A

Il volume è stato pubblicato con il contributo dell’Università degli Studi
di Urbino “Carlo Bo”, Dottorato di ricerca in Italianistica “Classicismo e
anticlassicismo nella letteratura italiana dal Quattro all’Ottocento”, Facoltà
di Lettere e Filosofia.
Nell’assolvere il piacere dei ringraziamenti, il primo pensiero va al prof.
Guido Arbizzoni, che mi ha guidato e sostenuto con fiducia nelle mie ricerche ed in questo lavoro. Ringrazio sentitamente il prof. Renato Raffaelli
ed il dott. Maurizio Rebaudengo per i loro preziosi consigli. Un ringraziamento particolare, per la loro cortese disponibilità, è rivolto alla prof.
Cristina Grazioli ed alla dott. Simona Brunetti, responsabili, presso la Fondazione “Umberto Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo,
dell’Archivio Herla, il progetto di documentazione sulle esperienze spettacolari in età rinascimentale e barocca. Ringrazio inoltre il dott. Nunzio
Biviano per il suo essenziale apporto nella revisione editoriale. Desidero
infine ringraziare Valeria, Santiago, mio fratello e mia madre.
Vittorio Tranquilli
La regola e la trasgressione
Dalla Commedia dell’Arte al Don Giovanni
attraverso Giovan Battista Andreini
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
ISBN ––––
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 
a mio padre
Indice
PARTE I
LA COMMEDIA DELL’ARTE
STORIA DI UN TEATRO POSSIBILE

Premessa

Capitolo I
Il mestiere d’attore e l’invenzione dell’identità

Capitolo II
La drammaturgia dell’Arte: la regola e la trasgressione

Capitolo III
Don Giovanni, l’eroe del possibile
PARTE II
LA MASCHERA DELLA SCRITTURA
IL TEATRO DI GIOVAN BATTISTA ANDREINI

Capitolo IV
Una dinastia di comici virtuosi

Capitolo V
Maschere ideologiche e arte recitativa: la virtù dell’actio

Capitolo VI
Icone edificanti di un teatro della trasformazione


Indice
PARTE III
BANDITI IN SCENA

Capitolo VII
Lettura del Lelio bandito

Capitolo VIII
L’ateista fulminato e l’ombra di Andreini

Bibliografia

Indice dei nomi
PARTE I
LA COMMEDIA DELL’ARTE
STORIA DI UN TEATRO POSSIBILE
G [. . .] pour mon maistre il ne desire pas beaucoup que je sois dans la troupe,
parce qu’il sçait bien qu’aussy tost que j’y
seray il ne faudra plus parler de maistre
ny de valet hors du Theatre.
G, La comédie des comédiens, II, 
Premessa
Nel  Adolfo Bartoli, invitando a studiare le commedie di
Giovan Battista Andreini, tentava di rompere un silenzio plurisecolare sull’importanza dei testi distesi nella drammaturgia
della Commedia dell’Arte; un silenzio determinato da un lato
dai pregiudizi della cultura aulica nei confronti dei mercenari
della scena, e dall’altro dalle stesse strategie difensive che essi
attuarono per poter affermare il loro teatro, cioè per vivere,
edificando presso il pubblico un’immagine di sé che più che
la loro realtà contribuì ad imporre il loro mito — quel mito
che, sopravvissuto ad essi, avrebbe attraversato le epoche per
giungere fino a noi.
Il pesante sipario imposto da queste due tendenze, antitetiche ma convergenti nel celare una rappresentazione oggettiva
del teatro dell’Arte, cominciò ad essere smosso dalla curiosità
degli studiosi positivisti: contro l’opinione invalsa presso i romantici che il teatro dei comici si sostenesse su una loro virtù
improvvisativa totale, Bartoli poté rilevare dai documenti diretti degli attori professionisti una non trascurabile competenza
letteraria. Ma l’opinione che l’improvvisazione fosse il caratPer le citazioni di fonti antiche, i testi manoscritti e stampati di cui non si hanno
edizioni moderne sono stati trascritti secondo una moderata normalizzazione della
grafia e della punteggiatura, adottando però un criterio più conservativo per i
testi in lingua straniera; mentre si sono sostanzialmente rispettate le soluzioni di
trascrizione di testi con edizioni moderne.
. Cfr. A. B, Scenari inediti della Commedia dell’Arte. Contributo alla storia
del teatro italiano, [Firenze, Sansoni, ] rist. anast. Bologna, Forni, , pp. CXIV–
CXVIII.
. Sulla tensione fra l’immagine mitica dei comici professionisti e la loro realtà,
fondamentale è F. T–M. S, Il segreto della Commedia dell’Arte. La memoria
delle compagnie italiane del XVI, XVII, XVIII secolo, Firenze, La Casa Usher,  .
. Cfr. A. B, Scenari inediti. . . , cit., pp. CIX e sgg. Posto l’indubbio merito


  – La Commedia dell’Arte
tere essenziale dei comici, tanto in chi la intendeva in un’ottica
qualificante quanto in chi le conferiva un senso spregiativo,
ha fatto resistere ancora per molto l’idea di una sostanziale
estraneità dell’Arte alla tradizione scritta. Se Vito Pandolfi dal
suo vasto sondaggio documentario ha desunto l’importante
contributo, anche teorico, dei professionisti al teatro letterario
del loro tempo, il giudizio di Benedetto Croce su di essi come
addetti di un’industria dell’intrattenimento, legati all’effimero
dell’operatività scenica e alieni alla tensione astrattiva dell’opera poetica, pesava negativamente sui loro drammi scritti, testi
che Carmine Jannaco considerava prove esteriori, estranee alla
loro prassi, con cui essi puntavano a riscattare la loro inferiorità
culturale. L’indicazione di Croce è stata rivalutata, in termini
positivi, da Roberto Tessari, che ha impostato l’indagine sul
teatro mercenario muovendo non dalla sua inferiorità a quello
letterario ma dall’inedito rapporto dialettico che con esso, cioè
con le istanze dell’arte, stabilirono le esigenze dell’industria,
sempre però collocando questa dimensione del fare nel vivo
dell’evento e nel suo riscontro immediato, con la implicita negazione ai testi distesi dei comici di una validità ermeneutica
dell’Arte.
di figure come Ernst Theodor Hoffmann e Maurice Sand di aver risvegliato l’interesse per la drammaturgia dei comici, va detto che i fantasiosi racconti sulle maschere
dell’uno e le memorie dell’altro sui giochi teatrali del raffinato circolo di amici di
famiglia resero dell’Arte un’immagine idealizzata, quella di un fantomatico teatro
popolare di rivoluzionaria istintualità. Su questa “riscoperta” del teatro improvviso,
vd. F. T–M. S, Il segreto della Commedia dell’Arte. . . , cit., pp. –; R.
C, Il mito della Commedia dell’Arte nell’Ottocento francese, Roma, Bulzoni, .
. Cfr. La Commedia dell’Arte. Storia e testo, a cura di V. Pandolfi,  voll., [Firenze,
Sansoni Antiquariato, –] rist. anast. a cura di S. Ferrone, Firenze, Le Lettere,
, vol. III, p. .
. Cfr. B. C, Intorno alla «Commedia dell’Arte», in I., Poesia popolare e poesia
d’arte. Studi sulla poesia italiana dal Tre al Cinquecento, Bari, Laterza, , pp. –;
C. J, Stesura e tendenza letteraria della commedia improvvisa in due prologhi di
Flaminio Scala, in «Studi secenteschi», I, , pp. –.
. Cfr. R. T, La Commedia dell’Arte nel Seicento. «Industria» e «arte giocosa»
della civiltà barocca, Firenze, Olschki, , in particolare pp. –,  e sgg.; I.,
Commedia dell’Arte: la maschera e l’ombra, Milano, Mursia, , pp. –. Del resto a
suggerire tale interpretazione del teatro mercenario era un illustre esponente della
Premessa

A risvegliare l’attenzione sulla drammaturgia in forma
letteraria dei professionisti della scena sono stati Laura Falavolti e Siro Ferrone con le loro sillogi di edizioni moderne
di commedie. Negli esempi di esercizio autorale dei comici
Falavolti ravvisa non dei meri tentativi di ambizione letteraria
rivolti al pubblico colto, basati sulla riduzione del loro teatro
al solo dato verbale opportunamente emendato (su ciò vd.
supra, n. ), ma vere sceneggiature che combinano le battute,
nella loro ricchezza linguistica, con indicazioni e istruzioni
per l’allestimento: frutti dell’esperienza scenica collettiva, ad
uso dei professionisti stessi. Dal canto suo Ferrone riconosce la cultura materiale della scena come dato comune dei
testi dell’Arte, ma bisogna convenire con lo studioso circa
la loro destinazione non alla professione ma al pubblico, in
particolare a quello d’élite: da un lato il bagaglio di forme e
motivi che essi presentano più che in senso prescrittivo va
inteso secondo il valore «consuntivo» delle commedie, con
le quali il comico scrittore promuoveva il proprio repertorio
e quello della compagnia presso gli acquirenti più potenti
e gli spettatori più qualificati, cioè coloro che potevano ficategoria, Flaminio Scala, le cui affermazioni sulla dignità dei comici in virtù della
loro competenza distintiva, la composizione dell’azione, rispetto a quella retorica
dei letterati (cfr. I., Il finto marito (Venezia, Baba, ), ed. moderna in Commedie dei
comici dell’Arte, a cura di L. Falavolti, Torino, UTET, , Primo prologo, pp. –),
hanno indotto a vedere nella sua commedia Il finto marito una registrazione parziale,
il mero piano verbale, della sua messa in scena (cfr. F. M, Introduzione a F.
S, Il teatro delle favole rappresentative (Venezia, Pulciani, ), ed. moderna a cura
di F. Marotti,  tomi, Milano, Il Polifilo, , t. I, pp. LXI–LXII). Sulla distinzione
nella cultura teatrale del tempo dell’aspetto scenico da quello letterario, vd. infra,
cap. I, n. .
. Rispettivamente Commedie dei comici dell’Arte, cit., e Commedie dell’Arte, a
cura di S. Ferrone,  voll., Milano, Mursia, –; a queste edizioni moderne
bisogna aggiungere le commedie pubblicate nelle seguenti opere: P.M. C,
Le Commedie. Un commediante e il suo mestiere, testo, introduzione e note a cura di
C. Molinari, Ferrara, Bovolenta, ; La Commedia dell’Arte, scelta e introduzione
di C. Molinari, apparati di R. Guardenti, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello
Stato, .
. Cfr. L. F, Introduzione a Commedie dei comici dell’Arte, cit., pp.  e
sgg.

  – La Commedia dell’Arte
nanziare l’Arte nella sua attività di giro e nella diffusione a
stampa del suo teatro, e che potevano essere attratti dalle
favole delle maschere e farsene prestigiosi divulgatori con l’epigonismo dilettantesco della commedia ridicolosa; d’altro
canto per ottenere il consenso di tali sostenitori i comici tendevano a correggere quanto del loro lavoro di palcoscenico
non si confacesse alla dignità della scrittura e della stampa,
fino a rendere le loro “ricomposizioni” molto simili alle soluzioni sterilizzate dei dilettanti. A fronte delle somiglianze,
Ferrone sottolinea comunque una differenza fondamentale
fra commedia dell’Arte e ridicolosa:
La seconda si fonda su un pregiudizio (le forme della commedia
dell’arte), la prima sulla registrazione del già accaduto (gli scenari
collaudati); la «ridicolosa» lascia credere alla libertà dello spirito, al
dominio di questo sulla materia; la commedia dell’arte professa la
libertà dallo spirito, la necessità della materia.
Poste queste discriminanti di fondo, viene da chiedersi tuttavia se quelle dei comici scrittori non siano ragioni mancate,
visto che, come si è detto, le soluzioni compositive dei due
generi presentano forti analogie nel combinare elementi dell’improvvisa con quelli della commedia regolare; ciò induce
quindi a valutare quanto quest’ultima — anch’essa combinante
tradizioni distinte, quella romanza novellistica e buffonesca e
quella del teatro classico, ma in una compiuta entità letteraria,
specchio del mondo dei suoi autori — si debba ritenere una
maschera nobilitante e ad un tempo neutralizzante la forza
. Cfr. S. F, Introduzione a Commedie dell’Arte, cit., vol. I, p. ; su questi
caratteri dei testi distesi dei comici, vd. ivi, pp. –, –; I., Attori mercanti
corsari. La Commedia dell’Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, ,
pp. , –,  e sgg. Sul ruolo, nell’affermazione del teatro professionistico,
degli ambienti dilettanteschi con la loro produzione di ridicolose e sulle analogie
compositive dei due generi letterari, vd. anche L. M, Commedia ridicolosa.
Comici di professione, dilettanti, editoria teatrale nel Seicento. Storia e testi, Roma,
Bulzoni, .
. S. F, Introduzione a Commedie dell’Arte, cit., vol. I, p. ; vd. anche L.
M, Commedia ridicolosa. . . , cit., pp. CLI e sgg.
Premessa

viva del teatro mercenario, o quanto invece le ragioni fondanti dei comici fondino le misure della scrittura e la materia
teatrale in un genere letterario non subalterno come la ridicolosa, o addirittura “abusivo”, ma compiuto nella sua specificità,
capace di far emergere dalla virtualità della pagina scritta la
realtà dell’Arte.
. A tale proposito, così il padre somasco Francesco Maria Del Monaco, censore del teatro per la sua irresistibile sensualità, decreta l’annullamento di tale
attrattiva nella sua trasposizione sulla pagina: «Io dico che la commedia scritta è un
equivoco chiamarla commedia, se la si confronti con quella che viene rappresentata
sui prosceni; e che questa non ha rapporto con quella più di quanto ne abbia, nel
confronto, un uomo vivo con un uomo morto» (F.M. D M, In actores et
spectatores comoediarum nostri temporibus parenesis (Padova, Pasquati, ), ed. parziale moderna e trad. it. in F. T, La Commedia dell’Arte e la società barocca. La
fascinazione del teatro, Roma, Bulzoni, [] rist. anast. , p. ).
Capitolo I
Il mestiere d’attore
e l’invenzione dell’identità
. Il teatro era per i comici la loro realtà, ma occorre a tale
riguardo intendersi su quale valore si desse alla pratica teatrale
nei secoli XVI e XVII. Ferdinando Taviani nota che, nella cultura del tempo, se ogni disciplina artistica era giustificata da
un suo presupposto teorico e morale che le conferiva dignità
estetica ed autonomia costitutiva, l’attività scenica non poteva
contare su una sua teorizzazione, ed era vista semmai come
l’incontro di arti retoriche, figurative e musicali organizzate
. Cfr. F. T, La Commedia dell’Arte. . . , cit., pp. XLVI–XLVIII. Isolata eccezione fu quella di Leone de Sommi che, con il trattato Quattro dialoghi in materia di
rappresentazioni sceniche (ms. della seconda meta del XVI secolo, ed. a cura di F. Marotti, Milano, Il Polifilo, ), nell’illustrare la propria competenza sulle questioni
pratiche della messa in scena stabiliva l’inedita distinzione nel testo drammatico fra
le sue qualità letterarie e quelle teatrali, e attribuiva la capacità di valorizzare queste
ultime agli attori (cfr. ivi, pp. –), registrando il conflitto di quegli anni fra le
convenzioni del teatro erudito e la nuova drammaturgia dei comici. Meno incisivo
al riguardo sarebbe stato il successivo trattato di Angelo Ingegneri (Della poesia
rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche (Ferrara, Baldini, ), ed.
moderna a cura di M.L. Doglio, Modena, Panini, ; sul saggio di Ingegneri, vd.
L. R, Aristotele e la moscacieca: sul rapporto Ingegneri–Guarini, in «Nuova rivista di
letteratura italiana», III, , , pp. –), che, pur inquadrando in termini generali i problemi di allestimento da lui affrontati nell’esperienza con gli Accademici
Olimpici di Vicenza, restava legato ad una più tradizionale impostazione aristotelica.
Una consapevole trattazione tecnica e teorica della pratica teatrale si avrà solo con
Andrea Perrucci (Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso (Napoli, Mutio,
), ed. moderna a cura di A.G. Bragaglia, Firenze, Sansoni Antiquariato, ;
sull’opera di Perrucci, vd. P. S, L’Arte rappresentativa di Andrea Perrucci e la
lingua della Commedia dell’Arte, in Lingua e strutture del teatro italiano del Rinascimento,
a cura di G. Folena, Padova, Liviana, , pp. –), che per la codificazione delle
convenzioni recitative si rifarà ai repertori dell’Arte.


  – La Commedia dell’Arte
in un avvenimento spettacolare; a dare significato ad esso non
era dunque un proprio principio costitutivo ma il contesto che
di volta in volta lo propiziava, fosse esso un’occasione eccezionale o una delle consuetudini che scandivano il vivere civile. In
questo senso il teatro era un fenomeno che si qualificava per
le ragioni delle figure sociali che lo promuovevano; così nel
mondo aulico di corte e d’accademia il cimento teatrale, ritenuto ausiliario della poesia drammatica, era un legittimo gioco
ricreativo, con un suo luogo e tempo debito, la festa: la reificazione effimera del messaggio utopico ribadito nell’evento
celebrativo o, come la ridicolosa, un’onesta parentesi distensiva
degli accademici dall’impegno intellettuale. Del resto anche
la dottrina della Chiesa tollerava le pause ricreative nell’ordine
teleologico dato al corso della vita (la teologia casistica traeva
dalla Summa di san Tommaso l’ammissibilità del tempo del gioco), e la stessa strategia controriformista promuoveva il ricorso
alle tecniche sceniche nella predicazione e nelle manifestazioni
devozionali per l’esaltazione non del Mondo ma del Sacro, confermando comunque con tutto ciò l’inserimento delle forme
spettacolari non fra le Artes ma fra i mores. In questo secondo
. Vd. L. M, Commedia ridicolosa. . . , cit., pp. XX, CXX–CXXIV, CXXVIII e
sgg.
. Cfr. F. T, La Commedia dell’Arte. . . , cit., pp. XLV e sgg., LV–LVIII. Nel
contesto dell’Italia post–tridentina, Carlo Borromeo, campione della Controriforma,
accanto alla sua lotta contro i divertimenti profani e le stesse sacre rappresentazioni,
infarcite di elementi persino buffoneschi, sostenne una riforma delle manifestazioni
religiose in senso grandioso, nell’esaltazione eroica della santità (vd. C. B,
Acta ecclesiae mediolanensis, Milano, Ponti, ); suo nipote Federico Borromeo a
sua volta denunciò la pericolosa fascinazione della commedia (cfr. la sua lettera a
Filippo II di Spagna, ° febbraio ; per l’ed. moderna e trad. it. dei testi dei due
Borromeo, vd. F. T, La Commedia dell’Arte. . . , cit., pp. –, –), ma rilanciò
comunque la pedagogia della Chiesa con il progetto del polo Ambrosiano e con il
sostegno ad un moderato sincretismo delle arti in funzione devozionale espresso nel
suo De pictura sacra (Milano, s.n., , ed. moderna a cura di C. Castiglioni, Sora,
Camastro, ). In generale sulla politica culturale nell’opera di spiritualizzazione
dei Borromeo, vd. Cultura e religione nella Milano del Seicento. Le metamorfosi della
tradizione «borromaica» nel secolo barocco, a cura di A. Cascetta–D. Zardin, Milano,
ITI, . Si consideri poi l’importanza della lezione gesuitica nell’affermazione del
teatro sacro e nella predicazione, su cui vd. M. F, Eroi e oratori. Retorica e