A.R.P.S. – ONLUS
Associazione per il Recupero del Patrimonio Scientifico
Collezione
storica
strumenti
scientifici
“Valorizzazione di Antiche
Apparecchiature Scientifiche ”
Ente collaboratore
A.R.P.S. - O.N.L.U.S.
ASSOCIAZIONE PER IL RECUPERO DEL PATRIMONIO SCIENTIFICO
Compilatori
Dott.ssa A. R. Bianca
Dott.ssa G. Marrocu
Dott.ssa M. Pibiri
Dott.ssa B. Pinna
Coordinamento scientifico
Prof. Enrico Ruggeri
L’Associazione A.R.P.S.-O.N.L.U.S. dedica questo lavoro alla figura del Professor Enrico
Ruggeri che con ostinata volontà e determinazione ha consentito che questi progetti si
potessero realizzare, ed esprime gratitudine per il sostegno e la collaborazione qualificata
prestata durante il loro svolgimento.
febbraio 2006
A.R.P.S. – ONLUS
Associazione per il Recupero del Patrimonio Scientifico
“Per le antiche origini e l’importanza storica e sociale che esso ha rivestito fin dalla sua istituzione é
posseduta dall’Istituto una preziosa collezione di strumenti scientifici storici, rilevante testimonianza
dell’interesse posto nello studio delle materie scientifiche e del suo costante adeguamento al progredire
delle innovazioni.
La Collezione è costituita da 252 strumenti databili tra la seconda metà del XIX ed il XX secolo,
spaziando in quasi tutti i settori della Fisica: Metrologia, Meccanica, Elettrologia, Termologia, Acustica,
Ottica e Meteorologia.
Gli strumenti sono per la maggior parte di provenienza e data incerta, alcuni databili intorno al
1870; nessun contributo può essere offerto dalla consultazione dei registri inventariali anteriori al 1935,
essendo andati distrutti durante i bombardamenti che colpirono Cagliari nel corso della seconda guerra
mondiale.
Alcuni strumenti sono stati realizzati da prestigiosi e rinomati laboratori specializzati europei,
mentre altri risultano costruiti nell’officina meccanica del regio liceo. Si tratta di strumenti di buona
fattura che mostrano le notevoli competenze sia del corpo docente che dei meccanici.
L’interesse e l’attenzione posti dall’Istituto per le materie scientifiche e per la strumentazione
didattica, sempre costantemente alti, hanno consentito di far giungere fino ai nostri giorni questa preziosa
collezione e l’avvio di un progetto per la sua valorizzazione.
L’Associazione A.R.P.S.- O.N.L.U.S., ha concluso nell’Anno Scolastico 2005/2006 il progetto che ha
riguardato il riordino, l’inventariazione, la catalogazione e la schedatura di tutta la strumentazione
scientifica presente nell’Istituto.”
dalla Prefazione
ELETTRICITÀ E MAGNETISMO
Numero d’ordine: 1
Nome strumento: Condensatore di Epino
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 2
Nome strumento: Elettroscopio a foglie
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 4
Nome strumento: Bacchetta ottone e vetro
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Numero d’ordine: 8
Nome strumento: Pendolino elettrostatico
Costruttore: G. Manuelli – Reggio Emilia
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 10
Nome strumento: Emisferi di Cavendish con conduttore sferico
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 12
Nome strumento: Pozzo di Beccaria
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 21
Nome strumento: Pila a colonna di Volta
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 28
Nome strumento: Arco scaricatore o eccitatore con manici di vetro
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 29
Nome strumento: Macchina elettrostatica modello Wimshurst
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: prima metà del XX secolo
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Numero d’ordine: 33
Nome strumento: Dischi metallici
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 35
Nome strumento: Bacchetta di ottone con manico isolante per esperienze
sull’influenza elettrica
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Numero d’ordine: 62
Nome strumento: Elettrocalamita
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 78
Nome strumento: Cassetta di legno contenente annessi di Fisica:
Bacchette di ebanite, ceralacca, lamina oro
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Numero d’ordine: 79
Nome strumento: Amperometro e Voltmetro con shunt intercambiabili
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: secondo quarto XX secolo
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MECCANICA
Numero d’ordine: 132
Nome strumento: Paradosso meccanico o doppio cono saliente
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: prima metà XX secolo
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TERMOLOGIA
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Numero d’ordine: 187
Nome strumento: Anello di Gravesande
Costruttore: G. Manuelli Reggio Emilia
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
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Numero d’ordine: 188
Nome strumento: Apparato per la dilatazione lineare dei solidi
Costruttore: G. Manuelli Reggio Emilia
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Numero d’ordine: 189
Nome strumento: Cassetta di Ingenhousz
Costruttore: non firmato
Periodo di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Codice strumento: 1
Condensatore di Epino
Responsabilità: ideata da Ulrich Theodor Aepinus nel 1759
Costruttore: non firmato
Categoria: Elettricità e Magnetismo
Campo di applicazione: Mostra alcuni fenomeni di elettrostatica e gli
effetti prodotti da un dielettrico in un condensatore
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: legno, vetro, ottone, ceraI
Misure: base 420x140x60 mm, diametro dischi: 160mm; altezza
massima 410 mm
Stato di conservazione: buono
Indicazioni specifiche: lo strumento è privo della lastra di vetro e dei pendolini elettrici.
Annotazioni:
Ideato nel 1759 da Ulrich Theodor Aepinus (Rostock 1724 – Dorpat 1802) della famiglia del teologo Johannes. Si
laureò in medicina ed insegnò astronomia a Berlino, nel 1757 si trasferì a Pietroburgo. Qui si dedicò ai primi progressi
dell’elettricità, si devono a lui la nozione di azione a distanza nei fenomeni elettrici e la teoria del condensatore.
Descrizione ed uso:
Il condensatore di Epino è un condensatore a facce piane e parallele, le cui armature
consistono in due dischi d’ottone posti l'uno di fronte all'altro, sorretti da un braccio
d’ottone, con foro per pendolino elettrico, sostenuto da colonne isolanti di vetro. Le
colonne sono fissate ad un regolo mobile in legno, il che consente di avvicinare o
allontanare i due dischi. Tra i due dischi si può interporre un dielettrico che può essere
una lastra di vetro, sostenuta da una colonna di vetro. Il tutto è inserito in una base
lignea.
Le colonne di vetro sono ricoperte di cera.
Il condensatore si carica mettendo un disco in comunicazione
con la sorgente elettrica, che diventa il collettore e l’altro in comunicazione con il suolo
diventa il condensatore, perché condensa l’elettricità della sorgente nell’altro.
Le facce delle due armature rivolte verso la lastra di vetro si chiamano facce interne,
quelle rivolte all’esterno facce esterne.
Si possono eseguire diverse esperienze.
1) Eliminiamo la lastra di vetro e utilizziamo come dielettrico l’aria:
Tenendo lontani i due dischi ed elettrizzando il disco A collegandolo ad una macchina elettrica, esso si elettrizza
negativamente ed il pendolino di cui è munito si solleva. Avvicinando i due dischi, il
pendolino si abbassa e si solleva il pendolino del disco B, allontanando i due dischi si
abbassa B e si alza A. Questo fenomeno si spiega nel seguente modo: quando
avviciniamo i due dischi, A che è carico negativamente agisce per influenza su B, che si
caricherà positivamente sulla faccia interna e negativamente sull’esterna causando il
sollevamento del pendolino, inoltre l’elettricità positiva della faccia interna di B agisce
sulla faccia interna di A attirando l’elettricità negativa, sicché la faccia esterna di A risulta
quasi neutra per cui il pendolino ricade, quando allontaniamo i due dischi l’influenza
diminuisce e B ritorna allo stato neutro e il suo pendolino ricade, il disco A si elettrizza
nuovamente negativamente in tutto il disco e il pendolino diverge nuovamente, come se non vi fosse stata
dispersione di carica.
Non bisogna avvicinare troppo i due dischi, altrimenti essendo l’aria un coibente debole si ricompongono le elettricità
presenti in essi e si ha la scarica del condensatore .
2) Utilizziamo la lastra di vetro come dielettrico:
Mettiamo l’armatura B in comunicazione con il conduttore positivo di una macchina
elettrica e lo trasformiamo in collettore, e l’armatura A con il suolo, trasformandola in
condensatore. Teniamo B lontano da A, esso acquista una carica positiva che si
distribuisce egualmente sulle due facce e il pendolino diverge. Se si elimina il contatto
con la macchina non cambia niente, ma se si avvicina lentamente il disco A, esso
perderà il suo stato neutro, a causa dell’influenza del disco B che si esercita attraverso la
lastra di vetro C interposta, e la sua elettricità negativa si porta sulla faccia interna e
quella positiva si disperde nel suolo. La carica negativa di A reagisce a sua volta su B, richiamando la sua carica
positiva sulla faccia interna di B, in questo modo viene aumentata la capacità di B che è in grado di ricevere dalla
macchina un'altra quantità di elettricità, la quale a sua volta ne genera altra su A per influenza e così di seguito.
Questa reciproca azione accumulatrice delle due cariche contrarie, ha un limite nella resistenza del coibente
interposto tra le due armature, il quale subisce forti differenze di potenziale e quando la tensione delle due elettricità
vince la resistenza del coibente, in questo caso la lastra, essa viene forata e le due elettricità si riuniscono e la
scarica avviene attraverso la lastra stessa. Un altro fattore che limita la quantità di carica che si può accumulare sui
dischi del condensatore, è che l’armatura isolata cessa di caricarsi quando ha raggiunto il potenziale della macchina,
perché finisce ogni trasmissione di elettricità.
La quantità di elettricità che si può accumulare su ciascuna faccia del condensatore è a parità di condizioni,
direttamente proporzionale alla tensione della sorgente elettrica e alla superficie dei due dischi, mentre diminuisce
all’aumentare dello spessore della lamina.
Per scaricare il condensatore si può effettuare una scarica lenta toccando più volte con un dito successivamente i
due dischi, e si vedrà che il pendolino dell’armatura toccata si abbassa, e l’altro si solleva e questo alternativamente
sin quando c’è elettricità nei dischi. La scarica istantanea del condensatore si effettua mettendo in contatto i due
dischi fra di loro con un eccitatore, le due elettricità si ricompongono immediatamente, facendo scoccare una
scintilla. Dopo questa scarica si possono ottenere altre scariche dette secondarie, dovute all’elettricità accumulata
nella lastra di vetro, che quando i due dischi sono scarichi, essa cede, sicché essi si caricano di nuovo anche se
debolmente. Questa carica della lastra si chiama carica residua.
Il condensatore di Epino ha la capacità di accumulare sopra superfici relativamente piccole, quantità
considerevoli di energia.
Codice strumento: 2
ELETTROSCOPIO A FOGLIE
Responsabilità: ideato da: Abraham Bennet (1749-1799);
costruito da: non firmato
Categoria: Elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: permette la verifica dell’esistenza di elettricità in un corpo e la sua
natura.
Data di costruzione: ultimo ¼ XX secolo
Materia e tecnica: ottone, legno, acciaio, alluminio.
Misure: altezza: 390 mm; diametro: 150 mm;
Stato di conservazione: insufficiente
Indicazioni specifiche: il rivestimento interno dello strumento risulta molto danneggiato.
Annotazioni:
Sir William Gilbert, medico personale della regina Elisabetta I d’Inghilterra, è stato il
primo scienziato a costruire un elettroscopio, chiamato “versorio” nel 1600.
L’apparecchio era costituito da un semplice filo metallico, incardinato su una base e
libero di ruotare.
Lo stesso Gilbert distinse chiaramente le interazioni magnetiche da quelle elettriche e scoprì che anche altri
materiali, oltre l’ambra, potevano essere elettrizzati.
Intorno al 1660 Otto von Guericke scoprì che toccando due oggetti leggeri con un oggetto elettrizzato, anche essi
divenivano elettrizzati e si respingevano. Scoprì inoltre che il contatto diretto poteva essere anche sostituito da un filo
metallico o da una corda umida.
Il primo elettroscopio vero e proprio fu costruito da Francis Hauksbee il vecchio, membro della Royal Society, nel
1705. Tale sperimentatore usò dei fili di lana che Abraham Bennet, nel 1786, sostituì con due foglie d’oro come nei
moderni apparecchi.
Descrizione ed uso:
Da una base circolare in legno si diparte una colonnina in ottone sulla quale è
inserito lo strumento costituito da un cilindro chiuso da due vetri circolari. Nella
parte superiore dello strumento è inserita, attraverso un tappo di sambuco,
un’asticella metallica. Nell’estremità interna dell’asticella sono attaccate due
sottili lamine di alluminio dorato, mentre l’estremità esterna termina con una
sfera. Le pareti interne dello strumento sono rivestite di un materiale non ben
identificato e molto danneggiato, probabilmente utilizzato per mantenere ben
asciutta l’aria all’interno dello strumento.
L’elettroscopio viene utilizzato per sapere se un corpo è caricato positivamente o
negativamente. Se infatti si caricano le foglie, ad
esempio positivamente, queste si aprono perché cariche
uguali si respingono, se alla sfera dell’elettroscopio
viene avvicinata una bacchetta di vetro strofinata con la
lana si osserverà che le due foglie si allontanano di più;
se invece si avvicina una bacchetta di ceralacca, anch’essa precedentemente
strofinata con la lana, le due foglie tendono a chiudersi. Da ciò si può dedurre
che, essendo le due foglie cariche positivamente, se si avvicina un corpo
elettrizzato allo stesso modo, esse tendono ad aprirsi di più se invece si
avvicina un corpo elettrizzato in senso contrario tendono a chiudersi.
Codice strumento:
Numero d’ordine: 4
BACCHETTA IN OTTONE E VETRO
Responsabilità: ignota
Categoria: elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: elettrizzazione per strofinio, corpi conduttori e
isolanti.
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: ottone e vetro
Dimensioni: lunghezza: 530 cm; diametro 17 mm
lunghezza: 270 cm; diametro 10 mm
Stato di conservazione: ottimo
scarso
Indicazioni specifiche: la bacchetta più piccola è carente
dell'impugnatura in ottone
Annotazioni:
La proprietà dell'ambra strofinata di attirare oggetti leggeri era probabilmente già nota al filosofo greco Talete di Mileto,
intorno al 600 a.C. Negli scritti di Teofrasto, che risalgono a tre secoli dopo, vengono citati altri materiali che godono
della stessa proprietà. Il primo studio scientifico dei fenomeni elettrici e magnetici, tuttavia, apparve solo nel 1600 d.C.,
quando furono pubblicate le ricerche del fisico britannico William Gilbert (1544-1603) che riscontrò la medesima
proprietà nel vetro, nella ceralacca, ecc. . Fissata la distinzione elettricità e magnetismo, questi chiamò elettrica (dal
greco, elektron, "ambra") la forza che si esercita tra cariche.
Descrizione ed uso: le due bacchette sono costituite da una parte in ottone e una parte in vetro, nella più piccola la
parte in ottone è andata distrutta e il vetro è di colore verde.
Le bacchette vengono utilizzate per dimostrare che strofinandole ad un estremo
con un panno acquistano immediatamente la proprietà di attrarre i corpi leggeri.
Per verificare che un corpo sia elettrizzato si utilizzano dei piccoli strumenti che si
chiamano elettroscopi (cfr. scheda n°2) dei quali il più semplice è il pendolino
elettrostatico (cfr. scheda n°8). Se si accosta ad un pendolino elettrostatico un
bastone di ceralacca strofinato ad una delle sue estremità, si osserva che la pallina
di sambuco viene attratta solo dall'estremità strofinata, la parte che non viene
strofinata non da alcun segno di attrazione o repulsione, lo stesso avviene con un
tubo di vetro, con un bastone di zolfo, di resina ecc.. da ciò si conclude che, in
questi corpi, l'elettricità non si propaga da un punto all'altro e quindi vengono
considerati isolanti o dielettrici. In alcune sostanze, specie nei metalli, lo
strofinamento sembra non produca effetti di elettrizzazione; se tenendo con una
mano una verga di metallo, la si strofina con un panno non si scorge alcuna traccia
di elettrizzazione quando viene accostato ad un pendolino elettrico, se invece la
stessa bacchetta viene tenuta tramite un'altra bacchetta di vetro a cui è attaccata
allora si elettrizza; ma strofinata ad un estremo, si trova elettrizzata in tutti i suoi
punti. Cioè l'elettricità sviluppata in un punto si è propagata istantaneamente per
tutta la bacchetta. I corpi che presentano queste caratteristiche vengono chiamati
conduttori. La Terra è un conduttore; quindi qualsiasi corpo elettrizzato, messo in
comunicazione con la terra, cede ad essa l'elettricità, cioè si scarica. Ciò si spiega
perchè la bacchetta di metallo non si elettrizza se tenuta direttamente con la mano;
strofinandola si produce elettricità, ma essa man mano che si sviluppa si propaga
per il nostro corpo verso la terra e vi si disperde.
Iscrizioni: nella bacchetta più piccola è presente un'etichetta che riporta la seguente iscrizione
“Per elettrizzarla + bisogna strofinarlo con un tubo di caucciù”
Codice strumento:
Numero d’ordine: 8
Pendolino elettrico
Responsabilità: Mannelli Reggio Emilia
Categoria: Elettromagnetismo
Campo di applicazione: rilevamento dello stato di elettrizzazione di un corpo
Data di costruzione: ultimo quarto IXX secolo
Materia e tecnica: Vetro, ottone, legno di sambuco, filo di seta
Misure: altezza 335; larghezza 111 mm
Stato di conservazione: Buono
Indicazioni specifiche:
Descrizione ed uso:
Lo strumento oggetto di studio è composto da un supporto (V) fissato in un basamento circolare di ottone al quale è appesa mediante un filo di seta un
cilindro di midollo di sambuco (A). Il supporto è composto da una parte inferiore cilindrica, di vetro, e da una parte superiore, di ottone, ricurva terminante
con un gancio.
Strofinando un cilindro di vetro (S) con un panno di lana e avvicinandolo al cilindro di sambuco, si può notare che questo ne viene attratto. Lo stesso effetto
si ottiene utilizzando al posto del vetro, ceralacca o resina. Questi materiali mediante l’azione di sfregamento acquistano la capacità di attrarre altri corpi e
sono detti “elettrizzati”. Se la bacchetta (S) viene in contatto con il cilindro di sambuco (A), questo viene respinto e non è più attratto dal vetro. Nella figura
a successiva è rappresentata la situazione descritta.
Se al cilindro di sambuco viene avvicinata una bacchetta di ebanite ugualmente elettrizzata, la pallina viene nuovamente attratta per essere respinta dopo
esserne venuta in contatto.
Per convenzione si considera elettricità
positiva, indicandolo col segno (+), lo stato
elettrico del vetro strofinato con la lana;
elettricità negativa, indicandolo col segno (-),
lo stato elettrico dell’ebanite strofinata
anch’essa con la lana.
Il vetro e l’ebanite così trattati hanno due stati
elettrici diversi che un tempo venivano
denominati ”elettricità vitrea” ed ”elettricità
resinosa”. In realtà lo stato elettrico di un
materiale è funzione del materiale con cui lo si
strofina e dello stato della sua superficie. Se,
al posto della lana, si utilizza della pelle di
gatto il vetro si elettrizza come l’ebanite e lo
stesso accadrà se la sua superficie anziché
liscia è smerigliata.
Si conclude che corpi elettrizzati dello stesso segno si respingono e corpi elettrizzati di segno
contrario si attraggono. Come mostrato nella figura sovrastante, il cilindro di sambuco (+b) si
elettrizza positivamente dopo essere venuto in contatto con la bacchetta di vetro (+c), carica
positivamente; si carica negativamente (-a) venendo in contatto con la bacchetta di ebanite
carica negativamente.
Sul basamento circolare di ottone è inciso il nome del costruttore.
Codice strumento: 10
EMISFERI DI CAVENDISH CON
CONDUTTORE SFERICO
Responsabilità: ideato da Cavendish, costruttore ignoto
Categoria: elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: dimostra la disposizione delle cariche
sulla superficie dei conduttori
Data di costruzione: ultimo quarto XIX
Materia e tecnica: ottone, vetro, acciaio, ferro
Misure: conduttore sferico: altezza 440, φ 116; emisferi:
altezza 290, φ 123 mm.
Stato di conservazione: cattivo
Indicazioni specifiche: l’apparato non risulta funzionante
poiché un emisfero è stato completamente rivestito con una
vernice che lo isola. Inoltre solo la sfera ed i due emisferi
risultano originari: il tripode che sostiene la sfera è stato
sostituito. Vi sono evidenti segni di recenti saldature
Annotazioni:
Il primo a dimostrare che il “fluido elettrico” si distribuisce sulla superficie dei corpi carichi lasciando le parti interne allo
stato neutro fu l’italiano Beccaria (Elettricismo artificiale Torino 1771). L’esperienza sopra descritta si deve allo
scienziato inglese Henry Cavendish ( Nizza 1731-Londra 1810 ), che nel 1772, in una memoria rimasta inedita,
convalidò la sua teoria sulla distribuzione delle cariche in un conduttore isolato, con tale esperimento, che è ora riferito
in qualsiasi testo elementare di fisica.
Descrizione ed uso:
Il conduttore sferico di ottone è isolato su un sostegno di vetro con base a tripode
di ferro. Si elettrizza la sfera collegando il gancetto di ottone di cui è dotata con una
sorgente di elettricità, per esempio una macchina elettrostatica.
Si saggia con un elettroscopio lo stato del conduttore sferico.
Si prendano quindi i due emisferi cavi: questi sono entrambi di ottone, sono dotati
di manici isolanti di vetro ricoperti di uno strato di cera per aumentarne
l’isolamento.
Si portino a contatto con la sfera elettrizzata i due emisferi, faccendone
combaciare i bordi
Questi si adattano perfettamente alla superficie sferica del conduttore poiché
dotati di una piccola apertura circolare attraverso la quale passa il sostegno
isolante in vetro della sfera cava.
Quindi si allontanano simultaneamente gli emisferi e si verifica la loro carica
mediante un elettroscopio: questi risulteranno carichi, mentre la sfera risulterà
priva di cariche.
Questo poiché la carica elettrica in un conduttore in equilibrio elettrostatico si
distribuisce sulla sua superficie; una volta applicati i due emisferi risultano questi
e non la sfera la nuova superficie del sistema
Codice strumento: 12
POZZO DI BECCARIA
Responsabilità: ideato da: Giambattista Beccaria (1716–1781)
firmato
costruito da: non
Categoria: Elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: dimostra che le cariche si distribuiscono sempre sulla superficie
esterna del conduttore.
Data di costruzione: ¼ XX secolo
Materia e tecnica: Ottone
Misure: altezza: 420 mm; diametro sfera 110 mm; profondità: diametro foro 30 mm;
Stato di conservazione: insufficiente
Indicazioni specifiche: Il sostegno isolante non è l’originale, originariamente la cavità era
posta di lato.
Annotazioni:
Scolopio, sostenitore della fisica newtoniana, fu chiamato nel 1748 a sostituire il padre
Francesco Antonio Garro sulla cattedra di fisica sperimentale dell'Università di Torino. Fu uno
degli studiosi che contribuì a trasformare l'elettrologia da semplice oggetto di curiosità in
disciplina scientifica. Difese apertamente la teoria di Benjamin Franklin. Ebbe tra i suoi allievi
Cigna, Lagrange e Saluzzo, i fondatori della Società privata, futura Accademia delle Scienze di
Torino. Si occupò anche di meteorologia e di idraulica. Nel 1755 venne nominato membro della
Royal Society. La sua teoria dell'elettricità venne sconfessata dalle ricerche di Volta.
Descrizione ed uso:
Lo strumento è costituito da una sfera cava in ottone posta su un
supporto isolante in vetro con la base a treppiede in ghisa.
Per eseguire l’esperienza si elettrizza la sfera col contatto di un
corpo elettrizzato, si inserisce al suo interno, con un manico
isolante, un dischetto o una pallina, e si toccano le pareti interne
della sfera, dopo averlo estratto lo si accosta al pendolino o ad un
elettroscopio e si trova che esso non ha acquistato elettricità oppure
è debolissima. Al contrario se si toccano le pareti esterne si trova
che la pallina o dischetto acquistano elettricità. L’elettricità sarebbe
perfettamente nulla, se la sfera fosse chiusa e non aperta. A tal proposito l’esperienza riesce
meglio se si sovrappone al foro della sfera una calotta sferica che la completi, e alla quale e
appesa una piccola sfera con filo isolante di seta.
Codice strumento: 21
PILA A COLONNA DI VOLTA
Responsabilità: ideata da Alessandro Volta
Costruttore: non firmato
Categoria: Elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: generatore di corrente elettrica
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: legno, ottone, rame, zinco, ferro
Misure: altezza telaio di legno 348 mm, altezza massima 454 mm, diametro base 96 mm
Stato di conservazione: buono
Indicazioni specifiche: la parte superiore del telaio di legno presenta una spaccatura. Alcuni
dischi rame-zinco sono staccati, mancano alcuni panni.
Descrizione ed uso:
La pila consiste in una serie di coppie di dischi di rame e zinco, saldati fra di loro,
sovrapposte e separate, l’una dall’altra, da dei dischi di panno nero imbevuti di sostanza
acidulata. La coppia rame-zinco - sostanza acidulata, è definita coppia elettromotrice
galvanica; dove per coppia elettromotrice s’intende la riunione di corpi diversi in contatto,
che genera una corrente elettrica mediante una differenza di stato elettrico continua nei
medesimi; galvanica per distinguerla da altre coppie elettromotrici, in cui la differenza di
stato elettrico è prodotta senza l’intervento di liquidi, ma mediante il calore, le coppie
termoelettriche.
Le coppie di dischi, per essere isolate da terra, sono collocate dentro un’intelaiatura di
legno con base circolare, su cui sono avvitate quattro colonne di legno, che rappresentano
gli appoggi dei dischi, i quali sono tenuti insieme da una vite d’ottone con pomello, che
passa attraverso il telaio superiore di legno. Per avere un maggiore isolamento si verniciava
il legno con gomma lacca.
A causa della sua forma, fu chiamata Pila a colonna. Nell’esemplare qui descritto le coppie
rame-zinco sono 26 e sono separate da 24 dischi di panno nero, ne manca uno. Queste 26 coppie che sopra e
sotto terminano con un disco di rame, con foro laterale, per il passaggio dell’elettrodo, a sua volta poggiano su due
dischi di legno, al di sotto dei quali, vi sono 22 coppie di dischi rame-zinco, privi dei dischi di panno nero.
Per impedire l’ossidazione e stabilire meglio i contatti si saldano assieme il rame e lo zinco, in modo da formare
delle coppie separate da dischi di panno. I dischi alle estremità - zinco superiormente e rame inferiormente- sono
inutili, infatti, prendono per contatto, parte dell’elettricità dal disco a cui sono saldati e non hanno sensibile azione
sulla FEM, la quale è generata soprattutto dal contatto tra liquido e metallo. Se si sopprimono, sostituendo ad essi
come nell’esemplare qui descritto, dei dischi semplici, rame sopra e zinco sotto, si ottiene la pila costruita nel modo
più giusto, con il disco di rame superiore che rappresenta il polo positivo, e il disco di zinco inferiore il polo negativo.
Il segno dei poli non dipende dal metallo con cui termina la pila, ma dall’ordine con il quale si susseguono i metalli
ed il liquido. Solitamente i poli erano uno di rame e uno di zinco, ma potevano essere costituiti anche da un metallo
solo, come in questo caso, che fungeva meglio come conduttore.
La pila costruita da Volta aveva il polo positivo all’ultimo disco di zinco, e il polo negativo all’ultimo disco di rame,
perché egli attribuiva lo sviluppo dell’elettricità al contatto dei due metalli diversi rame e zinco, anziché al contatto
degli stessi con l’acqua acidula. Perciò ciascuna coppia elettromotrice, secondo Volta, era costituita da due dischi,
rame e zinco a contatto fra loro, e per assicurare meglio questo contatto li saldava assieme. All’acqua acidulata
attribuiva il compito di trasmettere l’elettricità da una coppia alla successiva, evitando il contatto di ciascun disco di
zinco con il rame da entrambe le facce, che secondo Volta, avrebbe distrutto l’effetto del contatto precedente.
In realtà, senza l’acqua acidulata e la trasformazione chimica che ne deriva, il solo contatto tra i due metalli genera
un’elettricità statica nei medesimi, ma non una corrente, che ha bisogno che lo stato elettrico sia continuamente
rinnovato nei corpi a contatto.
La distribuzione dell’elettricità nella pila di Volta è diversa a seconda che sia in comunicazione con il suolo
attraverso il rame o lo zinco, oppure sia isolata.
1) Se comunica con il suolo attraverso lo zinco, questo acquista lo stato elettrico 0, e il resto della pila ha elettricità
positiva crescente con il numero delle coppie;
2) Se comunica con il suolo attraverso il rame, questo acquista lo stato elettrico
0 e il resto della
pila ha elettricità negativa crescente con il numero delle coppie;
e a partire dal
3) Se la pila è isolata, che il caso più comune, allora ha lo stato neutro al centro,
centro verso l’estremità rame, l’elettricità è positiva, con tensione crescente da
una coppia alla
successiva, invece dal centro verso l’estremità zinco, l’elettricità è negativa
crescente
da
una coppia alla successiva.
In tutti e tre i casi, la differenza elettrica fra i due poli è costante per un numero
costante
di
coppie.
La tensione elettrica, che è la tendenza dell’elettricità accumulata all’estremità di
svilupparsi e
vincere gli ostacoli che si oppongono alla sua diffusione, cresce con l’aumentare
delle coppie di
dischi, mentre la quantità di elettricità sviluppata cresce con l’aumentare delle
dimensioni dei
dischi, e della conducibilità del liquido interposto, la tensione è indipendente dalla
natura del
liquido.
Finché i poli non sono uniti tra loro, non si nota nessun fenomeno, ma chiudendo il circuito, collegando i poli con
due elettrodi o reofori, cioè con due fili metallici fissati ai poli della pila, si ha un passaggio di corrente continua, con
un massimo di elettricità positiva sul disco superiore, e negativa sul disco inferiore.
La pila di Volta con questa disposizione a colonna aveva un inconveniente che Volta notò; il
liquido dei dischi di panno, schiacciati dalle coppie metalliche, colava all’esterno e creava dei
conduttori tra le varie coppie, diminuendo l’effetto della pila, per cui cambiò la disposizione e
ideò la pila a corona di tazze.
Annotazioni:
Questo modello di Pila fu ideato da Alessandro Volta (1745-1827) nel 1800, che ha dato vita ad un nuovo settore
della fisica l’elettricità dinamica.
Alla fine del 700, nel mondo scientifico si accese una violenta
polemica sulla natura dell’elettricità, in seguito agli
esperimenti di Galvani sulle zampe di rana.Il Galvani aveva
notato che ogni volta che con un arco metallico si mettevano
in comunicazione muscoli e nervi di una rana scuoiata e
uccisa di recente, si ottenevano delle contrazioni. Galvani
credette di aver scoperto l’elettricità animale. Nel 1791,
Alessandro Volta, professore all’Università di Pavia, non
credette all’ipotesi di Galvani, ed eseguì degli esperimenti ed
osservò che le zampe di rana si contraevano solo se
venivano poste in contatto con due metalli diversi, per Volta
l’origine della scarica elettrica era nella diversità dei metalli.
Iniziò la polemica e il mondo scientifico si divise tra
Galvaniani e Voltiani. Nel 1799, Volta per dimostrare la sua
teoria costruì una pila con dischi di rame e di zinco separati
da cuscinetti umidi, toccò le due estremità della pila e avvertì la scossa elettrica. Il Volta, il 20 marzo 1800 scrisse a
Joseph Banks (1743-1820) presidente della Royal Society di Londra, una lettera in cui annunciava la sua scoperta,
e parlava di organo elettrico artificiale, in seguito lo definì apparato elettromotore, ma si deve ai francesi il conio del
termine piliere, da cui in seguito derivò pila voltaica. Il Volta con la sua scoperta raggiunse il culmine della celebrità,
tanto che Napoleone Bonaparte lo invitò a Parigi per farsi spiegare il funzionamento della pila. L’incontro avvenne il
7 novembre 1801.
Codice strumento:
Numero d’ordine: 28
ARCO ECCITATORE CON MANICI DI VETRO
Responsabilità: ignota
Categoria: Elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: caricamento o scaricamento di un
condensatore
Data di costruzione: ultimo quarto XIX sec.
Materia e tecnica: vetro,ottone
Dimensioni: apertura massima arco 500 mm, apertura massima
manici di vetri 580 mm
Stato di conservazione: buono
Indicazioni specifiche: lo strumento è in buone condizioni, l'ottone è
ossidato e il giunto è allentato
Descrizione ed uso:
L'arco eccitatore o scaricatore è un arco metallico
costituito da due archi di ottone mobili in un
meccanismo a cerniera c e terminanti con due sfere
d'ottone b b' e muniti di manici isolanti di vetro m m'.
L'arco eccitatore o scaricatore si utilizzava per
scaricare istantaneamente sia i condensatori a dischi
mobili che la bottiglia di Leyda.
Nel caso del condensatore si applica una delle due
sfere dell’arco su un disco e si avvicina l'altra al
secondo disco, facendo scoccare una viva scintilla,
proveniente dalla ricomposizione delle elettricità contrarie accumulate sulle due facce del condensatore.
Per scaricare la bottiglia di Leida, si mettono in contatto le due armature, per mezzo dell'arco eccitatore, e si vedrà
scoccare una viva scintilla accompagnata da uno scoppio.
Codice strumento: 29
MACCHINA ELETTROSTATICA
MODELLO WIMSHURST
Responsabilità: ideata da Wimshurst,
costruttore ignoto
Categoria: elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: ottenere forti cariche elettriche per influenza
Data di costruzione: primo quarto XX secolo
Materia e tecnica: legno, ottone, acciaio, vetro, ebanite e bachelite
Misure: altezza tot. 625, base: 525 x 250., φ dischi 450 mm.
Stato di conservazione: buono
Indicazioni specifiche: Il 30 Novembre ’47 l’Istituto G.M. Dettori ha acquistato
due dischi in vetro per macchina elettrostatica mm 450 £ 6400 forse per
sostituire quelli rotti.
Annotazioni:
Da un articolo pubblicato sulla RIVISTA DELL’ELETTRICITA: <<il signor Wimshurst, proprietario della più completa
raccolta di macchine elettrostatiche che si conosca, e fabbricatore abile ed ingegnoso di apparecchi elettrici in una sua
piccola officina privata, ha presentato al laboratorio scientifico di South Kensington a Londra una macchina elettrica
colossale, capace di fornire una scarica continua attraverso uno strato d’aria di 35 centimetri di spessore. …Quando le
dimensioni dei dischi in vetro non siano eccessive, essa può essere fabbricata con grande facilità e con una spesa
che può stare nei limiti delle somme disponibili anche dai gabinetti di fisica del Regno d’Italia.>> (P. Pogliaghi)
Descrizione ed uso:
La macchina ideata da Wimshurst nel1883 appartiene alla classe delle macchine ad induzione e ad
autoeccitazione. Consta di due dischi di vetro, probabilmente verniciati con una vernice alcolica di ceralacca,
montati sullo stesso asse, vicinissimi ma non a contatto, posti in rotazione rapidamente in sensi opposti mediante
trasmissione a cinghia.
Sulla faccia esterna dei dischi sta una serie di 24 settori radiali di stagnola coi quali vengono a contatto leggeri
pennellini metallici con cui terminano i due conduttori diametrali collocati l’uno sulla faccia anteriore del primo disco,
l’altro sulla faccia posteriore del secondo. I conduttori diametrali possono assumere una inclinazione variabile e la
grandezza dell’effetto che si può ottenere da questa macchina dipende specialmente dalla posizione opportuna di
questi pezzi, posizione che varia secondo le condizioni e che si fissa per tentativi: solitamente si consiglia una
inclinazione di 45° fra i due conduttori.
Alle estremità del diametro orizzontale, i due dischi sono compresi tra due pettini collettori i cui denti sono rivolti
verso i dischi. Ponendo i dischi in rapida rotazione, basterà una piccolissima carica presente su un settore di
stagnola per far funzionare la macchina; ed è questo il motivo della sua appartenenza alla classe delle macchine
autoeccitatrici. Il funzionamento è abbastanza complesso: un settore anteriore, che viene a trovarsi in
corrispondenza di un settore posteriore caricato positivamente, per induzione si carica negativamente. Intanto il
settore che in quel momento si trova ad esso collegato dal conduttore diametrale si carica positivamente per
influenza.
Subito dopo i due settori risultano di nuovo isolati; e quando quello negativo giunge davanti al settore dell’altro disco
che in quell’istante sta sotto il pennellino del conduttore posteriore, carica positivamente il settore stesso e
negativamente il settore ad esso collegato dal conduttore diametrale.
In tal modo tutti i settori vengono ad acquistare
una carica, che è negativa per i settori
superiori del disco anteriore e i settori inferiori
del disco posteriore e positiva per gli altri. Ne
segue un continuo trasporto di cariche
negative in un verso e positive nell’altro. Nei
due punti in cui si dirigono queste cariche si
trovano i pettini collettori che abbracciano i due
dischi. I denti dei pettini raccolgono la carica dai settori radiali e la comunicano
alle due aste dello spinterometro a sfere tra le quali scoccano notevoli scintille, a
causa della differenza di potenziale creatasi.
I pettini comunicano anche con l’armatura interna di due condensatori.
Un sistema con interruttore a leva posto sotto la base di legno su cui poggia tutta la macchina, permette la
comunicazione anche fra le armature esterne dei condensatori.
Quando si stabilisce il contatto fra le armature esterne dei
condensatori, tra le sfere degli spinterometri si osserva una serie di
scintille più grosse e vive ma meno frequenti. I due condensatori
hanno forma slargata verso l’alto e ricordano lo stile fine 800; così
come lo zoccolo di legno dei sostegni degli spinterometri.
Le macchine elettrostatiche
ad influenza vennero
impiegate nella pratica dell'elettroterapia e degli elettrochocs, che si
basavano sugli effetti fisiologici della scarica elettrica ed erano largamente
utilizzate nella cura delle malattie nervose
Le applicazioni fisioterapiche erano varie: la doccia elettrica (vedi immagine
a lato), che consisteva nel porre il paziente sotto una coppa metallica
collegata alla macchina; il paziente si caricava per induzione e provava la
sensazione di un leggero venticello; la frizione elettrica. si passava sulla
pelle una sfera elettrizzata, tenuta per il manico isolante di cui era dotata o
ancora il bagno elettrico, positivo e negativo, esperienza anche didattica,
che consisteva nel porre in comunicazione una persona posta su uno
sgabello isolante con i poli della macchina elettrica. ;
Al volgere del XX secolo si poté invece impiegare questa macchina
elettrostatica anche per l’eccitazione dei tubi a raggi X, scoperti da Röntgen nel 1895.
Codice strumento: 32/33
DISCHI METALLICI
Responsabilità: ignota
Categoria: elettricità e magnetismo
Campo di applicazione: accumulo di cariche elettriche
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: ottone, rame, zinco, vetro
Dimensioni: diametro dischi in ottone: 130 mm; diametro dischi rame e zinco: 120
mm
Stato di conservazione: insufficiente
Indicazioni specifiche: utilizzati come condensatori erano parte integrante
dell’elettroforo e dell’elettometro
Annotazioni:
Nel giugno del 1775, Alessandro Volta (vedi Codice Strumento n°14 e n°21) comunica a Priestley l'invenzione di un
sorprendente strumento, l'elettroforo perpetuo; con questo strumento per la prima volta l'induzione viene applicata alla
produzione sistematica, abbondante e durevole di elettricità.
Descrizione ed uso:
Non si tratta di strumenti veri e propri ma piuttosto di 5 dischi metallici (uno di
rame, due di zinco e due di ottone) parti integranti dell'Elettroforo di Volta e
dell'Elettrometro (o Elettroscopio) di Volta. Si può ipotizzare che le due coppie di
dischi in zinco e in ottone fossero parti integranti di un Elettrometro, o
Elettroscopio, che necessitava di due dischi, mentre il singolo disco di rame
appartenesse all'Elettroforo di cui si è persa la schiacciata. I dischi di ottone
sono leggermente più grandi dei dischi in rame e zinco. In un disco di zinco è
presente ancora integro il manico isolante in vetro mentre in quello in rame e in
quello di ottone è andato distrutto.
L'Elettroforo condensatore costituisce il primo esempio di macchina elettrostatica basata sul fenomeno dell'induzione.
Sopra la schiacciata, preventivamente caricata per strofinio con un panno, si appoggia il disco metallico, toccandolo
con un dito per metterlo a terra. Tolto il collegamento con la terra si solleva lo scudo che risulta carico per il fenomeno
dell'induzione elettrostatica. Senza che sia necessario strofinare ancora la schiacciata, si può appoggiare di nuovo su
di essa lo scudo più volte, ottenendo così quantità di cariche anche elevate. Questa macchina aveva il pregio di poter
fornire elettricità in modo durevole e continuo, tanto da venire chiamata "elettroforo perpetuo".
L'Elettrometro condensatore venne ideato da Alessandro Volta e altro non è che
l'elettroscopio a foglie d'oro (vedi Codice strumento n°2) reso assai più sensibile per
l'aggiunta di due dischi condensatori. L'asta di rame a cui sono attaccate le piccole foglie
d'oro, invece di terminare nella parte superiore con una sfera in ottone, termina con un
disco metallico, sul quale si pone un secondo disco simile, ma munito di manico in vetro; i
due dischi vengono ricoperti di gomma lacca che funge da dielettrico. Si pone il disco
superiore in comunicazione con la terra e al disco inferiore si avvicina, sino a farlo
toccare, la sorgente che si vuole esaminare, ad esempio una bottiglia di Leyda poco
carica; le foglie d'oro non divergeranno, ma il disco inferiore a causa della grande capacità
che possiede assumerà una carica notevole. Allontanando il disco superiore il potenziale
del disco inferiore salirà considerevolmente in valore assoluto, le cariche si
ridistribuiscono e le foglie d'oro divergeranno.
Codice strumento: 62
ELETTROCALAMITA
Responsabilità: ignota
Categoria: Elettricità e Magnetismo
Campo di applicazione: dimostrazione della magnetizzazione del ferro sotto l’influsso
della corrente
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: legno, ferro, rame, seta
Misure: altezza:515 mm; lunghezza:390 mm; profondità:165 mm; diametro sfera: 115 mm
Stato di conservazione: ottimo
Indicazioni specifiche: lo strumento è ancora funzionante se ai due reofori posti sulla calamita si collegano i poli di
una comune pila da 1,5 V.
Annotazioni:
Nel 1825 Willam Strugeon (1783-1850) costruì la prima elettrocalamita della storia, che chiamò
elettromagnete.
Lo strumento (vedi stampa a lato) consisteva in un pezzo di ferro dolce alto circa 13 cm e piegato a
forma di ferro di cavallo su cui era attorcigliato per diciotto volte non fittamente un filo di rame
scoperto. Al passaggio della corrente, il campo si concentrava nella sbarra di ferro che era in grado
di sollevare una quantità di ferro di venti volte superiore il proprio peso.
Pouillet fece costruire per la facoltà di scienze di Parigi una elettrocalamita capace di sollevare
parecchie migliaia di chilogrammi.
Descrizione ed uso:
Lo strumento è costituito da una base di legno sostenuta da quattro piedini di ferro a zampa di
leone.
Dalla base s’innalza un sostegno di ferro, pregevolmente lavorato,
arcuato nella parte superiore dove è appesa l’elettrocalamita costituita da
un cilindro di ferro dolce (povero di carbonio) ripiegato a ferro di cavallo.
Intorno ai due rebbi di ferro dolce è avvolto un sottile filo di rame ricoperto
di seta e dipinto di rosso, che forma due rocchetti che comunicano fra di
loro attraverso un filo di avvolto a spirale e che hanno sulla parte
superiore esterna due reofori. Affinché, una volta magnetizzati, i due rebbi dell’elettrocalamita
abbiano polarità diversa, i due fili di rame sono avvolti uno in verso sinistrorso e l’altro
destrorso.
Sulla base dello strumento, sotto l’elettrocalamita, vi è una base di legno circolare mobile sulla
quale vi è poggiata una sfera di ferro del peso di circa 3 Kg che ha nella parte superiore un
anello cui è attaccata una sbarretta rettangolare anch’essa in ferro.
Sulla base dello strumento sono presenti due reofori posti fra il sostegno e la sfera.
Mettendo in contatto, con un filo conduttore, i reofori che stanno sui due rocchetti con i reofori
posti sulla base e attaccando a questi i due poli di una batteria, la corrente che percorre i due
rocchetti magnetizza il cilindro di ferro dolce in maniera tale che se si solleva la sfera e si
avvicina la sbarretta questa viene attirata rimanendo attaccata all’elettrocalamita.
Appena cessa il passaggio di corrente nei rocchetti, il ferro perde la sua magnetizzazione e la
sfera si stacca.
La potenza dell’elettrocalamita è proporzionale all’intensità di corrente, al numero di giri del filo che avvolge il ferro
dolce, alla radice quadrata del diametro del cilindro.
Codice strumento:
Numero d’ordine: 79
VOLT- AMPEROMETRO CON SHUNT
INTERCAMBIABILI
Responsabilità: costruttore: Phywe A.G. GÖttinghen
Categoria: Elettromagnetismo
Campo di applicazione: Misure elettriche
Data di costruzione: prima metà XX secolo
Materia e tecnica: legno, ferro, vetro, rame, seta, alluminio, acciaio,
manganina
Dimensioni: altezza 230 mm; larghezza 180 mm; profondità 110
mm
Stato di conservazione: buono
Indicazioni specifiche:
Descrizione ed uso:
Lo strumento può essere utilizzato sia come Voltmetro che come
Amperometro per la misura di tensioni e di correnti attraverso dispositivi
accessori costituiti da resistori calibrati denominati shunt o riduttori, da inserire
nel circuito interno allo strumento. Lo shunt consiste in una lastrina di
manganina di dimensioni diverse in funzione della grandezza da misurare e
del valore di fondoscala da assegnare allo strumento. Solidale con lo shunt è
anche il quadrante dello strumento che necessariamente varia in relazione
alle sue caratteristiche.
Il funzionamento dello strumento è fondato sul principio dei galvanometri tipo
Deprez-d'Arsonval, ossia con campo magnetico fisso e costante. Viene anche
definito magnetoelettrico o a bobina mobile.
La figura seguente mostra lo schema del meccanismo: M-M è il magnete
permanente d'acciaio a forma di ferro di cavallo; fra le branche si trova il
rocchetto mobile R di filo sottile il cui movimento è contrastato da molle antagoniste. Un’apposita vite agendo
sulle molle consente di regolare dall’esterno la posizione di zero dell’indice dello strumento. I capi
dell’avvolgimento lo collegano ai morsetti per la connessione al circuito di misura. Solidale con il rocchetto è
l'indice dello strumento.
Lo strumento è contenuto entro una custodia di legno e vetro con coperchio di bachelite. Il coperchio è dotato di
feritoia per l’inserzione dello shunt.
Lo strumento è corredato di alcuni shunt per le seguenti grandezze e portate: 10 V cc, 50 V ca, 250 V ca, 2 mA
cc, 10 mA cc, 100 mA cc, 1 A cc, 1 A ca.
Codice strumento: 132
PARADOSSO MECCANICO
Responsabilità: ideato da: ignoto
costruito da: non firmato
Categoria: Meccanica
Campo di applicazione: dimostra la proprietà che hanno i corpi di portare il loro
centro di gravità in basso
Data di costruzione: ¼ XX secolo
Materia e tecnica: legno
Misure: altezza: 140 mm; lunghezza: 370 mm; profondità: 220 mm; Doppio cono: lunghezza: 220 mm; diametro: 110
mm.
Stato di conservazione: ottimo
Indicazioni specifiche:
Descrizione ed uso:
Lo strumento, realizzato completamente in legno, è costituito da due guide trapezoidali divergenti unite fra di loro ad
una estremità tramite una cerniera e un doppio cono omogeneo.
Se si posiziona il doppio cono in corrispondenza del vertice
delle due guide
una volta libero,
(in salita e tra loro divergenti) in modo che rotoli su di esse,
il doppio cono si mette spontaneamente a risalire,
portandosi alla
fine come in figura. Apparentemente ciò che succede va
contro le leggi
della meccanica infatti è ben noto che un corpo soggetto alla
forza
gravitazionale se lasciato libero di muoversi si sposta
dall’alto verso il
basso. Ciò si può spiegare attraverso il teorema del
baricentro che
dice "Il moto di un sistema continuo di punti materiali
soggetto a
forze esterne è determinato solo dal moto del suo baricentro
dotato
dell'intera massa del sistema e soggetto al risultante delle
forze esterne".
In altre parole, questo teorema afferma che ciò che conta ai
fini del moto di
un corpo esteso è il moto del suo baricentro e non quello
delle sue parti
e, in effetti, ad una osservazione più attenta, il baricentro del doppio cono scende durante il moto, anche se il
sistema sembra apparentemente salire. Il baricentro del doppio cono (che si trova sull'asse di rotazione in
corrispondenza del diametro massimo) scende grazie alla particolare combinazione dei valori degli angoli
d'inclinazione delle guide, di divergenza delle stesse e di quello al vertice del doppio cono. Come si può notare dal
disegno ad ogni giro del corpo il suo asse di rotazione scende, poiché la distanza tra ognuno dei due punti di
contatto con la guida e l'asse di rotazione diminuisce a mano a mano che ci si avvicina ai vertici. In questo caso il
baricentro del doppio cono scende (la linea blu ne indica la traiettoria durante il moto) andando "in salita" e ci si può
rendere conto di tutto ciò osservando il moto del sistema con gli occhi all'altezza dell'asse di rotazione, tuttavia per
doppi coni con diversi angoli al vertice, si può ottenere invece il comportamento "regolare", cioè i coni scendono
lungo le guide. Quindi per avere moto il baricentro del corpo scende sempre, mentre a seconda degli angoli
costruttivi dello strumento si può dare l'illusione che il doppio cono si muova in salita. Infine può anche verificarsi il
caso limite in cui il baricentro del doppio cono resti sempre vincolato a muoversi su una retta orizzontale, il che ha
come conseguenza che dovunque si posizioni il corpo sulle guide esso resterà fermo in una condizione che
tecnicamente si chiama di equilibrio indifferente.
Codice strumento: 187
ANELLO DI GRAVESANDE
Responsabilità: ideato da: Willem Jacob's Gravesande (1688-1742);
costruito da: G. Manuelli Reggio Emilia
Categoria: Termologia
Campo di applicazione: dimostra la dilatazione dei solidi quando vengono sottoposti a
riscaldamento
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: ottone, legno, ferro
Misure: altezza: 280 mm; lunghezza: 225 mm; profondità: 130 mm; diametro sfera: 30
mm
Stato di conservazione: ottimo
Indicazioni specifiche: lo strumento si trova in condizioni tali da garantirne ancora il funzionamento.
Annotazioni:
Ideato dal fisico matematico olandese Willem Jacob’s Gravesande (1688-1742), i primi esemplari vennero realizzati
dal costruttore Jan van Musschenbroek nel primo quarto del XVIII sec.
Descrizione ed uso:
Su una base in legno si innalza un’asta d’ottone arcuata nella parte superiore a cui è appesa, mediante una catenella,
una sfera di metallo. Lungo l’asta verticale è fissata, in posizione orizzontale, mediante una vite di bloccaggio,
un’ulteriore asta alla cui estremità è presente un anello. L’asta orizzontale può scorrere lungo quella verticale agendo
sulla vite di bloccaggio.
A temperature ordinarie la sfera, che ha un diametro leggermente minore, passa attraverso l’anello.
Dopo aver allontanato l’anello, facendolo ruotare attorno all’asta verticale, si riscalda la sfera ponendovi sotto una
lampada ad alcool, o una qualsiasi sorgente di calore. Riavvicinando l’anello e poggiandovi sopra la sfera si constata
che quest’ultima non passa più se non quando si è raffreddata tornando a temperatura ordinaria.
Codice strumento: 188
APPARATO PER LA DILATAZIONE
LINEARE DEI SOLIDI
Responsabilità: ideato da: ignoto; costruita da: G. Manuelli Reggio Emilia
Categoria: Termologia
Campo di applicazione: dimostra e misura la dilatazione lineare di un solido
sottoposto a riscaldamento
Data di costruzione: ultimo quarto XIX secolo
Materia e tecnica: ottone, legno, cotone.
Misure: Altezza: 220 mm; lunghezza: 445 mm; profondità: 100 mm
Stato di conservazione: ottimo
Indicazioni specifiche: lo strumento si trova in condizioni tali da garantirne ancora il funzionamento.
Annotazioni:
La progettazione e la realizzazione dei primi modelli di questi apparati risale agli inizi del XVIII secolo. Il Museum
Boerhaave di Leida (Olanda) possiede forse il più antico esemplare che ci sia pervenuto; progettato da Pieter Van
Musschenbroek, professore di filosofia naturale all'Università di Leida e realizzato, circa nel 1730, dal meccanico Jan
Paauw Junior.
Descrizione ed uso:
Su una base di legno sono fissate due colonnine in ottone le quali sostengono un’asta metallica a sezione circolare,
bloccata ad un’estremità da una vite e mobile dall’altra.
L’estremità mobile dell’asta è in contatto con un sistema di leve che
amplificano e
fanno ruotare l’indice di una scala, incisa in un settore circolare d’ottone,
la cui
graduazione è espressa in gradi in un intervallo compreso fra 0 e 90.
Sotto l’asta metallica vi è un fornello rettangolare a spirito in cui sono
presenti di
cinque fuochi da cui fuoriescono dei batuffoli di cotone.
A temperatura ordinaria, e quando il fornello ad alcool è spento, l’indice
si trova in
posizione orizzontale in corrispondenza dello zero della scala graduata.
Quando si
accende il fornello l’asta metallica comincia a riscaldarsi e a dilatarsi
allungandosi
nell’estremità libera, la quale va a spingere il sistema di leve che amplifica e rende visibile il movimento dell’indice
che ruota e sale nella scala graduata.
Quando si spegne il fornello e si fa raffreddare l’asta l’indice scende lungo la scala graduata, perché il metallo ha
riacquistato le dimensioni originali.
Iscrizioni: “G. Manuelli Reggio Emilia” inciso sulla base di legno.
Sotto la base di legno vi è un’etichetta in carta che riproduce la pubblicità di macchine da cucire
americane perfezionate dal Prof. Manuelli, e altre macchine costruite da lui e operante a Parma,
Modena e Reggio.
Codice strumento: 189
CASSETTA DI INGENHOUSZ
Responsabilità: ideato da: Jan Ingenhousz (1730-1799);
non firmato
costruito da:
Categoria: Termologia
Campo di applicazione: mostra la conducibilità termica dei corpi solidi
Data di costruzione: ¼ XX secolo
Materia e tecnica: Legno, ottone, piombo, stagno , zinco e ferro.
Misure: altezza tot.: 245 mm; lunghezza vaschetta: 230 mm; profondità vaschetta: 96 mm;
altezza vaschetta: 96 mm
Stato di conservazione: sufficiente
Indicazioni specifiche: Sono presenti le verghe di piombo, stagno , zinco e ferro. Ve ne sono due staccate
probabilmente di ottone e rame.
Annotazioni:
Ingenhousz Jan (Breda 1730-Bowood, Wiltshire 1799) medico, fisico e botanico olandese,
esercitò la professione medica in Olanda, in Inghilterra e Vienna fu il promotore dell’inoculazione
contro il vaiolo. Studioso della fisiologia delle piante, fu il primo a scoprire che queste, attraverso le
foglie, liberano ossigeno durante il giorno e anidride carbonica durante la notte; concorse inoltre a
chiarire il problema della fotosintesi individuando per primo che solo le parti verdi sono in grado di
depurare l'aria e che ciò avviene soltanto in presenza di luce.
Descrizione ed uso:
Lo strumento, costituito da una cassetta rettangolare d’ottone, è poggiato su un
sostegno in legno a base circolare.
Nella parete anteriore della cassetta sono infisse della verghe di uguale diametro e
lunghezza ma di materiali differenti, piombo, stagno , zinco, ottone e ferro, mancano la
verga d’argento, di rame, di vetro e di legno. Le verghe vengono posizionate in modo
tale che sporgano di alcuni millimetri all’interno della cassetta. Nella cassetta, in
corrispondenza di ogni verga, è inciso il nome del rispettivo materiale.
Lo strumento viene utilizzato per dimostrare la diversa conducibilità dei solidi; a questo scopo le verghe vengono
ricoperte di un leggero strato di cera, che ha un punto di fusione di circa 61° C, la cassetta viene riempita di olio o
acqua bollente, a questo punto si può osservare che la cera fonde più rapidamente e più estesamente sull’argento e
sul rame, poi sul ferro, mentre sul vetro e sul legno la fusione è poca o nulla.
Iscrizioni: Reca inciso sulla vaschetta: Vetro, legno, piombo, stagno, zinco, ferro, ottone, rame argento.