Arcidiocesi di Trento Ufficio per i Problemi Sociali, il Lavoro, la Giustizia, la Pace e la Salvaguardia del Creato 38100 Trento – Via Barbacovi 4 tel. 0461/891324 – fax 0461/891325 E-Mail [email protected] www.arcidiocesi.trento.it/lavoro.sociale STATO, MERCATO E TERZO SETTORE a cura di Elisabetta Delaiti La relazione principale, della terza sessione di lavoro della Settimana sociale, era affidata al prof. Pierpaolo Donati, ordinario di Sociologia dell’Università di Bologna. Il tema da lui affrontato è il seguente: UNA NUOVA MAPPA DEL BENE COMUNE: PERCHè E COME DOBBIAMO RIFONDARE LO STATO SOCIALE. La tesi sostenuta da Donati è che lo stato sociale così come è pensato e attuato oggi non è più sufficiente e non adatto alle esigenze della società; quindi egli tenta di configurare un nuovo tipo di stato sociale che chiama relazionale. 1. LO STATO SOCIALE OGGI Il punto di partenza è un’analisi del perché lo stato sociale in Italia non persegue il bene comune. In Italia la res publica è ormai un campo di lotta fra gruppi di potere, di pressione e di influenza che perseguono interessi particolari senza responsabilità verso il bene comune L’incapacità dell’Italia di perseguire il bene comune deriva dall’avere un aspetto istituzionale che spesso opera più di fatto che di diritto e che rende difficile il perseguimento del bene comune. Chi si impegna nel perseguire il bene comune viene penalizzato; chi invece persegue il proprio interesse egoistico viene premiato: e tutto questo all’interno di regole riconosciute. Questo assetto è detto lib-lab, ultima versione del moderno stato hobbesiano dove non c’è spazio per il bene comune. Cosa significa: che il bene comune viene concepito come un continuo compromesso tra Stato e mercato; cioè fra chi sostiene il primato della politica contro il mercato (LAB) e chi sostiene il primato del mercato sulla politica (LIB); facendo in questo modo lo stesso gioco. Questa configurazione strutturale della società comporta delle difficoltà nel perseguire il bene comune. Lo Stato italiano è costruito su quella che le scienze sociali chiamano la “soluzione hobbesiana al problema dell’ordine sociale”: siccome gli uomini tendono a regredire ad una condizione di vita in cui valgono solo la forza e la frode, occorre un Potere che decida le regole per tutti assicurando le libertà di tutti alla sola condizione che ciascuno non leda le libertà degli altri. 1 Gli stati europei, Italia compresa, hanno costruito i loro sistemi di welfare in gran parte sulla base della soluzione hobbesiana in cui gli individui si sottomettono ad un contratto che vincola tutti. Nel pensiero di Hobbes due sono le figure cardine che ritornano nell’assetto lib-lab: - l’individuo proprietario - lo Stato Questo rende irrilevanti le relazioni tra le persone, sminuisce l’importanza della comunità e delle formazioni sociali, limita il pluralismo sociale: in sintesi svaluta la socialità della persona umana. La paura di situazioni di conflitto tra le persone porta a creare una società che intensifica i contatti indiretti mediati dai centri istituzionali. Il modello lib-lab diventa insostenibile perché genera dei problemi di cui si suppone invece rappresenti la soluzione: - la società è un intreccio di economico e politico, il resto è irrilevante per la cittadinanza, è sfera “privata”. Ma se tutto ciò che sta fuori dal binomio Stato-mercato è irrilevante, la cittadinanza deperisce. - Non esiste un’alternativa alla combinazione di libertà individuali e di controllo sistemico-collettivo. Il modello lib-lab genera enormi problemi che derivano dalla rimozione e distorsione delle relazioni intersoggettive. - La cittadinanza è incondizionata; Ci sono doveri che però non sono in relazione con i diritti. Si crea una mancanza di reciprocità fra individui e Stato e anche fra gli individui stessi. 2. QUALI POSSONO ESSERE LE ALTERNATIVE? È necessario pensare ad uno stato sociale diverso per due motivi: - con i processi di globalizzazione non è più possibile ricorrere ad un’autorità che da sola mette ordine nella società perché il grado di complessità è troppo elevato; - gli individui sono molto più consapevoli dei loro diritti fondamentali; sono più informati e soprattutto attivano reti organizzate per risolvere in modo autonomo i problemi; - l’espansione del terzo settore e del privato sociale modifica radicalmente la relazione fra Stato e mercato; Le alternative al modello hobbesiano devono partire dai suoi nodi critici: - il welfare non può essere costruito su una visione antropologica negativa; ma su una visione positiva dell’uomo, della sua dignità e dei suoi diritti, dalle sue fragilità ma anche dalle sue capacità di comportamenti altruistici e solidali; - il welfare non può essere costruito sulla base della distinzione fra pubblico (Stato) e privato (il mercato), ma la sfida diventa quella dei “servizi di interesse generale”a prescindere dalla natura dell’ente erogatore; - le identità culturali, incluse quelle religiose, non possono essere “privatizzate” dichiarate irrilevanti per la sfera pubblica; - il controllo centralizzato nelle istituzioni di welfare viene sostituito da reti sociali che sono intrecci di relazioni capaci di generare capitale sociale; Superando questi nodi si può arrivare ad un ordine sociale che non è più un compromesso tra la libertà e i controlli ma è un ORDINE SOCIETARIO che nasce dal radicale cambiamento nella definizione di ciò che è pubblico e privato e dalla ripresa della valenza pubblica delle identità culturali. 2 Se si vuole perseguire un nuovo welfare bisogna guardare ai bisogni reali della gente, analizzandoli su due fronti: il PRIMO: riguarda la definizione di benessere che non può più essere concepito come puramente materiale, utilitaristico e individuale e neanche ricorrere a soluzioni normative-volontaristiche, ma deve farsi RELAZIONALE nel senso che la felicità sta nelle relazioni e non negli oggetti merce; il SECONDO: riguarda i contenuti etici delle azioni di welfare che non possono essere eticamente indifferenti o neutre; il fine etico deve essere introdotto negli obiettivi delle azioni di welfare (sia per gli aspetti economici che relazionali) Occorre perciò ispirarsi al PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’: cercare nuove regole senza darne una giustificazione si presenta come una grande illusione. Ogni contratto richiede delle premesse, che nel caso di uno Stato sussidiario consistono nella fiducia e disponibilità a cooperare su valori comuni: il rispetto della dignità di ciascuno e agire per accrescere e non diminuire le capacità dell’altro. Nello Stato relazionale la società non è concepita come mercato di profitto ma come economica civile; questo cambiamento di visuale è in atto in molti paesi occidentali ma non in Italia. Questa soluzione non rifiuta la figura del contratto ma introduce il contratto relazionale dove emerge la centralità del nesso fra libertà e responsabilità sia nel comportamento ma anche nelle conseguenze. Passare a questa soluzione significa abbandonare un sistema che genera sempre ulteriori conflitti e puntare ad un sistema che agevola gli attori dei conflitti ad atturare una concorrenza solidale per risolvere tra loro i problemi. 3. UNA NUOVA MAPPA DEL BENE COMUNE Il bene comune deve essere costantemente generato e rigenerato attraverso dei processi sociali in cui sia data la centralità alla persona umana, alle sue relazioni e alle sue formazioni sociali. Questi processi richiedono che gli attori interagiscono fra di loro per modificare le strutture sociali in modo da generare concreti beni comuni. Il bene comune in versione relazionale guarda quindi al bene delle relazioni prima che a quello degli interessi individuali, di gruppo o di categoria. Il criterio per individuare il bene comune relazionale si basa sul PRINCIPIO DI RECIPROCITÀ POSITIVA e non su quello delle opportunità individuali. Pensiamo ad esempio a come questo possa portare cambiamenti nei rapporti fra uomo e donna nella famiglia e nella società: tutto sarebbe pensato non per l’individuo come tale ma per la successione fra generazioni contigue. Il bene comune in senso relazionale è tale nella misura in cui può essere generato soltanto “assieme”, non è frazionabile, nessuno è escludibile nell’averne parte e non è neppure una somma di beni individuali. Esistono molti beni comuni che si possono raggiungere solo “relazionalmente” cioè essere prodotti solo assieme: lo sviluppo sostenibile, il degrado sociale, la riduzione della povertà …. Anche la Dottrina sociale cattolica ha dato il suo contributo al bene comune in senso relazionale; nella Gaudium et spes dice che è “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e speditamente”; E anche nel Compendio della Dottrina sociale di dice che i quattro principi fondamentali (dignità della persona umana, bene comune, sussidiarietà e 3 solidarietà) debbono essere tenuti reciprocamente, cioè relazionalmente. assieme, si illuminano si integrano DIVERSITÀ DEI DUE MODELLI: SENSO (forme e contenuti) della regolazione sociale; con riguardo a tre indicatori sociologici: senso dello Stato, regole minime e il criterio-guida della politica sociale) Nel modello lib-lab: - lo Stato ha il ruolo del grande supervisore, che controlla tutti gli scambi con la società civile; - le regole minime sono quelle che definiscono i confini delle iniziative private e del potere pubblico; - il criterio-guida crea un’arena di opportunità per le scelte individuali massimizzando il benessere individuale; Nel modello del welfare societario: - lo Stato è ordinatore generale ma perché promuove forme autonome di produzione e allocazione proprie di ogni sfera sociale; - le regole minime garantiscono l’equità dei contratti in un contesto di regole a carattere comunitario e non individualistico; - il criterio-guida consiste nel cercare il più possibile di relazionare gli individui e i gruppi sociali; PRINCIPI - - la sussidiarietà: c’è da entrambe le parti ma il lib-lab la interpreta soprattutto da un punto di vista territoriale e quindi che le decisioni siano prese al livello più prossimo a chi è interessato; il modello societario interpreta la sussidiarietà anche come principio organizzativo generale, affinché ciascun soggetto possa avere le risorse necessarie per vivere la propria autonomia. La solidarietà: per il lib-lab vuol dire fare ricorso alla ridistribuzione nella gestione del rapporto centro-periferia; per la via societaria significa invece favorire scambi di reciprocità fra soggetti; La personalizzazione del welfare: cioè orientare le misure di benessere alla concreta situazione delle persone. Per il lib-lab si intende l’individualizzazione degli interventi mentre la via societaria lo intende come adeguamento degli interventi alla situazione relazionale; ATTORI - pluralismo delle istituzioni: la via lib-lab fa appello soprattutto al pluralismo nelle istituzioni, la via societaria propone invece il pluralismo fra le istituzioni; scambi relazionali. Il lib-lab mantiene il primato dello Stato nel guidare la contrattazione fra le istituzioni del benessere, mentre la via societaria indica la contrattualità diretta fra i soggetti che si scambiano beni e servizi; 4 - regole di autogoverno: per il lib-lab è lo Stato che deve concedere funzioni e ambiti di funzione; mentra la via societaria propone un regime normativo di autoregolazione; SETTORI DI INTERVENTO - nel campo della previdenza e sicurezza sociale: Il lib-lab mantiene il primato delle istituzioni pubblico-statali, mentre la via societaria persegue una gamma di scelte più ampie nella sanità e assistenza sociale: il lib-lab concede un ruolo residuale al privato-sociale mentre la via societaria ne fa un pilastro autonomo; Entrambe le vie presentano dei difetti, se prese allo stato puro, bisognerà cercare di rimediare ai difetti dell’una e dell’altra trovando forme di differenziazione degli interventi e di opportuno bilanciamento fra loro. 4. CONCLUSIONI L’alternativa di una società della sussidiarietà solidale può essere un’alternativa perché ridefinisce il benessere a partire dai soggetti; riconosce comunque allo Stato il ruolo politico di decisore delle regole generali; promuove una concorrenza solidaristica; La visione societaria è quindi più umana perché alimenta le scelte di libertà positiva (non di costrizione ma per finalità sociali); produce la solidarietà incentivando azioni che producono beni relazionali; privilegia situazioni che puntano alla costruzione di autonomie sociali capaci di combinare universalismo e particolarità; La società della solidarietà sussidiaria ha come forma politica quella che Donati chiama STATO SOCIALE RELAZIONALE, che si caratterizza: - come un sotto-sistema politico-amministrativo che governa una società fatta di una rete di soggetti e istituzioni sociali che perseguono il bene comune come creazione di beni relazionali; - si configura come un ordinamento giuridico e sociale che deve realizzare la cittadinanza complessa: che riconosce anche i diritti umani e non solo quelli civili, politici ed economici; perché da spazio anche alla cittadinanza societaria (appartenenza delle persone a forme associative); perché si riferisce non solo agli individui ma anche alle formazioni sociali della società civile; Le conseguenze sulle politiche sociali sono di enorme portata e comportano almeno tre grandi cambiamenti strutturali: - cambia il codice simbolico che sta alla base delle politiche sociali e diventa di tipo relazionale e non più statuale; - le politiche sociali diventano una funzione della società, cioè perseguita da una pluralità di attori relazionati fra loro, - le politiche sociali oltre a reggersi sulla libertà e sull’uguaglianza devono reggersi anche sulla solidarietà; Lo Stato sociale relazionale è quello che concepisce il bene comune come un bene che valorizza le relazioni di reciproco arricchimento degli attori liberi e responsabili che fanno il welfare; realizza una cittadinanza complessa che opera attraverso il principio di relazionalità. Le politiche sociali sono intese come una forma generale di azione riflessiva della società su se stessa. 5