altra lingua. Ogni lingua o dialetto ha dunque una ‘forma’
caratteristica che implica una autonoma esperienza di ogni aspetto della vita umana (il tempo, lo
spazio, le relazioni fra le azioni umane ecc.). Sappiamo però anche che la lezione di Humboldt, per
la parte che implicava una visione filosofica del linguaggio e delle lingue, era rimasta senza seguito
nella ricerca linguistica ottocentesca (se si fa eccezione per Steinthal): il mainstream comparatista e
poi neogrammaticale aveva proceduto mettendo fra parentesi le domande filosofiche di Humboldt,
ponendosi invece finalità classificatorie che, per quanto utili e interessanti, non toccano in alcun modo
tali domande, così precludendosi una reale comprensione dell’importanza del linguaggio (das
Sprechen) nella vità e nella socialità umana. Le pagine che seguono sviluppano questi temi.
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A questo punto il Croce interviene anche nell’ “eterna” questione della lingua, sulla quale avevano
battagliato Manzoni, Ascoli e i rispettivi sostenitori. Se ci si mette dal punto di vista teorico che nelle
Tesi viene argomentato, anche questo tema cambia radicalmente aspetto. O meglio, si dissolve in
quanto mal posto. Non si può discutere della lingua in quanto fenomeno esterno all’unica cosa
concreta che conta, ovvero agli infiniti atti linguistico-espressivi individuali.
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