Appunti di Misure Elettriche
Richiami di Elettronica (parte I)
Componenti elettronici, rumore e deriva..................................................... 1
Diodi..................................................................................................... 1
Rumore nei diodi............................................................................. 4
Transistor a semiconduttore: BJT ......................................................... 4
Tensione di “offset”, errore di “piedistallo” e fenomeni di deriva.... 9
Sorgenti di rumore nei BJT ............................................................. 9
Transistor a semiconduttore: FET ...................................................... 10
Sorgenti di rumore nei FET ........................................................... 13
Dispositivi di potenza: diodi pnpn, SCR, TRIAC e UJT....................... 13
COMPONENTI ELETTRONICI, RUMORE E DERIVA
I componenti elettronici più usati negli strumenti analogici attivi di misura sono i diodi ed i
transistor a semiconduttore. Nei prossimi paragrafi ne riepiloghiamo le caratteristiche, con
particolare attenzione alle sorgenti di rumore ed al modo con cui modellarle dal punto di vista
circuitale1.
Diodi
Per quanto riguarda i diodi, non ci soffermiamo su quelli a giunzione p-n, ritenendo note le
nozioni fondamentali, per cui ci limitiamo a riportarne una tipica caratteristica tensione-corrente:
1
A questo proposito, richiameremo i concetti principali esaminati nel capitolo espressamente dedicato al rumore
Appunti di “Misure Elettriche”
Altri diodi utilizzati correntemente sono i diodi Zener, le cui principali applicazioni riguardano
la regolazione della tensione continua e l’ottenimento di stabili riferimenti di tensione o di corrente.
La caratteristica corrente-tensione di un diodo Zener è del tipo seguente:
Nella figura seguente è riportato un semplice circuito, con alimentazione in continua, che utilizza
un diodo Zener:
In questo caso, il diodo Zener è usato per rendere ininfluenti le variazioni di tensione della
batteria E, ossia per rendere tale batteria praticamente ideale, con tensione VB pari a quella di
breakdown del diodo. Ovviamente, perché il diodo svolga la suddetta funzione, è necessario
polarizzarlo in modo opportuno, ossia è necessario dimensionare la tensione E e la resistenza R in
modo che il punto di lavoro del diodo corrisponda proprio alla tensione VB.
Un’altra applicazione di diodi Zener, che coinvolge in questo caso segnali di natura alternata,
riguarda la possibilità di squadrare onde sinusoidali. Consideriamo infatti il seguente circuito:
Autore: Sandro Petrizzelli
2
Richiami di Elettronica (parte I)
Se il valore di picco della tensione sinusoidale supera (in valore assoluto) la tensione di scarica
VB dei due diodi Zener (supposti uguali), questi ultimi mantengono la tensione sul carico
praticamente costante sul valore VB, in modo quindi che la tensione ai capi del suddetto carico abbia
un andamento del tipo seguente:
Altri diodi molto usati sono i diodi PIN: sono normali diodi a giunzione, che però presentano una
stretta regione intrinseca (cioè non drogata) tra la parte p e la parte n. La regione non drogata, avendo
una conducibilità estremamente bassa, è praticamente un isolante, ma è anche molto stretta (in
termini di spessore), per cui la sua presenza non altera sensibilmente le caratteristiche del diodo.
L’uso principale di questo tipo di diodi è come condensatori variabili alle alte frequenze (fino
anche ad 1 GHz): agendo opportunamente sullo strato di svuotamento, si ottengono capacità variabili
in modo abbastanza sensibile con la tensione inversa applicata ai morsetti.
Particolarmente conosciuto ed impiegato è anche il diodo tunnel: esso ha il grosso pregio di
presentare una caratteristica I-V (illustrata nella figura seguente) con un tratto a pendenza negativa
(resistenza incrementale negativa), per cui trova molte applicazioni negli strumenti di misura e
altrove:
3
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
Rumore nei diodi
Il diodo, come tutti i componenti elettronici, è particolarmente sensibile all’influenza del rumore.
In esso, possiamo infatti evidenziare tre distinte sorgenti di rumore:
• in primo luogo, il diodo presenta, quando è in conduzione, una resistenza Rd, che quindi è sede
di un rumore termico, modellabile tramite una tensione di rumore di valore efficace
VnR = 4kR d TB , dove B è la banda di frequenza in cui il diodo viene utilizzato;
• in secondo luogo, abbiamo rumore granulare (detto anche rumore di carica) associato alla
giunzione, modellabile tramite una corrente di rumore di valore efficace I nc = 2qI D B ;
• infine, abbiamo anche rumore flicker associato prevalentemente al funzionamento in bassa
frequenza, modellabile tramite una tensione di rumore di valore efficace Vnf = R d k 1
Ia
B.
fb
Tenendo conto di queste tre sorgenti di rumore, il modello circuitale equivalente del generico
diodo diventa il seguente:
Ovviamente, in questo modello abbiamo tenuto conto che i due generatori di tensione di rumore
2
sono in serie, per cui ne abbiamo considerato uno solo con valore efficace Vn = VnR
+ Vnf2 .
Transistor a semiconduttore: BJT
I transistor a semiconduttore si dividono in due grosse categorie: transistor bipolari (BJT ed HBT)
e transistor ad effetto di campo (JFET, MOSFET, MESFET, HEMT, tutti unipolari).
Cominciamo dai transistor bipolari ed in particolare dai BJT (transistor bipolari ad
omogiunzione), dei quali esistono strutture npn e strutture pnp:
Autore: Sandro Petrizzelli
4
Richiami di Elettronica (parte I)
Nei simboli circuitali indicati in figura viene evidenziato il differente verso della corrente
(convenzionale) di emettitore, che è uscente per gli npn ed entrante per i pnp. Per semplicità,
facciamo riferimento solo a transistor npn, che quindi possiamo schematizzare nel modo seguente:
J1
J2
Emettitore
Base
Collettore
regione
di tipo n
regione
di tipo p
regione
di tipo n
I BJT presentano tre possibili configurazioni circuitali: base comune (CB), emettitore comune
(CE), collettore comune (CC):
• quando il terminale comune è quello della base, parliamo di configurazione a base comune;
in questo caso, la tensione in ingresso è la tensione VBE e la corrente di ingresso è quella di
emettitore; viceversa, la tensione in uscita è VBC, mentre la corrente è quella di collettore:
E
ingresso
transistore
bipolare
B
C
uscita
B
• quando il terminale comune è invece quello dell’emettitore, parliamo di configurazione a
emettitore comune; in questo caso, in ingresso abbiamo la tensione VBE e la corrente di base,
mentre in uscita abbiamo la tensione VCE e la corrente di collettore:
B
ingresso
transistore
bipolare
E
C
uscita
E
• infine, quando il terminale comune è quello del collettore, parliamo di configurazione a
collettore comune; in questo caso, in ingresso al quadripolo abbiamo la tensione VBC e la
corrente di base, mentre in uscita abbiamo la tensione VEC e la corrente di emettitore:
B
ingresso
transistore
bipolare
C
E
uscita
C
5
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
La più diffusa è quella ad emettitore comune, cui farà riferimento la prossima figura.
A prescindere dalla configurazione, un BJT presenta 3 modi di funzionamento, a seconda della
polarità delle tensioni applicate alle due giunzioni affiancate che costituiscono il dispositivo:
• quando la giunzione EB è polarizzata positivamente e la giunzione CB è polarizzata
inversamente, si parla di funzionamento in zona attiva diretta: questa è la regione di
funzionamento in cui il transistor può comportarsi da amplificatore del segnale in ingresso
• quando entrambe le giunzioni sono polarizzate positivamente, si parla di funzionamento in
zona di saturazione: in questo caso, la corrente di collettore assume il valore massimo;
• infine, quando entrambe le giunzioni sono polarizzate negativamente, si parla di funzionamento
in zona di interdizione: la corrente di collettore è al valore minimo ICB0, pari alla corrente
inversa di saturazione della giunzione CB.
La figura seguente illustra le caratteristiche I-V di un BJT in configurazione ad emettitore
comune. In particolare, è riportata la corrente di collettore in funzione della tensione tra collettore ed
emettitore ed al variare della corrente di base:
In questa figura si possono notare le tre regioni di funzionamento del BJT: la zona di interdizione
corrisponde a corrente IC molto piccola (pari alla ICB0), per cui tale zona racchiude tutte le curve
poste in corrispondenza dell’asse orizzontale; la zona di saturazione corrisponde a tensioni piccole
(tipicamente VCE,sat=0.2V) in corrispondenza di correnti molto elevate, per cui corrisponde a quella
parte di curve (peraltro praticamente coincidenti al variare di Ib) vicine all’asse verticale; infine, la
zona attiva diretta comprende la rimanete regione del piano, fatta eccezione per la regione
corrispondente ad alti valori di VCE, in corrispondenza dei quali si potrebbe avere la rottura della
giunzione base-collettore (che in zona attiva diretta è polarizzata negativamente).
La retta obliqua che compare nell’ultima figura rappresenta la retta di carico, che, intersecata con
le curve I-V del transistor, fornisce il punto di lavoro del transistor stesso. La pendenza e l’intercetta
di questa retta dipendono evidentemente dal circuito di polarizzazione in cui il BJT è inserito. La
figura seguente illustra due possibili circuiti di polarizzazione (relativi, ovviamente, al BJT in
configurazione ad emettitore comune):
Autore: Sandro Petrizzelli
6
Richiami di Elettronica (parte I)
In entrambi i casi, la maglia di uscita è la stessa, per cui la retta di carico vista prima vale per
entrambi i circuiti.
Quando il BJT lavora in zona attiva diretta, è in grado di amplificare il segnale posto in ingresso e
tale amplificazione è accompagnata, per la configurazione ad emettitore comune, da una inversione
di segno (rotazione di 180°) del segnale dall’ingresso (circuito BE) all’uscita (circuito CE). Tra
l’altro, c’è anche il trasferimento di una corrente da un circuito a bassa resistenza (giunzione EB,
polarizzata direttamente e quindi con bassa resistenza di conduzione) ad un circuito ad alta resistenza
(giunzione CB, polarizzata inversamente). La parola transistor deriva appunto dalla combinazione
delle parole trasferimento e resistore.
L’azione amplificatrice è evidente se si guardano le caratteristiche riportate prima: una piccola
variazione della corrente di base (ad esempio da 50µA a 100µA) determina una variazione
decisamente più consistente della corrente di collettore (da 10mA a quasi 25mA). E’ anche buono il
guadagno di potenza, in quanto la configurazione ad emettitore comune consente di avere guadagno
sia in corrente sia in tensione.
Il rapporto tra la corrente di collettore e la corrente di base è un indice di qualità del BJT e lo si
indica con β . Generalmente, si distingue un β in corrente continua ed uno in corrente alternata:
β CC = h FE =
IC
IB
β CA = h fe =
∆I C
∆I B
Notiamo che, in pratica, β è il rapporto tra corrente di uscita e corrente di ingresso nella
configurazione ad emettitore comune.
Il valore di β in continua dipende dal punto di lavoro sulla caratteristica (IC,VCE) prima riportata e,
generalmente, si considera il valore relativo al ginocchio della curva. Valori tipici sono compresi tra
20 e 200, con il valore più frequente che è senz’altro 100.
∆VCE
, dove ∆VI è la variazione
Un altro parametro importante è il guadagno di tensione A V =
∆VI
della tensione di ingresso.
Si definisce anche un guadagno di potenza dato dal prodotto β AV.
In base a quanto esposto, si capisce facilmente che una delle possibili applicazioni per un
transistor è quella di interruttore elettronico: infatti, se supponiamo che la giunzione EB non sia
polarizzata e supponiamo di applicare un segnale in ingresso di tipo impulsivo, la giunzione CE si
comporterà come un interruttore quando l’impulso è tale da far passare il transistor dalla regione di
interdizione (bassa corrente IC) alla regione di saturazione (alta corrente IC). Bisogna comunque
7
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
considerare che la corrente di collettore non può rispondere istantaneamente alle variazioni della
tensione di ingresso Vi, ma ha bisogno di un tempo di innesco, necessario affinché IC si porti prima
al valore 0.1IC(sat) e poi da questo al valore 0.9IC(sat). In pratica, il tempo di innesco è la somma di un
tempo di ritardo (necessario per raggiungere il 10% del valore finale) e di un tempo di salita
(necessario per passare dal 10% al 90% del valore finale). Le stesse considerazioni valgono
ovviamente anche per il passaggio inverso, ossia dalla saturazione alla interdizione: serve prima un
tempo di svuotamento (per arrivare al valore 0.9IC(sat)) e poi un tempo di caduta (per passare da
0.9IC(sat) a 0.1IC(sat)).
Abbiamo fino ad ora parlato del BJT in configurazione CE; nella figura seguente sono riportati
altri due circuiti, in cui il BJT è impiegato nella configurazione CB (a sinistra) e nella configurazione
a CC (a destra):
Nella configurazione CB, l’ingresso è applicato sull’emettitore del transistor, mentre invece
l’uscita è prelevata ancora dal collettore (tramite un condensatore di disaccoppiamento, che serve ad
eliminare la componente continua dovuta alla polarizzazione). Nella configurazione CC, invece,
l’ingresso è applicato sulla base, mentre l’uscita è prelevata dal collettore.
La configurazione CC dà luogo ad un inseguite di tensione con elevata impedenza di ingresso e
bassa impedenza di uscita; l’amplificazione è positiva (per cui l’uscita e l’ingresso sono in fase, al
contrario della configurazione CE, dove esiste uno sfasamento di 180°) ed è leggermente inferiore
all’unità (si parla di “inseguitore” proprio per questo motivo). Questo fatto comporta che il guadagno
in potenza sia più piccolo di quello ottenibile dalla configurazione CE ed anche dalla configurazione
CB: quest’ultima, infatti, funziona come inseguitore di corrente ed è usata prevalentemente come
adattatore di impedenza (la stessa funzione può comunque essere svolta anche dalla configurazione
CE se opportunamente progettata).
Nella figura seguente sono riportate le caratteristiche statiche di uscita per la configurazione CB,
con l’indicazione delle regioni di funzionamento:
IC (mA)
attivo
saturazione
IE=-6(mA)
6
IE=-5(mA)
IE=-4(mA)
4
IE=-2(mA)
IE=-1(mA)
IE= 0(mA)
2
0
ICB0
-5
-0.5
20
-10
interdizione
Autore: Sandro Petrizzelli
8
VCB (volt)
Richiami di Elettronica (parte I)
Tensione di “offset”, errore di “piedistallo” e fenomeni di deriva
Abbiamo detto che i componenti elettronici attivi richiedono opportune tensioni e correnti di
polarizzazione per poter lavorare nella regione di funzionamento desiderata. Questa inevitabile
presenza della sorgente di alimentazione determina il cosiddetto errore di piedistallo, ossia la
presenza di una tensione di uscita (detta di offset) anche in assenza di segnale applicato in ingresso.
Allo scopo di ridurre l’errore di piedistallo è necessario applicare in ingresso opportuni segnali di
tensione e corrente da considerare in fase di progetto. Purtroppo, però, l’errore di piedistallo non può
essere eliminato del tutto, a causa essenzialmente di fenomeni di deriva, cioè di piccole variazioni
delle tensioni di offset. Tali variazioni sono dovute a vari fattori, tra cui citiamo le variazioni casuali
della conduttività dei semiconduttori, l’invecchiamento dei materiali, l’umidità, le vibrazioni
meccaniche, variazioni nella tensione di alimentazione, oscillazione dei parametri con la temperatura
e così via.
Se facciamo riferimento ad uno strumento elettronico, l’effetto globale più rilevante è la
cosiddetta deriva dallo zero, che è dovuta principalmente a variazioni nelle condizioni ambientali.
Ad esempio, tra le specifiche dei voltmetri compare proprio tale deriva dallo zero, espressa in
termini di Volt per grado Celsius. Talvolta, si presenta anche una deriva di sensibilità (o deriva
del fattore di scala), la quale si aggiunge alla deriva dallo zero e richiede evidentemente una
frequente ritaratura dello strumento.
Sorgenti di rumore nei BJT
Passiamo infine ad analizzare le principali sorgenti di rumore che possiamo avere in un BJT. In
particolare, consideriamo un BJT in configurazione CE, per la quale possiamo avere le seguenti
sorgenti di rumore:
• rumore termico dovuto alla resistenza intrinseca di base Rb: è modellabile tramite la solita
tensione di valore efficace VnR = 4kR b TB da porre in serie appunto ad Rb;
• rumore flicker nella regione di emettitore, generalmente di entità trascurabile;
• rumore granulare sia per la giunzione BE sia per la giunzione BC: avremo perciò un
generatore di corrente I nB = 2qI B B per la corrente di base ed un generatore I nC = 2qI C B per
la corrente di emettitore.
Tenendo conto di queste sorgenti di rumore, si ottiene il seguente modello circuitale per il BJT in
configurazione CE:
Questo modello è peraltro semplificabile:
9
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
• in primo luogo, possiamo assumere che la resistenza di base Rb sia molto più piccola della
resistenza βR0, dove R0 è la resistenza di uscita del transistor;
• in secondo luogo, possiamo porre
Vn2 = Vnb2 + R 02 I 2nC + R 2b I 2nb
I 2nC
I =I + 2
β
2
n
2
nb
Con queste assunzioni, il modello circuitale da considerare diventa il seguente:
Transistor a semiconduttore: FET
Altri transistor molto utilizzati nella strumentazione elettronica, specialmente grazie all’elevato
valore dell’impedenza di ingresso, sono i transistor ad effetto di campo, brevemente FET. Di
questi esistono vari tipi: principalmente, per i nostri scopi ci interessano quelli a giunzione (JFET) e
quelli con l’elettrodo di comando isolato (MOSFET).
Mentre nei transistor bipolari la corrente è costituita dal movimento sia degli elettroni sia delle
lacune (per cui si parla appunto di dispositivi bipolari), nei FET la conduzione è affidata solo ad
un tipo di portatori: saranno elettroni quando la regione attiva (o canale) del dispositivo (cioè la
regione in cui circola corrente) è drogata di tipo n (come nella figura seguente), mentre si tratterà di
lacune quando il drogaggio è di tipo p.
Source
Gate
Drain
p+
n
elettroni
p+
Nei JFET vi sono tre morsetti, denominati drain (pozzo, D), source (sorgente, S) e gate (porta,
G). Il morsetto S è quello attraverso cui le cariche maggioritarie (elettroni o lacune a seconda del
drogaggio, in base a quanto detto poco fa) entrano nel dispositivo, mentre il morsetto D è quello
attraverso cui le stesse cariche escono dal dispositivo. Il terminale G serve invece a controllare,
Autore: Sandro Petrizzelli
10
Richiami di Elettronica (parte I)
tramite la tensione ad esso applicata, l’ “apertura” della regione attiva e quindi l’intensità della
corrente che in essa può circolare.
La corrente di gate nei JFET è dell’ordine dei 10nA, mentre la resistenza di ingresso varia 0.1MΩ
a 100MΩ. Questo valore può anche crescere nei MOSFET, che presentano il gate isolato dalla
regione attiva: si arriva a valori della resistenza di ingresso che superano anche i 1015 Ω.
Con riferimento sempre ad un JFET a canale n, nelle normali condizioni di funzionamento,
mentre il drain viene posto ad una tensione positiva o nulla rispetto al source, il gate viene messo a
tensione nulla o tutt’al più negativa (sempre rispetto al source). A parità di tensione sul drain, la
corrente è tanto minore quanto maggiore (in valore assoluto) è la tensione sul gate. Si hanno perciò
caratteristiche tensione-corrente di uscita del tipo seguente:
strozzamento
ID
VG=0
VG<0
VD
VDsat
I valori maggiori della corrente, a parità di tensione di drain, si hanno evidentemente quando la
tensione di gate è nulla, mentre, quanto più tale tensione di gate (che è negativa) cresce in valore
assoluto, tanto più la corrente cala (in quanto il canale si va restringendo).
Il simbolo circuitale di un JFET a canale n è il seguente:
Drain D
Gate G
Source S
Passando ai MOSFET, la loro struttura schematica è la seguente:
VG
VS
VD
n+
n+
p
VB
11
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
Si nota subito la presenza di un terminale in più: si tratta del terminale di bulk (substrato, B), che
però generalmente è posto a massa). Il simbolo circuitale di un MOSFET a canale n è il seguente:
Drain D
Gate G
Bulk B
Source S
Anche se i principi di funzionamento sono diversi rispetto ai JFET, le caratteristiche di uscita
sono dello stesso tipo e sono del tipo indicato nella figura seguente (per un MOSFET a canale n):
ID
VG3
VG2
VG1
VD,sat1
VD,sat3
tensione di drain VD
VD,sat2
Parametri tipici, caratterizzanti il funzionamento dei FET, sono il guadagno di tensione
∆VDS
∆I D
VDS = 0 . Un valore tipico di quest’ultimo parametro è
AV =
e la transconduttanza g m =
∆VGS
∆VGS
4mA/V. In generale, gm è un parametro variabile con la corrente di drain, in quanto il FET è un
dispositivo abbastanza non lineare (sicuramente più del BJT).
Con riferimento alle caratteristiche I-V illustrate nelle precedenti figura (sia per i JFET sia per i
MOSFET), possiamo individuare quattro regioni operative (contro le tre individuate per i BJT):
• la prima, relativa a bassi valori di VDS, è detta regione lineare (o regione di triodo), in
quanto il legame tra VDS e IDS risulta essere praticamente lineare;
• la seconda, contigua alla prima (per cui siamo per valori non troppo bassi di VDS), è detta ad
inversione dolce e presenta una corrente con andamento approssimativamente esponenziale;
• la terza regione, detta di confine, è caratterizzata da un andamento quadratico della corrente;
• infine, l’ultima regione è quella di saturazione (detta anche a forte inversione) ed è
caratterizzata anch’essa da un andamento quadratico di IDS, ma questa volta con la VGS (mentre
invece risulta praticamente indipendente dalla VDS)
Autore: Sandro Petrizzelli
12
Richiami di Elettronica (parte I)
Sorgenti di rumore nei FET
Anche nei FET sono presenti diverse sorgenti di rumore:
• rumore termico dovuto sia alla resistenza di ingresso Ri sia alla transconduttanza gm: per la
Ri possiamo considerare una tensione di valore efficace Vni = 4kR i TB ) da porre in serie
appunto ad Ri), mentre invece per la gm possiamo considerare una corrente di valore efficace
I ng = 4kg m TBτ (da porre in parallelo a gm), dove τ è una costante che dipende dal punto di
lavoro considerato
• rumore flicker nella regione di canale, generalmente di entità trascurabile nel campo di
normale funzionamento di questo tipo di dispositivi;
• rumore granulare dovuto al comportamento casuale della corrente che fluisce nella
giunzione pn: avremo perciò un generatore di corrente I nc = 2qI S B , dove IS è la corrente
continua di polarizzazione.
Dispositivi di potenza: diodi pnpn, SCR, TRIAC e UJT
Per completare il rapido esame dei componenti elettronici più usati nella strumentazione
elettronica, accenniamo ai dispositivi di potenza.
Un diodo pnpn è costituito da quattro strati di silicio drogati nell’ordine p-n-p-n, come indicato
nella figura seguente:
K
(catodo)
A
(anodo)
p1
n1
p2
n2
Il terminale connesso allo strato di tipo p più esterno prende il nome di anodo, mentre quello
connesso allo strato di tipo n più esterno prende il nome di catodo.
Si osserva dunque che il diodo p-n-p-n è un dispositivo a due soli
terminali
realizzato
affiancando
(cioè
ponendo
in
serie)
3
omogiunzioni p-n.
Il simbolo circuitale di un diodo p-n-p-n è il seguente:
K
A
La freccia indica evidentemente quale sia il catodo e quale l’anodo del dispositivo: essa è sempre
diretta dall’anodo verso il catodo.
13
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
La caratteristica (linearizzata) I-V di un diodo p-n-p-n è quella riportata nella figura seguente:
I
conduzione diretta
VAK
(tensione anodo-catodo)
blocco inverso
blocco diretto
rottura
Si può osservare facilmente il motivo per cui diodo p-n-p-n è un dispositivo bistabile in
polarizzazione diretta: questa espressione significa che esso può commutare da uno stato
con alta impedenza e con bassa corrente (blocco diretto) ad uno
stato con bassa impedenza ed alta corrente (conduzione diretta),
ossia da uno stato OFF ad uno stato ON e, ovviamente, viceversa.
Il diodo p-n-p-n può essere pensato come due transistori bipolari (uno npn e l’altro pnp) posti a
contatto, l’uno opposto all’altro, come mostrato nella figura seguente:
emettitore
A
(anodo)
p1
base
collett.
n1
R
p2
collettore
base
n1
p2
emettit.
n2
K
(catodo)
A partire dalla struttura del diodo pnpn si ottiene un tiristore (detto anche “S.C.R.” che sta per
Semiconductor
Controlled
Rectifier,
ossia
raddrizzatore
controllato
a
semiconduttore) aggiungendo semplicemente un terzo elettrodo, che prende il nome di
elettrodo di gate. Ci sono due possibilità:
• la prima è quella di connettere il gate alla regione immediatamente vicina a quella connessa
all’anodo (tiristore con porta anodica), realizzando perciò una struttura del tipo seguente:
Autore: Sandro Petrizzelli
14
Richiami di Elettronica (parte I)
Gate anodico
K
A
p1
n1
p2
n2
• l’altra possibilità è invece quella di connettere il gate alla regione immediatamente vicina a quella
connessa con il catodo del diodo p-n-p-n (tiristore con porta catodica):
K
A
p1
n1
p2
n2
Gate catodico
Per comprendere il funzionamento di un SCR, facciamo sempre riferimento al modello dei due
transistor connessi tra loro:
• quando l’anodo di un SCR è collegato al morsetto positivo di un alimentatore ed il catodo al
morsetto negativo, la giunzione np centrale è polarizzata inversamente e quindi i due transistor
sono interdetti: l’SCR non conduce;
• se si alimenta con una corrente opportuna il terminale di gate, il collettore del transistor npn
preleva la corrente proveniente dalla base del transistor pnp;
• a questo punto, l’SCR condurrà anche con il cessare della corrente di gate: infatti, il transistor
npn resta polarizzato dalla corrente di collettore del transistor pnp.
Quindi, perché l’SCR inizi a condurre, è sufficiente una corrente impulsiva di gate e poi, perché
esso continui a condurre, è sufficiente una minima corrente di tenuta (o mantenimento) tra anodo e
catodo.
Il tutto è rappresentato dalla seguente caratteristiche I-V, che è peraltro identica a quella di un
diodo pnpn, con la differenza che la tensione VBF di accensione del dispositivo è tanto minore quanto
maggiore è la corrente iniettata nel gate:
IA
VBF
15
VAK
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
Per mandare l’SCR in interdizione, è necessario o invertire le polarità dell’alimentazione oppure
annullare la corrente di tenuta.
Dato che è sufficiente che il segnale di gate agisca per un tempo breve (tra 2 e 20µsec), la potenza
richiesta per l’innesco di un SCR è molto piccola e si utilizzano perciò correnti impulsive a basso
valor medio.
Nella figura seguente è infine rappresentato il simbolo circuitale di un SCR, nonché il circuito con
cui può essere modellato, comprendente i due BJT (uno npn ed uno pnp) tra loro interconnessi:
Notiamo che il diodo pnpn (e quindi anche l’SCR) è un dispositivo monodirezionale, in quanto
conduce corrente in un solo senso (come un diodo). D’altra parte, esso può essere reso bidirezionale,
nel qual caso di parla di DIAC. La struttura di un DIAC è ottenuta affiancando due diodi pnpn:
n' 2
M1
n' 1
p'2
p'1
n1
p1
p2
M2
n2
La caratteristica corrente-tensione è la seguente:
I
stato ON (diretto)
stato OFF (inverso)
V12
stato ON (inverso)
stato OFF (diretto)
Così come nel diodo p-n-p-n si poteva aggiungere un terzo terminale al fine di abbassare la
tensione di innesco, la stessa cosa si può fare con il DIAC: si può cioè aggiungere un terminale di
Autore: Sandro Petrizzelli
16
Richiami di Elettronica (parte I)
gate che contribuisca a ridurre la tensione di innesco del diodo o in polarizzazione diretta o in
polarizzazione inversa:
gate
M1
n3
n4
p1
M2
p2
n1
n2
L’effetto di questo terminale è proprio quello di variare la tensione di innesco della commutazione
tramite l’intensità di corrente che fluisce attraverso di esso.
Il dispositivo appena raffigurato prende il nome di TRIAC (che sta questa volta per Triode AC
switch) o anche tiristore a tre terminali. Nella figura seguente è riportato il simbolo circuitale
del TRIAC nonché il circuito con cui è modellabile, in cui si evidenzia la sua equivalenza con due
SCR interconnessi tra loro:
Il principale impiego di SCR e TRIAC è come interruttori nei circuiti di potenza (da cui il nome
di tiristori).
Un altro componente utilizzato nella strumentazione elettronica è il transistor monogiunzione
(noto anche con l’acronimo “UJT” che sta appunto per UniJunction Transistor) o anche
“diodo a doppia base”, un dispositivo avente schematicamente la seguente struttura:
B2
p
E
n
B1
Si tratta dunque sostanzialmente di un normale diodo p-n, avente però due terminali di base
anziché uno solo (da cui appunto l’espressione “doppia base”). Da un punto di vista tecnologico, si
realizza un UJT partendo da una sottile piastrina di silicio di tipo n (che costituisce la base ed è
generalmente poco drogata, in modo da avere alta resistività) e realizzando sulla sua parte centrale
una giunzione p-n, tramite la formazione di una zona p (che costituisce l’emettitore). I due contatti
17
Autore: Sandro Petrizzelli
Appunti di “Misure Elettriche”
di base vengono realizzati in posizione perfettamente simmetrica rispetto alla giunzione e quindi al
terminale di emettitore.
Il simbolo circuitale è il seguente:
Il principale impiego degli UJT è nel pilotaggio dei circuiti di innesco dei tiristori oppure anche
nel funzionamento da interruttore per la scarica rapida di un condensatore.
Un UJT presenta tre importanti vantaggi:
• una tensione di innesco stabile;
• una corrente di innesco stabile, per cui non è necessario spendere molta potenza per farlo entrare
in conduzione;
• una corrente di uscita di valore sufficiente per accendere un tiristore (SCR o TRIAC che sia).
Per comprendere il funzionamento di un UJT, consideriamo il seguente circuito:
B2
E
+
+
p
n
B1
VB2
VE
-
-
Come si vede, è applicata, tra B2 e B1, una tensione VB2 positiva su B2. Una parte di questa
tensione VB2 cade anche tra E e B1 (cioè fa da tensione applicata alla giunzione) in quanto la sbarra
di materiale semiconduttore si comporta come un partitore di tensione. Si applica inoltre, tra
l’emettitore e la base B1 (collegata a massa), una tensione VE positiva sull’emettitore stesso. Definita
la cosiddetta tensione di picco come VP = ηVB 2 + 0.6 (dove 0.6V è approssimativamente la
tensione di accensione del diodo e dove η è la frazione di VB2 che cade tra E e B1), le possibilità
sono due:
• quando VE<VP, il diodo risulta polarizzato inversamente e circola dunque solo la debole corrente
di saturazione inversa;
• quando VE>VP, la giunzione è polarizzata direttamente, la corrente di emettitore è notevole e tra i
terminali E e B1 c’è una caduta di tensione molto piccola; essendo la giunzione polarizzata
direttamente, l’emettitore inietta lacune nella base B1 e questo fa si che la regione B1 diventi
positiva rispetto alla regione E; ciò implica, a sua volta, che gli elettroni vengano attirati in questa
regione (per compensare l’eccesso di cariche positive). Il risultato è dunque un aumento di
portatori nella base, ossia una diminuzione della resistenza, cui consegue un aumento della
corrente che va verso B1 ed una ulteriore diminuzione della caduta di tensione. Ciò significa che
Autore: Sandro Petrizzelli
18
Richiami di Elettronica (parte I)
la zona di base è una zona a resistenza negativa, ossia una regione in cui la tensione diminuisce al
crescere della corrente.
La caratteristica I-V di un UJF si ottiene dunque diagrammando la corrente di emettitore IE in
funzione della tensione emettitore-base1 VE:
IE
VE (volt)
La funzione della tensione VB2 tra le due basi è quella di traslare quella curva verso sinistra man
mano che VB2 stessa assume valori crescenti.
Autore: SANDRO PETRIZZELLI
e-mail: [email protected]
sito personale: http://users.iol.it/sandry
succursale: http://digilander.iol.it/sandry1
19
Autore: Sandro Petrizzelli