Il Suono dei giorni
La musica popolare di tradizione contadina da sempre racconta le ragioni
intime della terra. La connessione esistente tra il suono e le genti documenta la
storia, il lavoro, l’immaginario di un gruppo, di un popolo.
La Città di Gallese ha voluto valorizzar questo patrimonio che, in un’epoca di
grandi trasformazioni antropologiche, rischia di uscire dalla memoria e così
scomparire definitivamente, mentre c’è sempre più voglia di riscoprire le
proprie radici anche attraverso la musica.
Nasce quindi l’idea di un festival di musica popolare di tradizione contadina, Il
Suono dei giorni , quest’anno alla sua XV edizione. Un festival di musica
popolare che non sia però solo luogo della memoria e della conservazione ma
anche e soprattutto fonte di conoscenza per le nuove generazioni da cui trarre
ancora ispirazione per il futuro.
Quindi, sin dalla prima edizione alle esibizioni musicali, si sono sempre
accompagnati una serie di incontri con studiosi di antropologia e di tradizioni
popolari delle Università e delle Istituzioni più vicine che hanno avuto luogo nel
Museo e Centro Culturale “Marco Scacchi” (in passato questi incontri sono stati
tenuti da Luigi Di Gianni, Maurizio Agamennone, Marcello Arduini, Antonello
Ricci, Mauro Geraci …).
Gli eventi musicali hanno hanno visto come protagonisti interpreti di fama
internazionale (Nuova Compagnia di Canto Popolare, Salentotò, Malicanti,
Mauro Geraci, I fratelli Mancuso, Giovanna Marini, Paranza d’o Lione,
Taranteria, Gabriele Coen, Raffaello Simeoni, Antonello Ricci, Canzoniere
dell’Appia, The Gang, AllaBua, La Macina,Ariacorte).
Una formula vincente, ormai arriva alla quindicesima edizione, in cui
tradizione, cultura, memoria, ballo, divertimento e tanta buona musica trovano
il giusto equilibrio ed un eccellente momento si fusione.
Contaminazione, questo è il tema della XV edizione, la cui organizzazione
all’Associazione musicale “Marco Spoletini” di Gallese e che si terrà a Gallese
(VT) il 30 novembre (ore 21,30) e 1° dicembre 2013 (ore 18,00), presso il Museo
e Centro culturale “Marco Scacchi”.
Una delle peculiarità fondamentali della musica popolare, in questo agli
antipodi rispetto a quella colta, fissa e immutabile per definizione, è quella di
essere soggetta a continue variazioni, a modificazioni anche sostanziali dovute
sia all’estro degli esecutori sia alle conseguenze della trasmissione orale.
Coscienti e particolarmente interessati a questo carattere “progressivo” della
musica popolare, abbiamo voluto riprendere un vecchio progetto e così, in una
delle due serate, la Banda musicale città di Gallese, accompagnerà
Gastone Pietrucci in una esibizione del tutto particolare: alcune delle sue
canzoni, frutto di oltre quarant’anni di ricerca ed elaborazione, saranno
riarrangiate per banda da Gabriele Campioni e Luca Celoni e eseguite in un
concerto-spettacolo presso il Museo Marco Scacchi ( 1° dicembre).
Ospite straordinaria poi di questa serata sarà il soprano Laura Celletti che
parteciperà all’esecuzione di alcuni brani, la cui voce limpida e cristallina farà da
degno contr’altare a quella scura e graffiante di Gastone Pietrucci: un’ulteriore
contaminazione speriamo quanto mai piacevole e feconda.
L’altra serata ( 30 novembre), vedrà protagonista un’altra grande artista,
Valentina Ferraiolo & Trillanima che propone un concerto acustico con
coloriture dal folk alla musica d’autore con un repertorio che parte dalla musica
popolare sviluppandosi in un affinato lavoro di ricerca e contaminazione con
altri generi musicali e che la vede anche autrice di alcuni brani proposti:
protagonisti dello spettacolo il tamburello italiano ed una voce originale e
graffiante.
IL SUONO DEI GIORNI
La musica popolare di tradizione contadina da sempre racconta le ragioni intime
della terra. La connessione esistente tra il suono e le genti documenta la storia, il
vissuto, l’immaginario di un gruppo, di un popolo.
La Città di Gallese intende valorizzare questo patrimonio che, in un’epoca di
grandi trasformazioni antropologiche, rischia di uscire dalla memoria.
La formula di questa quindicesima edizione ripete quelle vincenti degli anni
passati: una serie di eventi animeranno Gallese per alcuni giorni.
Nelle passate edizioni abbiamo visto organizzati incontri con studiosi di
antropologia e di tradizioni popolari delle Università e delle Istituzioni più vicine
che hanno avuto luogo nel Museo e Centro Culturale “Marco Scacchi” (in
passato questi incontri sono stati tenuti da Luigi Di Gianni, Maurizio
Agamennone, Marcello Arduini, Antonello Ricci, Mauro Geraci …).
Non sono mancati eventi musicali, coinvolgenti esibizioni che hanno visto come
protagonisti interpreti di fama internazionale (Nuova Compagnia di Canto
Popolare, Salentotò, Malicanti, Mauro Geraci, I fratelli Mancuso, Giovanna
Marini, Paranza d’o Lione, Taranteria, Gabriele Coen, Raffaello Simeoni,
Antonello Ricci, Canzoniere dell’Appia, The Gang, AllaBua, La Macina,
Ariacorte).
XV edizione – CONTAMINAZIONE
Contaminazione, questo è il tema della XV edizione del Festival di musica
popolare di tradizione contadina Il Suono dei giorni proposto dall’Associazione
Musicale “Marco Spoletini” di Gallese, alla quale è stata affidata la direzione
artistica.
Una delle peculiarità fondamentali della musica popolare, in questo agli antipodi
rispetto a quella colta, fissa e immutabile per definizione, è quella di essere
soggetta a continue variazioni, a modificazioni anche sostanziali dovute sia
all’estro degli esecutori sia alle conseguenze della trasmissione orale.
La rassegna musicale di quest’anno propone artisti che nella loro carriera hanno
affrontato una lunga ricerca nel campo della musica popolare e che hanno saputo
rielaborare e riproporre brani legati alla tradizione orale. Propone anche
contaminazioni tra artisti, gruppi musicali e strumenti, riproposti insieme fuori
dalla loro abituale collocazione.
Sabato 30 novembre vedremo pertanto esibirsi Valentina Ferraiuolo con i
Trillanima, mentre Domenica 1 dicembre Gastone Pietrucci incontrerà la Banda
Città di Gallese con la partecipazione del soprano Laura Celletti.
Per conoscere meglio gli artisti che parteciperanno al Festival di quest’anno,
l’Associazione Musicale “Marco Spoletini” di Gallese ha chiesto a Giorgio
Ridolfi di intervistare gli artisti che prenderanno parte a questa XV edizione.
VALENTINA FERRAIUOLO
Giorgio Ridolfi – Prima di porre le nostre domande ripercorrerei alcune delle tappe
della sua carriera.
Valentina Ferraiuolo nasce a Gaeta e, fiera e orgogliosa delle proprie origini, trae
l'humus che ha nutrito la sua vita e la sua musica proprio dal fascino di quei
luoghi, ricchi non solo di storia, ma emblema di quel sud che è canto, tradizione
e racconto orale.
Studia a Perugia, nel Conservatorio "F. Morlacchi", ma ciò che cambia il sua
percorso è l'incontro con la musica popolare nel '94 con i maestri Alfio Antico e
Carlo Rizzo dai quali apprende le tecniche del tamburello. In quegli anni studia
anche canto, partendo dalle tecniche del "belcanto" con M. Rohrmann, soprano,
fino a quelle del canto popolare, con Lucilla Galeazzi.
La collaborazione con il maestro Ambrogio Sparagna costituisce un altro passo
fondamentale della sua crescita artistica: in trio, con Erasmo Treglia, portano, sui
più importanti palchi di tutto il mondo, il progetto "Il viaggio di
Giuseppantonio".
E’ tra i componenti dell'Orchestra Popolare Italiana dell'Auditorium Parco della
Musica di Roma, sin dalla sua nascita e ne diviene solista nel ruolo di
percussionista e cantante.
Intesa anche l’attività in campo teatrale: collabora con il coreografo belga
Misha Ven Hoeke nello spettacolo "Sinfonia per una taranta", ed in particolare
con il cosiddetto "Terzo teatro", profondamente legato all'etica sociale e alla
necessità di una reale vocazione dell'artista. Insegna le tecniche del tamburello
italiano (sia tradizionali che moderne) in diverse scuole di musica di Roma,
Terracina, Gaeta, Frosinone e Isola del Liri e tiene seminari e laboratori a
Palermo, Torino, Bologna e presso l'Auditorium Parco della Musica di Roma.
Nel 2012 accompagna Francesco De Gregori, con il tamburello, in "La guerra"
e, con i cucchiai, in "Omero al cantagiro", due brani dell'album "Sulla strada".
Valentina Ferraiuolo & Trillanima. Si tratta di un progetto nato nel 2012 “che
consente di allargare il concetto di "musica popolare", muovendo dalla ricerca
di sonorità che esprimono un nuovo modo di vedere oggi la tradizione” spiega
l’artista “e arrivando ad un repertorio che comprende tammurriate, brani
originali e persino le note di Nino Rota...tutto questo è Valentina
Ferraiuolo&Trillanima!”. Il progetto vuole restituire una nuova immagine del
tamburo, strumento tipicamente femminile, utilizzato anticamente già dalle
sacerdotesse fenicie eppure in grado di stupire per la sua attualità.
Valentina Ferraiuolo ha accettato di rispondere ad alcune domante poste
dall’Associazione musicale “Marco Spoletini” di Gallese che quest’anno cura la
XV edizione del festival Il suono dei giorni.
Tu proviene da una terra, il sud del Lazio in cui, come anche tu orgogliosamente
rivendichi, le tradizioni popolari sono ancora molto vive, ritieni di esserti
avvicinata alla musica popolare inevitabilmente, quasi per osmosi, o che invece
sia stata una scelta consapevole e voluta?
Valentina Ferraiuolo - Il primissimo approccio avvenne quando avevo 18 anni:
seppi di un laboratorio di danza sulle tecniche del saltarello, il genere di
tarantella più rappresentativo della cultura laziale. Il corso si svolgeva nella
biblioteca comunale di Gaeta ed era tenuto da Pino Gala. Partecipai e mi
piacque molto…poi mi ritrovai in una festa tradizionale dedicata al culto della
madonna e in quell’occasione una donna anziana mi afferrò e mi trascinò in un
ballo affascinante, ipnotico e passionale...Solo alla fine di quella danza, che mi
lanciò in una dimensione, condizione, come dire, di “trance”, capii che ero stata
rapita dai suoni della tammurriata...ma il tetro era all' epoca, la mia principale
passione!Quando vidi per la prima volta colui che poi ho avuto la fortuna di
avere come maestro poco tempo più avanti, fui letteralmente incantata dalla
musica popolare: parlo di Alfio Antico. Seppe suscitare in me, in modo
inaspettato, una grande curiosità verso quello strumento, il tamburo, che avevo
sempre ignorato, sottovalutato forse...uno strumento così semplice, così povero...
oggi il mio sostegno, il mio scudo, il mio alter ego! Fondamentale fu poi l'
incontro con Ambrogio Sparagna… (che in realtà già conoscevo, per via del
teatro, facevo il clown nelle sue bellissime parate…la Bosio Big Band allora!)
Quando lui mi vide suonare il tamburello (in effetti cominciai da autodidatta
rubando la tecnica osservando i grandi suonatori), mi chiese di suonare nella
sua orchestra di organetti...e da lì le cose arrivarono una dopo l'altra, fino a
cambiare il mio indirizzo negli studi, fino a diventare la mia vita, il mio piacere,
il mio lavoro...
G. R. - Tu sei una giovane interprete, anche se hai già una lunga ed intensa
carriera alle spalle, per quale motivo, ancora oggi la musica popolare, riesce
ancora ad essere interessante per le nuove generazioni, così spesso assorbite dal
propri presente?
V. F. - Mi sono chiesta tante volte il motivo per cui mi sono così interessata alla
musica popolare...ero poco più di un'adolescente e le mie aspirazioni sembrava
fossero altre. Oggi rifarei lo stesso cammino, sceglierei la stessa strada, non
semplice devo dire, ma è la mia strada, il mio guardare avanti tenendo d'occhio
ciò che era dietro di me... La musica popolare è avere la percezione di vivere
proiettata nel futuro ma con un passato solido alle spalle, guardare
continuamente alle mie radici, alle mie tradizioni. Io devo tutto questo al
tamburello, lo strumento che mi ha consentito di riappropriarmi della mia
cultura, di recuperare la mia identità. Credo sia proprio questa ricerca di
identità, una identità collettiva, fatta di condivisione, di solidarietà,
aggregazione, che spinga i giovani verso la "cultura" della musica popolare.
G. R. - Parliamo ancora delle tua fortunata carriera, quale è stato, tra i grandi
artisti con i quali hai collaborato, quello che più di tutti ha contato per la tua
formazione?
V. F. - Se penso all'esperienza, al sapere trasmessomi da Ambrogio Sparagna, non
potrei fare un nome diverso dal suo. Collaboriamo da vent’ anni ormai, sono
molto legata a lui, musicalmente e umanamente. È chiaro, poi, che ogni artista
con cui ho lavorato ha lasciato qualcosa, ha segnato un solco, un cammino
comune.
G. R. - L’interesse per la musica popolare è molto cresciuto, ovunque fioriscono
festival, spesso però le proposte sono un po’ troppo omogenee, per semplificare
“taranta e pizzica” la fanno un po’ da padrone. Tu che idea ti sei fatta
dell’eterno rischio di omologazione anche per la musica popolare?
V. F. - Pizzica e taranta ovunque...in fondo è ciò che ci si auspicava. Diffondere la
musica e le tradizioni popolari serviva ad allargare l'utenza, a dare coscienza a
quante più persone possibile...oggi è diventato un fenomeno di massa, un nuovo
modo di aggregarsi, corsi di ballo, di strumenti tradizionali, seminari su usi e
costumi...tutto ciò è ovvio che comporta dei rischi. Intanto mi sento di specificare
che la pizzica è solo uno dei vari "aspetti" della musica popolare, è uno dei modi
di fare "tarantelle" per capirci, non è LA TARANTELLA in assoluto! I nostri
saltarelli e le ballarelle rappresentano un altro repertorio da diffondere, se si
pensa alla poesia dei poeti a braccio, alle gighe del nord...quanto c’è ancora da
conoscere!
G. R. - Il tema conduttore di questo XV festival “Il suono dei giorni” e la
Contaminazione. Tu non hai mai avuto paura di avvicinare altri generi musicali
e mischiarli alla musica popolare, ritieni che sia corretto, anche da un punto di
vista metodologico e filologico, oppure non temi che così facendo si possa
snaturare.
V. F. - Snaturare è fare una brutta copia di ciò che appartiene a un altro tempo,
riscoprirlo è riproporlo con un linguaggio del 2013. Rispettandone l'essenza, sia
chiaro, solo chi conosce la tradizione può provare a contaminarla, diversamente
la distruggerebbe. Non saprebbe dove andare, da dove si è partiti, e il risultato
sarebbe molto molto casuale, per non dire catastrofico. Oggi si sentono tante
oscenità per questo: sento suonatori di organetto, virtuosi, bravissimi...ma fanno
jazz!Ti stupiscono con cose pazzesche, poi gli chiedi di suonarti una
tarantella...e lì capisci che hanno distrutto anche la bellezza e la natura dello
strumento, comprendi che la musica non è più espressività ma ginnastica!
G. R. - Oltre che cantare tu suoni il tamburello, quasi un tuo prolungamento lo
definisci, inoltre le tue esibizioni ti vedono anche ballare, questa fisicità
nell’interpretazione sono caratteristiche proprie della musica popolare o
piuttosto un tuo personale contributo artistico.
V. F. - Ci sono differenti livelli di approccio al tamburello. Restando in un ambito
prettamente tradizionale, credo che il ballo non possa essere scisso dalla tecnica
stessa del suonatore. Mi spiego. Quando faccio le mie lezioni sul tamburello e
devo insegnare a un allievo la differenza tra un saltarello e una pizzica, io gli
dico: " osserva la danza, guarda il passo, la "seduta" , l'appoggio..." Da lì
comprendi l'intenzione da dare al brano che esegui. Poi c'è l'espressione, il
proprio modo di sentire la musica e di viverla, di tramandarla...io non potrei
dire al mio corpo di dissociarsi dalla mente, è un tutt'uno, un' armonia spirituale
e fisica, da questa armonia si sprigiona l'energia giusta che poi arriva alle
persone, a chi ti ascolta, creando uno stato di benessere e un cerchio che ti
rimanda altra energia...una "simpatia", nel senso greco, per me fondamentale.
G. R. - In questo ultimo anno hai dato vita a due esperienze artistiche tutte al
femminile “Le voci magiche del Mediterraneo” e “Le Malmaritate”, ce ne vuoi
parlare?
V. F. - Si tratta di due esperienze molto intense, tutte al femminile appunto. Il primo
progetto, diretto dalla grande Lucilla Galeazzi, vuole valorizzare il legame fra il
mondo mediterraneo e le percussioni. Vi siamo io, Lucilla Galeazzi, Valeria
Cimò, Enza Pagliara, Enza Prestia, con le cinque cantanti e percussioniste del
Marocco “B’net Houariyat”: Maria Sadqi, Khadija Haliba, Malika Rahmi,
Saida Madrani, Halima Zeiter. Il secondo, le “Malmaritate”, è ideato e prodotto
dalla Narciso Records, la casa discografica di Carmen Consoli. L’idea è quella
di raccontare le donne… donne dimenticate, donne ferite, donne che sognano. Il
canto è una terapia, lo è sempre stato, sin dai tempi del Medioevo, in cui i canti
delle «malmaritate» erano appunto un canale di sfogo delle fanciulle in cerca di
marito e delle spose infelici costrette a nozze forzate. Voglio sottolineare che non
si tratta di un progetto “femminista”, ma di un nuovo modo di intendere la
femminilità e il suo rapporto con l’arte, tema a me molto caro, al quale mi sto
dedicando da anni, visto lo strettissimo legame che unisce il mio strumento alla
donna! Nel repertorio delle Malmaritate ci sono alcuni brani che ho scritto a cui
sono molto legata ed altri ancora ne sto scrivendo… Sto lavorando, infatti, ad un
repertorio che vedrà protagonista la donna e il tamburo, il mio nuovo
spettacolo… un fondersi di musica, letteratura, teatro!
G. R. - L’altro importante tuo recente progetto è il trio Trillanima, un’unione
veramente inconsueta di strumenti, musiche e generi e modi di esprimersi
veramente diversi, un chiaro esempio di Contaminazione: proposte di questo tipo
cosa aggiungono alla conoscenza ed alla maggiore fruizione della musica
popolare.
V. F. - Voglio specificare che Trillanima non sta per “trio”, come molti pensano.
L’idea contenuta nel titolo è quella del trillo… una parola chiave del tamburello!
Quello che desidero, con questo progetto, è infatti far trillare i sensi, l’anima di
chi ci ascolta! E’ un’esperienza che ho fortemente voluto, che avevo dentro da
tanto: creare qualcosa che mi esprimesse veramente. Valentina non è solo
“pizzica e taranta”, come appunto ci siamo detti prima, ma molto altro… Nel
nostro repertorio, oltre a diversi brani originali, ce n’è uno, ad esempio, il cui
testo appartiene alla tradizione della mia zona e che è strettamente legato alla
terra. Contiene tutte le immagini e le parole che caratterizzano il mio territorio,
e poter portare questo a chi decide di partecipare al nostro spettacolo, poter
donare le mie parole, i miei brani è per me la più grande gioia!
G. R. – Grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande e non ci resta
che ascoltarti Sabato 30 novembre con l’ augurio di Buona Musica...
GASTONE PIETRUCCI
G. R. – Quest’anno tra gli ospiti della XV edizione de “Il Suono dei Giorni”,
festival di musica popolare e di tradizione contadina che si terrà a Gallese il
prossimo 30 novembre e 1° dicembre, ci sarà Gastone Pietrucci fondatore e
leader del gruppo marchigiano “La Macina”.
Gastone Pietrucci, etnomusicologo e ricercatore sul campo, fonda e dirige, dal
1968, il Gruppo di Ricerca e Canto Popolare Marchigiano “La Macina”: Tra i
numerosi gruppi che, negli ultimi anni, hanno cercato di animare il secondo folkrevival italiano […] quello marchigiano della Macina occupa un posto a parte e
a mia conoscenza, unico […]” ( Roberto Leydi)
Ideatore e curatore di numerose e seguitissime rassegne annuali di musica
popolare
tra
le
quali
vorremo
la "Pasquella" di Montecarotto,
la "Passione" prima a Monsano e poi a Polverigi, dello"Scacciamarzo" e
soprattutto il “Monsano Folk Festival”.
Ha curato, nel 1990 e 1994, le opere discografiche di documenti originali della
tradizione orale marchigiana "Io vado allà filandra…" del Gruppo Filandare di
Jesi e “Canti rituali di questua della tradizione orale marchigiana”. Nel 2004,
pubblica il Cd Macina-Gang, "Nel tempo ed oltre cantando" .
Dal 2006 al 2010 ha pubblicato in tre volumi, le raccolte "Aedo malinconico ed
ardente, fuoco ed acque di canto" Vol. I, II e III, di Gastone Pietrucci-La
Macina
Nel 2009 pubblica il libro con Cd allegato, Giorgio Cellinese & Macina "Jemece
a ffa' un sonnellino in fondo allo stagno...".
Intervista
G. R. - Gastone tu hai iniziato la tua attività come studioso e ricercatore,
raccogliendo sul campo i testi e le musiche direttamente da “informatori” che
ancora tramandavano le canzoni della tradizione, ma poi quelle stesse canzoni le
hai anche interpretate e riproposte a tuo modo, quanto questa sinergia
ricerca/esecuzione è stata importante per il successo della tua proposta?
G. P. - La mia ricerca sul campo mi ha portato a incontrare tantissimi
“informatori” che mi hanno “regalato”, oltre che una parte della loro vita e
della loro memoria, un repertorio sterminato di canzoni (che in buona parte
hanno formato il repertorio de La Macina, il gruppo di ricerca e di riproposta
del canto popolare, fondato dal sottoscritto nel 1968). La Macina ha avuto un
approccio “rigoroso” e fedele con questo repertorio, direi quasi di “ricalco”
per quasi un trentennio, poi con la formazione dell’ultimo collettivo la
riproposta ha avuto un cambiamento notevole, più ricercato, senza inseguire
però nessuna moda, soltanto sviluppando ed assecondando la sensibilità degli
ottimi musicisti, con i quali sono venuto a contatto. Inoltre abbiamo lavorato
ulteriormente sulla “voce”, sull’interpretazione, su quel “recitar-cantando”, che
credo sia stata la chiave di volta di una riproposta “moderna” ed efficace e del
segreto del suo continuo successo. Il pubblico si è identificato, e, con il tempo,
con il passa parola, è cresciuto anno dopo anno, in modo costante e direi
entusiastico. Un pubblico tra l’altro trasversale ed eterogeneo, di tutte le età. A
dimostrazione che se tu sei onesto, corretto, competente e soprattutto
appassionato riesci ad arrivare al cuore ed all’anima della gente e non soltanto
ad un certo pubblico maturo, ma anche e soprattutto a quello giovanile.
G. R. - Dopo tanti anni dedicati alla ricerca e all’esecuzione della musica popolare,
qual è ancora la “molla” che ti spinge ad una attività così intensa?
G. P. - La passione, il credere fermamente nella forza, nella potenza e nella
indiscutibile “necessità” della musica popolare, la voglia ed il piacere di
cantare ed eseguire un repertorio che farà sempre parte della nostra storia, della
nostra memoria, del nostro passato e del nostro futuro. Soprattutto far conoscere
e trasmettere ai giovani questo nostro importante, importantissimo bagaglio
culturale (non come una musica ormai vecchia, stantia) ma una musica “viva”,
sempre attuale, che possa ancora piacere ed emozionare. Per me la musica
popolare è stato ed è lo scopo della mia vita, mi è indispensabile, come l’aria
che respiro, è come una droga di cui non posso farne a meno, ma che anzi ogni
giorno richiede una dose sempre maggiore. Io sto male, quando non provo e
soprattutto quando non canto, quando non mi esibisco sul palco.
G. R. - Quale significato può avere oggi, per nuove generazioni, così fortemente
immerse nel proprio presente, la proposta di forme d’arte così legate al passato?
G. P. - Il significato della conoscenza, di un genere musicale, che non passerà mai
di moda. Naturalmente proponendo questo genere musicale, non come una
cartolina stereotipata e stucchevole, come purtroppo viene proposta dalla
maggior parte dei famigerati gruppi folcloristici, dove non sia sa perché il
popolo viene presentato nelle maniere più assurde, false e stucchevoli, ma come
una forma musicale che è in continua evoluzione e rinnovamento. Io dico sempre
che non c’è musica alta o bassa, ma soltanto buona o cattiva musica quindi,
perché non possiamo eseguire e far conoscere una ballata popolare, un canto
rituale di questua, una filastrocca o altre forme di musica popolare, con la stessa
dignità e con lo stessa attenzione riservata alla musica colta, alla musica
sinfonica, al jazz? La musica popolare è stata la memoria e la “colonna sonora”
dei nostri antenati, perché non dobbiamo diffonderla, farla conoscere,
soprattutto ai nostri giovani. Le nostre radici affondano nella cultura e nella
civiltà contadina, in quella civiltà, dalla quale bene o male discendiamo noi tutti,
ma il nostro è un paese che ha una singolare vocazione a cancellare la sua
memoria, ma quando il presente non ha più “ricordi”, non ha passato,
inevitabilmente non avrà nemmeno un futuro.
L’averne distrutto
sistematicamente anche il ricordo, è stato un errore gravissimo, pagato
soprattutto dalle nuove generazioni con crisi di identità e con un vuoto culturale
difficilmente colmabile. Se non c’è più il mondo contadino, non c’è più la terra,
il rapporto con le stagioni, non c’è più la natura, non c’è più la radice biologica
dell’appartenenza ad una cultura. Naturalmente certi canti erano legati ai modi
e ai ritmi del lavoro ormai scomparsi e per interessare di nuovo i giovani è
necessario riproporli senza inutili, insopportabili ed anacronistiche
sovrastrutture, magari con gli strumenti attuali, con arrangiamenti efficaci,
intriganti, con una sensibilità moderna anche perché, la musica popolare,
trasmettendosi oralmente, è stata sempre in continua evoluzione, adattandosi ai
tempi, alle mode, alle lingue, pur rimanendo fedele al modello originale.
G. R. - L’attività da te svolta nelle Marche credo sia stato unica in Italia, sia per
qualità che per quantità, credi che si possa ancora oggi riproporre
un’esperienza così anche nelle altre Regioni?
G. P. - Non so che dirvi. Quando io ho iniziato questa frenetica attività di ricerca,
nel 1966, praticamente era tutto finito. I cantori e i suonatori popolari
demoralizzati, scherniti, derisi, avevano smesso di suonare e di cantare. Io
probabilmente sono arrivato inconsciamente, un attimo prima della “fine dei
giochi”. Quando, senza rendermene conto ho iniziato ad organizzare le
Rassegne sul canto rituale della tradizione orale marchigiana, da pochi anni i
cantori e i suonatori popolari avevano smesso di riproporre questi loro antichi
riti. Le Rassegne e poi il Monsano Folk Festival (Rassegna itinerante ed
internazionale di musica popolare originale e di revival) hanno avuto il merito di
incoraggiare, rinvigorire e dare nuova linfa vitale a tutti questi ormai rassegnati
portatori della tradizione. Se io non fossi intervenuto ora sicuramente non
saremo stati qui a parlare di tradizioni popolari marchigiane. Se tutti vari gruppi
di musica popolare delle altre regioni avessero lavorato nel territorio
probabilmente ci sarebbe stato, in tutta Italia, lo stesso risultato che io ho avuto
qui nelle Marche: un imponente folk revival proveniente dal basso, nonostante
l’ottusa e direi “criminale” disattenzione dei mass media e di questa nostra
cosiddetta civiltà, senza memoria e senza futuro. Riproporre un’esperienza così
anche nelle altre Regioni? Tutto è possibile, ma ora sinceramente ed anche
tristemente, mi sembra un po’ troppo tardi …
G. R. - Ed il rapporto con le Istituzioni, com’è stato? Sono pronte alla
collaborazione o si limitano, quando lo fanno, a sostenerti o sollecitano il tuo
lavoro?
G. P. - Di grande stima, ma poi all’atto pratico di grande indifferenza. Nonostante i
miei sforzi, non si è riusciti, dopo averlo fondato nel 1988 a far sopravvivere e a
far crescere il Centro Tradizioni Popolari, ora definitivamente chiuso, nel più
completo fallimento. Tutta la mia ricerca, rischia di scomparire e questa volta
definitivamente perché non si è riusciti, dopo un primo salvataggio delle prime
cento bobine, a salvare tutto il resto della mia Raccolta, che rischia di
smagnetizzarsi e di non essere ulteriormente utilizzata, né tanto meno più
ascoltata. E così dopo aver fortunatamente salvato una parte della nostra
memoria, ora rischiamo di cancellarla definitivamente ed ignominiosamente per
l’insensibilità delle nostre istituzioni. Del resto siamo in Italia, in perfetta linea
con il degrado, l’abbandono, la rovina di tutto il nostro sterminato patrimonio
artistico, quindi cosa può significare in fondo la perdita ulteriore della ricerca di
questo piccolo, tenace, “folle” ricercatore marchigiano? Niente assolutamente
niente. Basta ricordarsi l’infelice, barbara uscita di un tronfio, vergognoso e
deleterio, cosiddetto ministro che ha imperato indisturbato in questi ultimi nostri
fatali, atroci, beceri e sciagurati anni, che “con la cultura non si mangia”. Non
aggiungo altro! Ormai sono rassegnato: quel poco che ho fatto conoscere con le
pubblicazioni, con i dischi e con l’attività de La Macina, rimarranno, per il
resto, come gli antichi … “faraoni”, mi porterò tutto “allegramente” e
lucidamente … nella tomba! E, soprattutto niente premi o omaggi alla memoria:
le persone bisogna omaggiarle, stimolarle in vita e non dopo che hanno levato il
disturbo, troppo facile e soprattutto inutile e meschino.
G. R. - L’interesse per la musica popolare è molto cresciuto, ovunque fioriscono
festival, spesso però le proposte sono un po’ troppo omogenee, per semplificare
“taranta e pizzica” la fanno un po’ da padrone. Tu che idea ti sei fatto
dell’eterno rischio di omologazione della musica popolare?
G. P. - Il rischio c’è sempre e ci sarà sempre: ma poi le mode come sono arrivate
passano e ripeto la buona musica (rimarrà sempre). Ora nel mondo della musica
popolare italiana sembra che ci sia soltanto la “taranta” e la “pizzica”, due
balli bellissimi e straordinari, ma ormai ridotti ad eterna e stucchevole colonna
sonora, di questo frenetico e svuotato cosiddetto ballo popolare italiano. Se
ormai la musica popolare deve ridursi “solo” a un ballo frenetico, da discoteca,
non ci sto più, non mi interessa più. La musica popolare oltre che a far bene al
corpo, deve far bene ed arricchire, soprattutto, l’anima, deve far pensare e non
stordire, deve far crescere e non omologare e ridurre le persone a numeri. Con
La Macina, la musica popolare si ascolta, non si “balla”, in linea del resto, con
l’emblematico, eloquente ed indiscutibile titolo che nel 1999, abbiamo dato al
nostro doppio cd antologico: “Silenzio, canta La Macina!”
G. R. - Il tema conduttore di questo XV festival “Il suono dei giorni” e la
Contaminazione. Tu non hai mai avuto paura di avvicinare altri generi musicali
e mischiarli alla musica popolare e quest’anno hai accettato di eseguire le tue
canzoni, frutto della tua ricerca quarantennale, arrangiate ed accompagnate
dalla Banda musicale Città di Gallese, non temi che possano essere snaturate?
G. P. - La mia ricerca non la considero un patrimonio fermo, immobile,
inavvicinabile, direi cristallizzato, bensì vivo e pronto a tutte le contaminazioni
possibili. Nella mia carriera, sono stato nei primi trenta anni, chiuso nel mio
sicuro, confortevole, tranquillo “orto” personale, poi ho sentito il bisogno, la
necessità, di collaborare con altri artisti, di contaminare, sperimentare a tutto
tondo. Perché dovrei essere preoccupato, o pensare che queste “mie” canzoni
debbano essere snaturate, da queste nuove collaborazioni? Tra l’altro la Banda
musicale Città di Gallese, ha già collaborato con la Gang, e questo per me è
stato un grande biglietto da visita, per aver accettato senza alcun problema il
suo gentile e graditissimo invito. Vedete io in questi quarantacinque anni di
attività, già con la stessa Macina, con la trilogia dell’ “Aedo malinconico ed
ardente, fuoco ed acque di canto”, ho sperimentato, contaminato, rielaborato di
nuovo, quello che avevo suonato ed inciso sino al 1999. Ora quindi ho piacere di
confrontarmi, di sperimentare, con altri artisti, perché in questa maniera, per
prima cosa mi sento “vivo” ed “arricchito” da queste nuove esperienze. Un
artista non può rimanere chiuso nelle sue “certezze”, nel suo sicuro e ripetitivo
“già fatto”, ma deve sempre avere nuovi stimoli, nuove mete, nuove “paure”,
altrimenti rischia di fossilizzarsi, di inaridirsi. Io interpreterò sempre e con
grande piacere e con grande entusiasmo il nostro originale, sanguigno
repertorio popolare, però voglio interpretare, affrontare anche altri generi, altri
repertori. Quindi benvenuto questo nuovo incontro con la Banda musicale Città
di Gallese!
G. R. - Insieme a te si esibirà anche il soprano Laura Celletti, una delle giovani e
brave cantanti del gruppo InCanto. Anche lei ha accettato questa sfida che vede
la mescolanza del puro sofisticato canto lirico con quello scuro e graffiante delle
tue esecuzioni: una sfida tra interpreti che potrebbero sembrare alternativi tra
loro o la splendida occasione di ascoltare due grandi voci?
G. P. - Non conosco il soprano Laura Celletti, ma non vedrei questo nostro
incontro come una “sfida”, bensì come un altra, per me e spero e mi auguro
anche per lei, occasione di confronto e di crescita e soprattutto di piacere di fare
un bel lavoro insieme. E poi perché no, dare l’occasione al pubblico di ascoltare
due voci, così diverse e così “intriganti” insieme. Se son rose…
G. R. - Un’ultima domanda, credo che tu abbia già ascoltato alcuni dei brani
arrangiati da Luca Celoni e Gabriele Campioni, che ne pensi? Hanno mantenuto
lo spirito dei brani, magari con alcune lecite variazione o li hanno un po’
“strapazzati”?
G. P. - Ho ascoltato i vostri primi cinque brani ieri notte ed ho risposto subito a chi
me li aveva mandati: avete fatto un bel lavoro, in certi momenti mi sono
veramente emozionato, non vedo l’ora di provarli insieme, Quando accetto la
collaborazione con un artista, con un gruppo, come in questo caso con la Banda
musicale Città di Gallese, ho pienamente fiducia del mio collaboratore, cerco di
scordarmi quello che ho fatto prima con La Macina e mi metto fiducioso ed
incuriosito “nelle mani”dei nuovi compagni di lavoro. Poi naturalmente ci
confronteremo (anche a… muso duro), ma di solito ogni collaborazione ha dato
nuovi frutti, nuovi stimoli, perché non li deve dare questo con la Banda? Intanto
sarò motivo di conoscere altre persone, altri musicisti che come me amano la
musica (in questo caso la musica popolare), e che riusciranno, nella loro
prospettiva, a dare una nuova interpretazione a questo, grande, immenso mondo
musicale, che non si finirà mai di conoscere, di scoprire, di valorizzare e di …
amare.
G. R. – Grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande e non ci resta
che ascoltarti Domenica 1 dicembre con l’ augurio di Buona Musica...
LAURA CELLETTI
G. R. – Permettimi di presentarti a chi ancora non ti conosce e di leggere alcuni
brani del tuo curriculum.
Laura Celletti ha intrapreso giovanissima gli studi musicali, dimostrando sin da
subito una particolare predisposizione per il canto, materia in cui si diploma
brillantemente presso il Conservatorio di Musica "S. Cecilia" di Roma.
Nel 2007 consegue il diploma accademico di II livello in Canto, presso il
Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone con 110/110 e lode.
Ha tenuto numerosi concerti in qualità di solista, in Italia ed all'estero, sotto la
direzione di importanti Maestri quali V. Miserachs-Grau, M. Panni, S. Veccia,
M. Rota, G. Pezone, esibendosi in prestigiose sale e teatri: Smetana Hall
(Praga), Abbazia di Casamari (Veroli), Teatro Filarmonico della
Fondazione“Arena di Verona” per citarne solo alcuni.
Dal 2008 è parte stabile del quartetto di soprani “Div4s” e con esso,oltre alla
continuativa collaborazione con il maestro Bocelli, si esibisce principalmente
all'estero. La sua attività infatti si snoda tra esibizioni in importanti fondazioni
di tradizione ed eventi live di risonanza internazionale: Singapore (Gran Prix
F1), Londra (Arena O2), Palma de Maillorca (Ono Stadium), Belgrado (Sava
Center Hall), Atene (Salle de Megaron e Teatro Erode Attico). Sempre con Div4s
nel 2011 ha inciso l'album Opera, pubblicato in Italia da Universal Music e
presentato nell’ambito del tour europeo Night of the Proms dove si è esibita
davanti a centinaia di migliaia di persone in prestigiosissimi palcoscenici di città
come Anversa, Amsterdam, Rotterdam, Amburgo, Hannover, Francoforte,
Berlino, Mannheim, Dortmund, Lussemburgo, Monaco di Baviera, Colonia e
Stoccarda.
Dal 2011 dirige la scuola di canto dell’Associazione Musicale “Marco
Spoletini” di Gallese.
Nel 2013 ha lasciato le Div4s e fa parte del quartetto vocale InCanto.
G. R. - Laura tu hai accettato di collaborare in questa edizione esibendoti, con
Gastone Pietrucci, in un repertorio molto diverso da quello a cui sei abituata, è
la prima volta che proponi brani di musica popolare o ti è capitato in altre
circostanze?
L. C. - No, è la primissima volta e devo ammettere che, da sempre, la musica
popolare ha suscitato in me grande interesse.
G. R. - Qual è il tuo rapporto con le tradizioni popolari, musicali e non?
L. C. - Credo fermamente che la musica popolare sia un patrimonio da
salvaguardare con estrema attenzione e cura: essa è il nostro legame con il
passato e poiché tale va tenuto ben saldo. Le tradizioni in generale
rappresentano l’anello di congiunzione tra le varie generazioni: è bello veder
rivivere ai giorni nostri scene appartenenti alla vita quotidiana di alcune decine
di anni fa, ed è affascinante ascoltare suoni e melodie del nostro popolo. Per
questo è importante che esistano rassegne ed eventi musicali come “Il Suono dei
giorni”.
G. R. - Un’artista come te, la cui brillante carriera si è basata essenzialmente sulla
musica “colta”, che differenza trova ad esibirsi con un repertorio “popolare” e
se ci sono difficoltà, quali sono?
L. C. - Cambia lo stile, il ritmo, il fraseggio, ma l’emozione di mettere parte di sé in
ciò che si canta resta la stessa. Per me non esiste musica colta e meno colta:
esistono la musica e le sensazioni che ne derivano.
G. R. - Le tue esibizioni ti hanno portato a conoscere oltre che il pubblico italiano
anche quello di molti paesi stranieri, in quale Nazione hai trovato più calore ed
il quale più competenza?
L. C. - La Russia e la Siberia senz’altro ci hanno accolto sempre con molto calore.
Mi colpisce moltissimo il fatto che, pur vivendo in un posto davvero freddo, la
gente decida di prendere cappotto e colbacco e di recarsi in teatro:
l’accoglienza è stata tra le più calorose in assoluto. Per quanto riguarda la
competenza, beh. Quella un po’ ovunque, ma non posso scordare l’attento
silenzio prima del concerto a Praga nella Smetana Hall: un pubblico che fa
paura!
G. R. - Abbiamo voluto dedicare questa edizione del festival Il Suono dei giorni al
tema della contaminazione. Ritieni opportuno e soprattutto produttivo mescolare
opportunamente i vari generi musicali?
L. C. - Assolutamente sì: penso che le contaminazioni diano maggior vigore e forza
rendendo più ricco il brano che è stato “sporcato”. Sono diversi anni ormai che
canto crossover,una fusione tra pop e lirica: più contaminazione di così!!!
G. R. - Parliamo ancora della tua fortunata carriera, quale è stato, tra i grandi
artisti con i quali hai collaborato, quello che più di tutti ha contato per la tua
formazione?
L. C. - Cantare con il maestro Bocelli è stata una delle esperienze più formative
della mia carriera: decine di migliaia di persone davanti alle quali esibirsi fanno
spavento persino ai cuori più impavidi, lui ha sempre affrontato i suoi concerti
con la massima concentrazione e professionalità dimostrando di avere
temperamento e grande resistenza fisica malgrado i numerosi viaggi e i relativi
jet lag: un grande esempio per me!
G. R. - In quest’ultimo anno hai dato vita, insieme a Claudia Coticelli, Rossella
Ruini e Francesca Tiddi, al nuovo gruppo musicale InCanto, con il quale avete
partecipato, a New York, ai festeggiamenti per il “Columbus day” di quest’anno,
ci vuoi parlare di questa nuova esperienza musicale?
L. C. - Incanto nasce dall’esigenza di quattro artiste provenienti da ambiti musicali
diversi, di ritrovarsi a cantare un genere che le facesse sentire a loro agio. Le
vocalità, pur essendo tutte e quattro sopranili, hanno timbriche e colori diversi
che insieme creano una sonorità unica nel loro genere e permettono loro di
spaziare all’interno di un repertorio veramente ampio ed eterogeneo: da “Casta
Diva”e “Va pensiero” a “Moon River” e “Memory” passando per “That’s
amore” e “Mambo italiano”.
G. R. - Tu oltre che un’artista sei anche moglie e mamma di un bellissimo bimbo,
Paul. E’ difficile conciliare la tua attività professionale con necessarie attenzioni
per la famiglia e se la risposta è affermativa, come ci riesci?
L. C. - Essere mamma è davvero dura, se poi si è anche una mamma che lavora la
cosa si complica ulteriormente e questo lo sanno benissimo tutte le donne che
vivono la mia stessa situazione. Io per fortuna ho un marito che mi ha sempre
sostenuto nella scelta della mia professione e continua a farlo tutt’ora che
abbiamo un bimbo: il suo aiuto è per me fondamentale e mi rendo conto che
senza di lui probabilmente non avrei potuto riprendere a cantare così a ridosso
della nascita del piccolo! I momenti difficili ci sono, soprattutto quando sono
fuori per molti giorni, ma, e anche qui mi ritengo molto fortunata, i miei genitori,
la nonna Mihaela e la nostra tata Caterina, ci aiutano e completano il lavoro che
io ed Emanuel come genitori non riusciamo a fare.
G. R. – Grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande e non ci resta
che ascoltarti Domenica 1 dicembre con l’ augurio di Buona Musica...