Roma, 13 febbraio 2012 Filippo Danovi PRINCIPI E GARANZIE COSTITUZIONALI DEL GIUSTO PROCESSO MINORILE SOMMARIO: 1. La giustizia minorile e la sua attitudine a incidere su diritti e status personali. – 2. L’interesse del minore e il ruolo del giudice. – 3. L’autonomia del minore e le sue ricadute sui poteri di iniziativa processuale. – 4. Lo scenario costituzionale di fondo. Le linee-guida fornite dalla Consulta. – 5. Il giusto processo minorile regolato ex lege. – 6. Il minore come parte del processo. – 7. Segue: rappresentanza processuale e difesa tecnica tra attualità normativa e prospettive de iure condendo. – 8. L’etica della difesa del minore. – 9. La ragionevole durata e il fattore-tempo nei processi minorili. – 10. L’interesse del minore come elemento di raccordo e di chiusura del sistema. 1. - Il processo civile è volto alla tutela dei diritti, ha ad oggetto diritti e incide su diritti. L’affermazione può apparire scontata, ma rappresenta uno dei più immediati e incontestabili fondamenti del diritto processuale. Per assolvere al suo fine istituzionale, l’apparato giurisdizionale finisce quindi per segnare e contraddistinguere il terreno sostanziale dal quale muove e nel quale al compimento del suo iter torna ad affondare la sua impronta. Quando il processo non riguarda un singolo diritto, né un rapporto giuridico unitario, ma situazioni soggettive complesse, quali gli status personali1, il grado di incisione diviene più elevato, nella misura in cui a tali figure sono strettamente collegati fasci di posizioni articolate (diritti, obblighi, facoltà, poteri) 1 Sulla nozione di status e sui caratteri fondamentali ricollegabili a tale figura giuridica la letteratura giuridica è estremamente vasta. In termini generali cfr. ad es. Rescigno, Situazione e status nell’esperienza del diritto, in Riv. dir. civ. 1973, I, p. 209 ss., anche per ampi richiami alla letteratura straniera; Mazzù, Status del soggetto, ordinamento democratico e fruizione dei beni, in Dir. fam. e pers. 1980, p. 968 ss; Criscuoli, Variazioni e scelte in tema di status, in Riv. dir. civ. 1984, I, p. 157 ss.; Iannelli, Stati della persona e atti dello stato civile, Napoli 1984; Corasaniti, voce Stato della persona, in Enc. dir., vol. XLIII, Milano 1990, p. 948 ss.; Alpa, Status e capacità, Roma-Bari 1993, p. 3 ss. Per specifici riferimenti particolarmente in tema di rapporti di famiglia v. anche Grassetti, voce Famiglia (diritto privato), in Noviss. Dig. it., vol. VII, Torino 1961, p. 49 ss.; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli 1966 (rist. 1989), p. 23 ss.; Tamburrino, Le persone fisiche, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale fondata da Bigiavi, Torino 1990, p. 286 ss.; 303 ss. 1 e con esse relazioni intersoggettive plurilaterali. In queste ipotesi, l’impatto del giudizio viene a intersecarsi con i diritti di libertà dell’individuo, strettamente collegati alla sua sfera e alle scelte esistenziali e come tali dotati di valenza costituzionale. Ove queste premesse di fondo vengano proiettate nel settore della giustizia minorile, le questioni e i problemi risultano amplificati. In proposito è peraltro necessario intendersi. La locuzione giustizia minorile non rappresenta una definizione tecnica, aprioristicamente fissata ex lege, ma viene sovente riportata con variegate sfumature, quando non addirittura secondo differenti accezioni. Si è quindi autorevolmente evidenziato come la giustizia minorile finisca spesso per essere considerata alla stregua di un ampio contenitore, nel quale ricomprendere tipologie di intervento giudiziario tra loro eterogenee2. Il grediente costituzionale dei diritti e interessi incisi nei provvedimenti che riguardano i minori può essere misurato attraverso una scala discendente (o ascendente, a seconda della prospettiva). Si va da procedimenti che potremmo qualificare come «neutri», in cui il compito del giudice si risolve in un mero controllo formale (autorizzazioni a compiere atti per minore, rilascio del 2 Cfr. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam. e dir. 2007, p. 409. Le più approfondite indagini inerenti i profili processuali della giustizia minorile si devono negli ultimi anni in particolare proprio agli studi di Tommaseo, fra i quali si segnalano, ex plurimis, Processo civile e tutela globale del minore, in Fam. e dir. 1999, p. 583 ss.; Il processo minorile e il diritto di difesa, in Studium Juris 2001, spec. p. 293 ss.; Processo minorile, forme camerali e «mistica del giusto processo», in Fam. e dir. 2001, p. 321 ss.; Il diritto processuale speciale della famiglia, in Fam. dir. 2004, p. 305 ss.; Profili processuali dell’adozione in casi particolari, in Fam. dir. 2005, p. 399 ss.; L’interesse dei minori e la nuova legge sull’affidamento condiviso, in Fam. dir. 2006, p. 295; Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, in Fam. dir. 2006, p. 388 ss.; Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, in Fam. e dir. 2007, p. 409.ss.; Filiazione naturale ed esercizio della potestà: la Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del Tribunale minorile, in Fam. dir. 2007, p. 453 ss.; La Cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario, in Fam. dir. 2007, p. 884 ss.; La disciplina processuale sull’audizione di minori, in Fam. dir. 2008, p. 197 ss.; Rappresentanza e difesa del minore nei giudizi di adottabilità, in Fam. dir. 2009, p. 254 ss.; La Cassazione sul curatore speciale del minore nei giudizi di adottabilità, in Fam. dir. 2009, p. 678 ss.; Nuove regole per il processo civile e controversie in materia familiare e minorile, in Fam. dir. 2009, p. 653 ss.; Ancora sulla curatela del minore nei giudizi di adottabilità, in Fam. dir. 2009, p. 808 ss.; Giustizia minorile: ancora un’esclusiva pronuncia della Consulta sulla disciplina delle competenze in materia di filiazione naturale, in Fam. dir. 2010, p. 222 ss.; La Corte costituzionale sul minore come parte nei processi della giustizia minorile, in Fam. dir. 2011, p. 547 ss. 2 passaporto, autorizzazioni in ambito successorio), ad altri procedimenti di impatto ridotto, volti a disciplinare il solo affidamento dei figli ai genitori e le modalità di frequentazione da parte di questi ultimi (sia che abbiano esclusivamente questo oggetto, come avviene per i procedimenti ex art. 317-bis c.c., sia che si iscrivano in forme processuali tipizzate e di contenuto più ampio, come la separazione e il divorzio), ad altri di carattere maggiormente invasivo, come i giudizi de potestate, volti a deviare dal modello legislativo della potestà genitoriale, sospendendola o addirittura elidendola, per arrivare infine ai giudizi in materia di status o per la dichiarazione di adottabilità, in cui il «marchio» impresso dalla giustizia è il più grave e profondo, in quanto l’accoglimento della domanda comporta una radicale elisione dello status di filiazione e di parentela (alla quale può eventualmente accompagnarsi la formazione di un nuovo status). Non è quindi agevole individuare in questo ambito che cosa debba realmente essere ricompreso nell’alveo della giustizia minorile. Uno spunto in proposito si rinviene nella giurisprudenza costituzionale, nella pronuncia 30 dicembre 1997, n. 451, nella quale, legittimando (in allora) il sistema bipartito delle competenze a decidere dell’affidamento e del mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, il Giudice delle Leggi ebbe a qualificare il giudice minorile come organo al quale «per la sua particolare composizione e per la specificità delle competenze…sono devolute le questioni concernenti direttamente il minore», sottolineando che «è per questo che la composizione di quest’organo e le peculiarità del processo tengono conto delle esigenze di persone la cui evoluzione psicologica, non ancora giunta a maturazione, richiede nel magistrato adeguata ponderazione e determinate specializzazioni »3. Anche trascurando, tuttavia, questa preliminare questione definitoria, certo è che laddove si confrontino da un lato il grado di incisione sulla posizione del 3 Così Corte cost. 30 dicembre 1997, n. 451, in Giust. civ. 1998, p. 913 ss.; in Fam. dir. 1998, p. 114 ss., con nota di Tommaseo; in Dir. fam. e pers. 1998, p. 484 ss., con nota di Morani. 3 minore e dall’altro le caratteristiche dei modelli processuali che l’ordinamento mette a disposizione, l’interprete non può che prendere atto con un senso di sconforto che il legislatore non ha saputo forgiare una disciplina processuale organica per i soggetti minori, rivelando nei fatti l’inadeguatezza dell’apparato processuale proprio nelle ipotesi in cui lo stesso dovrebbe regolamentarne la vita e le posizioni sostanziali di soggetti deboli. 2. – A ciò si aggiunga un ulteriore possibile punto di partenza (destinato al contempo - e come vedremo - a rappresentare il punto di arrivo). Ed invero, indipendentemente dalle specificità che li accompagnano, tutti i procedimenti dei quali si è dato atto coinvolgono in più o meno ampia misura la posizione del minore e chiamano quindi gli operatori del diritto a tener conto dell’interesse di questi; ed è noto come tale interesse, proprio per la posizione di fragilità che si accompagna alla figura del fanciullo e per il ruolo che la società è chiamata a esercitare in sua difesa, debba essere considerato come di ordine pubblico4. Se questa caratteristica viene traslata nell’ambito del processo, ecco che allora l’interesse del minore assurge a indispensabile elemento direttivo, il cui significato non può che essere raccolto dallo specifico munus del giudice, espressione, nel proprio ambito, della potestà giurisdizionale dello Stato e istituzionalmente chiamato a sciogliere il nodo della situazione controversa sottoposta alla sua attenzione. Il giudice diviene così custode e garante dell’interesse del minore, ed è chiamato a salvaguardarlo con particolari e più incisivi poteri, indipendentemente dalle istanze delle altre parti processuali e anche in deroga a canoni tradizionalmente ineludibili come quello della domanda o della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato5. 4 Cfr. ancora Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 410. Per questi aspetti sia consentito il richiamo a Danovi, Principio della domanda e ultrapetizione nei giudizi di separazione, in Riv. dir. proc. 1998, p. 729 ss. 5 4 3. – Il tema dei rapporti tra giustizia e minori appare peraltro ancor più insidioso in quanto analizzando le complesse dinamiche che sorreggono il processo, emerge come il minore non possa essere unicamente protetto in via etero-diretta, ad opera del soggetto che in ultima analisi è chiamato a dirimere il conflitto tra le parti. Da questo punto di vista, il principio della terzietà dell’organo giudicante rimane un valore fondamentale e tale da indurre anche ad alleggerire – se possibile - l’intervento del giudice, ad evitare sovrapposizioni di funzioni quanto meno inopportune. Ciò vale ancor più per i c.d. grand-enfants, ovvero gli adolescenti che hanno pienamente raggiunto non soltanto la capacità di discernimento ma anche un’autonomia gestionale, e sono in grado di esprimere il diritto di libertà e tutti i diritti costituzionalmente garantiti ad esso connessi, confrontandosi con il diritto/dovere dei genitori di esercitare la potestà con facoltà e obblighi ad essa inerenti. Vi è in effetti una sorta di potenziale attrito tra queste due sfere, il cui componimento nelle situazioni fisiologiche trova un punto di equilibrio nella gestione stessa della famiglia, dove l’autorità continua ad essere precipuamente responsabilità e cura e il minore riesce ad avvertirlo. Ma laddove si passi alla dimensione patologica e ogni possibilità di dialogo e intesa venga meno, ecco che l’autorità giurisdizionale e il processo divengono rispettivamente il soggetto e l’ambito deputati alla compiuta estrinsecazione della tutela del minore. 4. – In questo plesso tematico la funzione del Giudice si ammanta anche di una serie di ulteriori significati, tutti di rango costituzionale, che impediscono di ricondurla unicamente allo ius dicere. E così, in chiave proiettiva e propositiva, il Giudice deve assicurare anche nel processo una tutela adeguata alla particolarità del soggetto minore, e tendere 5 alla rimozione concreta di ogni ostacolo che possa negativamente incidere sul suo sviluppo armonico, dal punto di vista dei diritti inviolabili della persona e del diritto all’uguaglianza (art. 2 e 3 Cost.). Ancora, il rapporto tra genitori e figli, l’eguaglianza tra figli nati all’interno e fuori del matrimonio, la valenza dello status filiationis sono temi che trovano nella nostra Carta dei diritti un substrato di fondo (art. 30 Cost.)6 e richiedono un’opera di costante valutazione (in chiave diacronica e tenendo conto del variare delle condizioni ambientali e sociali in cui la tutela giurisdizionale viene ad esprimersi) della rispondenza dei singoli procedimenti previsti ex lege al sistema costituzionale7. Infine, la Costituzione prevede una specifica disposizione, l’art. 31 Cost., nella quale viene sottolineato (alla stregua di dovere) il bisogno di «favorire» «gli istituti necessari» alla protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù8. Pur se rivolto in primis al terreno sostanziale, il contenuto volutamente ampio 6 Per un commento all’articolo cfr. ex plurimis: Bessone, Sub artt. 30-31, in Comm. Cost. Branca, Bologna – Roma 1976, p. 86 ss.; Bianca, La filiazione: bilanci e prospettive a trent’anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Dir. fam. e pers. 2006, p. 207 ss.; Costanzo, Vicende di due principi costituzionali rilevanti e affini, in Dir. fam. e per. 1995, p. 1126 ss.; D’Aloia, Romano, Sub art. 31, Basini, Bonilini, Cendon, Confortini (a cura di), Codice commentato dei minori e dei soggetti deboli, Torino 2011, p. 5 ss.; Esposito, Famiglia e figli nella Costituzione Italiana, in La Costituzione italiana. Saggi. Padova 1954, p. 148; Lamarque, Sub art. 30, in Comm. Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino 2006, p. 624 ss.; Lotito, Sub art. 24, in Bifulco, Cartaria, Celotto (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Bologna 2001, p. 185 ss.; Magno, Il minore come soggetto processuale, Milano 2001, p. 1 ss.; Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna 1996, p. 111 e ss.; A.M. Sandulli, Sub art. 30, in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, Padova 1992, p. 36 ss.; Sesta, Il diritto di famiglia, Padova 2004, p. 1 ss. 7 Si può portare a titolo di esempio la vicenda del procedimento di dichiarazione giudiziale di paternità e di maternità naturale in cui come noto la Corte costituzionale, dopo una serie di precedenti interventi correttivi, ha in epoca recente stabilito l’illegittimità dell’art. 274 c.c. e con esso della fase di ammissibilità dell’azione. Sul tema sia consentito il rinvio a Danovi, L’art. 274 c.c. e gli irragionevoli ostacoli all’esercizio del diritto di azione, in Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana. Vol. 23 Diritto processuale civile e Corte costituzionale a cura di Elio Fazzalari e della Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Napoli 2006, p. 201 ss. 8 Sull’art. 31 Cost. v. ad es. Bessone, Sub artt. 30-31, in Comm. Cost. Branca, Bologna – Roma 1976, p. 86 ss.; Cassetti, Sub art. 31, in Comm. Bifulco, Celotto, Olivetti, I, Torino 2006, p. 647 ss.; D’Aloia, Iofrida, Sub art. 31, Basini, Bonilini, Cendon, Confortini (a cura di), Codice commentato dei minori e dei soggetti deboli, Torino 2011, p. 35 ss.; Fadiga, Il bambino è un cittadino: minore età e diritti di cittadinanza, in Le Istituzioni del federalismo 2008, p. 33 ss.; La Rosa, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Milano 2005, p.2 ss.; Passaglia, I minori nel diritto costituzionale, in www.personaedanno.it, 2010; A.M. Sandulli, Sub art. 31, in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, Padova 1992, p. 36 ss. 6 della norma viene a costituire elemento di inevitabile raffronto anche per il giudice. In questo scenario, è pressoché naturale che il Giudice delle Leggi sia stato come si vedrà a più riprese sollecitato di intervenire per rispondere alle censure mosse da più parti al sistema e ai modelli processuali concretamente offerti, ritenuti sotto molteplici aspetti inadeguati per una tutela piena ed effettiva che tenga conto dei valori costituzionali sottesi alla materia. E potrebbe apparire insolito che gli interventi della Corte costituzionale che esamineremo si siano nella quasi totalità dei casi conclusi con pronunce di infondatezza (quando non addirittura di inammissibilità) delle diverse quaestiones sollevate. Ciò non toglie, peraltro, che, nell’esame e verifica delle singole fattispecie «incriminate», l’apporto fornito dalla Consulta sia comunque stato particolarmente significativo, consentendo di stabilizzare – attraverso gli snodi argomentativi compiuti - una serie di importanti principi e regole che ogni operatore di diritto è tenuto a rispettare e applicare nell’interpretazione del sistema vigente. 5. – Così impostato il tema dell’indagine, la direzione nella quale muoversi per enucleare i principi necessari a un «giusto processo minorile» pare tracciata dallo stesso art. 111 Cost., la cui formula individua i canoni comunque inderogabili perché vi possa essere giustizia attraverso il processo, e ne impone il raffronto con le peculiarità inerenti il coinvolgimento della figura del fanciullo. Il giusto processo deve essere in primo luogo «regolato dalla legge»; la presenza di un tessuto normativo preconizzato è dunque elemento primario per la formazione di un processo «giusto». In questo contesto, non è a mio avviso tanto la scelta del rito camerale a rappresentare elemento di crisi. E’ noto come la genericità del riferimento normativo, unita alla discrezionalità giudiziale che lo contraddistingue, siano 7 state considerate come sintomi di inadeguatezza del rito camerale, sovente etichettato come modello non prefissato ex lege. Ciò non toglie che la Corte costituzionale ha a più riprese «salvato» tale modello9 e in questa stessa scia la giurisprudenza di legittimità, mediante una serie di interventi additivi ha saputo apportare i necessari correttivi per i quali ancora oggi da più parti il modello in camera di consiglio, per il suo «basso titolo formale»10 viene spesso addirittura considerato come quello maggiormente idoneo per le controversie in materia di famiglia e per la giustizia minorile in particolare11 (pur dovendosi dare atto che non pare questa la direzione nella quale va muovendosi il nostro legislatore processuale12). Il vizio di fondo nasce a questo proposito piuttosto dall’inadeguatezza della normativa, disorganica e racchiusa in fonti e disposizioni diverse, tra loro 9 Cfr. ad es. Corte cost. 22 novembre 2000, n. 528 (ord.), in Dir. fam. e pers. 2001, p. 914, con nota di Piccaluga; in Fam. dir. 2001, p. 121, con nota di Giangaspero, e soprattutto la fondamentale Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 1, della quale si dirà diffusamente infra. 10 Per utilizzare la classica definizione di Allorio, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Sulla dottrina della giurisdizione e del giudicato, Milano 1957, p. 35 ss. 11 L’estensione del modello del procedimento camerale, storicamente nato come disciplina per la cd. giurisdizione volontaria (gli artt. 778 ss. c.p.c. del 1865 erano stati introdotti in quanto «non si poteva tralasciare di disciplinare l’intervento dell’autorità giudiziaria negli affari che, benché non sorti da contestazione, richiedevano per il loro retto svolgimento un potere moderatore» – così Bo, Del procedimento in camera di consiglio, Milano 1901, p. 4 ss.) alla regolamentazione di alcuni giudizi di carattere contenzioso vertenti su diritti soggettivi ha dato adito a molteplici discussioni e dubbi. La giurisprudenza non ha peraltro mancato di fornire un espresso sostegno alla soluzione affermativa, arrivando a legittimare l’adozione del modello camerale in una serie di controversie anche relative a diritti soggettivi delle parti, ma imponendo come contraltare l’obbligo della difesa tecnica (cfr. ad es. Cass. 29 maggio 1990, n. 5025, in Dir. eccl. 1992, II, 57 ss.; Cass. 30 luglio 1996, n. 6900; sul punto, per una più completa disamina delle posizioni della giurisprudenza, cfr. Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, Torino 1994, 88 ss. In questo senso v. altresì, ad es., Corte cost. 10 luglio 1975, n. 2002, in Foro it. 1975, I, c. 1575; Corte cost. 1° marzo 1973 n. 22 in Foro. it. 1973, I, c. 1344; per riferimenti v. anche Nappi, sub art. 82 c.p.c., in Codice di procedura civile commentato a cura di Consolo e Luiso, vol. I, 3° ed., Milano 2007, p. 759, che evidenzia come in materia si sia infine giunti a una singolare inversione logica, poiché la Corte costituzionale ha riconosciuto la legittimità dell’adozione del rito camerale per controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi o status laddove non sia esclusa la facoltà delle parti di avvalersi della difesa tecnica (così Corte cost. 14 dicembre 1989 n. 543 e Corte cost. 17 aprile 1985, n. 183). Per un compiuto inquadramento della tematica cfr. poi Chizzini, La revoca dei provvedimenti di volontaria giurisdizione, Padova 1994, passim, spec. p. 222 ss. 12 Il fatto che il recente d.lgs. 159/2011 sulla semplificazione dei riti tenda a ricondurre i diversi modelli offerti dall’ordinamento, a seconda delle loro caratteristiche salienti, a una triade rappresentata dal processo ordinario di cognizione, dal rito del lavoro e dal procedimento sommario di cognizione dimostra che, anche indipendentemente dal fatto che l’intervento non ha allo stato riguardato la materia del processo minorile, né ha soppresso il rito camerale, è piuttosto al rito sommario ex art. 702-bis c.p.c. che il legislatore pensa come modello di richiamo per tutte le ipotesi in cui vengano in essere istanze di celerità e di un minore tasso formale del processo. 8 eterogenee, «che si sono stratificate nel tempo senza seguire un disegno unitario»13. La perdurante assenza di un compendio armonico e coerente di regole e la mancanza di chiarezza che ne deriva rappresentano un vizio strutturale che non può non portare a prendere atto – quanto meno de iure condendo dell’incapacità del sistema attuale a farsi realmente dispensatore di tutela in questo ambito. Ma non solo. La normativa è altresì carente in quanto non univoca e frammentaria, fattori, questi, che hanno dato adito a prassi disomogenee e aporie applicative14. A questo riguardo, se da un lato non vi è dubbio che le lacune non possano continuamente essere colmate unicamente per via interpretativa e giudiziaria ma necessitino una rivisitazione normativa della materia, dall’altro si inserisce anche il tema della legittimità e utilità (a prescindere dal loro grado di cogenza) dei protocolli15, tanto più considerato che in un processo che aspiri a 13 Così Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 411. Emblematica a questo proposito è la vicenda della competenza a giudicare sulle domande di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio. Ad esito della riforma attuata con l. n. 54/2006 sono state fornite letture contrapposte, che hanno dato luogo ad aporie nella prassi applicativa, sino all’intervento della Cassazione, con la nota ordinanza 3 aprile 2007, n. 8362. La pronuncia è stata oggetto di numerosi commenti, tra loro anche dissonanti. Cfr. ad es. Tommaseo, Filiazione naturale ed esercizio della potestà: la Cassazione conferma (ed amplia) la competenza del Tribunale minorile, in Fam. e dir. 2007, p. 453 ss.; Casaburi, La Cassazione sulla competenza a provvedere su affidamento e mantenimento dei figli naturali, in Foro it. 2007, I., c. 2050-2051; Civinini, Filiazione naturale, competenza e rito, ibidem, c. 2051-2052; De Marzo, Mantenimento dei figli naturali e rito applicabile dinanzi al tribunale per i minorenni, ibidem, c. 2053 ss.; Salvaneschi, Ancora un giudice diverso per i figli naturali, in Corr. giur. 2007, p. 951 ss.; Balestra, Sul tribunale competente in ordine all’affidamento e al mantenimento dei figli naturali: una condivisibile presa di posizione della Cassazione, ibidem, p. 958 ss.; Danovi, Affidamento e mantenimento dei figli naturali: la Cassazione sceglie il giudice minorile, in Fam., pers. e successioni 2007, p. 508 ss.; Graziosi, Ancora rallentamenti sulla via della piena equiparazione tra figli legittimi e figli naturali: la Cassazione mantiene inalterata la competenza del tribunale per i minorenni, in Dir. fam. e pers. 2007, p. 1629 ss.; Marino, Provvedimenti riguardanti i figli naturali e competenza del tribunale minorile, in Fam. e dir., 2007, p. 889 ss.; Merlin, La Suprema Corte pone la parola fine al dibattito sulla «competenza» in tema di procedimenti di «separazione» della coppia di fatto ed affido dei figli naturali, in Riv. dir. proc. 2008, p. 535 ss. 15 Numerosi sono ormai i protocolli adottati dai Tribunali per lo svolgimento dei procedimenti in materia di famiglia e persone. E così, ad esempio, il Tribunale di Milano ha adottato, oltre al Protocollo generale per le udienze civili, un Protocollo ad hoc per i procedimenti ex artt. 250 e 269 c.c. nonché per i procedimenti ex artt. 155-317 bis c.c. Detti protocolli, in particolare, prestano una dedicata attenzione allo svolgimento dell’ascolto del minore prevedendone condizioni e limiti, tempi e luoghi per il suo svolgimento. Del pari, il Tribunale per i Minorenni di Venezia ha adottato due protocolli: uno per le udienze in tema di separazione e divorzio e l’altro per i procedimenti ex artt. 155 e 317 bis c.c. Il Tribunale di Podernone, poi, ha istituito un Protocollo per il «il rito di famiglia» da applicarsi ai procedimenti di separazione personale dei coniugi, di divorzio (scioglimento o cessazione degli effetti 14 9 rimanere a basso tasso formale, non si può immaginare di escludere in toto spazi interpretativi, purché correttamente contenuti. 6. – Il giusto processo deve svolgersi «nel contraddittorio tra le parti». Da questa formula, che richiama quella «regola aurea», cardine insopprimibile di ogni processo, prende avvio il tema forse centrale dell’indagine. Quando e come dobbiamo ritenere che il minore possa (rectius, forse debba) essere parte del processo? Assumendo a parametro la figura della parte in senso sostanziale, la risposta parrebbe più agevole. Il minore può invero probabilmente essere definito tale in tutti i procedimenti che lo coinvolgono: ma dalla soggezione agli effetti della pronuncia che si accompagna alla posizione di parte in senso sostanziale non consegue automaticamente anche la necessaria presenza nel processo e l’insopprimibile previsione di una difesa tecnica16. Prendendo ad esempio la separazione o il divorzio, non vi è dubbio che per quanto il minore sia coinvolto nella crisi della famiglia, il processo riguardi segnatamente la vicenda matrimoniale e con essa le figure dei genitori, e l’interesse del figlio, sicuramente presente ma mediato, può dunque essere tutelato adeguatamente assegnando più ampi poteri al giudice, oltre che attraverso un effettivo intervento nel processo da parte del p.m.17. civili del matrimonio) e, in genere, ad ogni altro procedimento in materia di famiglia, promossi al Tribunale di Pordenone. Fra i tanti esempi meritano ancora di essere annoverati il Protocollo del Tribunale di Bologna nonché il Protocollo per l’audizione del minore del Tribunale di Roma. 16 Richiamo sul punto le considerazioni espresse nel commento a Cass. S.U. 21 ottobre 2009, n. 22238 (Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento giudiziale, in Riv. dir. proc. 2010, p. 1423-1424). In effetti, nell’ordinamento processuale non si prevede necessariamente che ogni parte in senso sostanziale debba per ciò solo essere sentita nel processo. Basti pensare alle fattispecie – pur di carattere eccezionale – di legittimazione straordinaria (nelle quali il sostituito, ove non litisconsorte necessario, non partecipa al processo), o, più in generale, alle ipotesi dei terzi aventi causa o portatori di situazioni sostanziali dipendenti, che sono soggetti all’efficacia della sentenza ma non per questo devono ipso iure essere sentiti nel processo (il loro intervento essendo ai sensi dell’art. 105, 2° comma, c.p.c. meramente eventuale e rimesso alla loro discrezionale valutazione). 17 Il cui ruolo andrebbe peraltro in concreto potenziato, segnatamente rispetto a quanto è dato 10 In proposito, la Corte costituzionale18 ha evidenziato che anche l’audizione del minore, ove correttamente gestita (o, se necessario, il ricorso a una più approfondita consulenza psicologica), rappresenti una misura idonea allo scopo19, nel riconoscimento che in queste ipotesi il minore debba essere qualificato come soggetto loquens, ma non uti pars20. Non a caso, anche la giurisprudenza di legittimità, intervenendo sul tema dell’audizione del minore, ha mosso la sua ricostruzione proprio con la constatazione in capo al minore della qualità di parte in senso sostanziale21. generalmente osservare nella prassi. 18 Cfr. Corte Cost. 14 luglio 1986, n. 185, in Giust. civ. 1986, p. 2321 ss., che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale che faceva riferimento all’art. 5 della legge sul divorzio, nella parte in cui la norma non prevedeva la nomina del curatore speciale in favore del figlio della parte in relazione alla richiesta pronuncia di affidamento e di ogni altro provvedimento che lo riguardasse. 19 La letteratura sull’ascolto del minore è vastissima. Ex plurimis v. ad es. Dell’Antonio, Ascoltare il minore. L’audizione dei minori nei procedimenti civili, Milano 1990; Id., La partecipazione del minore alla sua tutela. Un diritto misconosciuto, Milano 2001, spec. p. 97 ss.; A. Finocchiaro, L’audizione del minore e la convenzione sui diritti del fanciullo, in Vita not. 1991, p. 834 ss.; Graziosi, Note sul diritto del minore ad essere ascoltato nel processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1991, p. 1281 ss.; Vercellone, La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo e l’ordinamento interno italiano, in MinoriGiustizia 1993, p. 124 ss.; Cividali, Il bambino inascoltato. Lettera aperta per promuovere un dibattito sull’ascolto del minore, ibidem, p. 27 ss.; Thomas - Bruno, I provvedimenti a tutela dei minori, Milano 1996, p. 1 ss.; Manera, L’ascolto dei minori nelle istituzioni, in Dir. fam. e pers. 1997, p. 1551 ss.; De Luca., L’ascolto del minore nel processo civile come diritto e come strumento probatorio, in MinoriGiustizia 1998, p. 64 ss.; Giuliano, L’audizione del minore infradodicenne e la pronuncia di adottabilità, in Fam. e dir. 2001, p. 155 ss.; Liuzzi, L’ascolto del minore tra convenzioni internazionali e normativa interna, ibidem, p. 679 ss.; Salzano, Il procedimento di ascolto dei minori nei processi di separazione e divorzio, in AA.VV., Scritti sul minore in memoria di Francesca Laura Morvillo, p. 379 ss.; Governatori, L’ascolto del minore nei giudizi di separazione e di divorzio, in Foro tosc. 2003, p. 130 ss.; Greco, Ascolto del minore nei procedimenti che lo riguardano, in Studium Iuris, 2003, p. 231; Magno, L’ascolto del minore: il precetto normativo, in Dir. fam. e pers. 2006, p. 1273 ss.; Re - Vicini, L’ascolto indiretto del minore: indagini dei Servizi Territoriali, ibidem, 1294 ss.; Pazé, L’ascolto del bambino nel procedimento civile minorile, ibidem, p. 1334 ss.; Cesaro, L’ascolto del minore nella separazione dei genitori: le riflessioni della difesa, in MinoriGiustizia, 2006, p. 157 ss.; Id., L’ascolto del minore nella separazione dei genitori: dalle convenzioni internazionali alla legge sull’affido condiviso, in Legalità e giustizia 2006, p. 267 ss.; Brienza, L’ascolto del minore: la prospettiva del giudice, ibidem, p. 242 ss.; Fadiga, Problemi vecchi e nuovi in tema di ascolto del minore, in MinoriGiustizia, 2006, p. 133 ss.; Martinelli, Spunti di aggiornamento sugli ascolti del minore, ibidem, p. 152 ss.; Persiani, L’ascolto del minore: pregi e ambiguità di una norma condivisibile e necessaria, ibidem, p. 164 ss.; Ronfani, Le buone ragioni a sostegno della pratica dell’ascolto, ibidem, p. 147 ss.; Rovacchi, L’audizione del minore nei procedimenti di separazione e divorzio, in Il civilista, 2007, p. 13 ss.; Querzola, Il processo minorile in dimensione europera, Bologna 2010, p. 49 ss. 20 In questo senso cfr. ad es. Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 411 ss.; Danovi, Il difensore del minore tra principi generali e tecniche del giusto processo, in Dir. fam. e pers. 2010, p. 257 ss. 21 Il richiamo è al noto arrêt delle Sezioni Unite (Cass. S.U. 21 ottobre 2009, n. 22238), per un commento al quale cfr. M. Finocchiaro, Un adempimento ritenuto inderogabile da assolvere con le modalità più convenienti, in Guida al diritto 2009, n. 48, p. 44 ss.; Graziosi, Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. e dir. 2010, p. 364 ss.; Ruo, “The long, long way” del 11 A questo riguardo, il costante richiamo alla formula della capacità di discernimento22, coniata per consentire al fanciullo in grado di esprimersi liberamente di far sentire la sua voce, indipendentemente dalla sua età anagrafica, genera tuttavia potenziali difficoltà, ancorando la previsione di un’audizione (dalla Cassazione ormai considerata necessaria23) a un profilo meta-giuridico non diagnosticabile a priori secondo canoni prefissati ed oggettivi. Anche tale situazione induce quindi a favorire lo sviluppo di una prassi che veda l’audizione come momento centrale da svolgersi se possibile direttamente avanti al giudice24, o se da questi ritenuto più opportuno per opera di un consulente psicologo specializzato nella comprensione delle dinamiche evolutive e psicologiche del minore25. L’audizione indiretta può in effetti temperare, quanto meno per alcuni aspetti, il coinvolgimento del minore nel contesto giudiziario; anche se il beneficio a volte è soltanto apparente, e sconta per altri profili alcuni limiti rispetto all’ascolto diretto. La presenza di un filtro nell’ascolto non assicura processo minorile verso il giusto processo, in Dir. fam. e pers. 2010, p. 119 ss.; Eremita, Sull’audizione dei figli minori nei processi di separazione e di divorzio, in Il giusto processo civile 2010, p. 235 ss.; Long, Ascolto dei figli contesi e individuazione della giurisdizione nel caso di trasferimento all’estero dei figli da parte del genitore affidatario, in La nuova giur. civ. comm. 2010, p. 312 ss.; Id., Le conseguenze processuali del mancato ascolto del minore, in MinoriGiustizia 2009, p. 245 ss.; Tarricone, Le S.U. civili e la giustizia minorile: nuovi passi verso l’effettività della tutela impartita, tra fonti interne e spazio giuridico sovranazionale, in Dir. fam. e pers. 2010, p. 1567; Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento giudiziale, in Riv. dir. proc. 2010, p. 1415 ss. 22 Sulla capacità di discernimento v. Ruscello, Garanzie fondamentali della persona e ascolto del minore, in Fam. e dir. 2002, p. 933 ss.; Id., Minore età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a “supernorme”, in Fam. e dir. 2011, p. 404 ss.; Scardaccione, La capacità di discernimento del minore, in Dir. fam. e pers. 2006, p. 1319 ss.; Arceri, L’affidamento condiviso, Milano 2007, p. 203 ss.; Querzola, Il processo minorile in dimensione europea, cit., p. 62 ss. 23 Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 413, segnala quale anomalia del sistema normativo il fatto che l’audizione non venga qualificata come necessaria per i giudizi de potestate, anche se sul tema le indicazioni fornite dalla Consulta (Corte cost. n. 1/2002) coprono ampiamente, come si dirà appresso nel testo, anche tale aspetto. 24 Cfr. al riguardo quanto statuito da ultimo da Cass. 25 maggio 2007, n. 12314, in Fam. e dir. 2007, p. 883 ss., con n. di Tommaseo, La Cassazione sull’audizione del minore come atto istruttorio necessario. 25 Sul tema v. in generale Danovi, La consulenza psicologica nel processo civile, in Riv. dir. proc. 1999, p. 808 ss.; Grasso, Riflessioni di attualità su perizie e consulenze tecniche psicologiche, in Dir. fam. pers. 1998, p. 683 ; Battistacci, Ruolo dei Servizi socio-psicologici nelle procedure contenziose e camerali, in AA. VV., Le procedure giudiziarie civili a tutela dell’interesse del minore, a cura di Dusi, Milano 1990. Con riferimento specifico all’adozione v. anche Sergio, Consulenze, relazioni tecniche, apporti dei componenti privati in tema di affidamento e di adozione dei minori, in Dir. fam. e pers. 1999, p. 350 ss. 12 invero le esigenze di immediatezza (e con essa di effettività) della decisione; nella prassi applicativa, inoltre, l’ascolto tramite i servizi sociali incontra talvolta appesantimenti burocratici o soprattutto si rivela meno effettivo, in situazioni di soggezione da parte di alcuni operatori nei confronti delle figure genitoriali. Senza dimenticare che a volte sono gli stessi fanciulli a sentirsi più rassicurati dalla figura e dalla presenza del giudice. Tutte queste ragioni, dunque, consigliano di non vincolare il giudice a un modello predeterminato di ascolto, ma di lasciarlo libero di determinarne le modalità più opportune del minore26, nella consapevolezza, peraltro, che laddove si disponga l’audizione diretta, la stessa deve potersi svolgere con moduli deformalizzati (se necessario anche in ambienti differenti dalle aule giudiziarie) e con ogni necessaria cautela, anche evitando la presenza dei genitori e tanto più quella dei loro difensori27. Fermo quanto sopra, dalla giurisprudenza costituzionale è tuttavia stato compiuto un ulteriore significativo passo, ammettendosi ormai che il minore debba essere considerato altresì parte in senso processuale. Fondamentale è stato a questo riguardo l’apporto dato dalla pronuncia Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 128, che - sia pure in via di obiter dictum ma con un richiamo particolarmente pregnante - ha stabilito che nei procedimenti de potestate tanto i genitori quanto il minore debbano considerarsi a pieno titolo parti del procedimento. E tale riconoscimento è stato da ultimo confermato anche da Corte cost. 12 giugno 2009, n. 17929 e dalla recente Corte cost. 11 marzo 2011, n. 8330. 26 Sul tema v. anche Cass. 26 marzo 2010, n. 7282, in Fam. e dir. 2011, p. 268 ss., con nota di Querzola, La Cassazione prosegue nel comporre il mosaico del processo minorile. 27 Tenendo presente in proposito che il rispetto delle garanzie processuali esige in ogni caso che le dichiarazioni dei minori siano oggetto di verbalizzazione e che il diritto delle parti sia salvaguardato garantendo loro di essere informate, tramite i rispettivi difensori, del contenuto delle dichiarazioni rese dal minore avanti all’autorità giudiziaria. Nei casi più delicati e complessi, infine, oltre all’istituto dell’ascolto, continua a essere indispensabile una vera e propria indagine peritale, affidata ad esperti che siano in grado di valutare le dinamiche familiari nel loro complesso e reperire in concreto la situazione che possa salvaguardare nella misura più efficace l’interesse del minore. 28 Corte cost. 30 gennaio 2000, n. 1, in Foro It. 2002, I, c. 3302, con nota di Proto Pisani; in Giust. civ. 2002, p. 551, con nota di Cianci, e p. 1467 con nota di Tota; in Fam. dir. 2002, p. 229, con nota di Tommaseo. 29 In Giur. cost. 2009, 3, p. 2003. 13 L’affermazione impone peraltro a mio avviso di essere contestualizzata, non rappresentando una verità ineludibile in tutte le ipotesi di procedimenti minorili. Ed invero, il minore può essere considerato parte in senso processuale non già soltanto se risulti destinatario diretto degli effetti del provvedimento31, ma unicamente laddove il provvedimento incida su diritti e situazioni soggettive tutelabili in sede giurisdizionale e correlati alla sua sfera esistenziale32. Da questo punto di vista, non è ad esempio sufficiente che si discuta dell’affidamento o delle modalità di frequentazione, tanto più che si tratta di provvedimenti di volontaria giurisdizione, spontaneamente e liberamente variabili ad opera delle parti, e sempre revocabili e modificabili dal giudice in via interinale o attraverso procedimenti ad hoc33. In queste ipotesi, la Consulta non ha mancato di chiarire che il sistema concepito dal legislatore (basato in specie sui poteri del giudice e sulla presenza necessaria del p.m.) si rivela adeguato per tutelare l’interesse del minore34. Diversi sono invece i giudizi de potestate, che incidono sul fascio complessivo di facoltà e diritti, poteri e obblighi, che si ricollegano alla potestà dei genitori, o più ancora i procedimenti di adozione. In questi ultimi casi è la sfera esistenziale del minore a essere incisa nel suo complesso, e ciò presuppone che lo stesso divenga parte del processo ad ogni effetto, e così pars loquens a pieno titolo. Occorre quindi assicurare tanto la sua rappresentanza quanto la sua difesa nel processo. 30 La si legga in Fam. e dir. 2011, p. 545 ss., con nota di Tommaseo, La Corte costituzionale sul minore come parte nei processi della giustizia minorile. 31 A questo riguardo potrebbe considerarsi un’inutile quaestio disquisire circa il significato della locuzione «destinatario diretto», laddove si consideri che in fondo tale situazione si verifica in tutti i casi in cui il minore risente del provvedimento e così anche nelle ipotesi di semplici provvedimenti sull’affidamento e sulla regolamentazione del diritto di visita. 32 Se il processo ha ad oggetto un diritto del minore di carattere meramente patrimoniale, il minore non può qualificarsi come parte in senso processuale. 33 Cfr. variamente a tale titolo gli artt. 709 e 710 c.p.c. e 4, 8° comma e 9 l. divorzio. 34 Cfr. Corte cost. 14 luglio 1986, n. 185, cit. 14 7. – Dal primo punto di vista, il sistema prevede come noto la nomina di un curatore speciale, anche se si discute se detta figura debba essere designata sempre, ovvero soltanto nelle ipotesi di conflitto di interessi35 (e a questo proposito è inoltre dibattuto se il conflitto di interessi debba essere valutato in concreto o in astratto, in via successiva o in via prognostica). La Corte costituzionale ha per parte sua fatto della presenza del curatore speciale un perno centrale della legittimità del sistema36. Ma già si eccepisce che l’assistenza del curatore possa non essere sufficiente, occorrendo altresì la rappresentanza tecnica e la presenza di un difensore ad hoc per il minore. In questa prospettiva, occorre oltretutto tener conto che nella prassi applicativa sovente curatore e difensore vengono nominati unicamente in corso di causa, lasciando pericolose lacune nella fase iniziale del procedimento, nella quale si articola la fissazione del thema decidendum. Il problema viene di fatto attenuato dall’assenza di rigide preclusioni nei procedimenti che riguardano il minore, ma ciò non toglie che la lacuna sia dottrina sia stata giustamente sottolineata, prescrivendosi che il rappresentante tecnico venga nominato in limine litis37. Ulteriore problema consiste come noto nella possibile duplicazione di ruoli e nei (potenziali o concreti) conflitti di interessi tra le parti. Questo profilo ha dato adito a discussioni in particolare nelle ipotesi in cui la dichiarazione dello stato di adottabilità sia preceduta dalla nomina di un soggetto terzo a tutore del minore (tipico è il caso del Comune nominato Ente affidatario)38. 35 Sul tema cfr. Cass. 28 marzo 2010, n. 7281. Corte cost. 30 gennaio 2002, n. 1, in Giur. it. 2002, 1812; in Foro it. 2002, 3302, con nota di Proto Pisani; in Fam. dir. 2002, p. 229, con nota di Tommaseo; Corte cost. ord. 528/2000, in Dir. fam. e pers. 2001, p. 914, con nota di Piccaluga; in Fam.e dir. 2001, p. 121, con nota di Giangaspero; Corte cost. 12 giugno 2009, n. 179, in Giur. cost. 2009, 2003. 37 E’ quanto è stato sottolineato in particolare dalle due sentenze gemelle Cass. 17 febbraio 2010, n. 3804 e Cass. 17 febbraio 2010, n. 3805. 38 Cfr. in questo senso ad es. App. Milano 16 ottobre 2008 (Pres. Pesce, Est. Gatto). Sul conflitto di interessi e sulle diverse questioni insorte in proposito cfr. la approfondita analisi di Micela, La rappresentanza e assistenza del minore nei procedimenti di potestà e di adottabilità, in Dir. fam. e pers. 2010, p. 1413 ss. 36 15 Anche se sul piano dello ius conditum nessuno nega che gli istituti della curatela e della difesa siano profondamente differenti e non possano che rimanere tali39, proprio ad evitare il sorgere di inutili questioni sarebbe de iure condendo a mio avviso opportuno istituire un’unica figura, interamente dedicata alla difesa del minore nel processo e dotata di una competenza (professionale ma prima ancora culturale) ad hoc. La soluzione dovrebbe essere quindi quella di dare all’Avvocato del minore non soltanto la rappresentanza tecnica ma altresì la stessa rappresentanza processuale. A tale risultato può peraltro giungersi anche attualmente, nominando il soggetto contemporaneamente nei due ruoli (di curatore e avvocato). Questa soluzione è autorizzata espressamente dall’art. 9 della Convenzione di Strasburgo40 ed è condivisa da parte della dottrina41. De lege ferenda basterebbe specificare che l’avvocato del minore abbia ad assumere per quest’ultimo rappresentanza processuale e al contempo poteri di difesa tecnica; si potrebbe al riguardo valorizzare (anche normativamente) il termine Difensore del minore, a sottolineare che il significato della nomina è ampio e tale da racchiudere entrambe le funzioni42. Rimane poi il problema dell’assunzione delle «scelte esistenziali» relative al minore. Il difensore dovrebbe per regola rimanere autonomo e terzo rispetto alla parte, senza pericolose e confusive commistioni con questa. In queste ipotesi, peraltro, mi pare che la soluzione generale non possa valere, da un lato poiché anche il rappresentante processuale sarebbe comunque terzo rispetto alla parte (anzi, verrebbe scelto dall’organo giudicante proprio per il suo carattere di 39 Cfr. Cass. 22 gennaio 2010, n. 1107. In dottrina, tende a rimarcare l’utilità di questa distinzione Ruo, Avvocato, tutore, curatore del minore nei procedimenti di adottabilità, in Dir. fam. e pers. 2011, p. 348. 40 Mentre le Linee Guida del Consiglio d’Europa risultano più dubbie, prevedendo che «i figli minori sono parte del procedimento e sono rappresentati dai genitori salvo che non sussista conflitto di interesse con gli stessi; in caso di conflitto di interesse anche potenziale deve essere nominato loro un rappresentante, se del caso anche un avvocato, che provvederà alla nomina di un difensore». 41 V. anche Dosi, L’avvocato del minore, Torino 2010, p. 5 ss. 42 Così ancora Dosi, L’avvocato del minore, cit., p. 5 ss. 16 terzietà), dall’altro perché nel momento in cui il Difensore del minore venga dotato di una particolare formazione, competenza e sensibilità, egli sarà in grado di valutare non soltanto le strategie processuali ma altresì il contesto di vita del minore e quali siano le soluzioni per lo stesso maggiormente confacenti. Da questo punto di vista, il ruolo del Difensore del minore dovrebbe essere sostenuto dalla presenza del p.m., chiamato a latere a svolgere un’importante funzione di assistenza (senza contare che sullo sfondo rimarrebbe sempre il giudice, dotato del potere di indagare l’effettivo interesse del minore nel caso concreto). Né si dica che questo modus procedendi sarebbe suggerito da un eccessivo favor per gli avvocati. La figura del minore va invero protetta nel processo, e in tale ambito nessuna parte può rimanere priva di una difesa effettiva43. Se si aspira a un giusto processo minorile occorre quindi in primis che il soggetto chiamato a tutelare il minore comprenda le possibili strade, le strategie, le ricadute che la macchina processuale può comportare. Diversamente operando, si correrebbe il rischio di disporre di due soggetti non pienamente sintonici tra loro, con svilimento della difesa tecnica, poiché l’avvocato dovrebbe sempre rispondere alle scelte del curatore. Ulteriore passo dovrebbe poi essere quello di arrivare a riconoscere al minore capace di discernimento la legittimazione formale di attivarsi ex art. 336 c.c. per richiedere provvedimenti limitativi o ablativi della potestà. Sotto questo profilo le fonti transnazionali dotano anche il fanciullo di un potere di iniziativa diretta44. A ben vedere, peraltro, tale potere è già presente anche nel nostro sistema, potendo il minore richiedere ex art. 79 c.p.c. la nomina di un curatore speciale, o ancor più semplicemente rivolgersi in caso di pericolo a organismi di 43 Sul principio di effettività della difesa insiste Corte cost. 22 giugno 2004, n. 178, in Foro it. 2004, 3269, con nota di Romboli. 44 Cfr. sul punto Tommaseo, Rappresentanza e difesa del minore nel processo civile, cit., p. 410. 17 polizia, così di fatto dando abbrivio a una segnalazione alla procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni e all’avvio del procedimento. 8. – Se dunque il Difensore del minore viene ad assumere un ruolo centrale per un giusto processo minorile, occorre parallelamente favorire per questa figura una specifica formazione, in funzione di un ruolo che assomma in sé, oltre ai tradizionali valori e obblighi propri dell’avvocato, una serie di competenze e doveri del tutto peculiari. Si pone quindi il problema di garantire un’accurata professionalità per i soggetti chiamati ad assumere il ruolo di difensore del minore45. Ciò può avvenire in primis attraverso una sensibilizzazione degli ordini professionali e delle associazioni che hanno il fine di valorizzare la specializzazione della professione, mediante corsi di formazione e aggiornamento nei quali siano evidenziate le specificità che la materia presenta, sul piano tecnico ma anche dal punto di vista degli interessi coinvolti e della relazione con le parti. Ma soprattutto rimane di fondamentale importanza l’individuazione di un codice etico ulteriore rispetto alle norme deontologiche che ogni avvocato è tenuto a rispettare, nella presa di coscienza dei particolari aspetti che rendono il giudizio minorile un modello assolutamente a sé stante, nel quale, più che in ogni altro, è indispensabile assicurare alla non compiuta maturazione dell’individuo la protezione e le garanzie irrinunciabili del giusto processo46. 45 Così ancora Corte cost. 22 giugno 2004, n. 178. Sul tema v. Mariani Marini, Deontologia e responsabilità sociale: l’avvocato e il minore, in Rass. forense 2003, p. 741 ss.; Abruzzese, Avvocati e giudici onorari, un rapporto difficile, in Minori giustizia 2006, p. 116 ss.; Dosi, L’avvocato del minore, cit., passim; Cesaro, Le nuove figure nei procedimenti minorili: il difensore e il curatore del minore, In Minori giustizia, 2009, p. 1 ss.; Ruo, Arriva la proposta di decalogo per l’avvocato della famiglia: le nuove norme deontologiche, in Famiglie e minori n. 7/2010, p. 81 ss.; Id., Avvocato, tutore, curatore del minore nei procedimenti di adottabilità, cit., p. 362 ss. 46 18 9. – L’art. 111, 1° comma, Cost. si chiude con la precisazione per la quale la legge deve assicurare la «ragionevole durata» del processo. Il fattore tempo, elemento essenziale per la giustizia, diviene ancor più fondamentale nel processo minorile, in quanto il minore è un soggetto fragile e in continua evoluzione. In tutti i procedimenti che hanno ad oggetto le relazioni familiari, il fisiologico modificarsi della fattispecie e il ruolo fondamentale svolto dalle sopravvenienze consigliano da un lato l’adozione di schemi processuali elastici, ma d’altro lato impongono che si possa pervenire alla conclusione in termini concentrati, poiché diversamente le conseguenze sul minore possono essere irreparabili (si pensi alla sindrome di evoluzione genitoriale). Sotto il primo profilo, il fattore-tempo deve invero essere adeguato anche ab interno, coordinandolo con il possibile (anzi, fisiologico) mutare delle condizioni esterne e con l’emergere di sopravvenienze in fatto anche significative. La specificità delle situazioni soggettive in contesa impedisce infatti l’adozione di schemi processuali caratterizzati da rigide scansioni tra le fasi del processo e sconsiglia il ricorso alla (altrimenti rassicurante e benigna) categoria delle preclusioni endoprocessuali, a favore di modelli processuali elastici e fluidi, non preconizzati e senza previo «contingentamento» delle attività da espletare nel giudizio. Non solo. L’eterogeneità delle possibili fonti di convincimento, idonee ad apportare elementi di chiarezza e così utilità concrete ai fini dello scioglimento dei nodi sub judice47, induce a propendere per modelli deformalizzati nei quali possano trovare un utilizzo più esteso (beninteso nel rispetto dei principi inviolabili, primo tra i quali il contraddittorio) prove anche atipiche48. Le finalità 47 Si pensi, nel caso di specie, ai numerosi verbali e interrogatori svolti dai diversi organi che si sono occupati della vicenda, alle informazioni assunte e così in generale a tutti gli elementi volti a far emergere la volontà e l’interesse del minore sulla cui esistenza il Tribunale si è trovato a dover decidere. 48 In generale e come minima bibliografia essenziale sui problemi connessi all’utilizzo delle prove atipiche v. Taruffo, Prove atipiche e convincimento del giudice, in Riv. dir. proc. 1973, p. 389 ss.; Comoglio, Garanzie costituzionali e prove atipiche nel procedimento camerale, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1976, p. 1162 ss.; Cavallone, Critica alla teoria delle prove atipiche, in Riv. dir. proc. 1978, p. 684 19 da perseguire suggeriscono infatti in questi casi di stemperare il consueto rigore dei mezzi istruttori, nella consapevolezza della fondamentale importanza di un più libero estrinsecarsi al convincimento giudiziale. La fluidità che contraddistingue lo scorrere del processo si riverbera anche sul provvedimento che ad esso mette capo. In questo senso, va riaffermata l’importanza e il significato della clausola rebus sic stantibus, chiamata a reggere e regolamentare l’efficacia di molti provvedimenti relativi alla giustizia minorile. A questo riguardo, occorre peraltro ricordare che - come autorevolmente chiarito in dottrina49 - il giudicato rebus sic stantibus non rappresenta un modello di grado inferiore o più debole rispetto alla res iudicata tradizionalmente intesa, ma semplicemente un differente modo di esplicitare il senso della autoritatività dei provvedimenti giudiziari civili a fronte della diversa interazione e incidenza che eventuali sopravvenienze esplicano, segnatamente nei rapporti di durata. Nel settore che ci interessa, peraltro, il tema risente «a monte» della stessa ricostruzione che si intenda attribuire ai provvedimenti del giudice. Ed invero, ove si adottino criteri non tanto (o non soltanto) formali (quali quello del rito applicabile), ma più propriamente di contenuto (ricollegati alla tipologia delle situazioni sostanziali dedotte e alla natura dei provvedimenti) l’eventuale sussunzione nell’alveo della giurisdizione volontaria50 consente di ritenere addirittura superflua – in diverse ipotesi – la garanzia altrimenti irrinunciabile del giudicato51. Tale conclusione non porta peraltro a escludere la natura ss.; Montesano, Le «prove atipiche» nelle «presunzioni» e negli «argomenti» del giudice civile, in Riv. dir. proc. 1980, p. 235 ss; Tarzia, Problemi del contraddittorio nell’istruzione probatoria civile, in Riv. dir. proc. 1984, p. 640 ss.; Chiarloni, Riflessioni sui limiti del giudizio di fatto nel processo civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1986, p. 836 ss.; nonché lo studio monografico di G.F. Ricci, Le prove atipiche, Milano 1999, passim. 49 Per l’evidenza che la clausola rebus sic stantibus non contraddistingua di regola una forma di giudicato più debole rispetto a quello ordinario v. Caponi, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano 1991, pp. 105-106. 50 Tra i diversi Autori che hanno ritenuto che i provvedimenti relativi all’affidamento dei figli minori debbano essere ascritti alla categoria della giurisdizione volontaria v. ad es. Graziosi, La sentenza di divorzio, Milano 1997, p. 213 ss. 51 Trattasi, come noto, di una vexata quaestio, sulla quale v. ex plurimis Pagano, Contributo allo studio dei procedimenti in camera di consiglio, in Dir. giur. 1988, spec. p. 79 ss.; Proto Pisani, Saggio 20 giurisdizionale di tutti i procedimenti (e provvedimenti) minorili, anche se unicamente sull’affidamento e sulle modalità di visita, così come l’efficacia imperativa che agli stessi deve comunque essere riconosciuta. Soltanto l’auctoritas propria della iurisdictio è in effetti in grado di assicurare realmente tutela alle situazioni sostanziali di riferimento. In ogni caso, tuttavia, e richiamando il secondo aspetto sopra accennato, è certo che l’adozione dei provvedimenti debba sempre avvenire in tempi adeguati e concentrati52, come sottolineato anche dalle fonti internazionali e in particolare dalla Convenzione di Strasburgo, che all’art. 7 fa obbligo all’Autorità giurisdizionale di agire sollecitamente «per evitare ogni inutile ritardo». 10. – Molti temi rimarrebbero ancora da indagare per poter delineare compiutamente e in ogni suo aspetto il giusto processo minorile. I profili processuali della competenza e del rito, della natura (contenziosa o volontaria) dei singoli procedimenti, con tutte le conseguenze che ne derivano sullo svolgimento dell’iter processuale e sulla stabilità dei provvedimenti, il profilo dei costi della giustizia, il tema dell’attuazione dei provvedimenti relativi ai minori e delle relative sanzioni, costituiscono tutti aspetti di un variegato affresco che l’interprete e l’operatore del diritto non possono trascurare e devono costantemente indagare perché il risultato sia per tutti più nitido. In questa cornice, la valvola di chiusura del sistema resta comunque l’interesse del minore, attorno al quale si disegna un particolare ruolo per tutti i soggetti coinvolti nel processo. L’interesse del minore non deve naturalmente essere vissuto alla stregua di dogma assoluto, ma come valore fondamentale da introduttivo, in Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, Torino 1994, p. 30, per il quale «revocabilità e modificabilità in ogni tempo significa niente altro che assenza del giudicato formale…e del giudicato sostanziale»; Basilico, La revoca dei provvedimenti civili contenziosi, Padova 2001, p. 392. 52 Sul tema cfr. Ruo, Avvocato, tutore, curatore del minore nei procedimenti di adottabilità, cit., p. 354. 21 preservare attraverso strumenti idonei in relazione alle singole dinamiche familiari e allo specifico contesto processuale nel quale viene in evidenza. Se per la sua difesa è come si è visto indispensabile in alcuni casi designare nel processo un soggetto ad hoc, altre figure istituzionali, quali il p.m. e soprattutto il giudice non possono che mantenere un ruolo centrale per un sistema di tutela adeguato ed effettivo. A tal fine, può risultare utile anche un rafforzamento dei poteri inquisitori del giudice, quale elemento di raccordo per sopperire alle lacune del sistema. Di qui l’idea che l’esplicarsi trilatero del contraddittorio (non soltanto tra le parti ma anche nei confronti del giudice) rappresenti comunque un punto centrale, fermo e indiscutibile, vero e proprio canone imprescindibile per la realizzazione del giusto processo, intorno al quale far ruotare tutti gli assi di questo. Su questa strada la giurisprudenza della Corte costituzionale ha fornito importanti indicazioni e precisazioni, e sulla scorta di queste il legislatore è chiamato ad attivarsi per dotare il processo minorile di una disciplina finalmente organica e compiuta, che riporti in termini di effettiva giustizia un settore tanto nevralgico della giurisdizione civile. 22